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a Giovanni Nadiani in memoria
Elio Pezzi Intignacvël www.itacaedizioni.it/intignacvel Prima edizione: maggio 2017 © 2017 Itaca srl, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0524-6 Itaca srl via dell’Industria, 249 48014 Castel Bolognese (RA) - Italy tel. +39 0546 656188 fax +39 0546 652098 e-mail: itaca@itacalibri.it in libreria: www.itacaedizioni.it/librerie on line: www.itacalibri.it Grafica: Andrea Cimatti In copertina: Andrea Cimatti, Via Lodolone, 1998
Elio Pezzi
INTIGNACVËL Poesie
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Nota d’autore Pubblico Intignacvël in punta di piedi, convinto soprattutto da due cari amici poeti, Davide Rondoni e Giovanni Nadiani, a cui avevo confidato che da fine inverno-inizio primavera 2014 non riuscivo a scrivere poesie se non in rumagnöl, pur se non passava giorno in cui non appuntassi parole, o fissassi immagini, o stendessi almeno un rigo in italiano (oltreché in rumagnöl). Ma senza capire bene il perché. «È la lingua madre che viene fuori. Perché viene fuori adesso non lo so, so invece che devi seguirla». Questa la sintesi del commento di Davide. «Non preoccuparti. Va avanti così e quando sei pronto pubblica. Ci penseranno i posteri a cestinarti». Questo invece il succo del pensiero di Giovanni. Ringrazio entrambi. E allora pubblico Intignacvël, che comprende anche taluni versi scritti alcuni anni fa e tradotti in lingua perché ritenuti quasi un incidente di percorso. Tutta la poesia, in particolare la poesia moderna italiana, dal secondo ’900 ai nostri giorni, neovolgare compresa, nelle sue espressioni più autentiche, anche in quelle più povere come questa, è «una caccia alla verità, un inseguimento della verità», come testimonia
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Mario Luzi. Essa è, per se stessa, un’arte che esprime le esigenze del cuore dell’uomo, che crea, che scopre pensieri nuovi, che esalta insieme l’esistente e l’assente, che fa sentire viva e drammatica la realtà. La poesia, come testimoniano i poeti appena ricordati e tanti altri del nostro popolo, in particolare della terra romagnola, che scrivano in lingua o in dialetto non importa, è una parola vera, che nominando e rinominando le cose, ne rinnova il significato, comunica le domande fondamentali, cerca le risposte, afferma quella forma di conoscenza che è il mistero della vita. Può sembrare una delle cose più inutili, mentre, almeno per me, è una delle forme più alte di realismo – un realismo impuro, per quando mi riguarda –, che avvicina, che cala nella realtà, quasi invitando l’uomo a non dimenticare nessuno dei fattori della realtà stessa. Questo è ciò che mi ha mosso, che continua a muovermi a scrivere. Il problema, se così si può dire, è che nel nostro Paese non siamo più allenati a leggere, ad ascoltare, ad imparare poesia. Sono spariti non soltanto i contadini, gli artigiani, gli operai che, dalle mie parti, recitavano a memoria versi di Dante, Pascoli, Carducci, Spallicci, Stecchetti… Sono spariti anche i narratori.
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Tutti sostituiti dal chiacchiericcio del mondo, dal pettegolezzo sui pruriti del potere, dalla superficialità e dal cinismo di molta cronaca televisiva e giornalistica, dall’illusione-delusione del successo, dalla propria misura, complice lo specchio social delle proprie brame, che riduce tutto a gioco. A distrazione, nichilismo, violenza. Che avvolgono tutto, che allontanano dalla verità, dalla totalità, dalla pienezza della vita, dalla ricerca del suo senso. Come afferma Nadiani: «Andê senza savér in dóv / (u n’s’aspëta incion) / arivêr invel d’ in dóv / ch’a s’segna avié un’ êtra völta…» (Andare senza conoscere la meta / (e nessuno ci attende) / arrivare in nessun luogo / da dove eravamo partiti già un’altra volta…). Restano i poeti. I narratori stanno però tornando. Non so se servirà la poesia, se è compito della poesia. So però che la poesia è una parola che si ribella a questa omologazione, che suscita la domanda di senso, che indica umilmente una possibile speranza, come ricorda Gianni Fucci: «Mè, ch’a sgrafàgn se sguèrd / mo che pu dòp / a m spèrd / e quand ch’a m svègg / l’ è pas l’eternità» (Io, che sgraffigno con lo sguardo / ma che poi dopo / mi perdo / e quando mi sveglio / è passata l’eternità).
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Proprio per questo desidero ringraziare di cuore l’amico poeta Gianfranco Lauretano, per la disponibilità e l’attenzione, il quale, nella sua Introduzione, ha colto delle cose di me, di cui credo di non essere pienamente consapevole, sulle quali, a questo punto non ho più scampo, devo e voglio continuare a lavorare. Desidero ringraziare anche mia moglie Emanuela, per la sua presenza e per la gratuità e la libertà con cui mi accompagna nella vita e nella poesia, e gli amici Piergiorgio Bentini e Giancarlo Utili che, con la stessa gratuità e libertà, mi hanno fatto dono del loro giudizio e del loro consiglio. E.P.