GESTIONE DELLE RELAZIONI CON CLIENTI E CITTADINI
SCENARI
Lezioni di greco Economie a confronto
APPROFONDIMENTI
Il quinto stato Un popolo di freelance
MODA
Ethical fashion Intervista a Saverio Palatella
PUBBLICITÀ
Spot’s anatomy Come nasce uno spot
SPECIALE:LAVORO Il lavoro: la chiave di volta
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Anno XI - 02.2011 Trimestrale www.voicecomnews.it
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CHI SIAMO / L’idea di Urban Bike Messengers nasce da un gruppo di appassionati di ciclismo urbano con l’intento di portare anche a Milano il servizio di CORRIERI IN BICICLETTA, già attivo con successo nelle principali capitali del mondo.
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C O N T R I B U T O R S
Paolo della Sala Editorialista di politica estera per Il Secolo XIX e altre testate giornalistiche come Liberal, Il Riformista, L’Occidentale. Blogger di Blogosfere, autore di testi letterari, esperto in policy e public affairs.
Antonino M. Grande Dirigente Medico di Primo Livello, Divisione di Cardiochirurgia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia
Saverio Palatella Stilista di moda
Gabriele Santalini Dottore commercialista e revisore contabile
A questo numero hanno collaborato: Raffaella Amoroso, Maurizio Arata, Sonia Avemari, Stefano Canapa, Paolo Della Sala, Paolo Dello Vicario, Antonino M. Grande, Petra Invernizzi, Vittorio Maffei, Saverio Palatella, Umberto Raimondi, Gabriele Santalini
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E D I T O R I A L E
Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero. Comprendere tutto quello che sta accadendo nell’ ambito del mondo del lavoro e delle figure che si muovono fra bosco e sottobosco della nuova realtà è cosa che sta divenendo sempre più difficile. Certo in questo mondo di recente globalizzazione tutto si intreccia e si confonde. La stabilità sociale viene a mancare, il precariato è una costante addirittura positiva e garantita. La non-occupazione va per la maggiore, soprattutto nel mondo giovanile. Ma anche per tutte quelle figure che si avvicinano alla soglia dei cinquant’anni. Le donne sono via via colpite da un numero soverchiante di vessazioni e di attacchi ai loro diritti, a partire da quello della maternità. Per una che gode ( e, dati i tempi, sembra un eufemismo ) sono mille quelle che soffrono. Le piccole e medie imprese, nonché l’universo delle partite Iva, sono nel mirino di avidi cacciatori di vil denaro, quel poco ancora rimasto per continuare ad imbottire le proprie tasche alla faccia della comunità. Il malware è comune denominatore, tanto in Italia che all’estero. I pochi cervelli partoriti da validi docenti universitari sono comunque costretti alla fuga da un Paese dove ricerca e cultura sono solo inutili parole che non si mangiano. Il futuro non conta, i cittadini non contano, la scuola, l’Università, l’educazione non servono. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato a dato. La vera monnezza non è quella della bellissima Napoli, ma quella che aleggia sull’intero sistema paese vampirizzato da una finanza nazionale ed internazionale corrotta e corruttibile, nascosta in un castello di carte, che nel gioco delle scatole cinesi compare sparisce ricompare risparisce nei paradisi fiscali. La sanità, già alquanto malridotta in molte zone del paese, diviene un lusso di cui poco disporre per tutti, tranne che per pochi “eletti” ( e pare un altro eufemismo ). Stare qui è sinonimo di essere penalizzati, andarsene vale quasi altrettanto. Siamo grati a tutti coloro che hanno a cuore il destino di questo paese e di questo piccolo pianeta, e che cercano di preservarlo e custodirlo. Siamo grati a coloro che ancora leggono, si informano, discutono e si rimboccano le maniche nel nome del bene comune. Siamo altresì grati alla Rete che ci permette di offrire differenti spunti ed opinioni alfine di salvaguardare ciò che ancora rimane, sostenendo l’innovazione e la cultura come strumenti di sviluppo e miglioramento della qualità della vita.
Editore ITER srl - www.iter.it Redazione VoiceCom news Via Rovetta, 18 20127 Milano TEL: +39 02.28.31.16.1 FAX: +39 02.28.31.16.66 voicecomnews@iter.it www.iter.it/vcnews.htm Direttore responsabile: Domenico Piazza Condirettore: Maurizio Arata Direttore Contenuti: Petra Invernizzi Art Director: Clara Dubbioso e Marco Corna Progetto Grafico: Housegrafik.com
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Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 157 del 7 marzo 1992. Pubblicità inferiore al 45%. Non si restituiscono testi e materiali illustrativi non espressamente richiesti. Riproduzione, anche parziale, vietata senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo firma e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comporta alcuna responsabilità per l’Editore.
S O M M A R I O
VIAGGI
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La valigia del paziente Pro e contro del turismo medico
TENDENZE
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Quando il web cerca di geolocalizzare
MODA SCENARI
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Lezioni di greco Alcune economie a confronto
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Ethical fashion Intervista a Saverio Palatella
PUBBLICITÀ FOCUS
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Il lavoro La chiave di volta
Spot’s anatomy Breve storia di come nasce e si realizza uno spot pubblicitario
APPROFONDIMENTI
CINEMA
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Il quinto stato Un popolo di freelance
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Nuove professioni Il community manager
ESPERIENZE
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Tecnologia e corporate wellness
INTERVISTE
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Job in progress Intervista a Vittorio Maffei
Il grande cinema non va in vacanza
EVENTI
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La sfida dei Serious Games Ricerca, applicazioni, esperienze e prospettive future
RECENSIONI
56 PILLOLE
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Le pillole di Voicecom news
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SCENARI
ALCUNE ECONOMIE A CONFRONTO
LEZIONI DI GRECO TESTO - Paolo Della Sala
Parole chiave
economia / crisi del libero mercato / politica economica / PIL / lavoro / mercati internazionali
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onostante alcuni segnali di ripresa, la crisi economica continua a colpire in diverse aree del mondo. Sarà pertanto utile una riflessione pragmatica, se si vuole capire cosa è davvero successo e quali errori sono stati commessi, in modo da trovare dei rimedi efficaci e uscire dal pantano. Per evitare sterili polemiche di bandiera, conviene uscire dall’Italia e seguire quanto succede in alcune aree del pianeta. Alcuni chiarimenti sono necessari:
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Si continua a ripetere che il default USA del 2008 sia stato causato dal liberalismo, cioè da un mercato “troppo” libero e non regolato. In realtà, le regole mancanti avrebbero dovuto evitare che truffatori offrissero soluzioni finanziarie presentate come fiumi di latte e miele e settimane dalle sette dome-
niche, e avrebbero dovuto bloccare la politica dei mutui a tasso agevolato di Bill Clinton. Clinton è caduto nella fede che fosse possibile dare una casa di proprietà a tutti gli americani con la sola forza della legge. L’idea è sacrosanta ma il rischio è quello descritto da G.B. Shaw: “Il governo che toglie a Pietro per dare a Paolo, potrà sempre contare sul supporto di Paolo”. Spiegando meglio: tutti i governi vorrebbero regalare denaro ai loro governati. Il problema è come. Clinton impose mutui a tassi irrisori e senza chiedere garanzie. Quando ci furono i primi segnali di crisi e si creò una richiesta di liquidi, le banche entrarono in affanno, fecero rivalsa sui debitori che erano a loro volta impossibilitati a pagare le rate e il sistema andò in tilt.
Tutti ricordano la polemica contro “l’idraulico polacco” che andava in Francia o nel Regno Unito a offrire i suoi servizi a un prezzo minore di quello dei suoi colleghi del posto.
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La crisi del 2010 è invece tipicamente europea e si basa sul collasso dei debiti pubblici di alcune nazioni, alcune delle quali sono provviste di un welfare decente (L’Irlanda), mentre altre hanno un welfare più rocambolesco (la Grecia). Il debito pubblico può funzionare in questo modo: chiedendo a banche estere di finanziare il welfare locale. In questo modo a Pietro non si toglie nulla, e Paolo è felice di dare il proprio voto. Ma quando i mercati internazionali chiedono un check alle banche, il sistema va in crisi, e sia Pietro sia Paolo si accorgono di essere loro i veri debitori, mentre prima avevano preferito non saperlo. Ottenere denaro facile sui mercati internazionali ha cristallizzato intere nazioni (la Grecia soprattutto), convertendole in economie di servizi, con posti di lavoro improduttivi e il mantenimento di un welfare di massa insostenibile. Ne deriva una ulteriore crescita della spesa statale, già sepolta dai debiti in Titoli.
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Un altro nodo è l’alto livello delle tasse necessarie a sostenere il sistema di clientele e la burocrazia governativa. Tutti sanno che in Italia un operaio guadagna anche il 50% in meno del suo collega tedesco. Si dice che ciò sia dovuto alla pirateria degli imprenditori italiani. In realtà le aziende tedesche pagano per ogni busta paga praticamente la stessa somma delle aziende equivalenti italiane. E allora perché i nostri dipendenti guadagnano di meno? Semplice: la differenza viene tutta assorbita dallo Stato, se ne va in tasse e in servizi per giunta peggiori di quelli tedeschi.
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Altra osservazione necessaria: in Italia si sparla della politica – ma la si mantiene saldamente alla guida feudataria del Paese, mentre nei Paesi seri i politici sono semplici amministratori delegati dai cittadini. Si parla male anche dell’imprenditore e quindi del mercato
libero. Si adora il “mercato guidato dai partiti”. In realtà i problemi consistono proprio nel legame indecente tra cattiva politica e l’imprenditoria legata alla politica. In uno Stato sano invece gli imprenditori sono cittadini liberi di fare impresa e di offrire i propri prodotti al prezzo migliore: non c’è separazione né ostilità tra l’impresa liberata dalla politica e l’individuo. IL CASO POLACCO L’economia e i mercati mondiali cambiano a una velocità stratosferica per la nostra burocrazia. Tutti ricordano la polemica contro “l’idraulico polacco” che andava in Francia o nel Regno Unito a offrire i suoi servizi a un prezzo minore di quello dei suoi colleghi del posto. Ebbene, adesso i polacchi si ritrovano con degli idraulici cinesi in casa propria: l’appalto finale dell’autostrada Berlino-Varsavia è infatti stato vinto dalla Contec (http:// en.covec.com) , una società statale cinese. I suoi 500 operai sono tutti cinesi, vengono pagati con tariffe cinesi, nutriti con cibo cinese. Anzi, non sanno nemmeno quale sia la loro paga, che viene consegnata ai loro parenti in Cina. L’appalto costerà 185 milioni di euro, per un tratto di 49 km. Per intenderci: il Passante di Mestre, lungo 32 km, è costato quasi un miliardo di euro, iva esclusa. Il punto è che i prez-
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In Grecia vi sono centinaia di categorie professionali considerate “usuranti” tanto da andare in pensione a 55 anni se uomini, e a 50 se donne. Ma tra le professioni “usuranti” c’è quella di parrucchiere, di musicista di strumenti a fiato, di presentatore televisivo.
In Grecia tutti si allattavano al biberon pubblico, a partire dai 750 mila dipendenti dello Stato su 4,2 milioni di lavoratori.
zi per l’autostrada made in China erano imbattibili, e la velocità di esecuzione incredibile. Inoltre la Polonia aveva fretta di costruire le infrastrutture per gli europei di calcio del 2012. Non so davvero se questo sia un segno di liberismo oppure di cinesismo, ma di sicuro è segno che i tempi cambiano. IL CASO DELLA GRECIA È anomalo che i greci protestino e scioperino in forma anche violenta contro il loro governo. Forse dovrebbero protestare contro se stessi… Indubbiamente i partiti greci di destra e sinistra hanno approfittato di deleghe in bianco per intascare più del dovuto e del lecito. Ma chi ha dato loro il permesso di agire e perché? In Grecia tutti si allattavano al biberon pubblico, a partire dai 750 mila dipendenti dello Stato su 4,2 milioni di lavoratori. I dati sono imbarazzanti per tutti e – anche se non si può togliere il pane a nessuno - si deve però tenere conto che i greci il pane di bocca se lo sono in parte tolti da soli. In alcune amministrazioni pubbliche vi erano 50 autisti per ogni auto blu… cose che nemmeno a Roma.
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Nell’ospedale Evangelismos di Atene, grande e importante fin che si vuole ma in cronico deficit, sono stati assunti ben 45 giardinieri. Poi ci sono le 40.000 pensionate che ricevono mille euro al mese a vita solo per essere figlie nubili di funzionari statali deceduti. Vi sono centinaia di categorie professionali considerate “usuranti” tanto da andare in pensione a 55 anni se uomini, e a 50 se donne. Ma tra le professioni “usuranti” c’è quella di parrucchiere, di musicista di strumenti a fiato, di presentatore televisivo. Non si tratta certo di contadini o di operai degli altoforni. Anche in Italia si è parlato della pletora di Enti pubblici: in Grecia vi è un Ente secolare finanziato (bene) per il “controllo” del lago Kopais, che si è prosciugato nel 1930. Mentre in Germania i lavoratori hanno lavorato gratis per pagare i conti della Germania dell’Est, in Grecia l’età pensionabile media sarà portata a 63 anni entro il 2015. In Germania, l’età minima per entrambi i sessi é di 65-67 anni. Chiaro che un’economia più allegra delle comari di Windsor rischia di non andare da nessuna parte: non si tratta sempre di complotti internazionali. A volte si tratta di vizi nazionali.
IL CASO DELL’ALGERIA Sui quotidiani algerini El Watan e Liberté ci si interroga sugli errori commessi negli ultimi anni dai governi nazionali. In particolare Najy Benhassine - economista della World Bank- nel think tank Difendere le imprese (http://defendrelentreprise.typepad.com) emette una dura sentenza di condanna sulle “politiche di promozione dell’impresa privata nei paesi del Sudest asiatico e sulle lezioni da trarre per l’Algeria”. Per Benhassine “Non si tratta di mancanza di riforme, ma piuttosto di qualità e credibilità delle riforme implementate”. Ha ragione: io - quando sento parlare di “leggi per l’economia” e “riforme” sento puzza di bruciato. Servono invece soluzioni, quelle che si chiamano policy. Gli investimenti privati nell’area del Maghreb sono stagnanti da una ventina di anni. L’Algeria non esporta che 124 prodotti in totale, inclusi gli idrocarburi. È un default del modello economico, forse dovuto al dirigismo statale e di partito. Abdelhak Lamiri, economista e Ceo della Insim, ricorda che: “Lo Stato ha immesso 180 miliardi di dollari negli ultimi 20 anni, solo per fare sopravvivere le aziende pubbliche improduttive e in passivo”. Quel fiume di denaro poteva invece essere meglio utilizzato creando una nuova filiera industriale dotata
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di ben 3 milioni di lavoratori produttivi, che avrebbero creato un giro di affari annuale di 80 miliardi. Al contrario i fondi per aziende statalizzate in passivo irreversibile hanno salvato soltanto 200.000 posti di lavoro, per giunta considerati in buona parte improduttivi. Di più: lo Stato algerino inietta nella società il 33% del PIL, ottenendo il 3% di crescita ma con le finanze statali ridotte a zero nonostante la miniera d’oro garantita dagli idrocarburi. Intanto la spesa pubblica cresce del 25% mentre le importazioni rischiano di superare il record di 40 miliardi $ a fine 2011. Anche la crescita del 3%, strabiliante per l’economia dirigista europea, è in realtà inferiore alla media di tutto il continente africano. Gli arabi del Golfo in realtà sono molto più dinamici (e lo sono anche i marocchini): la sola finanza islamica (quella governata dalla sharia, quasi senza interessi) ha avuto una crescita del 26% dal 2004 al 2009. IL CASO DEL TEXAS In piena “crisi del libero mercato” il Texas ha perseguito politiche ultraliberali (zero imposte sul reddito e sulle imprese), convinto che la parità di bilancio si debba perseguire tagliando la spesa e non alzando le tasse. Certo che non esistono utopie: anche il Texas ha un buco di bilancio e un altissimo tasso di abbandono scolastico, con un alto numero di bambini privi di assistenza. La risposta a questa sfida sarà decisiva per la politica statunitense dei prossimi anni. I dati economici del Texas sono infatti eccellenti se paragonati ad altri stati. Mentre la “europea” California è in calo demografico (come tutta l’Europa, e si dovrebbe capire che il calo demografico significa anche crisi), la popolazione del Texas cresce a un ritmo doppio rispetto alla media USA. Secondo la Brookings Institution tra le venti città americane che più si stanno arricchendo ben sei si trovano nel Texas, mentre otto tra le città più povere degli USA si trovano in California.
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È un caso? La questione viene posta da Alessandro Tapparini su Il Foglio. Nel secolo scorso la California era la terra dell’oro e negli anni ’80 competeva con le primissime economie mondiali, col reddito più alto del pianeta. Ora è il posto peggiore dove fare affari negli USA (il primo è il Texas). Certo dal punto di vista di un greco il Texas resta uno stato cinico, non a caso è lo scenario del film “Non è un paese per vecchi”: niente Il Texas è il primo contratti collettivi, sinproduttore di energia dacalizzazione al 6%... elettrica degli USA: non In California invece le grazie al petrolio dei Bush, Union impongono alte ma grazie ai paghe ma adesso alle fimulini a vento, impiantati nanze del Golden State in grandissimo numero. mancano 535 miliardi di dollari (contro i 20 del Texas), per cui la situazione di Los Angeles e San Francisco è grigia, nonostante la presenza dell’industria cinematografica e della filiera informatica. Del resto persino la produzione di film, che nel 2002 era all’82% ad Hollywood, ora lo è solo al 30%. Il cinema yankee si fa altrove. Il Texas è il primo produttore di energia elettrica degli USA: non grazie al petrolio dei Bush, ma grazie ai mulini a vento, impiantati in grandissimo numero. La scommessa è sull’equilibrio tra nuova economia e nuovo welfare: si pensa che per i bambini in crisi convenga pensare a un lavoro vero per i loro genitori, più che alle sovvenzioni. E infatti, l’anno scorso la metà dei posti di lavoro di tutti gli States è stata creata in Texas. Non si tratta di destra o sinistra: negli ultimi anni la California è stata gestita da un Terminator repubblicano. Si tratta di scegliere tra statalismo rinnovato e un liberalismo rinnovato e privo di ideologia.Dallo scontro tra due modi di intendere le politiche economiche potranno nascere indicazioni utili anche per l’Italia.
PAOLO DELLA SALA
Giornalista
LE TIPOLOGIE DI MULINO A VENTO Rotor placed downwind
Farm Farm windmill windmill
Cretan sail windmill
Darrieus rotor rotor Darrieus
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FOCUS
Parole chiave costo del lavoro / globalizzazione / riforma fiscale / finanza / speculazioni finanziarie
di GABRIELE SANTALINI
Il lavoro: la chiave di volta SUL LAVORO SONO STATI SCRITTI NUMEROSI SAGGI MA NON SI VUOLE, IN QUEST’ARTICOLO, COMMENTARE CONCETTI HEGELIANI O MARXIANI SULL’ARGOMENTO. VORREI INVECE PARLARE DEL LAVORO COME RISORSA ECONOMICA E SOCIALE NEL NOSTRO TEMPO RAPPORTANDOLO ALLA CRISI CHE STIAMO VIVENDO IN QUESTI ULTIMI ANNI.
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LA VERA RICCHEZZA Guardando la storia del nostro Paese, analizzando il boom economico degli anni ’50, ’60 e ’70 è indiscutibile affermare che la grande ricchezza venne generata col lavoro e la conseguente produzione di beni e servizi. Proviamo ora a confrontare con la ricchezza prodotta negli anni ’90 e nel nuovo secolo: speculazioni finanziarie, immobiliari, “furbetti del quartierino” che improvvisano scalate, azioni quotate in borsa che si deprezzano del 99%. La differenza sta nella sostanza: il lavoro è concreto; la finanza è ricchezza virtuale. Non vorrei con questo denigrare l’aspetto finanziario che è parte integrante e importante dell’economia,
semplicemente occorrerebbe ridimensionarlo al suo naturale ruolo di complementarietà e subordinazione. D’altro canto se andate a vedere la struttura di qualsiasi bilancio aziendale, noterete che la gestione finanziaria (salvo casi particolari) dovrebbe assumere un aspetto secondario rispetto alla gestione economica che rispecchia l’attività vera e propria dell’impresa. La finanza quindi al servizio dell’attività economica, ovvero della produzione di beni e servizi. Ma cosa succede quando questo non avviene? Pensate quanto sarebbe bello produrre ricchezza senza costi: questa è la finanza avulsa dall’attività produttiva. D’altronde i costi sono tipici della gestione economica (ricavi meno costi) e quindi qualcuno per l’appunto “furbetto” ha pensato bene di dedicarsi esclusivamente all’aspetto finanziario. Piacerebbe a tutti acquistare azioni o immobili a 100 e rivenderli in breve tempo a 150: ecco la ricchezza veloce senza fatica, senza lavoro e senza costi di struttura o di personale.Basta un PC, le conoscenze giuste, qualche compromesso e il gioco è fatto. Ma questo 50 di utile, dato dalla differenza di acquisto e quella di vendita, da che cosa è generato? Da nulla: non c’è un prodotto, non c’è un servizio.
Ma se qualcuno ha guadagnato 50 e non è stato prodotto nulla allora qualcuno ci avrà pur rimesso. Certamente! Ci rimette il sistema: la collettività. Avete presente il caso Cirio oppure Parmalat? Prima sono problemi societari, poi diventano problemi delle banche italiane e alla fine il problema passa agli italiani stessi. Questo perchè quando una banca produce un utile naturalmente se lo gestisce come meglio crede, ma quando produce una perdita allora lo Stato interviene “nell’interesse della collettività”. Ma siamo sicuri che questo interesse sia veramente della collettività e non di poche famiglie? Comunque questo è ciò che succede quando la finanza si discosta dalla produzione. SPECULAZIONI E VIGILANZA Le speculazioni sono un po’ ovunque. Passavo qualche giorno fa davanti un’agenzia immobiliare di Milano e mi ha colpito una proposta relativa ad un monolocale di 40mq in corso Como alla modica cifra di 900.000€.
Per chi non conosce la zona stiamo parlando di una via attaccata alla Stazione Garibaldi delle Ferrovie dello Stato, famosa per la movida milanese e quindi neanche particolarmente felice per un immobile residenziale. Da un breve calcolo il monolocale è venduto a 22.500€ al mq. quando a New York si trova qualcosina di carino anche a 10.000€ al mq. Siamo sicuri che sia il valore giusto? Voi spendereste questa cifra per passare notti insonne a causa degli schiamazzi dei giovani che continuano ad entrare ed uscire da locali e discoteche? Forse lo scopo della proposta immobiliare non è una reale compravendita, ma solo documentare un valore gonfiato da inserire in qualche bilancio o in qualche garanzia per ottenere un finanziamento. Altro esempio è il mercato azionario italiano. Il valore della singola azione dovrebbe quantomeno rispecchiare, anche solo a livello teorico, il valore della società quotata diviso per il numero di azioni emesse. Negli Stati Uniti una società che ha bisogno di capitale, si rivolge al mercato borsistico chiedendo ai piccoli investitori di comprare le proprie azioni promettendo di dividerne gli utili. Se l’imprenditore non gestisce bene l’attività, i piccoli azionisti vendono le azioni e comprano quelle di società meglio gestite. Sembra banale ma funziona anche perché il valore delle azioni raramente è soggetto a forti sbalzi: il guadagno consiste quasi sempre nella distribuzione dei dividendi (l’utile della società). In Italia i dividendi quando ci sono, sono infinitesimi e il vero guadagno si cerca di crearlo con la differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita. Ancora una volta siamo in presenza di mera speculazione completamente slegata dalla produzione di beni e servizi. È capitato che una azione pagata dal piccolo investitore 15€, dopo circa un anno abbia un valore di 0,5 €.
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Cosa è successo? Come è possibile che in un mercato istituzionale e controllato come la Borsa italiana una società possa passare da un valore all’altro senza che nessuno dica niente? È chiaro che o era sovrastimato il valore di 15€ oppure è sottostimato quello di 0,5€, ma in entrambi i casi ci dovrebbe essere una Consob e una società di revisione che vigilano sulla correttezza dei valori e su eventuali operazioni fraudolente. Capirete che vendere a 15 qualcosa che adesso vale 0,5 non è neanche speculazione ma furto legalizzato! Gli organi e i meccanismi di controllo ci sono, si pagano persone e società per vigilare. Nonostante ciò la speculazione continua a mietere vittime trasferendo risparmi dei piccoli investitori nelle tasche di grandi gruppi economici. IL COSTO DEL LAVORO È la politica economica di un Paese che determina il delicato equilibrio tra economia produttiva e finanziaria.
Le leve principali su cui agire sono neanche a dirlo la fiscalità/ contribuzione e la burocrazia. Immaginiamo per esempio di voler assumere un dipendente: prendiamo per comodità un fattorino/addetto
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alle pulizie quindi senza specializzazioni e con la paga più bassa possibile. Utilizziamo un 7° livello del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del Commercio la cui retribuzione lorda mensile è circa 1170€. L’aliquota contributiva globale da versare all’Inps è il 38,17% di cui il 9,19% a carico del lavoratore e il 28,98% a carico del datore di lavoro. Questo significa che all’imprenditore costerà circa 1510 € al mese (trascurando l’Inail) mentre il lavoratore percepirà circa 900 € nette. Quindi il datore di lavoro paga un 68% in più del netto in busta paga del lavoratore e questo è il caso più favorevole perchè con l’aumento della retribuzione, per effetto della progressività impositiva, il divario aumenta fino a superare il 130%. L’aliquota contributiva del 38,17% è così elevata (in Germania è circa la metà) per evitare un fallimento Inps causato da erogazioni di pensioni maggiori dei contributi ricevuti dai lavoratori. Il rischio fallimento Inps è nato fondamentalmente da due fattori. La prima causa è stata l’eccessiva concessione alle richieste sindacali negli anni ’80 e ’90 che hanno sicuramente contribuito ad aumentare le pensioni dei propri iscritti, ma nel contempo hanno spostato il maggior onere di mantenere dette pensioni alle generazioni future creando una vera e propria divergenza generazionale.
Il secondo fattore consiste nel progressivo invecchiamento della popolazione italiana: sempre più pensionati e sempre meno lavoratori che versano contributi. Oltre alla fiscalità bisogna considerare i costi della burocrazia per la gestione del personale: le comunicazioni, gli adempimenti, le regole diverse per ciascun contratto collettivo, il calcolo di malattie, ferie, permessi, tredicesime, quattordicesime, TFR e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo comporta l’impossibilità del datore di lavoro di adempiere personalmente agli obblighi richiesti, costringendolo a demandare e quindi pagare un professionista dedicato. Dopo tutti questi calcoli pensate invece alla tassazione relativa alle rendite finanziarie: 12,5% secco senza scaglioni! Anche queste scelte di politica fiscale incidono sulla preferenza dell’investimento finanziario rispetto all’imprenditoria e alla creazione di lavoro/ricchezza. IL MERCATO DEL LAVORO Spesso si critica la classe imprenditoriale perché a volte trasferisce l’at-
tività in Paesi esteri al fine di ridurre i costi di produzione. Non bisogna dimenticarci che ormai siamo in piena globalizzazione. Il ragazzino che vuole acquistare una chiavetta USB non va più nel negozio specializzato, ma con una ricerca su internet si fa inviare l’oggetto direttamente dal paese asiatico che lo produce con un notevole risparmio sul prezzo. Senza andare sul tecnologico anche la brava massaia impara a comprare la verdura dove costa meno. D’altronde coi tempi che corrono, risparmiare quando si può è diventato necessario. Allo stesso modo anche all’imprenditore, che non vede utili da qualche anno, deve essere lecito pensare ad una riduzione dei costi. La politica fiscale poc’anzi descritta rende il costo del lavoro uno degli oneri più pesanti da sopportare all’imprenditoria italiana. Altra considerazione è il concetto di mercato del lavoro e di solidarietà internazionale. L’imprenditore in perdita che decide di chiudere l’attività in Italia per aprirla in Romania è considerato quasi un delinquente perchè lascia a casa padri di famiglia. Di converso in Romania la stessa persona è vista come benefattore. La verità è che non possiamo più pensare al solo “sistema Italia”.
Creare posti di lavoro è un bene mondiale a prescindere dal luogo che si sceglie. Se un’idea imprenditoriale in Italia non funziona più, mentre funziona all’estero, è bene che si trasferisca. In questo modo si trasferisce anche la ricchezza che piano piano si ridistribuisce nel mondo. Le zone povere hanno generalmente basso costo del lavoro, le aziende tendono ad aprire unità produttive in queste regioni aumentandone la ricchezza. Non dobbiamo pensare ai paesi sot-
tosviluppati o in via di sviluppo come una zavorra che frena il nostro Paese “rubandoci” il lavoro. Pensiamo invece che portare lavoro e ricchezza in questi paesi consentirà loro di diventare consumatori anche dei nostri prodotti italiani. Questa è la vera sfida della globalizzazione. Facciamo un esempio pratico col caso Fiat. L’Italia ha sempre avuto una grande tradizione di costruzione automobilistica. Molti italiani lavorano nel settore o nell’indotto. Ma tutte le automobili che produciamo a chi le vendiamo? Noi non possiamo comprarne una ogni anno. I tedeschi e i francesi hanno le loro. Una volta saturato il mercato non è più utile né economico costruire auto. Cosa facciamo? Tutti a casa? Perché invece non cerchiamo di aiutare continenti come l’Africa: una volta stabilizzati pensate a quanti milioni di potenziali acquirenti di
AD OGGI LE ALIQUOTE IRPEF SONO LE SEGUENTI: Scaglioni reddito
Aliquota
da 0 a 15.000 €
23%
da 15.000,01 a 28.000 €
27%
da 28.000,01 a 55.000 €
38%
da 55.000,01 a 75.000 €
41%
oltre 75.000 €
43%
auto. Spesso aiutare gli altri significa aiutare anche se stessi! IL LAVORO E LA POLITICA Si parla tanto di riforma fiscale e spesso ci si arena su argomenti quali come trovare i finanziamenti per poterla attuare. Dalle riflessioni esposte in questo articolo credo sia ben chiaro a tutti quale sarebbe il vantaggio economico nell’avere un minor costo del lavoro. Non solo si comincerebbe a creare impresa, ma probabilmente arriverebbero società dall’estero che aprirebbero la propria unità produttiva in Italia. Questo si tradurrebbe inevitabilmente in maggiori imposte versate.
Altra osservazione circa la riforma fiscale è la progressività dell’imposta. Come sappiamo la nostra Costituzione stessa prevede un regime fiscale di tipo progressivo: quindi i redditi più bassi hanno un’aliquota Irpef inferiore rispetto ai redditi alti. Per questo motivo un sistema alquanto complesso di detrazioni e l’individuazione di aliquote diverse per scaglioni di reddito, garantiscono il concetto di progressività. Nessuno mette in dubbio la bontà ed equità del sistema progressivo, ma le modalità su come attuarlo fanno la differenza tra una politica fiscale e un’altra. Come potete notare per il fisco italiano la progressività finisce a 75.000€ annui. Lungi da me auspicare una tassazione progressiva all’infinito considerando anche che il 43% di aliquota è veramente alto soprattutto se paragonato ai servizi ricevuti in cambio. La critica è nel fissare a 75.000€ questo tetto che a parer mio andrebbe innalzato a 300.000€ consentendo aliquote più basse a scaglioni più alti: ad esempio un 20% fino a 30.000€.
Se la nostra classe politica impegnasse il proprio tempo per discutere ed esaminare queste argomentazioni sarebbe sicuramente un Paese migliore.
GABRIELE SANTALINI
Dottore Commercialista, studio@santalini.it
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A
APPROFONDIMENTO di MAURIZIO ARATA
IL QUINTO STATO
Un popolo di freelance Parole chiave
consulenti/ lavoratori della conoscenza/ popolo della partita IVA/ lavoratori autonomi/ precari/ mobilità/ Un soldato di ventura, un mercenario, che presta la propria lancia in modo temporaneo al miglior offerente, se non al più meritevole: un consulente per l’appunto
C’
era una volta un cavaliere senza macchia e senza paura. Il suo nome era Ivanohe….e di mestiere faceva il consulente. Probabilmente oggi Sir Walter Scott dovrebbe esprimersi in questo modo per dare qualifica al suo celebre personaggio. Una “ lancia libera “, un������ free� lance, un cavaliere pronto ad offrire i propri servigi al no� bile bisognoso d’aiuto. Un soldato di ventura, un mer� cenario, che presta la propria lancia in modo temporaneo al miglior offerente, se non al più meritevole. Un consulen� te per l’appunto. Una figura che in svariate forme diven�
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ta parte importante, se non fondamentale nella storia del mercato del lavoro, ed oggi talmente diffusa e variegata da superare addirittura i confini delle classi sociali e in certi casi, molti come vedremo, ar� rivata a fondersi con una sorta di neoproletariato invisibile. Va da sé che la figura prima� ria del consulente denota un target di alto profilo, è infatti un freelance specializzato ri� chiesto ed ambìto tanto dalle Grandi Imprese, dalle Medie Aziende, così come da Mini� steri o altro. Vediamo appunto personalità, in qualità di massimi esperti, venire di volta in volta chia�
lavoro e dell’impresa ci conduce ad un’altra molteplicità di figure che ormai da alcuni decenni, due in particolare, sono divenute l’universo della società del terziario avanzato. Si badi bene, un universo nuovo nel tessuto sociale postfordista, tanto fondamentale quanto invisibile nella sua realtà complessiva. Il salto porta dal consulente raro e privilegiato, riconosciuto e ultraretribuito, al freelance nuovo operaio massa della conoscenza come lavoratore atipico, non garantito, sottopagato, ed il più delle volte privato dei fondamentali diritti. La trasformazione industriale che ha coinvolto e sta coinvolgendo sempre più anche il nostro Paese, la competizione che marcia di pari passo con l’accanita concorrenza sempre più forte sul mercato internazionale, la globalizzazione che reca con sé un mondo di lavoratori a costi ridicoli, sono i fattori determinanti che stanno sviluppando sempre più questa forma di esternizzazione delle mansioni lavorative.
non ci sono
diritti riconosciuti mati a svolgere mansione dal mondo dell’Economia, della Scienza, della Sociologia, dell’Energia, dell’Ambiente… Questo tipo di alto consulente è spesso e volentieri strapagato, in lui si ripongono importanti aspettative
per la risoluzione o la presa in carico dei più grandi problemi che non si è in grado di risolvere col normale organico operativo. Si potrebbe dire che un tale consulente sia perfino indispensabile. Ma da questo modello di consulente, la trasformazione del mondo del
Non è un caso se oggi il santo più in voga è San Precario. Ma questo non porta propriamente il precariato all’interno di questo nuovo panorama diffuso. Il precariato che ci giunge dalle fabbriche, che cresce nella Scuola e nell’Università, porta comunque ancora con sé i “legacci“ del posto fisso, il collocamento a tempo indeterminato, un sindacato storico che ne prende le difese. Il nuovo modello industriale vuole liberarsi da tutti i vincoli che gli vengono creati dal lavoro dipendente, e lo sta rapidamente facendo. La produzione di fronte alla concorrenza non vuole pause, scioperi, malattia, maternità. Ben venga per questi soggetti zavorra la rupe di Sparta. Nel contempo l’esternizzazione passa ed è passata attraverso una forma ben diversa da quella della contrattazione. L’esternizzazione si è sviluppata e si sviluppa dalla politica dei licenziamenti, dalla disoccupazione, dalla cacciata della middle class imVoiceCom news 02.2011
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piegatizia dal posto di lavoro fra i 45 e i 50 anni, dalla non-occupazione studentesca, che si tratti di laureati o meno poco importa, da un mondo giovanile sempre più disilluso del proprio futuro. Da questo intricato panorama che coinvolge differenti figure sociali, con diverse esperienze, se non con nessuna esperienza, nasce questo nuovo modello non ben definibile di lavoratore indipendente, autonomo, freelance. Un modello che si muove in una quantità di settori impressionante, si va dall’artigianato,
VITA DA FREELANCE
I LAVORATORI DELLA CONOSCENZA E IL LORO FUTURO di Sergio Bologna e Dario Banfi Editore: Feltrinelli Pagine: 288 ISBN: 8807172014 Prezzo: € 17,00
Un testo molto interessante vuole fare riflettere su quello che è il lavoro autonomo in Italia, e in vari altri paesi, dall’Europa agli Stati Uniti. Gli autori invitano ad una seria riflessione at� torno a quel che sta cambiando nel mondo del la� voro postfordista. Il lavoro indipendente va a specchiarsi nella tradizione collettivista e nelle sue rappresentanze. Il ruolo economico di questo nuovo fronte di lavoratori è sempre più in aumento e giocato al ribasso. Figure multiformi si affac� ciano moltiplicandosi ad un mercato sempre più competitivo. Spesso sfugge l’esperienza, così come sfuggono gli studi a monte. Milioni di lavorato� ri arrancano, nuotano e si dibattono in un oceano mosso, dove le onde appaiono in forma di dubbi e di incertezze. Una vasta fetta di questo mondo la� vora “navigando”. La Rete è divenuta tutt’uno con le nuove figure emergenti, ne è fonte e strumento indispensabile.Possono i nuovi lavoratori delle conoscenza trovare forme di aggregazione e di rap� presentanza? Come si svolge il passaggio che porta un forte individualismo verso la coalizione ed il fare community? Saperne di più potrà essere vitale guardando il prossimo futuro. L’obiettivo è il riconoscimento del lavoro indi� pendente, del suo valore professionale e della conoscenza su cui fonda le proprie radici. Così Sergio Bologna e Dario Banfi aprono un di� battito tutto da seguire, da cui certamente si potranno verificare nuovi mutamenti di carattere sociale e nuove istanze di diritti ad oggi in���� esi� stenti.
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Un popolo capace di convivere in solitudine con il
desktop di un computer
al giornalismo, all’arte, alla creatività, alla comunicazione, ai call center, alle piccole e medie imprese con i contratti co co pro, ex co co co, agli stagisti, e via dicendo. In tanti casi l’unica aggregazione è quella della Rete, dei Social Network e dei Social Media. Volente o nolente, rappresentante del nuovo modello di sviluppo sociale è il cosiddetto popolo delle Partite Iva. Un popolo capace di convivere in solitudine con il desktop di un computer, dialogando e sviluppando lavoro attraverso una tastiera, barcamenandosi fra un’intuizione, un’innovazione e l’immancabile concorrenza di mercato. Il senso di libertà che nasce nello svolgimento di tale propria attività si scontra con la continua necessità di stare nel mercato, con l’obbligatorietà fisiologica di vedere ripagato
ISTAT
pari a 37.000 unità rispetto allo stesso periodo di un anno prima). Il risultato è la sintesi dell’incremento dei dipendenti a tempo determinato (+4,6%, pari a 70.000 unità) e degli autonomi (+0,8%, pari a 40.000 unità), a fronte del calo dei dipendenti a tempo indeterminato (-0,6%, pari a -72.000 unità).
La crescita del numero degli occupati registrata nel primo trimestre 2011 interessa, dopo oltre un biennio, anche le figure lavorative a tempo pieno (+0,2%,
OCCUPATI PER TIPOLOGIA DI ORARIO, POSIZIONE E CARATTERE DELL’OCCUPAZIONE I trimestre 2011
Tipologia di orario, posizione professionale e carattere dell’occupazione
Valori assoluti (in migliaia)
Variazioni sul I trim. 10
Incidenza %
Assolute (in migliaia)
Percentuali
I trim. 2010
I trim. 2011
0,5
100,0
100,0
Totale
22.874
116
a tempo pieno FIGURA 4
19.391
37
02
85,0
84,8
a tempo parziale
3.483
78
2,3
15,0
15,2
Dipendenti
17.054
65
0,4
74,6
74,6
Permanenti
14.923
-19
-0,1
65,7
65,2
a tempo pieno
12.719
-72
-0,6
56,2
55,6
a tempo parziale
2.204
53
2,5
9,5
9,6
A termine
2.131
84
4,1
9,0
9,3
a tempo pieno
1.584
70
4,6
6,7
6,9
547
14
2,7
2,3
2,4
Indipendenti
5.820
51
0,9
25,4
25,4
a tempo pieno
5.088
40
0,8
22,2
22,2
732
11
1,5
3,2
3,2
414
18
4,5
1,7
1,8
a tempo parziale
a tempo parziale Indipendenti, di cui Collaboratori
il proprio lavoro della conoscenza in termini di vile denaro. Qui non ci sono ferie retribuite, se si ha la febbre si ha la febbre, punto e basta. Non vi sono diritti riconosciuti, non c’è un sindacato che cauteli, magari neppure lo si vuole. Non si guarda alla pensione, quale pensione? Non esiste più un qualsivoglia tariffario che garantisce un’adeguata retribuzione, vengono a cadere i punti di riferimento. Forse ne restano solo due: la famiglia e internet. Mentre la famiglia, se c’è, dove può, se può, fornisce una garanzia vitale, è pro-
prio internet a dare fiato al lavoro indipendente.
proprio sapere ed il proprio capitale umano.
Dall’usura fisica propria dell’operaio di fabbrica si passa all’usura cerebrale data dal mezzo tecnologico e dal suo essere sempre più in progress, utilizzando sempre più nuovi strumenti innovativi capaci di permeare l’intero vissuto quotidiano.
In quest’economia, l’avere successo non è sinonimo di sicurezza, continuità, garanzie sociali presenti e future, ma solo una base per prossime competizioni, dove spesso e volentieri non contano più le lauree o i titoli di studio. Il nuovo mercato vorrebbe ottenere il massimo pagando il minimo, anzi ancora meno. E se qui non si può fare, allora si delocalizza. Si va dove il lavoratore costa meno, oppure cosa importa se un’ idea grafica, tanto per esempio,
Naturale il fatto che una tale nuova diffusa figura sociale porti con sé una nuova economia, dove la sfida deve essere capace di superare l’insicurezza, dove viene messo in gioco il
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me la faccio sviluppare in Malesia o in Bulgaria, e poi me la importo con internet. Il freelance come lavoratore della conoscenza non è solo farina del nostro sacco, ma trova il suo bel spazio fisico e virtuale tanto negli Usa quanto nella nostra Europa comunitaria. Il lavoro dell’intelletto viaggia come merce, come prodotto finito travalicando qualsiasi tipo di frontiere.
Qui parlare di precarietà va ben oltre il classico concetto di precariato. La mobilità, almeno quella intellettuale, è messa in conto fin dal primo momento, ma il cammino è come quello di un trapezista di circo. Se un tempo c’erano i colletti bianchi della middle class, oggi ci sono i colletti colorati della hobo society. E naturalmente la prima mobilità attraversa gli spazi virtuali di internet.
per frenare il gioco al ribasso che le grandi imprese multinazionali hanno da tempo messo in atto col solito scopo di trarre sempre maggiore profitto dallo sfruttamento di un’umanità trattata alla stregua di merce. Tante sono le associazioni o gli ordini che aggruppanno questo o quel profilo, questa o quella tipologia, ma quel che manca è una soglia di rappresentanza orizzontale.
Qui non c’è la paura del mobbing in azienda, ma la paura di vedere sviluppare o comprare la stessa idea a minor prezzo in qualche altra parte del mondo. Sono sempre più diffuse le aziende che amano questo tessuto sociale e lo “impiegano”. Se prendiamo come esempio le aziende di call center, cosa importa se il servizio offerto viene da casa o dall’India o da un paese dell’est, dove i costi sono compressi ed i vincoli pressocchè inesistenti, sia da un punto di vista fiscale, burocratico e istituzionale. Quello a cui si mira è l’eccellenza, c’è chi ci riesce e per fare questo instaura un rapporto di fiducia ottimale con i propri dipendenti temporanei, c’è chi invece cerca solo di approfittarne per poi chiudere i battenti in malo modo e scappare colla cassa.
Il fare da sé del freelance reca come conseguenza una tendenza ad un individualismo yankee che poco
E non certo gli attuali sindacati sembrano in grado di cogliere una tale novità, peraltro poco gradita, alla quale non sono mai stati abituati, essendo trincerati nella difesa di un operaio fordista che non esiste più, nella difesa di un piccola equiparazione salariale per un operaio specializzato con pensione assicurata, o nella difesa delle poche linee di montaggio ancora rimaste.
Se un tempo c’erano i colletti bianchi della middle class, oggi ci sono i colletti colorati della
HOBO
Ben venga la tutela della classe operaia e dei lavoratori in quanto tali, ma si voglia almeno aprire gli occhi, tutti e due gli occhi, e magari anche il cervello, di fronte alle trasformazioni in atto, alle nuove figure sociali che nuotano nel mare del non-garantismo, alla necessità di fare fronte comune e creare nuove regole capaci di dare pari dignità in un contesto di innovazioni e nuove tecnologie che tendono da una parte verso il miglioramento della qualità della vita, dall’altra verso l’ignoto sociale.
society
Il lavoratore temporaneo non sa quale sarà il suo futuro, è solo un atipico prestatore d’opera. Anche i lavoratori delle Partite Iva, peraltro, sono o divengono in questo contesto sociale particolarmente atipici, spesso si trovano in condizioni di dovere interrompere fasi di lavoro, magari per un periodo di contratto a progetto, per poi tornare alla precedente attività e scoprire che nel frattempo i vecchi clienti, ovviamente, li avevano già sostituiti.
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si confa con lo spirito collettivista di cui è da sempre pregna l’Italia e l’Europa, per non parlare dei paesi dell’est. La figura del freelance è anche molto ma molto eterogenea, le aspirazioni individuali stesse sono differenti, variano da singolo a singolo, anche le necessità economiche possono variare. Tutto sommato se dovessimo trovare un punto di aggregazione per questo nuovo popolo del lavoro, per questa nuova moltitudine sociale, lo dovremmo fare in termini di diritti e garanzie. Un tale tipo di fattore comune sta per divenire otremodo necessario
MAURIZIO ARATA
Giornalista, Condirettore di Voicecom news
A
APPROFONDIMENTI
Nuove professioni: il community manager di PETRA INVERNIZZI
L’avvento del web 2.0 e, in particolare, dei social network ha cambiato il modo di rapportarsi delle persone con le aziende. Dal canto loro, le aziende non potevano stare a guardare e, chi prima chi dopo, hanno iniziato ad adeguarsi. Non tutte ovviamente. Alcune ancora nascondono la testa sotto la sabbia, sperando che passi la tormenta, altre, più scettiche, guardano ai nuovi trend come a mode passeggere. Ma la maggior parte delle imprese ha capito la necessità di esserci e l’importanza di costruire la propria immagine in rete.
“Le idee noiose non possono diffondersi, le aziende noiose non possono crescere.” Seth Godin Quando parlo di social media, mi riferisco in particolare a Facebook che io considero ormai un “social mass media” o, meglio, un social media di massa. C’è chi lo snobba, chi lo guarda con sospetto o disprezzo, chi lo accusa. Ma Facebook è Facebook: il social network. Quello che sta cambiando le nostre abitudini, i nostri siti, il nostro modo di comunicare e di lavorare. E dentro ci trovi
tutti. Che piaccia o meno, Facebook è il social network. Almeno in Italia. Almeno per ora. Una cassa di risonanza senza pari, un nuovo e potente canale di CRM e di acquisizione e conversione del traffico utenti.
Parole chiave
social media marketing / web 2.0 / social media / facebook / customer care / comunicazione / marketing, crm
“Oggi l’obiettivo non è quello di scalare le vette, ma di scendere nelle strade, perché è qui che si svolge l’azione” Seth Godin
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Del resto, se consideriamo che nell’aprile del 2011 sono 20.750.000*, uno più uno meno, gli italiani che si sono collegati a Facebook, forse una riflessione vale la pena farla. Di questi il 36% si collega abitualmente anche da mobile e, anzi, parrebbe che la maggior parte di coloro che acquista uno smartphone lo faccia proprio per “potersi collegare a Facebook anche da fuori casa”.
Penne digitali 2.0 Fa re i n fo r m a zione online n e ll’ era d ei blog e d el gio r n a l i s m o diff us o A utore : Ca r l o B a l d i R o b er t o Z a r r i ello pre fa z i on e d i G ius e p p e Sm o r to E d iz i on e : Ce n t ro D o cu m enta z ione G io r n a l i s t i c a P rez zo: 1 8 , 0 0 euro I SBN : 9 7 8 8 8 8 5 3 4 3 5 3 5 Un ma nuale co mp le t o di t e o r i a e tec niche che il gi o r n a l i sta d e ve p osse de re per c ogl i ere al me g lio l e o p por tun i tà che il wo r ld wi d e web offre alla sua pro fessi on e. Un va demecum p e r g li o p e ra tori d e ll’info rmazion e : per chi usa la re t e p er pro p orre c on te nut i p erson a l i z za ti a grupp i d’int e re s se spon ta n ei form at i da p oc h e d eci n e di ap p assio nat i o d a mi li on i di p e rso ne; p e r c h i svol ge o i nt e nde int rapre nd ere i n fut uro le nuo v e p rofessi on i dell’info rmaz i o ne, o semp lice me nt e pro va re a comunicare e a d iscutere c on il g rande pu b b li co.
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Un bene? Un male? Non è questa la sede per fare un esame sociologico o psicologico sulle conseguenze del fenomeno social sulle persone. Sicuramente però l’influenza sulle nostre vite esiste ed è sempre più marcata. Ormai visitando un sito, se ci manca il tastino “mi piace” o “condividi” ci sentiamo persi. Spesso lo vorremmo anche per tutto il resto. Pensateci! Pannello led in metropolitana con la scritta treno Rho-Pero in arrivo tra1/2 minuto. Ci viene da cliccare “mi piace”. Ci viene, ma non possiamo. E allora magari lo scriviamo sul nostro profilo Facebook. O su Twitter. Tanto per rimediare. Insomma è innegabile che sia cambiato il modo di interagire delle persone con ciò che le circonda. Questo vale ancora di più per quanto riguarda la politica, i marchi, i personaggi pubblici. Ormai tutti vogliamo dire la nostra, in merito a qualsiasi cosa. Condividere, apprezzare, contestare, commentare. Tutto. Con tutti. Nascono così le community, che possono essere costituite da cittadini oppure da consumatori di un prodotto o servizio. I cittadini vogliono sempre più trasparenza per quanto riguarda l’operato della PA, i consumatori vogliono un rapporto nuovo con le loro marche. Costruire una relazione, vivere un’esperienza, entrare in contatto, così cambiano i clienti nell’era social. Nuovi paradigmi guidano la relazione azienda-community e l’approccio diventa sempre più cliente-centrico. È la fine della vecchia era, caratterizzata da un approccio top-down, nasce l’economia del dono, accompagnata da una nuova etica della trasparenza. Trasparenza, coerenza e centralità dei valori chiave aziendali da un lato, generosità e offerta (reciproca) di contenuti, consigli e informazioni dall’altro. In questo contesto, le aziende conversano con gli utenti in modo “umano”, perché le persone si identificano con altre persone, non con le aziende.
“Il 93% degli intervistati si aspetta che le marche e i prodotti che consumano siano presenti sui social media.” Indagine Cone LLC Le imprese quindi, numeri alla mano, hanno capito che non si può non esserci. Alcune hanno improvvisato, altre hanno proceduto per tentativi, chi ha potuto si è affidato ad agenzie o consulenti. Poche ancora, in realtà, quelle che ad oggi hanno riconosciuto la necessità di predisporre una figura ad hoc, il community manager appunto. Poche, ma destinate a crescere. Anche in tempi di crisi e di riduzione di costi, non bisogna fare economia sul community manager e sul servizio clienti. Meglio, piuttosto, limitare costi strutturali e operativi.
Social media marketing: ~ Fi d el i z z a re ~ Co i n v o lg ere ~ Ot t i m i zz a re i r itor ni ~ Ot t i m i zz a re i l s er v i z i o clienti ~ Ot t i m i zz a re i co s t i d ello s v i l u p p o d i nuovi p ro d otti ~ R e cl u ta re ~ A u m enta re i p ro s p ect (Cl i en t i p o tenz ia li) ~ A u m en t a re le v en d ite ~
Questo perché le community costruiscono e alimentano la nostra “whuffie bank”.** Perché una community che parla (bene) del nostro marchio genera un sentimento positivo e una cultura di appartenenza forte. Uno studio fatto dall’istituto OTO Research mostra che i primi 100 risultati ottenuti cercando una marca su Google sono messaggi prodotti dai consumatori. Anche su questo vale la pena riflettere e proprio per que-
sto motivo occorre investire a lungo termine, al fine di stabilire una relazione duratura con le nostre community. Più i clienti si appropriano di una marca, meno sarà necessario spendere in pubblicità.
“La chiave del successo non risiede più nella pubblicità, ma nella capacità di intrattenere un dialogo con i consumatori” Cluetrain Manifesto Le imprese più incaute, probabilmente senza essere consapevoli del pericolo che corrono, affidano la gestione dei social media ai poveri stagisti di turno. Forse perché giovani e quindi – si pensa - naturalmente più portati all’utilizzo dei nuovi media. È opportuno? Probabilmente queste aziende sottovalutano non solo le potenzialità, ma soprattutto i rischi di questi strumenti. Il community manager difatti è colui che ha in mano la nostra reputazione e il rapporto di fiducia con i nostri utenti/clienti. Siamo sicuri che sia il caso di affidare un ruolo tanto delicato all’ultima persona arrivata? Il community manager deve conoscere alla perfezione l’azienda, i suoi prodotti e servizi, inclusa una conoscenza tecnico/ scientifica adeguata nel caso di prodotti particolari. Il community care deve essere perfettamente in sintonia con valori, mission, strategia nonché policy aziendale. Solitamente, per fortuna, a livello interno la gestione del social viene affidata a coloro che già si occupano di marketing e/o di comunicazione. Ma è sufficiente? In realtà i social network hanno trasformato i paradigmi classici della comunicazione. Il community manager
Community manager Com e rendere l e w e b com muni t y l e m i g li o r i al l eat e del l e azi e n de Autore: Mat t hi eu Chéreau Edizione: Franco Angel i Prezzo: 23,00 euro ISBN : 978-88-568 - 3 7 5 4 4 Prezio s o ma nu a l e , ri c c o d i es empi pra t ici e c as e h is t o r y, per co m p re n d ere meg l io il co m p l e s s o mo nd o d ei s o cial m e d i a e l e o ppo r t u nit à d a e s s o o ffer t e per il mo n d o b us ines s . U no s t r u m e n to i nd is pens a bil e no n s ol o p e r co l o ro ch e v o rre b b e ro a bbra ccia re qu e s ta p rofes s io ne, ma a nc h e p e r qu el l i ch e g ià h a n n o l ’ o no re - e l ’o nere - d i s v ol g ere u n co mpit o tan to int eres s a nt e qu a n to d el ica t o, ch e r ich i e d e d iv er s i s k il l ch e v a nn o d al l a co mu nica zio ne al m ark et ing, per fa v o r ire i l d el ica t o inco nt ro t ra i l b u s ines s e il d es id er i o d e l l e per s o ne d i rel a zion ars i l ibera ment e co n l e az i e n d e e i s er v izi o ffer ti .
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oggi ha un potere infinitamente più grande di quello dei comunicatori di ieri. Il suo obiettivo non è tanto comunicare unilateralmente, quanto influenzare, incoraggiare, reclutare. Sicuramente la scelta di affidare la gestione dei social network al reparto comunicazione non è sbagliata, va però tenuto conto che tale compito richiede competenze relazionali e redazionali importanti, nonché una buona conoscenza degli strumenti tecnologici a disposizione. Strumenti che, peraltro, sono in continua evoluzione. L’azienda, oltre a contenuti, prodotti e servizi, deve comunicare anche valori, immagini di riferimento e storie, e il community manager non deve limitarsi a descrivere l’universo aziendale, ma deve condividerlo con gli altri, definendone continuamente i contenuti e rendendo la permanenza degli utenti un’esperienza piacevole, positiva e da ripetere. Egli deve creare esperienze sociali straordinarie per consentire alla community di interagire con il marchio; deve insistere sulla product experience, attivando meccanismi di fidelizzazione e incoraggiando il passaparola. Deve coinvolgere i consumatori in uno scambio di informazioni, opinioni, contenuti, prestando particolare attenzione al customer care.
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“Pensa al di fuori dei confini di una cornice prestabilita e non si accontenta di seguire le regole, ma piuttosto ascolta, inventa e ispira”. Seth Godin Il community manager deve sicuramente possedere doti di communication e di marketing manager, ma deve anche saper coinvolgere, emozionando, e produrre contenuti interessanti che portino le persone a radunarsi intorno a un qualcosa. Deve imparare ad ascoltare le community: come sono strutturate, come si relazionano, cosa dicono. Prima di agire, i social media bisogna conoscerli molto bene. Prima di iniziare a muoversi in maniera attiva in un nuovo social, sicuramente è bene dedicare un po’ di tempo per comprendere le regole del gioco. I social infatti non sono tutti uguali e bisogna adeguare il proprio “abbigliamento” al contesto in cui ci si trova. Linkedin ad esempio, è un ambiente social esclusivamente professionale. Twitter e Flikr, invece, non pongono chi parla e chi ascolta sullo stesso piano e non richiedono l’utilizzo della reale identità, mentre stare su Facebook è equiparabile al partecipare ad un aperitivo con gli amici. Deve essere inoltre flessibile e saper gestire in modo ottimale il suo tempo poiché dovrà svolgere il suo compito anche fuori dal contesto aziendale. I social media, infatti, non chiudono per ferie e tanto meno nel weekend…e se necessario bisogna prendere in mano la situazione in qualsiasi giorno, a qualsiasi ora. La reattività è fondamentale, soprattutto se si tratta di gestire richieste di aiuto o situazioni critiche.
“La mancanza di rapidità è un handicap strategico” Jeff Jarvis Non bastasse, il community manager deve conoscere i meccanismi di relazione sociale e ed essere un buon moderatore, per riuscire a gestire una folla di utenti agguerriti. Il community manager deve relazionarsi direttamente con la direzione, cui riferirà ciò che gli utenti pensano (e dicono), e dalla quale riceverà istruzioni su cosa e come comunicare. Nei prossimi anni il community manager ricoprirà un ruolo sempre più importante nelle strategie operative delle imprese. Sicuramente, data la centralità di ruolo e l’importanza per il business non è una figura semplice da ricercare e quindi è necessario formarla. Il consiglio è quindi quello di elaborare un piano strategico di medio e lungo termine al fine di integrare il mondo dei social network e la sua gestione, tramite il community manager, all’interno della cultura aziendale. *secondo solo a Google che con 24.926.000 accessi si aggiudica il primo posto **il whuffie è denaro virtuale basato sulla reputazione utilizzato in un romanzo di fantascienza
PETRA INVERNIZZI
Responsabile formazione ITER
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ESPERIENZE
Tecnologia e Corporate Wellness di STEFANO CANAPA Si sta bene in azienda? No, se si guarda al fiorire dell’offerta di consulenza sul corporate wellness; no, se si pensa che persino un decreto legislativo, 9 aprile 2008, ha voluto affrontare il tema dello stress correlato lavoro. Eppure già nel ‘700, agli albori della rivoluzione industriale, Adam Smith diceva “Un uomo lavora produttivamente se si sente trattato da uomo dove lavora e se sa che dove lavora c’è interesse a che lui stia bene”: che il corporate wellness sia fondamentale per raggiungere gli obiettivi di business sembra ormai una verità scontata, non solo per pochi manager o imprenditori illuminati. Scontata? ma se guardiamo meglio, ci accorgiamo che le difficoltà non sono né piccole né poche: chi deve “prendersi cura” delle persone, facendo che cosa, con quali strumenti, rimangono doman-
de senza risposta univoca, o per lo meno assodata. Innanzitutto, chi è che in azienda dovrebbe prendersi compito di ovviare al malessere? chi è che dovrebbe prendersi cura delle persone? rispondere il Direttore del Personale appare ancora una vol-
ta scontato, ma non del tutto vero. Per quanto bravo sia, nessun Direttore del Personale può sobbarcarsi da solo questo fardello sperando di riuscire nell’intento: la sua prima preoccupazione dovrà essere quella di coinvolgere in questa missione tutti quelli che hanno responsabilità di persone, agendo da coach. Solo se la cura diventa missione aziendale si potranno ottenere effetti positivi. In secondo luogo, cosa vuol dire prendersi cura? Seguendo la traccia etimologica (radice indoeuropea
Parole chiave
People Relationship Management / community / benessere in azienda / coaching / internal branding / comunicazione interna / team working / social network / content management / know how aziendale
KU = “guardare, osservare”), il presupposto della cura sarebbe l’osservazione, la conoscenza; così come il presupposto della conoscenza, quando si parla di persone, è la comunicazione. Curare dovrebbe significare innanzitutto comunicare. È questo lo scenario a cui assistiamo tutti i giorni nella nostra vita aziendale?
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Nel portale PMI della efficientissima confederazione svizzera, sono riportati i risultati di una interessante ricerca, secondo la quale il 40% dei salariati intervistati non si sente sostenuto dal proprio capo diretto, e quasi il 50% ha l’impressione che la gerarchia della propria azienda non li sostenga: e anche fra chi pensa di ricevere sostegno, il 62% percepisce questo sostegno come insufficiente. Più grave ancora, la mancanza di comunicazione nell’impresa comporta molto spesso effetti negativi sull’equilibrio personale degli impiegati. ( fig.1) A riprova, come risulta da una recentissima survey condotta da una università italiana, soltanto il 9% delle Direzioni HR focalizza in modo rilevante le proprie risorse sulla comunicazione interna, a fronte del 44% che la ritiene strategicamente prioritaria; addirittura nel 48% dei casi la comunicazione non è neanche presidiata dalla Direzione HR. ( fig.2) No: il palcoscenico dell’azienda è dominato dalla “gestione”, e la comunicazione occupa solo un ruolo di rincalzo nel nostro decalogo di “manager”. (unire in riquadro con frase evidenziata che segue) To manage significa riuscire a, fare in modo di, ottenere: l’idea è che il “manager” conosce la verità, e il suo ruolo è quello di fare in modo che le risorse che gli sono affidate si dispongano secondo quell’ordine che lui conosce, in modo da ottenere l’effetto vo-
FIGURA 1
62%
percepisce questo sostegno come insufficiente
50%
luto. Questo significa “gestire”: in altre parole, conoscenza e volontà da una parte, passività dall’altra. Il contrario della cura, dell’osservazione, della comunicazione.
Comunicazione interna per le Direzioni HR
9%
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“Si gestiscono le risorse di magazzino, non le persone”, diceva H. Ross Perot. Gestire, to manage, se applicato alle persone, rivela tutti i suoi limiti: se le persone sono elementi passivi da piegare alla propria volontà e alla propria conoscenza, poco importa osservarle, comunicare, curarle. Ma, in positivo, che cosa bisogna fare per prendersi cura delle persone?
49%
non la presidia
44%
26
non si sente sostenuto dal proprio capo diretto
ha l’impressione che la gerarchia della propria azienda non li sostenga
vi focalizza le risorse
FIGURA 2
40%
Lavoratori nelle PMI
la ritiene prioritaria
risorse umane. In realtà, gli HRMS sono strumenti di back office, pensati per gli uffici del personale e non per il resto dell’azienda (dipendenti e manager): l’obiettivo resta quello dell’efficienza e della gestione, non quello della comunicazione.
FIGURA 3 Essere facilitatori
Ascoltarle
Come prendersi cura delle persone?
Restituire loro il ruolo di “persone”
Potremmo provare a sintetizzare così la risposta: STARE IN ASCOLTO: tendere le orecchie per recepire i messaggi che dalle persone provengono, perché la comunicazione sia bidirezionale; RESTITUIRE ALLE “RISORSE UMANE” IL RUOLO DI “PERSONE”: anziché cercare di plasmarle come una materia inerte, esaltarne le componenti attive, vera ricchezza dell’azienda; CONOSCERE LE PERSONE: capirne le motivazioni profonde, e magari anche conoscere le “capabilities” delle persone; TROVARE LA MEDIAZIONE MIGLIORE fra la strategia e le esigenze dell’azienda e le competenze e le aspettative delle persone;
Conoscerle
Mediare tra azienda e persone
FUNGERE DA FACILITATORE: anziché esercitare l’autorità, mettere la propria autorevolezza, cioè esperienza e competenza, a disposizione di tutti i “capi” intermedi, coinvolgendoli perché l’intera azienda sia permeata dalla “cultura delle persone”. (fig.3) Rimane aperta la questione di come riusciamo, nella quotidianità aziendale, a concretizzare questa “cura”: quali strumenti abbiamo a disposizione per perseguire questi obiettivi? come ci possono aiutare i sistemi informativi, ed in particolare i sistemi per il personale, gli Human Resources Management Systems? poco e male, in realtà, al punto che si potrebbe anche sostenere che i sistemi hanno una forte responsabilità nell’arretratezza della situazione attuale. Infatti, come dicono le parole stesse, si tratta di sistemi di gestione delle persone, peggio, delle
Un esempio concreto: nell’ottica della “cura” ci aspetteremmo che il nostro sistema per il personale sfrutti al massimo tutte le occasioni per ricevere “messaggi” dalle persone. Quale occasione di comunicazione (e di coinvolgimento per i manager) più frequente dei giustificativi di assenza? eppure la gestione delle presenze rimane al limite della estensione funzionale di un HRMS, non solo perché molti sistemi fra i più diffusi sul mercato non la comprendono, ma anche perché la materia è sentita come componente amministrativa e rimane quindi lontana dalla zona “nobile” dello “sviluppo” del personale, territorio di caccia elettivo degli HRMS. Come se la frequenza delle malattie a ridosso del fine settimana non fosse un elemento di valutazione… E d’altra parte, l’atteggiamento delle aziende stesse è orientato in questa direzione: anche in presenza di un HRMS, spesso e volentieri la gestione delle presenze è demandata ad un applicativo esterno alla suite, come un’appendice dell’applicazione di payroll. Tutto ciò lascia intravedere uno spazio importante che gli HRMS tradizionali non occupano, uno spazio che cambia il paradigma stesso degli applicativi software: non più l’obbiettivo di gestire, e cioè di far calare la strategia aziendale sulle persone; non più, in fin dei conti, un capitolo del grande libro ERP. Se questo vecchio paradigma ha avuto enorme successo nel caso dell’ERP, al punto da renderlo un fenomeno a diffusione universale, non altrettanto si può dire dei sistemi per il personale, la cui diffusione è invece circoscritta a un numero molto limitato di aziende (che spesso lo sottoutilizzano). E anche questo è un indice dello sfasamento fra l’offerta di sistemi informatici e il reale fabbisogno delle aziende. VoiceCom news 02.2011
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Internal branding Team working
know how
Opportunità 2.0 Content management
Analisi organizzativa
FIGURA 4
In una nuova generazione di applicativi l’accento deve spostarsi verso le persone, mettendole al centro dell’applicativo stesso, e lasciando all’ufficio del personale la funzione di regìa complessiva. Per questo People Talent (vedi riquadro) non si definisce un HRMS, ma un PRMS, un People Relationship Management System, in cui l’obbiettivo è spostato dalla gestione delle persone alla gestione delle relazioni fra l’azienda e le persone. Senza tralasciare (anzi potenziando) gli effetti di efficienza, si conta così di realizzare il presupposto della comunicazione, che è la disponibilità di un linguaggio comune, uno spazio comune (magari virtuale) e un’occasione (che sono i processi tipici presieduti dalla Direzione del Personale).
negli HRMS, o parallelamente agli HRMS): tutto il sistema, con una copertura funzionale estesa quanto quella degli HRMS, anzi maggiore, deve essere concepita come portale.
Quello che serve è un sistema che favorisca e stimoli la comunicazione bilaterale fra l’azienda e le persone, che coinvolga tutta l’azienda tenendo conto delle diverse funzioni, che sappia assumere fisionomie diverse e offrire servizi diversi a seconda del ruolo della persona. Un PORTALE, insomma. Ma non un “modulo” portale (che esiste anche
Innanzitutto, l’opportunità di stimolare il senso di appartenenza attraverso la creazione di una corporate community virtuale: quello che ormai tutti chiamiamo “internal branding” non può non ricevere un largo impulso se il portale mette a disposizione dei dipendenti gli strumenti tipici del web 2.0 (chat, forum, blog, …). Certamente, il
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Si può porre a questo punto la domanda se la tecnologia ci è d’aiuto nel concretizzare questa vision. A volte, infatti, nel tentativo di realizzare cambiamento e innovazione in azienda, abbiamo inseguito dei fantasmi tecnologici: utili senz’altro, ai produttori di tecnologie. Meno per noi, che non siamo riusciti a innovare e migliorare i nostri processi. Ma nell’ottica di cui abbiamo parlato prima, il social network ed il web 2.0 rappresentano davvero un capitolo nuovo, un’occasione unica. (fig.4)
People Talent srl www.peopletalent.it è una software factory dedicata allo sviluppo del prodotto omonimo: una soluzione innovativa, che mira a coinvolgere tutta l’azienda, assegnando a tutte le persone un proprio ruolo nei processi del personale. L’applicativo, oltre ad abilitare gli obbiettivi strategici della Direzione del Personale (Selezione, Formazione, Valutazione), si occupa dei processi che interessano la sua operatività quotidiana (Presenze/Assenze, Trasferte e Note Spese), strettamente connessi alla dimensione strategica sia come condizione essenziale per incrementare l’efficienza del reparto HR, sia come fonte di informazioni necessarie ad una conoscenza completa e corretta del dipendente. Le funzionalità suddette trovano riscontro in moduli dedicati, a cui si aggiungono altri moduli per la gestione dell’organizzazione, l’anagrafica del personale con dati attuali e storici, l’analisi retributiva, il budget. Tecnologie di integrazione consentono lo scambio di informazioni con gli altri applicativi aziendali, primo fra tutti il sistema paghe, in modo da velocizzare i processi e garantire l’affidabilità del dato.
nostro Direttore del Personale avrà anche il compito di animare questa comunità, agendo come Community manager: ma non è questo forse il modo di assicurare il benessere, ai tempi del web 2.0? In secondo luogo, il “team working”: le tecnologie wiki, ormai mature, sono pensate per formalizzare, e mettere a disposizione della community, una conoscenza che deriva dal contributo di singoli, e che è in qualche modo superiore alla somma delle conoscenze dei singoli; e questo avverrà permettendo comunque il riconoscimento del contributo dei singoli o il “filtraggio” dei contenuti stessi. In terzo luogo, l’analisi organizzativa: ricostruendo un grafo sulla base delle comunicazioni, attraverso gli strumenti di social network analysis, potremmo affiancare alla nostra organizzazione programmata, ai nostri organigrammi, uno schema “reale” della nostra organizzazione aziendale, ricavandone elementi di criticità e spunti di miglioramento. Inoltre, gli strumenti di content management, applicati non solo ai contenuti della posta elettronica (in qualche modo sentita come “formale”), ma anche agli altri mezzi di comunicazione meno “strutturati”, permetteranno un approccio diverso, e probabilmente più veritiero, alle analisi di clima. E nel momento in cui siamo riusciti a rendere vitale questa community, avremo ottenuto anche l’obiettivo che gli stessi strumenti, diventati uno dei modi di comunicazione più diffusi all’interno dell’azienda, veicoleranno anche frammenti importanti di know how aziendale, che nessun intervento formativo strutturato può surrogare, e che potranno costituire “LA” knowledge base aziendale, il valore stesso dell’azienda. A questo punto, potremo avere anche una testimonianza diretta dell’autorevolezza della persona all’interno dell’azienda, in base al
suo contributo alla knowledge base, al di fuori delle qualifiche e dei ruoli. Non è forse questo che cercavamo quando abbiamo parlato di valutazione a 180 o a 360 gradi? non ci aiuta forse a scoprire i nostri tanto ricercati “talenti”? E questo è un futuro possibile, perché gli strumenti esistono, e sono ampiamente collaudati: questa è la direzione imboccata dalla prossima release di People Talent.
STEFANO CANAPA
Amministratore di People Talent
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INTERVISTA
JOB IN PROGRESS
I
ABBIAMO RIVOLTO ALCUNE DOMANDE A VITTORIO MAFFEI, MANAGING DIRECTOR DI INFOJOBS.IT, TRA I PIÙ IMPORTANTI SITI DI RECRUITING ONLINE. ATTRAVERSO IL REPORT BIMESTRALE “JOBS IN PROGRESS”, INFOJOBS.IT TRACCIA UNA PUNTUALE PANORAMICA SUI TREND E SULLE PRINCIPALI NOVITÀ RELATIVE AL MERCATO DEL LAVORO. TESTO - Petra Invernizzi
Parole chiave
Lavoro / candidature / recruiting online / imprese che assumono / nuove professioni / lavori più richiesti
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S
ulla base della sua esperienza presso InfoJobs.it, com’è l’attuale scenario del mercato del lavoro in Italia?
Data la nostra posizione sul mercato e il volume di informazioni che riusciamo a raccogliere ed elaborare, abbiamo un punto di vista privilegiato sui mutamenti dello scenario del mercato del lavoro italiano. Attualmente, la Lombardia rimane stabile al primo posto tra le regioni più attive nella ricerca, con il 34,71%, seguita da Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. I settori internet/servizi informatici (15,29%) e commercio/distribuzione/ GDO (13,05%) sono in vetta alla classifica dei settori più attivi nell’offerta di
FIGURA 2 3,35 % 1,41 %
ALTRO
25,39 %
13,11 %
51 - 60 ANNI 20 - 24 ANNI 40 - 50 ANNI
15,94 %
35 - 39 ANNI 30 - 34 ANNI 24,41 % 16,38 %
25 - 29 ANNI
Le 5 posizioni più popolari Le 5 offerte di lavoro che hanno ricevuto più candidature durante il mese di maggio:
1.
Segreteria generale – Roma FIGURA 1 CHI CERCA LAVORO? 8,11 % 1,58 % 1,99 % 2,15 % 2,38 %
34,71 %
ALTRE REGIONI CAMPANIA
5,64 %
2.
Impiegata/o inserimento dati/segreteria part time – Milano
MARCHE TOSCANA
7,31 %
LAZIO 9,71 %
LIGURIA 12,52 %
13,90 %
FRIULI VENEZIA GIULIA PIEMONTE
“LE REGIONI PIÙ ATTIVE NELLA RICERCA DI LAVORO
VENETO EMILIA ROMAGNA LOMBARDIA
posti di lavoro. Seguono consulenza di sistemi informativi (12,31%), banche, assicurazioni e servizi finanziari (7,66%), e pubblicità, marketing e PR (7,64%). Il 25,39% di chi cerca un lavoro ha un’età compresa tra 25 e 29 anni, il 24,41% tra 30 e 34 anni, il 16,38% tra 35 e 39 anni. (fig 1 “Chi cerca lavoro?”) Il 47,94% di questi candidati è in possesso di Diploma di maturità, il 20,50% di Licenza media, il 16,26% di Laurea specialistica, il 10,21%% di Laurea breve e il 3,72% di Master. In generale, possiamo dire che nel mese di maggio 2011 vi è una
sostanziale continuità dell’andamento del mercato del lavoro nel nostro Paese rispetto ad aprile 2011, ma si evidenzia qualche novità nei profili e settori più attivi rispetto agli stessi mesi del 2010. Quali sono le “parole chiave” di ricerca dei candidati più digitate? Ovvero: cosa cercano i candidati italiani? E le imprese? Segreteria generale e impiegato/ inserimento dati sono tra le posizioni che sicuramente ricevono più candidature (vedere fig. 2).
3.
Addetti allo sportello bancario – Milano
4.
Addetti ufficio fatturazione – Roma
5.
Sportellista di banca – Roma Per quanto riguarda i profili ricercati, sempre con riferimento al report Jobs in Progress, il mese di maggio 2011 mostra una sostanziale continuità rispetto al mese precedente. La categoria operai, produzione e qualità mantiene la prima posizione con il 27,97%, seguita da amministrazione, contabilità e segreteria con l’11,53% e vendite con il 10,75%. Negli ultimi anni la tecnologia e in particolare i social media hanno ridefinito il rapporto delle aziende con l’esterno. In questo contesto come sono cambiati i rapporti tra recruiter e can-
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% 30
28,12 % 27,97 %
FIGURA 3 PROFILI PIÙ RICHIESTI
APRILE 2011 25
MAGGIO 2011 20
15
11,86 % 11,53 %
10,75 % 10,47 %
10
8,11 % 8,04 %
8,14 % 7,81 %
5
0 OPERAI, PRODUZIONE E QUALITÀ
AMMINISTRAZIONE, CONTABILITÀ E SEGRETERIA
VENDITE
INFORMATICA, IT E TELECOMUNICAZIONI
TURISMO E RISTORAZIONE
% 20 15,63 % 15,29 % 13,97 % 13,05 %
15
APRILE 2011 12,31 % 12,22 %
10
IN FIGURA: I SETTORI PIÙ ATTIVI NELL’OFFERTA DI POSTI DI LAVORO
MAGGIO 2011
7,66 % 6,91 %
7,64 % 6,45 %
BANCHE, ASSICURAZIONE E SERVIZI FINANZIARI
PUBBLICITÀ, MARKETING E PR
5
0 INTERNET E SERVIZI INFORMATICI
COMMERCIO, DISTRIBUZIONE E GDO
didati? Sono cambiati anche i processi di selezione del personale e di ricerca del lavoro? E voi, come avete accolto questo cambiamento? Senza dubbio l’avvento massiccio della tecnologia ha impattato ogni aspetto della nostra vita. E se al lavoro utilizziamo quotidianamente macchinari, PC, terminali, smartphone e altri device, anche il processo di selezione e approccio al
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CONSULENZA DI SISTEMI INFORMATIVI
mercato del lavoro viene influenzato dai nuovi media, dal web in primis. InfoJobs.it è il sito web che raccoglie la più ampia varietà di CV aggiornati di tutte le tipologie per permettere alle aziende di trovare il candidato giusto in modo semplice, veloce, efficace. Queste sono le caratteristiche tipiche della rete: immediatezza e tempestività. Nel mese di maggio 2011, abbiamo sottoposto ad aziende e candidati
un sondaggio allo scopo di svelare le principali tendenze legate all’uso dei social network in azienda. Sorprendentemente, il 50% dei lavoratori dichiara di non collegarsi mai sui social network in orario lavorativo e pensa che questi siano addirittura deleteri per la produttività di un lavoratore. Dall’altro lato sempre più aziende sottolineano l’importanza di avere il proprio brand attivo sui social
per la riconversione di attività classiche in una versione eco. È il caso degli ingegneri, dei tecnici installatori, dei chimici ma non solo.
Infojobs.it InfoJobs.it è la principale realtà in Italia e in Europa nel settore del recruiting online per numero di offerte di lavoro, traffico internet e numero di CV in data base. Il sito - sviluppato per essere particolarmente intuitivo, facile da fruire e da navigare - ha raggiunto il traguardo dei 3.2 milioni di candidati e conta 45.000 offerte di lavoro attive, da parte di oltre 48.000 aziende.
network. Dallo stesso sondaggio emerge, infatti, che il 56% delle aziende possiede un profilo aziendale su Facebook (48%), LinkedIN (24%) e Twitter (20%) - e un altro 11% lo avrà a breve. Riguardo, invece, il recruiting ‘via social network’, dall’indagine emerge che il 30% delle aziende intervistate utilizza i social network per lanciare ricerche di personale utilizzando Facebook e Twitter, mentre un altro 25% lo fa tramite i profili di manager aziendali su LinkedIN. Non ci sorprende il dato ancora relativamente basso di preferenze da parte delle aziende riguardo l’utilizzo dei social network per la ricerca di personale. Sono convinto, infatti, che almeno per adesso le aziende abbiano ancora necessità di lavorare con partner specializzati ed affidabili e in grado di svolgere un ruolo consulenziale per rispondere alle diverse esigenze di recruiting. Riusciamo a fare proprio questo, rispondendo contemporaneamente sia all’esigenza di ‘immediatezza’ che il web riesce a dare sia alla necessità di professionalità richiesta nelle fasi di selezione.
Cambia la società, cambia il mondo del lavoro, e sempre più velocemente cambiano anche le professioni e le professionalità richieste. In quale direzione ci si sta muovendo? “Nuove professioni” nascono e si evolvono velocemente, sotto la spinta degli interessi e delle richieste del mercato. Generano nuove opportunità professionali, fino ad allora impensabili, oppure già esistenti ma sottovalutate. All’interno del nostro blog (https:// infoblog.infojobs.it), diamo spesso spazio a quelle che consideriamo le professioni di domani, in qualsiasi settore: dal wedding planner, ai profili specializzati in campo ICT, alle professioni “green”. Mai come oggi, infatti, la cosiddetta green economy è vista come un fattore chiave per affrontare il difficile momento economico e creare nuovi posti di lavoro in una prospettiva che coniuga la ripresa economica e la protezione dell’ambiente. Questo settore ha offerto spazi per la nascita di nuove professioni, ma soprattutto
L’aumento della domanda nel settore delle rinnovabili comporta anche una riconversione dei lavoratori e delle aziende. Proprio per questo motivo, a luglio 2009 abbiamo lanciato Green-Job (www.infojobs.it/lavoro/ green-job), un canale tematico per la ricerca di professioni “verdi”. Per i prossimi mesi del 2011 si prevede un ulteriore incremento delle figure lavorative prevalentemente green, come l’energy manager, gli ingegneri ambientali, buyer per il settore fotovoltaico e i progettisti di impianti a energia rinnovabile. Inoltre, saranno sempre più richieste quelle mansioni che prevedono una formazione specialistica nel campo delle energie rinnovabili, in particolare per l’eolico e il fotovoltaico. La ricerca di profili dedicati alla green economy registra una crescita costante che va di pari passo con la crescente sensibilità delle aziende nei confronti dell’eco-sostenibilità. Green-Job rappresenta il nostro contributo a questo settore, mosso da forti ideali, ma che necessita di azioni precise e ben strutturate. L’altro ambito in cui si creano nuove esigenze e professionalità velocemente è proprio il web: da un lato le aziende si trovano a voler sfruttare, o fronteggiare a volte, le opportunità di comunicazione della rete, mentre dall’altra i nuovi linguaggi di programmazione e i nuovi device richiedono costanti processi di aggiornamento delle conoscenze. Crescono così le richieste per SEM e SEO specialist, social media manager e community specialist, ma anche per mobile developer, sviluppatori web, programmatori php.
PETRA INVERNIZZI
Content director, Voicecom news
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VIAGGI
Parole chiave
sanità / salute / business sanitario / turismo medico / trapianto / vendita organi / cliniche private / dentista / chirurgia estetica
La valigia del paziente Pro e contro del turismo medico di Antonino M. Grande La consuetudine di lasciare il proprio paese per cercare cure mediche ha origini molto lontane e non ha unicamente l’obiettivo di trovare una sanità migliore con risultati superiori per malattie complesse con difficili possibilità di guarigione, ma anche quello di poterli conseguire a risultati a prezzi nettamente inferiori. Già negli anni settanta ed ottanta risultano frequenti i viaggi di pazienti negli Stati Uniti, in particolare a Houston nel Texas, per essere sottoposti ad interventi cardiaci salvavita: in Italia la Cardiochirurgia è
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ancora agli albori, sono pochi i centri (vedi Torino e Milano), e le metodiche innovative appaiono praticamente unico appannaggio dei centri americani. Lo stesso dicasi per il trapianto cardiaco, metodica permessa in Italia solamente a partire dal 1985 e che ha determinato il pellegrinaggio di pazienti non solo negli USA, ma anche in Sud Africa, patria del pioniere dei trapianti Christian Barnard. Ma non è solo in campo cardiaco che si è sviluppato il turismo medico, si è verificato, ad esempio, nel caso dei trapianti renali.
Si deve considerare che il numero dei pazienti necessitanti un trapianto d’organo è in costante aumento, invece, quello dei donatori risulta piuttosto basso e totalmente inadeguato di fronte alle richieste. Si assiste ad una dicotomia sempre più profonda tra richiesta di donatori e numero di possibili riceventi in lista per trapianto: migliaia di pazienti ogni anno muoiono nella speranza di ricevere l’organo vitale in quanto il tempo di attesa è aumentato in modo considerevole. Sempre negli USA: le persone in lista per
I MOTIVI SONO DA ASCRIVERE A QUESTE CAUSE: 1. lunghe liste d’attesa nei propri paesi; 2. ricerca di procedure che non disponibili oppure illegali nel proprio paese; 3. ricerca di procedure non coperte dal sistema sanitario; 4. soggetti non coperti da assicurazione oppure “sotto – assicurati” per cui cercano di risparmiare.
trapianto nel 1997 risultano essere 50.000 contro le 80.000 del 2002, con un incremento del 60 %, mentre nello stesso periodo il numero di donatori d’organo è aumentato solamente del 2 – 3 %; si calcola che ogni 15 minuti un nuovo paziente viene messo in lista per trapianto e che ogni giorno 16 muoiano senza essere trapiantati: nel duemila sono morti più di 6.500 pazienti in attesa di un trapianto (Network for Organ Sharing (UNOS). Annual Report, 1999. United Network for Organ Sharing (UNOS). Update, Special Edition, 2002; Thiel G, et.al. Crossover Renal Transplantation: Hurdles to Be Cleared!, Transplant. Proc. 2001;33:811-816). In definitiva, aumenta sempre di più il divario tra quello che si può crudelmente chiamare domanda ed offerta: una voragine separa i pazienti in lista dalla disponibilità di organi. La situazione nel caso del trapianto renale può essere aggirata dal fatto che la procedura può essere effettuata anche da un donatore vivente: proprio per la scarsità dei donatori, si assiste ad uno sfruttamento di persone che vendono il proprio organo
per trarre un minimo beneficio economico. La maggioranza degli organi da donatori viventi proviene dalle popolazioni più povere e va verso le più ricche, da quelli poveri a quelli ricchi ed industrializzati, dalle popolazioni nere e/o scure/mulatte a quelle bianche, dalle donne agli uomini. Il prezzo dell’organo venduto, nella massima parte dei casi un rene, è determinato dalla zona di provenienza del Donatore: 1000 dollari in India, 1300 dollari nelle Filippine, 2700 in Moldavia e Romania, 10000 in Perù e Brasile. L’India, per esempio, avendo centri che effettuano il maggior numero di trapianti di rene del mondo, è stata per anni considerata il “magazzino dei reni” offrendoli a basso costo e con una disponibilità pressoché immediata. In definitiva, la mancanza di regole ed una certa atmosfera di lassismo etico hanno alimentato la crescita del trapianto renale con il risultato di costituire un connubio tra soggetti in condizioni disperate in quanto attaccate alla dialisi e persone disperatamente povere che per scelta vendono un proprio rene per pagare la dote della figlia, costru-
ire una piccola casa, per nutrire la propria famiglia oppure sono state ingannate e costrette a cedere il proprio organo. Si comprende come si sia sviluppata una rete di persone, organizzatori del commercio dell’organo d’accordo con titolari di cliniche e medici, per mantenere un vero e proprio business sulla pelle dei poveracci che donano il proprio rene per pochi soldi. Ma anche i riceventi, spesso, non hanno una sorte migliore in quanto oltre alle spese (comprendenti il pagamento del donatore e della clinica) vanno spesso incontro a complicanze soprattutto di tipo infettivo. Difatti, è dimostrato che i trapianti effettuati in questo modo hanno un maggior numero di complicanze ed anche una mortalità superiore rispetto a quelli effettuati in Italia. Il turismo medico non coinvolge unicamente patologie estremamente gravi, per cui si va alla ricerca del medico ritenuto più importante e famoso, oppure per aggirare le liste di attesa per un trapianto, ma anche procedure ortopediche, estetiche e
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Il prezzo dell’organo venduto, nella massima parte dei casi un rene, è determinato dalla zona di provenienza del Donatore: 1000 dollari in India, 1300 dollari nelle Filippine, 2700 in Moldavia e Romania, 10000 in Perù e Brasile dentali. Fin dagli anni settanta, pazienti sono andati all’estero per curarsi i denti. Come si legge in un vecchio articolo di Repubblica (Picozza C. Il business della dentiera e l’olandese volante. 29/01/93 pag. 24 ), “Non solo tulipani e mulini a vento.
Nell’immaginario collettivo di tanta gente, all’Olanda si associa anche la dentiera. È una protesi senza palato ( poggia sull’arco gengivale ), né particolari qualità. Reperibile a prezzi stracciati, estrazioni incluse, può funzionare tutt’al più come provvi-
Lo scorso febbraio una donna californiana di 26 anni e sua madre si imbarcano su un volo Continental per Costarica. Quando arrivano a San Jose International Airport, un autista le accompagna ad un hotel Intercontinental a cinque stelle. Ma la donna (che ha chiesto solo di essere identificata dal suo nome di battesimo, Jessica), non aveva viaggiato per la città conosciuta come “ananas grande” solo per rilassarsi a bordo di una piscina. Aveva volato più di 2.500 miglia per sottoporsi ad un intervento chirurgico per conseguire una perdita di peso per una frazione del prezzo chiesto a casa. Compreso biglietto aereo e alloggio (per lei e sua madre), Jessica ha risparmiato 7.500 dollari, scegliendo di andare sotto i ferri a San Jose, invece che a San Diego. “Ho pensato che fosse un buon affare”, dice Jessica, che aveva bisogno di perdere peso per motivi di salute. Quello che ha fatto Jessica è chiamato “turismo medico”, e fa parte di un numero crescente di americani che sta cercando l’assistenza sanitaria all’estero per motivi finanziari. Una nuova indagine finanziata da “Your Surgery Abroad”, un’agenzia on line per il turismo medico, ha rilevato che oltre il 60 per cento degli americani sono disposti a lasciare il paese per meno servizi medici. “Poiché il budget delle persone in America è sempre più limitato, sono molto più inclini a iniziare a pensare di andare all’estero per risparmiare denaro”, dice Adam Nethersole, l’amministratore delegato della “Your Surgery Abroad”.
(Cornblatt J. Medical Tourism Appeals to 60 Percent of Americans. Are You One of Them? 9 August 2009, Newsweek)
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Tab. I. Motivi che possono sconsigliare il turismo medico.
1 2 3 4 5 6 7
Regolamentazione inadeguata del settore. Mancanza sistematica di comunicazione dei risultati clinici. Decisioni clinico – terapeutiche prese in base a motivi finanziari. Diffusione globale di malattie infettive.
Esposizione a nuovi rischi per la salute. Mancanza di follow-up
Le procedure, cui i pazienti si sottopongono, possono essere illegali o non testate clinicamente.
8 soria, in attesa di quella definitiva … ). Sono ancora nella memoria dei più “vecchi” lettori le pubblicità di pacchetti comprensivi di viaggio, albergo e dentiera, anche questo caso con risultati piuttosto deludenti. In anni più recenti, l’industria del turismo medico si è notevolmente espansa con decine di migliaia di pazienti che viaggiano in tutto il mondo per conseguire cure mediche in paesi sia vicini che lontani. Ospedali sono stati appositamente costruiti a questo scopo, soprattutto in paesi a basso e medio reddito, che offrono tutta una serie di procedure diagnostiche e chirurgiche a costi altamente competitivi. Vi sono diversi motivi di preoccupazione, non a conoscenza di tutti i pazienti, che possono mettere a repen-
Difficoltà a conseguire un risarcimento in caso di errore medico.
taglio la salute di coloro che si recano all’estero per cure mediche. In breve, i principali (vedi Tab. I) (Johnson R, Crooks VA, Adams K and Kingsbury P. An industry perspective on Canadian patients’ involvement in Medical Tourism: implications for public health. BMC Public Health 2011; 11:416-423; Crooks VA, Snyder J. Medical tourism. What Canadian family physicians need to know. Can Fam Physician 2011; 57:527-529):
1
Regolamentazione inadeguata del settore. L’industria del turismo medico è globale e coinvolge molti settori al di là dei pazienti e degli operatori sanitari. Attualmente, la
regolamentazione internazionale del settore è carente ed ogni volta che i regolamenti sono carenti, la sicurezza del paziente potrebbe essere messa a rischio.
2
Mancanza sistematica di comunicazione dei risultati clinici. Mancano informazioni sistematicamente raccolte e verificate, in particolare nei paesi in via di sviluppo, è in gran parte inesistente.
3
Decisioni clinico – terapeutiche prese in base a motivi finanziari. Fattori economici potrebbero indurre scelte pericolose per la salute: VoiceCom news 02.2011
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ad esempio, su in un recente studio sul turismo medico nel sud dell’India, un paziente americano aveva abbreviato il periodo di convalescenza, consigliato tra due interventi chirurgici ortopedici, al fine di ridurre il costo del suo soggiorno all’estero ( Johnston R, Crooks VA, Snyder J. Three academics’ perspective on medical tourism—reflections on a trip to Southern India. Med Tourism 2011;17:94-7).
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Diffusione globale di malattie infettive. Può essere amplificato il rischio di trasmissione di pericolose malattie infettive, come dimostrato nel recente caso “New Dehli metallo – beta – lactamase ( NDM-1 ) quando, nella seconda metà del 2010, 8 canadesi hanno contratto il “superbatterio” NDM-1; 5, hanno ricevuto cure mediche in India, e tutti sono stati curati in Canada al loro ritorno.
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Esposizione a nuovi rischi per la salute. Oltre ai rischi connessi ad interventi chirurgici, il turismo medico espone potenzialmente i pazienti a nuovi rischi come, ad esempio, viaggiare su voli a lunga distanza immediatamente dopo interventi chirurgici maggiori potrebbe provocare trombosi venosa profonda a livello degli arti inferiori a causa della limitata mobilità.
casi, soprattutto in caso di complicanze, la spesa potrebbe essere sostanziosa.
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Le procedure, cui i pazienti si sottopongono, possono essere illegali o non testate clinicamente. Alcuni pazienti sono spinti ad andare all’estero per essere sottoposti a procedure che sono illegali o non disponibili nel proprio paese d’origine, a causa della loro condizione sperimentale o per critiche di tipo etico. Ad esempio, guardando al nostro paese, l’approvazione della legge 40 del 19 febbraio 2004 “Norme in materia di “Procreazione medicalmente assistita” ha posto una serie di limiti alla “Procreazione assistita” e alla “Ricerca scientifica” ricerca clinica e sperimentale sugli “Embrione” provocando un “turismo procreativo” in paesi quali Spagna, Svizzera, Belgio, Grecia e Turchia. Questo per i casi di fecondazione assistita per le donne single, l’“Ovodonazione”, l’embrio-donazione.
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Si ritiene sia compito precipuo del medico di famiglia illustrare tutti gli aspetti, non solo quelli economici che possono essere certamente allettanti, ma potrebbero risultare in un grave nocumento alla salute dei pazienti che decidono di essere sottoposti a procedure mediche all’estero.
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Difficoltà a conseguire un risarcimento in caso di errore medico. Può essere difficile ed anche costoso riuscire ad intraprendere un’azione giudiziaria che prolungherebbe il soggiorno nel paese straniero.
Esistono strutture ospedaliere estremamente moderne ed eleganti che sono più simili ad alberghi a cinque Mancanza di follow-up ( ossia stelle e, indubbiamente, rendono il il controllo nel tempo del soggiorno piacevole e rassicurante. paziente ) e il monitoraggio Non mancano le certificazioni di avviene principalmente nei qualità (ISO 9001, ecc.), ad esempaesi d’origine, quindi a carico pio, Bumrungrad di Bangkok (www. dei sistemi sanitari nazionali. bumrungrad.com), considerato uno Non vi è una continuità nella dei migliori del mondo, da segnalare cura del paziente. In alcuni la catena di ospedali Apollo in India
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(www.apollohospitals.com ), ecc.
ANTONINO M. GRANDE
Dirigente Medico di Primo Livello, Divisione di Cardiochirurgia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia
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TENDENZE
Quando il web cerca di geolocalizzare Il web è sempre più integrato con la realtà: dalle semplici mappe e dai sistemi di geolocalizzazione alle nuove frontiere dell’argumented reality di PAOLO DELLO VICARIO Un accesso sempre più veloce e intuitivo all’informazione; un mezzo di comunicazione orizzontale e “democratico” come pochi altri; uno strumento dall’enorme potenziale; in una parola, il web. Reti sociali che s’infittiscono di giorno in giorno, continue e sempre più interessanti innovazioni, una mole di dati in continuo aumento, il tutto espresso tramite il sistema dei portali, dei forum, dei blog, dei motori di ricerca e dei social network: siamo abituati a concepire in questo modo la rete, assecondando grandi e piccole rivoluzioni. C’è un pensiero che si tende a perdere di vista, un punto che dovrebbe essere fermo e invece non lo è: la rete nasce come strumento – come eccezionale strumento si potrebbe aggiungere – ma pur sempre come strumento e questo è ciò che deve rimanere. Uno strumento sempre più totalizzante ed essenziale che però non può avere vita propria, non può autoregolarsi, cercando di troncare i legami con il mondo, quello vero.
È proprio su questa considerazione che si sta incardinando lo sviluppo di un web nuovo, che tende a cambiare dall’interno per potersi integrare con l’esterno, e migliorarlo. È finita l’era delle chat e si avvia verso il declino quella dei forum anonimi, community vive come se fossero realtà a sé stanti, sospese in un universo parallelo; oggi ci si avvia verso una sempre crescente integrazione con la realtà, che parte dalle semplici mappe e dai sistemi di geolocalizzazione per arrivare alle nuove frontiere dell’augmented reality. È questa l’onda che i grossi big del settore stanno cercando di cavalcare, uno dei segmenti con futuri più rosei al momento: per questo è un argomento su cui è bene fermarsi a riflettere, pensando a come tutto ciò possa essere sfruttato al meglio in ottica aziendale. IN PRATICA, QUALI SONO I SERVIZI DA TENERE SOTT’OCCHIO AL MOMENTO, SENZA SCIVOLARE IN PREVISIONI CON UN TERMINE TROPPO
Parole chiave
geolocalizzazione / social media / universal search / mobile trends / argumented reality / community / search engine result pages LUNGO? COME INVESTIRE IN QUESTE REALTÀ?
GOOGLE MAPS E LA UNIVERSAL SEARCH
Il colosso di Mountain View sta, nel tempo, apportando grandi modifiche al proprio core business, quello della ricerca: la Universal
Search – la presenza di risultati di vario tipo: video, immagini, social, mappe – è una di queste; l’implementazione di questo nuovo modo di vedere la ricerca in realtà non è affatto nuovo ma ultimamente, grazie a questa e al crescente utilizzo di smartphone, il settore delle mappe e della ricerca sociale si sono sviluppati notevolmente. Google Maps, celebre servizio per la visualizzazione di mappe, è ormai molto di più di un semplice strumento per le indicazioni stradali tramite computer.
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SCHERMATA DI GOOGLE MAPS
...oltre il 40% degli accessi a Google Maps proviene da dispositivi mobile Merissa Mayer ha recentemente dichiarato che oltre il
40% degli accessi a Google Maps proviene da dispositivi mobile: un dato importante che permette di capire di più sul reale utilizzo di Maps. Tramite un qualsiasi smartphone è infatti possibile accedere ad applicazioni che integrano la geolocalizzazione tramite GPS, effettuando ricerche non solo geografiche, ma anche commerciali. Qui entrano in campo due delle novità di questi mesi: Google Places e Hotpot. Tramite questi due servizi gratuiti è possibile creare schede
personalizzate per la propria attività commerciale, personalizzandola con foto, prodotti trattati, riferimenti, zone trattate e molte altre informazioni. In questo modo è possibile
apparire facilmente in cima
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a SERP (Search Engine Result Pages – le pagine delle ricerche dei motori di ricerca) a volte anche molto competitive e con alto tasso di conversione medio.
Si avrà quindi un posizionamento immediato fra le parole chiave d’interesse in Maps e Places e, grazie alla Universal Search, anche fra i risultati “organici” (le normali ricerche di Google), in punti della pagina di assoluto rilievo, spesso above the fold e formattate in modo graficamente attraente. Tramite Google Hotpot tutto ciò diventa improvvisamente in mano agli utenti: da un lato ciò può essere inquietante, dall’altro diventa un grandissimo strumento aggiuntivo! Qualunque scheda di Places può essere infatti valutata e recensita dagli utenti, lasciando anche commenti; il tutto in modo ovviamente sociale, tramite reti di amicizie, suggerimenti, ecc.
Hotpot e Places sono quindi strumenti potentissimi, soprattutto per gli utilizzatori di dispostivi mobile; un segmento da non sottovalutare, soprattutto in Italia, che in questo occupa un posto d’eccellenza: se-
condo una recente statistica di Libero Mobile sono 15 milioni gli utenti di internet mobile nella nostra nazione, contro gli 11 del Regno Unito, i 10 della Spagna e gli 8.5 della Germania. Da non sottovalutare poi un’interessante caratteristica che le ricerche di Google presentano da qualche tempo a questa parte: la localizzazione non si ferma più infatti solo a Maps, ma entra nelle SERP classiche, e i risultati forniti variano in base al luogo in cui ci si connette; ciò si riscontra soprattutto per ricerche che hanno implicazioni geografiche, turistiche e commerciali: in fin dei conti, perché mostrare pizzerie di Milano a un utente che da Roma cerca “ristoranti”? FOURSQUARE, GOWALLA, FACEBOOK DEALS E LA
GEOLOCALIZZAZIONE Un’altra tipologia di servizi su cui vale la pena investire sono sicuramente i nuovi software che sfruttano la geolocalizzazione e il geotagging sugli smartphone, tramite il web mobile: un settore questo, come già detto, in continua crescita. I già citati Libero Mobile Trends, pubblicati nel novembre 2010, sono esplicativi: il mobile è stato, in 26 mesi, la tecnologia internet con i tempi di adozione più rapidi di sempre e, solo nell’arco dello scorso anno, il numero di utenti italiani è aumentato del 25%.
Facebook Deals, Foursquare e Gowalla sono solo alcuni degli esempi di applicazioni progettate appositamente per “telefoni” di
ultima generazione, con lo scopo di interfacciarsi con la realtà tramite il meccanismo della geolocalizzazione; questo interfacciarsi è inoltre affrontato con un approccio e una filosofia totalmente social, in linea con le ultime tendenze della rete: tutto le informazioni sono in funzione degli spostamenti reali dei propri amici, dei luoghi da loro visitati, delle attività recensite. Nello specifico: Four-
square è un’applicazione multipiattaforma che nasce con lo scopo di “.. suggerirti qual-
UTENTI: oltre 8 milioni in tutto il mondo, con circa 35.000 nuovi utenti ogni giorno CHECK-IN AL GIORNO: oltre 2,5 milioni, con oltre mezzo miliardo di check-in nello scorso anno IMPRESE: oltre 250.000 che usano la Merchant Platform (maggiori informazioni su foursquare.com/business) DIPENDENTI: oltre 60 tra la sede centrale a New York (NY) e un ufficio di ingegneria satellite a San Francisco (CA)
(aprile 2011)
cosa di interessante da fare nelle vicinanze”, come ha dichiarato Dannis Crowely in una recente intervista. Tramite delle dettaglia-
te mappe, che interagiscono con le funzioni di localizzazione del proprio smartphone, e altrettanto approfondite informazioni su luoghi e attività commerciali, inserite rig orosamente
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CHEK-IN FOURSQUARE NELLA METRO DI LONDRA
Da Wikipedia: La geolocalizzazione è l’identificazione della posizione geografica nel mondo reale di un dato oggetto, come ad esempio un telefono cellulare o un computer connesso a Internet. Nel corso degli anni aziende come Google, Facebook, e Foursquare, favoriti dall’esponenziale crescita di dispositivi mobili quali smartphone e iPhone hanno introdotto la funzione di geolocalizzazione dei propri utenti incrementando il numero di servizi disponibili nelle proprie piattaforme, quali ad esempio geomarketing o integrazione nei social network.
al sindaco della propria attività (colui che la frequenta più spesso, comnicandolo su Foursquare) può creare una vera e propria gara fra i clienti, che porterà un ritorno in pubblicità sociale particolarmente economico ed efficace. dagli utenti, Foursquare si pone come ottima risorsa per gli utenti che si muovono spesso, soprattutto in città; a tutto ciò si somma l’esperienza fornita tramite le connessioni sociali e dei speciali riconoscimenti, i badges, assegnati automaticamente ai visitatori più assidui di un determinato luogo e ai viaggiatori più esperti.
Il tutto può essere applicato con successo ad attività che fondano il proprio business sul territorio, con una presenza fisica importante: regalare sconti e omaggi
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della realtà, è sempre più vicino alle esigenze reali e immediate degli utenti; la miglior soluzione,
oggi più che mai, sta nel cavalcare subito l’onda, in modo da trovarsi sulla cresta quando sarà alta.
Allo stesso modo può essere intelligente fare un piccolo sconto a tutti coloro che comunicano la propria visita su Facebook o su un altro social network di questo tipo, rendendo ben nota la campagna tramite cartelli visivamente immediati all’entrata dell’attività. Già in alcune grandi città italiane si iniziano a notare iniziative del genere e big oltreoceano come Starbucks sono stati pionieri in questo senso, con ottimi risultati.
Il web si sta spostando al servizio
PAOLO DELLO VICARIO
Consulente di webmarketing in SeoPoint.org
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MODA
ETHICAL FASHION INTERVISTA A SAVERIO PALATELLA
Parole chiave
moda / stilisti italiani / made in italy / maglieria / costume / couture / unicità e stile
MAURIZIO ARATA
Giornalista
N
ell’attuale panorama del Made in Italy della moda nostrana, Saverio Palatella è certamente uno dei creatori italiani più qualificato ad essere ormai un autentico caposaldo di uno stile che è andato formandosi grazie al contributo di geniali sarti, stilisti artisti, e perché no, illuminati imprenditori che hanno saputo scommettere ed innovare, dando lustro e lavoro alle tante realtà che gravitano attorno al mercato del tessile, e come ormai da molto tempo è riconosciuto, ha fatto del Paese un punto di riferimento internazionale. Tutti ci vogliono, tutti ci copiano, persino i falsari. Un vero e proprio Made in Non So Dove parallelo. Saverio Palatella , dopo essersi formato in quel di Francia, dai cugini, presso l’Ecole Berçot di Parigi negli anni ’80 - quegli anni d’oro per la nostra moda, che si era raggruppata attorno alla Milano Collezioni magicamente organizzata da Beppe Modenese, con lo sguardo attento ed onnipresente di Carla Ling, e la collaborazione di tutto ciò che il meglio della creatività milanese e nazionale sapeva allora proporre quanto a regia, musica, arte, stampa, cultura… - ha cominciato un percorso dedicato particolarmente alla maglia, trovando uno sbocco durato oltre dieci anni attraverso Gentryportofino, e proponendo linee essenziali per uomo, donna e bambino. Il pregio della maglieria proposta , il connubbio fra maglieria e filatura, le collaborazioni con case produttrici come Filorè, Botto Paola, Mario Boselli Jersey, ci conducono al lavoro per Lycra della Dupont volto alla ricerca di un filato misto cachemire e Lycra. Già nell’88 era stato aperto uno showroom press-office a Parigi. Le riviste patinate francesi, Marie Claire ed Elle, in particolare, ne decretarono il successo. Nel ’90 viene segnalato fra i primi VoiceCom news 02.2011
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otto stilisti europei di nuova generazione, insieme a nomi come Katherine Hamnett, John Galliano, Rifat Ozbek, Dolce e Gabbana… Oggi Saverio Palatella è un marchio presente in Italia, Francia, Germania, Usa, Giappone e Russia. Le sue collezioni donna sono sempre più apprezzate ed innovative. L’esperienza, la ricerca, anche tecnologica, il cuore, la sobrietà, nonché il rapporto con la musica e con l’arte sono oggi la radice di una qualità che porta risultati sia economici che di immagine, utili all’intero Sistema-Paese. Elencare tutte le molteplici realtà che si sono susseguite nel percorso di uno stilista-creatore non è qui necessario. Basta andarlo a “visitare”. Si potrà così comprendere l’importanza ed il valore sociale che la moda italiana stessa può ancora avere sul mercato globale. E magari supportare quell’eccellenza, sia nel pret-à-porter che nell’Alta Moda, che fa dell’Italia, senza nulla togliere ai cugini francesi e ad altre realtà, simbolo indiscusso e punta di diamante dello stile nel mercato globale. Se tu oggi dovessi definire la parola “moda”, cosa diresti a proposito? La moda è l’arte del vestire. La moda è il principale osservatorio dei tempi estetici. Attraverso il costume che cambia vediamo il cambiamento dello stile nel tempo che stiamo vivendo. La moda, rap-
Attraverso il costume che cambia, vediamo il cambiamento dello stile nel tempo che stiamo vivendo.
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presenta il mezzo estetico culturale con il quale ci presentiamo agli altri. La moda nobile è soprattutto cultura, una cultura del far bene che ha caratterizzato il nostro Paese nel mondo negli ultimi 30 anni. Prima di allora eravamo vittime di Parigi……e della sua Couture. A cosa ti ispiri nella creazione delle tue collezioni? Mi ispiro a ciò che mi circonda in quel momento, un quadro, un disco, un film, un libro, un viaggio… E dopo approfondisco. Ad esempio da un anno lavoro in Mongolia e sto migliorando il legame con questa nazione così interessante, dove ho iniziato a conoscere pittori e musicisti meravigliosi E dove stanno prendendo forma nuove idee professionali e scambi culturali/creativi. Esistono dei creatori di moda, passati o presenti che possano rappresentare per te un riferimento?
Senza dubbio i miei riferimenti sono Madeleine Vionnet caposaldo dello scorso secolo per lo studio delle geometrie adattate al corpo. Materia e forma in perfetta armonia. Più recenti Issey Miyake e Walter Albini, 2 maestri che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente. Menzione speciale, per la costanza, tenacia e rigore nell’approccio professionale a Giorgio Armani, un vero faro per tutti noi. Dove pensi sia più importante guardare, verso il pret-à-porter o l’alta moda? Guardare ovunque…con attenzione, ma senza dubbio l’alta moda, l’unicità è un valore fondamentale in un momento cosi particolare dove la serialità ha fatto il suo tempo. Non è anacronismo, ma realtà, siamo stanchi di tutto…..e del troppo che ci circonda.
per i nostri ricercatori ed artigiani ma il livello sistemico è tutto da ricostruire. Come vedi i creatori di altri paesi? Ne apprezzi qualcuno? Sono molti quelli che appezzo, ma Alber Elbaz è un esempio stupendo di rigore / creatività /anima. Amo la sua modestia, grande quanto il suo stile. Perché uno stilista è anche da quello che dice nelle sue affermazioni, stile ed etica non vanno mai disgiunti. Come vedi il futuro del tuo lavoro in questa realtà socioeconomica? Con l’ottimismo della volontà, bisogna sempre credere profondamente nel lavoro che si sta facendo. La realtà è complessa ma affascinante, la rivoluzione in atto epocale sulle forme di comunicazione sta cambiando profondamente i nostri stili di vita. Servirebbe qualcosa di particolare per crescere ed innovare ulteriormente? Servirebbe che ogni Azienda dedicasse una parte dei suoi utili alla ricerca ed alla formazione. Il lavoro del futuro non si baserà più sul mero consumo, ma su scelte consapevoli. Sarà un mercato meno compulsivo…Si parla da anni di Ethical fashion.
Trovi differenza fra la moda del passato e quella attuale? La moda del passato era un rito da celebrare la moda di oggi qualcosa da consumare velocemente… Chi sono i soggetti che seguono la moda e le mode..cosa ne pensi… cosa consiglieresti? Con lo sviluppo dei media la moda la seguono tutti, un po’ come il design, sin troppo ed in modo superficiale…… non ho consigli da dare se non quello di studiare veramente il passato, spesso i giovani pur con Master non sanno, non conoscono…
Il settore moda è davvero un’impresa trainante per la nostra economia? Certo, ma dobbiamo impegnarci per un rilancio in grande stile del Made in Italy e fare nuovamente sistema. Cosa pensi delle nuove tecnologie, dei social media e della rete? Ne fai uso in qualche forma? La uso molto, come potremmo altrimenti…….. tutte le comunicazioni e gli aggiornamenti sono in rete la rete è imprescindibile. Il Made in Italy è ancora numero uno nel panorama internazionale? Lo è per le nostre menti più capaci,
Le Istituzioni sono sensibili verso questo tipo di impegno creativoindustriale? A mio vedere raramente, ma il nuovo Sindaco di Milano potrebbe farmi ricredere. Come vedi il rapporto colla moda da parte delle generazioni più giovani? Imprevedibile ancora, sta appena finendo la generazione dei consumatori compulsivi di merci a basso costo …dato l’attuale frenetico clima da Happy Hour, qual è l’aperitivo preferito di “uno stilista milanese moderno” ? Non ho un posto specifico ma alcuni posti che variano sempre: L’elettrauto / Il Jamaica – via Brera / Il Mono / Hotel Diana. VoiceCom news 02.2011
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PUBBLICITÀ
Spot’s anatomy
BREVE STORIA DI COME NASCE E SI REALIZZA UNO SPOT PUBBLICITARIO
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en poche persone, a parte gli addetti ai lavori, si soffermano più di tanto, quando vedono una delle decine di spot che vanno in onda giornalmente, a pensare come nasce e come si produce uno spot pubblicitario (per gli anglosassoni commercial). Dai più semplici girati con budget limitati in HD, a quelli più complessi, con produzioni che ricordano quelle dei film veri e propri e budget a sei cifre o più. In tutti c’è il contributo di molte persone e per ogni secondo che va in onda ci sono ore di lavoro dedicate alla strategia, cervelli che si sono spremuti per trovare l’idea (frutto spesso di scremature di tante proposte), riunioni di verifica delle idee tra i creativi e tra i creativi e gli account, e poi ancora riunioni di presentazione del lavoro ancora sulla carta al cliente fino alle riunioni preliminari per discutere la realizzazione della produzione cinematografica e una volta girato il film, le varie presentazioni al cliente del prodotto finito, il cosiddetto on line. E finalmente il film approvato viene inoltrato alle emittenti e mandato in onda. Ma facciamo un passo indietro. Tutto inizia quando un cliente chiama l’agenzia e le passa un brief per una campagna pubblicitaria. Può essere un cliente che è già nel portfolio dell’agenzia o
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Parole chiave
Campagna pubblicitaria / come nasce uno spot / agenzie di pubblicità / brief / regia / case di produzione
una gara a cui sono invitate a partecipare più agenzie. Spesso il cliente ha già deciso i mezzi su cui vuole uscire e tra questi c’è quasi sempre la televisione. Il direttore clienti con i planner e gli account insieme ai direttore creativo cominciano a elaborare, con tutte le richieste fatte dal cliente, i dati forniti dalle ricerche e tanto lavoro di meningi, una strategia e un brief creativo che passeranno al team che dovrà inventare lo spot per iniziare il lavoro. Il team se il progetto è importante è spesso formato da più coppie creative esperte di comunicazione classica, ma anche di comunicazione alternativa digitale web e virale. Facciamo un salto in avanti di un paio
di settimane, in cui tante idee sono state messe sul tavolo e molte sono state scartate o modificate, e arriviamo al giorno fatidico della presentazione al cliente. Spesso le idee vengono presentate in forma cartacea, vale a dire una semplice descrizione sceneggiata della storia in formato word (lo script) o con uno storyboard con tutte la scene del film illustrate a disegni o con fotomontaggi. Tutta la presentazione viene poi caricata su PowerPoint. Ma nel caso di gare o di progetti importanti si fanno dei veri e propri film da 30 o più secondi in cui l’idea è raccontata con spezzoni di film, una musica e una o più voci narranti. A volte si gira addirittura lo spot (in gergo tecnico si chiama quick and rough) anche se in modo più semplice e con meno mezzi
di quanto poi si farebbe per quello che andrà in onda. Sempre che il cliente approvi l’idea e, nel caso di una gara, affidi all’agenzia il suo budget pubblicitario. Se tutto è andato bene e il cliente decide di girare lo spot si indice una gara fra almeno tre case di produzione che faranno delle proposte di come e con quale regista girare il film. Ogni proposta è accompagnata da una stima dei costi, quindi la gara si gioca su due fronti: la qualità, cioè il valore aggiunto che il regista è riuscito a dare all’ idea originale dello script, e la migliore proposta economica. La fase della scelta della casa di produzione e della proposta di regia è cruciale e creativi e responsabili del reparto
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luto della situazione e tutti fanno riferimento a lui. I creativi e il producer dell’agenzia lo incalzano con domande e richieste e lui a sua volta chiede alla produzione che gi venga messo a disposizione tutto quello che gli servirà per girare al meglio lo spot. Spesso c’è una sfibrante negoziazione tra le richieste le più disparate e a volte tecnicamente sofisticate del regista e la disponibilità del produttore a concedergliele. Molti immaginano che girare uno spot sia eccitante e glamour, modelle mozzafiato e location esotiche e lontane, insomma tutti gli stereotipi che accompagnano in genere i grandi spot di auto, di profumi o dei gestori telefonici con attori e modelle famose. In realtà i set della maggior parte degli spot non sono affatto così. Le giornate di shooting sono lunghe e faticose e spesso ci sono problemi da risolvere velocemente e la tensione cresce. In questi casi il regista ha un ruolo fondamentale per far sì che il lavoro proceda con la massima serenità e concentrazione e se capita che una modella abbia una crisi isterica e non voglia più recitare è ancora il regista e solo lui che deve con pazienza, professionalità e mestiere far sì che questo piccolo dramma non metta a rischio l’intera lavorazione del film. Un capitolo a parte sono gli spot di prodotti alimentari, dove le sequenze della presentazione delle materie prime piuttosto che degli ingredienti sono secondo me le più noiose in assoluto.
tv passano molto tempo a valutare i trattamenti dei registi, che vengono naturalmente anche contattati e a cui si fanno mille domande per capire cosa effettivamente hanno in testa e quanto la loro visione esalti e arricchisca l’idea del film senza naturalmente stravolgere la storia che il cliente si è comprata. Scelta la casa di produzione e il regista, si va dal cliente con il reel dei suoi lavori e il suo trattamento registico e se il cliente approva costi e scelta registica si arriva al momento più importante dal quale dipenderà il successo di tutta la produzione dello spot, il Pre Production Meeting per gli addetti ai lavori PPM. La preparazione del PPM occupa per diversi giorni i creativi, il tv producer e gli account dell’agenzia e, dalla parte della casa di produzione, i produttori, il regista, lo scenografo, il responsabile degli effetti speciali, la stylist, il direttore del casting e le persone che devono fare i sopralluoghi per individuare le location dove girare interni ed esterni del film, i cosiddetti location manager. A questo punto il regista è il protagonista asso-
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I tempi sono biblici e può capitare di girare e rigirare per ore una caduta di tuorli nella farina o una versata di ragù su una lasagna. Ricordo un film che ho seguito con un bravissimo regista belga specializzato in table top. Si cominciò l’ultimo giorno di riprese alle 10 del mattino per finire con l’ultimo sospirato ciak alle 7 e 30 del mattino dopo. Finite le riprese e festeggiato l’evento si è praticamente solo a metà dell’opera. Le settimane successive saranno dense di lavoro per dare a un film il suo aspetto definitivo e questo grazie all’ultima fase della produzione, il montaggio. Momento del lavoro importantissimo che, grazie al feeling che si instaura tra regista e montatore durante le lunghe ore di editing, darà finalmente allo spot la sua veste definitiva, quella che per 30 secondi guardiamo, a volte distrattamente, passare sullo schermo del nostro tv.
UMBERTO RAIMONDI
Creativo pubblicitario
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CINEMA
Il grande cinema non va in vacanza di SONIA AVEMARI
Cannes 2011 (11 - 22 maggio) si è confermato ancora una volta come uno degli appuntamenti più prestigiosi per il cinema internazionale. The tree of life del regista Terrence Malick ha conquistato la Palma d’Oro come miglior film.
Dopo il 64esimo Festival di Cannes, che è tornato a deliziare i cinéphile di tutto il mondo dopo una deludente edizione 2010, il grande cinema si prepara a un’estate altrettanto ricca, a partire dal Giffoni Film Festival per poi proseguire con il Concorso internazionale di Locarno e approdare al Lido per l’attesa Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Con una selezione ricca di nomi importanti e di piacevolissime sorprese, Cannes 2011 (11 - 22 maggio) si è confermato ancora una volta come uno degli appuntamenti più prestigiosi per il cinema internazionale. The tree of life del regista Terrence Malick ha conquistato la Palma d’Oro come miglior film. Ha vinto, dunque, il favori-
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to della vigilia e il cinema italiano, rappresentato da Habemus Papam di Nanni Moretti e This must be the place primo film in lingua inglese di Paolo Sorrentino, è tornato a casa senza premi. Molte sorprese hanno riservato le altre scelte della giuria del Festival, presieduta da Robert De Niro: nell’elenco dei vincitori di Cannes 2011 manca Sean Penn, straordinario interprete sia nello stesso The tree of life che nell’applaudito film di Sorrentino. Il premio come miglior attore è andato, infatti, al francese Jean Dujardin per l’ottimo film muto The artist. Mentre Kirsten Dunst ha trionfato come miglior attrice per Melancholia, di Lars Von Trier cacciato dal Festival per le sue frasi in favore di Hitler e del nazismo durante una conferenza stampa. Una vera sorpresa è stata anche la partecipazione in concorso del regista spagnolo Pedro Almodovar con La Piel que habito e, per quanto riguarda il fuori concorso, Woody Allen non ha deluso le aspettative con la sua ultima fatica “europea” Midnight in Paris. Il mese di luglio, quando ormai le sale dei cinema languono, si apre invece con la 41esima edizione del Giffoni Film Festival dal 12 al 21, con 145 film in programma, 58 lungometraggi, 87 cortometraggi in concorso e fuori concorso. Una giuria di 3300 giovani dai 3 ai 23 anni provenienti da 51 nazioni (con l’ingresso quest’anno di altri 6 paesi: Afghanistan, Qatar, Nigeria, Romania, Russia e Ucraina) e 150 città
Parole chiave novità cinematografiche, cinema, festival di Cannes, festival di Locarno, Gifforni festival, anteprime grande schermo
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Il film più atteso dell’anno è sicuramente l’ultimo episodio della saga di Harry Potter che si congeda con la seconda parte dei Doni della morte.
italiane; questi i numeri della nuova edizione della manifestazione, rassegna interamente dedicata ai ragazzi. Quest’anno il film più atteso è sicuramente l’ultimo episodio della saga di Harry Potter che si congeda con la seconda parte dei Doni della morte. La portata di pubblico e interesse intorno al maghetto più famoso del mondo è di tale portata che la Warner Bros ha scelto come data di uscita del film il 15 luglio (il 13 in Italia), periodo in cui tradizionalmente il grande cinema va in vacanza. Oltre a Harry Potter, grande attesa anche per Honey 2, seguito del film del 2003 che lanciò una giovanissima
Jessica Alba, questa volta la protagonista, l’attrice Katerina Graham, è una talentuosa ballerina che trova lo sbocco per la sua passione unendosi ad una nuova compagnia di danza dopo essere uscita dal carcere minorile. Inoltre, l’ultima giornata della rassegna vedrà l’anteprima, a 33 anni dall’uscita nelle sale, di Grease che tornerà nei cinema italiani il 12 agosto nell’inedita versione Sing-aLong. Un vivace karaoke che invita tutti i fan a cantare assieme a Sandy e a Danny nei momenti più appassionanti del film. La presentazione al Giffoni Film Festival permetterà ai più giovani di riscoprire un cult
Appuntamento fisso di agosto è invece il Festival del cinema di Locarno che si terrà dal 3 al 13 e assegnerà al vincitore il Pardo d’oro.
mai passato di moda. L’iniziativa fa parte del Legend Film Festival di Nexo Digital, che riporta sul grande schermo i capolavori in proiezione digitale 2k. Grande attesa anche per gli ospiti che interverrano, tra cui spiccano le due star hollywoodiane Edward Norton e il premio Oscar Hilary Swank, oltre a Valeria Golino, Donatella Finochiaro, Paola Cortellesi, Luciana Littizzetto, Aldo Giovanni e Giacomo, Ascanio Celestini, Rocco Papaleo e molti altri. Appuntamento fisso di agosto è invece il Festival del cinema di Locarno che si terrà dal 3 al 13 e assegnerà al vincitore il Pardo d’oro. Il direttore artistico Olivier Père, alla sua seconda prova locarnese, ha annunciato i primi titoli della selezione del Concorso internazionale, giunto alla sua 64esima edizione, in occasione della tradizionale conferenza stampa all’Ambasciata di Svizzera a Roma. Tra le opere in concorso troveremo quella dei registi italiani Gianluca e Massimiliano De Serio che presenteranno in prima mondiale il loro
primo lungometraggio di finzione, dal titolo Sette opere di misericordia. I due registi, fratelli gemelli, si sono distinti nel corso degli anni per la produzione di cortometraggi, documentari e videoinstallazioni presentati in numerosi festival internazionali. La rassegna ospiterà anche il terzo lungometraggio della regista francese Mia Hansen-Løve, Un amour de jeunesse. Dopo aver esordito come attrice, Mia Hansen-Løve è passata dietro la cinepresa presentando a Locarno nel 2004 il cortometraggio Après mûre réflexion. Il suo primo film Tout est pardonné è stato selezionato alla Quinzaine des réalisateurs, aggiudicandosi il “Prix Louis-Delluc for first film” ed è stato nominato ai Cesars come miglior opera prima. Mentre a presiedere la giuria quest’anno sarà il produttore portoghese Paulo Branco (Francisca di Manoel de Oliveira, In the White City di Alain Tanner, Come and Go di João César Monteiro, Mysteries of Lisbon di Raoul Ruiz), già vincitore nel 2002 del Premio Raimondo Rezzonico, istituito proprio
quell’anno. Con lui a valutare la ventina di lungometraggi in concorso avremo la regista svizzera Bettina Oberli (I’m Nordwind, The Murder Farm), l’attrice italiana Jasmine Trinca (La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, Il caimano di Nanni Moretti, Ultimatum di Alain Tasma), l’attore e regista francese Louis Garrel (The dreamers - I sognatori di Bernardo Bertolucci, Regular Lovers di Philippe Garrel, Les Chansons d’Amour di Christophe Honoré) e l’attrice tedesca Sandra Hüller (Requiem di Hans-Christian Schmid, Brownian Movement di Nanouk Leopold). In attesa di conoscere tutte le opere che vedremo in questa edizione, Olivier Père ha svelato che ci sarà una forte presenza americana. Mentre sono già stati resi noti il Pardo d’onore ad Abel Ferrara - l’eccentrico autore di Il cattivo tenente, Il nostro Natale, Go Go Tales – e l’omaggio al giapponese Hitoshi Matsumoto con l’anteprima di Saya-zamurai - Scabbard Samurai. E Venezia? Di certo non sta a guardare e la 68esima edizione, dal 31 agosto al 10 settembre, si preannuncia come una delle selezioni più ricche degli ultimi anni tra opere date ormai per certe e possibili sorprese. Se Cannes 2011 non ha scherzato,
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Senza Elisabetta E, a proposito di Clooney, è ormai ufficiale che sfilerà sul tappeto rosso in occasione della sua nuova fatica da regista, The Ides of March, con il lanciatissimo Ryan Gosling, che aprirà il Festival il 31 agosto in concorso.
con un livello medio qualitativo sopra la media, Venezia non si tirerà certo indietro, almeno a giudicare dai nomi che si fanno tra gli addetti ai lavori, anche in considerazione del fatto che - a meno di sconvolgimenti dell’ultim’ora - sarà l’ultimo Festival diretto dall’ottimo Marco Muller, il quale vorrà sicuramente lasciare un’impronta forte a quella che per anni è stata soprattutto una sua creatura. Sembrano ormai già approdate al Lido due opere caratterizzate da un regista “peso massimo” e un cast all-stars: si tratta di Carnage di Roman Polanski (con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly) e di A dangerous method di David Cronenberg (interpretato da Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen e Vincent Cassel). Altro nome che circola da un po’ tra le voci di corridoio è quello di Alexander Sokurov, che con il suo Faust concluderà la quadrilogia incentrata sugli uomini di potere. Già atteso sulla Croisette, ma poi rimastone clamorosamente escluso, è il francese Philippe Garrel: Un
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eté brulant sarà quasi sicuramente presente, tenendo anche conto del fatto che la protagonista Monica Bellucci fornirebbe un bel traino pubblicitario al carrozzone produttivo sfruttando un palcoscenico prestigioso come quello di Venezia. Dovrebbero farcela anche Wong Kar Wai e Walter Salles con, rispettivamente, The Grandmasters e On the road: soprattutto il primo rappresenterebbe un vero e proprio colpaccio per la selezione, visto il lungo processo produttivo che ha tenuto impegnato il regista e la quantità di aspettative venutesi a creare. Altro pezzo da novanta che non dovrebbe mancare sarà Alexander Payne, che dopo l’ottimo Sideways torna sullo schermo con The descendants (il cui protagonista è George Clooney). E, a proposito di Clooney, è ormai ufficiale che sfilerà sul tappeto rosso in occasione della sua nuova fatica da regista, The Ides of March, con il lanciatissimo Ryan Gosling, che aprirà il Festival il 31 agosto in concorso. Quasi certa anche la presenza di Brillante Mendoza e di Isabelle Huppert: il filippino e la talentuosa attrice dovrebbero essere protagoni-
sti assoluti con il nuovo film del discusso regista intitolato Prey. Tornando agli europei, i nomi più accreditati sono quelli di Tomas Alfredson con il suo Tinker, Tailor, Soldier, Spy (con Gary Oldman e Colin Firth), film tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carre, e quello di Steve McQueen che con Shame cercherà di replicare il successo di critica ottenuto con Hunger; probabile anche l’inserimento di Trishna di Michael Winterbottom con la bella Freida Pinto. Ma il nome sicuramente più atteso rimane quello di Michael Haneke, il quale dopo l’affermazione a Cannes con Il nastro bianco, potrebbe entrare nel gotha dei registi pluripremiati provando l’assalto al Leone d’oro: il suo Amour è atteso nelle sale per l’inizio del 2012, ma considerando che le riprese sono terminate da almeno un mese non è da escludere una clamorosa partecipazione. Ben assortita dovrebbe essere anche la truppa italiana presente in laguna: i nomi più accreditati sono quelli di Emanuele Crialese (Terraferma) e di Cristina Comencini (Quando la notte) per quanto riguarda il concorso; fuori concorso - almeno stando alle sue dichiarazioni - Ermanno Olmi con Il villaggio di cartone. Per il momento comunque, in attesa del programma ufficiale, le uniche notizie certe sono quelle riguardanti il presidente di giuria, Darren Aronofsky (Il cigno nero; The Wrestler) e del Leone d’oro alla carriera assegnato a Marco Bellocchio; appuntamento fissato a fine luglio per scoprire se le indiscrezioni trapelate fino a questo momento corrispondano o meno a verità, e se davvero dopo la bella edizione dello scorso anno la Biennale riuscirà a offrire uno spettacolo ancora migliore.
SONIA AVEMARI
Esperta di cinema e collaboratrice di Voicecom news
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EVENTI
LA SFIDA DEI SERIOUS GAMES RICERCA, APPLICAZIONI, ESPERIENZE E PROSPETTIVE FUTURE
Parole chiave
serious games, training, formazione professionale, formazione per le imprese, ricerca, simulazione, competenze manageriali, sviluppo Il 25, 26 e 27 maggio nell’ambito del progetto di ricerca internazionale LUDUS è stata organizzata a Milano la conferenza SGEED 2011 (Serious Games, Education and Economic Development). LUDUS è un progetto internazionale (quadro South East Europe) che coinvolge 8 partner provenienti da 6 paesi dell’Unione Europea (Italia, Grecia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Slovenia) con lo scopo di promuovere la consapevolezza e la condivisione di conoscenze e di esperienze nell’ambito dei Serious Games. All’interno del progetto LUDUS sono stati proposti stimoli e attività didattiche che vanno dalle conferenze internazionali, alle giornate di formazione e di divulgazione della conoscenza dello strumento, fino ai concorsi e ai laboratori virtuali.
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a tavola rotonda di inizio lavori, ‘La sfida dei Serious Games: ricerca, applicazioni e prospettive future’ ospitata il 25 maggio all’Università Bicocca di Milano, ha visto la partecipazione di Susanna Mantovani, pro-rettore e professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all’Università Bicocca; di Luigi Anolli, professore ordinario di Psicologia della Comunicazione e direttore del centro CESCOM, Università Bicocca; di David Wortley, Immersive Technology Strategist, fondatore del Serious Games Institute dell’Università di Coventry; di Sonia Hetzner, Innovation in Learning Institute Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Nuremberg; di Lucia Pannese, direttore di imaginary; di Albena Antonova, docente della facoltà di matematica e informatica alla Università di Sofia St. Kliment Ohridski e Alessandro De Gloria, Professore Ordinario alla Facoltà di Ingegneria Area scientifico-disciplinare all’Università di Genova e coordinatore della rete di eccellenza europea GaLa (www.galanoe.eu), interamente dedicata ai Serious Games.
A questo proposito i due partner italiani coinvolti nel progetto, Centro METID del Politecnico di Milano e Centro CESCOM dell’Università degli Studi Milano – Bicocca, hanno organizzato, con la collaborazione di imaginary, la conferenza SGEED.
I relatori, moderati da David Wortley, hanno avuto modo di presentarsi al pubblico e di illustrare la loro visione sull’utilizzo e l’importanza dei Serious Games, tanto in ambito educativo, quanto in quello aziendale.
L’università Milano Bicocca ha ospitato il 25 maggio la tavola rotonda di apertura dei lavori, mentre il Politecnico di Milano le attività delle due giornate successive: il convegno ha visto la partecipazione di relatori italiani e internazionali esperti del mondo dei Serious Games. Sono inoltre stati organizzati tre workshop che hanno impegnato i partecipanti in sessioni tanto teoriche quanto pratiche.
Il prof. Anolli ha spiegato come i percorsi creati e utilizzati dalla mente umana vengano simulati dai Serious Games: “i nostri cervelli creano naturalmente delle mappe ogni volta che agiamo, pensiamo o immaginiamo qualcosa. I Serious Games ricreano in modo virtuale questi stessi percorsi, simulandoli”. Per questo, ha aggiunto “il futuro dell’apprendimento è nei Serious VoiceCom news 02.2011
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I Serious Games sono simulazioni virtuali interattive che all’aspetto di un vero e proprio gioco affiancano finalità serie. Utilizzati nel training aziendale, nel marketing e nella comunicazione sociale i Serious Games simulano i contesti in cui normalmente ci si trova ad agire, concretizzando il concetto del learning by doing e permettendo così di affinare percezione, attenzione e comprensione delle situazioni.
Games perché questi sono in grado di riportare gli stessi rapporti esistenti nella realtà. L’apprendimento è quindi situato ed esperienziale e il concetto di learning by doing si concretizza perfettamente. I Serious Games inoltre consentono sia un apprendimento guidato, sia una valutazione dinamica di quanto appreso, permettendo anche alla cosiddetta conoscenza tacita di essere sfruttata come stimolo alla riflessione, senza che debba prima necessariamente essere esplicitata”. David Wortley ha invece avuto modo di presentare alcuni casi studio nell’ambito delle simulazioni e ha spiegato che “i giochi sono sem-
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pre stati seri, ancora prima della comparsa sul mercato dei Serious Games. L’uomo ha sempre utilizzato i giochi, di qualsiasi natura questi fossero, per esplorare il mondo intorno a sé. Per questo motivo i giochi rivestono un’importanza non solo ludica e di intrattenimento, ma anche economica. Questo ultimo aspetto è emerso soprattutto negli ultimi anni quando le tecnologie sviluppate per i giochi (pensiamo ai videogiochi simulativi come quelle messi in commercio da Nintendo, per esempio) hanno assunto un impatto commerciale di assoluto rilievo, anche al di là del loro diretto utilizzo nell’industria ludica”.
Il prof. De Gloria ha invece voluto sottolineare come uno strumento apparentemente solo ludico, come è il gioco appunto, sia invece riuscito grazie al Serious Game a diventare un mezzo di apprendimento e di veicolazione, spesso, di messaggi didattici. Particolarmente interessante è stata la sua riflessione sull’approccio pragmatico dei Serious Games alla realtà: al centro dell’apprendimento non troviamo più solo teoria, ma vera e propria concretezza. Lucia Pannese e Albena Antonova hanno voluto portare all’attenzione del pubblico l’importanza del valore, economico e sociale, dei Serious Games. La prima ha sottolineato come le aziende abbiano costantemente bisogno di formare le loro risorse umane, attività per la quale l’utilizzo dei Serious Games è fortemente appropriato, ma per la quale non vogliano investire, soprattutto economicamente. La collega bulgara, dal canto suo, ha sostenuto come la sfida più grande sia quella di convincere i propri potenziali o attuali clienti che ci sia davvero un ritorno, non solo economico, derivante dall’utilizzo dei Serious Games. A questo proposito Lucia Pannese ricorda come “chi, in generale,
In un articolo successivo verrà dato spazio ai due workshop organizzati da imaginary all’interno della SGEED: Training sul dialogo multiculturale: una simulazione di approccio adattativo nell’ambito del progetto europeo ImREAL e I Serious Games per l’apprendimento riflessivo (reflective learning) nell’ambito del progetto europeo MIRROR.
viene a contatto con i Serious Games si aspetta che questi abbiano la stessa qualità grafica e interattiva dei videogames. Cosa che non sempre è possibile, ovviamente, dato il budget a disposizione e che, soprattutto, non è utile ai fini dell’utilizzo della simulazione: non serve per divertire, ma serve per far apprendere.” Da qui, quindi, la vera sfida: far capire cosa si intende per Serious Game e cercare, per quanto sia possibile, di inquadrarlo correttamente fra la simulazione, la sperimentazione di comportamenti, l’apprendimento riflessivo e di porlo con cura e attenzione all’interno di un percorso formativo”. Lucia Pannese ha poi lanciato una provocazione: dopo una fase complessa e articolata di progettazione e sviluppo del game, dopo aver ‘insegnato’ al proprio cliente come utilizzarlo, siamo certi che il suo impiego sarà il migliore possibile e che le potenzialità e l’efficacia del Serious Game vengano esplorate davvero, così come lo farebbe un esperto, o viene dato agli utenti senza guida, inficiando tutto il lavoro metodologico dietro alle quinte? A prendere la parola è stata quindi Sonia Hetzner, dall’Università di Erlangen, Germania, che ha sottolineato come lo sviluppo di un Serious Game non debba mai esse-
re improvvisato, ma debba invece sempre e comunque fare capo a un team competente, sia per quel che riguarda gli aspetti tecnici e tecnologici, sia quando si fa riferimento a quelli metodologici e formativi. “Un gioco deve essere sempre un gioco e tra giochi e simulazioni devono esserci delle differenze. Il Serious Game ha un po’ le caratteristiche di entrambi” ha aggiunto Sonia Hetzner. Discorsi e riflessioni sui Serious Games sono ripresi la mattinata successiva quando il Politecnico di Milano ha dato spazio alla conferenza ‘I Serious Games come strumento formativo: esperienze a confronto, tra università e mondo aziendale’. Introdotti da Susanna Sancassani, direttore di Centro Metid, i relatori presenti (Lucia Pannese, Alessandro De Gloria, Barbara Ongaro, Ufficio scolastico regionale della Lombardia; David Wortley, Sonia Hetzner e Matteo Uggeri, responsabile del progetto LUDUS per Centro Metid) hanno portato al pubblico la loro esperienza diretta con i Serious Games. Nella mattinata Matteo Uggeri ha avuto modo di presentare alcuni Serious Games realizzati negli ultimi anni come, per esempio, “University Explorer” (www.universityexplorer.polimi.it), realizzato per presentare il Politecnico agli studenti dell’ateneo (o futuri tali); “Performing Teatro Scienza” (www.performingts.it) e ‘La Bussola’ (www.week2week.polimi.it), un gioco sviluppato all’interno del progetto Week To Week. Barbara Ongaro ha spiegato, invece, come sia importante ricercare all’interno dell’educazione scolastica nuovi orizzonti didattici che permettano di trasferire non solo conoscenza, come sta avvenendo ora e come avvenuto fino ad adesso, ma che diano invece la possibilità di fornire agli studenti delle competenze spendibili alla fine del proprio ciclo di studi. “Costruire competenze e conoscenza – secondo la dott.ssa Ongaro – significa costruire respon-
sabilità e autonomia. Il luogo dove tutto ciò sta iniziando ad avvenire è il web”. Fondamentale deve però rimanere la figura dell’insegnante il cui ruolo è quello di coach, guida e trainer: “l’insegnante deve essere, prima di tutto, un motivatore. È la motivazione, infatti, il vero motore dell’educazione. Ed è un aspetto basilare, ma spesso sottovalutato”. Alessandro De Gloria, già protagonista della tavola rotonda di apertura lavori del giorno precedente, ha voluto invece presentare GaLa (Games and Learning Alliance), la rete di eccellenza sui Serious Games recentemente lanciata dall’Unione Europea nell’ambito delle tecnologie per l’educazione, nel Settimo Programma Quadro per la ricerca, che egli stesso coordina. “Uno degli scopi di GaLa – ha spiegato il Prof. De Gloria – è fare in modo che i Serious Games possano essere utilizzati a un alto livello nell’ambito educativo e di formazione. Questo permetterà allo strumento di acquisire importanza e autorevolezza”. David Wortley ha invece centrato il suo intervento sulle caratteristiche che una simulazione dovrebbe avere per essere efficace e ‘centrare il bersaglio’. Attrattività, accessibilità e convenienza economica sono gli aspetti chiave sia di un’innovazione, sia di una simulazione innovativa. Creare una nuova esperienza attraverso una simulazione, e farlo seguendo i tre principi di cui sopra, permette di generare nuovi approcci e servizi innovativi. “Le cosiddette visualizzazioni immersive ci consentono di capire e gestire al meglio l’ambiente nel quale viviamo – ha continuato il relatore britannico – Non solo: questo genere di simulazioni ha la capacità di attirare la nostra attenzione, come poco altro potrebbe essere in grado di fare”. Lucia Pannese ha invece avuto il compito di parlare di Serious Games in ambito aziendale. Il Serious Game diverte, ma simulando scenari reali (a meno che venga presentato come una metafora) permette di sperimentare comportamenti ed esplorare situazioni stimolando VoiceCom news 02.2011
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fortemente la riflessione. È in tale contesto che l’azienda utilizza questo strumento, scegliendo così un mezzo che sia in grado di aumentare l’esperienza in modo che quanto appreso sia immediatamente applicabile al contesto lavorativo. Riprendendo quanto già accennato durante la tavola rotonda di apertura lavori, Lucia Pannese ha sottolineato quanto sia importante un corretto utilizzo del gioco da parte del cliente. Questo presuppone però, innanzitutto, che il Serious Game sia stato progettato sulle reali esigenze dell’azienda. È fondamentale quindi che il cliente segua molto da vicino il processo di sviluppo del gioco: un’azienda presente nel momento della progettazione è un’azienda attenta a voler costruire uno strumento altamente
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personalizzato che riesca a soddisfare le necessità per cui un Serious Game è stato effettivamente richiesto. Lucia Pannese ha concluso dicendo che “la strada è ancora lunga, soprattutto in Italia e c’è ancora molto da lavorare sulla percezione dei nostri interlocutori che a volte escono ancora con frasi tipo “stiamo lavorando, non giocando”. La mattinata è stata chiusa dall’intervento di Sonia Hetzner che ha invece focalizzato l’attenzione sulla tecnica dello storytelling, un metodo potente e autentico per raccogliere informazioni e situazioni, che ultimamente spesso viene utilizzato come base per costruire i contenuti dei Serious Games. È tramite lo storytelling, per esempio, che sono stati costruiti i Serious
Games realizzati all’interno dell’ormai concluso progetto E-VITA, il cui scopo era quello di raccontare le esperienze di viaggio dei cittadini europei quando ancora l’Europa non era unita. Lo storytelling utilizzato all’interno di questo progetto ha permesso di catturare la conoscenza di reali esperienze di vita per poterla rimettere a disposizione di tutti.
RAFFAELLA AMOROSO
Responsabile della comunicazione, imaginary srl
RECENSIONI
La fisica della domenica. Brevi escursioni nei quattro elementi.
A uto re: M ich el e M a renco E dizio ne: Siro ni E d it o re P rezzo : 16,00 eu ro I SB N : 978- 88- 518- 0138- 0
TERRA Perché più la corsa è veloce e me no energia dissipiamo? Per dimagrire dobbiamo perdere peso o massa? Perché un ago della bussola può i mpazzire? ACQUA Perché si canta sotto la doccia? P erché i fiumi preferiscono scendere a cur ve anziché tirare dritto? Quando l’onda si “rompe”? ARIA Quanti sono i colori del mondo? Perché il cielo è blu se l’aria è trasparente? Di che colore è l’ombra? Come mai, avvicinando una conchiglia all’orecchio si sente il mare? FUOCO Perché il nero snellisce e il bianco ingrassa? Cos’è l’albedo? Meglio sauna o bagno turco? La fisica (ric reativa) è ovunque e questo libro la racconta piacevolmente in trenta brevi capitoli dedicati a fenomeni della nostra vita quotidiana.
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Pillole
1927
Reputazione ~
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Si trova nelle edicole indiane dal 1927, e oggi
1°
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Nelle primarie non c’è neppure la carta igienica, figuriamoci la Rete senza fili. ~
The Musalman
è probabilmente l’ultimo giornale al mondo scritto a mano
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Le donne a capo di aziende rendono le stesse più ricche
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L’ONU: IL WEB È UN DIRITTO
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facciamolo sapere anche ad AgCom ...
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CLOUD
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Gli organismi marini sono perfetti per produrre biocarburante
Con la cloud l’intelligenza sarà altrove: centralizzo tutto, in modo che le informazioni siano in un solo posto, e le metto a disposizione attraverso Internet
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LA SARDINA FA BENE AL DNA L’ACQUA AIUTA IL CERVELLO È ORA DI RIPENSARE IL FUTURO ENERGETICO DEL PIANETA SIAMO UN POPOLO DI CICLISTI
Cittadini di tutto il mondo,
cliccate!
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cliccate!
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cliccate!
INTERNET NON È UN DIVERTIMENTO, MA UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE
Articolo ~
LA SICUREZZA È UN BENE COMUNE
10eLode
ITALIA 150°
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Siamo l’unico paese al mondo (con Libia e Somalia) a non avere un piano per l’innovazione
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