Italo Montiglio, Sintassi musicale, CeRiDo 2016

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Italo Montiglio SINTASSI MUSICALE DI.A.DA.IN.CON.SU.PER.TRA.FRA - STAZIONI E PORTI DELLA MUSICA Una prospettiva aperta e spunti fra analisi e didattica. La bibliografia musicologica è immensa. Molto meno quella concernente la storia della musica ed ancor meno quantitativamente consistente quella attinente le aree della pedagogia e della didattica della musica. La cosa non dovrebbe suonare strana, considerate le vicende di ciascuna di queste aree nei loro diversi sviluppi. Se però volessimo cercare in questo mare magnum testi specificatamente dedicati ai rapporti tra la musica e le altre aree del sapere o della storia, ci troveremmo di fronte ad una contraddittoria situazione: da un lato un’ampia letteratura al riguardo e dall’altro la sua frammentazione su temi e argomenti specifici, in cui è difficile afferrare una visione d’insieme del problema. Non è certamente compito di questo testo ovviare a questa mancanza (sarebbe davvero un impegno enciclopedico), ma piuttosto quello di suggerire, nell’ambito più specifico dell’educazione musicale, percorsi ed esempi concreti, per stimolare una visione più aperta e dinamica dei rapporti fra la musica ed “il resto del mondo” ai fini concreti dell’azione didattica o della stessa esperienza personale. Non mi potrò esimere dall’affrontare il tema dell’ascolto (musicale e no), altrimenti cadrei nell’assurda situazione di togliere all’esperienza musicale un’essenziale pre-condizione sensoriale-percettiva-cognitiva. Tuttavia l’ascolto a cui mi riferirò non consisterà semplicemente nel “tener aperte le orecchie”. Nonostante ogni sforzo, la “cenerentolitudine” dell’educazione musicale non si è ridotta di molto, anche se, a onor del vero, negli ultimi trent’anni qualcosa si è mosso e qualche risultato si è ottenuto. Purtroppo il peso disciplinare di tutta l’area artistica nella scuola italiana nel corso degli ultimi anni è andato diminuendo, complici non solo le oggettive gravi situazioni finanziarie del Paese, la diffusa crisi politica, leggi e disposizioni tutt’altro che favorevoli, ma anche una diversa sensibilità nei confronti della cultura e dell’arte, forse troppo spesso pensate, percepite e vissute semplicemente come svago, evasione, divertimento, seguendo la moda effimera dei grandi eventi mediatici. Eppure fortunatamente sopravvive un mondo, neppur tanto sotterraneo, di una rinnovata vitalità artistica in circuiti meno televisivi e di minor visibilità, ma non meno significativi. D’altra parte le arti (leggi “artisti”) non sono mai troppo propense a fare sistema, salvo in condizioni di difficoltà. Ecco allora che questa crisi generale e conclamata può rappresentare una dura ma straordinaria opportunità per ripensare il modo di essere dell’arte e di riflesso costringere anche l’educazione musicale a ripensare se stessa, recuperando il senso profondo della musica, che si è sempre sviluppata in strettissima relazione con il mondo circostante. Se riuscissimo a rimuovere l’isolazionismo disciplinare, sempre deprecato, ma pur sempre di fatto persistente, potremmo trovare nuove vie di rinnovamento anche per la didattica della musica. Riandando con la memoria alla mia esperienza musicale personale (ma ciascuno potrebbe fare altrettanto) ritrovo la costante della musica come un fare. Forse sono stato fortunato a nascere in una famiglia in cui (pur non essendo costituita da musicisti) mi è stata data l’opportunità di imparare a suonare dai cinque anni in su, di cantare spesso (in una chiesa, ma anche talora in casa) di ascoltare musica (serate passare ad ascoltare opere alla radio con mia nonna). Questo tipo di vita echeggiava (senza averne le pretese, le possibilità e la consapevolezza) quel far musica in casa ampiamente diffuso nell’Ottocento non solo fra i ceti borghesi e nobiliari. Certo, quella società non esiste più, ma ci fa riflettere sia sull’importanza dell’esperienza musicale precoce sia su quello dell’ambiente famigliare, se non altro quest’ultimo come elemento di sostegno e supporto. Oggi la scuola sostituisce la famiglia anche in quest’ambito o, forse meglio, la famiglia delega alla scuola questi compiti o, in non pochi casi, la famiglia è disinteressata a questi aspetti dell’esperienza formativa. 2


In ogni caso questo vivere la musica come un fare, per molti aspetti gratificante, implicava l’attivazione di una rete diversificata di esperienze: sensoriali, percettive, cognitive, dinamiche, sociali, culturali, ecc. In questo modo in me come in tante altre persone nasceva e si sviluppava una consapevolezza progressiva della musica come esperienza integrata ed integrante, che è il senso profondo della cultura come capacità di stabilire relazioni. Tutta l’esperienza musicale dell’umanità non ha fatto altro, in continuazione, che creare e sviluppare creative connessioni, le quali a loro volta hanno dato vita ad una fitta rete di discipline musicali diverse: dall’organologia alla tecnica esecutiva, dalla scrittura all’ermeneutica musicale, dalla sociologia della musica all’estetica, e via dicendo. In questo processo, lento e tutt’altro che lineare, troppo spesso veniva dimenticata la complessa unitarietà della concreta esperienza musicale. Parallelamente nelle scuole deputate alla formazione musicale (dai livelli primari alle accademie) queste discipline diventavano mondi separati ed incomunicanti mentre nella vita musicale reale la connessione con tutto il resto della vita, del sapere e dell’arte si faceva arte viva. Come si potrebbe pensare ad esempio a tutta la storia dell’Opera lirica senza il determinante apporto della letteratura, della scenografia, dell’architettura, della pittura, della tecnica meccanica, dell’organizzazione manageriale, della stampa, del pubblico, ecc... Anche nel caso di “normali” concerti strumentali la musica diventa teatro: della gestualità implicita nel suonare, nella disposizione degli esecutori e del pubblico (e nella loro interazione), nella relazione con la sede del concerto, ecc. In qualche modo si potrebbe dire che l’evento musicale è sempre azione teatrale e scenica, cioè la più complessa invenzione artistica dell’uomo. La musica reale, dunque, non è mai isolata, neppure quando una persona, da sola, canti suoni o balli, perché anche in questi luoghi e momenti sono attivate sinapsi fisiche, emotive e culturali che, credo, siano esperienza universale. La musica coinvolge il tutto (anche se non sempre tutti o, meglio, non tutti consapevolmente). L’espressione (un po’ abusata e forse non compresa appieno) del “tutto è musica”, cavallo di battaglia degli anni Settanta, rappresenta invece l’altra faccia della medaglia che affonda le radici comuni nel suono, espressione prima e primordiale del mondo nella sua fisicità; suono che è poi la materia prima e riorganizzata della musica. Il sillogismo“tutto è suono, la musica è suono, dunque tutto è musica” presenta discutibili aspetti di logica formale. Tuttavia gli errori talvolta aprono la mente a importanti idee. Nel nostro caso l’aver portato al centro della riflessione musicale il suono è servito ad aprire nuovi orizzonti alla pedagogia e alla didattica della musica, che vive non solo della fisicità dell’uomo, ma è influenzata in proporzioni rilevanti dal mondo nella sua totalità. Il problema, oggi come allora, sta nel validare e convalidare l’idea in termini di concrete e significative proposte operative o nell’identificazione di esempi concreti in cui la musica diventa centrale momento di formazione educativa, perché capace di valorizzare “naturalmente” la complessa identità, tessendo e ri-tessendo una tela comune dai molti gomitoli della nostra vita, della vita degli altri e del mondo che ci circonda. C’è infine un altro aspetto preliminare che devo ricordare. In molti testi, in particolare di didattica della musica, spesso nell’illusorio tentativo di trasformarli in itinerari operativi da seguire passo a passo, con gradualità, mancava il riferimento non solo alle altre arti o “al resto del mondo”, ma soprattutto all’arte dell’insegnamento. L’educazione di massa, espressione un po’ brutale con cui ci riferiamo a un’azione educativa estesa a tutti i bambini e giovani di una società, ha imposto la formazione di un parallelo gran numero di insegnanti al di là delle effettive attitudini individuali. Si è pensato di poter risolvere questo problema con scuole apposite di preparazione e, per gli insegnanti già in attività, con corsi di formazione e specifici manuali didattici. Nonostante questa soluzione non abbia molte alternative, tuttavia è onesto ricordare che l’insegnamento, soprattutto nella scuola dell’infanzia e primaria, resta un’arte con quel tanto di creativo che essa comporta, riferendomi con ciò anche alla capacità di ri_elaborare in proprio modalità e tecniche di 3


comunicazione ed insegnamento, facendo leva sui particolari talenti di ciascun docente. In tal senso va rivalorizzata l’autonomia del docente come parallelamente vanno recuperate tutte le forme di integrazione dei saperi intra ed extra-disciplinari, così come di fatto la vita unifica le molte e talora contraddittorie dimensioni dell’esistere. Proprio una filosofia e pedagogia della complessità sono quelle che ci vorrebbero per elaborare progetti educativi all’altezza della complessità della vita contemporanea, nei quali coinvolgere tutte le dimensioni fisiche, psicologiche, cognitive della persona. ESEMPLIFICANDO Poiché il materiale è vastissimo, la scelta musicale effettuata qui di seguito privilegia seppure non esclusivamente le musiche con diverse versioni strumentali (dello stesso Autore e non) e la molteplicità delle connessioni tematiche intra- ed extra-musicali. Seguiamo l’ordine alfabetico, ma il materiale potrebbe essere riordinato seguendo criteri differenti. Isaac Albèniz (1860-1909)

Iberia; suite di dodici pezzi; versione originale per pianoforte composta dallo stesso Autore (fra il 1905 ed il 1909) e versioni orchestrali composte da E. F. Arbò e da C. Surinach, P. Breiner. Una fantasmagorica Spagna rivisitata attraverso le danze che caratterizzano alcune emblematiche località. Evocación; El puerto; Fête-dieu à Seville; Rondeña ; Almería; Triana; Albaicín; El Polo; Lavapiés; Málaga; Jerez; Eritaña. L’uso tradizionale che se ne fa a scuola è generalmente inserito in contesti “geografici”, a ricreare l’atmosfera di luoghi esotici. In qualche caso si provano alcuni passi delle danze, magari con molta titubanza, perché ci si dimentica che tutte possono essere camminate, corse, saltate. Quasi nessuno osa presentare lo spartito, che è giudicato esclusivamente uno strumento professionale di esecuzione. Eppure proprio lo spartito è di per sé una sequenza impressionante di straordinari quadri grafici, di intuitiva comprensibilità almeno nelle sue strutture generali. In esso si possono inoltre riconoscere con una certa facilità i suoni staccati, i ghirigori degli arpeggi, le direzioni e gli andamenti delle linee melodiche, gli accordi, la fitta serie di note “veloci”, la ripetizione di certe figure ritmiche, altezze differenti. Anche alcune situazioni insolite per una scrittura pianistica per un solo esecutore come l’uso di tre pentagrammi (cfr pag. 24 dello spartito) nel brano processionale di Siviglia. Un confronto, per blocchi, della versione pianistica con quella orchestrale pone il problema della timbrica. Non sempre quella orchestrale ne esce vincitrice, grazie alla carica percussiva e all’omogeneità timbrica del pianoforte. Non è male predisporre un approccio differenziato con segmenti dalle specifiche caratteristiche sonore e ritmiche. Non è poi detto che la Spagna debba costituire il riferimento esclusivo ed obbligatorio. La musica apre sempre molte porte, molte di più di quelle previste dai suoi stessi Autori. 4


Alfredo Casella (1883-1947)

Pupazzetti (1916/1920). La composizione possiede tre versioni dello stesso Autore. Una prima versione per pianoforte a quattro mani (1916); una seconda versione per nove strumenti (1920) ed una terza versione orchestrale. Cinque le parti di questa breve suite: Marcetta, Berceuse, Serenata, Notturnino, Polka. Si raccomanda un primo ascolto nella seconda versione, quella cameristica. La 5


Marcetta ci introduce in un clima quasi clownesco, circense, parodistico, andamento sciolto, ballonzolante, timbrica scabra e graffiante, che si schiude a singhiozzo. Segue la ninna nanna, andamento moderato, come si conviene, ma non direi con effetti del tutto rassicuranti, le ondeggianti cullanti ripetizioni melodico-ritmiche sembrano promettere un che di misterioso più che l’approssimarsi di un dolce sognare. Tant’è che la Serenata, in cui la Berceuse sfocia, riprende i toni un po’ sarcastici del primo tempo. Il Notturnino ci fa entrare in un mondo magico, da bosco incantato. Anche qui, comunque, non troviamo atmosfere zuccherose e rosate. Come se un pericolo ci fosse sempre in agguato. La ritmica scandita, incisiva, ripetitiva nei suoi schemi di base, procede a tratti con effetti ironici, proprio da burattino. Finale in glissando, da scivolata. Gli andamenti, talora ispirati ad un meccanicismo futurista, sono sempre, nonostante tutto improntati a equilibrata eleganza. Quante possibili traduzioni con pupazzetti, marionette, burattini. E non ci vuol molto per arrivare da questi al Pinocchio di Collodi, al Petruška di Stravinskij e soprattutto al geniale Depero degli anni Venti. E che dire del Pierrot lunaire di Arnold Schonberg, emblema dell’espressionismo musicale ? Non disdegnerei un’indagine anche sul piano linguistico: perché pupazzetti e non pupazzi ? cosi si nasconde dietro al diminutivo ? Pupazzo, pupo ...fino ai pupi siciliani. Lunga, gloriosa e suggestiva la storia del teatro dei pupazzi. Il vocabolario è anche una banca di idee. Luigi Dalla Piccola (1904-1975)

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Variazioni per orchestra (1953/54), trascrizione orchestrale della composizione pianistica “Quaderno musicale di Annalibera” (1952). I. Quasi lento, misterioso ; II. Allegro con fuoco; III. Mosso; scorrevole ; IV. Tranquillamente mosso ; V. Poco allegretto "alla Serenata" ; VI. Molto lento; con espressione parlante; VII. Andantino amoroso; VIII. Allegro, con violenza; IX. Affettuoso, cullante; X Grave, Molto lento; XI Fantastico. Approccio non facile all’ascolto di questa musica orchestrale, che nulla concede ai piaceri dell’orecchio ed alla retorica spettacolare. Una sfida, che per essere affrontata richiede un po’ di impegno nella ricerca di “appigli”. Per fortuna abbiamo a disposizione il precedente “quaderno musicale” che riporta le seguenti suddivisioni di tempi: 1. Simbolo - Quasi lento; 2. Accenti - Allegro, con fuoco; 3. Contrapunctus primus - Mosso; scorrevole; 4. Linee - Tranquillamente mosso; 5. Contrapunctus secundus, canon contrario motu Poco allegretto;"alla Serenata"; 6. Fregi - Molto lento; con espressione parlante; 7. Andantino amoroso e contrapunctus tertius, canon cancrizans – Resolutio; 8. Ritmi – Allegro; 9. Colore Affettuoso; cullante; 10. Ombre – Grave; 11. Quartina - Molto lento; fantastico. Quante allusive parole nei titoli didascalici delle varie parti e soprattutto molti riferimenti a tecniche contrappuntistiche impegnative, già preannunciate (nelle Variazioni) con la citazione sonora del nome B.A.C.H., lettere a cui corrispondono nei Paesi di lingua tedesca ed inglese i nomi delle note Si bemolle, La , Do, Si naturale. Questa dedica ci riporta alla prima versione di Il Piccolo libro di Anna Magdalena Bach, conosciuto anche come il Quaderno di Anna Magdalena Bach, seconda moglie di Johann Sebastian Bach, i cui contenuti musicali risultano piacevoli, quasi salottieri (parliamo del 1722...). Dallapiccola, pur nulla concedendo ad un facile ascolto, sembra però buttare l’amo all’ascoltatore, dei suggerimenti. Eppure pare quasi una burla, perché di riferimenti acustici oggettivi alle parole scritte, sembrano essercene molto pochi, salvo gli andamenti (diciamo “indicazioni espressive e di velocità”). Comunque meglio di niente, perché, nonostante l’estetica di “evasione dal mondo” dell’Autore, il movimento delle linee musicali, i ritmi rallentati o liberi o irregolari, sono una delle chiavi di accesso. Solo un movimento corporeo altrettanto libero riesce ad aprirci una prima chiave d’ingresso in questa stanza. Ci sono anche frammenti musicali che possono essere riprodotti su una tastiera, da più esecutori: una suddivisione delle difficoltà negli elementi ritmici e armonici di base. Salvo non si pensi ad un Dalla Piccola sadico, che, per l’ottavo compleanno della figlia, le regali qualcosa di sgradevole (comunque al di là delle committenze del brano pianistico), dobbiamo e possiamo ritrovare quel senso del gioco, che è proprio dell’arte. Persone che, entro comune delimitato spazio, camminano in precari equilibri, con la “testa tra le nuvole”, chiuse nel bozzolo del proprio mondo, che giocano i propri individuali giochi, ma che alla fine, vogliano o no, formano la trama di incontri “casualmente” previsti, come la serie dodecafonica dei suoni, che l’Autore, deus ex-machina, ha posto alla base del suo lavoro. Una partita musicale a scacchi con regole diverse dalle solite, in cui Autore e Pubblico, addirittura, giocano spesso con regole differenti. . L’opera diventa sempre altro da sé. Questa è la magia ed il mistero. Chi ci impedisce di immaginare un match a più round, mettendo a scontro diretto alcuni brani di Bach e Dallapiccola ? e di sovrapporli ? Lo scontro fra due secoli rappresentati anche da quadri o immagini delle due epoche. Se si incontrassero la ventunenne Anna Magdalena con Annalibera ? Immaginiamo Annalibera con carta, matita e colori mentre ascolta il padre suonare la musica a lei dedicata. E non facciamo facili ironie. Riporto infine u na citazione del musicologo Gioacchino Lanza Tomasi : “ Già dai titoli si osserva come il Quaderno rientri nel neofiamminghismo di Dallapiccola, quello dove i procedimenti canonici della polifonia quattrocentesca vengono integrati nella tecnica dodecafonica. A questo particolare linguaggio dobbiamo le più belle pagine del Dallapiccola lirico, dai Sex Carmina Alcaei alle Parole di San Paolo. Trasposto nel timbro monocromo del pianoforte (facciamo osservare che Dallapiccola ha ritenuto opportuno fornire una versione orchestrale del Quaderno intitolata Variazioni per orchestra) e privato dell'emozione vocale il lirismo di Dallapiccola ne esce ancor più scarnito. La poetica della purificazione, il «desiderio di evadere dal mondo», secondo l'espressione dell'autore, lo rende immateriale e pressoché disumano....” (Da “L’orchestra virtuale del Flaminio). 7


Modest Mussorgski (1839-1881) – Maurice Ravel (1875-1937)

Quadri di una esposizione (1874) composizione pianistica di Mussorgski; versione orchestrale di Ravel (1922). Fin troppo note queste musiche e, a buon diritto, molto utilizzate in ambito didattico, 8


in svariati modi, più o meno interessanti. L’utilizzazione riguarda soprattutto la trascrizione per orchestra di Ravel, peraltro di grande efficacia, complice le straordinarie qualità anche tecniche del musicista francese. A scuola si prende però un po’ troppo alla lettera lo schema didascalico e lo spunto cronachistico offerto dalla partitura. Nulla di male in sé, ma ci priva di una serie importante di sviluppi elaborativi, formativi ed informativi, che ci consentirebbero di recuperare un Mussorgski autentico. Molto s’insiste nell’evitare una lettura biografica delle composizioni, ma, come per tutte le cose, questa apparentemente filologica indicazione deve poter essere messa in dubbio come regola indiscutibile ed universale. Come sensatamente si dovrebbe evitare di voler ritrovare, pari pari, dettagliate forme di descrittivismo figurativo nella musica, così un’interpretazione pedissequa del lavoro di un artista sulla scorta degli eventi della sua vita, finisce per banalizzarne l’opera. Tuttavia non è pensabile che la personalità di un artista non segni anche la sua produzione, quasi ad immaginare una sorta di condizione schizofrenica. Detto questo non si può tacere che la vita di Mussorgski varrebbe un capitolo a se stante e lo pone ad anni luce di Ravel. Ritroviamo nell’originale pianistico molti tratti di novità, soprattutto nella ricerca di sonorità diverse da quelle salottiere. Non facciamo i pedanti comparando, passo passo, la versione pianistica con quella orchestrale, anche perché Ravel fece davvero uno splendido lavoro. Sviluppiamo invece una traccia di pensiero musicale “in bianco/nero”, affidandoci ad una delle tante splendide versioni pianistiche. È vero che esiste una “promenade” che, in “forma variata” collega le varie parti, ma chi ci ha detto che l’ordine di ascolto deve essere proprio quello ? chi ci ha ordinato di ascoltare tutto d’un fiato ? e così via. Vista l’ampia, anche se spicciola, letteratura esistente, prendo a confronto un solo quadro musicale, quello che mi sembra diversifichi sostanzialmente gli esiti di significato fra Autore e trascrittore: il vecchio castello. In Ravel l’elemento timbrico dei diversi strumenti che si “passano” la melodia contribuiscono a creare un’atmosfera malinconica, rafforzata dal piano/pianissimo degli archi in sottofondo, con suono morbido e legato. Nella versione pianista risalta con evidenza la quasi ossessiva figura ritmica ripetitiva di base, proprio per questo le figure melodiche acquistano sopra di essa ancor più il valore di un lento leggero canto. Un paesaggio sostanzialmente immobile, sempre identico a stesso, perso nella nebbia del tempo. Il brano pianistico tecnicamente è semplice, dal punto di vista interpretativo è micidialmente difficile. La differenza fra un quadro astratto ed uno di impronta impressionistica. Tutte le azioni che abbiamo suggerito nelle pagine precedenti possono essere qui applicate. Sarebbe però opportuno ricorrere all’immagine reale di un vecchio castello solo come soluzione ultima e di riserva, il piano C, altrimenti rischiamo di perdere molte opportunità. Panorami urbani ? stagioni ? condizioni psicologiche ? panorami interiori ? sogni ? ma accanto e prima di tutto questo esiste una struttura musicale di impressionante suggestione. La cellula ritmica (“ostinata”) che fa da supporto all’intero sviluppo è di per se stessa carica di possibilità e di connessioni in ogni direzione: poetico-letteraria, grafica, motoria con annesse variazioni e varianti. In pittura possono scattare le più svariate sinapsi: dalle nature morte di Giorgio Morandi, ai già citati Lucio Fontana e Robert Rauschenberg, alle atmosfere di Antoni Tàpies e Josef Albers. L’essenzialità della scrittura pianistica è qualità difficile, come quella della sintesi in prosa e poesia. Il “vechio castello”, concettualmente, è una sorta di haiku musicale, ma la sua durata (quasi cinque minuti), in assenza di giochi funambolici ritmico-melodici, rafforza la percezione di un tempo che non sembra passare mai. Più che in un bosco, potremmo trovarci nella steppa o nel deserto, sul far della sera. Una carovana che lenta si snoda su strade non segnate se non dalla memoria. Dopo aver elaborato queste note sono andato a rileggermi quanto avevo scritto in merito alle potenzialità ed opportunità didattiche di questa partitura (cfr. Italo Montiglio, Educazione al suono e alla musica, Firenze,1990). Il testo ora citato (anch’esso a disposizione su ISSUU) mi è sembrato reggere senza problemi il peso degli anni e le proposte che lì esponevo dettagliamente potrebbero rappresentare un’utilissima integrazione a questa paginetta. Mi scuso per questa autocitazione e per l’apparente immodestia. Ma pur trattandosi di una composizione particolarmente nota e gratificante da rappresentare (almeno apparentemente), un facile inizio per attività di ascolto, animazione, drammatizzazione, ecc. , troppo spesso è oggetto di un uso banalizzato. E non se lo merita affatto. Ecco dunque il motivo di questo particolare invito ad un approfondimento personale. 9


Sergej Prokofiev (1891-1953)

Sinfonia n. 3 (1928). Questa scelta è stata veramente difficile, per chi scrive. Infatti il compositore russo offre svariate importanti opportunità non solo ai musicisti ed ai musicofili, ma anche a livello di educazione musicale e non mi riferisco al pur stranoto “Pierino e il lupo”. Basta un semplice 10


elenco di queste incredibili opportunità didattiche e musicali: Sinfonia classica n. 1, Suite scita (nella doppia versione pianistica ed orchestrale), Il buffone (splendida la suite tratta dal balletto), Il luogotenente Kižé (mi riferisco in particolare alla suite sinfonia tratta dalla musica per il film omonimo), Romeo e Giulietta (l’intero balletto o le ben tre suite tratte da esso), l’impareggiabile Cenerentola (l’intero straordinario balletto), per non parlare di alcuni dei suoi concerti per pianoforte o violino ed orchestra, delle musiche per film, delle opere, della musica da camera. Un’autentica miniera che grida vendetta di fronte alla scelta monotona di pierinesca memoria, comunque partitura di gran pregio. Alla fine ho optato per la terza sinfonia, forse il vertice della musica sinfonica di Prokofiev ed anche perché si tratta di un singolare caso di auto-furto oppure chiamiamolo “prestito” o autocitazione. Infatti il musicista utilizza per questa sinfonia molti elementi di quello che in seguito sarà considerato il capolavoro operistico del Maestro russo: L’angelo di fuoco. Dico “in seguito”, perché alla fine fu eseguito integralmente solo dopo la scomparsa del compositore. Ritorniamo 1928, anno importante anche per molti altri compositori fra i quali ricorderò per brevità il Ravel del magico Bolero. Approfitterei anche per ricordare che la sinfonia fu dedicata a Vladimir Maiakovski, poeta e drammaturgo, dalla vita intellettuale ed artistica frenetica, convulsa, appassionatamente rivoluzionaria, molto meno allineata di quanto si creda. Mi pare dunque che ci siano i presupposti per partire da questa terza sinfonia in molte direzioni, musicali e non. La sua fisionomia di musica pura, cioè senza appigli narrativi o extra musicali, in realtà nasconde al suo interno la storia relativa ai materiali precedenti “prelevati” dallo stesso compositore, che ne determinano o, forse, rendono più comprensibili alcuni tratti della nuova composizione. Una storia drammatica di stregoneria, magia e fanatismi ambientata in un cupo Cinquecento. Le arditezze armoniche e timbriche ne sono uno specchio e si riflettono in una ritmica implacabile ed in tumultuosi agglomerati sonori, che deformano anche le pur sempre presenti melodie. Una tavolozza “espressionista” che però sfugge agli schemi convenzionali delle definizioni, in un alternarsi dei quattro movimenti secondo un arco narrativo, la cui chiave di volta è individuabile nel terzo tempo (Allegro agitato). Partiamo da un confronto brutale: il primo movimento di questo lavoro (“moderato” dal punto di vista della terminologia dell’agogica musicale) con il primo movimento della prima sinfonia dello stesso autore; la stessa differenza che passa fra un’invasione barbarica o un campo di battaglia ed un tranquillo grazioso salotto. Il secondo movimento della terza sinfonia (un “Andante”) si svolge invece in un clima (quasi) sereno, per creare quell’equilibrio teatrale necessario al quadro d’insieme; forse sarebbe meglio dire: l’espressione di “ricerca di una serenità”. Con l’“Allegro agitato” del terzo movimento siamo di nuovo rituffati in un clima sonoro stridente (ascoltate l’insistenza degli isterici glissandi, i martellati suoni della grancassa, lo stridore degli ottoni). Una pausa meditativa e poi riprende il pesante stridente martellamento sonoro. Col quarto ed ultimo movimento l’atmosfera, sostanzialmente, sembra cambiare registro, adagiandosi su toni “soltanto” più lenti e cupi per prendere sempre più vigore verso la conclusione, strepitosa, anche in senso letterale. Qualcuno potrebbe dire: impossibile proporre a scuola siffatta musica, creatrice di ansia o paure. Risposta: la paura non sta nella musica e nelle strutture compositive o sonore, ma nella interpretazione che noi diamo ad esse ed inoltre, in ogni caso, le paure si esorcizzano o s’impara a dominarle non fuggendole. La scuola un ‘isola felice in cui non si deve neppure alludere al male o all’asprezza del mondo e della vita ? Questo sì che sarebbe drammatico e falso. Lo strepito funesto delle guerre vere, della sopraffazione, dell’ingiustizia è molto più dissonante che questa composizione di Prokofiev. Sovrapponiamo ad essa Guernica di Picasso, o Il trionfo della morte di Brueghel o Il 3 maggio di Goya o Il volto della guerra di Dalì, ecc. di fronte ai quali la carica dei lancieri di Boccioni è uno zuccherino. L’input drammaturgico originario non sembra una guerra, in realtà è ben peggio: è la sopraffazione in nome dell’intolleranza, dell’ignoranza, del fanatismo; cos’è tutto ciò? una forma di pace? Ovviamente l’opera d’arte per sua natura è in grado di assorbire anche rovesciamenti interpretativi, per cui, con molto sarcasmo, potremmo metterci i clown, che sicuramente si troverebbero anch’essi smarriti, come l’allusiva parodia del funerale felliniano o di Entr’acte. Senza nulla togliere alla severa serietà delle tragedie. 11


Maurice Ravel (1875-1937)

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Ma Mère l'Oye ("Mamma Oca") composizione originale per pianoforte a quattro mani (1908 ?); versione orchestrale dello stesso Autore (1910/1912). Una versione orchestrale successiva destinata al balletto (1920). Pavane de la Belle au bois dormant ("Pavana della Bella addormentata nel bosco"); Petit poucet ("Pollicino"); Laideronnette, impératrice des pagodes ("Laideronnette, imperatrice delle pagode"); Les Entretiens de la Belle et la Bête ("Le conversazioni della Bella e la Bestia"); Le Jardin féerique ("Il giardino fatato"). Varie le fonti narrative, a partire da Charles Perrault. L’originale intento di affidare a mani infantili l’esecuzione impose uno stile di scrittura relativamente semplice o, meglio, semplificato. Una sintesi che è un pregio della partitura. Niente fronzoli. E’ incredibile la fitta rete di rapporti e di rimandi di ciascun pezzo con gli altri ed altro. Se proprio vogliamo un termine di paragone analogo prendiamo i già citati Pupazzetti di Casella oppure “Childrens Corner” di Claude Debussy, “Pierino e il lupo” di Sergej Prokofiev. Di altro segno (solo apparentemente “infantile”) “Petruška” di Stravinskij, “Cenerentola” di Prokofiev, “Lo Schiaccianoci” di Cjaikovskij. L’elemento fiabesco o favolistico non deve ingannare, rispetto ai veri destinatari o alla tipologia dei contenuti. D’altra parte la musica dei grandi musicisti spesso non ha (tralasciando le dediche) un destinatario ben definito. È sempre musica aperta alla fruizione. Così è anche per i pezzi di Ma Mère l'Oye. Se ci è difficile immaginare che il compositore non abbia consapevolezza di potenziali destinatari, tuttavia il meglio che ci resta è di fatto indipendente dalle committenze o da volontà esterne ed estranee. Nel Ravel di questa suite musicale , per orchestra, c’è un mondo fiabesco, ma talmente estenuato e raffinato, da sembrare mille miglia distante dalla versione pianistica. In quest’ultima infatti la scrittura è tersa, senza sovrastrutture ed orpelli, esemplarmente elegante ed efficace ad un tempo. Fra l’altro è molto più facile lavorarci “sopra”: cantabile in molti tratti, suonabile da tutti in altri, segmentabile, percorribile senza affanno, come i tempi che si addicono ad un racconto domestico, anche se di domestico non ha molto, a partire dalla “Pavana” di apertura, che ricollega la scrittura ad una plurisecolare storia musicale e ad ambienti di corte. Il materiale immaginifico ed immaginario consente ampia libertà inventiva a scrittori e a compositori. Perché a noi no ? ricca la simbologia dietro le vicende di Pollicino (la fame, la miseria, l’intelligenza, il piccolo che vince il grande); estremamente dosati, contenuti ed equilibrati i mezzi espressivi pianistici, ma assolutamente più che sufficienti. Gli sviluppi successivi della suite procedono fra atmosfere orientaleggianti, soffuse inquietudini, raffinate armonie fino alla rapida glissata accelerazione conclusiva. Di infantile non c’è molto. Per fortuna, perché ci resta un’opera in cui adulti, e non, possono trovare qualche cosa, anche se non è la stessa. Se vogliamo srotolare, poi, il gomitolo fiabesco dovremmo andare in direzione della storia delle relative illustrazioni. Nomi che ai più dicono quasi nulla, ma che rappresentano un itinerario affascinante: fra i molti italiani ricorderei (pensando alle illustrazioni, ad esempio, di Perrault) Vittorio Accornero (18961982) e Umberto Brunelleschi (1879-1949). Il cerchio così determinato chiuderebbe la serie della citazioni dirette letterarie, musicali ed iconografiche (comunque sempre utili ed interessanti). Risulterebbe più stimolante cercare e stabilire connessioni, aprendoci al senso generale musicale dei singoli brani., non disdegnando nessuna arte visiva (fotografia compresa). Lasciamoci guidare dalle aggettivazioni: misterioso, inquieto, sereno, vivace sfolgorante, raffinato. Di toni/sfondi fiabeschi in pittura se ne trovano molti, ma inseriti in contesti-soggetti diversissimi tra loro (dalle storie sacre o profane, a vedute paesaggistiche o urbane, a soggetti mitologici, ecc.). Se infine percorriamo alcune strade meno battute della storia dell’arte da metà Ottocento ad oggi, avremmo la sorpresa di provare minor imbarazzo di scelta di quanto si creda. Pensavo ad alcuni esempi di Odilon Redon (18401916), Arthur Dove (1880-1946), Morris Luois (1912-1962), Patrick Heron (1920-1999). Cito infine le parole dello stesso Ravel, che si reputava un buon artigiano . E ciò mi pare un motivo in più per essere anche noi “artigiani” con la sua musica. “Non ho mai sentito il bisogno di formulare, sia ad uso di altri che per me stesso, i principi della mia estetica. Se mi fosse richiesto di farlo, risponderei di essere propenso ad identificarmi con le semplici affermazioni fatte da Mozart, che si limitò a dire che non c'è nulla che la musica non possa fare o tentare o descrivere, purché continui ad affascinare e ad essere sempre musica. L'arte, non c'è dubbio, ha anche altri effetti ma l'artista, secondo la mia opinione, non deve avere altro scopo”. 13


Ottorino Respighi (1879-1936)

La boutique fantasque (1919). La scelta di Respighi non sembri motivata da personale irresistibile passione. E’ la storia di questa composizione (a parte le sue indiscutibili qualità musicali) che mi pare interessante ed utile da proporre ai fini didattici. Anzi devo confessare che nella mia gioventù Respighi era abissalmente distante dai miei gusti ed interessi. Ora un po’ meno. Ho cominciato in seguito a ricredermi, quando mi sono confrontato con “La boutique fantasque” per un lavoro teatrale nella scuola. Una composizione ibrida, perché si sviluppa da soggetti e temi musicali di Gioachino Rossini (1792-1868), “Peccati di vecchiaia” che il Maestro pesarese aveva composto nel quasi dorato autoesilio di Pussy in Francia. Respighi non rischiava nulla nell’utilizzare il materiale di un compositore pur molto famoso, perché tali lavori rappresentavano una sorta di lascito considerato minore rispetto alla grande produzione operistica rossiniana. Dunque abbiamo a che fare già con due compositori. Se poi esaminiamo il libretto su cui si basa la composizione e la coreografia, di cui era autore Léonide Massine, scopriremmo che l’idea non era neppure originale. In sintesi sembrerebbe un pasticcio. Eppure ha funzionato ed anche molto bene, perché gli autori ultimi di quello che sembrerebbe un “minestrone storico” possedevano talento in quantità 14


sovrabbondante, tant’è che il lavoro viene eseguito ancor oggi non soltanto come balletto, ma anche come programma solo strumentale. Sintetizziamo la trama in poche parole, vista la farraginosità del racconto integrale. In un negozio di giocattoli bambole e pupazzi (automi) ballano in modo così straordinario che una coppia di essi (copia innamorata, s’intende) è venduta separatamente a clienti diversi. Bambole e pupazzi si ribellano, facendo sì che i due si salvino. La storia è occasione per esibizioni di molte danze a tutto campo. Il turgore orchestrale, che ascoltiamo nelle Fontane di Roma, qui è molto più contenuto, quasi che il fantasma di Rossini aleggi sopra Respighi, costringendolo ad un maggior equilibrio orchestrale. D’altra parte le tracce musicali rossiniane finiscono per mimetizzarsi nel nuovo tessuto orchestrale. In conclusione si potrebbe dire che nessuno dei due Autori resti tale e forse per questo il gioco musicale ha un sapore-suono del tutto nuovo. Nel balletto compaiono anche figure animate di re e regine di un mazzo di carte, cosacchi, danzatori di can-can, mazurka, tarantella. Mi sono lasciato in fondo, non a caso, un’ultima informazione: scene (ed in parte i costumi) erano di André Derain (artista che varrebbe la pena riscoprire). Il fondale (intravvisto da ampie vetrate) è un paesaggio con al centro un lago sul quale naviga un battello bianco e nero, un panorama che si vede dal negozio rosso/arancio. Coloratissimi i costumi. Possiamo ricordare anche la passione sfrenata del pittore per il genere operistico, fra l’altro anche suonatore dilettante eclettico. Una storia nella storia. Ciò premesso, che ce ne facciamo a scuola di tutto questo ? Ci sono percorsi normali che vanno dall’ascolto alla visione; altri meno scontati che ripropongono questo balletto in forma di animazione teatrale (un raccontar per gesti ed azioni) con la colonna sonora respighiana come guida. Operazione quest’ultima tutt’altro che impossibile, anzi molto efficace perché apre la mente sulle varie operazioni necessarie per realizzare un’azione scenica (scenari, costumi, ecc.), costringendo ad inventiva per adattare ciò che si possiede alle nuove esigenze, per recuperare materiali dismessi, ecc. Non dimentichiamo l’ingrediente di base: i giocattoli che prendono vita, l’apparenza inganna. I “furti musicali con manipolazione”, si direbbe furti musicali di destrezza. Nella scuola essi sono ancora possibili senza incorrere nei rigori della legge dei diritti d’Autore, anzi direi furti auspicabili, anche se talora difficili da compiere. Però molti elementi della storia possono essere modificati ? quali ? fino a che punto è possibile questa elaborazione ? Respighi non solo ha utilizzato spunti non propri, ma ha assegnato ad essi significati completamente diversi. Decontestualizzazione artistica, delocalizzazione storica. Il risultato è per questo meno artistico ? Certamente che il mestiere non s’inventa, ma la storia, del tipo “piccoli artisti crescono”, presuppone momenti e punti di partenza. Tutto è un punto di partenza. Basta scomporre una struttura complessa nei suoi elementi costituivi più semplici, come ha fatto Respighi. Questo modus operandi è tutt’altro che nuovo; basti leggere ad esempio il “Discorso sul metodo” di Cartesio. Lo spartito orchestrale è un oggetto misterioso, ma anch’esso alla fine può essere smontato. In ogni caso ci sono le trascrizioni pianistiche, più accessibili (anche nei costi). Pensiamo ad esempio all’introduzione (ouverture) in cui i timpani scandiscono il tempo binario o al primo movimento che incontriamo subito dopo (allegretto) con la grande cantabilità dello spunto ritmico-melodico iniziale. In ogni caso, lo ripeto ossessivamente, c’è sempre la risorsa del proprio corpo che con il movimento ci consente di comprendere prima quello che si può studiare dopo come “grammatica musicale”. Quanti passaggi musicali si possono seguire anche scandendone il ritmo con le mani o con la voce: zum pa pa, zum pa pa ,... cosa che facciamo (magari quando siamo soli) sicuramente senza vergognarci. Non abbiamo così dimenticato la dimensione visiva di questa musica, che non sta nei fondali o nelle scene o nei costumi, ma nell’organizzazione dei movimenti che su di essa possiamo costruire. Se poi desideriamo espandere la ricerca sulla dimensione visiva vera e propria, non mancano gli agganci del fantasioso contesto spazio-temporale, quello del Settecento, secolo degli automi per eccellenza. In questo senso, ma molto più vicina a noi (suggerisco un approfondimento), una variante moderna a questo soggetto è il “videogioco” (anche versione filmato) “Syberia – Il viaggio di Kate Walker” (2002), una vera e propria avventura grafica, di nome e di fatto.

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ZIBALDONE DIDATTICO APERTO ED AVVIATO, IN FORMA DI SUITE altre idee ≠ idee altre 1. Invertire le parole o le frasi non lascia mai indifferente il significato, anzi, per la precisione, lo modifica, e non poco. Diciamo che non funziona la regola della somma e della moltiplicazione, secondo cui invertendo i fattori il risultato non cambia. In musica cosa potrebbe accadere ? modifichiamo in una suite musicale (meglio se abbastanza breve) l’ordine dei pezzi o casualmente o radicalmente invertendone la successione (l’ultimo diventa primo e così via). Potremmo procedere analogamente con una composizione di maggior durata (ad esempio una sinfonia) . Quali i risultati estetici, logici, percettivi, psicologici ? Cosa succederebbe se un’opera lirica iniziasse con la sua fine e si proseguisse rovesciandone lo sviluppo ? In letteratura è già avvenuto ? e nei film ? Provate a guardare o riguardare il film “Lo strano caso di Benjamin Button”, la cui sceneggiatura, fra l’altro, è nata da un romanzo. 2. La tecnologia contemporanea consente la colorazione praticamente perfetta di foto storiche in b/n. Naturalmente questa operazione (nei casi migliori) è preceduta da approfonditi studi documentaristici. Fino a che punto la nuova versione ha modificato il significato dell’oggetto originario ? E’ possibile accostare, per lata analogia, a questa procedura fotografica la prassi della trascrizione per orchestra di partiture scritte originariamente per pianoforte ? cosa “si perde” ? cosa “si guadagna” ? Cosa si scopre ?

3. Quante volte ci siamo imbattuti in accostamenti architettonici incredibili, nei quali improvvidi architetti avevano accostato ad un edificio antico uno che ne ripeteva lo stile col risultato di “autentico falso” ? Era forse il caso, come già succede, che sia accostato (se necessario) un edificio di concezione del tutto nuova ? In musica le commistioni musicali sono abbastanza frequenti ? altre possiamo noi stessi crearne ? Quali sarebbero o sono i risultati ? 4. Emilio Isgrò è autore famoso di quadri in cui per gran parte, sapientemente, le parole di un testo sono cancellate, ricoprendole con pennellate di colore, come l’autore ci fosse passato sopra con un pennarello. Testo “cancellato o corretto “ ? In musica è possibile un progetto analogo ? quali i risultati ? quante opzioni fonico-sonore abbiamo a disposizione dal punto di vista quantitativo e qualitativo ? sovrapposizione ? cancellazione con il silenzio ? quante e quali parti da “cancellare" ? Con quali criteri ? 5. Altro mondo altra musica. Facile a dirsi, un po’ più difficile a realizzarlo o verificarlo, visto che noi viviamo qui ed ora e la nostra conoscenza di altri mondi è ancora in fase neonatale. Però un assaggio fantastico e fantascientifico ce l’ha proposto Stanley Kubrick nel film “2001 Odissea nello spazio”. Guardiamo le sequenze del viaggio nel tunnel spaziotemporale. Com’è che la musica della colonna sonora di questo spezzone non provoca generalmente alcun fastidio negli spettatori (anzi), mentre, se ascoltata a se stante, l’incomprensione è la più benevola fra le reazioni ? E’ una domanda retorica, ma se la risposta quasi ovvia fosse applicata all’approccio con la musica contemporanea di avanguardia, avremmo risultati più incoraggianti. 6. Diamo un’occhiata più attenta del solito a storici (famosi o meno) quadri e dipinti, soprattutto di soggetto sacro e religioso. Dovremmo notare subito che i personaggi antichi sono tutti raffigurati in abbigliamento coevo all’Autore, così come i contesti paesaggistici ed urbani. Un errore ? le ragioni sono molteplici e qui non è il caso di analizzarle. La cosa si 16


ripete similmente in altri ambiti, ad esempio quello operistico. Dovremmo storcere il naso in nome della filologia e della verità storica ? Ai nostri giorni in molti casi sono state sonoramente fischiate operazioni teatrali di trasposizione temporale dei fatti narrati (con implicazioni su scenografie e costumi). Atteggiamento un tantino ipocrita ? fanatismo purista ? rispetto assoluto dell’opera d’arte ? Suggerirei che, pur con diversa consapevolezza storica, nella didattica della musica (ma anche nella musica tout court) operazioni analoghe possano trovare accoglienza. Certi valori universali insiti soprattutto nei capolavori vanno di là del perimetro temporale e spaziale entro cui sono nati e sono stati collocati. Il problema semmai sta nelle capacità di chi compie queste operazioni, poiché l’ignoranza e l’incompetenza unite all’assenza di talento trasformano una tragedia in burlesque, senza aver aggiunto niente di nuovo neppure a quest’ultimo genere di spettacolo. In caso contrario il risultato sarebbe una tragedia nella tragedia. 7. Natura morta. Nature morte. Bodegòn (Naturaleza muerta). Stillleben. Still Life. L’espressione linguistica delle diverse aree geografiche e culturali segna un confine simbolico e semantico di non poco rilievo. Infatti la brutalità dell’immagine della morte non lascia scampo, mentre una “vita silenziosa” ci riporta ad un silenzio vitale, capace di trasmettere emozioni di parole inespresse. Il silenzio del quadro fa echeggiare nell’aria un suono metafisico, un poter essere che diventa forma di vita grazie alla magia del pittore e grazie a noi che dopo secoli possiamo possiamo sentirlo ancora vivo e presente.

Note in margine alla pubblicazione Nel 2014, elaborando i testi per un mio contributo a “Metodi e strumenti per l’insegnamento e l’apprendimento della musica” a cura di Franz Comploi e Antonella Coppi (Edises), mi accorsi di aver largamento superato la lunghezza prevista dall’editore, per cui mi ritrovai a selezionare ciò che doveva essere eliminato e ciò che doveva essere pubblicato. Con non poche difficoltà effettuai l’operazione. Tuttavia quello che rimase fuori non mi sembrava qualitativamente inferiore ai testi destinati alla pubblicazione e pertanto lo lasciai nel mio archivio digitale. Ora, approfittando di alcune opportunità di pubblicazione su siti online, senza scopo di lucro, lo metto a pubblica disposizione. Comunque il risultato è, quanto a materiali, del tutto nuovo e diverso rispetto alla citata pubblicazione e comprende alcuni elementi di novità, considerando il fatto della sua autonomia. Lo pubblico sotto l’etichetta del CeRiDo, Centro Ricerca Documentazione per la promozione dell’arte, proprio perchè esprime le intenzioni e le finalità del Centro. D’altra parte proprio il CeRiDo si è spesso fatto promotore di iniziative che coniugavano varie arti e scienze dalle mostre di pittura, fotografia e scultura ai concerti all’enogastronomia(ad esempio con i concorsi musicalenogastronomici Artusi).Restava poi la scelta del titolo da assegnare a questo scritto. Mi sarebbe piaciuto “musicaperta” (ma risultava troppo usato), così come “le stazioni della musica” o “i porti della musica”. Alla fine ho adottato un compromesso fra il titolo generale (di tipo accademico) “sintassi musicale” accanto ad un sottotitolo più stimolant, cioè quelle delle preposizioni linguistiche, cheriflettono bene il senso di quanto andavo scrivendo: lo sforzo di recuperare alla coscienza e all’uso le funzioni elementari ma nascoste del linguaggio musicale per riattivare nuovio comunque personali percorsi interpretativi e semantici.

© Edizioni CeRiDo 2016 17


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