Agricoltura biologica

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Introduzione

IL PIANETA HA BISOGNO DI NOI

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La terra, questo magnifico pianeta, è più fragile di quello che ci si immagina e l’impatto delle attività umane è ben più pesante di quello che può sopportare. I grandi equilibri sono minacciati e l’avvenire dell’umanità compromesso. Noi sappiamo, ma ci rifiutiamo di agire. Il paradosso è incredibile. Per questo la sfida ecologica è un’occasione fondamentale per ridare senso al progresso. E’ un’opportunità unica per collegare due forme di solidarietà: la solidarietà con l’insieme degli esseri viventi e la solidarietà con le generazioni future. Dobbiamo far nascere questo nuovo mondo, rispettoso del vivente in tutte le forme, ciascuno deve diventare difensore della vita. Il nostro avvenire è nelle nostre mani e bisogna reagire e in fretta. L’economia sostenibile è una vera e propria rivoluzione culturale, che deve condurci a modificare i nostri comportamenti, produrre e consumare differentemente, per assumerci completamente le nostre responsabilità e ridurre il nostro impatto eco-


logico. E’ una battaglia che richiede la partecipazione di tutti: accettare la sfida in difesa della terra significa essere responsabili nel nostro agire quotidiano. Quello che noi mangiamo, i mezzi di trasporto che utilizziamo, il modo in cui ci riscaldiamo e ci vestiamo, sono altrettante azioni che ci legano al nostro ambiente. Nessuna azione individuale è superflua. Ogni gesto conta. Cerchiamo di migliorare i nostri comportamenti, cambiamo, adottiamo buone idee e buone pratiche. Moltiplicate su scala nazionale e mondiale, contribuiranno a ridurre l’impatto delle attività umane sul pianeta.

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Per queste motivazioni è utile conoscere più da vicino la realtà dell’agricoltura biologica, una esperienza concreta e positiva, che ci dimostra non solo la possibilità, ma anche la convenienza di produrre, e consumare, rispettando l’ambiente e la nostra salute. Decidere di consumare cibi biologici è un gesto


di responsabilità verso se stessi e verso il pianeta. L’agricoltura biologica indica un’opportunità che coinvolge non solo la produzione agricola, ma anche altri settori, come le attività di trasformazione agroalimentare, la ristorazione, l’ospitalità, il settore tessile, il settore della cosmesi e dell’igiene personale e ambientale, la bioarchitettura e la bioedilizia, ecc. . Facciamo un bel gesto per il pianeta. Apriamo il cammino, diventiamo cittadini della terra, è necessario, è possibile ed è conveniente cambiare, sosteniamo l’agricoltura biologica. Grugliasco, dicembre 2010

Mangiare è un atto agricolo “Mangiare è un atto agricolo” sostiene efficacemente Wendel Berry. Il processo produttivo agricolo si conclude quando mettiamo il cibo nel piatto. E’ bene, allora, abbandonare il concetto di “cittadini-consumatori” per assumere quello di “cittadini co-produttori”.

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Allora, bisogna incominciare a dire che l’agricoltura non è solo un problema degli agricoltori. Ci siamo disinteressati dell’agricoltura, preoccupati solo che la nostra dispensa di casa fosse rifornita. Possibilmente di cibo abbondante e a basso prezzo. Abbiamo sprecato parecchio e dissipato risorse. Le campagne si sono svuotate, la manodopera è andata sempre più indirizzandosi verso l’industria prima e, poi, verso il settore terziario. Il cibo lo abbiamo comprato là dove costava meno.


Fino a immaginare che, nei paesi industrializzati, si potesse fare a meno dell’agricoltura. La popolazione che vive nelle città arriverà a rappresentare presto il 70% del totale. Sono le città che mangiano, sono le città che chiedono pesca e agricoltura, sono le città che danno il lavoro nei campi e in mare. Ma le città non producono cibo.

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Ora che l’industria, con la delocalizzazione, è emigrata verso paesi a più basso costo del lavoro, ci siamo trovati senza lavoro e con un’agricoltura messa in ginocchio, aziende agricole che non producono più reddito, dati i prezzi bassi delle materie prime, e indebitate. Ma il XX secolo si è concluso ormai da un decennio e risultano inadeguati i suoi modelli economici e produttivi, i suoi riferimenti ideologici e anche politici. E’ crollato il muro di Berlino ed è crollato il muro di Wall Street. Sono cambiate e si stanno modificando realtà che a noi, osservatori distratti, parevano immutabili nel tempo, una rivoluzione contagiosa sta investendo i paesi nord africani al grido di “pane e libertà”. L’idea che l’uomo sia il padrone del pianeta, e dell’universo, è tramontata, qualora permanesse ancora questa illusione, con la tragedia che ha investito il Giappone: terremoto, tsunami e emergenza nucleare. La storia ha voltato pagina, sta a noi decidere delle sorti del nostro pianeta e del futuro della nostra specie. La soluzione ai problemi economici che attanagliano le economie sviluppate non può essere semplicemente riposta nella


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ripresa della crescita del PIL e nel rilancio dei consumi. Non possiamo più “consumare”. Dobbiamo far crescere la “nuova economia”, l’economia della natura, orientata alla conservazione delle risorse e del nostro ambiente, capace di garantire una migliore qualità della vita a tutti, sia nel nord che nel sud del mondo. Un’economia che già esiste e che sta dimostrando tutto il suo potenziale di crescita. Dobbiamo riportare l’agricoltura al centro della nostra attenzione, l’agricoltura deve ritornare a essere il nostro settore primario. L’accelerazione dei cambiamenti climatici, drammaticamente sotto gli occhi di tutti, la carenza d’acqua, tutt’ora sottovalutata, la continua perdita di biodiversità, lo stato dei nostri fiumi e dei nostri mari, sono emergenze che ci riguardano da vicino e per le quali è fondamentale il contributo agricolo. Anche per quanto attiene il lavoro, la terra può offrire opportunità di occupazione. Dobbiamo preoccuparci di sfamare una popolazione mondiale che cresce, sapendo che il cibo è un problema per il nord del mondo (afflitto da patologie conseguenti alla scarsa qualità dello stesso e a modelli alimentari sbagliati), che spreca molto e per il sud che non ha i mezzi per soddisfare le sue necessità alimentari. Ma dobbiamo immaginare un modello agricolo diverso da quello del ‘900. La positiva esperienza dell’agricoltura biologica contribuisce a delineare i riferimenti, ideali ed anche concreti, per costruire


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un modello di economia sostenibile. Un progetto nel quale il cibo è l’espressione della capacità di gestire e di conservare un territorio e le sue risorse, ovvero della capacità di fare agricoltura. Il cibo non può essere solo una merce, da far volare da una parte all’altra del pianeta, prodotto là dove i costi sono inferiori; poco importano i costi ambientali e sociali, poco interessa la qualità. Esiste, quindi, l'alternativa capace di coniugare diritti degli agricoltori e dei consumatori, sviluppo rurale e sicurezza alimentare: l'agricoltura biologica. Un’esperienza concreta e positiva, efficiente e produttiva, coerente con l’obiettivo di favorire la sopravvivenza dei piccoli agricoltori, che persegue la protezione della biodiversità e delle identità culturali. Per questo, anziché ricercare ulteriormente l’industrializzazione e la globalizzazione della produzione alimentare, occorre impegnarsi per sostenere la conversione all’agricoltura biologica, cioè alla produzione sostenibile, appropriata alle specificità locali e su piccola scala. Perché il modello di economia sostenibile si affermi, occorre costruire una collaborazione stretta tra agricoltori e cittadini. E’ necessario valorizzare il loro ruolo ed i loro interessi nel processo produttivo, costruire una buona alleanza, un nuovo patto tra chi produce e chi utilizza il frutto del lavoro della terra. La necessità di questa buona alleanza tra produttori e consumatori è anche per superare le distorsioni create dall’attuale catena distributiva, che sconta la preminenza della GDO e delle multinazionali alimentari, orientate ad agire su scala soprana-


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zionale ed intercontinentale, prescindendo dai contesti locali, che penalizza i due protagonisti principali: i produttori da una parte ed i consumatori dall’altra. Occorre superare il concetto di consumatore come terminale passivo del processo produttivo - distributivo, per restituirgli il ruolo attivo di co-produttore a tutti gli effetti, alleato dell’agricoltore e co-involto/co-interessato nella produzione agroalimentare. A questo potremmo aggiungere che è giunto il momento di una contaminazione tra i ruoli e in questo senso può nascere una nuova figura che potremmo definire anche nei termini linguistici e gergali passando da agricoltore ad agri-cultore, proprio per una sorta di acquisizione di nuove, o forse in alcuni casi antiche e abbandonate “culture” nel complesso rapporto di collaborazione con la terra, nel senso di grande essere vivente, terra madre, e con il territorio, luogo delle inter-relazioni. Nuove collaborazioni, nuovi referenti e ridefinizione dei territori produttivi specifici per un prodotto. Si deve smettere con la follia di poter coltivare tutto dappertutto e di applicare metodi, adatti alle grandi praterie nord americane, in parti del mondo che nulla hanno a che fare con queste strutture di suolo e condizioni climatiche. Conservando le differenze e non appiattendo-globalizzando si potrà rilanciare veramente l’alleanza tra l’agricoltore - agritutore biologico, (colui che tutela i territori e la vita con tutte le sue alleanze in questi territori) e il consumatore avveduto e co-involto in una sorta di sinergia Steineriana moderna e qualificante. L’attuale situazione, marginalizza i piccoli produttori ed i pro-


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cessi produttivi (e di trasformazione) di tipo tradizionale, con il concreto rischio della loro scomparsa. Nello stesso tempo è da rilevare come la applicazione di metodologie colturali a noi estranee abbia modificato sostanzialmente , sino a farla scomparire, la fisionomia delle nostre campagne che hanno perso eleganza , stile e struttura in un imbruttimento che oggi farebbe cambiare molte delle belle pagine di poesia e di libri scritti nei famosi viaggi in Italia di famosi scrittori. Far sopravvivere, dunque, anche i prodotti degli artigiani alimentari, troppo rari e preziosi per finire sulle “gondole” degli ipermercati e tutte le varietà agricole non omologate, simbolo di quella biodiversità oggi gravemente minacciata dalla standardizzazione delle produzioni industriali, che non interessano la grande distribuzione: le mele di montagna, le erbe spontanee, i formaggi d’alpeggio, i salumi degli allevamenti bradi … Occorre, dunque, promuovere e sostenere metodi di produzione rispettosi della salute dell'ambiente e dei consumatori. Occorre favorire scelte produttive e la nascita di nuove imprese orientate alla conservazione ed alla salvaguardia della biodiversità, indispensabile a garantire la sopravvivenza della piccola produzione agroalimentare di qualità, sempre più insidiati dall'omologazione industriale. Si deve contribuire a salvare saperi e sapori antichi, un patrimonio economico, sociale, culturale straordinario fatto di eredità contadine ed artigiane non scritte, ma ricche e complesse. A partire dal seme, per arrivare alla sapiente trasformazione degli alimenti, sui quali non possono prevalere regole che li vogliono sempre e comunque asettici e igienizzati, dimenticando l’anima e il carattere che ogni


prodotto deve conservare. Questo cibo vero e con anima nutre e forgia i corpi che ne fanno uso, aiutandoli a recuperare un tempo a misura del nostro respiro e dei ritmi della natura. Si deve sconfiggere una falsa modernità che soddisfa con meno di 30 piante il 95% del fabbisogno alimentare del pianeta, spazzando via la biodiversità. Si devono sostenere le iniziative tese al recupero delle varietà animali e vegetali a rischio di estinzione, con la certezza che la determinazione di pochi coraggiosi pionieri oggi è condivisa dalla maggioranza dei consumatori, che sempre di più esprimono l'esigenza di alimenti di qualità, biologici , sicuri e che per dare a noi vita e benessere non possono far morire la vita dei luoghi dove vengono prodotti. Occorre recuperare e difendere la qualità dei cibi, la dimensione del piacere, motore primo del nutrimento, per favorire la conoscenza di una produzione rispettosa della terra.

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La città ha, dunque, un legame stretto con la campagna, non può esistere senza di essa. Ha nei suoi confronti un interesse molto forte e un debito di riconoscenza. Perché la campagna è il granaio della città, è il serbatoio di paesaggio, di acqua, di legno e di verde a vantaggio delle urbane ad alta concentrazione abitativa. La campagna deve rimanere uno spazio integro, che garantisce la produzione di alimenti sani di elevato valore nutritivo, e rappresenta una opportunità vitale per la conservazione di ecosistemi e di aree di biodiversità, con le tante specie animali e vegetali che ancora sopravvivono.


La città tutta deve creare un legame e una solidarietà nuova con la campagna, con il territorio agricolo a lei prossimo.

L’agricoltura biologica. Il numero di consumatori che sceglie i prodotti biologici in tutto il mondo è ancora in crescita, sia per i prodotti alimentari, che per i cosmetici o per il tessile. Ma che cosa vuol dire agricoltura biologica? Praticare l’agricoltura biologica vuol dire trattare con rispetto il terreno e il campo, ovvero: Mantenere l’equilibrio fisico, chimico e biologico del suolo. Una terra sana produce piante sane e resistenti; la terra affaticata, o malata, produce piante deboli e sofferenti, che solo con molte cure possono anche sembrare in salute. La fertilizzazione organica (con letame ben compostato per intenderci) è il miglior modo per avere un suolo sano e pieno di salute.

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La scelta accurata nei tempi e modi in cui si coltiva il terreno Arare, zappare, spianare il terreno sono operazioni da farsi nella maniera più dolce possibile.


Rotazioni delle colture nello stesso terreno. Variare le colture con criterio è uno dei principali modi per ridurre l’accumulo di parassiti, erbacce e tossine specifiche. La concimazione verde. Si tratta della semina di alcune specie erbacee che interrate verdi, generalmente alla fioritura, forniscono al terreno, o meglio ai suoi microrganismi, un buon alimento fatto di sostanze organiche, che viene digerito e trasformato in humus e proteine. Tutto ciò per offrire alle piante un nutrimento equilibrato e ricco di humus e di azoto digeribile. La possibilità di concimare, solo in caso di necessità, utilizzando i fertilizzanti opportunamente autorizzati dall’UE, prevalentemente di origine naturale. Aumentare e favorire le difese naturali delle piante, sopportando, talvolta, minori produzioni. In agricoltura biologica il contadino sa che molte volte i frutti sono … pochi ma buoni. Scelta di piante adatte al clima e al luogo. Le specie e i prodotti locali hanno, spesso con fatica, acquistato in resistenza alle avversità di casa loro. Le varietà locali producono spesso meno delle super selezionate, ma con minore richiesta di trattamenti. L’eliminazione di tutte le condizioni che favoriscono gli organismi parassiti, tipo: ristagni d’acqua, ripetizione frequente della medesima coltura (monocoltura), uso di letami non compostati. 12

Rotazioni e consociazioni. Per aumentare la biodiversità


cambiare spesso coltura (rotazioni) e coltivare piante diverse a stretto contatto (consociazioni) sono modi antichi e modernissimi che ben usati vanno a svantaggio dei parassiti e delle erbacce. Semina di piante concorrenti a quelle infestanti. Vi sono piante che possono collaborare con la nostra coltura e allora le favoriamo o le seminiamo addirittura (es. inerbimento dei frutteti). Copertura del suolo con paglia o strati di vegetali. Per impedire la crescita di malerbe e garantire maggiore umiditĂ e “vitaâ€? nel terreno. La possibilitĂ di usare, e solo se in caso di pericolo, esclusivamente i preparati antiparassitari opportunamente autorizzati dall’UE, prevalentemente di origine naturale

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Buono, Biologico e Solidale Buono, biologico e solidale sono i riferimenti di una qualità che solo con l’agricoltura biologica si riesce a garantire appieno. Non è sufficiente che un alimento sia buono, ovvero che soddisfi la qualità organolettica, né basta che si utilizzino semplicemente metodologie che rispettino l’ambiente. Occorre anche che l’alimento sia frutto di relazioni sociali eticamente corrette. La qualità è, dunque, soddisfacimento di parametri che considerino assieme il gusto: la tutela del territorio e dell’ambiente la salute di chi produce e di chi consuma il cibo; la promozione di migliori e più adeguate relazioni sociali, tra agricoltori e consumatori e tra nord del mondo, sviluppato e ricco, e il sud, depauperato e limitato nel suo diritto a una migliore qualità della vita.

I premi del Bio

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Ogni anno le produzioni biologiche italiane vengono censite e le migliori vengono selezionate e premiate in manifestazioni a carattere nazionale. Piemonte Bio collabora con l’Associazione Città del Bio per organizzare la partecipazione dei produttori piemontesi a questi eventi nazionali.


Ben sei rassegne qualificano le eccellenze qualitative delle produzioni biologiche, riscuotendo grande interesse da parte del mondo produttivo italiano e internazionale. Le aziende che partecipano alle selezioni e ambiscono ai premi crescono a ogni manifestazione. I mercati, le mostre e altri appuntamenti attraggono anche i consumatori, sempre piĂš numerosi.

1) BiodiVino La rassegna dei vini biologici e biodinamici

2) Le Forme del Bio Formaggi d’eccellenza e pascoli doc

3) Il Maiale si fa Bio Il Concorso dedicato alla migliore Salumeria biologica

4) MielinBio Tutti i fiori del miele

5) BioLive Extravergine e Territorio

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6) PomiD’Oro I migliori pomodori da insalata


La zootecnia biologica Secondo le norme IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements) la Federazione Internazionale dei Movimenti dell’Agricoltura Biologica, da cui sono derivati tutti i disciplinari delle Associazioni e degli Organismi di controllo e, quindi, le leggi e i regolamenti sulla zootecnia biologica, gli animali sono una parte importante del sistema di produzione perché sono importanti per chiudere il ciclo ecologico dell’azienda biologica. Il letame prodotto è la fonte principale di materia organica, ed è importante per la fertilità del suolo. Gli animali inoltre possono utilizzare le aree agricole non sfruttate per le produzioni vegetali. Lasciare aree a produzione di foraggio è poi un buon sistema per evitare rotazioni molto strette delle colture. Infine l’allevamento degli animali aiuta nella diversificazione e nel bilanciamento del sistema agricolo.

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Le tecniche di gestione nell’allevamento animale debbono tenere conto dei fabbisogni fisiologici ed etologici degli animali. A questo fine deve essere loro consentito di esplicare i loro basilari fabbisogni comportamentali, e tutte le tecniche di allevamento, specialmente se richiedono il raggiungimento di buoni livelli di produzione e buone performance di crescita, debbono essere dirette al mantenimento della buona salute degli animali. E’ necessario scegliere razze che siano adattate alle condizioni locali, questo al fine di ottenere produzioni ragionevoli con


bassi livelli alimentari, una buona resistenza e longevità degli animali e prodotti di qualità. L’alloggiamento degli animali deve consentire loro un movimento sufficiente, sufficiente aria fresca e luce solare, protezione dalle intemperie, ampie aree di riposo coperte da materiali naturali, libero accesso all’acqua ed al cibo, il tutto deve essere costruito con materiali non trattati o coperti da sostanze tossiche. Sono vietate pratiche che determinino la mutilazione degli animali come il taglio della coda, la castrazione, il taglio dei denti, il debeccaggio, la tarpatura delle ali, ed altre. Possono essere consentiti solo la castrazione di suinetti e vitelli, il taglio della coda delle pecore per prevenire la miasi, la decornazione dei vitelli.

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La dieta deve essere bilanciata in accordo con le necessità nutrizionali degli animali ed essere di buona qualità. Gli alimenti debbono provenire da agricoltura biologica. Non possono essere utilizzati promotori di crescita, appetibilizzanti sintetici, conservanti, coloranti, urea, sottoprodotti animali (farina di carne) per i ruminanti, alimenti trattati chimicamente (es. farine di estrazione) o addizionati con altri agenti chimici. Le vitamine, gli aminoacidi, gli oligoelementi, non debbono provenire da prodotti di sintesi. Le cure agli animali e tutte le pratiche di allevamento sono rivolte ad ottenere la massima resistenza contro le malattie e a prevenire le infezioni. Quando necessario gli animali debbono


essere curati da veterinari che pratichino la fitoterapia, l’omeopatia od altre medicine dolci. La carne biologica piace ai consumatori, è in aumento il numero di aziende, ma il settore deve ancora trovare una precisa affermazione economica e commerciale per cui resta un mercato contenuto come volumi. Per questo Piemonte Bio ha aderito al progetto di Città del Bio per sviluppare la pratica delle “adozioni”, ovvero la scelta di un rapporto di collaborazione molto stretto tra azienda agricola e consumatore. E’ una scelta che vuole sostenere in particolar modo, gli allevatori che scelgono il recupero delle razze autoctone e forme di allevamento “bio&brado”. Un’esperienza significativa si è sviluppata in Valle Grana (CN), dove è nato uno dei primi progetti “Adotta la natura”. Riprendiamo la presentazione del progetto dal materiale predisposto dalla Comunità Montana Valle Grana.

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“PRENOTA LA NATURA” intende creare le condizioni per superare la difficile situazione attuale di declino delle attività agricole e della permanenza della popolazione in aree montane, incentivando le attività eco-compatibili nel territorio e rivolgendo la propria attenzione al recupero e alla giusta valorizzazione dell’insieme territoriale, privilegiando gli obiettivi riportati nel progetto “Valorizzazione delle aree castanicole e pascolive in valle Grana, per la gestione del pascolamento


semibrado e turnato, associato al recupero produttivo ed ambientale di pascoli e boschi abbandonati alla loro evoluzione naturale, anche in funzione antincendio boschivo e della fruizione turistica nei comuni di Montemale di Cuneo, Valgrana e Monterosso Grana, applicando i metodi dell’agricoltura biologica utilizzando bovini, ovicaprini, equini, e suini”.

Guida alle aziende biologiche del Piemonte Abbiamo iniziato a raccogliere notizie e informazioni sulle aziende biologiche associate a Piemonte Bio, ma non solo: stiamo tentando di realizzare la prima guida al “Buon biologico piemontese”. Per l’elenco e le prime informazioni vi rimandiamo al nostro sito web www.piemontebio.eu , dove potrete avere un quadro d’insieme sempre a portata di mouse. Prossimamente le aziende bio del Piemonte saranno disponibili anche su smartphone con un’apposita applicazione, che vi consentirà di avere il “bio sempre in tasca”. Di seguito, vi offriamo una prima degustazione della guida che il giornalista Filippo Radaelli sta curando per Piemonte Bio e vi presentiamo due aziende vitivinicole. 19


Az. Agr. La Vecchia Posta certificazione ICEA Via Montebello, 2 – 15050 – Avolasca (AL) tel. 0131 876254 lavecchiaposta@virgilio.it www.lavecchiaposta-avolasca.jimdo.com

I golosi silenzi di Avolasca Valle di silenzi: neppure i cellulari han buona copertura, in quest’eroica sacca di resistenza all’implacabile ronzio dell’etere. L’umidità, che durante l’inverno è bruma, nelle notti estive è refrigerio e quiete. Quest’aria densa non porta neppure il brusio del poco traffico della provinciale che, giù da basso, fiancheggia il torrente Grue, risalendolo da Tortona a Garbagna fino allo spartiacque con la Val Borbero. Avolasca, aggrappata sul fianco scosceso che guarda il fondovalle, è raro silenzio. Silenzio pieno. Silenzio come Dio comanda.

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È il silenzio sacrosanto nel quale gustare buone pietanze in tavola, buon vino nel bicchiere e il godimento per gli occhi di un paesaggio da cui quelle stesse vivande, quello stesso vino provengono. La Vecchia Posta, ad Avolasca, è il luogo appropriato dove dare un morso alla Val Grue, gustandone i golosi silenzi. Sito consigliato: www.vallicuronegrueossona.it


Una carriera contadina Di Avolasca lei, di una sua frazione lui: mezzo secolo fa, o poco più, convolano a nozze e se ne vanno ad abitare in città – solo venti chilometri, ma come fossero ventimila – per tirarsi via dalla miseria della campagna che anche in quest’angolo di Colli Tortonesi era frazionata in mille minuscoli fazzoletti di terra, buoni appena per la sussistenza. E in città, a Tortona, nasce Roberto Semino. Da ragazzo, nella Val Grue ci viene solo per le vacanze. L’aspirazione a fare l’agricoltore matura così, estate dopo estate. Quando, negli anni ‘80, tira aria di “ritorno alla campagna” e in un paese vicino nasce la cooperativa Valli Unite, lui molla gli studi di veterinaria a Milano e inizia la sua carriera contadina. Alla Valli Unite si fa le ossa. Vino, farine, carni, salumi, latticini: a grandi, passi nel bio. Poi, con Annemie, piovuta dalle Fiandre per qualche vendemmia e presto avolaschese a tutti gli affetti, decidono di far da sé.

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Cominciano con la terra che c’era, recuperando terreni abbandonati e un vecchio trattore dello zio. Ma dalla vigna, i primi anni, portano a casa niente. È l’agriturismo che dà la spinta economica anche all’azienda: sono i sei posti letto e i trenta coperti per i turisti finesettimanali che da Lombardia e Liguria fanno il tour del gusto sui favolosi Colli Tortonesi.


Attorno alla cucina ruota l’indotto di piccole attività agricole: gli ortaggi, freschi o conservati; la frutta (spiccano l’elegante Mela Carla e la piccola e vigorosa Mela Rosa Mantovana); ora anche una piccola stalla per la Bionda Tortonese, piccola vacca forse migrata fin qui dall’Est europeo, assieme ai Longobardi, più o meno quindici secoli fa. Tutto ‘sto bendiddio finisce sui tavoli con vista del piccolo ristoro della Vecchia Posta. Roberto e Annemie il loro mercato se lo sono creato in casa. Lui crea la materia prima, lei la trasforma. Una filiera corta casalinga che funziona. Funziona, si, anche per il vino. Ma il giro in vigna e cantina lo facciamo a parte. La bionda tortonese: carne, latte e fantasia.

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Forse portata fin qui, nel VI secolo d.C., dai Longobardi provenienti dall‟Est Europa, ancora a metà degli anni ‟60, in questo inizio di Appennino, la rustica razza contava 41.000 capi buoni a produrre latte, carne e, non ultimo, ottimo lavoro negli appezzamenti scoscesi di questi colli. Oggi siamo al salvataggio genetico in extremis, che valorizza l‟allevamento brado per produrre vitelli da carne e vacche per quel latte che dà sapore al fantasioso, tortanuziale e irresistibile formaggio di Montébore, scampato anch‟esso all‟estinzione.


Una cantina senza aggiunta di solfiti Tre ettari in tutto, vigne sopra e vigne sotto i quattrocento metri. Barbera, Dolcetto e Cortese. Alcune varietà da uvaggio. E poi, certo, il Timorasso. Questi i vitigni della Vecchia Posta, allevati con metodo biologico da più di dieci anni. In tutto una decina di migliaia di bottiglie all’anno. Una cantina piccola, solo sei etichette e un bag in box per i Gruppi di Acquisto Solidale. In due parole: tanta fatica, ma una seria carta dei vini. Un chiaretto sfuso, due bianchi, tre rossi e un passito. Nel 2009, un salto: si prova a produrre senza solfiti aggiunti. L’anno seguente l’esperimento si consolida per tutti i rossi. “Il segreto – racconta Roberto Semino - è mantenere la massima igiene in cantina: cioè, per paradosso, più solforosa per la disinfezione dell’ambiente e dell’attrezzatura”.

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Il risultato vale. I solfiti esercitano un’azione spogliante sul vino: nel bene e nel male. Nel bene: tolgono gli effetti di una acidità volatile troppo alta che induce nel vino sentori indesiderabili. Nel male: impoveriscono senza rimedio il vino. “Ho fatto il test con due dolcetti – dice Roberto - Stessa vigna, stesso modo di vinificare: uno con, l’altro senza solfiti. Al bicchiere, quello senza era incredibilmente più ricco”. Il giudizio del pubblico? È presto detto: il 50% va via fra consumo al tavolo e vendita diretta, il 25% prende la via di affezionati clienti in Belgio, Olanda e Svizzera, il resto è molto richiesto dai GAS con cui la Vecchia Posta ha solidi rapporti.


Il temerario Club del Timorasso Selvaggio. Primitivo. Primordiale. Come un ominide arboricolo abbrancicato al suo ramo. Tenace: com’era la vite quando la scoprì l’uomo, liana avvitata agli alberi del bosco. Risoluto, coi suoi viticci avvinghiati ai sostegni come può solo un rampicante autentico: te ne accorgi a primavera quando devi piegare in giù i tralci. Questo è il Timorasso.

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Pare che Leonardo già avesse in pregio un sopraffino Timuràs, ma non si va più in là. Osvaldo Failla e Gaetano Forni, agrostorici, sostengono che “in un atto riferito al territorio di Tortona del 1209 si cita la «vineam de gragnolato», menzionata anche da Pier de Crescenzi, nel 1320, per l'eccellenza dei suoi prodotti: forse è il Timorasso”. Per lo meno, la descrizione ampelografica corrisponde. E a fine ‘800 ancora godeva fama di ottima uva bianca, finendo in tavola, oltre che nel bicchiere. All’improvviso, dopo l’ultima guerra, un inarrestabile declino. Vuoi per l’abbandono delle valli in cui dominava il paesaggio, vuoi per la dissennata fissa della resa quantitativa. Sparisce come fosse Uva di Neanderthal, soccombendo a una pretesa Uva Sapiens; sparisce perfino nel ricordo dei vecchi. Ci volle la temerarietà d’un pugno di giovani per reinventarlo, un quarto di secolo fa. Per primo cominciò Walter Massa. Roberto Semino e un’altra ventina, subito appresso. Tenaci come il Timorasso, aggrappati all’idea che quell’uva aveva grande qualità di vino, ci hanno lavorato sopra assieme: assieme hanno studiato, assieme han sperimentato. Come fos-


sero un Club. Assieme hanno anche acquistato una linea di imbottigliamento. Cinque di loro lo fanno bio. Ora il Timorasso è un cult. Complessità olfattiva, acidità tagliente, ricchezza alcolica, grande sapidità e mineralità: è il bianco da invecchiamento che mancava al Piemonte. Un vero cavallo di razza. Risoluto. Tenace. Selvaggio. Sito consigliato: www.timorasso.it

Tutti i vini de La Vecchia Posta Vini Bianchi: SALICETO - Cortese Colli Tortonesi DOC IL SELVAGGIO - Timorasso o Derthona Colli Tortonesi DOC Vini Rossi TERAFORTA - Dolcetto Colli Tortonesi DOC REBELOT’ - Rosso Colli Tortonesi DOC LANGUIA SENZA SOLFITI AGGIUNTI Barbera Colli Tortonesi DOC

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Sfusi o Bag in Box ROSINA - Vino rosato da Cortese e Merlot con Malvasia rossa DOLCETTO e BARBERA SENZA SOLFITI AGGIUNTI


Az. Agr. Castello di Tassarolo di Massimigliano Spinola Certificazione BIOS località Alborina, 1 - 15060 Tassarolo (AL) tel. 0143/342248 info@castelloditassarolo.it www.castelloditassarolo.it

Il nome della spina Spinola: il nome sa già di vino, se è vero che l’origine della nobile famiglia genovese sarebbe da cercare, prima dell’anno Mille, in due operosi fratelli fabbricanti di botti. Di ciò resterebbe traccia nel blasone, la cui aulica descrizione araldica così suona: “D'oro alla fascia scaccata di tre file d'argento e di rosso, accostata in campo da una spina di botte in palo di rosso”. Chiaro? Una spina di botte nell’emblema di famiglia! Nel mondo del vino, cosa non si pagherebbe per vantare tale millenaria tradizione?

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La storia, gli Spinola, l’han vissuta da protagonisti: alla Repubblica marinara di Genova hanno dato undici Dogi, al mondo banchieri e armatori che finanziarono famose spedizioni, fra le quali quelle di Cristoforo Colombo per andare a scoprire le Americhe. E poi generali e ammiragli, una dozzina di uomini di Chiesa, fra vescovi, cardinali e, addirittura, un


martire. Perfino alcuni rari coleotteri tropicali possono fregiarsi dell’illustre cognome trasmessogli dall’entomologo che li scoprì: un altro, esimio, Spinola. Talmente illustre è sempre stata questa dinastia per imprese, per ingegno e per valore che l’Imperatore del Sacro Romano Impero le concesse il privilegio di battere moneta. E nientemeno che un vero Stato Spinolino sorse nei feudi acquistati nel Duecento: sarà solo Napoleone Bonaparte a decretarne la fine, cinque secoli appresso. Ecco. Tutto questo e molto altro ancora significa il nome degli Spinola. Ma, prima di tutto, una spina di botte. Sito consigliato: www.spinola.it

Tasse, tassi, tassarie e Tassarolo

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Prendi Google maps e dai un’occhiata: Tassarolo è a mezzo fra due autostrade parallele. L’una proveniene da Genova Bolzaneto e va verso Pavia e Milano, cioè la Lombardia; l’altra da Genova Voltri verso Alessandria, Vercelli, Novara e Stresa: cioè il Piemonte. Tutto questo bendiddio di opulenta Val Padana a un tiro di schioppo o, al massimo, due. È rimarchevole che, valicato l’Appennino e prima di scendere in pianura, il percorso obbligato da Genova e dal Mar Ligure alla Val Padana (o viceversa) passi proprio di qui: da Tassarolo. Infatti, qualche glottologo, con ragionevole malizia, spiega quel nome come


stesse a indicare il casello per il pedaggio: il castello per la tassa. Il Castello di Tassarolo, più o meno attorno all’anno Mille ebbe appunto anche questa funzione. Altri mette di mezzo i tassi, intesi come piante o come animali, visto che di entrambi un tempo, fra queste selvatiche colline, vi sarebbe stata abbondanza. A meno che, come argomenta il Marchese Marco Spinola, il toponimo derivi da un arcaico slang, tassarie, con cui si indicavano i cumuli di fieno e paglia lasciati a seccare sulla strada. Autentici o no, ogni etimo disvela un aspetto singolare della storia di Tassarolo. Sito consigliato: www.comune.tassarolo.al.it

Un castello enogastronomico Abbandoni i garbugli stradali ad alta velocità e a elevata intensità di traffico e procedi per strade che le colline le accarezzano, invece che prenderle a sganassoni: pochi chilometri, ma il tempo è bastevole per separare Tassarolo dal resto dal mondo. Provenendo da Novi Ligure, giusto ai piedi dell’ultima ripida salita che porta al borgo, un buon ufficio marketing approverebbe la geniale idea di far trovare il Rovere Verde, un fusto di quattrocento anni annoverato nell’elenco degli alberi monumentali d’Italia. Come a dire: “Benvenuti dove la storia ha radici antiche e si mostra ancora rigogliosa”. 28

Il borgo è minuscolo, due piazzette e quattro case sotto le maestose mura castellane. Impressiona il pensiero che, per diversi


secoli, qui fu la capitale dello Stato Spinolino, cuscinetto fra la Repubblica di Genova, la Lombardia Viscontea e il Piemonte Sabaudo. Militarmente strategico, a guardarlo da giù, dalla strada che s’arrampica al borgo, esprime ancora la sua possenza. A ingentilirne la maestosità, nel Seicento gli levarono le torri e, nel lato che dirupa a valle, crearono uno scenico loggiato rinascimentale sopra l’edificio della zecca: fu così che la rocca divenne una leggiadra dimora estiva. Molto ben conservata è la neveria, dove fino agli anni ’20 veniva stipata la neve che, nella stagione estiva, veniva impiegata per rinfrescare il vino e per preparar sorbetti. Non più utilizzate, ma ugualmente intriganti sono pure le cantine, ancora ingombre delle grandi e pregevoli botti di legno antiche ormai di un secolo.

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Il salone affrescato dove Massimiliana Spinola ospita le degustazioni dei suoi vini rende assai bene l’idea della amabile ricercatezza della vita di corte, nei secoli scorsi. E però, allora come oggi, quegli assai raffinati ambienti aristocratici rappresentavano un polo d’attrazione enogastronomica di tutto rispetto. “È un castello bello e robusto”, riferirono in due parole all’imperatore Ferdinando III, nel ’600, per soffermarsi poi sugli aspetti – come dire? – più sostanziali: ”C'è un vino buono, qualsiasi tipo di pane, una buona qualità di fieno, carne e qualsiasi tipo di formaggi”. Secondo qualche gastronomo dei tempi nostri all’elenco andrebbero aggiunti anche il salamino di Tas-


sarolo, prodotto con carni fresche locali, e i tipici agnolotti. Comunque sia, per Bacco, santé!

Dinamiche e biodinamiche generazionali “Mio padre sarebbe piuttosto scocciato a vedere le vigne, che per lui erano un salotto, piene di quelle che considerava solo erbacce. Però, le novità gli piacevano molto”. Massimiliana gioca coi capelli più lunghi del suo nome e ride all’idea di suo padre, Paolo, regista sperimentatore e amico di Fellini e degli altri protagonisti della dolce vita, alquanto seccato a vedere le vigne disseminate di infestanti. Ma le novità non gli facevano paura. Anzi: “Avrò avuto 20 anni quando lui, un agosto, congedò il cantiniere giusto in tempo per la vendemmia e mi disse: “Adesso fai tu”. Nessuno qui sapeva mettere due tubi insieme. Ma io riuscii a cavarmela benissimo”. Però, a far la vignaiola non ci pensava, né d’interessarsi di biodinamica. Sette anni fa, tornò in Italia per vendere l’eredità e tornarsene a Londra col suo bimbo di nove mesi per rituffarsi nell’eccitante mondo dell’arte e degli artisti in cui viveva da dieci anni, più uno a New York che fanno undici. Invece, non ripartì. S’è fermata a Tassarolo.

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È forse la fregatura degli Spinola, o la loro lieta sorte: nelle vene il sangue blu gli scorre assieme all’istinto di far vino. Ognuno a modo suo, ma sempre mirando al meglio: Spinola padre per le sue viti aspirava al tappetino rosso, Spinola figlia


lo sogna verde. Per lui la qualità delle uve era garantita da un terreno assolutamente privo di impurità; per lei, le contaminazioni aggiungono qualità, mica la tolgono! “Nelle vigne non c’era più un filo d’erba, né insetti, api, farfalle, uccelli. Non resistevo. Dopo un anno, chiamo l’enologo e gli dico: convertiamo tutto. Ora, l’erba c’è. Più è varia, più sai che il terreno è fertile. Vedi animali di tutti i tipi. Henry Finzi, il mio fidanzato, ci lavora col cavallo Titouan. Il trattore, schiacciando le zolle, toglie loro l’ossigeno, mentre Titouan gli lascia vita. È con lui che Henry ara, fa il sovescio, semina, spruzza preparati biodinamici. Sul lavoro col cavallo in vigna vorremmo fare anche una scuola”. Massimiliana agita le sue chiome hawaiane a festa. “Intanto, lo standard delle uve è talmente migliorato che quasi non si riesce a fare la selezione”. Davanti a tale ardore, tentenno a chiederle pure qualche conto. “Certo – risponde – tutto ciò si riflette sui costi. Ma le centotrentamila bottiglie prodotte nei nostri venti ettari sono sugli scaffali di NaturaSi, di Cuorebio, dei Centri botanici di Naj Oleari. Molti ci cercano sul sito: in giro, anche all’estero c’è tanta domanda di vini biodinamici. I nostri sono anche No Solfiti!”

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Solfiti aggiunti zero, ma tanta tecnologia: refrigerazione, stabilizzazione, filtraggio: Massimiliana agita la sua cascata di capelli in un finale di scroscianti fuochi artificiali: “Il vino biologico, biodinamico e senza solfiti aggiunti – dice esplodendo


d’entusiasmo – non solo deve potersi confrontare coi vini convenzionali. Deve essere il più buono!”. Prosit!

Postilla alcolica Conosci un luogo segreto dove possa magari pure incontrare il genius loci, se ha voglia di far due chiacchiere e bere con me un paio di bicchieri?”. Massimiliana mi guarda alquanto perplessa, attorce la chioma crespa, raccoglie le idee, infine fa un nome che suona leggero, indicando una via bianca che scende per le vigne, fra le verdi uve: lì è quiete anche il ronzio di vespe già ubriache dei pochi acini maturi. Cammino, raggiungo il lago Alborina, mi siedo a riva. Stappo un Gavi Spinola no solfiti. Si leva un lieve odor sulfureo. Non è sentore del vino versato nei calici: è un’ombra di mano che lesta, senza rumore, ne afferra uno e l’alza per farlo tintinnare col mio.

Cortese: ferace e piemontese

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"E il vitigno ad uve bianche più estesamente coltivato nella provincia di Alessandria; vi è indigeno, da lungo tempo conosciuto e coltivato alla rinfusa e misto ad altri vitigni”. Così descrivevano il Cortese, nel 1870, Demaria e Leardi, autori di un classico della squisita scienza delle viti e delle loro uve, l’ampelografia. Pare, in effetti, che il vitigno sia nativo delle colline del Pie-


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monte orientale. Ma, in centoquarant’anni e passa, sembra aver camminato: a occidente è arrivato nell’astigiano, al di qua del Tanaro, e anche al di là, nella cuneese bassa Valle Belbo; verso oriente, approdato nell’Oltrepò pavese, è giunto sulle rive bresciane del Garda per oltrepassare infine il Mincio e sbarcare nel Veneto veronese. Sporadici vigneti, però, si trovano anche in altre regioni e perfino in altri continenti: spesso, infatti, nelle migliori cuveè di spumante è presente una percentuale di Cortese. Il segreto di questo bel successo è, in parte, nella sua natura rustica e vigorosa: “Caccia molto, produce frutto a partire dal quarto anno e, al quinto, è ferace assai”. Molto fruttifero, insomma. Il ché, però, un po’, potrebbe essere anche un difetto. Ma dai gonfi grappoli spargoli delle uve, dai loro rotondi e succosi acini, si ottengono un mosto ricco e un vino dal sapore “semplice, delicato, fino, non senza sale”, per dirla di nuovo con le accurate e poetiche espressioni degli ultracentenari Demaria e Leardi. Vini tranquilli, in breve: freschi e leggeri o di maggiore struttura e personalità, eleganti, asciutti, mediamente alcolici e quindi assoggettabili all’invecchiamento: caratteristica che, nei bianchi, resta una apprezzabile eccezione. Un vitigno in espansione colturale, dunque. Ma il cuore delle delicate uve Cortesi, dal “color dorato con fondo verde chiarissimo e tinta fulva nella parte esposta ai raggi solari”, pulsa nel meridione della provincia d'Alessandria: il Cortese parla il vernacolo vitivinicolo delle colline dell’Alto Monferrato, a ovest, dei Colli Tortonesi, verso l’est e, cuor del cuore, della zona subappenninica centrale di Gavi, lì dove il Cortese è


Courteisa al 100%, vinificato in purezza. Tassarolo, manco a farlo apposta, è al centro dell’areale definito per questa meritatissima denominazione non più solo controllata, ma solennemente garantita: Docg, come gli enoburocrati chiamano l’eletta selezione dei migliori vini italiani. Siti consigliati: www.gavi-winetcetera.com www.regione.piemonte.it

Tutti i vini del Castello di Tassarolo

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Vini Bianchi SPINOLA - Gavi DOCG: Gavi tradizionale, fresco e leggero. L'uva proviene dalle vigne intorno al lago. IL CASTELLO - Gavi DOCG biologico: è un Gavi superiore, più complesso: ha una maggiore struttura a causa di una vendemmia più tarda e di un prolungata fermentazione a temperatura molto bassa. Le uve provengono dalla parte collinare più antica dell'azienda. ALBORINA - Gavi DOCG: è un Crù, poiché le uve provengono dal vigneto Alborina, il più antico dell'azienda. Affinato in piccole botti di rovere, è ideale per l'invecchiamento fino a 15 anni e negli abbinamenti alle pietanze può sostituire egregiamente molti vini rossi.


Vini Rossi CUVÉE - Monferrato DOC no solfiti: 80% Barbera, 20% Cabernet Sauvignon: da bere giovane, massimo 4-5 anni. CUVÉE - Monferrato DOC: è la variante del precedente, con solfiti aggiunti. Vini Frizzanti SPARKLING SPINOLA - Gavi DOCG no solfiti: naturalmente frizzante, si caratterizza per la finezza della spuma, viva ma discreta, che lascia intatta l'intensità dei profumi delle uve. UN VINO PER UNA RICETTA PER UN VINO Coniglio al finocchietto selvatico Ingredienti: 1 coniglio di cascina alloro, rosmarino e timo 2 scalogni alcuni spicchi d'aglio 1 mazzo di getti di finocchio olio extravergine di oliva ½ litro di Gavi Castello di Tassarolo

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Esecuzione: Preparare un soffritto con olio, scalogno e aglio affettatati in un tegame basso e largo insieme a 2 foglie di alloro e un poco di timo e rosmarino tritati.


Tagliare a pezzi il coniglio, aggiungerlo al soffritto e rosolare molto bene fino a fargli prendere un bel colore dorato, salare, pepare e bagnare col Gavi. Far sfumare il vino a fuoco vivace, quindi abbassare la fiamma e cuocere coperto aggiungendo acqua calda, se occorre, poco per volta. Quando la cottura sarà quasi ultimata aggiungere il finocchio spezzettato che si accompagna molto bene con il coniglio e anche con il capretto cucinato allo stesso modo. Ultimare la cottura e servire ben caldo accompagnato dallo stesso vino. La ricetta è suggerita da Anna Lo Casale, chef dell’agriturismo Lo Casale di Arquata Scrivia. Indirizzi consigliati

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per mangiare (e dormire): A 20 minuti da Tassarolo Agriturismo Lo Casale, di Anna Lo Casale Strada per Pratolungo, 59 15061 Arquata Scrivia tel. 0143 635654 locasale-anna@libero.it www.agriturismolocasale.it Segnalata per la cucina di Anna Lo Casale, che si serve dei prodotti dell’azienda: dalla erbe aromatiche delle aiuole agli ortaggi di stagione dell’orto, dalle mele Carla del frutteto ai funghi e alle castagne dei boschi circostanti, fino alle carni di


razze piemontesi in estinzione: l’agnello Sambucano, il coniglio di Carmagnola, la Bionda Piemontese e la Bianca di Saluzzo, l’Anatra Muta. Camere spartane noTV, “solo magnifiche ronfate nel silenzio” Ottima base per trekking, cicloturismo e affini. per dormire (e mangiare): A 5 minuti da Tassarolo Cascina Orto, di Tea Frandino Vendita diretta di ortaggi freschi di stagione (dalla A di aglio alla Z di zucchine), di conserve e marmellate, di cereali biologici e farine. Monolocali e appartamenti da 3 o 4 persone ciascuno. Prenotare in tempo anche per presenziare a Pasturana Artebirra Birre artigianali d’eccellenza, kermess al malto d’orzo programmata ogni anno a metà giugno. Cucina casalinga piemontese/ligure nei finesettimana, meglio su prenotazione Cascina Orto, 17 - 15060 Pasturana (AL) tel/fax 0143 58215 cell 339 5467365 info@cascinaorto.com www.cascinaorto.com e su facebook

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per fare spesa bio a Tassarolo: Azienda Agricola Francesco Speciale Prodotti caseari esclusivamente con latte delle capre dell’azienda: dalla ricotta e dal primosale a formaggi freschi fino a formaggi stagionati “da brividi”! via Gavi - Loc. Tagliate, 1 – Tassarolo (AL) tel 0143 342063

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