The Italian Wine Journal - La Rivista del Vino - Anno IV - n.5 - aprile 2019

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The Italian Wine Journal La Rivista

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno IV - n.5 - Euro 5 - aprile 2019

T orre R osazza – L ambruschi d ’E milia – M albec d ’A rgentina – V illa R inaldi – R onco C alino – I C ampi di P rà – S annio F alanghina , capitale del vino – S agrantino – C antina di S oave

Torre Rosazza, il Friuli che non ti aspetti

Lambruschi d’Emilia le migliori Cantine Argentina, non un solo Malbec

www.italianwinejournal.com Merger & Aquisitions: così cambia volto il vino italiano – Villa Rinaldi, il metodo classico scaligero – Sannio Falanghina, capitale del vino 2019 – Sagrantino, cosa cambia – I Campi, il gioiello di Flavio Prà – Ronco Calino, al cuore del Franciacorta – Cantina di Soave, 120 anni di successi BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR






Sommario

Degustazioni

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Tasting per tutti Villa Rinaldi, la maison de negoce più celebrata d’Italia Cantina Mesa ed i suoi Vermentino

Reportage

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Economia, continua la stagione delle M&A Sannio, capitale del vino 2019 Sagrantino, futuro di rinnovamento Reggio Emilia, terra di Lambrusco Argentina, quale Malbec?

Cantine

32 Torre Rosazza, il Friuli di Genagricola 54 I Campi di Flavio Prà 62 Ronco Calino, Franciacorta bio d’eccellenza 104 Cantina di Soave, 120 anni di successi

Wine & Food

78 Grana padano, tradizione millenaria 82 Beretta, prosciutto crudo di Carpegna 86 Casearia Carpenedo 90 Opificio 1899 107 Costa Arènte, ecco l’olio The Italian Wine Journal

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Economia di Giulio Bendfeldt e Marco Danieli

Il vino? La finanza lo vuole nella botte grande

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Economia Non si ferma la corsa a rilevare marchi e cantine; si muovono tutti i grandi gruppi dopo decenni di immobilismo. Un processo di aggregazione che non si fermerà, perché le dimensioni – oggi – contano

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In Italia le prime due realtà per fatturato rappresentano appena il 6.3% del mercato; in Australia, il 94.2%

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l prossimo “colpo di mercato”? Rumors di questo Vinitaly: Cantina di Valpantena – appena entrata nel deal su Cantine Giacomo Montresor di Verona con Cevico e Vitevis – guarderebbe al Lugana e si aggiungerebbe così i big Santa Margherita ed Allegrini che hanno fatto investimenti importanti negli ultimi 18 mesi nella denominazione lombardo-veneta, una dai maggiori tassi di crescita in Italia. Un’operazione che apre la strada anche ad un ulteriore riassetto nelle cooperative scaligere con Cantina Castelnuovo del Garda sempre più nell’orbita di quella di Custoza. Insomma, la “foresta pietrificata” ha iniziato a correre ed a colpi di merger&acquisitions il volto del vino italiano sta cambiando completamente. Certo, siamo – e resteremo – lontani dalle dimensioni dei grandi gruppi statunitensi, australiani e cinesi, o dei big europei, ma che il settore stia marciando a tappe forzate verso un rafforzamento della sua struttura produttiva è evidente. Unicredit, in un recente ricerca, evidenzia infatti come l’incidenza dei primi due produttori sul valore della produzione vinicola locale veda l’Italia buon’ultima fra i Paesi big del settore: il 6,3% (e sono due cooperative) dei 13.9 miliardi che rappresentavano nel 2017 il peso della filiera; una percentuale che raggiunge il 10% soltanto se si sommano i primi quattro player italiani del mercato. In Francia, i primi due operatori, fanno già loro il 10,2% del valore del settore; in Argentina, il 15,4; in Sudafrica, il 28; in Spagna, il 31%. Tutti lontanissimi dal 77.6% che si registra in Cile; dall’80.3% degli Stati Uniti e dallo stratosferico 94.2% dell’Australia. Del resto i numeri italiani raccontano chiaramente – sostiene Unicredit – del perché le nostre percentuali siano così basse: a fronte di 2mila imprese industriali (che sommano però ben 11 miliardi di fatturato) sono attive 300mila aziende agricole, 47mila vinificatori e 9mila imbottigliatori. Numeri che raccontano un sistema che tutela –

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forse – i piccoli, ma che resta fragile nella grande proiezione internazionale che ha bisogno di gambe robuste sulle quali correre: dal 2007 al 2017 la crescita dell’export italiano è stata del 5.5% annuo, ma da qui al 2020 – cioè nei prossimi 18 mesi – Unicredit vede una crescita ulteriore di un buon 30%. Per ottenerla però c’è bisogno di poter presentarsi con una gamma prodotti ben imbottita di DOP e IGP così da avere più forza contrattuale (vale anche con la GDO italiana) nei nuovi mercati dove il vantaggio di offrire soluzioni “unitarie” o di avere in portafoglio un prodotto-grimaldello può fare la differenza. Così, in Italia, più che ad una lenta avanzata, oggi siamo alla blitz-krieg. Soltanto nelle ultime settimane sono passate di mano due realtà molto conosciute: Cooperativa Chianti Geografico e Cantine Giacomo Montresor. La prima, 4.7 milioni di fatturato, è stata rilevata da Tenute Piccini, 64 milioni di fatturato per 16 milioni di bottiglie prodotte, ed una presenza che va dalla Toscana (Chianti Classico, Montalcino e Maremma) alla Basilicata all’Etna. Operazione da 7,2 milioni € cui si aggiungeranno ulteriori investimenti nei prossimi tre anni per rifare la componente vinificazione. Montresor Heritage, invece, vede tre big come Cevico, Valpantena e Vitevis acquisire Cantine Giacomo Montresor (Valpolicella Classica, Soave, Lugana, Collio goriziano e Trentodoc) uno dei tre brand storici veronesi (Bolla e Bertani, e tutti e tre uniti dal destino di vedere un passaggio di mano dalle famiglie fondatrici…) fondato ancora nel 1892 per un fatturato nel 2918 di 10 milioni di € e 2 milioni e mezzo di bottiglie. Se ignoto è il valore dell’operazione, è già quantificata la spese per i prossimi investimenti: 2,5 milioni € per un nuovo fruttaio per l’appassimento delle uve, la riorganizzazione della bottaia, una linea innovativa di imbottigliamento e un magazzino semiautomatico per migliorare la logistica. Gli investimenti riguarderanno anche l’azienda di Capriva del

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Economia e 800 ettari per Valpantena). La Valpolicella ovviamente si conferma come zona di grande interesse per i gruppi maggiori: Genagricola, Caviro ed Angelini. Se questi sono stati gli acuti di inizio d’anno, nel 2018 le maggiori operazioni hanno riguardato: Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A : il 22,5% rilevato da DeA Capital Alternative Funds SG; Svinando Wine Club, sito di e-commerce rilevato da Giordano Vini SpA; Tenuta Montereale Srl rilevata da Mionetto SpA (a sua volta dal 2008 di proprietà del gruppo tedesco Henkell che controlla anche Freixenet in Catalogna); Tannico SpA, sito di e.commerce rilevato da N.U.O. Capital; Terre Cortesi Moncaro Soc. Coop. Agr., ha ceduto il 18% a Winemarket Nordic AB Sweden; AEB SpA Italy , Biotechnology solutions per la vinificazione rilevato da Apax Partners SAS France; Santero fratelli & C I.v.a.s.s. SpA rilevata da Santero Family; Divici Società Agricola Srl, produttore di Prosecco, rilevata da Ruffino Srl a sua volta controllata da Constellation Brands, Usa e, infine, Casa Vinicola Zonin SpA che ha ceduto il 36% a 21 Investmenti (famiglia Benetton) col target di entrare in Borsa entro i prossimi 5 anni portando il fatturato a 300 milioni contro i 200 attuali. . In totale per il survey redatto nello scorso febbraio da Pwc ci sono stati 15 deal nel 2018 contro i 23 del 2017 e sono passate di mano non soltanto cantine, ma siti di e.commerce (su cui si va concentrando un interesse sempre maggiori visti i risultati in Italia. Nda: altro articolo nelle pagine seguenti), società tecnologiche ed acque minerali Per Domenico Creanza, analista di PricewaterhouseCoopers Spa che ha curato questo recentissimo report sulle M&A nel settore beverage: « L’espansione internazionale continuerà a guidare le acquisizioni di imprese italiane in termini di prodotti premium e penetrazione in nuovi mercati, per rafforzare il posizionamento tra i leader del settore

Friuli, nel Collio Goriziano, con l’impianto di 5 ettari tra Ribolla Gialla e Sauvignon. Obiettivo: aumentare del 50% il fatturato nel volgere di tre, quattro anni. Terre di Cevico è capofila con il 50% del capitale, mentre Valpantena e Vitevis hanno il 25% ciascuna: «Svilupperemo Montresor attraverso le sinergie che siamo in grado di creare con le competenze, capitali e con una integrazione anche di tipo commerciale – sottolinea Marco Nannetti, numero uno di Terre di Cevico che della nuova compagine è presidente - abbiamo un piano di sviluppo e di marketing, ma interverremo anche sulla qualità in un territorio i cui vini hanno un grande valore aggiunto. Un’azienda piccola e non strutturata non può fare grandi investimenti per affrontare la complessità dei mercati, sempre maggiore negli ultimi anni, il cambiamento di gusti e la migrazione dei consumi. La reputazione del marchio è molto alta e la compagine che abbiamo costituito saprà valorizzarla ulteriormente nel canale horeca in Italia e sull’export che già oggi vale circa il 50% della produzione. Spazieremo su tutti i mercati internazionali con maggior attenzione a Usa, Canada, Scandinavia ed Europa Occidentale». «Sono passati solo quattro anni dalla nascita di Vitevis dalla fusione delle Cantine Gambellara, Colli Vicentini e Val Leogra – evidenzia Luciano Arimini, presidente di Vitevis e vicepresidente del nuovo cda - e con questo nuovo progetto ci proiettiamo in un’area, quella della Valpolicella, in cui potremo rafforzarci». Sul fronte della qualità in vigneto è partita l’individuazione di diversi cru per la produzione di Amarone, Valpolicella, ma anche di Soave e Lugana. Un innalzamento della qualità a cui potranno contribuire anche le migliori uve prodotte dai soci delle cooperative venete che contano su circa 3.000 ettari nell’area produttiva delle Cantine Montresor (1.000 viticoltori e 2.200 ettari per Vitevis e 330 viticoltori

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globale. Il canale E-Commerce è identificato come un’opportunità per aumentare i ricavi e raggiungere nuovi paesi/mercati. Inoltre, i marchi premium di vino e spumanti potranno raccogliere interesse sia dai fondi di private equity che dagli investitori finanziari a causa dei margini attraenti». Il mondo del vino sta conoscendo in sostanza quanto già accade nel food dove i brand italiani sono ricercatissimi e ogni anno si registrano operazioni importanti (Forno d’Asolo, Rigoni, Melegatti, Bauli, Ferrero, Grissin Bon, Grandi Salumifici Italiani , Pasta Zara, Panapesca, Selecta distribuzione sono le realtà protagoniste attive o passive delle ultime operazioni dello scorso anno). Quindici operazioni possono sembrare poca cosa rispetto alle 2mila imprese industriali. Ma se diamo una scorsa ai nomi vediamo come, dopo le grandi operazioni del recente passato (ad esempio Bertani acquisito dal gruppo Angelini; Mionetto da Henkell, Sella&Mosca da Terra Moretti, Cà Maiol e Cantina Mesa da Santa Margherita Gruppo Vinicolo, la costruzione della galassia Tommasi che dal Veneto si è allargata in Lombardia, Toscana (dove ha raggiunto i 200 ettari di superficie vitata dopo essere entrata nel capitale di Fattoria La Massa nel Chianti classico alla fine del 2018), Basilicata con Paternoster, e in Puglia acquisendo Masseria Surani della famiglia Pasqua ecc) a muoversi sono in tanti: Masi con Canevel, Valdo ha rilevato Magredi; Fontanafredda, Il Colombaio; Cantine Volpi, La Zerba; Lunelli, il prosecco Bisol; Frescobaldi, San Donato in Perano… Sul mercato attivi anche Marchesi Antinori, Farnese Group, Italian Wine Brands prima realtà vitivinicola a quotarsi in Borsa. Lo specchio dell’immobilismo nel mondo del vino è rotto, e come diceva un grande banchiere veneto (le banche del territorio non assistono passivamente, anzi sono fra le promotrici di alcuni dei deal più interessantI), «quando uno specchio è rotto, non si può più metterlo a posto». Anche il vino italiano avrà i suoi Godzilla.

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Masi Agricola, dividendo a 10 cents. Ricavi a 65.3 milioni € Il Consiglio di Amministrazione di Masi Agricola S.p.A., società quotata nell’AIM Italia e tra i leader italiani nella produzione di vini premium, ha approvato il progetto di bilancio e il bilancio consolidato dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018. Questi i principali indicatori economici: • Ricavi netti 65,3 milioni di euro (64,4 mln di euro nel 2017, +1,5% a cambi correnti e +3,4% a cambi costanti) . L’Italia traina la crescita con un +12,3%, ma aumentano anche il resto d’Europa e il resto del mondo. Le Americhe invece segnano una diminuzione del 4,5%, principalmente per effetto di cambi sfavorevoli. • EBITDA 12,3 milioni di euro (13 mln di euro nel 2017) •EBIT 9,2 milioni di euro (10,2 mln di euro nel 2017) • Utile netto 7,2 milioni di euro (6,7 mln di euro nel 2017) •Indebitamento finanziario netto 9,1 milioni di euro (9 mln di euro al 31 dicembre 2017) •Patrimonio netto consolidato 127,2 milioni di euro (122,2 mln di euro al 31 dicembre 2017) •Dividendo proposto pari a 10 cents per azione (in linea con il dividendo distribuito l’anno scorso), con yield del 2,6% rapportato al prezzo del 21 marzo 2019 . Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola (nella foto col figlio Raffaele): «Nel 2018 abbiamo avuto una buona vendemmia, in termini sia di quantità che di qualità; abbiamo registrato una crescita dei ricavi, nonostante cambi penalizzanti e impattanti anche sulla redditività, che comunque resta elevata; è stata inoltre completata l’integrazione di Canevel all’interno del Gruppo, dopo l’acquisizione avvenuta un paio di anni fa; infine sta acquisendo sempre più visibilità e dimensione Masi Wine Experience, il nostro macro-progetto strategico volto a creare un contatto sempre più diretto con il consumatore finale, anche grazie all’apertura del Masi Wine Bar “Al Druscié” a Cortina. Credo quindi che nell’insieme possiamo considerare il 2018 un anno positivo per il Gruppo, dal punto di vista sia reddituale che della prospettiva di lungo termine: infatti, nonostante la situazione e i numerosi motivi di incertezza nello scenario globale in cui la nostra azienda si muove, siamo attivi e investiamo in coerenza con il nostro progetto di sviluppo».

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li ultimi dati sull’e-commerce nazionale fanno strabuzzare gli occhi: in pochi anni la massa intermediata è cresciuta notevolmente portando il nostro Paese fra le nazioni di testa nelle classifiche mondiali del settore e rendendo automaticamente molto appetibili le società su piazza, oggetto di M&A necessari anche per rimpinguare casse rese asfittiche da una redditività ancora gracile del settore. Ma il dato è chiaro: gli Italiani (ben 5,4 milioni nel 2018, con 500mila clienti abituali) si affidano sempre di più agli acquisti on line. Certo, secondo i dati Nomisma, la quota di mercato in Italia dell’e-commerce è poca cosa, appena il 2,1% del mercato (la GDO fa il 55%, gli acquisti diretti il 23, le enoteche il 17 e i discount il 4%...), ma questo valore paradossalmente rappresenta, visto il dato assoluto di vendita, la conferma che l’e-commerce può far saltare il banco, rivoluzionando un mercato rimasto statico per molto tempo. Perché il 2,1% delle bottiglie vendute significa in Italia una massa di 69 milioni di bottiglie intermediate online, ad un prezzo medio che sui principali operatori sta attorno ai 30 € a bottiglia. 69 milioni di bottiglie in Italia a fronte dei 440 milioni di bottiglie comprate online in Cina, dei 136 milioni nel Regno Unito, dei 100 circa in Francia, degli 84 in Germania e dei 74 degli USA, nonostante i colossi di Cupertino ed Amazon…A fronte di questi volumi però la redditività è in sofferenza per il 40% dei principali siti di e-commerce italiani e questo apre la strada all’arrivo di soci finanziari e/o industriali. Ad esempio, nell’ambito del processo di adattamento al mercato globale, significativo è quello che è avvenuto per Italian Wine Brands che nel Gennaio 2015 viene quotato in Borsa. Questa holding industriale, che abbraccia due zone produttive importanti, come quella piemontese e quella trentina, la Giordano Vini di Diano D’alba (Cuneo) e la Provinco di Rovereto (Trento), è specializzata nella commercializzazione all’estero per la grande distribuzione. Italian Wine Brands arriva all’AIM, la piattaforma per le piccole medie imprese, attraverso il pre-booking di Ipo Challenger, innovazione della

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SPAC (Special Purpose Acquisition Company) per l’Ipo Buy-Side delle società eccellenti, ideata e promossa dal gruppo Electa. In quattro anni dalla quotazione, l’azione fluttua sugli 11 € dopo il picco del marzo di un anno fa a 13,5 € e il minimo registrato al dicembre 2016 a 8,5 € per azione. L’espansione di IWB continua nel 2018 quando acquisisce il 100% del capitale di Pro.di.ve, start-up torinese proprietaria della piattaforma E-commerce Svinando Wine Club, che commercializza importanti marchi di vari regioni italiane come Antinori, Tommasi, Lantieri, Conti di Buscareto, S.Giorgio, Tomaresca e Due Palme. L’azionariato vede oggi Praude Asset Management LLC al 5,2%; IPOC S.r.l. all’8,69%, gli ex soci Provinco Italia S.p.A. al 10,87% ed un flottante pari al 75,24% del capitale per una capitalizzazione di Borsa di poco superiore agli 84,7 milioni € Per Tannico, altro big del settore italiano, invece, il fund-raising dal 2012 ad oggi è stato di 8 milioni € e l’ultimo aumento di capitale, proprio un anno fa, ha visto l’iniezione di 2,5 milioni di denaro fresco attraverso la partecipazione pro quota dei soci del precedente round di finanziamento, ma con la cessione di 50% a NUO Capital, holding di investimento asiatica di proprietà della famiglia Pao/Cheng di Hong Kong. Nel Consiglio d’Amministrazione, già composto da Marco Magnocavallo (Co-Founder e CEO di Tannico), Andrea di Camillo (Managing Partner del fondo P101), Stefano Saccardi (Board Member di Campari) e Matteo de Brabant (fondatore di Jakala e Alkemy), entra così anche Tommaso Paoli, CEO di NUO Capital. Un aumento di capitale finalizzato soprattutto a sostenere lo sviluppo dell’e-commerce anche attraverso Wine Platform, il servizio che supporta le case vinicole sul piano tecnologico e logistico nella vendita dei propri prodotti delegando a Tannico la gestione di ordini, pagamenti, customer care, accise e pratiche doganali in Europa e nel mondo.

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E-commerce, la rivoluzione italiana. E ora scatta la corsa ad acquisire i siti maggiori


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Brexit o non Brexit, le bollicine inglesi oggi sono una realtà

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l momento di andare in stampa non è chiaro cosa accadrà del Regno Unito e della sua partecipazione all’Unione Europea. Davanti al caos istituzionale alcuni dei più noti produttori di Metodo classico inglese sono passati dall’iniziale sconcerto, allo scetticismo, alla insoddisfazione cercando col tradizionale humor di dimenticare il prossimo addio ai fondi comunitari per la promozione extra-Ue che hanno finanziato le prime, e ricche di successo, proiezioni dei produttori inglesi negli Stati Uniti, nel Canada ed in Estremo oriente. «Avevamo fatto le cose per bene – commenta però a The Italian Wine Journal un noto produttore che preferisce restare anonimo -: abbiamo coinvolto il Plumpton College, la famiglia Reale, investito in un’associazione di categoria, chiamato talenti da Australia e Nuova Zelanda, lavorato con Bruxelles sulle denominazioni, studiato i modelli europei, anche i vostri italiani, e adesso…ci fanno tagliare i fondi? Noi non siamo abituati a questi “rituali latini”…rischiamo di buttare via anni di lavoro. Nessuno di noi ricorda una fase politica così rischiosa per il business». La gelata della Brexit arriva in una fase di grande espansione del settore del vino nel Regno Unito diventato col global warming una dei “nuovi Eldorado” di produzione: ad esempio, nel Regno oggi, pren-

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dendo in considerazione operai, enologi e supporti amministrativi, si contano 2000 persone impiegate nel mondo del vino. Ma i dati di WineGB sostengono che nei prossimi vent’anni l’industria vinicola creerà tra i 20.000 e i 30.000 nuovi posti di lavoro, con un evidente vantaggio per l’economia inglese. Grazie anche all’incremento del turismo generatosi attorno alla cultura ed al consumo del vino, gli esperti del settore prevedono che entro il 2040 l’industria del vino britannica potrà aumentare il proprio fatturato di 658 milioni di Sterline. Per prepararsi all’afflusso di turisti provenienti da tutto il mondo il Regno Unito si sta attrezzando con strutture agrituristiche, cantine-ristoranti, sale di degustazione e agevolazioni per accompagnare i turisti alla scoperta delle modalità di produzione del vino in Gran Bretagna. Una vera scelta strategica: il governo inglese sta studiando infatti come “portar fuori” i turisti da Londra e far spendere più sterline, e l’enoturismo rappresenta così il futuro per le economie rurali. I tour pubblici partono dal London Bridge e registrano il 35% degli ospiti americani, il 5% altri viaggiatori internazionali e il restante 60% sono londinesi. L’anno scorso l’industria inglese del vino ha raggiunto il record di produzione con 15.6 milioni di bottiglie. Un sorprendente 130% rispetto al volume registrato nel 2017. Ma ancora poco rispetto alle 40 milioni di bot-

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turo. Come settore stiamo apportando molti sviluppi in agricoltura, turismo, istruzione, investimenti e occupazione. Questa è ora un’industria britannica prospera e fiduciosa di cui possiamo essere giustamente orgogliosi». Vitigni come lo Chardonnay, il Pinot Noir, il Pinot Meunier e il Bacchus rappresentano il 76% di tutte le piantagioni in Gran Bretagna. La produzione a spumante rimane quella dominante e rappresenta il 71% del vino totale prodotto nel Regno Unito. E c’è un ulteriore potenziale di crescita all’orizzonte. WineGB sottolinea come ci siano circa 70.000 acri di terra nel Regno Unito adatti alla produzione di vino. Vale a dire dieci volte tanto l’area coltivata a vite attualmente, quasi trenta mila ettari a regime: il doppio dell’area dedicata al Prosecco in Italia. Come a confermare che “sky is the limit”.

Santa Margherita Gruppo Vinicolo: 2018 di consolidamento a 177.3 milioni €. Dal 2005, investimenti per 280 milioni € Il 2018 sarà ricordato come un anno importante, di consolidamento dei risultati raggiunti, per Santa Margherita Gruppo Vinicolo (presieduto da Gaetano Marzotto, nella foto) che ha proseguito nella sua fase espansiva fatta di crescita in valore ed in bottiglie vendute, ma anche di ulteriori investimenti. Il fatturato del passato esercizio si è attestato infatti a 177,3 milioni €, con una crescita del 5,1% sul precedente anno fiscale; in termini di bottiglie vendute sono stati superati i 22 milioni: ogni giorno, in 94 Paesi del mondo, Italia compresa, vengono comprate più di 60.500 bottiglie del Gruppo; la crescita a volume nel 2018 è stata dell’8,1%. Un capitolo fondamentale resta quello degli investimenti: nel 2018 sono ammontati a 48 milioni € di cui 19 milioni sono stati destinati all’ulteriore acquisto di vigneti, mentre la parte restante ha riguardato ospitalità ed attrezzature. Un ciclo che prosegue ininterrottamente dal 2005, che non si è mai rallentato neppure nella fase più dura della crisi successiva al 2007, e che in questi anni ha comportato una spesa complessiva di ben 280 milioni € . Nello stesso periodo, l’occupazione nel Gruppo è raddoppiata, raggiungendo oggi le 355 unità in Italia e nel mondo. L’export rappresenta una percentuale importante delle vendite del Gruppo, superiore al 67%, con Stati Uniti, Canada e Germania a guidare la classifica del 93 mercati che oggi Santa Margherita raggiunge. Nel 2018 segnali oltremodo significativi sono arrivati dall’area Emea (più 36% rispetto al 2017), America Latina (più 22,7%), Asia ed Oceania (più 18,6%) a conferma dell’impegno alla diversificazione dei mercati grazie all’effetto traino di vini come Prosecco e Pinot grigio. Più contenuto, ovviamente, lo sviluppo nei mercati tradizionali per Santa Margherita: negli Usa, dove opera la controllata Santa Margherita USA a Miami e dove viene già venduta una bottiglia su due del Gruppo: la crescita a volume è stata dello 0,4%; in Canada (dove resta notevole l’interesse per il Pinot grigio certificato “carbon neutral”) del 3,2%. Di grande soddisfazione, lo sviluppo del mercato italiano: più 13,5% a valore, nonostante il clima non espansivo dell’economia nazionale, grazie – ma non soltanto - all’apporto dei nuovi brand del Gruppo (Cà Maiol e Cantine Mesa). La crescita ha riguardato infatti tutte le tenute del “mosaico enologico” Santa Margherita. Il vigneto complessivo di Santa Margherita Gruppo Vinicolo ha superato i 664 ettari, 501 di proprietà, il 70% dei quali sono oggi a conduzione biologica.

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tiglie che verranno prodotte nel 2040. Le vendite, così come le esportazioni di vini inglesi e gallesi sono raddoppiate. Inghilterra e Galles esportano attualmente in 40 paesi. Il 65% del vino prodotto nel Regno Unito viene venduto negli Stati Uniti e nei Paesi Scandinavi, che costituiscono i due principali clienti dell’industria vitivinicola britannica. Negli ultimi 10 anni i terreni dedicati alla coltivazione della vite sono aumentate del 160% per un totale di 7000 acri (circa 2832 ettari) di terreni, dove l’anno scorso sono state piantate 1.6 milioni di viti, mentre quest’anno si prevede che ne verranno piantate circa 2 milioni. Per il presidente di WineGB Simon Robinson «Il 2018 è stato una pietra miliare per la nostra industria. Le nostre cifre descrivono il notevole ritmo di crescita che si sta verificando qui nel Regno Unito e quali interessanti previsioni e opportunità si trovano in fu-


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Stati Uniti, più dolori (bianchi e rossi fermi) che gioie (Prosecco) nel 2018

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dati rilasciati dal Department of Commerce, (dopo la sosta conseguente al blocco delle attività amministrative USA), confermano che il 2018 si è concluso, come era stato già anticipato a dicembre scorso nelle prospezioni effettuate dall’Italian Wine & Food Institute, senza particolari sostanziali variazioni rispetto all’anno precedente. Secondo Lucio Caputo, presidente dell’Istituto, le esportazioni vinicole italiane verso gli USA nel 2018 hanno fatto registrare un incremento dello 3,4% in valore (per lo più dovuto ad un generalizzato aumento dei prezzi) e una contrazione del 2,4% in quantità. Su tale non positivo andamento del mercato non sembra aver in qualche modo influito la campagna promozionale in favore dei vini italiani condotta negli USA, con fondi pubblici di notevole consistenza. Nel rendere noti i dati, Caputo ha sottolineato come, allo stallo delle esportazioni vinicole italiane abbia fatto riscontro l’aumento di quelle francesi che hanno fatto registrare un ben più consistente incremento del 7% in quantità e del 15,8% in valore. La Francia, saldamente installata al secondo posto in valore ed al terzo in quantità, fra i paesi esportatori verso il mercato USA, tallona sempre più da vicino l’Italia in valore, nonostante esporti meno della metà dell’Italia in quantità, data la notevole immagine dei propri vini. Complessivamente, nel 2018, le importazioni statunitensi sono ammontate a 8.645.170 ettolitri, per un valore di $ 4.356.290.000, contro i 9.423.690 ettolitri, per un valore di $ 4.215.662.000, del 2017 con una riduzione del 8,3% in quantità ed un incremento del 3,3% in valore. Le esportazioni

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dall’Italia, - ancora primo paese fornitore del mercato statunitense sia in valore che in quantità - sono ammontate a 2.486.730 ettolitri, per un valore di $1.397.521.000, contro i 2.547.270 ettolitri, per un valore di $ 1.351.114.000, del 2017. L’Italia detiene attualmente il 28,7% del mercato di importazione in quantità ed il 32%di quello in valore. La Francia, a sua volta, ha esportato 1.288.310 ettolitri, per un valore di $1.239.685.000, contro 1.204.140 ettolitri, per un valore di $ 1.070.202.000, del 2017. Nel corso del 2018 è continuato il trend espansionistico dei vini Rosé che ha costituito l’elemento di novità dell’anno. I quattro principali paesi esportatori verso il mercato USA (Italia, Francia, Australia e Cile) hanno fatto tutti registrare notevoli incrementi nelle esportazioni di vini Rosé, complessivamente passati da 394.790 ettolitri, per un valore di $236.842.000, del 2017 a 496.410 ettolitri, per un valore di $ 325.530.000, del 2018 con un aumento del 25,7% in quantità e del 37,4% in valore. Al contempo gli stessi paesi hanno fatto tutti registrare delle contrazioni nelle esportazioni dei vini bianchi e di quelli rossi. Da sottolineare anche che il 73,8% del totale delle esportazioni vinicole in quantità è fornito da quattro paesi (nell’ordine: Italia, Francia, Australia e Cile, paesi che superano tutti il milione di ettolitri) ed il 77,7% del totale delle esportazioni vinicole in valore da altri quattro paesi (nell’ordine: Italia, Francia, N. Zelanda e Australia). Quattro paesi monopolizzano quindi il mercato vinicolo statunitense, lasciando poco spazio a tutti gli altri paesi produttori di vino. Infine, il continuo incremento, anche se a tassi molto più contenuti di quelli degli anni passati, delle esportazioni di spumanti italiani che, trainate dal Prosecco, nel 2018 sono ammontate a 770.760 ettolitri, per un valore di $ 443.927.000, contro i 695.040 ettolitri, per un valore di $ 381.595.000, del 2017 con un incremento del 10,9% in quantità e del 16,3% in valore, contro il 30,8% in quantità ed il 36,4% in valore fatti registrare nel 2016.

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domanda globale di vino dell’Asia Orientale vale 6,45 miliardi di euro di import ed è prossima all’aggancio del Nord America (Canada e Usa), a 6,95 miliardi di euro. Nella corsa al vino, l’Asia Orientale sta facendo gara a sé con un balzo a valore negli ultimi dieci anni del 227% (12,6% il tasso annuo di crescita): 11 volte in più rispetto ai mercati Ue e quasi il quadruplo sull’area geoeconomica Nordamericana. È il quadro di sintesi dello studio “Asia: la lunga marcia del vino italiano”, a cura dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor. Secondo lo studio, il vino parla sempre più asiatico, con cui dialogano in particolare i francesi e – oggi più che mai – il ‘nuovo’ mondo produttivo, Australia e Cile che in alcuni paesi beneficiano di una politica dei dazi favorevole. E l’Italia? Dallo studio emerge come a fronte di una tenuta in terreno positivo del sistema vino made in Italy a livello mondiale (+3,3% nel 2018 sull’anno precedente), la presenza in Asia Orientale sia ancora marginale rispetto alle potenzialità italiane. Dei 6,45 miliardi di euro di importazioni registrate lo scorso anno in Cina, Giappone, Hong Kong, Corea del Sud (ma anche Vietnam, Taiwan, Tailandia, Filippine, Singapore e altre), la Francia – pur in calo – incassa infatti a valore il 50,2% della torta asiatica, per un equivalente di 3,24 miliardi di euro. La quota di mercato italiana si ferma invece al 6,5% (419 milioni di euro), meno anche di Australia (15,9%, a 1 miliardo di euro) e Cile (8,9%). L’Italia, secondo l’analisi condotta dal responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini, è certamente cresciuta nelle

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vendite, ma meno dei suoi concorrenti: in Cina in 5 anni l’incremento italiano ha sfiorato l’80% mentre le importazioni da mondo hanno segnato un +106%. Così a Hong Kong (+28% vs +67%) e in Corea del Sud (+36% vs +60%) e soprattutto in Giappone – il mercato più tricolore in Asia – dove il Belpaese non ha fatto meglio di un +3,4%, contro una domanda del Sol Levante cresciuta di quasi il 30%. Per dirla in bottiglie, nel 2018 l’Asia Orientale ha importato quasi 93 milioni di bottiglie di Bordeaux (e 6 milioni di Borgogna), mentre il complessivo dei rossi Dop provenienti da Toscana, Piemonte e Veneto supera di poco i 13 milioni di bottiglie. Tradotto in valore, il rapporto è 11 a 1: 864 milioni di euro del solo Bordeaux contro 77 milioni dei rossi Dop delle 3 regioni italiane. Il futuro si annuncia comunque interessante per il Belpaese, con un tasso annuo di crescita stimato dal nostro Osservatorio nei prossimi 5 anni che si prevede essere superiore ai consumi dell’area: fino all’8% in Cina, dall’1% al 2,5% in Giappone, complice l’accordo di partenariato economico, dal 5,5% al 7,5% in Corea del Sud e dal 3% al 4,5% a Hong Kong.

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Far East un amore per il vino da 6,45 miliardi di euro


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Così le DOP italiane spopolano sul web: oltre 100.000 utenti al giorno, il 55% stranieri

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ltre 6.500 contenuti al giorno veicolati su blog, forum, siti di notizie, social network in tutto il mondo, con oltre la metà delle conversazioni all’estero (55%), soprattutto negli USA (26%), e con più di 100.000 utenti ingaggiati quotidianamente. Questi i principali numeri della presenza delle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane certificate DOP IGP. A livello di reputazione le conversazioni digitali con sentiment positivo sono quindici volte più alte di quelle a sentiment negativo (46% contro il 3% sul totale delle menzioni) con Instagram che si afferma come il canale privilegiato per Food&Wine con trend in continua crescita. Bene il Food che con 28 milioni di utenti coinvolti in nove mesi supera i risultati del Wine (23 milioni di utenti) che però mostra una più marcata la presenza di conversazioni all’estero (solo negli USA quasi mille contenuti al giorno contengono riferimenti a vini italiani a denominazione di origine). Sono alcuni dei numeri che emergono dallo studio WEB DOP, la prima ricerca sulla presenza online e l’attività digitale delle DOP IGP italiane realizzata dalla Fondazione Qualivita. Lo studio è frutto di un progetto durato

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nove mesi, durante i quali la sono stati indagati sia la capacità dei prodotti DOP IGP italiani di generare conversazioni online, sia l’insieme delle azioni web e di digital marketing attuate dai Consorzi di tutela. Risultato finale del progetto è il primo report di analisi sulla presenza e la reputazione delle IG italiane sul web, con un focus sull’attività digitale dei Consorzi. Obiettivo a lungo termine supportare le azioni del sistema a produzione certificata con dati e informazioni in grado di favorire strategie di promozione e tutela nel mondo web. La prima sezione del report (frutto di un monitoraggio sulla rete e di un’indagine diretta sui Consorzi di tutela IG Food e Wine) fornisce dati e informazioni sui canali web ufficiali delle DOP IGP italiane, le evoluzioni degli ultimi anni e le case history di successo, gli investimenti digitali dei Consorzi e le prospettive per lo sviluppo del sistema sul web. Emerge soprattutto il boom social DOP IGP degli ultimi due anni, con un +63% delle IG italiane con almeno un account ufficiale (436 prodotti nel 2019 contro 268 di due anni fa) e con l’88% dei Consorzi che ha investito risorse sui social media, l’86% sul sito web e il 63% in digital marketing. Il web è visto dai Consorzi

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come un canale di informazione e diffusione globale, con azioni digitali rivolte anche al target straniero nel 61% dei casi. Il web è oggi voce stabile nel budget dei Consorzi, consapevoli che non è un ambito da gestire in modo amatoriale ma merita investimenti: è chiaro in questo senso il sostegno pubblico con quasi la metà dei Consorzi (46%) che solo nell’ultimo anno ha beneficiato di finanziamenti. E le prospettive sono di crescita, come dimostra la volontà manifestata dal 28% dei Consorzi di aumentare le risorse da investire sul web già a partire dal prossimo anno. La seconda sezione del report è il risultato dell’analisi dei contenuti di blog, forum, siti di notizie, portali tematici e numerose piattaforme social network in tutto il mondo per valutare la presenza e reputazione delle DOP IGP italiane sul web. Le conversazioni digitali legate ai prodotti DOP IGP mostrano un lessico molto ricco e complesso che accanto ai “temi tipici” delle IG come qualità, tradizione, territorio, fa emergere termini come turismo, cultura, sostenibilità, ambiente, salute che sottolineano come cibo e vino made in Italy non rappresentano solo beni di consumo, ma sono veicolo di un valore più ampio che sostiene la crescita del Paese e l’affermarsi della sua reputazione nel mondo. 51 milioni di utenti raggiunti in 9 mesi, con 1,8 milioni di menzioni riferite alle principali IG italiane veicolate 968mila autori sul web. All’estero più della metà dei contenuti (55%), mentre in termine di sentiment i risultati positivi sono è quindici volte più alti dei negativi (46% contro il 3% delle menzioni IG). Instagram e Blog sono i canali per passionisti, mentre su Twitter e portali News passano anche temi di attualità non sempre connotati positivamente. Nei 9 mesi oggetto di analisi le menzioni delle DOP IGP sono passate da 170mila a 230mila per un +37%: emerge perciò con chiarezza che la crescita delle IG sul web è un fenomeno in atto, da conoscere, supportare e “presidiare”.

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Banco Bpm finanzia la storica cantina Cesari Banco Bpm sostiene con 20 milioni di euro l’azienda vitivinicola Gerardo Cesari Spa, facente parte del gruppo Caviro. L’accordo prevede nel dettaglio una linea di credito di 12 milioni di euro a 12 anni finalizzata all’investimento di un importante progetto di sviluppo e 8 milioni di euro a 5 anni per una linea di inventory loan indirizzata a sostenere l’attività di invecchiamento delle importanti DOP prodotte dalla Gerardo Cesari. Con oltre un milione di bottiglie, e una storicità di 80 anni, l’azienda Gerardo Cesari Spa rappresenta un’eccellenza del territorio veneto e uno dei principali testimonial dei vini veronesi nel mondo, grazie a marchi riconosciuti come il prestigioso Amarone della Valpolicella Classico e il suo Valpolicella Ripasso Superiore. L’operazione di finanziamento, destinata a sostenere le fasi di ampliamento della cantina a Fumane, nel cuore della Valpolicella Classica, nasce dalla volontà di Banco Bpm di raccogliere e interpretare le esigenze di un settore con forti peculiarità, quale quello vitivinicolo, che vede la necessità di importanti investimenti sia immobiliari che in produzioni che necessitano di lunghi periodi di affinamento. «Il piano di sviluppo di Gerardo Cesari, previsto dal gruppo Caviro e sostenuto da Banco BPM, è un esempio concreto di come la banca sia sempre in prima linea per fornire nuove opportunità a quelle aziende che, da una parte, desiderano intraprendere percorsi di crescita e sviluppo e, dall’altra, cercano un partner finanziario solido che creda nei loro progetti e trovi soluzioni su misura per le loro peculiarità», commenta invece Mattia Mastroianni, responsabile Origination Corporate di Banco BPM.

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che se, da un punto di vista politico-amministrativo, le coste appartengono all’Ucraina. Gitana Winery è un’azienda familiare, proprietaria è la famiglia Dugher (nella foto Lilia Dulgher, responsabile export), ed ha una spiccata vocazione internazionale con presenze non soltanto nel mercato domestico rappresentato dalla confinante Romania, ma anche in Germania, Giappone e Far East. Questo Rosé ha un bellissimo impatto visivo, in linea coi provenzali da cui prende evidente ispirazione; molto fresco al palato, ha profumi immediati e di grande nettezza. Molto piacevole alla beva, invitante, con note di piccoli frutti a bacca rossa.

Gitana Winery, Moldovia, Merlot Rosé La tradizione moldava nella vitivinicoltura ha origini antiche ed il vino è parte fondante della vita di questa piccola repubblica di confine fra il mondo romano e quello slavo. Vanta alcune delle cantine sotterranee più grandi del mondo ed una produzione articolata: dal metodo classico ai vini fermi; dagli autoctoni agli internazionali. L’indipendenza dall’Unione Sovietica, i legami via via sempre più stretti con l’Unione Europea (Romania ed Italia in particolare), il trasferimento tecnologico legato anche all’emigrazione nelle zone vinicole europee, hanno aggiornato velocemente l’industria moldava del vino con una crescita qualitativa impressionante. Un bell’esempio è questo Rosè, a base Merlot, realizzato da Gitana Winery , 360 ettari nella parte meridionale della Repubblica, una zona che beneficia degli influssi del Mar Nero che dista pochi chilometri an-

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I Fauri, Graffio Nero Rosso Frizzante IGT Colline Teatine

Sole alto nel cielo, il bianco della Maiella alle spalle, il verde e il blu dell’Adriatico di fronte: questo è l’Abruzzo e queste sono le Colline Teatine da cui prendono vita i vini Tenuta I

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I Fauri, Ottobre Rosso Montepulciano d’Abruzzo DOC

Lavorazione in acciaio e cemento, nove mesi di affinamento sempre in cemento per questo Montepulciano: profumi intensi di ciliegia e prugna, palato ampio, bella freschezza, finale lungo dove tornano le note di ciliegia e frutta nera. Intrigante ed appagante alla beva.

Sierra de Toloño, Rosso “Sierra de Toloño”

Tempranillo che proviene da una vecchia vigna ad alberello. Profumi di viole e macchia mediterranea, cioccolato e note di tostatura frutto del leggero invecchiamento. Palato elegante con una buona acidità che dona freschezza, tannini ben evoluti. Lungo e persistente.

Camillucci, Franciacorta DOCG, Antologiè Noir Extra-brut

Sierra de Toloño, Rioja Blanco de Sierra

I vigneti sono dislocati nei comuni di Rodengo Saiano, Ome, Monticelli Brusati e Gussago, a pochi chilometri di distanza dal Lago d’Iseo. Stefano Camilucci ha ripreso un’antica attività di famiglia e punta ad un Franciacorta moderno, molto attento alla sostenibilità. “Antologie Noir” nasce da una selezione di “mosto-fiore” di sole uve nere Pinot Nero. Un Millesimato importante, che viene prodot-

I vini Sierra de Toloño nascono nell’ampia valle di La Rioja, ai piedi delle vette innevate della Sierra de La Demanda, su un versante caratterizzato dalla presenza di cespugli e grandi querce. Un paesaggio emozionante, una regione magica, con le sue grandi montagne che proteggono dai freddi venti del nord. A 650 metri di altitudine le vigne si sviluppano su un terreno calcareo roccioso, nato dall’erosione dei monti. I vitigni nativi Tempranillo e Viura raggiungono in questo luogo la loro piena espressione, combinando eleganza ed energia. I vigneti, 8,5 ettari in totale, sono localizzati tra i villaggi di Labastida e Rivas de Tereso, nella Rioja Alavesa. L’altitudine e il microclima consentono un lento processo di maturazione

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graduale delle uve, che favorisce l’accumulo degli zuccheri e la naturale conservazione dell’acidità. Le vendemmie manuali si effettuano in ottobre, con i primi freddi autunnali, selezionando i migliori grappoli. I vini affinano poi in botti o in anfore, nelle quali avviene un tranquillo processo di maturazione. Rioja Bianco è Viura in purezza, le uve provengono da una singola, piccola, parcella. Profumi di fori bianchi , con note di tostato e pasticceria. Avvolgente al palato, molto elegante, sorretto da una buona acidità che promette longevità e una beva sempre piacevole.

Fauri. La famiglia Di Camillo vive qui da sempre e da sempre produce vino. Domenico ha scelto personalmente tutti e 35 gli ettari di proprietà tra Ari, Villamagna, Miglianico, Bucchianico, Chieti e Francavilla al Mare. Non a caso, ma per come vengono baciati dal sole o scossi dalla brezza marina. I figli Valentina e Luigi lavorano con lui. Dopo gli studi in enologia hanno, infatti, scelto di tornare a dedicarsi all’azienda di famiglia. Graffio nero è un blend di Sangiovese, Montepulciano d’Abruzzo e Merlot. Pressatura soffice delle uve, fermentazione a temperatura controllata, in autoclave sino alla pressione di due atmosfere. Un vino giovane, brioso, molto floreale e con marcate note di frutta, vinoso. Easy, ma non banale.


Degustazioni to solo in annate eccellenti e in quantità limitate, con un dosaggio Extra Brut, e 36 mesi di affinamento in bottiglia. Il Pinot nero dà sostanza, forza, carattere: profumi floreali, frutta a pasta gialla, lieve note balsamiche.

il risultato è un metodo classico non banale, fedele interprete del territorio, con profumi marcati e decisi che vanno dai fiori bianchi, alla frutta passita, alla crema pasticcera; il palato è ampio, molto ricco, dove tornano coerenti le note olfattive che si sviluppano in un finale lungo, molto maschio, poco indulgente alle sdolcinature. Ma per questo, molto più vero. Da provare assolutamente.

Hambledon, Cuvée n.v.

Camillucci, Franciacorta DOCG Rosé

Una ulteriore prova per il Pinot Nero: bella la nota di colore, frutto di un attento e breve contatto del mosto con le bucce. Mantiene tutta la potenza espressiva del vitigno, ma è anche di grande equilibrio ed eleganza. Complesso eppure molto bevibile ed invitante.

Gancia Alta Langa DOCG, 36 mesi Pas Dosé

Premiere

Hambledon è la più “antica” cantina commerciale inglese, essendo stata fondata nel 1952 dal maggior generale Sir Guy Salisbury-Jones che, una volta rientrato dalla seconda guerra mondiale e dall’attività come diplomatico a Parigi, cercava un progetto interessante da sviluppare nella sua tenuta nell’Hampshire. Con l’aiuto di Champagne Pol Roger, Sir Guy piantò i primi vigneti sul versante rivolto a sud delle colline della sua contea. La storia inizia così, e per il metodo classico inglese sono quarti di nobiltà…la Premiere Cuvée è un blend di 73% Chardonnay, 24% Pinot Noir e Pinot Meunier a chiudere. Ai vini di annata viene aggiunta un’aliquota di vini di riserva – siamo attorno al millesimo 2010 al momento – per dare più struttura e complessità. Sui lieviti rimane circa quattro anni e questo si sente nel momento di mettere nel bicchiere questa Cuvée: profu-

Gancia è il primo metodo classico italiano, datato 1850, che per troppo tempo è stato associato a bollicine di qualità non eccelsa, dominate dallo zuccheraggio, e senza grande attenzione al prestigio della maison. L’ingresso di un nuovo azionariato ha portato oltre che a spalancare le porte del mercato russo, anche ad una attenzione rinnovata. Un esempio è questo Alta Langa DOCG, senza aggiunta di zuccheri dopo il degorgement, Chardonnay e Pinot nero coltivati in collina. Pressatura soffice, lavorazioni in cantina molto attente:

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Domaine des Tilleuls, Muscadet Sèvre et Maine, Sur Lie 2017

Bisogna avere il “naso da tartufi”, una incredibile curiosità e pazienza, ed accettare di girare per fiere più o meno grandi, cercando fra gli stand un vino che portato a più di mille chilometri di distanza riesca ad affascinare una persona senza avere attorno il fascino della “douce France”. Sergio Bruno deve avere un po’ tutte queste caratteristiche dato che non sbaglia un colpo e continua a proporre con la sua “Be.Vi, Emozioni oltre il gusto” vini davvero interessanti.

Exton Park Vineyard Rosè NV

Exton Park Vineyard è una tenuta agricola avviata nel 2003, ma comprata nel 2009 dall’imprenditore Malcolm Isaac, sino ad allora attivo nella produzione di ortofrutta per la GDO del Regno Unito con la sua società Vitacress. Ubicata nel South Downs-Hampshire ‘ s National Park domina il villaggio di Exton nella valle di Meon. L’investimento iniziale era di appena sei ettari e la produzione destinata ad essere ceduta integralmente alla vicina cantina Coates & Seely: ad essere piantate furono le varietà tipiche della Champagne con la quale l’Hampshire condivide il grande substrato di gesso che attraversa la Manica. Un ampliamento del vigneto portò alla realizzazione della cantina, nel 2011, attrezzata con due presse francesi Bucher e con serbatoi in acciaio italiani termocondizionati. A gestire la cantina è un laureato al Plumpton College, la vera fucina della sempre più valida viticultura britannica, con esperienza in Central Otago, Nuova Zelanda: Fred Langdale. La cantina è stata costruita a venti metri dal vigneto: l’idea è quella di azzerare il tempo fra la vendemmia e la pressatura soffice, così da evitare ripercussioni legate all’instabile meteo della zona, lavorando contemporaneamente le uve rosse e quelle bianche. Questo Rosé è realizzato usando Pinot nero, al

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70%, e Pinot meunier. Colore rosa molto pallido, si fa conoscere da un profumo immediato di fragole di campo, frutti di bosco e belle note floreali . Il palato è molto fresco, supportato da una buona struttura ed un finale lungo ed invitante. Dall’aperitivo in poi, a tavola è un ottimo compagno.

mi immediati e potenti, un metodo classico inglese molto rotondo, con note agrumate ben marcate – limone, arancia e cedro – che si fondono con profumi floreali, spezie dolci e crema. Il palato ha corpo ed una spalla acida che aiuta nella beva. Complesso, coerente con le note olfattive, molto in equilibrio e con un finale sapido e minerale, grazie al gesso su cui poggiano i vigneti. Un ottimo spumante, penalizzato da un prezzo in verità un po’ impegnativo.


Degustazioni

Non sappiamo dove abbia raccattato i proprietari di Domaine des Tilleuls, ma il Muscadet 2017 “sur lie” che sta importando in Italia è davvero un vino eccezionale con una storia che merita di essere raccontata: la famiglia Houssin è fatta da vignaioli indipendenti che da oltre un secolo coltiva “Melone de Burgundy”, vitigno arrivato nei “pays nantais”, a 50 chilometri dall’Oceano, nel Settecento importato dalla Borgogna per la sua capacità di resistere al freddo, dopo che un periodo eccezionalmente freddo aveva distrutto tutti i vigneti esistenti. “Melone” per la forma perfettamente rotonda dei suoi acini. Il territorio è a sud della Loira, sui terreni vulcanici del bacino Armoricain. L’agricoltura è impostata alla sostenibilità e le tecniche di lavorazione delle uve, provenienti da viti con età compresa fra i 15 ed i 30 anni, semplici e rigorose. Il risultato? Un vino che va benissimo come aperitivo, che regge altrettanto bene un pranzo come un’insalata, che non teme la carne anche se dà il meglio col pesce. E che è talmente profumato e ricco al palato che viene un po’ difficile indicare profumi e sapori dominanti. L’impressione è un gradevole tropicaleggiante, con un finale minerale e fresco molto invitante che non cede né all’ammandorlato né ad una dolcezza stucchevole. Si fa apprezzare ed è facile innamorarsene.

Costa Arente (Genagricola), Amarone DOCG 2015

Costa Arente è una tenuta in Valpantena, nel comune di Grezzana, acquisita dal 2015 da Genagrico-

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la, il braccio agroindustriale del Leone di Trieste, le Assicurazioni Generali, che acquisirono i primi ettari di questo colosso (per estensione, il primo polo in Italia) sul finire dell’Ottocento, nella pianura veneto-friulana. Giustamente, il sistema Valpolicella è stato ritenuto dal management di Genagricola – Alessandro Marchionne è il CEO dal 2014 – come una delle aree più interessanti da seguire per completare la gamma in un’ottica di proiezione internazionale. Potevano limitarsi a comprare Amarone e brandizzarlo, individuando il partner migliore. Invece hanno scelto la strada della presenza diretta, acquisendo il terreno ed avviando una nuova realtà produttiva con tutti i rischi che ne derivavano. Scelta felice. La Valpantena è, all’interno del sistema Valpolicella, la zona più interessante per composizione del suolo e microclima; i vigneti sono in altitudine, posti sulla sommità di una collina godendo così di un regime di ventilazione che mitiga le brucianti giornate estive. Scelta quanto mai azzeccata per un Amarone che promette già al naso grandi soddisfazioni: potente, ricco, sin seducente all’olfatto. Il palato conferma le prime, ottime, impressioni: potente e ricco, invitante alla beva ma anche alla ricerca di sapori: dalle note fruttate di ciliegia durone ed amarena, alla mora, con sentori di prugna e rabarbaro. Seguono note più speziate, con liquirizia, tabacco e una chiusura elegante, non austera né stucchevole. Un vino dal grande equilibrio, perfetto a tavola. Il millesimo 2015 è stato indicato quale il migliore degli ultimi trent’anni per l’Amarone.

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di Carlo Rossi

Villa Rinaldi, spumanti senza tempo dalla cantina dei tesori

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Degustazione con Rinaldo Rinaldi per scoprire i segreti della maison de negoce piÚ celebrata d’Italia

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etti un one to one con Rinaldo Rinaldi. Impreziosito da una degustazione eccezionale. Un raggio di sole a Soave in una giornata tardo invernale. Una “orizzontale “ di Maison de negoce sublime, che ha svelato come si possa veramente parlare oggi di un vero e proprio Metodo Rinaldi. Sei grandi vini per una degustazione evento a Soave, patria della Maison Rinaldi. Cuvee Ultrabrut – Millesimo 2009, Gran Cuvee Bianca Brut – Millesimo 2015 , Rosè Di Barricaia Brut – Millesimo 2004 , Rosè di Barricaia Edizione Millennium – Millesimo 1989, CremÈ Cuvee Storica Dry-Sec – Millesimo 2009, Recioto Della Valpolcella Doc A Metodo Classico – Millesimo 1998. Dalla cantina dei tesori. Una storia intensa, quella di Rinaldo Rinaldi, nata a fine 1800 con il fondatore Marcello Rinaldi e che ha sempre visto protagonisti gli eredi del fondatore tuttora in prima fila nella gestione e nella conduzione dell’azienda. La svolta arriva con Rinaldo Rinaldi che a partire dagli anni 60 trasforma Villa Rinaldi nella più classica Maison de négoce Italiana. Conia un proprio stile attraverso la ricerca di vitigni più pregiati e reintroduce antiche pratiche

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enologiche come il lungo affinamento delle basi spumante in barriques francesi, regalando eccellenza e longevità all’esclusiva produzione di Villa Rinaldi. Cominciamo con la novità a zero dosaggio: Cuvee Ultrabrut – Millesimo 2009. che ha debuttato a settembre 2018 con una produzione di appena 4mila 770 bottiglie, per riproporre lo stile dei primi Spumanti a Metodo Classico nati nelle antiche cantine della più celebrata maison di manipulant della spumantistica italiana. La Cuvée UltraBrut millesimo2009, , è contraddistinta dall’introduzione di alcune novità nelle fasi di produzione, di maturazione/affinamento per esaltare la straordinaria setosità e la sapidità che la caratterizzano: affinamento in barriques di origine francese, provenienti dal Massiccio Centrale, a tostatura zero e maturazione “in punta”: dopo 48 mesi di contatto con lo spumante, le colonie di lievito rimangono per ulteriori 24 mesi nel collo della bottiglia. Si tratta di uno straordinario Chardonnay, le uve provengono dal Trentino Alto-Adige, da vigneti posizionati a circa 700 metri sul livello del mare, in purezza, dal bouquet di lievito, salsedine, bergamotto, mora del gelso e nocciola fresca. Il perlage, danzante e sottilissimo, è quasi impalpabile. Il residuo zuccherino di questa Riserva Ultrabrut

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è pari a zero g/l. Come tutte le altre Cuvée Storiche, anche l’Ultrabrut viene prodotta esclusivamente nelle annate perfette: tra una edizione e l’altra, quindi, possono intercorrere anche molti anni. È da considerarsi, pertanto, un’ edizione rara della Maison. Ecco perché affermiamo si possa parlare a ragione di Metodo Rinaldi, un ulteriore sviluppo del concetto di stile proprio di questa grande Maison de negoce. Gran Cuvee Bianca millesimo 2015, Brut 100% chardonnay da vigneti posti a 500 mt in trentino Alto Adige. La Cuvée più famosa di Villa Rinaldi. La favolosa freschezza dello Chardonnay ed il bouquet seducente di frutta tropicale rendono questo spumante il compagno perfetto per ogni occasione! Tutto si è detto sullo strepitoso 2015. Spumante di favolosa freschezza, nitido negli aromi di ananas maturo, del frutto della passione e di frutti tropicali. Accattivanti note di melone e di pesca si sposano ad eleganti sentori di crosta di pane. L’equilibrio perfetto dello Chardonnay si concretizza in un sapore morbido ed avvolgente che rendono questo spumante ideale come aperitivo e compagno perfetto a tutta tavola. All’inizio della storia, era RinaldiPremiere brut che ha “ante ceduto” tutte le altre della Maison, ossia “La Prima Cuvée”. Quella che Villa Rinaldi ha formulato a metà degli anni ‘60 e dalla quale ha preso ispirazione per tutte le altre sue Riserve. Essa raccoglie tutti i profumi della primavera, rose bianche, fiori di tiglio e di biancospino. Perchè Villa Rinaldi ha voluto così il suo primo Chardonnay in purezza. Uva perfetta e grande diradamento. Affinamento per 3 mesi in barriques provenienti dal massiccio centrale francese e maturazione per 12 mesi sui propri lieviti. Lo spumante dal corredo più floreale della Maison ancora con sentori di gelsomino e fiori di

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cedro. Accattivanti i richiami di grande freschezza. Chiudono il corredo aromatico note di pompelmo rosa e di pere williams. Per la nobile freschezza che si delinea al palato, consacra l’aperitivo più raffinato, ma anche un menù a base di pesce e proposte vegetariane. Perfetto con le cruditée. Si consiglia di degustare ad una temperatura di servizio di 6°C. Si prosegue con l’accattivante e sapida versione in rosa, il Rosè Di Barricaia Brut – Millesimo 2004 . Un Brillante rosa antico scintilla nel calice percorso da finissime e durature bollicine. Sontuoso corredo di fragoline di bosco, arancia sanguinella, uva spina, rosa e violetta. E ancora fieno, caramella d’orzo, frutti canditi e un tocco elegante di cipria. Il sorso morbido e ammaliante si sviluppa vivacizzato da una squillante freschezza. Sapido e avvolgente nel finale ammantato di profumi dolci di composta d’agrumi. Il vino base sosta in rovere e poi 36 mesi sui lieviti. Una annata buona. E quindi le vette. Un sontuoso Rosè di Barricaia Edizione Millennium – Millesimo 1989, ci ha fatto letteralmente ritornare indietro nel tempo. A quel periodo, gli anni ottanta, denso di romanticismo e musica strepitosa, come quella dei Dire Straits.

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Un vino eccezionale e risultato di una annata non proprio da ricordare, testimone quindi della enorme capacità della Maison di lavorare sulla qualità che, come mi dice Rinaldo “alla fine è quella che vince sempre su tutto!”. Un vino ottimo sia al naso che al palato, considerato anche che era stato degorgiato da un paio d’anni. Ancora espressioni d’intense bollicine ed una introduzione nel bicchiere che ricordava, la scomparsa della mousse, il canto del mare a Portofino. La perfezione é sempre ammaliante bellezza, figlia dell’esclusivitá e promotrice di sublimi emozioni, come rare e autentiche opere d’Arte i vini di Rinaldo. Vini che non conoscono mode ma indossano l’eleganza e lo stile di chi li ha creati.

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Ha seguito la setosa e ammaliante nuova CremÈ Cuvee Storica Dry-Sec – Millesimo 2009, che non tradisce le aspettative insite nel nome. Già appena si versa nel bicchiere si può subito notare l’eleganza della spuma e la finezza del perlage. Al naso è molto fresco, intenso, si percepiscono note di frutta bianca e un bouquet di fiori di montagna che ci rimanda con la testa alle rigogliose valli trentine dove lo Chardonnay e il Pinot Nero vengono piantati per dare origine a questa cuvée. Qualche sbuffo minerale esce alla distanza man mano che la temperatura del vino aumenta. In bocca lo spumante mostra tutta la sua stoffa e la sua eleganza con una bocca di grande spessore, profondità ed eleganza. Ottima la scia finale che ancora una volta richiama

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Spumanti per un perlage finissimo che accarezza il palato. Matura per 36 mesi sui propri lieviti e affina per altri 24 mesi in barriques provenienti dal massiccio centrale francese. Dégorgement à la volée. Ammaliante e coinvolgente, giunge al naso il dolce e morbido aroma di amarene, di fichi secchi, di datteri e di confettura di prugne, in un susseguirsi crescente di emozioni. Accompagnano il finale note di cacao, di cannella, di tabacco biondo e di caffè. Vino che rimane impresso nella memoria gustativa! Di colore rosso rubino impenetrabile. Note delicate di cannella, cacao fondente e tabacco dolce ne descrivono l’imparagonabile opulenza al palato. Entusiasmante con praline o dessert al cioccolato, con millefoglie al papavero e budino bianco, accompagnati da fichi caramellati. È consigliata la decantazione almeno un’ora prima del servizio.

i fiori bianchi, specialmente il giglio e la margherita, e una garbata mineralità. Rivivere lo stile delle prime grandi riserve nate nelle antiche cantine Rinaldi è l’obiettivo dello Spumante Dry Sec, Belle Epoque ammantato di un’eleganza rara e sopraffina. La freschezza che incontra la grazia. Un tuffo... nel passato che seduce. Il bouquet È evoluto e salino. Traboccante e inebriante l’infuso di fiori d’acacia che ritorna, con note agrumali finissime di mandarino e poi fiori di tiglio. Trionfano la pera appena matura e la giovane mela golden. Sopraffini il pan briosche e l’uva sultanina. Come il Recioto della Valpolicella Spumante metodo classico 1998 , da uve 70% Corvina Veronese - 25% Rondinella - 5% Molinara, per alcool 13, 0 . Un vino impressive ed avvolgente grazie all’appassimento estremo delle 3 uve che lo compongono. Rigorosamente a metodo classico

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Degustazioni

Champagne, grande degustazione coi produttori al Vinitaly organizzato da The Italian Wine Journal

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n Champagne ogni partita ha la sua particolare identità ed è proprio questa che desideriamo far ‘cantarÈ in ogni vino proposto in questo imperdibile tasting. Comincia tutto dalla vigna. Il segreto sta tutto nel principio fondante: produrre il miglior vino utilizzando direttamente l’uva prodotta da sempre. Champagne a Vinitaly 2019 grazie alle selezioni di Biochampagne.com e Be.Vi. Emozioni oltre il gusto. Questi i vini in degustazione: Champagne David Coutelas, un Brut tradition (65% Meunier, 25% Chardonnay, 10% Noirs). Erede di una stirpe di viticoltori risalenti al XVIII °secolo, David ha preso le redini nel 1997 l’azienda agricola di famiglia: quasi 6 ettari sui pendii che costeggiano la

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riva destra della Marna. Champagne Florence Duchene, Cuvée Blanc de Blancs 2012. Nel cuore della regione di Champagne, un terroir di eccellenza, Florence Duchêne, un produttore di talenti. Champagne Alain Bernard, Cuvée Blanc de Blancs 2012 (100% Chardonnay). Situato a Dizy, nel cuore dello Champagne, lo Champagne Alain Bernard è soprattutto una storia familiare fondata nel 1912. Champagne Eric Collinet, Temporis Extra Brut (98% Pinot Noirs 2% Chardonnay). Eric Collinet è impegnato da diversi anni in una cultura della vite rispettosa della natura, lo troviamo nella zona Sud dello Champagne, nella terra del P.Noir, nella spettacolare Côte des Bar.

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Degustazioni tradizione del versante settentrionale della grande montagna di Reims. È l’espressione unica dell’esposizione e del terreno Grand Cru della Montagne de Reims. La degustazione sarà condotta in italiano e inglese. Per accedere bisogna avere anche un biglietto d’ingresso al Vinitaly. Seguirà, dopo la degustazione, la Cerimonia di Premiazione dell’11.ma edizione del “Challenge internazionale Euposia”

Champagne Charlot Tanneux, Cuvée Espression (70% p. Meunier, 30% Chardonnay) Vincent Charlot coltiva in biodinamica numerose parcelle, per un totale di circa 6 ettari vitati, collocate nei Comuni di Mardeuil, Epernay e Moussy. Champagne Vauversin, Original (100% Chardonnay). L’attività di coltivazione della vite della famiglia Vauversin ha preso il via nel lontano 1640, ma è stato il nonno di Laurent che ha preso la decisione di iniziare a fare il vino su scala commerciale. 84 anni dopo, a Le Mesnil sur Oger. Champagne Gardet, tradizionalmente a conduzione familiare, fu fondata a Epernay nel 1895 da Charles Gardet e successivamente trasferita negli anni ‘30 dal figlio Georges a Chigny les Roses, un villaggio Premier Cru nel cuore della Montagne de Reims. Champagne Lepreux, Penet Bulles Noires Grand Cru. Questa Cuvée Bulles Noires è l’omaggio alla

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Tasting Ex...Press: A taste of nature. In Champagne da nord a sud domenica 7 aprile 2019 14:00 • 15:30 Sala Orchidea - Palaexpo, ingresso A1 (piano -1) – Conduce: Carlo Rossi Organizzato da The Italian Wine Journal in collaborazione con Vinitaly

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Friuli di Giulio Bendfeldt

Torre Rosazza, la zampata friulana del Leone Una tradizione secolare nella viticoltura, e dal 1979 in poi grande attenzione al nuovo. Ovvero, rinnovare vini dalla forte identitĂ esaltandone tutte le caratteristiche e le potenzialitĂ . Partendo dal Merlot

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i sono davvero pochi posti al mondo dove la Storia con la S maiuscola si incrocia così tante volte con la storia minuta, quella fatta del lavoro quotidiano, della vita di tutti i giorni di popolazioni che, generazione dopo generazione, pensano soltanto a tirare avanti nel miglior modo possibile. Uno di questi posti sono i Colli Orientali del Friuli, sull’odierno confine italo-sloveno (diventato finalmente un confine pro-forma dopo l’ingresso di Lubiana nell’Unione europea), un confine spostato a colpi di gladio, lancia e cannoni innumerevoli volte dall’Impero romano ad oggi. In qualche caso stravolgendo completamente la società, sovrapponendo brutalmente nuova gente a quella pre-esistente; altre volte, scivolando via come una tempesta d’estate che sale dall’Alto Adriatico. Il tutto in sessanta miglia, dalle Alpi al mare, per dirla

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con Ippolito Nievo che di queste parti, della piccola Patria compendio dell’Universo, conosceva tutti i cantoni. Questa storia entra prepotentemente anche in Torre Rosazza, dal 1979 tenuta di proprietà di Genagricola, attraverso più famiglie nobili proprietarie di questo belvedere che domina la congiunzione di due anfiteatri naturali alle spalle di Manzano. Una storia dai tratti singolari – ad esempio fu uno degli ultimi posti di comando dei Cosacchi russi del grande atamano Krassnoff nella parte finale della seconda guerra mondiale; fu fonte di sostentamento per la Casa secolare delle Zitelle di Udine; e fu pesantemente danneggiata dal terremoto del 1976 – che rende questi 110 ettari sotto il controllo del Leone di Trieste (90 quelli destinati a vigneto) uno dei lembi più affascinanti di questa parte, meravigliosa, del Friuli che si fonde col Goriziano. Torre Rosazza è ubicata nel cuore dei Colli

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Orientali del Friuli, all’interno della sottozona di Rosazzo; la tenuta vanta un’esposizione ideale delle vigne che, situate a un’altitudine compresa tra i 100 e i 250 metri sul livello del mare, arrivano alla maturazione perfetta delle uve di autoctoni di forte riconoscibilità. Le vigne di Torre Rosazza affondano le radici in un terreno composto principalmente di

marne e arenarie, ideali per la viticultua. Sin dall’avvio della nuova tenuta, in Genagricola si è pensato a come innovare pur restando nella tradizione attraverso un uso più preciso delle tecnologie, l’attenzione alle diverse potenzialità delle singole parcelle del grande vigneto, un lavoro in cantina di

Blanc di Neri Metodo Classico VSQ Schioppetino, o Ribolla Nera; schioppetino per la croccantezza della sua buccia o per la naturale acidità malica che lo porta a fermentare facilmente, a diventare naturalmente frizzante, ed a far stappare la bottiglia autonomamente. Comunque sia, un autoctono – le prime citazioni risalgono al 1200 - che non può uscire dalla provincia di Udine e che è alla base di questo metodo classico. Un blanc de noirs, dato che è un’uva a bacca rossa, o per dirla in friulano, un “blanc di neri”. Una chicca enologica e produttiva per esaltare il genius loci, per affermare ancora una volta quanto questa zona del Friuli possa regalare in termini di uve e di vino. Anche in questo caso vendemmia naturale, vinificazione in bianco, utilizzo del solo mosto di sgrondatura. Dopo la prima fermentazione inizia la rifermentazione in bottiglia che si protrae per oltre 18 mesi. Il colore è giallo dorato brillante; il profumo è decisamente intenso e suadente, con netti sentori di piccoli frutti e nuances di chiodi di garofano. Al palato risulta pieno e deciso, con richiami speziati tipici dell’uva; finale molto persistente.

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1987, tra le vigne di Torre Rosazza nasce l’idea di produrre un vino diverso rispetto a quanto proponeva, appunto, la tradizione locale. Così diverso da chiamarlo “l’Altromerlot”, probabilmente il primo vino friulano ad essere lungamente affinato in barrique di rovere francese, “altro” appunto dal merlot che si poteva assaggiare a quel tempo. Venti annate dopo, l’Altromerlot è diventato uno standard di eleganza indiscusso e rimane ancora “altro” come segno di

Ribolla Gialla Friuli Colli Orientali DOC La Ribolla Gialla è uno dei principali vitigni coltivati nei vigneti di Torre Tosazza: dei 90 ettari vitati di proprietà dell’Azienda, ben 17 sono dedicati alla produzione di questo vitigno – di gran lunga più dell’altro vitigno a bacca bianca tipico di queste terre, il Friulano (già Tocai) - costituendo con tutta probabilità la maggior estensione di Ribolla Gialla dei Colli Orientali del Friuli. La scelta non è casuale del resto: le prime citazioni relative all’esistenza di un vitigno chiamato “Robiola” o “Rebula”, nelle zone di lingua slovena, risalgono ad oltre 700 anni fa, e la coltivazione di quest’uva occupava una buona parte del Friuli Orientale e si estendeva anche oltre gli attuali confini italiani. Ma è quando affonda le radici nella “ponca”, il particolare terreno che si trova nei Colli Orientali del Friuli, che la Ribolla Gialla si esprime ai massimi livelli, dando vita a vini caratterizzati da sentori fini, delicati, con profumi floreali ed una piacevole acidità. Per questo motivo Torre Rosazza ha deciso di dedicare tante attenzioni a questo vitigno: perché sulle colline di Oleis la Ribolla riesce a caricarsi di intensità e personalità e a trarre dal suolo una intrigante mineralità come raramente succede in altri territori. L’’esperienza, la capacità di osservazione e la conoscenza del territorio maturate in oltre 40 anni di attività “sul campo” in quest’azienda, hanno permesso agli agronomi di identificare tre appezzamenti nel vasto parco a disposizione di Torre Rosazza ideali per la coltivazione di quest’uva. 9 ettari si trovano nella zona più a nord della tenuta, nel punto più alto dell’Azienda, con esposizione a sud. Altri 6 in zona collinare, ma ad un’altitudine più bassa e ancora altri 2 in una delle zone più pianeggianti, dove nelle estati più calde la ribolla può mantenere la freschezza che la contraddistingue.

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Friuli

maggior cura per arrivare a vini eleganti, identificativi dei Colli friulani, capaci di far esaltare nel bicchiere la ricchezza di queste terre antiche. Primo step, prima testimonianza di questo cambio di passo, è stato però un vitigno internazionale, molto diffuso nel Nordest d’Italia, ma anche lavorato senza metterci troppo impegno – non necessario per fare un vino semplicemente da tavola - senza considerare il suo alto lignaggio bordolese: il merlot. Nel


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un’attenzione particolare, senza compromessi e senza interruzioni che dal vigneto arriva fino in tavola. I grappoli vengono selezionati già in vigneto e vendemmiati manualmente. Vinificazione in acciaio, a temperatura controllata, con contatto del mosto sulle bucce per 8/10 giorni. Segue completa fermentazione malolattica e poi l’ affinamento in barrique di rovere di Allier, che si protrae almeno per 24 mesi. Rosso rubino intenso e vivace. Al naso si spande in profumi delicati di piccoli frutti a bacca rossa e mirtilli, per poi richiamare sentori di muschio e bosco. In bocca si avvertono immediatamente potenza e caratteristiche del vino, di cui l’eleganza è l’attributo più evidente. Riempie il palato con la sua morbidezza e richiama la confettura di frutti rossi, per poi evolvere in sentori discreti di legno. Lunga la persistenza.

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Genagricola Genagricola prende vita nel 1851 grazie all’investimento nel settore agricolo di Assicurazioni Generali con l’acquisizione della tenuta Ca’ Corniani: una vasta area paludosa e malarica di 1.700 ettari di terreno, vicino a Caorle, in provincia di Venezia, tuttora la più grande ed estesa bonifica compiuta in Italia da un soggetto privato. Oggi il Gruppo Genagricola, holding agroalimentare di Generali Italia, è la più grande azienda agricola italiana. Si compone di 23 aziende in Italia e 2 all’estero, per un totale di 13.000 ettari coltivati. Quattro sono le aree in cui opera: allevamento, colture erbacee, produzione di energia rinnovabile e viticoltura. Quest’ultima comprende sette cantine in Italia (con i marchi Borgo Magredo, Bricco dei Guazzi, Costa Arènte, Gregorina, Poggiobello, Solonio, Tenuta Sant’Anna, Torre Rosazza, Vineyards V8+) e una in Romania (Dorvena).

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Sannio di Elisabetta Tosi

Sannio Falanghina, città del vino europea 2019 Cinque Comuni del Beneventano alzano la bandiera della tradizione enologica del Vecchio Continente. Un terroir che merita un viaggio

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e mai avete pensato di fare un viaggio in Campania, questo è l’anno giusto. Per tutto il 2019 la Città del Vino Europea non sarà un singolo Comune, ma ben cinque: quelli del Sannio Falanghina, cioè del territorio formato dai paesi di Castelvenere, Guardia Sanfra-

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mondi, Sant’Agata dei Goti, Solopaca e Torrecuso. È infatti nella provincia di Benevento che si concentra oltre la metà dell’intera produzione viticola campana, che è soprattutto bianchista e dominata proprio dal vitigno Falanghina. La vite in Campania è antecedente all’arrivo dei Greci: ciò che questi ulti-

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Sannio climi, altitudini molto diversi tra loro. Per limitarci al solo Sannio Beneventano, che si stende su poco più di 2000 km quadrati, le altitudini vanno dai 22 m/slm a più di 1800, e anche se i terreni sono in genere di tipo argilloso-calcareo, non mancano gli inserti di origine vulcanica. Una variabilità che finisce per riflettersi anche nel carattere dei vini, e che rappresenta uno dei principali elementi di interesse della produzione enologica dell’area. Qui su 12 mila ettari coltivati a vigneto lavorano ben 7900 imprenditori viticoli, ma sono appena poco più di 150 le aziende che trasformano, di cui tre sono cantine cooperative; ogni anno si producono circa 1 milione di ettolitri di vino. mentre le tipologie di vini sono 60. Le zone a denominazione d’origine controllata sono solo due (Sannio e Falanghina del Sannio), una la DOCG (Aglianico del Taburno) e una l’indicazione geografica (Benevento o Beneventano). No-

mi portarono in Italia fu un diverso sistema di coltivazione. Mentre i Latini prediligevano l’impianto della vite con tutore vivo (gli alberi), i Greci diffusero l’uso del palo, detto “falanga”. È da questo, ritengono gli studiosi, che deriva il nome del vitigno. E fu sempre in Campania che, in un certo senso, nacquero le prime denominazioni d’origine, perchè da qui partivano i celebri Falerno, Caleno, Cecubo e Faustiniano, tanto apprezzati dagli imperatori romani e decantati dai poeti. Oggi la regione conta una quindicina di zone a denominazione d’origine controllata, 4 DOCG e alcune indicazioni geografiche protette: una ricchezza giustificata non solo da zone famose in tutto il mondo e paesaggisticamente memorabili (basti pensare alla Costa amalfitana, all’area Vesuviana o alle isole di Ischia e Capri), ma soprattutto da circa 40 mila ettari vitati che insistono su terreni, vitigni, micro-

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Sannio

nostante la ricchezza ampelografica che caratterizza tutta la regione, ai giorni nostri la fama del Sannio è legata a pochi vitigni, quasi tutti autoctoni e per lo più bianchi: la Falanghina, il Greco, la Coda di Volpe, il Fiano, la Malvasia. Tra i rossi, il più importante è sicuramente l’Aglianico, ma è bene ricordare anche il Piedirosso (noto anche come Per ‘e palummo, piede di piccione), la riscoperta Barbera del Sannio, lo Sciascinoso, e perfino il Sangiovese. Un marchio da oltre 80 milioni di euro Considerata tra le più antiche varietà campane, la Falanghina coltivata in provincia di Benevento è una varietà distinta da quella diffusa nei Campi Flegrei, e oggi è considerata una delle denominazioni d’origine più famose anche tra i consumatori: nella classifica dei marchi a denominazione d’origine in Italia è al 20 esimo posto, e il suo valore è stato stimato in qua-

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si 89 milioni di euro. Il successo di quest’uva risiede nel suo essere generosa, versatile, flessibile, capace di dare vini piacevoli e mai banali in vesti diverse: da quella più fresca a quella spumante, da quella invecchiata a quella passita. Non c’è quasi cibo che non sappia accompagnare, può abbinarsi perfino alla pizza. L’importante, come sempre, è mettere in tavola il vino giusto: una scelta cui potrà dare un importante contributo lo studio sulle caratteristiche delle varie sottozone di questa DOC. La cantina: Mustilli Se oggi la Falanghina è diventata un sinonimo dell’eccellenza bianchista del Sannio, lo deve innanzitutto ad un ingegnere-vignaiolo: Leonardo Mustilli, scomparso nel 2017. Fu lui che per primo nel 1976 decise di nobilitare quel vitigno - fino ad allora utilizzato in distilleria - , vinificandolo e imbottigliandolo

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Sannio in purezza. Una scelta controcorrente e coraggiosa, perchè negli anni ’70 la Campania era nota solo come zona di produzione di vini da taglio, da vendere all’ingrosso: la realtà era che nemmeno i contadini sapevano quali uve si trovassero nei propri vigneti. Il suo esempio - la vinificazione di una singola uva in purezza anziché in blend - fu presto seguito da altri, e oggi non c’è praticamente cantina beneventana che non produca Falanghina al 100%. L’eredità di Leonardo è portata avanti dalle figlie Anna Chiara e Paola, con la collaborazione dell’enologo Fortunato Sebastiano: per chi vuole respirare un po’ di storia autentica di questa parte della Campania, la cantina Mustilli, posta in un antico palazzo nobiliare nel centro del suggestivo paese di Sant’Agata dei Goti, è una tappa obbligata per l’appassionato di vini come per il semplice turista.

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Food&Wine di Enzo Russo

I formaggi Latteria di Soligo al top dell’alta qualità A tavola con le bollicine di Lambrusco Gavioli

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un vero gioiello di tecnologie “arredato” con macchinari all’avanguardia. Ogni giorno i 350 soci dislocati nelle diverse provincie del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, gli conferiscono 2.000 quintali di latte di alta qualità che viene lavorato dai professionisti dell’arte casearia con amore e passione. Stiamo parlando della Latteria di Soligo, una delle più antiche e importanti aziende lattiero-casearia veneta, ma non solo, situata nella provincia di Treviso sulle pendici del colle di Soligo a pochi chilometri da

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Conegliano. Fondata nel 1883 da alcuni allevatori, la Latteria è da sempre un importante punto di riferimento per la produzione dei formaggi e di altri derivati dal latte, che sono l’espressione più autentica dell’arte casearia veneta. “Noi facciamo dei buonissimi formaggi”, dice il Presidente della Latteria di Soligo Lorenzo Brugnera, “perchè da sempre prestiamo attenzione a tutta la filiera produttiva, dall’alimentazione delle bovine fino alla trasformazione in caseificio. Siamo impe-

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Food&Wine chino e tanti altri prodotti, come il latte fresco, lo yogurt, la mozzarella stg, la panna e altre specialità che quotidianamente vengono consumate nel nostro territorio e fuori”. Vediamone alcuni di questi “celebri” formaggi che da regionali sono diventati nazionali/internazionali soddisfacendo molti palati raffinati, buon gustai che amano avere il cacio a tavola. Sono formaggi che donano al palato sapori unici. Barricato al Pepe. La lunga vicinanza al pepe (almeno dodici mesi), insieme alla particolare temperatura e umidità che si creano nel buio della barrique di stagionatura, donano a questo formaggio la sua bella crosta color grigio antracite e un carattere unico. In un tagliere di formaggi può essere un’eccellente chiusura, magari abbinato ad una mostarda, ma può essere utilizzato anche per donare sapore e carattere unico ad un piatto. Antiche tradizioni, il “mestiere” del mastro casaro unito a quelle del maestro affinatore, danno vita all’Imbriago. Un tipico formaggio veneto che la Lat-

gnati affinchè la filiera cresca, sia in valore sia in efficienza, mirando ad un aumento considerevole della produzione di latte di Alta Qualità grazie anche al supporto tecnico scientifico che ci viene fornito dall’ Università di Padova”. Alla completa gamma di latte (compresi il Latte Alta Digeribilità, il Biologico e il Latte a marchio QV, un latte di qualità superiore ricco di preziosi Omega 3 si unisce una ricca gamma di formaggi, dai freschi ad una ricca scelta di formaggi stagionati e affinati. “In questi anni”, continua il presidente, “ la Latteria è riuscita ad esprimere, attraverso ricerche e sperimentazioni, formaggi di alta qualità che oggi fanno parte del nostro patrimonio lattiero-caseario. Sono venduti nelle più importanti “piazze” italiane ed estere e sono gustati dai palati più raffinati, nei ristoranti e nelle principali boutique dei formaggi. Nella nostra azienda vengono fatti 30 tipicità di formaggi, come l’Asiago dop, il Montasio dop, il Soligo selezione Oro , il Formajo inbriago, lo Strac-

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Food&Wine Antonio Giacobazzi patron del Gruppo Donelli vini.

latteria trevigiana. Si conserva nel tempo ed è di media e lunga stagionatura. Le forme pesano Kg. 5,500. Il formaggio fresco si può assaporare dopo 60 giorni, poi c’è quello mezzano che va dai 6 agli 8 mesi il cui sapore è più sapido, i profumi sono più intensi e la pasta è più consistente ed infine, la “Selezione oro”, che va dai 12 fino ad arrivare ai 24 mesi, ha caratteristiche quasi da grattugia e una forte personalità nei sapori, non diventa piccante è profumato e si può gustare a fine pasto accompagnato da fresche insalate, oppure da un miele al castagno, dall’Aceto Balsamico di Modena o da una marmellata di pesche.

teria Soligo ha saputo reinterpretare con successo grazie alla collaborazione con l’Istituto Enologico Cerletti di Conegliano, la più antica scuola enologica d’Europa. Dopo un’iniziale stagionatura il formaggio viene lasciato a riposare almeno sessanta giorni nel vino. Due le versioni, Imbriago al Manzoni Bianco Monovitigno e Imbriago Cabernet Monovitigno. Sapore deciso, aromatico, lievemente piccante sono le caratteristiche di questi formaggi che sicuramente sapranno stupire.

VINO E FORMAGGIO Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro e poi hanno anche una storia in comune. Li unisce l’appartenenza ad un territorio ben specifico che determina le loro caratteristiche. Inoltre sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazio-

SOLIGO SELEZIONE ORO. È un formaggio a pasta cotta dove il latte viene riscaldato oltre i 42° e rappresenta la tipica produzione di formaggi della The Italian Wine Journal

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Food&Wine

ne alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c’è la maturazione, la stagionatura per il formaggio e l’invecchiamento per il vino. In questo caso vi proponiamo due formaggi della Latteria di Soligo accompagnati da altrettanti importanti vini. Con il Soligo selezione Oro, un formaggio che ha caratteristiche quasi da grattugia e una forte personalità nei sapori, un vino dell’Antica Cantina Gavioli – Nonantola (Mo), un Lambrusco doc di Modena a rifermentazione Ancestrale, 100% Lambrusco di Sorbara dal sapore secco ma pieno, il profumo è fruttato e floreale, con sentori di brioche, la spuma è fine e cremosa. S presenta con un colore è rosso rubino con riflessi granati. Barricato al pepe. Si sposa felicemente con il Lambrusco Metodo Classico, 36 mesi. È un Sorbara in purezza vinificato in bianco dal perlage fine e persistente, si presenta con un colore giallo paglierino, profumo minerale con sentori di crosta di pane, il corpo ben strutturato,con delicati aromi, equilibrata freschezza e di lunga persistenza. La spuma presenta un perlage fine e persistente. INFORMAZIONI Latteria di Soligo sas Via I° settembre 32 31020 Soligo (Tv) www.latteriasoligo.it RINGRAZIAMENTI Si ringrazia per la degustazione dei vini la Cantina Gavioli che fa parte del Gruppo Donelli Vini Viale Carlo Sigonio 54 41124 Modena www.donellivini.it

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Vigna del Gallo”, piantate 195 viti per la rinascita del vigneto urbano dell’Orto Botanico di Palermo

ono 195 le viti piantate nello spazio dell’Orto Botanico di Palermo destinato alla “Vigna del Gallo”. È un nuovo passo in avanti per il progetto dell’Università di Palermo e del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia, che con la “Vigna del Gallo” punta a ricreare un vigneto nel meraviglioso spazio naturale dell’Orto Botanico. Le 195 viti portainnesto sono state piantate dai tecnici dell’Orto Botanico seguendo uno schema che riproduce i filari dei vigneti. A luglio saranno innestate con vitigni autoctoni siciliani che produrranno nei prossimi anni uva e consentiranno anche una micro vinificazione. Il progetto della “Vigna del Gallo” è coordinato dal professor Paolo Inglese, direttore del Centro Servizi Sistema Museale dell’Università di Palermo, che ha sottoscritto un accordo di collaborazione scientifica con il Consorzio di tutela vini Doc Sicilia. Le fasi esecutive sono seguite dal direttore dell’Orto Botanico, il professor Rosario Schicchi, e dal curatore, dottor Manlio Speciale. «Far rinascere la “Vigna

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del Gallo” e coltivare le varietà diverse di viti siciliane nell’Orto botanico di Palermo, istituzione tra le più prestigiose in Italia, è una grande testimonianza dell’importanza che attribuiamo alla conservazione della biodiversità nella nostra Isola», commenta Antonio Rallo, presidente del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia. «Piantare in questo spazio naturale unico le specie reliquie siciliane, quindi le cultivar indigene riscoperte, ha il significato forte di legare la vite, che è stata ed è la parte principe della nostra agricoltura, ad un posto storico della nostra terra – aggiunge Laurent Bernard de la Gatinais, componente del Cda del Consorzio vini Doc Sicilia –. I visitatori dell’Orto Botanico avranno l’opportunità di soffermarsi sulla bellezza del luogo e di vedere cosa siamo riusciti a fare con un pezzi di storia della Sicilia». L’idea di far rivivere la “Vigna del Gallo” riporta alle origini dell’Orto Botanico, fondato nel 1789: il terreno, acquistato dalla Regia Accademia degli Studi di Palermo nel piano di Sant’Erasmo, è appar-

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tra le più importanti istituzioni accademiche italiane. Considerato un enorme museo all’aperto, l’Orto Botanico vanta oltre duecento anni di attività: è stato luogo di studio e diffusione, in Sicilia, in Europa e in tutto il bacino del Mediterraneo, di innumerevoli specie vegetali, molte originarie delle regioni tropicali e subtropicali. La peculiarità dell’Orto Botanico è rappresentata dalla grande varietà di specie ospitate che ne fanno un luogo ricchissimo di espressioni di flore diverse.

Consorzio del Lugana: arriva Ettore Nicoletto

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ttore Nicoletto, 55 anni, laurea in Economia e Commercio conseguita a Cà Foscari, dal 2008 Amministratore Delegato di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, è il nuovo Presidente del Consorzio di Tutela del Lugana DOC, una delle denominazioni emergenti del panorama vitivinicolo nazionale. Ettore Nicoletto ha iniziato a lavorare nel mondo del vino sin dagli anni Novanta: è Vicepresidente del Gruppo vini di FederVini ed ha guidato nel recente passato per ben due mandati “Italia del Vino-Consorzio” (una delle maggiori realtà italiane votate all’internazionalizzazione del settore e che raggruppa i maggiori player nazionali); è Amministratore Delegato di Cà Maiol, cantina-icona del Lugana, entrata a far parte del mosaico enologico del Gruppo di Fossalta di Portogruaro (VE) nell’autunno del 2017. «È una grande responsabilità assumere questa carica – sottolinea il neopresidente – ed un grande onore. Il Lugana è un vino bianco emergente, che ha saputo riscuotere un grande successo in Italia ed in Europa, e che ora è atteso dalla sfida ancora più impegnativa della sua definitiva internazionalizzazione, attraverso lo sbarco in nuovi mercati nel mondo. Dalla sua, il Lugana ha la forza di un territorio eccezionale per la vitivinicoltura – la gronda meridionale del Lago di Garda –, una delle più belle mete per i winelover; ha il retaggio e lo spirito imprenditoriale dei suoi produttori, ha il fascino di un vitigno autoctono e, soprattutto, ha la grande eleganza e ricchezza che caratterizzano questo vino rendendolo un abbinamento perfetto a moltissime cucine regionali ed internazionali. Metterò a disposizione la mia esperienza, maturata in decenni di lavoro nel mondo, per portare il Lugana là dove merita, attraverso una crescita equilibrata, rispettosa del territorio, improntata

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alla sostenibilità. Il Lugana, per le qualità organolettiche che lo caratterizzano, si presenta come la scelta perfetta del consumatore di oggi, giovane e attento, che cerca un prodotto fresco, fragrante, approcciabile, moderno. Il suo stile piacevole e contemporaneo lo rende, potenzialmente, uno dei grandi vini bianchi del futuro.» Il comparto Lugana DOC ha chiuso il 2018 con un deciso segno “più” registrando un trend di crescita che va oltre l’8,6% a valore rispetto all’anno precedente, per un totale di bottiglie prodotte che superano i 17,5 milioni. Il vigneto Lugana ha superato nel secondo semestre 2018 i 2.200 ettari di superficie (di cui il 12% in Veneto e l’88% in Lombardia). La quota export della denominazione è pari al 70% della produzione complessiva. Assieme ad Ettore Nicoletto, il nuovo Consiglio del Consorzio di Tutela del Lugana DOC vede Igino Dal Cero, Francesco Montresor, Nunzio Ghiraldi e Luca Formentini (Imbottigliatori); Emanuele Urbani, Sonia Brunello, Francesco Franzoni, Marida Benedetti (Viticoltori); Francesco Mascini, Alberto Zenato, Roberto Girelli e Piergiuseppe Crestani (Vinificatori).

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tenuto al duca Ignazio Vanni d’Archirafi. L’Orto Botanico è nato come sede su un baluardo dove prima si conservava la polveriera pubblica della città; ben presto, lo spazio a disposizione si rivelò angusto e inadeguato alle esigenze didattiche che erano in costante sviluppo. Qualche anno dopo la sua fondazione, per la nuova sede dell’Orto Botanico si individuò il piano di Sant’Erasmo e una porzione delle terre della “Vigna del Gallo” L’Orto Botanico dell’Università di Palermo è una


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Albino Armani confermato alla guida del Consorzio Vini delle Venezie DOC

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nizia la seconda era del Pinot grigio Stile Italiano: con l’elezione del primo Consiglio a 21 componenti (6 per Friuli Venezia Giulia e 6 per Trentino, 9 per il Veneto) e la rielezione di Albino Armani alla presidenza, la DOC Triveneta conferma il percorso di crescita nel segno della continuità, nella valorizzazione di un prodotto-territorio che ha ancora molto da raccontare ai consumatori di tutto il mondo. “Accolgo la sfida che porteremo avanti insieme al nuovo CdA sviluppando un progetto nato 2 anni fa e che ha già registrato risultati molto significativi – ha sottolineato il Presidente appena rieletto -Ringrazio i Consiglieri fondatori del Consorzio con i quali ho condiviso l’avvio di un percorso che rappresenta un capitolo molto importante nella storia della Viticoltura del Paese, perché il Pinot grigio è il vino italiano per eccellenza a livello mondiale. Siamo consapevoli della responsabilità che ci siamo assunti; questa denominazione ha un grande potenziale da esprimere. Si inizia a parlare in modo nuovo e diverso di questo grande vitigno, un patrimonio che dobbiamo difendere e valorizzare, radicandolo con un’identità forte in Italia, e nel Triveneto in particolare”. Con l’insediamento del suo primo Consiglio elettivo, il Consorzio Vini delle Venezie DOC entra nella piena operatività. Nella fitta agenda di lavoro dei nuovi amministratori, tra le priorità – oltre allo sviluppo delle azioni promozionali e di valorizzazione della denominazione - c’è la conclusione della procedura di riconoscimento della DOC a livello europeo, l’affinamento degli strumenti di controllo e gestione

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del potenziale produttivo. L’ampia rappresentanza territoriale del nuovo CdA faciliterà l’espressione delle diverse realtà produttive in una sintesi che costituisce la forza dell’inedito progetto delle Venezie, capace di costruire un’identità di territorio ampia, in grado di proporsi come riferimento Italiano del Pinot grigio a livello globale. È nostra intenzione che il “concetto delle Venezie”, con il suo vino, i suoi prodotti tipici e la cultura espressa dalle tradizioni, proponga l’idea di un territorio e di una denominazione capace di esprimere qualità e al contempo emozioni forti, autentiche e durevoli” ha concluso Armani. La DOC “delle Venezie” interessa tutta l’area nord-orientale dell’Italia, includendo i territori amministrativi delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto e della provincia autonoma di Trento. In termini di numeri, l’85% della produzione italiana di Pinot grigio, prima al mondo per volume, viene prodotta nel Triveneto dove nel 2017 sono stati raggiunti 24.500 ettari vitati.

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illumina Selinunte grazie al vostro aiuto.

Più di un milione di consumatori hanno già comprato e gustato i vini Settesoli contribuendo alle prime opere di valorizzazione del Parco Archeologico di Selinunte. Abbiamo illuminato le antiche mura, ma c’è tanto altro da fare. Vai su www.settesolisostieneselinunte.it e aiutaci ancora a sostenere Selinunte. PARTNER

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Umbria di Elisabetta Tosi

Il vino ritrovato: il Sagrantino di Montefalco

Molto famoso, molto apprezzato, poco diffuso: oggi va fatto riassaggiare perché è cambiato. In meglio

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un laboratorio in pieno fermento, nel quale ogni azienda cerca la sua identità. Si prova di tutto, dagli affinamenti nei contenitori più diversi dalle anfore ai tank tronco conici) alle macerazioni (lunghe, lunghissime, corte, cortissime), con rimontaggi o senza. Ma sempre, sempre la sua caratteristica distintiva salta fuori, inconfondibile: il tannino. Chi, nei lontani anni ’90, ha avuto la ventura di assaggiare qualche Sagrantino di Montefalco, lo ricorda bene: un vino potente, con un’astringenza indomabile, in-

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teressante ma tutt’altro che facile da bere. Da quei giorni sono passati una trentina d’anni, vendemmia più, vendemmia meno, e molte cose sono cambiate. I vigneti sono cresciuti, e con essi i produttori, che a forza di prove ed errori hanno imparato a gestire il vitigno autoctono più tannico d’Italia, a livello agronomico ed enologico. Fondamentali a questo proposito sono state le esperienze dell’azienda Arnaldo Caprai, realizzate negli anni ’80 con la consulenza dei prof. Attilio Scienza dell’Università di Milano e la collaborazione dell’enologo Leonardo Valenti.

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Umbria

“Questa è la parte che riguarda il nostro periodo di ricerca dagli anni ’80 fino ad oggi - spiega lo stesso Marco Caprai mostrando il vigneto davanti alla cantina - Volevamo capire il comportamento del Sagrantino in diverse forme di allevamento: abbiamo la lira, il cordone speronato, il guyot, perfino l’alberello, che era diffuso nella zona di Montefalco fino all’arrivo della fillossera alla fine dell’800. È un vigneto con portinnesti diversi, e riassume un po’ tutte le sperimentazioni fatte qui a Montefalco sul Sagrantino”. Grazie all’impegno di Caprai, da piccola varietà d’antichissime origini, apprezzata in loco ma sconosciuta alla maggior parte del mondo, il Sagrantino cominciò a interessare un numero crescente di consumatori e ad attrarre l’attenzione anche della critica internazionale. Oggi è uno dei vini rossi italiani più apprezzati, ma ancora poco diffuso: per questo va fatto scoprire (ai consumatori più giovani) e riscoprire a chi già lo conosceva, ed è rimasto fermo al ricordo di un vino quasi imbevibile.

“Il nostro sforzo principale come Consorzio è quello di far riassaggiare alla gente il Sagrantino, perchè il vino di oggi è molto diverso da quello che tanti appassionati o addetti ai lavori hanno assaggiato nel momento del boom, 15-20 anni fa, quando probabilmente erano rimasti intimoriti dalla potenza tannica di questo vino - dice il produttore Filippo Antonelli, proprietario dell’azienda Antonelli San Marco e attuale presidente del Consorzio Vini Montefalco - Oggi i Sagrantino sono molto più bevibili, pur avendo conservato la loro complessità”. La manifestazione “Anteprima Sagrantino”, che si tiene ogni anno in febbraio, ha appunto questo scopo: presentando la nuova annata del Sagrantino di Montefalco DOCG (quest’anno era la 2015), si fa il punto della situazione sullo stato di salute della denominazione. Il quale, nel complesso, è molto buono: sia il Sagrantino DOCG (che si estende su 750 ettari di vigneti) sia il Montefalco Rosso stanno crescendo (ad oggi si producono circa 1 milione e mezzo di bottiglie del primo, e 2 milioni e 400 mila del secondo), e anche sul fronte bianchista non mancano le soddisfazioni.

I numeri della denominazione

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anni: sono la piazza di riferimento, dove si trova anche la stampa di settore più influente e di riferimento anche per i mercati asiatici, e dove i consumatori si dimostrano più curiosi e aperti alle novità. Quanto al Vecchio Mondo, negli ultimi anni la Germania sta mostrando qualche segno di stanchezza, mentre Svizzera e Inghilterra continuano ad essere fedeli a questo rosso così particolare. Lo stesso dicasi dei Paesi Scandinavi: da quando il Sagrantino di Montefalco ha abbandonato certe morbidezze eccessive, determinate da residui zuccherini troppo alti, le persone hanno iniziato a trovarlo interessante. A proposito di zuccheri: e il Sagrantino Passito? Il vino della tradizione, quello che i montefalchesi stappano per abbinarlo a piatti di carne d’agnello e alla torta pasquale, ha dovuto negli anni cedere il passo alla sua versione secca; attualmente rappresenta solo il 3% della DOCG totale.

All’interno della DOC Montefalco la produzione di vini bianchi copre il 12,5% della denominazione (dati 2018), con il Montefalco Grechetto DOC che da solo rappresenta il 10% (pari a 300 mila bottiglie), mentre il Montefalco Bianco DOC prende il resto, ma i ritmi di crescita sono alti. Anche il Trebbiano Spoletino (100 mila bottiglie/ anno ad oggi) sta crescendo bene: “Essendo più facile da approcciare, questo vino sta riscuotendo un grande successo - dice Antonelli - Ed è una grande cosa avere a disposizione due vitigni autoctoni, uno bianco e uno rosso, quasi esclusivi del territorio, su cui lavorare”. Se poi al principe dei rossi umbri si accompagna una corte di vini meno impegnativi, come il Sangiovese, il Montefalco rosso e i vini bianchi prima citati, ecco che è possibile accontentare platee più vaste di appassionati, offrendo offrire vini anche meno impegnativi sotto tutti i profili, compreso quello dei prezzi. Nel frattempo, del vitigno Sagrantino è innamorato più di un produttore estero: in America sono già una decina di cantine che hanno deciso di piantarlo, e almeno altre trenta in Australia. Proprio gli Stati Uniti del resto sono il mercato di esportazione più interessante e nel quale il Consorzio sta investendo più tempo e risorse, negli ultimi

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Giocare in casa Quando si vogliono conquistare nuovi consumatori, per una denominazione non c’è nulla di più efficace del portare le persone direttamente sui luoghi di produzione. Spentasi la psicosi del terremoto, che ha tenuto turisti e visitatori lontani dall’Umbria per

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due anni di seguito, nel 2018 finalmente i flussi turistici sono tornati a crescere (quasi 2 milioni e 400 mila arrivi tra gennaio e novembre, con un incremento del 17,62% rispetto al 2017). Nella sola area del Sagrantino di Montefalco DOCG le presenze turistiche sono state 122.327, quasi 41 mila gli arrivi, per la maggior parte costituiti da italiani. In questo modo le persone hanno avuto la possibilità di conoscere (o riconoscere) ) il Sagrantino e gli altri vini: visitando cantine, imparando a berlo abbinato alle specialità gastronomiche del posto, e ovviamente comprandolo direttamente dal produttore. L’enoturismo è una carta molto importante per lo sviluppo di tutto il territorio: se nelle sue missioni all’estero, il Sagrantino è un testimonial rappresentativo, quando gioca in casa può contare su validi alleati, come lo stesso Comune di Montefalco e il Complesso Museale San Francesco. Insieme ad essi, il Consorzio di Tutela Vini Montefalco ha potuto rafforzare quel legame fatto di “Arte & Sagrantino”, che negli anni non solo ha visto realizzare numerosi progetti, ma soprattutto ha contribuito a cementare il rapporto tra cultura e produttori, rendendo questi ultimi attori di importanti iniziative, come la realizzazione dell’allestimento delle nuove cantine francescane.

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Un buon modo per festeggiare, tra le altre cose, anche un altro importante traguardo: i primi 40 anni di vita della DOC Montefalco.

L’annata 2015 Quella del 2015 è stata una grande vendemmia, con una produzione nella media del territorio, che ha portato in cantina uve a maturazione completa, uno stato sanitario ottimale e un buon profilo polifenolico e ottime. I presupposti erano quelli di un’annata come se ne vedono poche: inverno piovoso, primavera ventilata con elevata irradiazione solare, estate asciutta, calda e soleggiata. La poca umidità ha reso facile il controllo delle malattie. Le precipitazioni tra settembre e ottobre hanno poi riequilibrato il livello di acidità durante l’ultima fase di maturazione. I Sagrantino di Montefalco 2015 perciò presentano tutti i requisiti per diventare vini di grande struttura e complessità, equilibrati e con una notevole capacità di invecchiamento.

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Val d’Alpone di Bernardo Pasquali

I campi di Flavio PrĂ equilibrio e vertigine

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a storia di Flavio Prà, nasce tra le terre nere della vallata dell’Alpone. La sua infanzia profuma di mosto e di uva Garganega. Papà Sergio, sin dalla tenera età, lo ha accompagnato per mano attraverso le fredde stanze della cantina e sin dall’inizio lo ha reso partecipe del suo amore per la vigna e il vino. Flavio è un ragazzo tosto, curioso e appassionato, orgoglioso della propria storia. Una vita a doppia velocità, quella controllata e silenziosa tra la poesia delle grandi bottaie, dove il mosto si eleva a vino e quella più rock ‘n roll della sua

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giovane età. Flavio non ha mai lasciato nulla al caso e il suo desiderio di diventare un vero professionista del mondo del vino lo ha portato a frequentare corsi specialistici enologici presso la prestigiosa Università di Bordeaux. Esperienze che lo hanno sicuramente condizionato, soprattutto per quel che riguarda la ricerca del valore dell’eleganza e della tipicità delle sue produzioni. Sin da giovanissimo solca le più importanti cantine venete e italiane come consulente enologo e convince per la sua capacità di saper interpretare fedelmente i territori d’origine. Passione

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Val d’Alpone gne sono frazionate in base ai vini che produco. Dal fondovalle alle alte colline di 500 – 600 metri”. In tutto ciò Flavio ha comunque deciso di produrre in Valle di Illasi, una terra antica, ad est di Verona, che si eleva ripidamente verso i Monti Lessini. “Qui ho trovato l’essenza della mia idea di vino. L’eleganza della marna fossile di altura, la potenza dell’argilla mista ai ciotoli dei fondovalle”. Solo vigne di collina sia nella denominazione Soave che per i vini Valpolicella. Da un minimo di circa 300 mt, dove si colloca la cantina, Flavio continua la sua ricerca di equilibrio sin quasi a lambire i pascoli dell’altopiano della Lessinia. L’ultima vigna Campo dei Laghi si trova isolata su un pianoro di calcare a circa 650 metri. “Le uve che provengono dal vigneto Campo Marna 500 e da Campo dei Laghi sono semplicemente emozionanti per il valore aromatico e la ricchezza di elementi nobili per il vino”. A Flavio brillano gli occhi quando si lascia andare al racconto di questa sua impresa, tra le vertigini dell’altura, l’equilibrio e l’eleganza dei suoi vini. Proprio l’Amarone Campo Marna 500 è il suo vin de garde che rappresenta la sintesi del suo lungo percorso di ricerca della perfezione. Una caratteristica che si evince anche dall’Amarone della Valpoli-

e grande dedizione. In terra veneta e veronese, in modo particolare traspare la sua fiducia in un territorio di vitigni autoctoni, dove la storia e la tradizione affondano in epoca preromana. Oggi quelle colline, sono diventate la dimora del nuovo progetto I Campi. Una cantina che affonda le mura tra i sassi e i ciotoli della Valle di Illasi. Dieci anni di entusiasmo e di sogni che si avverano. Finalmente Flavio può presentare al mondo la sua abilità, il suo concetto di vino e la sua ferma interpretazione di un territorio che lo ha cullato sin dalla nascita. A Cellore di Illasi, prende forma l’idea di un uomo che non ha mai smesso di mettersi in discussione e che finalmente può trasferire i suoi valori in una bottiglia. Dopo avere esaltato e firmato numerosi vini dei suoi clienti, era giunto il tempo di chiudere il cerchio con la propria vita di vignaiolo ed enologo. “Ho messo nome semplicemente I Campi e, in etichetta, ho disegnato gli elementi che condizionano la vita della vigna: la terra e il sole. – Afferma Flavio Prà- È stato semplice. Da sempre ho cercato i territori migliori per i miei clienti e ho avuto l’opportunità di conoscere i suoli, le loro conformazioni, le rive e le vallate migliori per i vari tipi di vini. Per questo le mie vi-

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cella DOCG Campi Lunghi, plasmato tra le sassaie e le argille del fondovalle di Illasi. Da subito, il Soave Campo Vulcano, prodotto nell’arena nera di pietra vulcanica detta de La Ponsàra, nel comune di Monteforte d’Alpone, si è guadagnato i primi Tre Bicchieri nella guida del Gambero Rosso del 2008, diventando nel tempo uno dei migliori vini bianchi d’Italia. Dopo 6 anni di successi in guida con il Campo Vulcano, da quattro anni Flavio ha replicato con il suo Ripasso della Valpolicella Campo Ciotoli vincitore seriale dei Tre Bicchieri. Anche i professionisti degustatori di tutto il mondo hanno confermato questo successo; Decanter, Jancis Robinson, Whine Enthusiast. Flavio oggi è marito e padre; è rimasto quello tosto di un tempo, tra uva e motori, innamorato della sua terra e della sua famiglia. Il suo motto, “Ogni vino vuole la sua terra, io ho cercato The Italian Wine Journal

la terra”, è l’essenza della sua filosofia, della scintilla da cui tutto è nato. Non si lascia condizionare dai riconoscimenti ma è sempre alla ricerca della perfezione in bottiglia. Quell’equilibrio che trasforma la piacevolezza in armonia, la semplicità in eleganza, la passione in concretezza.

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Alto Adige

Rottensteiner: eredità di famiglia

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inque masi bolzanini, dieci ettari di vigneto, sessanta famiglie di coltivatori-conferitori, una tradizione che risale a cinquant’anni fa – iniziando da una piccola osteria di campagna, sopra l’abitato di Bolzano, coi tavoli sotto il portico rivolti verso il Catinaccio, avviata da “nonno” Hans : la famiglia Rottensteiner oggi cambia passo e punta con decisione al mercato. «Durante gli ultimi due anni – racconta Hannes, terza generazione alla guida della cantina - abbiamo riesaminato in modo approfondito il nostro marchio, i nostri valori fondanti e i nostri prodotti. Tradizione, legame con il territorio e trasparenza sono i valori con cui ci identifichiamo e che intendiamo veicolare esprimendo unicità ed eleganza». Questi i masi su cui poggia l’attività della famiglia Rottensteiner: Reinerhof: situato a un’altitudine di 450 m nel borgo di San Pietro, la zona classica del Santa Maddalena, il maso Reiter è il luogo dove tutto è iniziato; oggi in possesso del nipote Klaus, è esposto a sud-ovest, caratterizzato da terreni sciolti ed argillosi in gran parte porfirici, ospita vigneti principalmente di Schiava con Chardonnay e Pinot Nero. Hofmannhof: è il maso natale della giovane generazione Rottensteiner, curato dall’ultimogenita Silvia; le sue origini risalgono al 1600. Fu acquistato dalla famiglia Rottensteiner negli anni ’70. Si estende sia in pianura che in collina, ad un’altitudine compresa tra 270 e i 350 m. Le colline hanno un’esposizione che va da sud a sud-est con terreni sabbiosi e argillosi, prevalentemente porfirici, adatti alla varietà Schiava, mentre in pianura si trovano i classici terreni alluvionali della conca di Bolzano, ideali per il Lagrein. Kristplonerhof: è uno dei più vecchi masi dei dintorni di Bolzano (menzionato già attorno all’anno 1000), maso natale di Rosl Rottensteiner, gestito dalla primogenita Evi.

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Il maso era di proprietà del vescovo di Trento ed è situato a Guncina, ad un’altitudine di 300-400 m con un’esposizione sud-est. I terreni sono abbastanza argillosi e porfirici e le varietà coltivate sono Schiava, Gewürztraminer e Pinot Nero. Da questo maso nascono due vini speciali: l’omonima schiava nobile “Kristplonerhof” e il Gewürztraminer Passito “Cresta”. Premstallerhof: sebbene questo maso non faccia parte della proprietà di famiglia, tra i proprietari ed i Rottensteiner, c’è un legame molto forte. Il “Premstallerhof”, che si trova a Santa Maddalena, ad un’altitudine di 400 a 500 m., si caratterizza sia per la quantità (dovuta alle ampie dimensioni) che per la qualità della produzione. L’esposizione a sud-est e i terreni sciolti e porfirici danno vita ad uno dei primi vini della DOC, la selezione “Premstallerhof”, prodotta secondo i principi della biodinamica. Köfelehof: è lavorato da Hannes e Judith, da qui si gode di una bellissima vista sulla torre Druso, è la proprietà più giovane. I suoi vigneti sono divisi tra i comuni di Bolzano e Caldaro. Sulle colline di Bolzano si coltiva la Schiava, in pianura invece il Lagrein, mentre nei terreni di Caldaro, più calcarei, Gewürztraminer, Pinot bianco, Chardonnay e Pinot grigio.

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Vino & Motori di Enzo Russo

Renault Moschino Intens Clio TCe un piccolo gioiello vivace ed elegante

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a casa di moda milanese Moschino fa diventare più schic la Renault Clio Tce 75 cv. Le personalizzazioni firmate sono numerose: badge laterale, esclusiva Moschino sul volante, profili aeratori personalizzazioni esclusive Moschino per le modanature laterali nero lucido e per i retrovisori elettrici nero lucido. L’abbiamo provata e il nuovo motore “entry level” della piccola francese ci ha sorpresi, è ricco di pregi: cilindrata contenuta, tanta coppia, buona risposta ai bassi regimi, brio e silenziosità. La Clio Moschino è un auto che si fa subito ammirare per la sua linea dolce, un designer fresco, alla moda che certamente piacerà ad un utente giovane che ama guidare con brio, ben incollata alla strada, da sicurezza a chi la guida. L’abitacolo è elegante e ben rifinito con firma Moschino. Agevolata dal peso ridotto e da un parco motore equilibrato, nè sportivo ma nemmeno fiacco, Clio si guida intuitivamente in città, il suo “habitat” preferito. Si muove con agilità nel traffico cittadino ed è facile da parcheggiare. Ottima tenuta di strada anche tra le curve veloci e nei percorsi di campagna. Leggera nei cambi di direzione, stabile alle andature elevate e sempre reattiva di sterzo, la francesina assorbe senza protestare anche le imperfezioni stradali più minacciose. La Renault Clio TCe 75 CV Moschino Intens ha un prezzo chiavi in mano, dell’auto provata, di 18.550 euro, abbinato a una dotazione di serie interessante: 4 alzacristalli elettrici, bracciolo anteriore, cerchi in lega da 16”, climatizzatore automatico, cruise control,

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Easy Access System II (apertura/chiusura porte con sistema Keyless), fendinebbia, navigatore, radio Auxin Bluetooth DAB MP3 USB con comandi al volante, retrovisore interno fotocromatico, retrovisori ripiegabili automaticamente, sedile passeggero regolabile in altezza, sensore luci, sensore pioggia, sensori di parcheggio anteriori e posteriori con retrocamera e volante in pelle. La dotazione di sicurezza comprende airbag frontali, laterali e a tendina, assistente alle partenze in salita, attacchi Isofix e controllo pressione pneumatici. Il cambio manuale è a 5 marce, il consumo medio è di 19 km/l.

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Cilindrata 898 cm3 Alimentazione benzina Omologazione euro 6 CO2 113 g/km Potenza 76.13 CV / 56.00 kW Coppia 120 Nm Trazione Anteriore Velocità max 17 8 km/h Consumo medio 5 l/100 Km

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BEVI RESPONSABILMENTE

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aprile 2019 www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net


Franciacorta

Alla ricerca dell’eccellenza Ronco Calino, ovvero come spingere al massimo la ricerca nel vigneto ed in cantina per dei Franciacorta che non temono tempo e confronti

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ara Imberti Radici indica la posizione della cantina sulla mappa: «Questo è l’anfiteatro morenico della Franciacorta. E noi ne siamo il cuore. Mio marito Paolo cercava un buen retiro dove rinfrancarsi dalle fatiche dell’attività dell’impresa e dove ritrovare quella natura che l’ha sempre affascinato sin dai tempi del collegio a Lodi. Voleva lavorare in agricoltura; suo padre lo richiamò però ai doveri del primogenito: seguire le industrie di famiglia. E lui ha obbedito, portando insieme ai suoi fratelli il gruppo Radici alle dimensioni attuali. Però il richiamo della terra era sempre presente. Gli venne offerta

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questa proprietà, la casa di campagna di Artuto Benedetti Michelangeli, il grande musicista bresciano. Era trascurata, ma Paolo ci vide un nuovo inizio. Conoscenze comuni lo portano a contattare Franz Haas e gli chiese un parere sulla proprietà. Franz gli confermò che aveva avuto una grande intuizione: il terreno era buono, l’esposizione perfetta, la denominazione intrigante. Ronco Calino nasce così, dalla voglia di agguantare, di recuperare i propri sogni». Un imprenditore in Franciacorta non fa notizia. Questa denominazione nasce dall’intuito delle generazioni del secondo dopoguerra dell’industria bresciana e lombarda: tessile, siderurgico, metalmec-

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Franciacorta mente nulla, ma l’impatto ambientale è del 165% superiore a quello italiano ed europeo. Senza valutare questo approccio diventa difficile capire perché nel single vineyard che circonda la cantina di Ronco Calino si sia lavorato così tanto per trovare le esatte composizioni dei suoli di ogni singola parcella, cercando i cloni adatti per ogni singola parcella, imponendosi di effettuare decine di vinificazioni separate così da avere una base incredibilmente vasta per elaborare le cuvée per una produzione che, nel 2020, arriverà ad appena 90mila bottiglie. Un lavoro incredibile – con più passaggi in vendemmia frazione di vigneto per frazione di vigneto - per una produzione non così ampia, anzi; un impegno monstre per un team giovane che segue con disciplina le indicazioni dell’enologo Leonardo Valenti e dell’agronomo Pierluigi Donna. I dieci ettari iniziali salgono a 13 con l’acquisto di un nuovo vigneto poco più a nord, a Provaglio d’Iseo. La certificazione bio, naturale conseguenza degli studi così attenti su suoli e vigne, è del 2016 ed è una continua lotta per preservare naturalmente il vigneto dai suoi nemici naturali nonostante un bosco di castagni lo protegga sì dalle possibili derive, ma sia anche una fonte di nuove aggressioni. Moltissime le ore lavorate in vigna e anche questo non sarebbe possibile se questa denominazione – la Franciacorta ha la più alta percentuale di vigneti a conduzione bio – non avesse alle spalle la forza di un tessuto imprenditoriale salda da ben più di una generazione. Tanto lavoro in campagna, uguale anche a tanto lavoro in cantina: lo staff è giovane, crede nel progetto e non lesina l’impegno. Molto lombardo, ma i risultati al bicchiere sono evidenti.

canica. La tenuta agricola come diversificazione e simbolo di prestigio, ma probabilmente anche come modo per uscire dalle tensioni della fabbrica e “costruire ” comunque qualcosa di nuovo, ad esempio: seguire quei “matti” che vogliono fare lo champagne sul lago d’Iseo... Paolo Radici si iscrive così alla lista degli industriali lombardi affascinati dalla Franciacorta. Di suo porta, oltre alla tradizionale buona lena lombarda, anche i valori e le filosofie che nel frattempo il suo gruppo industriale ha elaborato crescendo dalla iniziale produzione di coperte, alle moquette, alla chimica ed alle materie plastiche, al meccano-tessile, alle fibre sintetiche che oggi sono la componente essenziale dell’abbigliamento tecnico e dell’intimo, tessuti-non tessuti in grado di proteggere il corpo dai raggi UVA, ma anche di abbattere le emissioni di CO2. Soprattutto, Radici porta in dote a Ronco Calino quello che è diventato nel tempo il tratto distintivo del suo gruppo – più di un miliardo di fatturato, 16 stabilimenti nel mondo, oltre 2600 dipendenti, bilancio di sostenibilità redatto sin dai primi anni Duemila - : l’attenzione ambientale, alle fonti rinnovabili (nel gruppo anche una centrale idroelettrica sul fiume Serio da 8 milioni kWh di produzione all’anno) ed al territorio. Anche andando controcorrente: il gruppo ad esempio applica il “costo ambientale” nelle sue lavorazioni ed esclude così il lavoro fatto in Estremo Oriente dove un operaio non costa pratica-

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Franciacorta

Franciacorta Brut Satèn Non vintage (anche se le uve sono tutte dell’annata 2015 e non sono presenti vini di riserva). 30% di fermentazione in barrique, senza malolattica. Chardonnay in purezza dalle vigne “Sottobosco” (nel box le caratteristiche di ogni singolo cru di Ronco Calino). Allora, immaginate un Satèn classico: morbido, cremoso, molto femminile, chiusura dolce. Ecco, questo è proprio un’altra cosa: belle note boisé, profumi di cedro candito, fiori gialli, una nota di camomilla di campo. Palato di bellissimo impatto, elegante, perfettamente in equilibrio, bollicina morbida ma di carattere. Molto fine, invitante. Arriva soltanto con le annate migliori (il 2013 ed il 2014 sono saltati a piè pari…). È un Satèn, non un ruffiano.

pasticceria. Palato coerente, di grande lunghezza, con un finale dove tornano note fruttate.

Franciacorta Brut Anch’esso sans année (tutta la massa è però del 2014), blend di Charonnay all’80 e Pinot nero da tre parcelle diverse (Palazzo, Anfiteatro e Cima Caprioli). Il 20% dello Chardonnay va in barrique. Rappresenta oltre la metà della produzione complessiva di Ronco Calino. Anche qui nessuna concessione ad una interpretazione “facile”: c’è tutta la struttura del Pinot nero e c’è una grande freschezza. Spalla acida che promette una longevità importante: profumi di mela verde e pera, fiori bianchi, note più morbide di

Franciacorta Brut millesimo 2003 C’erano sette bottiglie di questa annata caldissima che ci ha fatto conoscere, per prima , il global warming. Ora ne sono rimaste sei e «ci dispiace per gli altri» per dirla con Celentano e Claudia Mori. Signori, giù il cappello! Se una vecchia annata ci deve raccontare della competenza tecnica, del fare bene tutto in vigneto ed in cantina, beh questo 2003 ci dice che le basi su cui poggia Ronco Calino sono ottime. Prendete una grande annata di Champagne, coprite le bottiglie e poi diteci le differenze. In realtà

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Franciacorta Brut millesimato 2011 60% Chardonnay e 40% Pinot nero, cambiano le parcelle di provenienza a conferma che ogni vino nasce da una attenzione quasi maniacale nell’assemblaggio (Anfiteatro, Sottobosco e Pozzo) per raggiungere un’identità ben precisa. In barrique va il 50% dello Chardonnay. Sboccato nell’ottobre del 2017. Di grande impatto. Elegante, potente con un grado zuccherino di 1,5 grammi/litro. Molto verticale e diretto. Il frutto nella sua essenza, mitigato da un affinamento importante che ne amplifica le note più mature.

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Franciacorta

non potete (mancano le bottiglie, ricordate?), ma voi come noi chiederete un altro giro di questo Franciacorta. Dopo sedici anni è ancora fresco, ricchissimo e complesso al naso e in bocca. Da lasciare senza fiato. Con un invito a Ronco Calino: mettete via un bel po’ di bottiglie d’ora in avanti… Franciacorta Brut Rosé Radijan Radijan... è un gioco di parole. Il nome venne inventato in un contest fra i dipendenti del Gruppo Radici. È un omaggio a Gianni Radici, padre di Paolo. Suona bene, ma non ci spiega perché anche questo Rosè sia fuori-scala nei Franciacorta. Pinot nero in purezza da tre parcelle (Palazzo, Anfiteatro e Cima Caprioli). Non vintage (ma la massa è del 2013) con sboccatura al giugno scorso. Colore elegante che trasmette forza, non sdolcinature. Potenza, complessità, freschezza, ricchezza al palato. Adesso che i Rosé

son di moda ci tocca bere di tutto. Questo Rosé ci riconcilia con la tradizione, col Rosé eccellenza produttiva figlia di un savoir-faire antico. Un grandissimo Franciacorta da avere assolutamente in cantina, anche se non si è proprio amanti dei rosati. Erbamat, prova di botte L’idea è quella di differenziare questo Metodo classico dagli altri spumanti nel mondo inserendo nel classico uvaggio anche un autoctono. Non nuova come idea (il Cava spagnolo nasce prima dagli autoctoni e soltanto successivamente ha ammesso gli internazionali; lo scaligero Monti Lessini con l’uva Durella…), ma corretta, data la voglia dei Millenials di trovare e provare vini nuovi, non convenzionali, con un legame ancora più diretto col proprio territorio. Quest’anno entrerà nella cuvée del Franciacorta Brut di Ronco Calino. Per le caratteristiche dell’Er-

Erbamat, l’autoctono per fare la differenza La Franciacorta è un territorio soggetto a cambiamenti climatici importanti, che anno dopo anno vede innalzarsi le temperature, soprattutto d’estate, con conseguenze di non poco conto sulla maturazione delle uve, in particolar modo dello Chardonnay. Già da qualche tempo infatti le aziende franciacortine stanno anticipando le vendemmie (c’è un anticipo delle fasi fenologiche fino a 10-20 giorni rispetto alla precedente epoca) per evitare che l’eccessivo calore possa danneggiare i grappoli di Chardonnay, privandoli dell’acidità necessaria alla spumantizzazione. È evidente che questo processo di riscaldamento dell’areale del lago di Iseo sia inevitabile e che prima o poi non si potrà più anticipare ulteriormente la vendemmia: l’Erbamat arriva quindi in soccorso ai produttori, che potrebbero integrare o addirittura sostituire lo Chardonnay con quest’uva a maturazione tardiva, ricca degli acidi tartarico e malico di cui sarebbe invece carente il vitigno internazionale: dotata di spiccata acidità e dai profumi delicati, l’Erbamat è perfetto per essere vinificato come base spumante o come vino fermo sia in blend con altri vitigni di simili caratteristiche sia in purezza, e regala vini di grande interesse che strizzano l’occhio al Timorasso o ai Riesling tedeschi.

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Franciacorta

bamat si rimanda al box. Al naso è molto floreale, con una nota erbacea molto fresca, e profumo di pompelmo. Il palato lascia intravvedere una certa durezza, richiamando così gli atri autoctoni scelti per la rifermentazione in bottiglia. Tecnologia che aiuta, ingentilisce, questi vitigni senza alterarne le caratteristiche aromatiche. Sarà un bellissimo esperimento e cambierà l’immagine della Franciacorta senz’altro!

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I sei Cru dell’anfiteatro La porzione Nord-Ovest della vigna Anfiteatro, su versante ripido e con stratificazioni di morena e deposito torrentizio, è stata impiantata a Pinot Nero, che apporta struttura alle basi Franciacorta. Anfiteatro Sud-Ovest, di origine geologica fluvioglaciale e pendenza ripida, ricco di argilla, offre dimora a Cabernet Sauvignon e Merlot adatti a rossi corposi e longevi, oltre che a Pinot Nero e Chardonnay che conferiscono ricchezza alle basi Franciacorta. Cima Caprioli, come rivela il nome la vigna più elevata in quota, ha orientamento a Est e suolo morenico e permeabile. Qui sono stati piantumati Pinot Nero e Chardonnay adatti a basi Franciacorta fini ed eleganti. Vigna Sottobosco è collocata in un’antica ansa del torrente di scarico del ghiacciaio che, ritirandosi, formò l’anfiteatro franciacortino. I depositi fini del suo terreno gli conferiscono fertilità: il luogo ideale per Chardonnay complessi, che entrano nell’assemblaggio sia dei Franciacorta che del Curtefranca. Palazzo è il nome del principale corpo aziendale. Il suolo, di origine fluviale, è decisamente sabbioso ed è stato arricchito di sostanza organica. L’esposizione ruota da Nord a Ovest e qui dimorano Chardonnay, Pinot Nero nonché una decina di filari sperimentali del vitigno autoctono Erbamat. Le uve di Palazzo conferiscono eleganza e longevità alle basi Franciacorta. Vigna Pozzo, posta sul confluire delle diverse origini – glaciale, torrentizia, fluviale – riassume le varie componenti geologiche restando permeabile e conservando una vena calcarea che marca di aromaticità gli Chardonnay destinati alle basi Franciacorta.

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Abruzzo

Le dolci colline del pescarese della cantina Marchesi DÈ Cordano

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rrivando in Abruzzo, la prima cosa che colpisce percorrendo la lunga striscia di asfalto che costeggia l’Adriatico, sono i trabocchi, antichi pontili in legno protesi verso il mare, utilizzati fino a metà del novecento per pescare direttamente da riva per una cucina semplice e genuina. Ma passare dal mare ai paesaggi, dalle colline alla montagna e dalla natura incontaminata ai vigneti è un attimo. Infatti, l’Abruzzo è considerato il polmone verde d’Europa ed è in questo contesto che le vigne di questa terra sono considerate oggi un patrimonio unico per la valorizzazione paesaggistica e per lo sviluppo sostenibile della regione. Risale ai tempi dei romani la tradizione vitivinicola abruzzese. Terra di vini di carattere e dalla spiccata personalità che ha fatto conoscere in tutto il mondo l’autoctono Montepulciano d’Abruzzo, un vino rosso di carattere, ricco di profumi, persistente nel gusto e longevo. Un vero gioiello della viticoltura abruzzese. A Loreto Aprutino in provincia di Pescara, premiata con il titolo di città dell’olio, la cittadina ha una storia molto antica con un centro storico ben curato, ha sede Marchesi dÈ Cordano, una delle più prestigiose e belle Cantine della regione. Fondata nel 2001, Marchesi dÈ Cordano coltiva 50 ettari di vigne. l’Azienda alleva i propri vigneti in un terroir dalle caratteristiche uniche, situato tra le dolci colline pescaresi e il massiccio del Gran Sasso. Una terra ad altissima vocazione viticola, con suoli ricchi e generosi, dove il clima mediterraneo è caratterizzato da unaa costante ventilazione per via delle correnti che si incrociano dai pendii alle coste, e forti escursioni termiche. “La nostra regione, spiegano il patron Francesco D’Onofrio e l’enologo Vittorio Festa, offre un inestimabile patrimonio di uve autoctone a bacca bianca. Non solo Trebbiano ma anche Cococciola, Pecorino, Passerina: vitigni che raccontano la nostra terra”.

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“Per quanto riguarda i rossi, il savoir faire di Marchesi dÈ Cordano si esprime invece in modo opposto: al cospetto di un uva – il Montepulciano d’Abruzzo – dalla quale si ottengono alcuni dei vini più conosciuti e apprezzati nel mondo, si è scelto di valorizzare la tradizione, arrivando a proporre differenti versioni dello stesso vitigno, ciascuna con una propria storia e una propria personalità”. Francesco ha raccolto l’eredità del nonno paterno, Gabriele D’Onofrio, partito nel 1947 per il Venezuela e tornato in Abruzzo cinque anni dopo con un solo desiderio: avviare un frantoio di sua proprietà. In meno di un decennio Gabriele raggiunse l’obiettivo, con l’acquisto di un terreno in località Pian di Mare a Villamagna (CH) e la costruzione di un moderno oleificio. La produzione di vino è di 200 mila bottiglie: Trebbiano d’Abruzzo Doc, Montepulciano d’Abruzzo doc, Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Doc, oltre a Colline Pescaresi Igp. I vini presentati per la prima volta a Milano, di ottima fattura, presso il ristorante stellato SADLER- Via Ascanio Sforza 77- per un pranzo di eccellenze gastronomiche in un atmosfera abruzzese con tanti profumi, inizia con l’aperitivo finger food accompagnato da fresche bollicine Santa Giusta Brut Metodo Classico e Aida Trebbiano 2017 Marchesi dÈ Corano; Ravioli di pesce spada farciti di melanzane con bagnetto giallo e zafferano con Brilla Cocciola 2017 e 2009; Gnocchi di di funghi con astice, cumino, crauti e salsa allo speck con Diamine Pecorino 2017 e Trinità Montepulciano Riserva 2013; Costoletta di agnello farcita con tartufo nero e fois gras in crosta di pane e mandorle tostate con Santinumi Montepulciano 2012 e Trinità Montepulciano 2001. A fine pasto, da accompagnare alla piccola pasticceria e al Tirami su al mandarino di Benedetta, un calice di Santità Passito Montepulciano 2011 e Trinità Montepulciano 2000. I protagonisti del tavolo, le due eccellenze, non hanno tradito il palato, anzi si sono esaltate a vicenda. (Enzo Russo)

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Lambrusco di Enzo Russo

Il Reggiano Lambrusco doc gira il mondo in bottiglia Intervista al Presidente del Consorzio Vini Reggiani Davide Frascari

L’

appuntamento è nella sede di Emilia Wine, dove il Presidente ha in programma una riunione con i rappresentanti sindacali. Lo vediamo di buon mattino prima che si infili nel salone per tutta la mattinata. Prima di iniziare a parlare del Lambrusco, il vino più importante della Provincia reggiana che da lavoro a migliaia di persone, chiediamo al Presidente del Consorzio Vini Reggiani Davide Frascari, di parlarci di questa terra dove si respira anche arte e cultura. “Nel nostro territorio sono nati personaggi im-

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portanti e famosi, per citarne alcuni, il pittore naif Antonio Ligabue, nato nella bassa a Gualtieri da una famiglia povera, dipingeva quadri tutti i giorni per poter mangiare. La storia racconta che alcuni suoi quadri venivano usati come fondi delle damigiane perchè la gente non sapeva più dove metterli. Oggi sono quadri di grande valore. Marco Emilio Lepido che ha fatto costruire la Via Emilia, un importante strada che unisce tutti i territori, da Piacenza a Bologna. Matilde di Canossa, l’unica donna sepolta all’interno del Vaticano, che si lega ad un vino tipico di questo territorio, la Spergola, Il famoso Boiardo del-

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Lambrusco

la zona di Scandiano, lo scenziato Spallanzani. Poi, per venire ai giorni nostri, il famoso cantante Luciano Riccardo Ligabue conosciuto in tutto il mondo”. Ora parliamo di Lambrusco, il mitico vino, anch’esso famoso in tutto il mondo. “La Provincia di Reggio Emilia è la seconda per superfice vitata dell’Emilia Romagna dopo Ravenna, con 6 mila e 200 ettati di vigneti, di cui 3.586 solo di Lambrusco. Ricordiamoci, quando si parla di Lambrusco non si parla di un vitigno ma di una famiglia di vitigni. Il più diffuso, che rappresenta circa il 50% , è il Lambrusco Salamino, poi vengono Maestri, Marani, Grasparossa ed altri di minore importanza. Vorrei anche sottolineare due concetti legati in particolar modo legati al Lambrusco e al nostro territorio. Primo, la denominazione d’origine si chiama Reggiano Lambrusco doc, questo è fondamentale, perchè Reggiano davanti a Lambrusco doc sta a significare il forte legame con il territorio, invece in tutte le altre denominazioni viene prima Lambrsco di....È moltto importante questo distinguo, perchè nel territorio di Reggio E., le aziende vinicole e le cantine hanno dato una personalizzazione al Lambrusco ancor prima della denominazione del vitigno. Ad esempio, Reggio E. è famosa per un Lambrusco fatto con diverse tipologie di Lambrusco. Il fatto della variazione di percentuali di uno o dell’altro Lambrusco, ha dato la possibilità ad ogni casa vinicola di personalizzare il Lambrusco con il nome dell’azienda. Invece nelle altre Province il Lambrusco è legato alla denominazione. L’altro concetto è che nel territorio di Reggio E. c’è una notevole differenzazione nella produzione di Lambrusco tra l’area collinare dove si arriva fino a 500 mt. slm e quella di pianura che arriva fino al Po. Non è che uno sia meglio dell’altro ma hanno diverse sfaccettature e declinazioni territoriali che è una delle tipicità di questo vino. Si va dal Lambrusco rosato

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al rosso scuro, secco e amabile, ma sempre bollicine sono”. Quante sono le aziende che fanno parte del Consorzio? “Abbiamo 21 soci, tra Cantine Sociali, inbottigliatori privati, piccoli produttori che imbottigliano e che rappresentano un tassello fondamentale nel tessuto produttivo perchè spesso vanno a coprire quei buchi che si creano quando le aziende sono più orientate verso i mercati esteri. Hanno un importante ruolo nell’economia del territorio, è come se fossero delle sentinelle, sono in contatto diretto con il consumatore e quindi percepisccono subito l’aria che tira”. Come è andato il 2018? “Dal punto di vista produttivo, dopo la scarsa vendemmi del 2017, siamo ritornati alla normalità. Quest’anno ci troviamo difronte a una situazione un po’ particolare. Lo scorso anno, in conseguenza al calo produttivo di circa il 30%, ha costretto le aziende ad un aumento del prezzo e di conseguenza un calo dei consumi. Questo calo, però, si riperquote nell’anno in corso dove invece la produzione è ritornata normale. Quindi c’è qualche tensione sul mercato, che poi non è soltanto del Lambrusco ma in generale anche per gli altri vini. Invece il consumatore sarà contento perchè quest’anno troverà in

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Mauro Mannini

bottiglia un ottimo Lambrusco di qualità superiore alla media”. Tra le diverse tipologie di Lambrusco produtte nel vostro distretto, qual’è quella più richiesta? “Sicuramente il Reggiano Lambrusco doc, un vino dal colore rubino scuro che all’estero è conosciuto nella sua versione amabile, mentre nel distretto, nell’area primaria di consumo è più consumato nella versione secca, ma comunque la tipologia più venduta è il prodotto con il colore più consistente, anche perchè è la caratteristica del territorio reggiano, è l’esprerssione del colore dovuto soprattutto ad una condizione pedoclimatica favorevole alla formazione degli antociani che si esaltano nei vigneti del reggiano.Comunque il vitigno più diffuso nella zona di Reggio E. è il Salamino, un vino dai grandi profumi e di corpo”. Da alcuni mesi fa parte del Consiglio dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna, in tutto questo tempo cosa l’ha maggiormente colpita? “Il futuro passa attraverso un organizzazione regionale, una regia unica della strategia vitivinicola perché abbiamo la necessita di approfondire e di intensificare la ricerca dal punto di vista clonale ed agronomica dei vigneti e dei vitigni” per dare voce a tutti questi territori”. LE DECLINAZIOMI DEL REGGIANO LAMBRUSCO d.o.c. Nel distretto del Lambrusco della Provincia di Reggio Emilia ci sono tante realtà produttive, sono piccole, medie e grandi cantine che presidiano il territorio con la produzione di lambruschi di alta qualità, sorprendenti e piacevoli al palato, per i profumi e l’effervescenza dinamica e briosa del vino. E poi grandi aziende e cooperative che portano il Reggiano Lambrusco in giro per il mondo.

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Una interessante realtà che vale la pena di scoprire e visitare anche per bere un buon bicchiere di Lambrusco. Siamo andati a visitarne alcune, scelte, come dice il Presidente Davide Frascari, “in base alla zona geografica perché siamo una Provincia stretta e lunga per dare voce a tutti questi territori. E poi per ragione sociale. Quindi le grandi Cooperative, le aziende private importanti dove l’imprenditore, acquistando la materia prima, ha incentrato la sua attività sulla comunicazione e commercializzazione nel mondo e le piccole aziende produttrici che hanno occupato quei grandi spazi lasciati dalle aziende che scelto i mercati esteri. Con questo criterio abbiamo individuato due aziende della zona di pianura: Cantina Sociale di Gualtieri e la Lombardini, un imbottigliatore privato che è riuscito a dare una risposta concreta sulla commercializzazione, sul packaging e soprattutto sulla qualità del Lambrusco. Poi due aziende dell’asse centrale della nostra Provincia prendendo come riferimento la Via Emilia , la storica azienda Medici Ermete che gira il mondo e la Rinaldini Paola a conduzione familiare. Nell’area collinare, la Cantina Albinea Canali che fa parte del più grande gruppo cooperativo italiano CIV, la Cantina Casali che è privata ma controllata al 100% dalla Cooperativa reggiana Emilia Wine ed infine la cantina Collequercia che si trova in una zona molto difficile con vigneti impiantati sui pendii della collina”. CANTINA SOCIALE DI GUALTIERI s.c.a. Via S. Giovanni 25 42044 Gualtieri (Re) www.cantinasocialegualtieri.it Nata nel 1958 dall’unione di 21 soci, la Cantina Sociale di Gualtieri è oggi una realtà profondamente radicata nel territorio. Appena arriviamo sentiamo subito il profumo del Lambrusco. È bella struttura moderna attrezzata con macchinari di ultima gene-

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Lambrusco

Marco Lombardini con le figlie

razione. Il responsabile commerciale Mauro Manini ci accoglie nel suo ufficio, dove sono in bella mostra alcune bottiglie di Lambrusco Gualtieri. Prima di iniziare a parlare della storia dell’azienda, ci offre un buonissimo caffè. “Nel ‘58 viene venduto il primo vino sfuso, negli anni ‘60 inizia anche l’imbottigliamento. Oggi i soci che conferiscono le uve alla cantina sono 214 dislocati nel raggio di 25 km. Arriviamo quasi a Reggio E. e verso il mantovano, poi c’è un 30% di soci di origine lombarda. Questo ci dà la possibilità di imbottigliare e vendere sia il lambrusco reggiano sia mantovano dop e igt”. Dalla cantina quante bottiglie escono? “Mediamente 3 milioni di bottiglie vendute in Italia e all’estero. Invece il vino sfuso lo vendiamo agli imbottigliatori o ad altre cantine della zona”. E le tipologie: “Reggiano Lambrusco dop, Lambrusco Mantovano dop, Reggiano Rosso dop, Spumante Reggiano Lambrusco dop, Lambrusco dell’Emilia igp e della provincia di Mantova. In esclusiva abbiamo il Fogarina Rosè frizzante, un vino fresco e profumato che si fa bere volentieri, specialmente in estate”. In Italia dove viene venduto: “Il Lambrusco lo vendiamo nella G.D.O. , principalmente in Emilia Romagna dove siamo fortemente presenti, poi in Lombardia e Veneto e complessivamente copriamo il centro Nord”. Qual’è il vino più venduto? “Storicamente è il Bucciamara Reggiano Rosso dop dal profumo molto intenso che si sposa felicemente con lo zampone, il cotechino e la selvaggina. Ha ricevuto anche un riconoscimento dal Gambero Rosso. Viene fatto con il 60% di Ancellotta e 40% tra Lambrusco Salamino e Maestri. Altro vino richiesto è il Chiaretto del Pescatore Lambrusco dell’Emilia i.g.p., è un vino secco da pasto tutti i giorni”. Per quanto riguarda i vini bianchi? “Abbiamo un Lambrusco dell’Emilia i.g.p. vinificato in bianco, fatto

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con Salamino, Maestri e Sorbara e poi un altro, molto richiesto, Lo Zefiro dell’Emilia i.g.p., fatto con uve Trebbiano, Malvasia di Candia e Moscato.” CANTINE LOMBARDINI s.r.l. Via Cavour 15 42017 Novellara (Re) www.lombardinivini.it Pensavamo di andare tra i vigneti Lambrusco quando abbiamo preso l’appuntamento per visitare Le cantine Lombardini e invece, con grande sorpresa, l’azienda si trova nel centro storico di Novellara. È una struttura nata nel 1925 ad opera del bisnonno Angelo Lombardini e che oggi si caratterizza in modo moderno in tutto il comparto produttivo e direttivo. Da allora molte cose sono cambiate, dalla conduzione dell’azienda tutta al maschile, Angelo aveva tre figli, all’oggi che vede al comando della Lombardini tutte donne, tre sorelle, ognuna con compiti ben definiti: Cecilia responsabile qualità, Chiara responsabile commerciale e Virginia responsabile amministrativa, coadiuvate dal papà Marco Lombardini che è anche l’enologo dell’azienda. Si vede subito che sono determinate, disponibili ma con obbiettivi ben precisi. Sono Cecilia e Virginia che, con un ampio sorriso tutto emiliano, ci accolgono nella bella sala di degustazione, dove sono già in bella mostra diverse bottiglie di tipologie di Lambrusco pronte ad essere stappate per farci sentire tutti i profumi e sapori del brioso Lambrusco. Prima di iniziare, Cecilia ci parla dell’azienda. “La cantina nasce nel 1925 a Novellara con altre importanti attività commerciale nel paese: il primo benzinaio, il primo bar e il primo cinema. Oggi siamo noi, tre sorelle, che portiamo avanti l’azienda di famiglia. I mariti sono fuori dalla conduzione della cantina, ognuno con la propria attività”. E già questo fa capire il loro carattere, il modo di gestire una

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Paola Rinaldini

azienda vinicola, un settore dove l’uomo ha sempre primeggiato. Quante tipologie di Lambrusco escono dalla cantina? “Ne abbiamo diverse, partiamo dai nostri prodotti di punta che sono Lambruschi reggiani, di Sorbara e lambruschi Emilia. Abbiamo anche una produzione di spumanti:il Sorbara Brut, Pinot Rosè e un Pinot Nero. Facciamo anche del lambruschi Emilia e un Pinot Emilia bianco”. Per un totale di quante bottiglie: “Sono circa 900 mila vendute 90% in Italia e 10% all’estero, come Cina, Giappone, Kazakistan, Ucraina, Germania, Francia e Spagna”. “Per quanto riguarda il mercato italiano”, ci dice Cecilia con grande soddisfazione, “stiamo andando bene, le vendite non sono calate, anzi c’è stato un incremento derivante anche da tutte una serie di innovazioni che abbiamo fatto in cantina, dalla vinificazione ai nuovi macchinari di ultima generazione”. Il vino più richiesto dal mercato: “Il Reggiano Rosso doc secco riscuote un grande successo. Poi abbiamo l’ultimo nato due anni fa, lo Spumante Brut Lambrusco di Sorbara doc, un vino che per le sue caratteristiche organolettiche si sta sempre più affermando come aperitivo, happy hour ma anche come vino da tutto pasto”. Finiamo la degustazione con la convinzione di aver degustato degli ottimi Lambruschi. E Cecilia è stata bravissima nel descriverli. Un ottima sommelier. (Nella foto, a sinistra Cecilia con la sorella Virginia e al centro il papà Lombardini Marco accanto alla Opel Grandland x) AZIENDA AGRICOLA MORO DI RINALDINI PAOLA Via Andrea Rivasi 27 42049 Calerno di Sant’Ilario d’Enza (Re)

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www.rinaldinivini.it L’Azienda, molto caratteristica nel suo insieme, si richiama molto al mondo contadino di una volta. Circondata da vigneti di lambrusco, ha un ampio cortile e tutt’attorno l’abitazione, la cantina e i magazzini per lo stoccaggio e vendita dei vini. È una giornata calda, Paola Rinaldini ci aspetta sotto il bersò dove ha già preparato su una vecchia botte, alcune bottiglie di Lambrusco da degustare. Mentre stappa una bottiglia di Lambrusco Rosè, fatto con Marani e Salamino, dal bouquet molto raffinato con profumi che vanno dal lampone alla fragola, ci parla della sua azienda. “L’azienda nasce verso la fine degli anni ‘60 come ristorante, perché mio padre Rinaldo, che è stato un grande ristoratore stellato della Michelin, voleva avere un ristorante con il famoso chilometro zero. Avevamo animali, frutta, uva e verdura coltivata nei nostri terreni qua attorno. Forse eravamo un po’ avanti con i tempi. Negli anni ‘80 mi sposo, mio marito viene a lavorare con me nell’azienda agricola e decidiamo di smettere per diventare vignaioli. E da allora ci siamo dedicati solamente alla coltivazione e produzione di vino. Oggi abbiamo 15 ettari di vigna coltivata in modo molto intensivo, 4 mila piante per ettaro con una produttività media che varia dai 90 ai 100 quintali per ettaro. È molto bassa ma noi pensiamo alla qualità”. Le uve coltivate, sono: “Sono diverse varietà. Partiamo dal Grasparossa, poi c’è il Salamino, Maestri, Marani e infine abbiamo il Pjcol Ross, un antico clone della Val d’Enza, è un Lambrusco quasi dimenticato”. “La tipologie che escono dalla cantina”, ci dice Paola, mentre ci fa degustare un Lambrusco dell’Emilia Vecchio Moro, un vino profumato dal colore rosso carico che in bocca sorprende per freschezza e pulizia, “sono 10 etichette quasi tutte di Lambru-

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sco”. Quante bottiglie producete? “ Circa 100 mila che vengono vendute per il 60% in Italia, il rimanente all’estero”. In quali mercati: “Il principale è la Francia, poi vengono gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina. In Europa, la Germania, Inghilterra, Olanda, Austria, Paesi Bassi, Grecia, Romania, Polonia ed Estonia”. Tra le diverse tipologie di Lambrusco che vendute, qual’è la più richiesta? “ Il Lambrusco Vecchio Moro, è un vino che assaggiato non si dimentica facilmente, come per esempio il profumo di mora e prugna oppure la spuma cremosa”. MEDICI ERMETE & Figli s.r.l. TENUTA RAMPATA Montecchio (Re) www.medici.it Siamo andati a visitare la Tenuta Rampata, è un piccola oasi, si trova al centro del vigneto di Lambrusco. La struttura molto bella, è una delle quattro tenute della famiglia Medici. Albero Medici ci accoglie nell’ampio salone, dove sono esposte alcune bottiglie di Lambrusco. Ce le “presenta” con grande soddisfazione, sono tutte bottiglie che viaggiano in oltre 70 Paesi. Ne va fiero del suo Lambrusco, perché essendo la sua, la quarta generazione, ha contribuito moltissimo a diffonderlo e a farlo conoscere agli amanti del buon bere. “L’azienda”, ci dice Alberto Medici titolare di una delle più importanti cantine produttrici di Lambrusco, “nasce alla fine dell’800 quando il mio bisnonno, proprietario di alcune osterie a Parma, ha pensato di venire nel reggiano per fare la sua piccola cantinetta per servire il vino nelle proprie osterie. Nel 1892 esce il primo Lambrusco. Le vendite andavano bene, il vino piaceva e il successo fu immediato. Da li comincia l’avventura nel mondo del Lambrusco che inizia ad essere distribuito nella zona e nelle re-

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gioni limitrofe. Poi mio padre e mio zio iniziano ad esportarlo negli anni 50/60 in Germania, Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Le ultime due generazioni hanno raccolto il testimone portando il Lambrusco in 70 Stati”. Quanti siete in famiglia? “La quarta generazione è composta dal sottoscritto, mia sorella, mio cugino e da circa un anno anche mio figlio fa parte dell’azienda, è la quinta generazione”. E per quanto riguarda i vigneti? “Negli anni ‘80 abbiamo fatto una specie di rivoluzione nelle nostre aziende, trasformando i vigneti orientati a produrre quantità a vigneti che producono meno a vantaggio della qualità”. Quanto terreno vitato: “Abbiamo 75 ettari suddivisi in 4 tenute dove vengono prodotte le nostre le nostre principali tipologie di Lambrusco. Abbiamo fatto una politica innovativa in questa zona, produrre dei vini da vigneti singoli, produrre dei cru da cui è nato il Lambrusco Concerto, un vino che ha segnato la rinascita dei lambruschi di questo territorio”. Lo abbiamo degustato, è molto seducente, si presenta di colore rosso rubino con profumi di frutta, piacevolmente armonioso, secco ma nel contempo fruttato e grande equilibrio tra acidità e tannini. Si fa bere piacevolmente. Quante tipologie di Lambrusco escono dalla cantina? “Adesso produciamo le varietà più importanti: Salamino, Marani, Grasparossa e da poco tempo abbiamo anche una piccola produzione di Sorbara. Poi abbiamo il Lambrusco Metodo Classico Ancestrale, quello Rosè fatto con uve Marani e un Lambrusco rosso spumantizzato chiamato Gran Concerto fermentato in bottiglia. In cantina abbiamo dieci linee produttive di Lambrusco e il 70% della nostra produzione viene esportata in 70 Paesi per un totale di 750 mila bottiglie”. In Italia dove siete presenti? “Prevalentemente nel canale Horeca e per i vini più commerciali nella G.D.O. ma con etichette diverse”. Finiamo il nostro incontro con un calice con lo spu-

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Lambrusco

Alberto Medici


Corrado Catellani

Fabio Fizzi

mante Brut Rosè Metodo Classico – Unique, un vino elegante, profumato secco e piacevolmente armonioso. CANTINA COLLEQUERCIA Via Monte 1 42019 Rondinara – Scandiano (Re) www.collequercia.com Incontriamo Corrado Catellani nella sua cantina Collequercia, siamo a circa 300 mt.slm. Su una collina da dove si può ammirare un bellissimo panorama e l’intera vallata, colline che si rincorrono e tanta vegetazione. Ci aspetta sul terrazzo per farci vedere dietro la cantina la maestosa quercia dai 100 rami (così viene chiamata), circa 500 anni di vita. Nella sua maestosità sembra quasi proteggere la cantina - ristorante. Si perché Corrado oltre ad essere un vignaiolo è anche un bravo ristoratore. Da aprile a ottobre, tutti i fine settimana le sale sono sempre prenotate per manifestazioni, matrimoni, compleanni e altre feste comandate. E poi un altro ristorante a Reggio E., Don Papi, dove si possono gustare piatti della tradizione reggiana accompagnati dalle sue bollicine di Lambrusco Reggiano. Oggi siamo qua a parlare della sua cantina. “È nata 16 anni fa, acquistando 150 ettari” dice Corrado, “impiantando vigneti e poi costruito la cantina. La mia vocazione per la viticultura nasce quando, appena finita la guerra, mio padre inizia a costruire vigneti specializzati per la viticultura a Reggio E., La sua cantina è situata su un terreno collinoso e tutt’attorno si vedono vigneti, quanti ettari sono? “Sono 25 ettari di diverse tipologie di uve: Malvo Gentile, Pinot Nero, Grasparossa, Salamino , Cabernet Sauvignon, Merlot. I bianchi sono la Spergola, Malvasia e Pinot Bianco. Il terreno argilloso e gesso, il microclima sono l’habitat ideale per questi vigneti che danno al vino caratteristiche organoletti-

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che uniche. I profumi sono più intensi e in bocca si sente l’armonia dei tannini e l’acidità”. Dalla sua cantina quante bottiglie escono? “I primi anni ne abbiamo prodotte 12 mila l’anno, oggi siamo oltre le 200 mila che sono vendute negli spacci aziendali e poi nei supermercati di Reggio città, dove attraverso accordi, vendiamo noi direttamente a km zero, per dare a tutti la possibilità di comprare il vino a prezzi contenuti, senza nessun ricarico a opera di terze persone. Poi vendiamo a Cremona e Parma. Per adesso niente estero siamo troppo giovani e poi dovremmo impegnarci di più nella produzione”. Le etichette della cantina: “Lamante fatto con Grasparossa e Salamino, il Barbagraspa fatto con Grasparossa in purezza, Barbarossa che è un blend, il Barbasorba è un Sorbara in purezza. Poi oltre ai Lambruschi produciamo la Spergola nelle diverse declinazioni, dal frizzante allo Spumante metodo Charmat fino allo Spumante metodo Classico. È un vino che sta riscuotendo molto successo perché si presta ad essere consumato in diverse occasioni della giornata”. Finiamo l’incontro al ristorante di Reggio, Don Papi, dove Corrado vuol farci gustare il famoso antipasto di salumi reggiani con gnocco fritto e crescentine accompagnato dal suo Sorbara, l’ultimo nato. CANTINA CASALI VITICULTORI Via delle Scuole 7 42017 Pratissolo – Scandiano (Re) www.casalivini.it La Cantina Casali Viticultori è situata su una collinetta circondata da vigneti, da dove si può ammirare un bellissimo panorama. Un gioiello a cui Emilia Wine ha affidato il compito di produrre vini di alta qualità. “È una media azienda ma di enorme importanza a livello strategico”, dice l’enologo Fabio Fizzi mentre ci fa vedere i nuovi macchinari e la bottaia interrata, “vogliamo renderla moderna e accogliente,

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Lambrusco

Vanni Lusetti

perché desideriamo farla diventare una cantina che produce e promuove i migliori vini di qualità di tutto il comprensorio”. Partiamo dall’inizio, quando nasce la cantina Casali? “Nasce nel 1900 dalla famiglia Casali nella Rocca di Scandiano, un territorio famoso per il vino bianco la Spergola. Infatti all’inizio, la Casali produce principalmente vini spumanti e frizzanti. Fino al 1950 solo metodi classici, fermentati in bottiglia, quindi a seguire si sviluppano vini prodotti col metodo Charmat. Rimane sempre un’azienda legata al territorio con una gamma di prodotti ampia, 23 tipologie, perché ha sempre sperimentato”. E per quanto riguarda il Lambrusco: “ Siamo in un area pedecollinare, dove il Lambrusco nasce dai vitigni Grasparossa, Montericco, Maestri e Marani. Il 70% della produzione della cantina è il Lambrusco, sono quattro tipologie. Il prodotto di punta è il Pra di Bosso, un Lambrusco Reggiano blend fatto con Montericco, Marani e il Salamino. Lo scorso anno è nato un nuovo vino chiamato 13 che viene fatto con uve Sorbara e Malvo Gentile per dargli un po’ di morbidezza. Quest’anno al Vinitaly presentiamo un nuovo Lambrusco, Il Boiardo, più strutturato e corposo dal colore rosso intenso fatto con uve Marani e Montericco. Poi abbiamo uno spumante rosato Metodo Classico fatto col 90% di uve Sorbara e 10% Montericco. Rimane sui lieviti 11 mesi. Oltre al Lambrusco, l’altro prodotto di punta della Casali, che rappresenta rappresenta la bandiera dell’azienda e del territorio, è il metodo classico Cà Besina, una Spergola al 100% selezionata nel vigneto dal quale prende il nome situato sulla collina intorno alla cantina, viene vinificato verso la metà di agosto selezionando le uve a più alta acidità e fatto fermentare per sei anni sui lieviti. Ha una longevità eccezionale”. Quanti ettari di vigneto avete?. Di proprietà sono

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4 ettari e mezzo qua attorno alla cantina, gestiti dal nostro referente Emilia Wine con i suoi agronomi che seguono un disciplinare molto severo di lotta integrata”. Dalla cantina quante bottiglie escono? “Lo scorso anno state circa 1 milione e settecentomila bottiglie vendute in Italia e all’estero”. CANTINA ALBINEA CANALI Via A. Tassoni 213 Canali (Re) www.albineacanali.com La Cantina Albinea Canali, nata nel 1936, è oggi una struttura moderna dove gli architetti, sono riusciti a fondere l’antico col moderno tutto nel rispetto dell’ambiente, si trova in un parco verdeggiante con davanti tre giganteschi 70 enni Cedro del Libano e dietro un vigneto “dimostrativo” dove sono piantate diverse tipologie di Lambrusco, dove vengono confrontate le uve. L’enologo Vanni Lusetti – Direttore Generale, ci fa accomodare nel grande salone di degustazione arredato con mobili e attrezzi d’epoca, dove si respira un aria antica, mette quasi suggezione. Gli chiediamo di parlarci della cantina e come si è sviluppata in questi anni. “La cantina Canali è una struttura cooperativa che nasce nel ‘36 attraverso l’unione di alcuni produttori per valorizzare meglio le proprie uve e il vino. Oggi in questo complesso si raccoglie l’uva di circa 70 viticultori i quali conferiscono a questo sito i prodotti dei loro clienti. Nei primi anni 2 mila la struttura è entrata a far parte delle Cantine Cooperative Riunite che associa diverse realtà, sia locali che nazionali. È un gruppo che associa circa 1.600 viticultori, pricipalmente di modena e Reggio Emilia, poi in Veneto con le cantine Maschio e con il Gruppo Ittaliano Vini di Verona. Siamo in un network importante in cui

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Lambrusco

Davide Frascari anche la nostra struttura ne trae benefici commerciali. Sembra di capire, vedendo nell’insieme la struttura, che oltre a fare vino, si presti anche ad altro: “Certamente, la cantina viene utilizzata anche come sede di rappresentanza, come enoteca per vendere direttamente i prodotti, promuovere i nostri vini, fare degustazioni guidate, iniziative con realtà locali come la promozione di alcuni prodotti tipici della zona, serate a tema la gastronomia e il Lambrusco, eventi organizzati da aziende, insomma manifestazioni di ogni genere. E poi serve a far vedere alle persone cosa c’è dietro una bottiglia di vino”. Quante tipologie di lambrusco lavorate in cantina? “In questa zona ce ne sono circa una decina, ma quelle vinificate sono il Lambrusco Salamino, Maestri, ,Grasparossa e poi l’Ancellotta”. Quante bottiglie producete? “Con l’etichetta Albinea Canali 500 mila bottiglie vendute principalmente in Italia nel canale horeca, un po’ all’estero”. Le tipologie di Lambrusco della cantina: “Sono il Lambrusco Emilia Ottocentonero igt, Ottocentorosa Spumate Rosè Extra dry igt, Foglie Rosse Reggiano Lambrusco doc, FB Lambrusco Emilia-Metodo Ancestrale igt, Codarossa-Colli di Scandiano e Canossa-Lambrusco Grasparossa doc e Reggiano Lambrusco doc”.

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OPEL GRANDLAND X UN SUV SICURO SEMBRA FATTO PER LA FAMIGLIA Nella foto Davide Frascari Presidente del Consorzio dei Vini Reggiani accanto alla Opel Grandland X che ci ha portato in giro nella Provincia di Reggio Emilia per scoprire le varie realtà del Lambruscco Reggiano, dalle rive del Po fino all’entroterra in collina. La Grandland X diesel 1600- 120 cv - cambio automatico a sei rapporti è un crossover molto sobrio che si fa guidare dolcemente. Alla guida si dimostra sicura e maneggevole, nonostante le dimensioni di 4 metri e 48 centimetri, mentre l’abitabilità per cinque passeggeri risulta adeguata grazie alla larghezza di 186 centimetri ed all’altezza di 1 metro e 61. Grande la capienza del bagagliaio di ben 514 litri. L’abitacolo è piacevole grazie a linee avvolgenti e plastiche di buon livello, in grado di appagare sia il tatto che la vista. Il cruscotto ha un aspetto tradizionale, con tutti gli indicatori analogici ben leggibili, mentre al centro della plancia è ben posizionato monitor dell’infotainment. Buona la dotazione di serie come l’aria condizionata, il bluetooth, i cerchi in lega, il controllo di trazione, il cruise control, i fendinebbia, stp&start e i sensori di parcheggio. Il look dell’Opel Grandland X è decisamente piacevole, è disegnata con linee morbide che la rendono snella, fresca e giovane ma con una certa grinta. L’abbiamo provata in diverse situazioni stradali, dall’autostrada a quelle provinciali, dalle strade sconnesse tra i vigneti a quelle collinari dove ha dimostrato tutte le sue peculiarità: tenuta di strada, silenziosità, ottima ripresa, guida non stanchevole e curve senza sbavature. I consumi della Opel Grandland X, sono interessanti: in città e nei misti mediamente sono 6 lx100 km, in autostrada tra i 4/5 lx100 km.

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Sicilia

Dall’Etna a Milano il nuovo vino della Cantina Costanzo

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a Sicilia è una miniera a cielo aperto dove nasce una cucina ricca di sfumature segnate da una moltitudine di culture che si sono succedute. Ha un incomparabile patrimonio enogastronomico, di spezie, cous cous, pane e panelle, pane cunzatu, arancini, vini dal grande carattere e spiccata personalità. Come quelli dell’Etna, dove solo qui si possono trovare simili particolarità. Dall’elegante Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, al più salino Carricante e Catarratto che sono i protagonisti indiscussi di questa zona dalle sue denominazioni Etna Rosso DOC e Etna Bianco DOC. Vitigni unici, antichi, autoctoni e territoriali. A Passopisciaro in provincia di Catania, dove è possibile assaporare la bellezza dell’Etna più autentica, in una cornice di eleganza e raffinatezza, ha sede la cantina Palmento Costanzo, una tenuta di circa 20 ettari, di cui 10 vitati, disegnati da terrazze a 650-800 metri di altitudine, con vigneti ad alberello etneo, che tendono a risalire le pendici del vulcano sul versante Nord. Al centro, immerso tra i vitigni autoctoni, è stato portato a nuova vita un “palmento” – edificio autentico del luogo - in pietra lavica, di fine ‘700, dove i vignaioli, secolo dopo secolo, svolgevano tutti i processi di vinificazione. Ed è proprio all’interno del palmento che è nata la cantina progettata per ottenere il meglio dalle uve. I vigneti impiantati, sono ad alberello di varietà autoctona. Intorno al palmento c’è un altro tesoro raro e prezioso: un vigneto prefillossera. Lungo le sciare, monumenti di colate laviche, si estende la parte più antica di questa vigna delle “meraviglie”. Sono viti straordinarie per forma, altezza e forza vitale. Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante e Catarratto sono le varietà di viti allevate: hanno un’età variabile da pochi anni fino alle più vecchie che superano i 100 anni. I vigneti crescono in un terreno ricco di sostanza organica e minera-

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le, caratterizzato da sabbie vulcaniche brune derivanti dalla disgregazione dei depositi di lava. Fanno da contorno molti fiori di ginestra gialla, violette, fiori bianchi e varie erbette selvatiche che si ritrovano al naso quando si degustano i vini. Dalla cantina escono 8 tipologie di vini: Contrada Santo Spirito Etna Doc Rosso 2015, il nuovo vino bandiera dell’azienda (Nerello Mascalese 90%, Nerello Cappuccio 10%); Linea superiore (da vigne più vecchie, da 80 a oltre 100 anni d’età); Bianco di Sei Etna Bianco Doc (Carricante 70%, Catarratto 30%); Nero di Sei Etna Rosso Doc (Nerello Mascalese 80%, Nerello Cappuccio 20%); Linea classica (da vigne più giovani, fino a 30 anni d’età); Mofete Etna Rosato Doc (Nerello Mascalese 100%); Mofete Etna Bianco Doc (Carricante 70%, Catarratto 30%); Mofete Etna Rosso Doc (Nerello Mascalese 80%, Nerello Cappuccio 20%). Il vino presentato per la prima volta a Milano presso il ristorante di Filippo la Mantia, per una giornata tutta ispirata alle suggestive atmosfere siciliane, si manifestano con le arancine e panelle, la norma golosa e carne panata con finale di pasticceria sicula. Il tutto accompagnato dalla una nuova etichetta, “Contrada Santo Spirito” Etna Doc Rosso. “Questo nuovo vino, dice Valeria Agosta, titolare della Cantina, rappresenta il vertice della nostra produzione ed esprime l’anima più profonda del nostro terroir, in cui è fondamentale il legame con l’Etna: abbiamo perciò selezionato le vigne più antiche (spesso con oltre un secolo di vita) e abbiamo prestato la massima cura a ogni particolare, per ottenere un prodotto del quale siamo orgogliosi. Contrada Santo Spirito è ottenuto da un’accurata selezione dei grappoli raccolti a mano da vigne secolari allevate ad alberello: Nerello Mascalese (90%) e Nerello Cappuccio”. (enzo russo)

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Food&Wine di Enzo Russo

L’eccellenza del made in Italy è il vero Grana Padano

Le bollicine dei Franciacorta DOCG Le Marchesine abbinamento ideale col millenario formaggio

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i formaggi se ne producono e vendono tanti. Nei supermercati e nei negozi di gastronomia non c’è che l’imbarazzo della scelta: si va dai formaggi freschi a quelli stagionati, da quelli saporiti a quelli piccanti, da quello grasso e morbido a quello light. Insomma formaggi per tutti i palati. Ma esiste anche un formaggio “super” che riesce a mettere d’accordo tutti, dalle persone anziane ai bambini, soprattutto i palati più esigenti, si mangia da solo e si grattugia su molti piatti di riso e di pasta,

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si chiama Grana Padano, un alimento che ha oltre nove secoli di vita e non li dimostra, è stato sempre al passo con i tempi per le sue proprietà nutrizionali ed organolettiche che vengono preservate con un’adeguata stagionatura. E oggi per unanime riconoscimento del mondo scientifico, è diventato uno degli alimenti più importanti della nostra tavola perché, proprio per le sue qualità, contribuisce ad una sana ed equilibrata alimentazione. Il “ segreto “ del Grana Padano stà nel fatto che fin dalla sua scoperta è stato sempre prodotto con latte

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Food&Wine tipiche dei formaggi freschi. La sua ,infatti, è una stagionatura speciale. Durante l’invecchiamento si producono sostanze preziose per la salute, in particolare diverse vitamine, soprattutto la A, la D e quelle del gruppo B. Addirittura, la vitamina D, che ha un’azione antirachitica, non si trova nel latte, ma compare soltanto quando la stagionatura del Grana Padano è stata completata. Altra particolarità di questo prezioso alimento è che per ottenere 1 kg di formaggio, occorrono ben16 litri di latte, mentre per alcuni altri formaggi ne bastano soltanto 8 litri . Grazie al lungo invecchiamento e alla tipica lavorazione, il Grana Padano è altamente digeribile perché a maturazione completata è quasi “predigerito”, essendosi le proteine in esso contenute, trasformate in sostanze complesse e più facili da assimilare. Ma il tradizionale alimento è anche ricco di sali minerali importantissimi per la nostra salute, come il calcio e il fosforo che sono presenti in giuste proporzioni: la percentuale di calcio presente è il doppio del fosforo e questo permette al calcio di essere perfettamente assorbito dal nostro fisico. E poi, il Grana Padano, a differenza di molti formaggi spalmabili, non contiene polifosfati che sono particolarmente nocivi per i bambini perché alterano il rapporto tra calcio e fosforo, rendendo difficile l’assorbimento del calcio. Infatti, può capitare a un bambino che mangia solo formaggini, di essere carente di calcio perché nonostante mangi formaggio, il minerale non riesce ad essere assorbito proprio per la presenza di polifosfati. Come si vede, la genuinità e le proprietà nutritive racchiuse nel Grana Padano, dipendono dalla materia prima, il latte, e dalla lavorazione del prodotto che ancora oggi viene fatto, come in passato, in modo tradizionale, all’antica, senza l’aggiunta di nessun conservante o additivo. E poi, per garantire la qualità al consumatore, c’è il Consorzio per la

fresco di giornata e dall’ora i maestri casari hanno continuato e continuano a farlo allo stesso modo, “ all’antica”, ossia, con latte fresco di primissima qualità parzialmente scremato mediante naturale affioramento della panna, il fuoco per portare il latte a una temperatura di 30° e il caglio che ha la funzione di coagulare la massa che poi viene ridotta in piccolissime dimensioni. Ottenuta cosi la massa caseosa, questa viene estratta dalla caldaia con un telo di canapa per essere introdotta in apposite forme dove assume l’aspetto caratteristico del Grana Padano. Le forme vengono poi immerse in particolari vasche nelle quali inizia la salatura. Dopo alcuni giorni il formaggio viene tolto per iniziare il lento periodo di maturazione. Per evitare che fermenti, ogni forma è conservata per almeno 12 mesi, fino ad un massimo di 24/26 in magazzini dove la temperatura e il grado d’umidità sono rigorosamente controllati. A differenza dei formaggi stagionati, gustosi, ma certo non adatti ai bambini piccoli, il Grana Padano ha notevoli vantaggi, in quanto vanta caratteristiche

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Tutela del Grana Padano che controlla tutta la filiera produttiva , fin dall’alimentazione delle mucche, che debbono nutrirsi al pascolo per buona parte dell’anno, e per il resto con mangimi altamente selezionati. Con questi accorgimenti il latte, prodotto di partenza per fare il Grana Padano, è veramente d’ alta qualità. Viceversa, una nutrizione con mangimi industriali o con fieno conservato nei silos, renderebbe il latte peggiore, fino al punto di impedire la buona riuscita del formaggio. Grana Padano: protagonista È il formaggio che può essere consumato più di ogni altro nell’arco della giornata: a tocchetti per l’ora dell’aperitivo, a metà mattinata, come snack, per chiudere quel desiderio di appetito, a mezzogiorno come secondo piatto, al pomeriggio per la merenda dei bambini, per cena a fine pasto e in tante altre occasioni della giornata. È un alimento che, per le sua tipicità, in particolar modo la differente stagionatura, si presta ad essere interpretato in tantissimi modi sia a tavola sia in cucina e per queste sue peculiarità può essere definito il “Re della tavola”. Vino e formaggio Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro e poi hanno anche una storia in comune. Li unisce l’appartenenza ad un territorio ben specifico che determina le loro caratteristiche. Inoltre sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c’è la maturazione, la stagionatura per il formaggio e l’invecchiamento per il vino. Per gustare il Grana Padano bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso ve ne consigliamo alcuni che nascono in Franciacorta, dell’Azienda Agricola Le Marchesine – Passirano

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a pochi chilometri da Brescia. Dalla cantina escono, ogni anno, oltre 500 mila bottiglie di diverse tipologie di bollicine che hanno conquistato i più importanti mercati nazionali ed esteri L‘artefice di questo successo è Loris Biatta, patron dell‘azienda, sempre in giro per il mondo, che ha costruito negli anni a Passirano una importante realtà vitivinicola conosciuta per la qualità delle sue bollicine.

tante per il palato è il Franciacorta Extra Brut docg. Nasce dalle selezioni clonali di uve Chardonnay, Pinot bianco e nero. Ha un colore giallo paglierino con riflessi dorati e un perlage finissimo e persistente. L’aroma è intenso ed evoluto, decisamente strutturato e complesso nel gusto. Per le sue caratteristiche organolettiche, incontrando il saporito formaggio, mette in risalto tutte le sue qualità.

Arriva l’estate e quale migliore occasione offrire agli amici una coppa di Franciacorta che sa donare anche, assieme all’allegria, una perdurante gradevolezza al palato e al cibo, perché le fantastiche bollicine che sollecitano la vista, sollecitano il naso e puliscono la bocca preparandola al boccone successivo. Il Grana Padano di 15/20 mesi è ideale abbinarlo al Franciacorta Blanc de Noir Millesimato 2009, un Pinot Nero in purezza vinificato in bianco che conta pochi precedenti sul territorio. Di ottima fattura e prezioso per il gusto frizzante che scioglie in bocca la leggera patina lasciata dal formaggio. Con il Grana Padano stagionato 20 mesi, un abbinamento esal-

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RINGRAZIAMENTI Si ringrazia per la degustazione dei vini: Azienda Agricola Le Marchesine Via Vallosa 31 – 25050 Passirano (Bs) www.lemarchesine.com INFORMAZIONI Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano Via XXIV Giugno 8 San Martino della Battaglia 25015 Desenzano del Garda (Bs) Telefono 030.9109811 – www.granapadano.it

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Food&Wine di Enzo Russo

Una scommessa vinta: valorizzare una produzione di nicchia, ma ricca di storia e fascino

Il prosciutto crudo Carpegna conquista gli Stati Uniti

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una bella giornata e, a Trezzo sull’Adda, dove ha sede il Salumificio Fratelli Beretta, ci sono molti Tir che stanno caricando i prodotti per destinazione Europa. Il responsabile Marketing del Salumificio Fratelli Beretta Enrico Farina, ci aspetta nella sala riunioni dove sono in bella mostra le varie tipologie di prodotti della Salumeria Fratelli Beretta. Sono tanti e conosciuti in tutto il mondo. L’argomento dell’incontro è il Prosciutto di Carpegna DOP, un salume che si distingue dagli altri

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per profumi, sapori e “personalità”. “Per i Fratelli Beretta”, ci dice Farina, “il Prosciutto Carpegna rappresenta l’unicità e una scommessa vinta nell’aver intuito la necessità di riportare in auge una tradizione del patrimonio della Salumeria Italiana che altrimenti sarebbe andata persa”. Ci fa vedere come stanno andando le vendite e come è stato accolto dal consumatore esigente, quello dei distinguo sui sapori e profumi. I dati sono molto buoni soprattutto quelli che arrivano dagli Stati Uniti, dove il Salumificio Fratelli Beretta è presente con

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tre stabilimenti. L’ultimo sorto si trova a Mount Olive, in New Jersey, cittadina tipica americana di 20 mila abitanti, fondata, come dice il cartello di benvenuto, nel 1871. “Il Prosciutto di Carpegna”, continua Farina, “è unico perché uno solo è lo stabilimento di produzione che lo stagiona, in Italia e nel mondo. Come ogni DOP, questa eccellenza della salumeria è indissolubilmente legata al suo territorio di origine. Il Disciplinare di produzione del Prosciutto di Carpegna prevede, infatti, che ogni fase di lavorazione della materia prima avvenga nella zona di riferimento, in virtù del particolare microclima legato necessariamente a quello che è il risultato organolettico del prodotto”. Quindi l’aria e il clima sono i due elementi necessari per la produzione del prosciutto di Carpegna: “Esattamente. L’aria salmastra del vicino Mare Adriatico si arricchisce dei profumi resinosi delle colline del Montefeltro. Lo stabilimento di lavorazione e asciugatura del prosciutto è immerso in un parco naturale, quello dei Sassi del Simone e del Simoncello. Si tratta della cerreta più grande d’Europa che negli ultimi anni ha guadagnato anche la bandiera trasparente per l’aria pulita.” Quando nasce: “Nel 1400 in queste affascinanti terre a metà tra Emilia, Toscana e Marche, grazie ai suini allevati allo stato brado nelle colline di Montefeltro e alla disponibilità di sale dolce della vicina Cervia. Tutte materie prime della zona che hanno dato origine alla tradizione del Carpegna e alla sua preziosa DOP”. Questo prodotto rappresenta un po’ la tradizione

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gastronomica del luogo, con i suoi profumi e sapori ben caratterizzati: “A noi piace definirlo aromatico. il Carpegna si distingue per le note profumate ed aromatiche. Il suo carattere si deve principalmente al microclima ma anche alla stuccatura a base di farina di riso, sale, pepe, paprika e altri ingredienti che rimangono segreti. Il colore della fetta è leggermente ambrato e la texture inconfondibilmente soffice grazie all’asciugatura a qualche grado più alta.” Dal 2014 il Prosciutto di Carpegna è del Salumificio Fratelli Beretta, da allora cosa è successo: “Chi produce prosciutti”, dice Enrico Farina, “sa che passa un po’ di tempo per farli. Si va dai 14 mesi per arrivare ai 18 e, attualmente, stiamo lavorando a stagionature più importanti. Quando siamo subentrati abbiamo ereditato una quantità di prosciutti già in stagionatura, ora possiamo dire che tutti i prosciutti che escono dallo stabilimento di Carpegna sono pro-

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dotti dal Salumificio Fratelli Beretta. Oggi, cinque anni dopo, siamo al limite della capacità produttiva. Questa è destinata a raddoppiare con il potenziamento dello stabilimento”. Per quanto riguarda la stagionatura, quale Carpegna troviamo sul mercato? “Sia i 14 che i 18 mesi”. La differenza tra le due stagionature: “Dipende, già a 14 mesi il Carpegna è in grado di regalare le aromaticità distintive, non a caso era il prodotto più venduto e che abbiamo definito di mantenere in vendita. A 18 l’intensità del carattere si fa decisamente più connotata, soddisfa i palati più esigenti”. Il mercato del Carpegna: “Fino ad oggi la capacità produttiva è stata limitata e quindi ci siamo concentrati prevalentemente sul mercato italiano tradizioThe Italian Wine Journal

nale. Da quest’anno siamo sul mercato americano, dopo aver superato tutte le difficoltà. Esistono molteplici vincoli sanitari, legati alle materie prime, alla lavorazione nonché alla stagionatura minima. Ad oggi, negli Stati Uniti è possibile esportare solo le DOP dei crudi, tutti gli altri salumi devono essere prodotti e lavorati in loco. Comunque tutto è andato bene e il Prosciutto Carpegna sta avendo un grande successo”. Cosa pensate di fare per promuovere e far conoscere il Carpegna: “Stiamo valutando una campagna pubblicitaria a mezzo stampa dedicata al ritorno, dopo anni, negli Stati Uniti. Sarà un momento importante che accenderà i riflettori su tutte le eccellenze italiane DOP oltreoceano.” C’è un Consorzio del Prosciutto crudo di Carpegna? “Il Consorzio Prosciutto di Carpegna è nato nel 2015 e, a differenza degli altri, è un Consorzio di filiera costituito da un’ unica azienda produttrice, da allevatori e terzisti della zona delle Marche che si pone come obiettivo la valorizzazione di questa eccellenza tra i crudi DOP e di una regione così ricca di sapori e saperi”. Bollicine e prosciutto crudo Carpegna Il prosciutto crudo è come la calamita, attrae il vino e difficilmente lo lascia, anzi lo coinvolge perdutamente fino alla fine. Una “fine” trionfale, perché

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tutti e due donano al palato sapori unici. L’importante è che siano fatti uno per l’altro, che abbiano caratteristiche e contrapposizioni che li uniscano. A volte è proprio il palato del degustatore e l’esperienza che rivoluzionano gli abbinamenti tradizionali, creandone di nuovi più stimolanti e provocanti. In questo caso, per gustare nel modo migliore il Prosciutto crudo Carpegna, una eccellenza della nostra gastronomia, bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso consigliamo un altra eccellenza del mondo delle bollicine, un Franciacorta docg Secolo Novo Brut Millesimato, un importante vino prodotto dall’Azienda Agricola Le

Marchesine - Passirano (Bs). Nasce da selezioni clonali di uve Chardonnay con vendemmia a mano. Le bottiglie vengono accatastate in locali di affinamento a temperatura controllata (12° - 14°) per almeno 36 mesi che lo portano ad assumere un particolare profumo, sapore con un lungo e finissimo perlage. Si presenta di colore giallo paglierino brillante con riflessi oro-verde. Al naso si percepisce la nocciolina tostata, margarina, note mentolate e di cedro candido. Avvolgente e rotondo al gusto e grande equilibrio tra acidità e sapidità. Nell’insieme è un vino elegante e dalle grandi occasioni.

PER INFORMAZIONI Salumificio F.lli Beretta S.p.A. Via Fratelli Bandiera 12 20056 Trezzo sull’Adda (Mi) www.berettafood.com RINGRAZIAMENTI Si ringrazia per la degustazione dei vini: Azienda Agricola Le Marchesine Via Vallosa 31 25050 Passirano (Bs) www.lemarchesine.com

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Food&Wine di Bernardo Pasquali

La Casearia Carpenedo The world cheese revolution

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ntonio Carpenedo è il leader indiscusso dell’affinamento dei formaggi nel vino. Un connubio ideale che gli deriva dall’aver vissuto un territorio che da sempre è stato sintesi dei due prodotti. Da una parte le casate morbide trevigiane e dall’altre tutta l’arte vitivinicola del Prosecco del Montello e del Raboso del Piave. L’anno fatidico è il 1976, l’anno in cui Antonio cambia il modo di intendere il formaggio e avanza una nuova

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tecnica di lavorazione che verrà chiamata ubriacatura. Ubriaco®, infatti, rimane ancor oggi un marchio registrato di proprietà della famiglia Carpenedo. Il metodo Carpenedo prevede l’immersione delle forme di formaggio all’interno dei mosti durante la loro trasformazione in vino. Una tecnica che abbisogna di maestria e di una formula coniata da Antonio stesso: la T.U.T.A. Un acronimo che significa Tempo, Umidità, Temperatura e Ambiente. I 4 elementi fondamentali per ottenere un grande formaggio affinato. Il

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primo vino che ha letteralmente “penetrato” il primo formaggio della storia italiana è stato il Raboso del Piave. Infatti l’Ubriaco di Raboso ancor oggi rappresenta la pietra miliare da cui tutto è nato. Da quella prima forma è partito un movimento di

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consumo nuovo nel mondo del formaggio. I formaggi ubriachi hanno iniziato ad invadere il mercato e, purtroppo, come purtroppo capita spesso, si è confuso con prodotti che non hanno nulla a che vedere con il vero metodo brevettato da Antonio.

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L’arte dell’affinamento ha conquistato tutta la famiglia Carpenedo ed è proseguita con i figli Ernesto, Stefania e Alessandro. In vari ruoli ,tutti e tre continuano la grande avventura di papà e lo fanno con passione e determinazione nell’azienda La Casearia. I valori della qualità sono rimasti e, continuano ad essere, l’anima sottile di tutto il progetto Carpenedo che oggi ha raggiunto 29 stati in tutto il mondo. Grazie ad alcuni formaggi iconici, come ad esempio il Blu 61, per anni miglior affinato erborinato d’Italia, sono riusciti a conquistare le migliori formaggerie di Parigi, le vetrine glamour di Harrod’s a Londra, gli scaffali prestigiosi di Lou di Palo a Manhattan, fino ad arrivare al Giappone e, per ultimo, la miglior formaggeria di Bangkok in Thailandia. Oggi Carpenedo è diventato un marchio ultrapremiato che trova riconoscimenti nei più prestigiosi concorsi a livello internazionale. Oltre al Blu 61 anche il Basajo, formaggio erborinato di pecora a latte crudo affinato nel Passito di Pantelleria, quest’anno ha ottenuto il riconoscimento in Norvegia di miglior erborinato affinato del mondo al World Cheese Award. Il vento d’Estate, formaggio vaccino a latte crudo barricato affinato nel fieno in botti di legno, invece ha ottenuto la seconda posizione nella sua categoria sempre nello stesso concorso.

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La storia e la tradizione della famiglia Carpenedo continua attraverso una ricerca creativa di nuovi “food match” come ad esempio il contemporaneo BluGins, un erborinato affinato nel Roby Marton Gin e il BluStar erborinato con tartufo Nero estivo delle Langhe in cagliata. Antonio e Giuseppina, dalla loro casa di Camalò a Treviso, con i loro figli, hanno segnato la storia della produzione casearia italiana e internazionale e ancora oggi rimangono le vere icone produttive degli affinati nel mondo.

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Blu 61

Un formaggio iconico che raccoglie tutta la creatività, la visionaria passione e l’amore per il formaggio di Antonio Carpenedo. Si tratta di un formaggio erborinato vaccino erborinato che viene immerso nel Passito di Raboso, un vino dolce ottenuto da uve tipiche della piana del Piave tra le provincie di Treviso e Venezia. La sua densità, il suo colore molto intenso e la ricchezza di polifenoli, fanno si che questo formaggio, dopo l’elaborazione acquisisca una colorazione particolarmente blu-violacea all’esterno. Nel suo interno invece, il vino penetra dolcemente e arricchisce la massa cremosa dell’erborinato, andando ad arrotondare la sensazione piccante tipica del bleu, rilasciando la parte glicerica che ne conferisce maggiore cremosità e suadenza al palato. Oltre a tutto ciò è il sapore di frutti di bosco che irrora tutta la pasta con la sua generosa intensità. IL BLU 61 nasce per essere un gioiello, sin da quando è stato concepito dalla mente creativa di Antonio. Il motivo della sua produzione parte da un evento che segna il lungo cammino della vita famigliare di Antonio e Giuseppina. Il 50° di matrimonio che si tiene nel 2011 è un evento per tutta la famiglia Carpenedo. Antonio decide di regalare alla donna della sua vita un gioiello. Alla fine decide di donarle il suo gioiello più bello, il suo talento, la sua storia, il suo amore profondo che passa tra mani laboriose e una mente vivace e ironica. Le regala un formaggio che sembra una torta nuziale. Le regala il BLU 61, guarnito dei cramberries, questo frutto carnoso e acidulo che racchiude un po’ il senso del piacere e della bellezza. Lo portò a fine pasto, come torta nuziale, davanti a tutta la famiglia e lo condivise per la prima volta con loro. Fu una festa! Una grande sorpresa colpì tutti i commensali e soprattutto Giuseppina. Lei, che aveva condiviso in tutto e per tutto, quel lungo cammino della vita al profumo di latte. (B.P.)

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Food&Wine di Bernardo Pasquali

Opificio 1899. Salumi tipici contemporanei

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ntonio Carpenedo è il leader indiscusso dell’affinamento dei formaggi nel vino. Un connubio ideale che gli deriva dall’aver vissuto un territorio che da sem-

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pre è stato sintesi dei due prodotti. Da una parte le casate morbide trevigiane e dall’altre tutta l’arte vitivinicola del Prosecco del Montello e del Raboso del Piave. L’anno fatidico è il 1976, l’anno in cui Antonio cambia il modo di intendere il formaggio e avanza

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Food&Wine Una ricerca senza tempo Opificio1899 nasce dalla volontà di dare forma alla storia della salumeria italiana. In particolare quella veneta e, più specificamente, veronese. La ricerca delle fonti è il primo approccio ad ogni prodotto. La sapienza dell’arte norcina dei nostri avi. In ogni salume è concentrata la volontà di riprendere in mano antiche ricette che affondano le radici negli ultimi due secoli. Scritti del ‘700 – 800 sono rifioriti da antichi scaffali dimenticati. Piccoli quaderni di appunti di una salumeria ancestrale, hanno ripreso vigore, grazie una nuova tecnica di lavorazione che verrà chiamata ubriacatura. Ubriaco®, infatti, rimane ancor oggi un marchio registrato di proprietà della famiglia Carpenedo. Il metodo Carpenedo prevede l’immersione delle forme di formaggio all’interno dei mosti durante la loro trasformazione in vino. Una tecnica che abbisogna di maestria e di una formula L’arte della salumeria italiana è fatta di gesti ancestrali, di profumi senza tempo, di sapori scolpiti nella storia e nella tradizione di un popolo. Opificio 1899 riprende questi valori e li trasforma in piacevolezza. Opificio 1899 è tipico contemporaneo. L’esaltazione della bontà e della genuinità che contraddistinguono l’epopea gastronomica italiana.

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ad un gruppo di professionisti che hanno intrapreso la via della verità storica. Verona, terra di Opificio 1899 Opificio 1899 riprende la grande tradizione della salumeria veronese e veneta e la fa sua, oggi, secondo quelle che erano le tecniche di fine Ottocento. Pratiche come la marinatura della carne, il massaggio dei salumi, la legatura manuale, le cotture lente e le affumicature naturali, la conservazione e l’affinamento in antiche cantine di pietra, sono i veri valori che contraddistinguono tutti i prodotti. Degustare i salumi di Opificio 1899 significa assaporare il valore intramontabile della storia, avvicinarsi alla genuinità di un tempo dimenticato. Riprendere l’essenzialità del gusto. Elevare la naturalezza delle materie prime. Tipicità e contemporaneità fuse in una sola voce. Opificio 1899. Artigiani della carne. Sono gesti rituali senza tempo. Mani che tornano ad essere il perno di tutta la produzione. Dall’automazione industriale al tocco delle dita. Opificio 1899 cura la carne, sin dal suo arrivo in salumeria. Come un tempo sono le mani che la massaggiano, la ten-

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dono, la tagliano, la puliscono, la preparano alla macinazione, alla salagione, alla cottura e a tutte le fasi che servono per arrivare al prodotto finale. I tranci del Manzo Marinato sono scelti dalle parti migliori delle fese del bovino di razza Pezzata Rossa Friulana, sezionati e massaggiati a mano dopo la marinatura, per favorire la penetrazione lenta degli aromi. La legatura della Coscia Cotta è fatta con lo spago, usando gli stessi intrecci tramandati di generazione in generazione. I salumi di Opificio1899 sono ricchi di gesti, di pratiche che affondano nella notte dei tempi. L’etica della salubrità e dei conservanti naturali Opificio1899 ha coraggiosamente scelto la via della ricerca di sostituti validi dei conservanti di sintesi. Più di tre anni di lavoro per arrivare alla definizione di un protocollo che garantisce salubrità al prodotto passando dalla natura. Via i nitriti dalla Coscia Cotta (motivo per cui non si può chiamare prosciutto cotto). La fonte di Nitrati invece, proviene da liofilizzati di vegetali a foglia larga che contengono lo stesso principio ma da una fonte pulita. Infine si è scoperto il valore di un piccolo frutto brasiliano che si chiama Acerola e che ha sostituito gli antiossidanti chimici.

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Opificio1899 ha ripreso anche il valore antibatterico degli oli essenziali e delle spezie contenuti nel decotto che si usa per aromatizzare il prodotti. Infine la geniale scelta del miele, un antibatterico naturale di cui si riconosce la sua funzione benefica sin dalla notte dei tempi.

un tempo e tenuta a bassa temperatura per più di 40 giorni.

I prodotti Dalla Coscia Cotta alla Brasa Coèrta l’evoluzione della cottura in affumicatura leggera. Quest’ultimo prodotto, viene affumicato secondo le tecniche di un tempo, usando piccoli trucioli e una selezione di spezie, bruciate da un piccolo fumino in stanze dedicate. La Stanghéta riprende il nome degli antichi pali che sostenevano i salami in cantina e rappresenta un salame tipico veneto con il suo lardello di pregio. La Stanga è la versione più grossa che si rifa all’antica tradizione veneta della Soprèssa. Il salame Dolce dove prevale la piacevolezza della carne e la sua dolcezza dovuta al miele e all’assenza di quantità eccessive di sale. Infine il Manzo Marinato, un prodotto gourmet che sta conquistando i palati più fini e l’alta ristorazione. Una fesa di Pezzata rossa Friulana, marinata per immersione in un decotto come si faceva

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Franciacorta

Debuttano I Barisei, dal 1898 vignaioli in Franciacorta La quarta generazione dei Bariselli punta al mercato firmando i suoi Metodo classici

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entusiasmo e la vitalità di un nuovo progetto uniti all’esperienza di più di 100 vendemmie in Franciacorta: “I Barisèi - In vigna dal 1898” è il nuovo capitolo della lunga storia enologica della famiglia Bariselli, originaria di Torbiato di Adro con cantina a Erbusco. I Barisèi si presentano ufficialmente in occasione di questa edizione di Vinitaly e porteranno in degustazione al Palaexpo Padiglione Lombardia, nell’area Franciacorta, quattro grandi cuvée di Franciacorta Docg: Sempiterre Cuvée Brut 90% Chardonnay 10% Pinot Nero, 30 mesi sui lieviti; Satèn Cuvée Mil-

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lesimata 100% Chardonnay, 40 mesi sui lieviti; Rosé Cuvée Millesimata 100% Pinot Nero (80% vinificato in bianco - 20% vinificato in criomacerazione), 54 mesi sui lieviti; Natura Cuvée Millesimata 80% Chardonnay - 20% Pinot Nero, 54 mesi sui lieviti. Il proprietario, Gian Mario, rappresenta la quarta generazione della famiglia Bariselli, vignaioli noti in Franciacorta proprio con il soprannome “I Barisèi”. Prima di lui il padre Francesco e lo zio Gianbattista, e prima ancora il nonno Giuseppe e il bisnonno Paolo. In cantina si affaccia anche una nuova leva: Gloria, classe 1997, figlia di Gian Mario, si occuperà dell’accoglienza e della comunicazione.

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menti sui vigneti sono via via aumentati. Nel 1993 sono state vinificate le prime bottiglie a marchio Solive: proposte nel ’97 sul mercato locale, hanno subito ricevuto un riscontro positivo. È così che Gian Mario ha maturato la rinnovata visione che avrebbe inaugurato un processo di crescita, sia in termini di esperienza che di consapevolezza, culminato nella fondazione della cantina di Erbusco nel 2002. Le prime bottiglie vinificate qui sono arrivate sul mercato locale nel 2006. La filiera agricola virtuosa inaugurata alla fine del XIX secolo, che dall’allevamento passava attraverso l’azienda agricola per arrivare all’agriturismo, ha trovato il suo naturale compimento nella nuova cantina, che dava la possibilità e lo spazio, anche intellettuale, di dedicarsi con assiduità all’elevazione dei propri contenuti. Dal 2011 ha iniziato a delinearsi un nuovo obiettivo: ai Solive Franciacorta DOCG, oggi riservati ai clienti dell’agriturismo, si sono via via affiancate le prime bottiglie destinate a fregiarsi del nuovo marchio di eccellenza, I Barisèi, quintessenza di tanti anni passati a misurare le proprie capacità e il proprio valore.

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I Barisèi in numeri 1898 la data di nascita dell’azienda agricola. 40 ettari di proprietà (85% chardonnay e 15% pinot nero). 35 mila produzione totale di bottiglie I Barisèi (potenziale è intorno alle 100 mila bottiglie).

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In azienda lavorano 8 persone di cui 5 in cantina, con un’età media di 30 anni; Paolo Turra, 29 anni, è l’enologo. In vigna lavorano invece 3 persone con una media d’età di 45 anni. Fanno parte del team anche i consulenti Massimo Azzolini (enologo) e Giuseppe Turrini (agronomo). La produzione de I Barisèi si incentra sulla DOCG Franciacorta. Le vigne de I Barisèi, circa 40 ettari coltivati biologici, sono immerse in un microclima mitigato dal vicino lago d’Iseo e protette dall’arco alpino: siamo al centro dell’anfiteatro morenico del Sebino, conca di origine glaciale tra la base del lago e il Monte Orfano. Tutte le vigne sono nella culla del bacino di derivazione glaciale, nelle zone più vocate del territorio: Torbiato, Adro, Monterotondo, Corte Franca, Calino e in località Bettolino. Ogni appezzamento ha la sua caratteristica: differente altitudine, composizione del suolo, esposizione. Tutto ha inizio negli ultimi anni dell’Ottocento, con Paolo Bariselli e i suoi primi approcci con la vite. Paolo acquisì una cascina a Nigoline di Corte Franca a inizio Novecento. Giuseppe, nel primo dopoguerra, fu invece il responsabile dell’ampliamento del vigneto di famiglia da 3 a circa 10 ettari di terreno. Negli anni ’90 Francesco e Gianbattista insieme ai figli Gian Mario, Donatella, Ludovica e Stefania segnarono la svolta, ristrutturando la cascina di Nigoline e avviando, nella seconda metà del decennio, l’attività agrituristica Solive, tra le prime sul territorio. Inizialmente il vino rosso prodotto dal bisnonno era destinato alla famiglia e agli amici, ma già dalla metà degli anni ’70 iniziò la produzione di Chardonnay per la vendita alle migliori aziende della zona. Da allora, per continuare a soddisfare queste richieste e rispondere al consumo nell’agriturismo, gli investi-


Argentina di Carlo Rossi

L’Argentina presenta i suoi cru

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Argentina Il Malbec è il simbolo della vitivinicoltura albiceleste, ma oggi non è più sufficiente per evidenziare i il potenziale dei diversi territori di produzione. A partire dalla pre-Cordillera e dai suoi vigneti sulla “terra-madre”, a più di mille600 metri d’altitudine. Come cambia l’Argentina del vino nelle parole di Roberto Cipresso, Alessandro Speri e Federico Bruera

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iduttivo parlare di Argentina, quando geograficamente è un insieme di territori vasti e molto diversificati fra di loro. Da qui la necessità di caratterizzare meglio le produzioni albicelesti, valorizzando le differenze ed iniziando a raccontarle con maggiore precisione. Roberto Cipresso, Alessandro Speri e Federico Bruera ce ne raccontano ragioni e tende nze.

Roberto Cipresso: Piedra Vieja, ovvero alla ricerca dell’origine Matervini è la nuova avventura di Santiago Achával e Roberto Cipresso e dimostra come, partendo dalla stessa varietà, le uve di diversi terroir producano vini di carattere completamente diverso. È un percorso che va dai terreni tradizionali ad altri inesplorati, dai più giovani ai più antichi e non alluvionali, come quelli che si trovano nella Pre-Cordillera. Questo “viaggio” finisce nel terroir del tradizionale Mendoza: un vino di Perdriel, una vecchia vite Malbec piantata nel 1938. Qui sorge l’edificio in cui vengono realizzati sei vini della stessa intensità e geologie diverse. La cantina ha una produzione annua di 40.000 bottiglie. È un viaggio che inizia con un vino prodotto nei terreni tradizionali della Valle Uco, un terroir classico e tradizionale. Questo è il punto

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di partenza per saltare a nuovi territori di avventura e scoperta: Valle de Canota a Mendoza; Valles Calchaquíes a Salta, a metà strada tra Cafayate e Molinos; Yacochuya, a Cafayate e infine, ritorno a Mendoza, Piedras Viejas, nella zona di El Challao, Las Heras, il primo vigneto di Mendoza in forte pendenza, con densità di impianto fino a 13 mila piante per ettaro, piantate a oltre 1.600 metri di altezza e con un’enorme diversità geologica in un’area così piccola: terreni calcarei di 40 milioni di anni, un altro calcareo di 450 milioni di anni e un terzo di basalto nero fratturato e stagionato. Tutto, in meno di 20 ettari, in piena Pre-cordillera. Piedra Vieja è un vigneto molto particolare, unico nel suo genere, tanto da poter rappresentare a pieno titolo una delle sfide più coraggiose della viticoltura mondiale: si trova nella provincia di Mendoza, nel dipartimento di Las Heras, alla considerevole altitudine di 1.618 metri s.l.m nella pre Cordigliera Andina. È proprio quest’ultimo il dato più importante da tener presente. I terroir fino ad oggi più esplorati dalla viticoltura Argentina infatti, risiedono sui suoli fertili e di origine alluvionale presenti nelle aree nelle quali i primi agricoltori italiani e spagnoli si sono insediati al momento delle migrazioni nel diciannovesimo secolo. Tali appezzamenti – per intendersi quelli prossimi alla Ruta 40, dai quali si ottengono i più celebri

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vini Argentini – sono più morbidi, facili da lavorare con zappe e cavalli, e hanno alle spalle circa 30 milioni di anni di età. I terreni difficili della pre-cordigliera invece, sui quali si articola il progetto Piedra Vieja, hanno tutt’altro carattere perché appartengono proprio alla terra madre – che gli Indios andini chiamavano Pachamama -; hanno cioè direttamente a che vedere con la Pangea, il blocco unico delle terre emerse che ha preceduto la deriva dei continenti, e risalgono a ben 300 milioni di anni fa. L’area che ospita il vigneto Piedra Vieja è un agroecosistema desertico, di montagna, poco ospitale, che non prevede insediamenti umani. Ed il vi-

gneto stesso inizialmente poteva far pensare più ad una accozzaglia confusa di piante piuttosto che ad un impianto molto desiderato e attentamente studiato: nell’impostazione del vigneto si è lasciato infatti che fossero le piante ad adeguarsi al nuovo ambiente e non il contrario. L’osservazione del vigneto svela proprio come le viti siano state piantate negli spazi consentiti tra i cactus già presenti e gli arbusti centenari, mentre il fabbisogno idrico era inizialmente soddisfatto nella misura di poche gocce per pianta attraverso una piccola sorgente che alimentava una piccola “represa”, dalla quale l’acqua giungeva alle viti sfruttando la forza di gravità. Sono stati necessari 6 anni di tempo per avere i primi fiori ed il primo frutto, e solo la grande passione dei due fondatori del progetto ha permesso di tener duro così a lungo. Le difficili condizioni ambientali hanno infatti allungato i tempi, affiancate da un paio di disavventure: gli attacchi dei pappagalli e delle capre selvatiche che hanno resa necessaria l’istallazione di una recinzione, ed una calamità ben più grave, il terremoto in Cile del 2010, a seguito del quale la sorgente che metteva la sua acqua a disposizione è scomparsa. Portata l’elettricità dall’insediamento umano più vicino alla montagna è stato scavato un pozzo profondo 200 metri, e adesso il vigneto può contare sull’acqua di due laghetti e su una entità complessiva di 50.000 piante. Alessandro Speri: El Hijo ProTorrontes di

digo, le selezioni di

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Salta e Mendoza . Alessandro Speri, della storica famiglia della Valpolicella, nella immensa regione di Mendoza in Argentina ai piedi della più alta vetta della Cordigliera delle Ande, l’Aconcagua, ha dato vita a El Hijo Prodigo, una boutique-winery. Abbiamo degustato assieme i due cru di Torrontes, quello che ha origine a Mendoza, e quello che invece ha origine a Salta. Cominciamo da quest’ultimo, il Prodigo Torrontés Selección de Salta 2014 . I vigneti sono posti sul tetto del mondo, si potrebbe dire, per la viticoltura, a 1680 metri sul livello del mare. Resa per ettaro mediamente sotto i 90 quintali, fermenta a bassa temperatura in acciaio con lieviti selezionati. Viene da Cafayate, provincia di Salta, si presenta di color oro pallido con riflessi verdognoli. Al naso aromi di agrumi come pompelmo e note che ricordano il Moscato. Al palato è fruttato, con note anche floreali e buona acidità. Persistente e piacevole. Siamo poi scesi, si fa per dire, ai 1.100 metri del Prodigo Torrontes Seleccion de Mendoza 2013, Qui cambiano le caratteristiche già al colore, giallo cristallino. Al naso si percepiscono intensi aromi di agrumi, fiori d’arancio e gelsomino. In bocca è molto più aromantico del precedente, con sottili note minerali e piacevole acidità. Finale persistente ed elegante. Tra le varietà bianche il Torrontés esiste unicamente in Argentina e può essere considerata l’unica varietale autoctona del paese. Storicamente di provenienza spagnola, in Argentina ha trovato una nuova patria d’elezione, sviluppando caratteristiche

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diverse, come ad nelle diverse regioni agricole: La Rioja, Salta, Catamarca e Mendoza. Federico Bruera: non Malbec, ma i Malbec Federico Bruera, giocatore di rugby professionista, dal 2005 importa e distribuisce vini dal Nuovo Mondo: Argentina, ma non solo. Dal suo osservatorio analizza i mutamenti nella presenza dei vini del Sud America in Italia e le loro possibili evoluzioni in un mercato storicamente difficile per i vini “non di casa”. Spiega: «La riscossa dei vini argentini resta legata al Malbec e ai suoi migliori interpreti. La maggior parte della produzione vitivinicola nazionale è concentrata nell’areale di Mendoza, con i picchi dell’eccellenza a Luyan de Cuyo e nella Valle de Uco, al fresco delle Ande, ma anche al nord sui Valles Calchaquies, nella Provincia di Salta; e a Neuquen e Rio Negro in Patagonia . Credo che l’ Argentina del vino stia cercando di differenziare le diverse zone di produzione che propone un paese così estenso come l’ Argentina. Iniziando con il vigneto Adrianna da parte di Laura e Nicolas Catena Zapata a Gualtallary, Valle de Uco 1.500 mslm (nominato il primo “Grand Cru” di Sudamerica); al nuovo progetto di Roberto Cipresso a Las Heras con Matervini Piedras Viejas in uno dei sottosuoli più antichi; passando per i quasi 3.000 metri della Provincia di Salta alle zone desertiche in Patagonia. L’Argentina è sì Malbec, ma Malbec di

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che zona?» Come sei entrato in contatto con il mondo del vino? «Tutto è nato quasi per caso, un mio ex compagno di squadra, proprietario de una azienda in Argentina, aveva bisogno di un punto di riferimento in Europa e così ho deciso di iniziare a importare prima i suoi vini e dopo incorporare altre aziende. Notando la poca comunicazione che c’era in torno al vino argentino, ho deciso di, oltre alla importazione, iniziare un per-

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corso di comunicazione della produzione in argentina, del Malbec e delle differenti zone di produzioni. In questo modo ho partecipato a numerose degustazioni, portando i vini argentini a ogni angolo del territorio italiano en non solo; dal 2012 organizzo a Milano il Malbec World Day dove proponiamo 60 Malbec in degustazione aperta e la selezione del MMAI “Miglior Malbec argentino in Italia” attraverso una degustazione alla cieca». Come sta andandola tua società? «L’attività sta andando molto bene, tenendo conto che Italia è il primo produttore al mondo, con la maggior quantità di vitigni autoctoni e zone uniche al mondo. Io dico sempre che il mio lavoro è paragonabile con qualcuno che decidesse un giorno di importare carne in Argentina… Ma, da un’ altra parte, il consumatore italiano resta molto curioso e preparato, sempre interessato a “viaggiare” attraverso il vino, tenendo come punto di riferimento l’Italia, ma aperto a nuove “conoscenze”. Al momento importiamo in esclusiva in Italia le aziende più rinomate de Argentina; come Catena Zapata, Rutini Wines e Matervini da Mendoza; Yacochuya, Vallisto e Pachamama da Salta e Bodega Noemia e Fin del Mundo dalla Patagonia. Il nostro lavoro si basa più sulla qualità che sulla quantità».

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Tecnologia

Uno dei serbatoi prodotti dall’azienda di Grezzana e destinati alle cantine vinicole

Albrigi Tecnologie lancia Planetarius, la nuova cantina “ottimizzata”

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assima pulizia ed afficienza, con costi ridotti e meno rischi per la salute. Il tutto per una produzione vinicola di alta qualità, nel solco della tradizione (e dell’innovazione) veronese. Si chiama Planetarius ed è un nuovissimo concetto di sala di vinificazione ideato e messo a punto da Albrigi Tecnologie, l’azienda di Stallavena di Grezzana leader nella produzione di impianti per la lavorazione e lo stoccaggio dei liquidi nei settori farmaceutico, alimentare, chimico, cosmetico e so-

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prattutto enologico. Progettato per una delle aziende più celebri e prestigiose della Napa Valley, Planetarius è adesso disponibile anche per essere installato nelle cantine italiane ed europee. Si tratta di una tecnologia di cantina che permette di ottimizzare integralmente il processo di vinificazione, con un risparmio pari al 70% sulla manodopera e del 30% di energia, e che garantisce al tempo stesso un aumento di produzione del 30% oltre alla sicurezza contro la contaminazione o l’inquinamento del prodotto che raggiunge il 100%.

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Tecnologia

Stefano Albrigi, titolare di Albrigi Tecnologie

Stefano Albrigi, titolare dell’azienda veronese, è l’ideatore del progetto, che presenta un sistema di lavorazione delle uve e del vino completamente automatizzato. “La cantina si compone di un sistema di gestione e controllo computerizzato e di una serie di vinificatori di nuova concezione, progettati esplicitamente per ridurre i tempi di lavorazione e quindi aumentare la produttività”, chiarisce l’imprenditore. “Abbiamo sviluppato questo sistema per assicurare in ogni fase massima sicurezza e igiene dell’ambiente, soprattutto durante i periodi di piena produzione. Così é possibile risparmiare sia sui costi dell’energia che sui prodotti usati per la sanitizzazione della cantina”. Grazie al controllo computerizzato, inoltre, non soltanto per verificare tutte le operazioni potrebbe essere sufficiente una sola persona, ma le condizioni di totale pulizia e sicurezza in cui si svolgono le varie fasi permettono di proseguire la lavorazione anche in presenza di visitatori, appassionati ed enoturisti anche nei momenti più intensi del lavoro. Un’azienda che intenda sviluppare l’enoturismo non sarebbe quindi costretta a sospendere le visite ad esempio nel periodo della vendemmia e del conferimento delle uve in cantina. “Il mercato della tecnologia enologica è in continua evoluzione e la concorrenza è sempre più agguerrita”, prosegue Stefano Albrigi. “Credo perciò che il futuro guardi alla fornitura di soluzioni che facciano risparmiare tempo ai produttori, diminuire i costi e aumentare la produttività. Planetarius é la nostra risposta a queste esigenze”. Con circa 8 milioni di euro di fatturato annui (il 70% del quale deriva dalle esportazioni), Albrigi Tecnologie è nota nel mondo del vino per essere una delle aziende più dinamiche e creative, capace di offrire prodotti su misura per le necessità dei clienti, grazie al costante impegno di ricerca e sviluppo. Nel 2018 è stata la prima azienda europea ad aver creato un impianto particolare per la lavorazione e lo stoc-

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caggio dei liquidi dotato di speciali finiture interne auto-pulenti. Una piccola rivoluzione nel settore, perché grazie a questo dettaglio per lavare i serbatoi enologici ora è possibile utilizzare la semplice acqua calda, anziché i tradizionali detersivi di lavaggio come la soda che hanno numerose controindicazioni sotto il profilo della sicurezza e della sostenibilità. Con questa tecnologia si può risparmiare ma senza rinunciare alla salvaguardia dell’ambiente e della salute di chi in cantina ci lavora. Inoltre Albrigi Tecnologie studia, progetta, collauda e produce sistemi per proteggere dal rischio sismico le strutture dei serbatoi e ideare soluzioni migliori per le strutture portanti. Progettati da un laboratorio specializzato e testati in un laboratorio antisismico, i serbatoi vengono sottoposti a prove pratiche su piattaforme vibranti per simulare gli eventi sismici o perfino eventi atmosferici estremi come un vento di forza imprevedibile. I serbatoi sono infine fissati o ancorati al suolo nel rispetto delle rigide norme antisismiche internazionali. Grazie a tali accorgimenti (a cominciare dai robusti piedi conici, scatolati e stagni) nessun serbatoio di Albrigi Tecnologie si è mai rovesciato né danneggiato in 30 anni di attività. (Marco Tenedini)

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Soave di Emanuele Delmiglio

Cantina di Soave 120 anni portati con classe

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l traguardo dei 120 anni vede la Cantina di Soave ampliarsi ed estendersi con nuove strutture e un considerevole aumento di produzione vinicola. La cantina, frutto dell’unione di 2200 soci, comprende, a oggi, 6000 ettari di vigneti e pro-

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duce circa 30 milioni di bottiglie l’anno, distribuite in 60 paesi del mondo. Il cuore della produzione sono le denominazioni del territorio veronese: dal grande vino Soave, allo spumante Lessini Durello, ai gioielli enologici della Valpolicella e della zona del Garda.

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Soave

Bruno Trentini Direttore generale della Cantina di Soave

Molti i brand di proprietà: alcuni destinati alla grande distribuzione, come ad esempio Cadis, Duca del Frassino, Terre al Lago, Donè e gli spumanti Maximilian I; altri destinati invece alla ristorazione e alla mescita qualificata, come ad esempio Rocca Sveva, Poesie, gli spumanti Equipe5, Settecento33 e Perlit, solo per citare i marchi più noti. In occasione di questo compleanno speciale della Cantina di Soave, abbiamo incontrato Bruno Trentini, Direttore generale, per rivolgergli alcune domande. La Cantina sociale compie 120 anni… Devo dire, anni di continuo sviluppo, anni di crescita e costante evoluzione per rimanere sempre al passo con i tempi e, dove possibile, per cercare di precorrerli. Attualmente sono in corso i lavori di ampliamento e ristrutturazione della nostra sede principale, in Viale della Vittoria, a Soave. Si tratta di una totale riorganizzazione dello stabilimento, su una superficie di oltre 11 ettari, a partire dalla fase di conferimento uve per arrivare all’imbottigliamento, allo stoccaggio, alla logistica, agli uffici amministrativi. L’investimento previsto è uno dei più rilevanti del nostro settore produttivo nel panorama nazionale dell’ultimo decennio. Dal 1898, la Cantina ha conosciuto epoche molto diverse e travagliate... Sì, possiamo dire che la Cantina ha contribuito alla nascita dell’identità enologica di questo territorio e negli anni ‘20, dopo quella che potremmo definire la “crisi bellico-filosserica, ha avuto un grande peso nel rilancio dell’economia vitivinicola. Infatti, pur avendo una finalità economica, la Cantina ha sempre avuto anche un risvolto sociale. Ciò non è

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cambiato nel corso degli anni: rimane immutato il senso di responsabilità nei confronti del territorio, un impegno che è insieme economico e sociale e che si traduce in benessere condiviso. Negli ultimi vent’anni la Cantina ha notevolmente ampliato la zona di produzione… Sì, c’è stata una vera e propria fase “espansiva”, durata circa un ventennio, che ha visto l’azienda impegnata in un lungo processo di accorpamento di altre cantine cooperative del territorio, Illasi, Cazzano e Montecchia di Crosara, al fine di costituire ampie e solide basi su cui impostare le proprie strategie commerciali. Siamo passati da 1000 soci a circa 2200 e da 2000 ettari vitati a circa 6.000. E ora è in corso l’ampiamento. Una volta completata l’intera opera, a quanto ammonterà la produzione? Le nuove linee di imbottigliamento di Viale della Vittoria, installate nel corso del 2018, ci permette-

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Soave

ranno di aumentare gradualmente l’imbottigliato, perché hanno un potenziale di 80 milioni di bottiglie all’anno. È chiaro che una cosa del genere non accade con lo schioccare delle dita: ci vorranno alcuni anni per arrivare a regime. Qual è la presenza sul mercato nazionale ed estero? Attualmente, circa la metà del nostro fatturato viene dall’estero, nei prossimi anni aumenteremo la produzione, raggiungendo una percentuale di diffusione de 60/70% dall’estero e del 30/40% dall’Italia. Quali sono i vostri obiettivi?

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Il primo obiettivo è quello che i nostri soci abbiano delle soddisfazioni economiche importanti, come è sempre stato alla base della nostra politica aziendale e sempre sarà. In secondo luogo, non siamo particolarmente interessati a grandi contratti con le grandi catene europee, cosa che equivarrebbe ad essere in pratica contoterzisti, ma desideriamo essere in prima persona nel mercato con i nostri brand aziendali. Come viene percepito il Soave nel mondo? Il Soave è stato, fino agli anni ‘90, uno dei vini italiani più conosciuti nel mondo. Proprio per questo, è stato identificato anche come uno dei vini più popolari. Quello che stiamo cercando di fare da 10/15 anni a questa parte, e non è una cosa semplice, è di trasformare la percezione che le persone hanno del nostro vino: da brand popolare a brand di qualità ed esclusività. Ci vorrà sicuramente del tempo per riuscirci. Questo ampliamento avrà ricadute sull’occupazione? A livello occupazionale si incrociano due situazioni: da una parte una diminuzione del personale, dovuta alla maggiore automazione; dall’altra parte invece, l’espansione richiede personale qualificato nella gestione degli impianti e delle azioni di promozione dei prodotti. L’azienda è passata da 100 a 180 persone in 10 anni e nei prossimi anni il personale aumenterà ancora.

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Olio

Costa Arènte: debutta l’olio della tenuta scaligera di Genagricola

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el 2015 Genagricola, la holding agroalimentare di Generali Italia, decise di ampliare i propri possedimenti acquisendo 35 ettari in Valpantena, forse la zona più affascinante del “sistema Valpolicella”. La proprietà racchiude il vertice di una collina, ad una quota fra i 250 ed i 350 metri sul livello del mare. Dei 35 ettari, 18 sono a vigneto a pergola e, oltre ad una formidabile esposizione, godono del clima particolare generato dalla vicinanza coi Monti Lesini che garantiscono anche nelle più torride giornate estive un flusso costante di venti. Il terreno di Costa Arènte è ricco di scheletro composto da rocce dolomitiche ed argille. Quest’anno debutta, a fianco dei classici vini veronesi Amarone, Valpolicella e Ripasso, un Olio: ultimati ormai ultimati cantina di vinificazione e appassimento, Genagricola ha deciso di valorizzare un’altra produzione di eccellenza, quella dei 600 ulivi che si stendono su 2 ettari di collina nel versante sud dell’Azienda. Le varietà che compongono questo olio, sono la Favarol tipica di tutta la collina Lessinica, la Grignano tipica delle colline veronesi verso il Garda, e il Leccino. Vengono raccolte a mano nell’ultima decade di ottobre, per preservare il fruttato delle olive, con una resa in olio molto bassa (10%). Il clima della Valpantena – una zona più fredda della Valpolicella e delle rive del Garda – permette alle olive di mantenere una acidità molto bassa e di preservare tutti gli aromi più delicati: la mandorla, il carciofo

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sono le espressioni dominanti all’olfatto e che emergono anche dalla trama setosa al palato. I profumi sono immediati e in degustazione l’olio è molto equilibrato ed elegante, non scompare nell’abbinamento coi cibi – come sovente accade per gli olii veronesi – ma sa farsi valere pur senza, ovviamente, la forza e l’impatto degli oli toscani e del Meridione.

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Basilicata di Carlo Rossi

Fabio Mecca, il Sud deve riscoprire le antiche varietà L’enologo di Paternoster, e di diverse altre Cantine del Mezzogiorno, traccia il profilo dei nuovi vini che rappresenteranno il prossimo futuro

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Basilicata

«L’

idea del vino del Sud è profondamente cambiata o meglio dire si è evoluta, in quanto si è passati da vini opulenti, quasi masticabili a vini eleganti che pur conservando la loro natura hanno acquistato eleganza e piacevolezza. Il Sud è ricco di antiche varietà che, negli anni sono state messe da parte a causa della loro non eccessiva produttività, una su tutte l’Aglianico Bianco ancora in via di sperimentazione . Fabio Mecca è stato appena eletto nel nuovo Consiglio di AssoEnologi come rappresentante per la Regione Basilicata. Un riconoscimento del lavoro fatto nell’arco di una quindicina d’anni per valorizzare la vitivinicoltura del Mezzogiorno come enologo di diverse cantine, grandi e piccole, con un occhio di riguardo al grande patrimonio degli autoctnoni. Cosa hai imparato da Roberto Cipresso e Riccardo Cotarella? Roberto Cipresso è stato il mio primo maestro ho collaborato con lui per molti anni, a lui devo tanto ed in particolar modo l’idea di Terroir in senso stretto. Riccardo Cotarella è il mio Presidente, è certamente colui che ha trasformato la figura dell’enologo in cantina, facendo si che non fosse solo un chimico ma diventasse uomo chiave nelle strategie aziendali Dal duemila ad oggi hai notato differenza tra fare vino al Sud, al centro e al nord? Le differenze erano inizialmente più culturali all’approccio della produzione, il nord ed il centro più propenso a fare un progetto mentre il sud ha pagato ancora per molto l’idea di fare vino “da taglio”

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questo però, grazie all’ingresso delle nuove generazioni ha permesso di allontanare questa ombra e lanciare il Sud in una trasformazione epocale. Più soldi o passione con i vitigni nuovi? Splendida domanda, i due fattori sono direttamente proporzionali, i nuovi vitigni sono la frontiera ma, essendo tali hanno bisogno di molti più investimenti in termini di comunicazione al grande pubblico Quale la più giusta promozione secondo te per le aziende medium size? C’è un modo diverso di comunicare il territorio? A mio avviso ed in base alla mia esperienza è importantissimo per queste aziende riuscire, anche grazie al ruolo dell’enologo dedicare del tempo ed energie alla migliore promozione possibile, l’incontro diretto con i clienti ed appassionati organizzando degustazioni in locali che sempre più stanno aprendo le loro porte a questo tipo di manifestazione Che ne pensi della internazionalizzazione delle imprese famigliari? Ritengo che, in questo caso è importante riuscire a far si che tale percorso avvenga senza però snaturare lo spirito dell’azienda. Da Tre anni l’incontro con la Famiglia Tommasi, quattro generazioni di viticoltori, aziende nelle zone più vocate dell’enologia italiana e tu? Con loro ho avuto la fortuna di entrare in una altra dimensione dell’imprenditoria enologica, è l’azienda che riesce a coniugare massima qualità e numeri, il loro è un progetto chiaro e lineare che coinvolge molti territori ed io sono il loro riferimento enologico al Sud, Paternoster sul Vulture e Masseria Surani a Manduria.

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Competizioni

Marco Bergoli è il miglior potatore italiano: ha vinto il 1° Festival italiano organizzato da Simonit&Sirch

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on 97 tagli eseguiti alle perfezione su 105, Marco Bergoli, 26 anni, della Demetra Srl di Cazzago San Martino (BS) è il vincitore del 1° Festival italiano del Potatore organizzato da

Simonit&Sirch e svoltosi il 9 marzo ad Erbusco, in Franciacorta. Ad aggiudicarsi il podio per la migliore squadra sono stati gli Avengers, ovvero Riccardo Turata, Francesco Deledda, Marco Ostan, con 291 tagli perfetti su 315 eseguiti. Per la gara singola, 2°

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Competizioni

classificato è stato Valeriu Cristian Antone dell’azienda Antonutti di Colloredo di Prato (Ud), mentre terza si è piazzata una donna, Giulia Florelli dell’azienda Tua Rita di Suvereto (Li). Nella classifica delle squadre sono arrivati al secondo posto Michele Botticini, Michele Gatti e Nasir Amid di Bellavista di Erbusco e al terzo Andrea Gatti, Fabio Cadei e Marius Marineac di Ca del Bosco di Erbusco. È stata una gara emozionante e giocata veramente sul fil del rasoio, dato che lo scarto nei punteggi fra la terna dei primi piazzati di ambedue le categorie è stato veramente minimo. Alla competizione, organizzata per la prima volta in Italia, hanno preso parte 120 concorrenti, il cui operato è stato giudicato da Marco Simonit e dagli specialisti del team Simonit&Sirch, affiancati da due noti esperti internazionali di potatura, Raymond Favez (nominato Re della potatura alla Festa dei Vignerons di Vevey, in Svizzera, del 1999, in carica da 20 anni) e Philippe Kuntzmann (per oltre 10 anni responsabile della Sezione malattie del legno della vite alla stazione di Colmar in Alsazia dell’IFV, Istituto Francese della Vigna e del Vino, il centro nazionale di riferimento per la ricerca e la divulgazione in viticultura). Grande interesse hanno suscitato l’Atelier delle forbici tenuto dalla Felco (azienda leader del settore e Main Sponsor della manifestazione) e le dimostrazioni di dendrochirurgia, operazione con cui Simonit&Sirch “operano” le viti malate. The Italian Wine Journal

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Cucina del Cuore. Il ristorante pub argentino Voltejo di Silvina Sil

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impatia, vitalità ed allegria. Queste sono alcune delle emozioni che trasmette Silvina Sil 39 di Santa Fe, una delle province più belle della rurale Pampa Argentina, dal suo ristorante, il Voltejo, a San Biagio di Callalta, Oderzo. La singolare porta d’ingresso del Voltejo, invece, non direbbe presentare il più brillante e contemporaneo dei ristoranti argentini di San Biagio e dintorni, al numero 11 di via Pola, in una via tranquilla e defilata rispetto alle direttrici più trafficate della Sinistra Piave. Silvina viene dall’Argentina in Italia con la decisione di dare qualcosa di importante al suo paese d’elezione. Prima o poi capiterà di vederla in qualche coocking talent. Non è un caso che, a meno di un anno dalla sua entrata in operatività, The Fork assegni al suo ristorante-pub 9,5 su dieci. Pressoché il massimo dei voti per il servizio di TripAdvisor per i ristoratori. Voltejo propone una eccellente cucina Argentina. Il locale è molto accogliente un’atmosfera casalinga, accompagnata con cordialità e simpatia. Il menù veramente super! Ideale il menù degustazione. Un bel mix che farà provare la cucina Argentina, abbondante a un prezzo adeguato.

Direttore responsabile: Beppe Giuliano email:boss@giornaleadige.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@giornaleadige.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Alessandra Piubello, Elisabetta Tosi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Magda Beverari, Daniela Scaccabarozzi, Emanuele Delmiglio

Chicca in più per chi ha compagni vegetariani anche ottimi piatti per loro. La carne è ovviamente il punto forte e viene proposta in più varianti a partire dagli antipasti (fantastiche le empanadas che significa, più o meno, con dentro niente..em-pa-nada). Ma, attenzione, il nome del locale non è argentino, come parrebbe, bensì saldamente legato alla tradizione locale. Amedeo Voltejo Obici è un opitergino che ha fatto un po’ di storia degli Stati Uniti. Nato in una famiglia povera, condizione comune a tantissime famiglie venete alla fine 800, primogenito di 4 fratelli, rimase orfano a sette anni e di conseguenza costretto ad abbandonare la scuola per un lavoro. Ma restando la situazione familiare precaria, dopo 5 anni la madre si fece convincere dallo zio Vittorio precedentemente emigrato in America, a mandargli il ragazzetto. Amedeo si ambientò subito nel nuovo mondo; dotato di un eccezionale bernoccolo per gli affari si mise in società con un amico, Mario Peruzzi, e fondò nel 1906 con sede a Scraton poi trasferitasi a Suffolk in Virginia, la Planters Peanut Company e nacque con essa il famoso logo e mascotte della Planters, Mr. Peanuts, che verrà in seguito popolare in tutto il mondo.

Impaginazione: Delmiglio email: redazione@delmiglio.it telefono: 045 6931457 Copertina: Alessandra Piubello, Kanaan Winery Concessionaria per la pubblicità: Fantasia Edutainment SRLS-Verona email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito www.challengeeuposia.com Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com Per il sito: www.italianwinejournal.com Fantasia Edutainment SRLS email: fantasiaverona@gmail.com Stampa: Giorgione Communication Rossano Veneto (Vi)

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Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno IV - n.5 - Euro 5 - aprile 2019

T orre R osazza – L ambruschi d ’E milia – M albec d ’A rgentina – V illa R inaldi – R onco C alino – I C ampi di P rà – S annio F alanghina , capitale del vino – S agrantino – C antina di S oave

Torre Rosazza, il Friuli che non ti aspetti

Lambruschi d’Emilia le migliori Cantine Argentina, non un solo Malbec

www.italianwinejournal.com Merger & Aquisitions: così cambia volto il vino italiano – Villa Rinaldi, il metodo classico scaligero – Sannio Falanghina, capitale del vino 2019 – Sagrantino, cosa cambia – I Campi, il gioiello di Flavio Prà – Ronco Calino, al cuore del Franciacorta – Cantina di Soave, 120 anni di successi BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


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