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Le colline di Valdobbiadene

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Avvertenza

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Se in una giornata senza nebbia si imbocca la statale del Santo che da Padova sale verso nord, quasi subito si apre dinanzi un orizzonte segnato dalla prima corona delle Alpi. Lo sguardo si sofferma dapprima sui picchi rocciosi delle Vette Feltrine e poi, oltre queste, sugli spuntoni più alti delle Dolomiti che per diversa parte dell’anno luccicano innevate. A mano a mano che si procede, a fare da grande cornice alla pianura appaiono le figure verdi, scure e tondeggianti del Monte Grappa e del Monte Cesen, uno di fianco all’altro.

Il Monte Grappa è il più conosciuto dei due, avendo avuto in sorte l’esser stato uno dei fronti più sanguinosi della prima guerra mondiale. La sua fama è accresciuta dall’aver dato il nome al più glorioso dei liquori, la grappa appunto: una garanzia per il generale ossequio e l’imperitura memoria da parte di generazioni e generazioni di alpini.

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Alla destra del Grappa, con la testa erbosa e rasata di alberi, si staglia il Monte Cesen che la prima guerra mondiale l’ha vista dall’alto, assistendo da spettatore alle tremende battaglie sul fronte del Piave. Se vi si sale dopo un temporale, ci si accorge che si tratta di un balcone naturale che si affaccia sulla pianura e di là lo sguardo può correre fino alla laguna di Venezia di cui si scorge il luccichio. Lassù, in secoli antichi, sono stati eretti templi pagani di cui si è persa la memoria, e corre voce che qualcuno ne abbia ritrovato i tesori nascosti.

Via via che ci si avvicina alla corona dei monti si riescono a scorgere le creste delle colline di Asolo e più in là, verso est, la lunga striscia del Montello che all’alba funge da quinta al levare del sole; poi verso nord si comincia a intravedere un brulichio di colli di cui non si intuisce subito l’ordine, finché non capita di vederli dall’alto, o su una mappa, e allora appare la loro forma ordinata, come di un’enorme coda di coccodrillo adagiata ai piedi delle montagne. Si tratta della cordigliera delle colline del prosecco ed è là nel mezzo, proprio nel grembo tra la pianura e la montagna, che si staglia il campanile di Valdobbiadene, secondo per altezza nel Veneto solo a quello di San Marco a Venezia.

Procedendo ancora si cominciano a distinguere i toni scuri dei boschi da quelli più chiari e frastagliati dei vigneti che si adagiano sulle pendici delle colline, ricamate verso ovest dai filari delle viti, che degradano e vanno a finire nel letto del Piave, e segnate verso est da una strada lungo la quale si annodano piccoli gruppi di case che salgono fino al valico di Combai e poi, nascoste alla vista, debordano nella valle di Follina. Chi proseguisse per quella strada giungerebbe a Cison di Valmarino, uno dei borghi più belli d’Italia, annidato sotto l’imponente mole di Castel Brando, e più avanti passerebbe per i laghi di Revine arrivando fino a Vittorio Veneto.

Attraversato il ponte di Vidor, giunti sulla riva sinistra del Piave, ci si trova immersi all’improvviso in un paesaggio inatteso. I campi lavorati da generazioni di contadini formano un mosaico dal disordine armonico, uno spettacolo che di solito solo la natura sa offrire, come nelle cime delle montagne o nelle onde del mare. Senza che nessuno l’abbia cercato o voluto, secoli di fatiche e di obbedienza alla terra hanno realizzato questo raro miracolo, dove il lavoro non è sfregio alla natura, ma vi si incarna e la compie.

Da questa terra nasce il prosecco di Valdobbiadene divenuto da qualche decennio un principe sulle tavole di tutto il mondo.

«Per capire il vino,» mi ha detto una volta un amico contadino di queste parti «bisogna assaggiare ogni tanto un pugno di terra su cui cresce la vite e così si riesce a gustare il sapore del sale e dell’argilla che vi sono mischiati.»

Chissà quanta terra hanno assaggiato i padri di chi abita queste colline, se qui nascono e crescono storie che hanno lo stesso disordine armonico dei campi!

Ed è proprio in questo groviglio di vite e di destini che una mattina di fine gennaio si trovò invischiato Giovanni Zanca, viceispettore di polizia in servizio presso il Commissariato di Valdobbiadene.

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