Tracce d eternita N. 5

Page 1

Tracce d’eternità Rivista elettronica di Storia Antica, Archeologia, Mitologia, Esoterismo ed Ufologia Riservata agli utenti del portale Tracce d’eternità Numero 5 (Novembre 2009)

BAALBEK, EREDITA’ MEGALITICA DI UN POPOLO SENZA NOME di Massimo Bonasorte

INTERVISTA A LLOYD PYE di Gianluca Rampini

Copyright © 2004–2009 the Brooklyn Museum www.brooklynmuseum.org

LE FIRME DI QUESTO NUMERO Paul Stonehill Philip Mantle Malcolm Robinson Agustìn Valverde Massimo Bonasorte Roberto La Paglia Enrico Baccarini Michele Proclamato Monica Caron Ines Curzio Noemi Stefani Antonella Beccaria Isabella Dalla Vecchia David Lombardi Gianluca Schirru Davide Amore Gianluca Rampini Simone Barcelli Simonetta Santandrea Alateus

IL PILOTA COSMONAUTA PAVEL POPOVICH E GLI UFO

IL POPOLO CELESTE di Michele Proclamato

di Paul Stonehill e Philip Mantle

Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori.

RAPA NUI, IL MISTERO CONTINUA di Simone Barcelli

IL MANOSCRITTO VOYNICH: UN LIBRO MISTERIOSO O UNA “BEFFA IMPERIALE”? di Simonetta Santandrea


Note a margine

pag.2

A mente aperta Gianluca Rampini

Gianluca Rampini ha 35 anni ed è un ricercatore indipendente che si occupa, in special modo, di ufologia e abductions. In rete collabora con Ufomachine, Ufoonline, Paleoseti e altri siti tematici.

Per quanto io sia decisamente refrattario alle consuetudini, come spiegherò in seguito, non posso e non voglio esimermi dal ringraziare Simone per avermi affidato la redazione di Note a Margine ma sopratutto per avermi sin dall'inizio coinvolto in questo magnifico progetto che è Tracce d'eternità. Quando mi contattò per questo motivo non poteva certo sapere quanto l'idea di una rivista digitale che trattasse di questi argomenti fosse in sintonia con le mie corde più profonde e primordiali. Non è un'affermazione esagerata né di circostanza perché già agli albori delle diffusione della rete, interessandomi già allora di queste questioni, mi dilettavo nella creazione di un piccola rivista, elettronica, che allora chiamai “Dreamland”. Pur non essendo un sogno in quanto tale essa è finita in un cassetto e ne conservo le prove di stampa come una reliquia, in onore di questa ho voluto gettare un ponte sul fiume del tempo collegando quei momenti con l'oggi chiamando la mia rubrica in

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Tracce proprio “Dreamland”. Come ho accennato all'inizio sono refrattario alle consuetudini, mi è indigesto qualsiasi tentativo di predeterminare il fluire della conoscenza lungo le generazioni e questa mia indisposizione si rispecchia orgogliosamente nell'indipendenza che questa rivista ha saputo mantenere e intende mantenere per il futuro, anche se questo può rappresentare un problema in un contesto di studi come il nostro in cui la “tradizione” riveste un ruolo così importante. E' da molto tempo che si confondono le tradizioni con il contenuto delle tradizioni stesse, è da molto tempo che si difende il diritto di tradurre, di portare avanti, le antiche conoscenze piuttosto che le conoscenze stesse. Quindi si può azzardare a dire che la tradizione è in questo senso di ostacolo alla diffusione della conoscenza. Il tramandare è divenuto un affare esclusivo e la sua continuità non ne garantisce da sola la correttezza. Non esiste un modo migliore di un altro per accedere alla


conoscenza, esiste solamente la volontà di farlo. Per godere della bellezza di un quadro non serve essere pittori, per gioire delle parole di una poesia non serve essere poeti, per ambire alla comprensione del mondo in cui viviamo non serve essere iniziati. Quando l'arte, la politica, la religione o l'informazione divengono troppo complesse da essere comprese non è per la mancanza degli strumenti corretti che abbiamo a disposizione ma per l'ottusa involuzione in cui esse si sono contratte, non serve quindi cercare nuovi strumenti ma aver più pazienza ed una mente più aperta. Una mente aperta, ma pronta a scavalcare i limiti del comune, è ciò che serve nell'affrontare tutti gli argomenti che trattiamo. In questo numero, forse più che in altri, noterete come il nostro sguardo si è rivolto al passato. Ad un passato che nasconde ed alle volte restituisce segreti inaspettati. Un passato che è completamente diverso da quello che ci è stato insegnato e forse diverso da quello che riusciamo a mala pena ad immaginare. Vi sono tracce macroscopiche di questa distonia, come il tempio Megalitico di Baalbek o le misteriose vestigia dell'Isola di Pasqua, indizi celati nelle foreste sudamericane, a Saqqara o nel DNA dei resti non umani dello Starchild. Ma quanto la nostra storia e la nostra realtà sia complessa lo si può percepire

analizzando ogni epoca ed ogni epoca ha le proprie manifestazioni. Il meraviglioso “Zodiaco di Dendera” e i codici che gli egizi celavano nelle loro opere, l'enigmatico “Manoscritto Vojnich”, in bilico tra l'alchimia e la sofisticazione, il genio di Edgar Allan Poe, le tombe megalitiche della nostra Sardegna ed i manoscritti di Qumran. In vari momenti del nostro passato inoltre la nostra esperienza si è incrociata con quella di altre popolazioni, li abbiamo chiamati “Popolo delle Stelle”, altri li chiamano alieni, alcuni li vedono negli Ufo. Fuori dal tempo è invece la nostra ricerca della giuste chiave per interpretare il creato, sia esso scolpito nei codici alchemici di Rennes le Chateau o nell'immortalità dell'anima, nell'anello mancante o nella perfezione non casuale del DNA. Tutto questo ed altro ancora, come direbbe un'annunciatrice d'altri tempi, è ciò di cui trattiamo in questo numero, il quinto numero, perché in effetti il tempo è volato e siamo di già al quinto numero. Molto se lo consideriamo dall'inizio, solamente il primo passo se lo guardiamo con le aspettative per il futuro. La nostra speranza è che tutto questo mantenga il massimo rapporto tra fruibilità e qualità dei contenuti, in un contesto di continuo rinnovamento ed apertura TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

verso chi legge, chi scrive o chi vuol provare a farlo. Vi lascio alla lettura facendo un unico riferimento all'attualità. Se le voci che si rincorrono in internet fossero vere quando ci ritroveremo nel prossimo numero Obama avrà rivelato di essere a conoscenza della presenza di extraterrestri sul nostro pianeta... e gli asini voleranno. gianluca.rampini@fastwebnet.it

ANTEPRIMA

E’ fresco di stampa “Tracce d’eternità” Un incredibile viaggio ai confini della Storia, tra le rovine di alcuni dei più misteriosi siti archeologici (169 pagine, ISBN 9788887295665, prezzo Euro: 14,80 Ed. Il Cerchio della Luna www.cerchiodellaluna.it), volume d’esordio di Simone Barcelli, webmaster del portale. E’ disponibile nelle librerie specializzate, in quelle on line o direttamente presso l’Editore.


Contenuti NOTE A MARGINE Gianluca Rampini A mente aperta pag.2 CARTA STRACCIA Simone Barcelli La ricerca indipendente… pag.6 FRESCHI DI PORTALE Gianluca Rampini Simonetta Santandrea Simone Barcelli pag.9 LE INTERVISTE DI GIANLUCA RAMPINI Gianluca Rampini Lloyd Pye pag.11 ARCHEOLOGIA DI CONFINE Massimo Bonasorte Baalbek, eredità megalitica di un popolo senza nome pag.19 Simone Barcelli e Agustìn Valverde Rapa Nui, il mistero continua pag.24 Simone Barcelli Intervista a Yuri Leveratto pag.29 EGITTOLOGIA Enrico Baccarini Da Atlantide a Saqqara pag.32

UFOLOGIA

LIFE AFTER LIFE

Roberto La Paglia Ufo: una possibile realtà pag.37

Noemi Stefani Una vita dopo l’altra pag.75

Paul Stonehill e Philip Mantle Il pilota cosmonauta Pavel Popovich e gli ufo pag.47

CONFESSO, HO VIAGGIATO

DOCUMENTI

ALTRE VERITA’

Monica Caron I Codici di Nut e lo Zodiaco di Denderah pag.40

Alateus I Manoscritti di Qumran e il Papiro Magdalen pag.80

Davide S. Amore Il ruolo dei Sabei nel KalÂm islamico pag.104

ESOTERICA

URBIS HISTORIA Simonetta Santandrea Il manoscritto Voynich: un libro misterioso o una “beffa imperiale”? pag.56 LIBRARSI Simonetta Santandrea Il libro “muto” pag.61 LO SPAZIO DELL’OTTAVA Michele Proclamato Il Popolo Celeste pag.64 XAARAN Antonella Beccarla Poe, Marie Roget e Mary Cecilia Rogers: i misteriosi confini tra finzione letteraria e realtà

pag.73

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Noemi Stefani Cartagine pag.77

David Lombardi RENNES LE CHATEAU E LA PORTA ALCHEMICA Tra Santo Graal e Pietra Filosofale pag.83 GLI ANELLI MANCANTI Ines Curzio Le abilità telepatiche del DNA pag.85 DREAMLAND Malcolm Robinson Le fotografie dimenticate dell’Ufo in Scozia pag.87 COLLABORAZIONI OOPART.it Gianluca Schirru Ardi, l’anello mancante tra uomo e scimpanzé pag.95 Luoghi Misteriosi Isabella Dalla Vecchia Le Tombe dei Giganti in Sardegna pag.98


Tracce d’eternità Rivista elettronica di Storia Antica, Archeologia, Mitologia, Esoterismo ed Ufologia Riservata agli utenti del portale Tracce d’eternità Numero 5 (Novembre 2009)

Portale simonebarcelli.org

REDAZIONE Simonetta Santandrea simonettasantandrea@libero.it Gianluca Rampini gianluca.rampini@fastwebnet.it Simone Barcelli simonebarcelli@libero.it Traduzioni Sabrina Pasqualetto sabryj72@hotmail.it Anna Florio anna_florio@yahoo.co.uk Antonio Nicolosi antonio.nicolosi@yahoo.it COLLABORATORI ED AUTORI Dall’estero Christopher Dunn cdunn1546@aol.com Michael Seabrook sharkstooth@blueyonder.co.uk Marisol Roldàn Sànchez mroldan@aluzinformacion.com José Antonio Roldàn jaroldan@aluzinformacion.com Yuri Leveratto info@yurileveratto.com Agustìn Valverde aguw@hotmail.com Philip Mantle philip@mantle8353.fsworld.co.uk Paul Stonehill rurcla@hotmail.com Malcolm Robinson malckyspi@yahoo.com Dall’Italia Antonella Beccaria abeccaria@gmail.com Simone Barcelli simonebarcelli@libero.it Teodoro Di Stasi teodorodistasi@gmail.com eSQueL sprants@libero.it Enrico Baccarini e.baccarini@gmail.com Gianluca Rampini gianluca.rampini@fastwebnet.it Simonetta Santandrea simonettasantandrea@libero.it Sergio Coppola sergius65@libero.it Antonio Crasto antoniocrasto@libero.it

Maurizio Giudice mauriziogiudice@edizioniphi.com Stefano Panizza s.panizza@libero.it Giovanna Triolo http://blog.libero.it/Angoloprivato Noemi Stefani rorgeno@libero.it Ines Curzio inescurzio@yahoo.it David Sabiu sabiudavid@libero.it Massimo Pietroselli pietroselli@libero.it Alessio Margutta urgiddi.wordpress.com Roberto La Paglia sargatanas@tin.it Isabella Dalla Vecchia www.luoghimisteriosi.it Alessia Maineri aleskiara@libero.it Michele Proclamato proclamato1@interfree.it Alateus alateus@tin.it Monica Caron monica.caron@yahoo.it David Lombardi davidlombardi82@gmail.com Massimo Bonasorte massimo.bonasorte@acaciaedizioni.com

Davide Amore suley@vodafone.it Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi e immagini è necessario contattare i rispettivi autori. This electronic magazine, in pdf format, is not a newspaper, it has no periodicity. It can not be considered an editorial, under Law No. 62/2001. Is provided in a free download only for registered users of the portal and a copy is sent to the authors and collaborators. For the possible use of texts and images please contact the respective authors.

I primi 4 numeri di “Tracce d'eternità” sono ancora disponibili, in download gratuito, sul portale simonebarcelli.org

e-book David Sabiu TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Carta straccia

pag.6

La ricerca indipendente… Simone Barcelli

Simone Barcelli ha 45 anni ed è un ricercatore indipendente di Storia Antica, Mitologia e Archeologia di confine. In rete collabora con Storia in Network, Tuttostoria, Edicolaweb, Acam, Esonet, OOPArt.it, Paleoseti e ArcheoMedia, sui cui portali sono pubblicati i suoi studi tematici.

Sempre più spesso, soprattutto in rete, ci si imbatte in coloro che si definiscono “ricercatori indipendenti” (io, ad esempio, sono uno di questi). La definizione, di per sé ambigua, immagino possa significare solamente che questa ricerca è “indipendente” per una serie di motivi: si è privi di titoli accademici e si è quindi esclusi, ragionevolmente, da quell’élite; si vuole sottolineare con forza che quel che si dice e si scrive esce dai canoni comuni e, non ultimo, che si è svincolati da ogni tipo di pressione proveniente dall’esterno, insomma ci sentiamo tutti liberi pensatori. Or dunque, mentre sto ragionando su quale debba essere la dizione giusta per me poiché questa comincia a starmi stretta (potrei propormi come “sognatore con i piedi per terra”), andrò a disquisire sulla problematica perché è tempo che qualcuno lo faccia. Premesso che la ricerca di cui si parla è quella rivolta, genericamente e non potrebbe essere altrimenti, ai misteri dell’uomo e che il pubblico a cui ci si rivolge TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

può essere, assurdo ma vero, molto vasto ma anche di nicchia, a seconda del mezzo di comunicazione utilizzato, c’è innanzitutto un esame di coscienza a cui noi ricercatori dobbiamo necessariamente sottostare: al di là della passione che ci muove (che non si può davvero mettere in discussione) occorre comprendere che cosa ci anima e qual è lo scopo che ci prefiggiamo. Lasciando da parte i nobili sentimenti, perché oggi risultano, purtroppo, merce rara (e forse la ricerca andrebbe indirizzata in questo senso…), ritengo che, agli occhi di chi ci osserva e che legge quel che scriviamo, non ne veniamo fuori molto bene.

Il libro nel cassetto Ognuno di noi ha un libro nel cassetto e ritiene che sia un’opera d’arte a cui il mondo


non può assolutamente rinunciare. Quel che scriviamo ci appare bello e sensato, in un dialogo interiore a senso unico che volutamente instauriamo con noi stessi. Peccato che, alla prova dei fatti, quando cioè chiediamo il parere a chi ne sa più di noi di queste cose (intendo le Case Editrici) il responso è catastrofico e ci accorgiamo che, in fondo a malincuore, qualcosa di sbagliato ci dev’essere se il nostro manoscritto non è esattamente il capolavoro che pensavamo. Ecco, allora, che si insinua in maniera naturale quello che potremmo definire “senso del complotto”, che ci fa dire che siamo geni incompresi e che tutti ci stanno mettendo i bastoni tra le ruote. Il passo successivo è la lotta contro il sistema per cercare di scardinarlo. Ma questo sistema che da una parte ci rifiuta, dall’altra ci viene comunque incontro (perché ci conosce bene) con una soluzione semplice ed originale: la pubblicazione a pagamento del nostro prezioso manoscritto, pratica ormai assai in voga da parte di quelle case editrici (le minuscolo sono dovute) che, riconoscendo i nostri alti meriti, chiedono solamente un piccolo contributo per dare alle stampe le nostre idee. Poi, non ha una grande importanza se siamo obbligati ad acquistare l’80% di copie del nostro libro e dobbiamo sbatterci a più non posso per cercare di vendere il rimanente. Qualcuno si rivolge addirittura alla tipografia sotto casa e fa tutto da sé. Beninteso, non ci sarebbe

niente di male in questa pratica se l’obiettivo fosse quello di far girare (regalandolo) il nostro libro ad amici e parenti invece che avere la presunzione di vendere un prodotto, probabilmente scadente, per ricavarne denaro. Ma sappiamo che la rete è ormai una seconda mamma per noi ed ecco che ci trasformiamo editori di noi stessi, pubblicizziamo il nostro lavoro sul blog e sul sito personale, per poi passare ai network. Siccome sono a conoscenza che molti di voi hanno seguito questo tragico percorso (non faccio nomi, non è elegante), vi dico a brutto muso che, se è questa la ragione che muove la vostra “ricerca indipendente” e se intendete portarla avanti, in questo modo, anche nei prossimi anni, non abbiamo assolutamente bisogno di voi. Quel poco di buono che ci può essere nelle vostre idee si perde miseramente in questo marasma. E il giudizio dei posteri sarà severo nei vostri confronti, è fuori dubbio. Quindi, se quel libro è ancora nel cassetto, lasciatecelo marcire e dedicatevi alla Ricerca (stavolta con la maiuscola).

Copia e incolla E’ invalsa anche un’altra triste abitudine, dettata dai tempi in cui viviamo e in parte direttamente ispirata dall’avvento dei word processor. Mi riferisco al cosiddetto “Copia e incolla”: un pezzo di qua, un pezzo di là, qualche sensata parola per cercare di “legare” il testo (è l’unica fatica a cui vi sottoponete, oramai) e il gioco è fatto. Grazie alle parole e alle idee altrui, che impunemente fate vostre, vi dedicate alla “ricerca” (ora con la minuscola), magari nella speranza che qualcuno, sempre tramite web, si accorga finalmente di voi, proponendovi, se non la stesura di altri articoli del genere, magari anche la pubblicazione del libro nel cassetto (forse anche quello scritto alla stessa maniera). Molti di voi, ricercatori indipendenti dei miei stivali, siete caduti in questa trappola, senza neanche rendervi conto. Anche per voi non c’è spazio: certo qualcuno, prima o poi, si accorgerà della vostra “ricerca”, di quel che state facendo ma non vorrei essere nei vostri panni quando verrete finalmente smascherati. Anche qui non faccio nomi ma a chi sa di aver fatto quel che ha fatto dico solamente: Vergogna! Come smascherarli

www.tuttovolume.net

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

A questo punto qualcuno di voi si chiederà come riconoscere questi lestofanti ed evitarli. Ebbene, qualche suggerimento c’è.


Diffidare di tutti, per principio, è un buon sistema. Poi, sarà sufficiente fare una semplice ricerca, oggi facilitata con qualsiasi motore di ricerca, per comprendere con chi abbiamo a che fare. E’ un bel passatempo, un po’ da investigatori, ma vi assicuro che quando arriverete al dunque, smascherando l’asserito ricercatore, avrete di che essere soddisfatti e, soprattutto, non cadrete nell’inganno che vi ha teso. Eviterete di buttare il vostro denaro e non perderete tempo a leggere le nefandezze che vi propina. Questi personaggi, ormai in rete ce ne sono tanti, passano il proprio tempo (ma non lavorano?) a farsi propaganda. Se prima un blog o un sito era la maniera più semplice per comunicare il nulla, ora l’ultima trovata è quella di creare gruppi a tema su Facebook. Non tarderete ad accorgervi della loro arroganza e di come sia facile che si scompongano, dall’iniziale tolleranza di cui andavano fieri, appena fate presente che non la pensate proprio come loro. Passare agli insulti, per questa infida gente, sarà poi molto semplice. Non cadete nella trappola e non scendete a quel livello: non si può discutere con lor signori quindi l’arma da utilizzare sarà evitarli, nella speranza che si accorgano, prima o poi, che non contano nulla. Questo suggerimento è rivolto in special modo a chi non è abbastanza esperto in materia ma anche agli altri: non perdete il vostro prezioso

tempo con questi loschi figuri, non ne vale la pena. Passate oltre perché il vostro disinteresse sarà la loro condanna perenne, quello che in fondo si meritano. Partire dall’umiltà Qualcuno di voi, spero, si chiederà ora come dovrebbe comportarsi un ricercatore indipendente per essere considerato serio in questo ambiente. L’umiltà è sicuramente la dote che deve emergere, prima delle altre: occorre, in buona sostanza, avere il coraggio di mettersi in gioco ma anche di fare marcia indietro, ammettere i propri errori, aprirsi al dialogo, accettare le critiche, percorrere strade diverse se la ricerca lo richiede. Ed essere cauti, anche nell’esporre teorie ed ipotesi. Perché se le “prove” non ci sono bisogna parlare di “indizi” e regolarsi di conseguenza. Se non si procede in questa maniera, chi legge verrà inevitabilmente condotto fuori strada. La certezza è degli stolti e in quell’ambito va ristretta: al lettore non vanno quindi propinate falsità, inesattezze, aggiustamenti risibili perché non se lo merita assolutamente. La pacatezza nella disanima degli argomenti andrà a pari passo con una preparazione multidisciplinare che, seppur nata fuori dall’ambiente accademico, deve trasparire in maniera forte e in qualsiasi momento. Poter disquisire su una tematica significa avere un bagaglio culturale notevole, decenni di studio, migliaia di

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

letture (comprese quelle “ortodosse”). Non è da tutti ma un buon ricercatore deve avere questo obiettivo da perseguire, ben sapendo che non lo raggiungerà mai. Infine, se si ha la pretesa di divulgare, occorre anche conoscere la lingua italiana e la sua grammatica e, credetemi, non è così semplice come potrebbe apparire. L’invito da rivolgere a tutti i ricercatori indipendenti, in conclusione, è quello di fermarsi solo un attimo per fare mente locale, guardarsi in maniera introspettiva e chiedersi, con franchezza, se vale la pena continuare su questo percorso così accidentato e analizzare quali danni il proprio operato rischia di arrecare all’ambiente, già di per sé oltremodo diviso in fazioni e da sempre tacciato di pressapochismo. Se siamo consapevoli di questo, coerenti con lo spirito che ci anima (che possibilmente dovrebbe essere sganciato da motivazioni esclusivamente economiche), potremmo anche nutrire la speranza che, in un prossimo futuro, si possa costruire qualcosa di utile per le generazioni che verranno. Ma se abbiamo anche solamente un dubbio che attenaglia la nostra mente, se le nostre azioni, cioè, sembrano animate da scopi che esulano e si discostano in maniera palese da questi sani principi, allora è meglio tirarsi indietro. Ne va della buona reputazione di tutti gli altri. simonebarcelli@libero.it


Freschi di portale

Gianluca Rampini La notte brasiliana degli Ufo

Copertina della rivista brasiliana diretta da Gevaerd

Tra i file secretati da parte del Governo Brasiliano e rilasciati di recente , concernente la casistica degli anni 80, vi è anche quello dedicato ad uno dei più clamorosi episodi ufologici brasiliani. La notte del 19 maggio 1986 21 oggetti sferici del diametro di circa 100 metri ciascuno sorvolarono i cieli del Brasile mandando in tilt i più grandi aereoporti della nazione. Questo rilascio di documenti sugli Ufo è l’ultimo di una serie che ha coperto i decenni dai cinquanta agli anni settanta. Molte altre nazioni stanno seguendo questo trend che però in molti casi appare più simile ad uno specchietto per le allodole che ad una reale apertura nei confronti del fenomeno. E’ già stato smascherato ad esempio che i documenti prodotti dal governo russo sugli Uso (Unidentified

submerged object) fossero falsi e fuorvianti, come rivelato a Lavinia Pallotta (direttore di Xtimes ) dal ricercatore di madre lingua russa Paul Stonehill. Ecco quanto riportato sul Blog della ricercatrice: “Da anni ho l’onore e il piacere di corrispondere con uno dei ricercatori più preparati in campo ufologico che io conosca, soprattutto per quanto riguarda la casistica dell’ex Unione Sovietica. Paul Stonehill, originario dell’URSS ed emigrato negli Stati Uniti dal 1973 si è sempre dimostrato un collaboratore coraggioso, onesto, affidabile. In seguito alla notizia del rilascio di USO files da parte della Marina russa, ho voluto chiedere a lui un parere. Ero, lo ammetto, incuriosita da questo apparente segno di apertura, ma, allo stesso tempo, dubbiosa sulla disponibilità della Russia di Putin.”

Ciò dimostra abbastanza chiaramente che non ci si possa fidare troppo delle rivelazioni fatte dai governi in tema ufologico. Tornando alla questione brasiliana bisogna invece sottolineare che nel caso specifico i dati forniti dalle autorità, per una volta, confermano e circostanziano un evento già noto al pubblico. La

pag.9

notte di quel 19 maggio infatti le 21 sfere del diametro di circa 100 metri furono avvistate da moltissime persone oltre che, come detto, aver condizionato l’attività di alcuni aereporti. Alcuni jet militari furono fatti decollare in tutta fretta per intercettare gli oggetti non identificati. Nelle ore seguenti all’evento i piloti ed i loro comandanti parlarono pubblicamente senza problemi dell’accaduto, persino il Ministro dell’Aereonautica Militare dell’epoca, Octavio Moreira dichiarò alla TV che, considerati i riscontri aria-aria e aria-radar prodotti dai piloti, entro un mese dall’accaduto sarebbero stati resi pubblici i risultati delle indagini a riguardo. In realtà, come succede in questi casi, all’epoca non se ne seppe più niente. Quasi trent’anni dopo invece, tra i numerosi files rilasciati dal governo brasiliano, è riemerso questo caso, rimasto comunque nella memoria dei brasiliani per il clamore che aveva destato. Proprio mentre scrivevamo questo post andava in onda lo speciale sugli Ufo della trasmissione Mistero, su Italia1. Uno degli argomenti è stato il rilascio da parte del governo britannico dei suoi files sugli Ufo. Tra questi, la giornalista che sfogliava gli archivi, ha scovato quello relativo all’espisodo di Rendelshan forest, da noi e da molti definito la Roswell britannica. Anche in questo caso si è quindi trovata una conferma documentale ad un fatto di clamorosa rilevanza, testimoniato da militari protagonisti dell’episodio.


Quindi in una mole di documenti di scarsa importanza si celano anche dettagli molto importanti. I segnali che vengono da questa tendenza dei governi sono contraddittori. Ci sono bugie e depistaggi, un sovraccarico di informazioni e la conseguente confusione ma anche informazioni attendibili e imprevedibilmente utili alla causa ufologica. E’ anche interessante notare come questi governi che stanno aprendo i propri archivi lo stiano facendo quasi nello stesso momento, quasi lo facessero di comune accordo, quasi la regia dietro a tutto ciò fosse sovranazionale, dettaglio che getta una luce più sinistra sugli scenari futuri e connessi ad una possibile ammissione della presenza aliena sulla Terra.

Ψ Simone Barcelli Gli animali si curano da soli ingerendo le foglie di piante velenose

E’ quanto asserisce Michael Huffman, professore di etologia del “Primate Research Institute” dell’Università di Kyoto, Giappone, che potremo ascoltare tra qualche giorno al Festival della Scienza di Genova.

Una conferma a quanto si pensava da tempo, cioè della capacità di molte specie del mondo animale di poter individuare correttamente quelle piante in grado di curare patologie diverse. Beninteso, il luminare è anche convinto che le modalità di assunzione siano giunte per caso, senza che gli animali se ne rendessero conto e ognuno pensa per sé perché non sembrano comunque in grado di curare i propri simili. Parliamo di quelle piante che hanno un sapore amaro perché contengono sostanze tossiche: ebbene, dal risultato degli esperimenti effettuati su gorilla e scimpanzé, si è evidenziato che i primati, dopo aver ingerito per sbaglio le foglie di queste piante e averne tratto giovamento, non avrebbero tardato ad associarle come curative. Anche questo è un processo evolutivo che caratterizza chi vuole sopravvivere. Huffman, che studia da decenni la materia, ha riscontrato che anche gli insetti, soprattutto alcune larve, istintivamente ingeriscono piante velenose come antiparassitario. Non è fuori luogo ipotizzare che anche gli ominidi, che hanno calpestato questo pianeta prima di noi, con l’osservazione dei primati abbiano appreso quest’arte per poi affinarla: d’altronde, anche alcuni racconti mitologici, come quelli tramandati dai Navajo, ne parlano esplicitamente e conferme incoraggianti arrivano pure dalle testimonianze di tribù indigene.

Ψ

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Simonetta Santandrea Francia, scoperte impronte di dinosauro gigantesche, hanno 150 mln di anni Trovate vicino a Plagne, sull’altopiano di Jura, nell’area orientale del paese al confine con la Svizzera, forse sono le più grandi al mondo . Sarebbero appartenute ad animali lunghi almeno 25 metri e del peso di 30 tonnellate.

Risalgono all’era del Giurassico superiore, ossia a 150 milioni di anni fa e sarebbero le più grandi al mondo le impronte di dinosauro scoperte in Francia da un gruppo di ricercatori. L’eccezionale ritrovamento, riferisce la Bbc, è avvenuto vicino a Plagne, sull’altopiano di Jura, nell’area orientale del paese al confine con la Svizzera. Le orme, oltre un metro e mezzo di larghezza, sarebbero appartenute ad animali giganteschi, lunghi almeno 25 metri e del peso di 30 tonnellate. “Le tracce di questi esemplari si estendono per decine, anche per centinaia di metri”, ha riferito il Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica. E sono state conservate all’interno di uno strato di calcare. Quando i sauropodi vivevano lì, quella zona, secondo quanto hanno spiegato gli esperti, si trovava nelle vicinanze di un mare caldo e poco profondo.


Le interviste di Gianluca Rampini

pag.11

Lloyd Pye © Gianluca Rampini

Lloyd Pye esibisce il teschio dello Starchild

Gianluca Rampini

Nelle nostra ricerca di testimonianze aliene sul nostro pianeta non potevamo non occuparci del famoso Starchild, un teschio che presenta anomalie somatiche e genetiche che lasciano supporre un'origine non umana. Dopo esser passato in diverse mani, il teschio è stato affidato a Lloyd Pye in virtù delle sue

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

ricerche sulle origini dell'essere umano. Nel 1999 lo stesso Lloyd ha dato vita al progetto volto allo studio di questo reperto unico nel suo genere. Alcuni risultati sono già stati ottenuti, altri sono in via di elaborazione. Questo caso è particolarmente importante perché, a differenza di molti altri, è basato su un


elemento fisico, tangibile, analizzabile. Caratteristiche tanto care alla scienza ufficiale che però si esime persino dal prendere in considerazione la questione, producendo commenti e ipotesi spesso campati per aria. Lloyd Pye, a prescindere dall'opinione che si possa avere riguardo al teschio, ha investito la propria carriera, la propria vita, consapevole dei rischi ma assolutamente convinto che ne valga la pena. L'unico che ci rimetterà la faccia, nel caso le analisi sbugiardassero un giorno la sua tesi, è solamente lui, come è vero che se queste invece sostanzieranno le sue ipotesi si dovrà rendergli merito di averci visto giusto. Ma se le analisi lo premieranno le conseguenze saranno ben altre: avremo finalmente la prova che in un passato non

troppo lontano la Terra è stata visitata da esseri provenienti da “altrove”. Prenderanno corpo le ipotesi sugli interventi genetici di questi visitatori sui nostri antenati e sarà quindi sempre più difficile negare che anche al giorno d'oggi una cosa del genere stia avvenendo. Ci teniamo ad aggiungere che, nonostante i suoi numerosi impegni, Lloyd si è dimostrato molto disponibile ed ha dimostrato di essere una persone gentile ed educata. Discorrendo con lui abbiamo percepito la passione che lo pervade, il genuino entusiasmo per una scoperta potenzialmente storica. Non vogliamo esprimere un'opinione in merito alla sua ricerca, preferiamo che sia chi legge a farsene una o a rivalutare quella che già

possiede, essendo il caso già molto conosciuto. Grazie per la tua pazienza, sappiamo che viaggi molto e parli di questa ricerca ovunque vai, quindi apprezziamo molto il fatto che tu ne voglia parlare nuovamente. Sappiamo già del teschio dello Starchild ritrovato negli anni ’30, com’é iniziata questa storia? Una ragazza ha trovato il teschio in un tunnell di una miniera in Messico verso il 1930. Ha deciso di prendere il teschio e portarselo a casa a El Paso, in Texas, dove l’ha tenuto per il resto della sua vita. Logicamente pensava che fosse un tipo di deformità umana conosciuta.

Lo Starchild, un teschio umano ed una ipotesi grafica del suo aspetto

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Come è iniziato questo progetto ed il teschio com’è diventato lo Starchild? La ragazza che ha trovato il teschio è morta di vecchiaia all’inizio degli anni ’90. Entro il 1998 il teschio era diventato di proprietà di Ray e Melanie Young di El Paso. Melanie era un’infermiera neonatale. Aveva capito immediatamente che il teschio non somigliava a nessuna deformità umana che aveva visto prima. Era troppo leggero, le parti erano troppo differenti ed era troppo simmetrico. Sentiva che poteva essere facilmente il teschio di un prototipo di un alieno “grigio”. Se abbiamo capito bene ciò che dice, che la forma anomala del teschio non dipende da una deformità, da cosa lo si deduce? Due ragioni. La prima: un numero di scienziati esperti e accreditati (tra cui il dottor Ted Robinson) hanno ricercato le informazioni conosciute riguardanti questo soggetto nella letteratura scientifica e non hanno trovato prove di deformità conosciute somiglianti allo starchild. Secondo: la fisiologia dello starchild non ci dà neanche un corollario per un umano normale, in altre parole non c’è nemmeno una singola parte del teschio dello starchild uguale a una parte corrispondente a un umano normale. Sono come mele e arance, completamente differenti. Se ci fosse una deformità alcune parti sarebbero differenti dal normale, ma non tutte. E’ stato possibile fare il test del DNA? Quali sono stati i risultati?

Il primo test del DNA è stato fatto verso la fine del 1999, ma il laboratorio non era attrezzato per occuparsi di un “DNA antico”, che era più vecchio di 50 anni. Nel 2003 e’ stato fatto un secondo test, una cosa affascinante perché il risultato finale provava che la madre doveva essere umana ma il padre decisamente non era interamente umano. Sfortunatamente, nel 2003 non potemmo provare quanto fossero distanti il padre (o lo starchild) dagli esseri umani normali. Adesso però, dal 2006, grazie alla società 454 Life Science, è possibile ottenere nuovi risultati, saremo in grado di determinare con gran precisione esattamente quanto fossero distanti lo starchild e suo padre dalla (nostra) normalità. Non sappiamo ancora quanto il DNA dello starchild sia differente da quello umano. Questo e’ ciò che le tecniche di recupero della 454 Life Science ci aiuteranno a stabilire. Questa è la ragione per cui dobbiamo spendere tutti questi soldi per la ricerca. Il genoma completo dello starchild sarà ritrovato, tutti i 3 miliardi di coppie! E questo ci permetterà di sapere con gran precisione esattamente in cosa lo starchild si differenzia da un essere umano normale. Ora sappiamo che lo scimpanzé è differente al 3% e il gorilla al 5%. Sospetto che lo starchild possa essere in quella gamma di differenza, e possibilmente oltre il 5% del gorilla. Non è possibile che lo starchild possa avere differenze fisiologiche così grandi (25 maggiori e numerose minori) senza che tutti quei

cambiamenti vengano mostrati nelle coppie di genomi. Forse alcune centinaia di milioni saranno cambiate (il gorilla ne ha circa 150 milioni differenti). Comunque molti sono differenti, però sarà reso in modo lampante anche agli scienziati dalla mentalità più chiusa, che il teschio dello starchild non è simile a quello umano.

Il confronto genetico

Siamo un po’ dubbiosi riguardo ai metodi convenzionali di datazione come il Carbonio 14: come siete arrivati al risultato dei 900 anni? Non potrebbe essere più vecchio? Nonostante i dubbi sulla datazione del Carbonio 14, entro certi parametri (sotto i 10.000 anni) normalmente è alquanto accurata. Ma per essere certi in questo caso molto speciale, abbiamo mandato due campioni di ossa differenti a laboratori differenti in tempi diversi, e nonostante questo i risultati sono stati identici: 900 anni +/- 40 anni. Questa e’una sincronicità incredibile nella datazione e ci fa credere che i risultati siano accurati. Il teschio dello Starchild è stato trovato con un altro teschio femminile umano.


Sono state trovate delle correlazioni tra i due teschi? No, non abbiamo trovato nessuna correlazione genetica. Per molti anni abbiamo creduto che fosse la madre perché ha seppellito lo starchild, vi si è stesa accanto e si è suicidata. Questo sembrava un atto da madre. Ma nel 2003 i test del DNA hanno confermato che, anche se la madre dello Starchild era umana, non era quella (donna) trovata accanto (allo starchild) nel tunnell abbandonato da tanto tempo in Messico.

Sa se ci sono teschi simili nel mondo? Non sono ancora stati scoperti teschi come quello dello Starchild. E’ unico. Comunque ci sono alcuni teschi inusuali chiamati “coneheads” (teste a cono) rinvenuti prevalentemente in Perù. I visi sono molto simili a quelli umani ma i cervelli sono il doppio del volume di un cervello umano normale. Nessuna usanza della fasciatura della testa può fare allargare un cervello umano oltre la grandezza normale di 1400 centimetri cubici di volume anziché i 2800 - 3000 cc tipici delle teste a cono. La deformità potrebbe essere indotta come nelle culture dell’America centrale o come facevano gli Egiziani? No, è assolutamente impossibile.

Tutte le tecniche della fasciatura e quelle deformanti schiacciano le ossa ancora morbide del bambino fino al grado di appiattimento del meccanismo della fasciatura. La testa dello Starchild è molto appiattita nella parte posteriore, ma lo schiacciamento è perfettamente normale, con tutte le convoluzioni naturali intatte. Questo significa che i geni dello Starchild hanno indicato che doveva crescere in questa maniera insolita, ciò vuol dire che i geni dello starchild non possono essere interamente umani. Tutte le anomalie erano compatibili con una vita normale? Era in buona salute? Per quanto possiamo stabilire lo Starchild era in buona salute fino al giorno della sua morte. Certamente le ossa del cranio erano ben formate e estremamente resistenti, i denti mostravano un logoramento considerevole, e tutte le suture craniali erano sane al momento della morte.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Una delle tante anomalie anatomiche

E’ facile immaginare come la scienza tradizionale non appoggi le sue conclusioni. Quali sono le obiezioni principali? La scienza fa obiezioni perché (gli scienziati) sanno che la prova conclusiva dell’esistenza di vita non umana 900 anni fa rivoluzionerebbe tutto ciò che dicono di sapere e che insegnano sulle origini umane a questo punto della storia. Questa scoperta li farà sembrare sciocchi come gli scienziati di 300 anni fa quando insistevano (sul fatto che) la terra era il centro dell’universo. I tempi cambiano, ma gli ego intellettuali fragili non cambiano. Lei cosa risponde?

Lo studio va ancora avanti Io rispondo alle obiezioni perché dobbiamo ancora scientifiche sfidandoli a ottenere i risultati del test finale leggere il mio nuovo libro del DNA, quello che usa la (e-book scaricabile tecnologia delle 454 Life dal sito) sullo starchild Science. intitolato “Nozioni Questo test può provare senza indispensabili sul teschio dello ombra di dubbio scientifico che starchild”. lo Starchild è decisamente un In questo libro connetto tutti i ibrido umano-alieno, questa è fatti e posso garantire per loro, la ragione per cui coloro che creando una serie di non vogliono che questa ragionamenti logici che informazione venga allo possono essere digeriti in scoperto stanno cercando di un’ora. rallentarmi, ma non possono Chiunque non possa trovare fermarmi, siamo andati troppo un’ora per considerare una avanti, ma possono rallentarmi cosa potenzialmente storica e ce la stanno facendo. come lo Starchild non è degno E’ per questo che ho bisogno di essere chiamato “scienziato”, dell’aiuto di molti altri che giusto? leggano il mio e-book e capiscano i fatti del caso, che State ancora studiando poi mi aiutino a trovare uno questo caso o avete già fatto sponsor dalle “tasche profonde” tutto il possibile? che investa nei test genetici costosi e nel filmare quello che


bisogna fare per verificare che ogni passaggio del processo (di ricerca) sia stato svolto correttamente. (I test e i film costeranno $500,000 U.S.) Possiamo tornare sul soggetto del DNA: lei si aspetta una conferma nel DNA per tutte quelle anomalie. Lei dice che solo un alieno può avere quelle caratteristiche e che questo e’ evidente nel DNA. Ma perché non potrebbe essere, per esempio, un altro tipo di essere umano o un altro tipo di primate sconosciuto? Questo è così importante (magari sono solo io che non sto capendo): perché proprio alieno?

In questo momento la scienza ha alcune categorie di esseri. Ci sono gli umani, gli scimpanzé e i gorilla. Presto ci sarà anche Neanderthal, quando annunceranno le scoperte sul suo genoma. Quindi tra poco ce ne saranno quattro. Quando aggiungeremo lo Starchild ce ne saranno cinque. Quindi, se il genoma di Neanderthal sarà più vicino agli umani che agli scimpanzé, e se lo Starchild finirà tra Neanderthal e gli umani in termini di differenze, che conclusione ne trarremo? Gli scienziati sosterranno che questo ne farà una specie di umano “strano” visto che la fascia sarà stretta, la differenza sarà poca... diciamo,

Dove si colloca lo Starchild?

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

per esempio, solo nella gamma del 1%. Ora considera la possibilità che Neanderthal sia più vicino allo scimpanzé che agli umani (come sospetto che sia). Che succederà se lo Starchild rientrerà tra gli umani e Neanderthal? Come lo chiameranno? Presumiamo il caso in cui sia oltre l’1%, possibilmente avvicinandosi più al 2%. E’ ancora possibile che lo Starchild sia un tipo di umano “strano”? No, non e’ possibile. Diventa abbastanza diverso per essere considerato una categoria a se stesso. Ma che cosa? Cosa potrebbe essere?


Adesso consideriamo ciò che è più probabile, che lo Starchild finisca dove prima erano gli scimpanzé e i gorilla, oltre il 3%. Se finisce lì, nessuno può provare a suggerire che è un tipo di umano “strano”o bizzarro. Saranno obbligati ad accettare che è qualcosa di così completamente differente che non può essere considerato umano. Ma potrà ancora essere considerato terrestre? Che tipo di creatura umana sconosciuta poteva vivere 900 anni fa, un’epoca in cui gli esseri “strani” che sembravano abbastanza umani erano evidenti e memorabili? Perché, diciamocelo, sarebbe dovuta esistere almeno una piccola popolazione di esseri come loro per poter produrre lo Starchild. Giusto? Ma il risultato finale è semplicemente questo: non c’è NIENTE nello Starchild che possa essere pari a un essere umano.

E il suo DNA lo dimostrerà. Certamente all’inizio la scienza farà resistenza all’idea di accettarlo come un alieno. Non avranno altra scelta che cercare di difendere le vecchie credenze. Ma la NOSTRA versione sarà completamente energizzata, e riusciremo a uscire dall’ombra e a dire la verità e la gente ci ascolterà e sarà capace di decidere su cosa ha senso logico. Inoltre, produrremo un documentario spettacolare sullo Starchild e quel film sarà la dichiarazione/il rapporto (ufficiale) sullo Starchild per 2 o 3 anni, presenterà un’argomentazione convincente che NOI abbiamo ragione, che la risposta sugli alieni è quella che ha più senso logico. Sennò si entra nel campo degli ominidi (bigfoot, lo yeti, ecc.) che per la scienza è un male tanto grande quanto un alieno, perché anche gli ominidi elimineranno la possibilità che gli umani si siano sviluppati sulla terra.

QUESTO è ciò che gli scienziati vogliono evitare, qualsiasi cosa che metta in dubbio l’idea che gli uomini si siano evoluti dalle scimmie. QUESTO è ciò che lo Starchild gli toglierà, ed è anche ciò che gli ominidi gli toglieranno. Non possono permettersi nessuno di questi due risultati. Quindi che ci rimane? Bene, in realtà solo le dicerie su coloro che vivono SOTTO il suolo terrestre, in complessi sotterranei molto vasti che sono stati lì per un’eternità. L’editore di Nexus, Duncan Roads, crede a questa teoria. Io no, logicamente sono convinto che lo Starchild fosse un ibrido con un alieno (proveniente da) oltre la terra (extra-terrestre), ma ci sono coloro che offriranno la possibilità che gli alieni vivano sotto al suolo terrestre. Quindi... qual è la differenza? Cosa serve per essere qualificato come alieno?


Vivere sotto al suolo terrestre o vivere in un luogo oltre la terra? Per me, in qualsiasi caso, sei un alieno. Giusto? Quindi questa è la presupposizione su cui mi baso... è un ibrido umanoalieno, dove il termine alieno è definito come “non umano”. Di certo si cavillerà sulla definizione una volta che proveremo che lo Starchild è così lontano dagli umani da non lasciare altra possibilità che quella di essere un qualche tipo di alieno. Io non lo credo.

Arriverà il momento in cui la scienza dovrà solo tacere su questo soggetto, affrontare il loro imbarazzo come uomini e donne e iniziare a cercare tutte le informazioni possibili sullo Starchild. Grazie ancora per il tempo (che ci ha dedicato), alla fine se non è un essere umano deformato, cosa pensa che sia? Prima pensavo fosse un teschio di un alieno grigio puro ma, da quando è stato fatto il test del DNA nel 2003, credo che sia un ibrido umano-alieno.

Sfortunatamente, come ho già detto, non l’ho potuto provare ai livelli massimi che la scienza richiede. Ma il nuovo test della 454 Life Science può farlo, quindi sto aspettando pazientemente che lo sponsor dalle “tasche profonde” appaia nella mia vita, così potrò iniziare i test e portare la storia a nuovi orizzonti. Un prospetto affascinante, non e’ vero? gianluca.rampini@fastwebnet.it

I nostri sondaggi Nel mese di ottobre abbiamo proposto, sul portale, alcuni sondaggi. Ringraziamo chi ha aderito e diamo quindi conto delle risultanze. 1) Ti piace la rivista elettronica? 41 voti (28 molto, 11 abbastanza, 2 poco). 2) Nel prossimo numero della rivista elettronica vorresti più… 27 voti (11 rubriche, 9 studi tematici, 4 interviste, 3 report conferenze). 3) Quali sono le tematiche che preferisci? 37 voti (12 ufologia, 8 archeologia di confine, 7 mente e paranormale, 5 esoterismo, 3 mitologia, 2 storia antica). 4) Che tipo di informazione preferisci tra quelle che ti offre questo portale? 30 voti (17 approfondimenti, 10 notizie d’attualità, 2 conferenze, 1 recensioni librarie, 0 edicola).

www.starchildproject.com

In considerazione dei risultati, abbiamo provveduto a reimpostare il contenuto del portale, eliminando i servizi di aggiornamento edicola e conferenze che, a quanto pare, non incontrano il vostro favore. Stesso discorso per i contenuti della rivista elettronica: daremo meno spazio alla mitologia e alla storia antica, tematiche meno votate rispetto alle altre.


Archeologia di confine

pag.19

Baalbek, eredità megalitica di un popolo senza nome © Massimo Bonasorte

Copyright © 2004–2009 the Brooklyn Museum www.brooklynmuseum.org

Massimo Bonasorte

Massimo Bonasorte, laureato in Lettere con una tesi in Epigrafia semitica nel corso degli anni ha approfondito lo studio del mondo antico, tra archeologia, storia, antropologia e linguistica. Ha collaborato con riviste di geopolitica come Dossier Intelligence e Cronos e con prestigiose testate di settore come Archeo e Medioevo. Attualmente è direttore della rivista "I Misteri di Hera" e caporedattore della rivista "Hera".

Il complesso megalitico di Baalbek, in Libano, fu realizzato con l’ausilio di strumentazioni tecnologiche? Furono davvero i romani a porre in opera il Trilithion o, invece, continuarono a costruire su una struttura preesistente realizzata da una sconosciuta civiltà? Tra ipotesi, prove archeologiche e leggende facciamo il punto degli studi. Le rovine di Baalbek si trovano a circa 90 km da Beirut, Libano, nella valle della Beqa’a, ai piedi delle montagne dell’Antilibano TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

in una valle in cui si originano l’Oronte, a nord, e il Litani, che scorre da sud a ovest. Il sito godeva, soprattutto in epoca romana, di grande importanza tanto che veniva considerato una delle meraviglie del mondo. Ma cosa rende così speciale questo luogo? Ebbene tralasciando per un momento le implicazioni di ordine religioso, ciò che rende straordinario questo complesso monumentale è la presenza di numerosi megaliti, inseriti nella struttura del tempio di Giove.


La maestosità del tempio era tale, che gli imperatori romani arrivarono a percorrere fino a 2.500 chilometri per consultarne l’oracolo e godere dei suoi vaticini. Il sito di Baalbek pone molti interrogativi e gli studiosi sono divisi tra coloro che considerano l’intero complesso come un prodotto delle maestranze romane, coloro che, invece, ritengono che il podio su cui poggia il tempio di Giove sia di origine fenicia, e infine coloro che lo considerano ancora più antico, forse appartenente alla cosiddetta civiltà megalitica di cui si ritrovano le tracce sparse in tutto il mondo, dall’Egitto al Mesoamerica. Qualunque sia l’indirizzo d’indagine in tutti e tre i casi rimane insoluta la spiegazione di come sia stato possibile trasportate i megaliti dalla cava fino all’acropoli, sebbene il tragitto non sia molto lungo. Le asperità del terreno e il peso dei blocchi complicavano molto il trasporto, come fu possibile, quindi, mettere in sede gli enormi blocchi in maniera così perfetta che tra loro non si può infilare neanche la lama di un coltello? In epoca moderna uno dei primi ricercatori che se ne occupò, nel 1851, fu il francese Louis Felicien de Saulcy, che in seguito condurrà i primi scavi archeologici sistematici a Gerusalemme, il quale visitando il sito si convinse che le rovine potevano appartenere a un tempio pre-romano, ipotesi che raccolse nel libro intitolato “Viaggio intorno al Mar Morto”, pubblicato nel 1854. Alla metà del XIX sec. l’archeologo francese Ernst Renan, condusse le proprie ricerche nel sito: egli affermò che quando giunse a Baalbek non incontrò elementi sufficienti in grado di

convincerlo che il sito fosse stato realizzato per ospitare un tempio pre-romano, e ne ipotizzò invece un’origine fenicia. Attualmente si ritiene che il podio su cui poggia il tempio di Giove sia stato costruito dai romani nello stesso periodo della base del tempio, ma è davvero questa la verità?

Dei tre è il tempio di Giove il più enigmatico. Tutta la sua imponente struttura, infatti, è costituita da blocchi di pietra tra i più pesanti che si possono incontrare al mondo. Nel muro di sud-est esiste una fila di 9 blocchi di granito dove ciascuno ha un peso di 300 tonnellate, con una dimensione di 10 metri di larghezza per 4 di altezza e 3 di profondità. Nel lato opposto esiste un fila di 6 blocchi aventi le medesime caratteristiche, che fanno da base ai tre giganteschi blocchi del Trilithion. Le tradizioni locali che risalgono fino al Medioevo, specificano che il complesso fu costruito La prima cosa che stupisce, durante il regno di re Salomone, visitando questo colossale sulla base del confronto tra i complesso architettonico è la blocchi megalitici e quelli che sua estensione e la sua presumibilmente furono monumentalità, infatti, i tre impiegati per la costruzione del megaliti che compongono il Tempio di Salomone. cosiddetto Trilithion ovvero le Le fonti arabe, infatti, come Al “tre pietre”, sono alti come una Idrisi, viaggiatore e geografo costruzione di cinque piani. arabo vissuto tra il 1099 e il Le pietre furono tagliate e 1166, affermano proprio che “il trasportate da una cava non Grande, (tempio) dalla molto distante, dove in un strabiliante apparenza fu momento successivo, fu costruito al tempo di re ritrovato un quarto monolite, la Salomone”. cosiddetta Hajar el Gouble, Della stessa convinzione era Pietra del Sud, oppure Hajar el anche Beniamino di Tudela, (ca. Hibla, o pietra della partoriente, 1160) viaggiatore ebreo, che nel ancora imprigionata nella cava e Sefer massa’ot, visitando pronta per essere separata. Baalbek scrisse: “Questa è la Le sue dimensioni sono enormi: città che è menzionata nelle 21 metri di lunghezza, 10 di scritture come Baalath, nei altezza e uno spessore di 5 m, il pressi del Libano, che Salomone peso stimato è di circa 1.200 costruì per la figlia del tonnellate e si ritiene che venne Faraone. Il complesso fu lasciata in situ in seguito a un costruito con pietre dalle errato calcolo delle dimensioni. dimensioni enormi”. Una versione che si ritrova Leggende e archeologia anche nel testo biblico di Re, IX, 17 e 2 Cron. 8,6, in cui è Nel complesso religioso di epoca menzionato il nome del re romana esistono altri due Salomone in connessione con templi dedicati ciascuno a una un sito che potrebbe essere divinità, in modo da realizzare identificato con l’antica la triade divina, Giove, Venere e Baalbek, leggiamo, infatti: Mercurio. “Salomone riedificò Ghezer, Bet TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Horon inferiore, Baalath, Tamàr, nel deserto del paese […]”. Esiste, dunque, una relazione tra Baalbek e Baalath? Alcuni ricercatori sono molto diffidenti in questa identificazione ed esitano a considerare valida l’equazione Baalath-Baalbek, negando ogni relazione tra Salomone e le rovine, soprattutto perché se veramente il re avesse costruito una simile opera così imponente stupisce che non venga assolutamente menzionata nell’Antico Testamento. Questa attribuzione a Salomone si è perpetrata anche nell’800 con Robert Wood, autore di The ruins of Palmira and Baalbek, un’importante monografia dedicata a queste misteriose rovine, il quale affermò: “Gli abitanti del luogo, musulmani, ebrei e cristiani sono tutti convinti che Salomone costruì sia Palmira sia Baalbek”.

Copyright © 2004–2009 the Brooklyn Museum www.brooklynmuseum.org

Nei testi dei musulmani, dei cristiani maroniti e dei cristiani ortodossi, quindi, non viene mai menzionata l’attribuzione ai romani della costruzione del sito, ma raccontano che il primo insediamento di Baalbek fu costruito prima del diluvio universale dallo stesso Caino, figlio di Adamo, che Yahwe bandì dalla “terra di Nod”, per aver ucciso il fratello Abele. Una versione confermata anche dal patriarca maronita Estfan

Doweini, il quale riferisce che “La tradizione ci dice che la fortezza di Baalbek è la costruzione più antica del mondo. Caino la costruì nell’anno 133 della creazione, durante una crisi di demenza feroce. Le diede il nome di suo figlio Enoch e la popolò con i giganti che erano stati puniti dal diluvio per la loro iniquità”. Secondo le sacre scritture la cittadella cadde in rovina al tempo del diluvio e fu successivamente ricostruita dai giganti sotto il comando di Nimrod, il grande cacciatore, e re del paese di Sennar (Genesi 10, 32). Altre leggende narrano che Nimrod ribellandosi al suo dio costruì la torre di Babele. Infine, Al-Qazwini Zakariya ibn Muhammad, nella sua Cosmografia, narra che Baalbek era connesso a Balkis, la leggendaria regina di Saba e a Salomone. I musulmani riferiscono, inoltre, che il complesso fu costruito dai Djinn, geni, o numi tutelari agli ordini di Salomone (cfr. n° 26 pag. 27) per la leggenda dell’anello di re Salomone). Il mistero che avvolge la costruzione di Baalbek ha, però, solleticato anche le fervide fantasie di alcuni ricercatori, come un certo David Urquhart, il quale era dell’opinione che i costruttori impiegarono dei mastodonti, elefanti estinti, a mo' di gru per spostare gli enormi blocchi1. Le fonti classiche Dopo il periodo di regno di Salomone, i fenici si stanziarono nella zona, divenendo i signori 1

Alan Alford, Il mistero della Genesi delle Antiche Civiltà, Newton & Compton, 2000. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

incontrastati della Siria, e scelsero Baalbek per stabilire il tempio di Baal, dio del Sole. Poco si conosce di questi anni. Nell’XI sec. a.C. le armate assire di Tiglatpileser I giunsero sulla costa del Mediterraneo, ma leggendo gli annali assiri, il sito di Baalbek non è mai menzionato tra le città fenicie, dunque, possiamo dedurne che almeno in quel periodo, il sito non godeva di molta importanza politica o commerciale, forse era solamente un piccolo centro religioso. Probabilmente, il tempio era dedicato alla triade Baal, Astarte e Mercurio. Durante il periodo tolemaico, tra il 323 e il 198 a.C., il sito di Baalbek fu identificato dai greci con il nome di Heliopoli, la città del Sole, assumendo lo stesso toponimo della più celebre città del Basso Egitto. A partire dal 27 a.C. la zona passò sotto il dominio romano, e l’imperatore Augusto decise di costruire il tempio Giove, il dio del Cielo, la più importante delle divinità per i romani, come per i greci era Zeus. E’ probabile che tale scelta rispondesse alla volontà di rimpiazzare l’antica divinità preesistente, il semitico Baal, che possedeva caratteristiche in comune con Zeus-Giove. Il toponimo di Baalbek, come molti studiosi affermano, ha il significato di Signore della Beqa’a, oppure Signore della Città, a seconda dell’interpretazione. Nei testi arabi spesso è identificata con Baal bikra, o Baal del bue o dell’agnello, seguendo l’etimologia popolare che associa il valore semantico al culto che veniva seguito nel tempio. In epoca romana, l’oracolo di Baalbek era molto venerato tanto che l’imperatore Traiano, alla vigilia della guerra con i


parti, nel 115 scrisse ai sacerdoti di Baalbek per ottenere un vaticinio. Anche durante il IV sec. Macrobio nei suoi Saturnali dichiarò che “il tempio di Baalbek è il più famoso degli oracoli”. Il tempio romano, come abbiamo già detto, fu costruito sopra un podio preesistente costituito da enormi blocchi. Gli archeologi suggeriscono che proprio tale piattaforma di pietra faccia parte di una struttura non finita, appartenente a un tempio a cielo aperto, costruito dai sacerdoti seleucidi al di sopra di un tell, una collina artificiale, dell’Età del Bronzo. Alla metà del secondo secolo circa, fu aggiunto il cosiddetto tempio di Bacco, o Mercurio. In direzione sud al di fuori della grande corte, sorge il tempio più piccolo dedicato a Venere. In accordo con le teorie più accreditate dalla comunità archeologica, la storia di Baalbek risale approssimativamente a 5.000 anni fa. Gli scavi archeologici sembrano confermare tale ipotesi, infatti, durante i lavori di scavo effettuati nelle vicinanze della grande corte del tempio di Giove, sono venute alla luce tracce di insediamenti databili all’Età del Bronzo Medio (19001600 a.C.), costruito su un livello di frequentazione più antico che risale al 2900-2300 a.C.

Tecnologie impossibili Il mistero di Baalbek risiede soprattutto nei suoi megaliti, non si conoscono, infatti, i metodi impiegati per mettere in opera i blocchi, posizionati a una considerevole altezza da terra, 6 metri, e abilmente inseriti nella struttura del tempio. Prima che Roma conquistasse il sito e costruisse l’imponente tempio di Giove, e molto prima che i fenici vi stabilissero la sede del tempio dedicato al dio Baal, a Baalbek, esisteva già una vasta costruzione formata da blocchi megalitici, forse il lascito di una civiltà megalitica di cui se ne sono perse ormai le tracce. Il Tempio di Giove era davvero imponente, le sue colonne erano alte fino a 32 metri, con una larghezza pari a circa 4 metri. Purtroppo, solamente 6 di queste splendide colonne hanno resistito ai secoli. Incredibile è l’imponenza dei blocchi su cui poggia il tempio, che stando alle stime dei ricercatori, attualmente nessun macchinario sarebbe in grado di mettere in opera. Su tale argomento è stato chiesto a Bob MacGrain, direttore tecnico della Baldwins Industrial Services, una delle più importanti industrie inglesi, di provare a spostare con i propri macchinari la Pietra del Sole. Ebbene, si pensò di utilizzare una gru, la Gottwald ak912, in grado di lavorare con pesi fino 1.200 tonnellate. Il macchinario, però, risultò inutile al momento del trasporto, in quanto tali gru non possono muoversi durante il carico di un tale peso, dunque, sarebbe stata necessaria una macchina dotata di cingoli. E’ evidente quanto sia difficoltoso realizzare oggi una TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

simile opera, e certamente di più con l’impiego di strumentazioni non tecnologiche. La spiegazione risulta molto ardua da individuare. Alcuni ricercatori, però, hanno sottolineato che non esisterebbe alcun mistero a Baalbek, in quanto gli enormi blocchi sarebbero stati trasportati utilizzando dei rulli di legno, su cui sarebbero scivolati i megaliti, in un secondo momento sarebbero stati messi in opera con l’ausilio di terrapieni. Purtroppo, questa spiegazione rimane controversa se pensiamo che per realizzare un simile trasporto, ammettendo che i rulli non si sgretolino sotto il peso, occorrerebbero circa 40.000 uomini per muovere un solo monolite. Quindi, il quesito: in che modo, furono poste in sede le enormi pietre, e chi ne fu l’artefice? L’attribuzione ai romani è valida per la costruzione del tempio di Giove, ma per quale motivo avrebbero dovuto tagliare e spostare tali megaliti, impiegando uno sforzo straordinario di uomini e di mezzi per spostarli, quando avrebbero potuto tagliare i blocchi in dimensioni minori? In più, una piccola imperfezione verticale nel monolite avrebbe potuto causare più danni strutturali di un’imperfezione distribuita su più blocchi di pietra. Dunque? A tale proposito nel 1980, lo studioso francese Friederich Ragette, nel suo lavoro intitolato Baalbek, suggerì che l’impiego dei blocchi monolitici rispondeva a una tradizione cananea, secondo la quale i podi dovevano consistere al massimo di tre livelli di pietre, e visto che questo podio era alto 12 metri, significava utilizzare


necessariamente i monoliti. Ipotesi molto discutibile. In più sempre Ragette, suggerisce che i romani tagliarono nella cava i blocchi con piccozze di metallo e con l’impiego di una sorta di macchinario da estrazione in grado di lasciare su molti blocchi segni di incisioni circolari larghi fino a 4 metri di raggio.

Copyright © 2004–2009 the Brooklyn Museum www.brooklynmuseum.org

Un enigma nell’enigma, in quanto oltre a dover spiegare in che modo i romani riuscirono a trasportare i blocchi affiora il quesito di che genere di macchinario si trattava in grado di lasciare segni circolari sulla pietra? Forse una sega circolare? Sulle modalità del trasporto dei blocchi sovente vengono chiamate in causa le raffigurazioni presenti sui rilievi mesopotamici ed egizi, che secondo alcuni ricercatori spiegherebbero in che modo furono spostati i megaliti. Purtroppo dobbiamo osservare che tale spiegazione non sembra sufficiente, in quanto sebbene i rilievi mostrino tale tipo di trasporto, raffigurano blocchi singoli aventi un peso stimato all’incirca di 100 tonnellate, ovvero un decimo del peso delle pietre del Trilithion. Maggiori perplessità sorgono, inoltre, cercando di spiegare in

che modo i romani riuscirono a manovrare i monoliti. Ragette suggerì per la messa in opera l’impiego di scavi e terrapieni, dove le rampe di terra compattata costruite su un piano inclinato che saliva fino alla cima del muro servivano per far salire i blocchi, che erano tirati da gruppi di operai disposti dall’altro lato del muro. Si suppone che tale metodo sia stato impiegato per la realizzazione del sito megalitico di Stonehenge. Per consolidare l’ipotesi romana, Ragette menziona il matematico e ingegnere greco Erone di Alessandria, vissuto si suppone tra il III e il I sec. a.C. celebre per le sue macchine idrauliche. Nei suoi testi compaiono anche indicazioni per l’utilizzo di sistemi basati su leve per il sollevamento e la messa in opera di enormi blocchi. Purtroppo, però, l’unica versione di questo trattato che possediamo è una traduzione araba, realizzata intorno all’860 d.C., da un abitante di Baalbek chiamato Costa ibn Luka, che secondo Regette testimonierebbe una continuità delle conoscenze tramandate negli anni. E’ tutto così semplice?

Copyright © 2004–2009 the Brooklyn Museum www.brooklynmuseum.org

I romani riuscirono a trasportare a Roma gli obelischi come quello proveniente dal Tempio del Sole a Heliopoli in Egitto, ora posto a Piazza del TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Popolo, 235 tonnellate, oppure quello di Piazza di Montecitorio, 230 t, che sebbene testimonino la capacità di trasportate grandi monoliti, le loro dimensioni, sono assolutamente minori rispetto a quelle di Baalbek, e non sembrano determinanti per spiegare in che modo il Trilithion fu messo in opera. In conclusione, possiamo certamente evidenziare che il sito di Baalbek rappresenta per molti aspetti un vero e proprio enigma architettonico e culturale, in quanto nulla si conosce dei suoi costruttori. Inoltre, il mistero si complica analizzando la superficie della Grande Corte. Lo strato superiore, infatti, presenta un livello di pietra vetrificata, un fenomeno che forse fu provocato dall’esposizione a una sconosciuta fonte di calore, o dall’impiego di trapani o seghe circolari che impiegavo il calore. Purtroppo, tra le molte interpretazioni proposte nessuna sembra spiegare in maniera esaustiva né le modalità, né gli strumenti impiegati e tanto meno gli autori di questa monumentale struttura megalitica. massimo.bonasorte@acaciaedizioni.com


Archeologia di confine

pag.24

Rapa Nui, il mistero continua © Simone Barcelli e Agustìn Valverde

Simone Barcelli testo Agustìn Valverde fotografie

La notizia, recentissima, è la scoperta, sull’Isola di Pasqua (nella zona est, ad Ana Te Pahu), di un reticolo di caverne lungo sei chilometri, ad opera di una squadra multidisciplinare che ha visto all’opera, negli ultimi anni, soprattutto gli archeologi dell’Università del Cile e gli speleologi della Società Antxia Alfonso Bilbao.

La spedizione scientifica ha ispezionato 45 caverne laviche, una delle quali è la più grande finora individuata sull'isola (e tra le più estese del mondo), svelando una complessa rete di grotte collegate tra loro da innumerevoli cunicoli. Alcune di queste cavità sotterranee avrebbero permesso pure l’accumulo di acqua


piovana, fino a formare dei laghetti. Notevoli i reperti archeologici rinvenuti, tra cui parti di utensili destinati all’uso comune nonché interessanti petroglifi, alcuni dei quali raffigurano il viso stilizzato del dio Makemake. Considerando anche la presenza di una trentina di scheletri umani, pare certo che questi anfratti siano stati usati come rifugio da alcuni nativi, a cavallo del XVI secolo della nostra era, per sottrarsi alle lotte fratricide dei diversi clan. Si è quindi ridestato l’interesse, se mai ce ne fosse stato bisogno, su questo lembo di terra, appena 180 kmq, posto nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico.

Desolante visione L’ammiraglio Jacob Roggeveen ci mise piede nel 1722 e gli diede il nome della festività cristiana poiché attraccò proprio alla vigilia di quel giorno ma gli indigeni l’avevano sempre chiamata Rapa Nui. Una cinquantina di anni dopo il naturalista Reinhold Forster descrisse l’isola come devastata dalle eruzioni vulcaniche e con la vegetazione quasi inesistente. All’epoca gli indigeni vivevano ancora all’età della pietra ed erano distribuiti in due distinte comunità, una più numerosa formata da gente di piccola statura e scuri di pelle, l’altra con una carnagione più chiara ed una statura più alta.

L’aspetto desolante di Rapa Nui ci introduce, inevitabilmente, agli altri misteri che da sempre aleggiano sull’isola e di cui vale la pena occuparsi.

I legni parlanti Il rinvenimento di 21 tavolette di legno con alcune incisioni, oggi custodite in musei o collezioni private, ha permesso di fare un po’ di luce sul misterioso passato di Rapa Nui. La scrittura ricorda i geroglifici dell’America precolombiana ed è in sostanza identica a quella della valle dell’Indo, per intenderci ad alcuni segni che compaiono sugli antichi sigilli rinvenuti a Mohenjo Daro. Ma le affinità anche con la scrittura cinese sono impressionanti. Solamente nel 1955 l’antropologo tedesco Thomas Barthel, dopo aver studiato per qualche tempo i cosiddetti ‘legni parlanti’, fu in grado, anche grazie agli appunti stilati anni prima dal vescovo di Tahiti Jaussen, di identificare circa 120 elementi base, la cui combinazione dava luogo a 1500 segni diversi: si convinse che facessero parte di un sistema di segni pittografici per esprimere idee ed oggetti concreti, tanto da rendere impossibile qualsiasi traduzione. Le tavolette sembrano contenere preghiere pagane nella lingua sacerdotale rongorongo, in cui si cita il Rangitea, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

un’isola della Polinesia dalla quale sarebbero giunti sparuti gruppi d’indigeni verso il 1200. Nel 1996 Steven Fisher rivelò di aver decifrato buona parte delle tavolette e, secondo questo linguista, ci troveremmo di fronte a scritti sacri che descrivono la creazione del mondo attraverso una serie di miti a carattere prettamente erotico. Le conclusioni, pur apprezzabili, risultano comunque tuttora lacunose e la piena comprensione dei rongorongo resta tutta da verificare.

Le teste di pietra Dalle poche testimonianze locali sappiamo che i Moai furono costruiti, dal XIII secolo in poi, presumibilmente per divinizzare un antenato. Le analisi al radiocarbonio hanno datato le teste di pietra approssimativamente al 400 d.C. ma tale esame è riferito esclusivamente a materiali organici rinvenuti nei pressi delle sculture. L’utilizzo di un materiale fragile come il tufo farebbe propendere per una datazione più recente, in simbiosi con le tradizioni isolane, altrimenti l’azione erosiva dell’oceano ci avrebbe consegnato dei megaliti in pessime condizioni. Lo stesso ragionamento vale per scartare datazioni più remote poiché l’innalzamento delle acque, causato dallo


scioglimento dei ghiacci alla fine dell’ultima era glaciale, avrebbe sommerso molte di queste teste di pietra, di cui avremmo dovuto trovare traccia sui fondali. Rimane emblematico il fatto che molte teste siano state rovesciate e che la costruzione di altre risulti improvvisamente sospesa: tra le plausibili spiegazioni anche un sovvertimento delle credenze religiose con la soppressione dell’antico culto. E’ certo che la disposizione delle statue a volte ricorda i viali di pietra della Bretagna e il cerchio magico di Stonehenge. Somiglianze notevoli si riscontrano, per il taglio e la sistemazione delle pietre pasquensi, anche con un muro rinvenuto a Ollantaytambo e per i copricapo e le facce scolpite che assomigliano ad analoghe messe in luce ad Aija, sempre in Perù. Gli studiosi insistono nel ritenere un’evoluzione indipendente di queste culture ma la prima architettura dell’isola, sorta attorno al 300 d.C. ci ricorda quella della cultura preincaica di Tiahuanaco, con le statue di media grandezza e la presenza di osservatori solari, senza dimenticare che il copricapo a doppio strato è simile a quello della statua di Pachacamac. Circa 8 secoli dopo, appare il classico Moai, appoggiato su piattaforme denominate ‘ahus’, costruite spesso con pietre ricavate dall’abbattimento degli osservatori. Una terza e ultima fase è associata al culto del diouccello, rappresentato da piccole sculture di legno o pietra. Le teste, che riproducono in maniera ossessiva lo stesso modello, lungo la costa sono più antiche poiché mostrano l’erosione del

tempo mentre quelle all’interno sono per lo più intatte, tanto da far pensare ad una realizzazione più recente; furono ricavate dalla pietra vulcanica e la lavorazione avveniva all’interno di una cava predisposta in un cratere estinto. In tutto ne furono costruite 300 mentre altre 400 sono incompiute e giacenti a Rano Raraku: trasportate, anche a distanze considerevoli, lungo le coste con l’eccezione della porzione a Nord-Est, furono issate su piattaforme di pietra, con le spalle rivolte all’oceano e lo sguardo a fissare l’interno. Impressionante la loro altezza, dai 4 ai 10 metri, non da meno il peso di ognuna, che raggiunge le 30 tonnellate e oltre. I costruttori, tanto per complicarsi ulteriormente la vita, issarono sulle teste i “punkao”, dei cappucci di pietra da 10 tonnellate, realizzate con una roccia rossiccia proveniente da un cratere diverso, quello di Puna Pao: questi originari copricapi oggi non sono più visibili sulle statue. Il compianto Thor Heyerdhal, che spese tempo e denaro per capirci qualcosa, era del parere che il trasporto avvenisse con l’utilizzo di cavi fatti di rafia e altre fibre vegetali abbinati a rulli di legno: una volta a destinazione le statue venivano issate mediante piani inclinati costruiti con pietre e sabbia. L’esploratore nel 1955 riuscì a replicare un piccolo Moai alto 4 metri e pesante 10 tonnellate, in 18 giorni, con l’aiuto di una dozzina di nativi, usando come strumenti solamente tronchi e pietre. E' pur vero che, in teoria, gli scultori delle teste di pietra non avrebbero potuto far uso di tronchi poiché la conformazione del luogo, con un sottile strato di terra che ricopre le rocce vulcaniche, non TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

consente il sostentamento agli alberi, ma non possiamo nemmeno escludere, per quanto sia un’ipotesi remota, che il legno provenisse da qualche isola raggiungibile con i mezzi di navigazione dell’epoca. Alcuni ricercatori, studiando i pollini depositati dalla vegetazione nei tre laghi dell’isola, hanno ipotizzato che, diversi secoli fa, Rapa Nui fosse ben diversa da oggi, suggerendo la presenza della palma del Cile; sarebbe stato l’eccessivo sfruttamento dei campi, l’uso indiscriminato del legno delle foreste (per il trasposto delle statue e per la costruzione delle canoe), i numerosi incendi appiccati durante le guerre locali e, non ultimo, l’azione del ratto della Polinesia (che nutrendosi delle noci impedì la riproduzione della palma del cocco) ad averne distrutto l’equilibrio ecologico.

L’ombelico del mondo Circa la fondazione dell’isola, il mito narra del capo tribù Hotu Matùa, che giunse a Rapa Nui da Marae Renga, luogo non meglio precisato, con l’intenzione di salvare lui ed altri sopravvissuti dalla repentina distruzione della terra di Hiva, sommersa dalle acque.


Alla sua morte l’isola restò appannaggio dei figli, che dettero origine ad otto tribù stanziate sulla costa. Gli indigeni hanno sempre considerato la loro terra “TePito-te-Henua”, ovvero “frammento della terra” o “ombelico del mondo”, perché ritenevano che fosse quel poco che restava sul nostro pianeta dopo il diluvio universale ma col tempo la definizione più comune divenne Rapa Nui, “la grande isola”. Oggi si ritiene che questa gente provenisse dalle isole Marchesi anche se c’è chi propende per l’America meridionale, per la Cina e per l’India. Stando ai confusi ricordi degli isolani, a Rapa Nui abitavano due differenti razze, cui abbiamo fatto cenno, e sul finire del XVII secolo la razza sottoposta si ribellò, massacrando gli avversari e abbattendo molti dei Moai. Le due razze dell’isola, così come ci dice la tradizione, appartenevano ad etnie diverse, in ogni caso provenienti, con ogni probabilità, da altre isole o arcipelaghi dell’Oceano Pacifico. Ancora più sconcertante è il colore bianco della pelle e la barba degli originari abitanti dell’isola, che implica origini etniche geograficamente molto distanti. I costruttori dei Moai erano i cosiddetti “Uomini dai Lunghi Orecchi”, che furono poi sconfitti dagli “Uomini dai Corti Orecchi”. Gli indigeni raccontano che i le teste si muovevano grazie al “mana” del mitico capo Tuu-koihu, che faceva letteralmente camminare le statue: è descritta come una forza magica che esercitava il suo potere dall’interno stesso delle statue, apparentemente senza interventi fisici dall’esterno.

Negli anni ’70 del secolo scorso l’etnologo Francis Mazière accertò che questa tradizione era diffusa anche nelle altre isole della Polinesia mentre Hans Nevermann, dal canto suo, si convinse che gli antichi ritenevano che tutto quel che si trovava in terra dovesse avere un corrispettivo in un’altra dimensione e che la forza del “mana” era in qualche modo trasmessa all’oggetto. Una volta posizionate, le statue potevano mantenere questo potere misterioso grazie al “punkao” e agli occhi che venivano scolpiti al termine del trasporto, aprendo due cavità orbitali in cui venivano posizionati coralli bianchi mentre l’iride veniva disegnata con una pietra calcarea rossa. In tal maniera le statue sorvegliavano i venti dell’Antartide, trasmettendo il proprio potere ad una enorme pietra vulcanica rossa che costituiva il limite del triangolo delle isole del Pacifico. La zona dell’Oceano a sud dell’Isola di Pasqua è uno dei dodici punti della terra in cui si producono perturbazioni elettromagnetiche che determinano inspiegabili fenomeni.

L’uomo uccello Sull’isola è stata accertata la presenza di culti assai antichi. Tanto per cominciare quello del dio creatore Makemake, lo stesso immortalato su alcuni petroglifi rinvenuti all’interno delle caverne scovate di recente, che s’incarnava negli uccelli marini e a cui era dedicata la cerimonia degli uomini-uccello, che traeva origine dalla vicina isola Motu Nui. Questa divinità, giunta da molto lontano, avrebbe portato la civiltà sull’isola per poi ripartire. Le incisioni sulla roccia raffigurano l’uomo-uccello che sorregge un uovo, a perenne ricordo di un tempo in cui gli uomini si sfidavano tra loro per raccoglierne il primo, deposto su un isolotto prospiciente.

Quelle strane statuine Tempo addietro sono state rinvenute, all’interno di caverne e grotte d’origine vulcanica come quelle oggi individuate, anche una serie di pietre scolpite e delle statuette di legno “toromuru”. Sono opere stilizzate, dal corpo magro con le costole ben pronunciate, alcune bicefali, altre più realistiche. Sul cranio delle statuine è fissata, con alcuni chiodi, una ciocca di capelli umani. Non sono da meno altri pezzi di pietra vulcanica che rappresentano teste dalle

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


lunghe orecchie o strani animali con teste umane. Le statuine sono il vero mistero di Rapa Nui, anche se all’inizio erano considerate una qualche rappresentazione di scheletri, allegorie della morte o defunti da venerare. Uno studio medico basato sull’analisi delle ghiandole endocrine, le cui caratteristiche sono desumibili dall’osservazione delle statuine, ha portato all’ipotesi che esse rappresentino esseri viventi, anche se nel mondo non ne conosciamo con simili fattezze. L’impressione è che questi uomini si sottoponessero ad una rigida disciplina per cercare di assomigliare ad insetti o ad uccelli, per quanto sia difficile da credere.

Un grande cimitero… La presenza dei passaggi sotterranei può far ventilare l’esistenza di un sistema di comunicazione destinato a collegare le isole di uno scomparso arcipelago, un po’ come per le Hawaii.

Alcuni studiosi, tra quelli più arditi, ventilano l’ipotesi che, milioni d’anni fa, c'era un vasto continente nell’Oceano Pacifico, Lemuria, e l’isola di Pasqua ne avrebbe fatto parte. Anche un altro continente scomparso, Gondwana, che sarebbe nato dalle ceneri di Lemuria, chiama in causa Rapa Nui. Certamente, qui ci perdiamo nelle leggende e non abbiamo elementi sufficienti per suffragare tali ipotesi. Resta il fatto che gli ossari risalenti a tempi immemorabili possono infine suggerire per l’isola una funzione di immenso cimitero ad uso delle terre circostanti, se non un vero e proprio luogo di culto deputato a cerimonie prettamente funebri, forse anche con sacrifici umani. La presenza delle teste di pietra non farebbe che confermare tale ricostruzione. simonebarcelli@libero.it aguw@hotmail.com

Ψ UNA NUOVA RIVISTA ON LINE I nostri complimenti per la rivista on line del CENTRO UFOLOGICO TARANTO, centroufologicotaranto.wordpress.com giunta con questo mese al secondo numero. Riteniamo che questa strada rappresenti il futuro dell’informazione, come già sta avvenendo negli Stati Uniti, ad esempio con la mitica Atlantis Rising. In bocca al lupo (più siamo, meglio è). Ecco il link per sfogliare come un vero e proprio giornale ed ingrandire la rivista del Centro Ufologico Taranto http://it.calameo.com/read/0000944439102cccbf1e2 Per richiedere la rivista in versione Pdf basta inviare una email a centroufologicotaranto@gmail.com Per contattare gli articolisti del Centro Ufologico Taranto Vincenzo Puletto vincenzopuletto1@gmail.com Antonio De Comite antoniodecomite@gmail.com Eugenio Palese eugeniopalese@gmail.com Franco Pavone francopavone1@gmail.com

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Archeologia di confine

pag.29

Intervista a Yuri Leveratto © Simone Barcelli

Simone Barcelli

Qualche mese fa Yuri Leveratto, nel nr. 109 di Hera, ci aveva ragguagliato sulla misteriosa cultura Guane, una popolazione precolombiana dalla pelle bianca, che forse parlava una lingua sconosciuta e le cui origini, al pari di altre, sono tuttora oggetto di acceso TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

dibattito. Nel frattempo, Yuri ha rivolto le sue attenzioni altrove, compiendo incredibili esplorazioni. Per tale motivo abbiamo contattato l’eclettico genovese che vive in Colombia, per saperne di più. Yuri, qua in Italia ti seguiamo grazie ai preziosi


aggiornamenti inseriti con regolarità sulle pagine del tuo sito www.yurileveratto.com La tua figura, per certi versi, ci ricorda quella dei primi avventurieri, quando ancora l’archeologia non poteva definirsi tale, in netto contrasto con quella di molti studiosi di oggi, abituati a fare “ricerca” standosene comodamente seduti. Non pensi di essere un po’ fuori dal tempo? Cosa ti spinge, essenzialmente, ad intraprendere queste spedizioni ai confini del mondo? Qui in Sud America c’è ancora molto da scoprire. I territori sono vastissimi e spesso inesplorati (da un punto di vista archeologico). Sono sicuro che la vera Storia del Nuovo Mondo debba essere ancora scritta: non si sa con certezza quando fu edificata Tiwanacu e neppure quando e come esattamente fu costruita Sacsayhuaman. Le zone “vergini” sono tante e tutte interessanti, bisogna solo andare a scoprirle, sempre con il rispetto verso le popolazioni native e verso animali e ambiente. A mio parere, solo con l’esperienza sul campo, si riesce ad avvicinarsi alla verità, o quantomeno ad aprire nuove strade che possano poi essere approfondite da studiosi specializzati. Come sostenne l’archeologo J.C. Tello, credo che l’origine delle culture andine debba essere ricercata anche in Amazzonia, d’altronde le conclusioni di Betty Meggers e Michael Heckenberger hanno provato che la ceramica più antica d’America viene proprio dall’Amazzonia e risale a circa 3000 anni prima di Cristo.

Tra le tue spedizioni notevoli, troppo spesso passate sotto silenzio, penso di non sbagliare indicando quelle nella giungla del Madre de Dios, con le piramidi di Pantiacolla, e nella valle di Quiaca, con i petroglifi di un’antica civiltà preincaica. Vorrei che tu ne parlassi, brevemente, ai lettori di Tracce d’eternità. Le piramidi di Pantiacolla sono luoghi mitici, sui quali si è fantasticato molto, forse troppo. Si è detto di tutto, persino che furono costruite dagli Atlantidei. Il mio approccio è possibilistico, ovvero non scarto alcuna ipotesi ma le considero tutte, analizzandole senza farmi prendere dall’entusiasmo. Il viaggio fino alla cima di una piramide (la cumbre del condor, come l’abbiamo battezzata), è servito per fare luce su un mito che si era formato fin dal 1975, quando furono fotografate da un satellite degli Stati Uniti. Ho riscontrato, almeno per quella che ho scalato, che è una strana formazione naturale, infatti, sotto una cappa vegetale di circa 40 cm vi è un nucleo di sabbia dura ma friabile. Nella zona non vi è alcun segno di presenza umana arcaica né evidenze archeologiche come pietre lavorate o resti d’edifici. Nel fiume Inchipato (a circa un giorno di cammino dalle TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

piramidi), abbiamo trovato alcuni petroglifi di cultura amazzonica, ma nessun segno che si possa ricondurre alle civiltà andine o anti-diluviane. Per quanto riguarda i petroglifi di Quiaca, a mio parere molto importanti ma purtroppo non valorizzati, si può dire che sono segni riconducibili a culture amazzoniche. In particolare vi sono due “volti”, molto simili a quelli di Pusharo (petroglifi situati all’interno della zona intangibile, cioè chiusa, del parco nazionale del Manu, 8 chilometri in linea d’aria dalle piramidi di Pantiacolla). Ho formulato l’ipotesi che fu la stessa cultura amazzonica, che alcuni ricercatori chiamano Mojos, ad averle intagliate nella roccia proprio per “marcare il territorio”, come simbolo del loro lungo viaggio verso la sierra. Sulla via del ritorno dalla spedizione alle piramidi, ti sei imbattuto in uno straordinario animale, una via di mezzo tra rettile e uccello… In realtà era un hoazin (in Perú viene chiamato chancho, proprio come si denomina il maiale, perchè quello strano uccello emana un odore sgradevole). E’ molto arcaico, nel senso che per certi versi è uno dei più antichi uccelli attualmente esistenti. E’ l’unico uccello “ruminante”, ovvero vomita e quindi ringurgita il cibo che mangia e questo è il motivo dell’odore sgradevole, inoltre ha degli strani artigli nelle ali con i quali si arrampica negli alberi. Nel parco del Manu vi sono molti fossili viventi, come armadilli, formichieri, bradipi, tartarughe arcaiche, che però sono riusciti a sopravvivere


alla pressione dei più moderni giaguari, orsi, condor e arpie.

Per i petroglifi di Quiaca hai avanzato l’ipotesi che gli autori possano essere gli stessi che incisero le facce di Pusharo, a ben 300 km di distanza. Dunque, genti della foresta amazzonica che, in un lontano passato, si spostarono per raggiungere le pianure. Stavano forse fuggendo da qualcosa o qualcuno? Non credo, a mio parere l’Amazzonia subito dopo la fine del diluvio, ovvero la fine dell’era glaciale (11500 anni fa), aveva un clima non così umido e i nativi potevano muoversi più facilmente di adesso in quanto la vegetazione non era così folta e intricata. Penso che viaggiarono verso la sierra per intercambiare prodotti, come coca, ayahuasca, oro e piume d’uccello, con altri per loro inediti: quinua, quihuicha (cereali), maca (potente nutriente usato ancora oggi) e camelidi andini. Alcuni di loro si fermarono nell’altipiano andino: è comprovato che gli Uros del lago Titicaca parlano Arawak, cioè una lingua amazzonica. Sei un’anima indocile e questo l’abbiamo compreso. Scommetto che

hai già programmato un’ulteriore esplorazione… Si, in effetti stiamo preparando una spedizione in grande stile nella zona protetta del Manu, per l’agosto del 2010. Dico “stiamo” perchè siamo un gruppo di 5 persone (due italiani, un archeologo statunitense e due peruviani), tutti interessati alla possibilità di trovare altri resti d’antiche culture (amazzoniche o andine) in una delle zone più remote e inaccessibili del Sud America, il parco nazionale del Manu, appunto.

www.lulu.com

"1542 I primi navigatori dei Rio delle Amazzoni" è il titolo del tuo ultimo libro, già disponibile su lulu.com, che esce a distanza ravvicinata da quello dell’anno scorso, “La ricerca dell’El Dorado” (Infinito Edizioni): è evidente un filo conduttore che ti conduce da tempo sulle tracce di uno dei miti più affascinanti. Stai forse cercando la città sotterranea di Paititi? Nel libro “1542 I primi navigatori dei Rio delle Amazzoni” ho voluto narrare le gesta del primo europeo che percorse il grande fiume, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Francisco de Orellana, e ho tentato di far luce sulla leggenda delle Amazzoni, che a mio parere era veritiera. Inoltre, nella seconda parte ho descritto il mio viaggio lungo il corso del Rio delle Amazzoni, tentando di capire e analizzare le condizioni di vita dei popoli amazzonici purtroppo minacciati da una persistente corsa al cosiddetto “progresso”. Sono infatti all’ordine del giorno le deforestazioni e le minacce all’ecosistema ambientale. Per quanto riguarda il Paititi non nego di essere affascinato dalla possibilitá di fare luce su uno dei più grandi misteri di tutti i tempi. Che sia esistito come luogo dove gli Incas nascosero oro e antiche conoscenze è quasi una certezza: anche la scoperta dell’archeologo Mario Polia lo conferma. Il punto è dove fu costruito e soprattutto quando e da chi fu saccheggiato. Non è affatto certo però che il luogo dove si nascondono le rovine del Paititi si trovi nella zona del parco nazionale del Manu. Alcuni ricercatori peruviani, che basarono le loro ricerche su alcuni testi scritti dopo la conquista spagnola, pensano che il Paititi debba essere situato più a sud-est rispetto al Manu, nella valle del Rio Huari Huari (la cui fonte è proprio il Rio Quiaca e che successivamente viene a chiamarsi Rio Iñabari). In ogni caso la possibilità di trovare resti d’antiche culture, siano esse amazzoniche o andine è molto interessante, sia per fare luce sulla vera storia del Nuovo Mondo, ma anche per valorizzare zone meravigliose che potrebbero presto essere distrutte dalla cieca avanzata “civilizzatrice” della nostra epoca. simonebarcelli@libero.it


Egittologia

pag.32

Da Atlantide a Saqqara © Enrico Baccarini

Enrico Baccarini

Enrico Baccarini è giornalista pubblicista, scrittore e laurendo in Psicologia Sperimentale. Alterna i suoi studi universitari alla profonda passione per i misteri del tempo e dell'uomo interessandosi attivamente di Ufologia, di Enigmi Storici, di Misteri del Passato e degli enigmi della Mente. Da tali interessi è nato il portale che ha voluto appunto chiamare ENIGMA.

Prima di iniziare il nostro viaggio all'interno degli enigmi storici che sembrano ancora sovrastare l'antico Egitto e molti dei suoi più antichi monumenti è bene fare un piccolo passo indietro cercando di rileggere alcuni documenti storici per osservare come questo popolo potesse essere diventato l’involontario depositario di conoscenze perdute tramandate nel tempo attraverso la casta sacerdotale egizia. Fra tutti i popoli del pianeta esistono tradizioni concordanti che manifestano il ricordo di un misterioso continente sommerso. Dal sud America all’Egitto per giungere fino all’India e al Giappone un filo conduttore comune indica come alla fine dell’ultima glaciazione un vero e proprio diluvio sommerse, in modo discontinuo, molte terre emerse del nostro pianeta portando verosimilmente alla distruzione di una civiltà progredita che aveva creato i propri insediamenti lungo le linee costiere delle antiche terre. Le notizie più complete di cui disponiamo sul continente oggi noto con il nome di Atlantide ci vengono fornite da Platone (Atene 428-27, 348-47 a.C.) che la descrisse in due dei suoi più famosi dialoghi, il "Timeo" e il "Crizia".

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Il filosofo greco basa la sua descrizione di Atlantide su quelli che, secondo lui, erano i documenti scritti conservati dai sacerdoti egizi di Sais e i dipinti sulle colonne del tempio. Ecco dunque riportato dal testo del Timeo il dialogo che il legislatore ateniese Solone (638 558 a.C.), un antenato di Platone, ebbe proprio con i sacerdoti Sais: "Molte grandi opere pertanto della città vostra (Atene) qui si ammirano, ma a tutte una ne va di sopra per grandezza e per valore; perocché dice lo scritto di una immensa potenza cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaso insieme l'Europa tutta e l'Asia, venendo fuori dal mare atlantico”. Il Timeo, costituisce la più antica traccia pervenutaci di questa antica civiltà. La discussione prende spunto da un incontro occorso tra Socrate, Timeo, Ermocrate e Crizia che, viene detto, ebbe luogo nel 421 a.C. ad Atene. Il fatto che Platone sia stato il primo a parlare di Atlantide, ha dato alla storia molto credito. Platone è il padre della filosofia occidentale; il suo pensiero è alla base della nostra civiltà ed è per questo che la storia di


Atlantide è più accettabile, perché è arrivata a noi tramite i suoi scritti e non quelli di qualcun altro. Platone scrisse di Atlantide solo negli ultimi anni della sua vita, ma la storia l'aveva ascoltata in gioventù, durante una cena, un resoconto che se veritiero egli deve aver in qualche modo udito di nascosto. Il Convivio, ospitato dallo zio di Platone, era una tradizionale occasione di incontro del tempo, in cui facoltosi e colti uomini greci si incontravano, mangiavano, bevevano, discutevano. Il grande maestro di Platone, Socrate era sempre presente, e forse il giovane discepolo si inserì di soppiatto tra i convitati, approfittando del suo mentore e ascoltò quello che gli uomini stavano dicendo. Il dialogo prende le mosse da un altro dialogo, avvenuto il giorno precedente, riguardante la natura dello Stato ideale, e parla di come Solone, durante un suo viaggio in Egitto, venne a conoscenza di una guerra combattuta molto tempo prima tra gli antenati degli attuali ateniesi e, appunto, gli atlantidei, abitanti di una grande isola-continente situata oltre lo stretto di Gibilterra. Secondo i sacerdoti egiziani che riferirono la storia a Solone, Atlantide sarebbe stata una monarchia molto potente e con tendenze espansioniste, che governava, oltre al continente omonimo, anche una vasta parte dei territori africani ed europei fino all'Egitto e all'Italia. Le sue mire vennero fermate appunto nel corso della guerra con Atene, dopo la quale si verificò un immenso cataclisma che distrusse l'esercito ateniese e fece inabissare in un solo giorno il continente in mare. La storia viene ripresa più in

dettaglio nel Crizia, il dialogo successivo, dove si colloca temporalmente a novemila anni prima di Solone la guerra e si descrive più in dettaglio Atlantide, la sua immensa potenza e ricchezza e la storia delle sue origini. Qui si specifica l'origine divina della monarchia che reggeva l'isola, essendo questa divisa in dieci zone ciascuna retta da un figlio di Poseidone e dai loro discendenti. Inizialmente questi governarono avvedutamente, ma poi a causa della forzata convivenza tra i mortali la loro saggezza venne meno fino a quando Poseidone decise di rimediare alla situazione. Il dialogo attualmente in nostro possesso si interrompe proprio in questo punto, probabilmente perché Platone non lo completò. La veridicità del racconto di Platone venne negata dal suo allievo Aristotele, ma altri nell'antichità lo accettarono come un fatto storico, dando di fatto inizio a un dibattito che continua tuttora. Sostanzialmente le prime novità oltre ai dialoghi platonici iniziarono a comparire nella prima metà del XVI secolo, quando si cominciò a parlare di un'origine atlantidea delle civiltà americane appena scoperte. Nel XIX secolo poi, l'abate fiammingo Charles Brasseur tentò una traduzione di uno dei pochi codici Maya sopravvissuti alla distruzione a opera dei colonizzatori spagnoli. Ne venne fuori la sorprendente descrizione di un grande cataclisma molto simile nel periodo e nello svolgimento a quello raccontato da Platone nei suoi dialoghi. Per inciso, Brasseur indica con Mu il nome di questo continente, sostenendo che si

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

tratti della denominazione Maya per Atlantide. Attraverso successive modifiche si giunse all'interpretazione di James Churchward, nella prima metà del Novecento, che collocò Mu nell'Oceano Pacifico e immaginò Atlantide come una sua colonia. Successivamente le due vennero interpretate come civiltà distinte. Analizzando le argomentazioni proposte sorgono indubbiamente diverse domande e problemi. Prima di tutto non è impossibile che Platone abbia inventato il racconto di Atlantide a scopo illustrativo, riferendolo nonostante tutto come vero. Questa tecnica narrativa è usata dal filosofo greco in altre occasioni nei suoi dialoghi, e viene esplicitamente teorizzata e giustificata per raggiungere lo scopo dell'autore. Questo però non giustificherebbe assolutamente come altri popoli in altri continenti, ad esempio gli Aztechi con il loro continente scomparso di Aztlan, citino elementi e leggende talmente simili da far credere realmente ad un mito dispersosi a seguito di un immane cataclisma in varie parti del globo. Saqqara Da questi antefatti, secondo numerosi studiosi moderni, sarebbe derivata una parte non marginale della misteriosa sapienza egizia tanto affascinante quanto ancora ignota in molti suoi frangenti alla nostra tecnologica civiltà. Imhotep, detentore delle antiche conoscenze, non avrebbe fatto altro che riprendere l'antica sapienza tramandata da questo popolo scomparso per riapplicarla


all'interno della stessa civiltà egizia. La sua figura, in quanto rappresentante della casta sacerdotale egiziana, avrebbe assommato l’antico al moderno e costituendo la ‘memoria’ degli antichi popoli scomparsi al progresso incessante che il regno egiziano aveva dimostrato nei suoi pochi secoli di vita. A questo si aggiunge il fatto che sotto le sabbie e i deserti egiziani sono ancora sepolti migliaia resti testimoni della sapienza del nostro passato. Gli egittologi riconoscono che la sola zona di Saqqara è stata esplorata unicamente per il 10%, sebbene siano state portate alla luce 16 piramidi e circa 6.000 tombe. I grandi centri cerimoniali che s’innalzano sulle rive del Nilo sono i templi tolemaici che segnarono il tramonto di questa civiltà. Sono, invece, pochi i resti dell’Antico Regno portati alla luce, e l’inizio dell’epoca faraonica costituisce ancora un enigma storico. Alla mastaba (sepoltura tradizionale), si aggiungero via via altre sezioni, sino ad arrivare alla forma piramidale a gradoni ideata dal grande Imhotep per il faraone Horo Necerierkhet, più noto come Zoser durante la III Dinastia. Solamente 36 anni più tardi il faraone Snefru aggiungerà a questo tipo di piramide i blocchi di rivestimento, ottenendo così la prima piramide a facciate lisce. Su queste fondamenta, suo figlio Cheope avrebbe costruito la Grande Piramide. La sua forma è il risultato dei cambiamenti apportati al disegno della struttura, che all'inizio consistette in una mastaba quadrata, forse dal soffitto piatto, di 63 m di lato per 9 di altezza.

Partendo da questo progetto, Imhotep trasformò la mastaba nel primo di quattro gradoni di una piramide. In seguito si procedette all'ultimo ampliamento, realizzato ai lati nord e ovest, aggiungendo altri due gradoni, con cui si ottenne la forma definitiva a sei corpi. I lati della base misurano rispettivamente 121 per 109 m. La piramide a gradoni è alta 58,8 m, anche se in origine ne misurava 60. Nella parte sotterranea si trova un grande pozzo di 28 m di profondità e circa 7 di ampiezza, che sbocca nella camera funeraria del re, i cui muri sono costituiti da grandi blocchi di granito. Da qui parte un labirinto di corridoi trasversali che conducono agli appartamenti funerari del re, i quali riproducono le stanze nella residenza reale di Menfi. Quattro di queste sale sono decorate con lastre incastrate nella parete, leggermente convesse, di faïence blu; le loro porte sono adornate con il protocollo faraonicodi Zoser e con steli che raffigurano l'immagine del re mentre celebra la cerimonia dell'HebSed. Sotto queste stanze, si trovano undici gallerie orizzontali utilizzate come tombe per i membri della famiglia reale e anche come magazzini; qui furono rinvenuti i resti di una giovane di 18 anni, vissuta diverse generazioni prima di Zoser, secondo quanto hanno rivelato recenti ricerche. Il tempio funerario, situato a nord della piramide a gradoni e unito al primo di questi, è quasi totalmente distrutto. Vi si accedeva attraverso una porta aperta nel muro orientale del recinto.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

All'interno del tempio un corridoio intricato sboccava in due cortili, uno dei quali permetteva l'accesso a un corridoio che univa il tempio alla piramide. Come i due cortili, le altre stanze della costruzione sono doppie, e rappresentano probabilmente l'Alto e il Basso Egitto. Dal grande cortile cerimoniale al maestro architetto Tutte le costruzioni realizzate da Imhotep, architetto di Zoser, possedettero un preciso significato cerimoniale; il ka del faraone, quella che noi occidentali moderni identificheremo con l’anima, doveva continuare ad adempiere gli obblighi avuti sulla terra per l'eternità. A nord-est della piramide a gradoni si trova il serdab, una piccola camera di pietra, dove venne rinvenuta una statua del re a grandezza naturale e attraverso la quale solo due fori praticati nel muro permettevano alla statua di comunicare con il mondo esterno e il Duat2. 2

Il duat era l’aldilà egiziano, considerato inizialmente come una regione vera dislocata nel cielo e solo successivamente, con la codificazione del mito di Osiride, detto Signore della duat, riposizionato in una località posta sulla terra. Secondo questa dottrina era un’essenza vitale, di natura divina ed immortale, che chiamarono Ka, ad essere estratta dal corpo del Faraone ed inviata nel Duat celeste, ossia la regione della nostra provenienza, dove, unendosi alla forza vivificatrice del Ba, tornava a vivere. Tale spirito celeste, nel tempo, tornava sulla terra per ricongiungersi al corpo del re imbalsamato che si sarebbe svegliato per sempre e sarebbe vissuto con poteri divini, ossia, semplicemente con i poteri che ci conferiscono la scienza e la tecnologia e che non hanno, perciò, nulla di divino.”


Il viaggio nel Duat corrispondeva al percorso che il sole compiva nella 12 ore notturne. I rischi di questo viaggio non comportavano eccezioni di sorta: anche il Sole correva il rischio essere divorato da Apopi. Il sorgere del nuovo sole era qualcosa di più di un miracolo. Apopi ed il Duat erano, in sostanza, l’equivalente del Diluvio biblico. Robert Bauval ritiene che tale struttura prospiciente la piramide di Zoser assolvesse ad un compito più ‘pratico’ nonché religioso, cioè costituire una sorta di osservatorio stellare ante-litteram per puntare e identificare determinate stelle nella volta stellata e legate profondamente con la religione egiziana. Tale struttura assolveva insomma le stesse funzioni che sarebbero andare a rivestire successivamente i condotti definiti di ‘aerazione’ presenti nelle tre piramidi di Giza e solo recentemente identificati come ‘puntatori’ stellari ante-litteram verso la costezione di Orione e del Drago. Sempre a nord-est della piramide a gradoni vi sono la Casa del Sud e quella del Nord, edifici decorati con colonne. Ognuna delle case si può identificare con la pianta tipica di ciascuna regione: il papiro per il Nord e una pianta sconosciuta, ma che potrebbe essere il giaggiolo o il loto dell'Alto Egitto, per il Sud. Nel muro sud del recinto funerario, dopo un pozzo di 7 m di ampiezza e 28 di profondità, si trova la "tomba del sud", comprendente una camera sepolcrale, dove forse furono collocati i vasi canopi. Tra la tomba del sud e la piramide a gradoni, al lato est del cortile, sorgono le cappelle

dell'Heb-Sed, che furono restaurate, come il resto del complesso, dall'architetto JeanPhilippe Lauer; si tratta di costruzioni simulate, senza spazio interno, per avrebbe permesso al ka del faraone di celebrare eternamente la cerimonia del giubileo reale. In questo modo, il ka avrebbe rinnovato il proprio potere, come aveva fatto il sovrano nella vita terrena. L’elemento che forse più di tutti richiama però da millenni la curiosità e il fascino di milioni di uomini sono le piramidi, simbolo immanente e imperituro di un antico potere e di un popolo che hanno lasciato dietro al proprio cammino ancora molti enigmi. Cercare di comprendere il popolo egiziano e i manufatti che ancora si ergono a testimonianza della loro storia implica necessariamente un passaggio obbligato verso coloro, o colui, che fu evocato a eterno maestro della Sacra arte, della segreta conoscenza detenuta dalla casta sacerdotale egiziana, l’architetto Imhotep. Secondo il Kore Kosmou, un trattato del primo secolo appartenente al corpus degli Scritti Ermetici, la grande dea Iside rese noto al figlio Horus che Thoth, dio della saggezza e mago delle parole, conosciuto dai greci con il nome di Ermes, aveva rivelato «… i grandi misteri dei cieli», scrivendoli in libri sacri e nascondendoli in un luogo segreto dell’Egitto perché un giorno potessero essere scoperti «… da coloro che ne sono pienamente degni». Non è giusto figlio mio, che io lasci incompiuto questo compendio; devi sapere che cosa ha detto Ermes (Thoth) quando ha depositato TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

i libri. Così ha parlato: «Voi, testi sacri, scritti dalle mie mani mortali, unti con l’unguento dell’indistruttibilità da Lui che regna sopra tutti, possiate rimanere occultati e celati nei secoli da tutti gli uomini che percorreranno in tutti i sensi le pianure di questo paese (l’Egitto) fino al tempo in cui i cieli gravati dall’età faranno nascere uomini degni di voi». Dopo aver espresso questa preghiera sul proprio lavoro Thoth fu ricevuto nella sede dei luoghi imperituri (ossia morì e salì al cielo). In altre parti del Kore Kosmou viene evidenziato come tali conoscenze costituissero i segreti più profondi di Osiride. A tal proposito si deve ricordare come gli antichi faraoni e i loro dignitari più importanti nelle proprie sepolture, fossero soliti raffigurare sulle pareti del sepolcro non solo scene di vita ma anche veri e propri testi cerimoniali e sacri. Tale fatto non fu sempre una consuetudine ma certamente per un personaggio della caratura di Imhotep, la cui memoria lo avrebbe trasformato nei secoli in divinità, non potremmo che aspettarci un sepolcro istoriato. Non potremmo escludere che forse l’antica leggenda riguardante i testi perduti del dio Thoth, ovvero dei segreti custoditi dal leggendario architetto del faraone Djoser, potessero essere stati custoditi assieme a lui nel suo eterno riposo.


Gli antichi documenti3 ci confermano che nell’antichità il suo sepolcro era noto, ma la sua locazione fu dimenticata nei secoli e ancora oggi costituisce uno dei più importanti insoluti dell’egittologia moderna. L’ubicazione della tomba sembra comunque, fuori di ogni dubbio,essere proprio a Saqqara, nelle vicinanze di quella piramide a gradoni che lo rese ancor più immortale nel tempo. Il Professor Karol Mysliwiec, in una lettera data 24 ottobre 19964, a seguito di alcuni sondaggi effettuati proprio nella piana di Sakkara, si era detto sicuro che la tomba dell’Architetto reale si trovasse proprio in questa zona, sepolta dalla sabbia e dal tempo nonché dimenticata dagli annali e dalla storia. Imhotep oltre ad aver rivestito un ruolo fondamentale nell’evoluzione culturale e religiosa dell’antico regno egiziano ha, nel tempo, acquisito un ruolo altrettanto unico presso tutti quei ricercatori, definiti ‘eretici’, che ricercano gli antichi misteri del popolo egizio. Studiosi come Graham Hancock o Robert Bauval vedono tale personaggio come il depositario o il continuatore di antiche tradizioni appartenute a un continente scomparso e tramandate attraverso la rigidissima casta sacerdotale egiziana. e.baccarini@gmail.com The Harper's Lay, ca. 2000 BCE Song from the Tomb of King Intef, c. 2000 BCE, Donald Mackenzie, Egyptian Myth and Legend, pp.246f, [1907]. http://www.reshafim.org.il/ad/egypt/ texts/harpers_lay.htm 3

4

L’ULTIMO LIBRO DI ENRICO BACCARINI

Editoriale Olimpia, 2006, Euro 15,00. www.edolimpia.it Tutti sanno che esiste una Firenze mondialmente riconosciuta come capitale della cultura e dell’arte. Non tutti sanno però che c’è anche una Firenze occulta e misteriosa. La città dello studiolo di Francesco I de’ Medici e dei suoi esperimenti alchemici, della Massoneria medievale e degli spiriti del Salone dei Cinquecento, del tetro Savonarola e del Canto de’ Bischeri. E ancora dei misteri cifrati nei dipinti e nei manoscritti, delle torture atroci e infernali del Bargello, di Dante e degli esoterici Fedeli d’Amore, delle disavventure di Cecco D’Ascoli e di quelle di Pico della Mirandola, delle confraternite e degli eretici. Un itinerario misterioso dove ogni via, ogni casa, ogni androne, mostra ironico al turista la sua ombra e gli nasconde geloso il suo significato. Un viaggio che da Firenze mano a mano si svolge, per gironi danteschi, lungo tutta la Toscana: San Galgano e la sua leggenda, lo sfuggente fiume Diana e la Chimera, le visioni e i visionari, Lazzaretti e i fantasmi vaganti a Montaperti, i labirinti etruschi e l’enigmatica città di Luni. Fatti, paure e sensazioni che impregnano di sé la terra e gli uomini. Foschie o vaghe nebbie che salgono lente alla memoria da questa terra arcana e misteriosa.

http://xoomer.alice.it/francescoraf/he syra/cached/Mysliwiec1996.htm TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Ufologia

pag.37

Ufo: una possibile realtà © Roberto La Paglia

Roberto La Paglia

Roberto La Paglia, oltre ad essere giornalista freelance, è scrittore e ricercatore. Mente fervida, alimentata da un intenso ed inesauribile desiderio di ricerca, attraverso le sue opere, accompagna i lettori in un viaggio verso l'ignoto, guidandoli nei meandri più nascosti delle dottrine occulte ed esoteriche. Uno dei suoi ultimi libri è “Archeologia Aliena” (Ed. Cerchio della Luna, 2008).

Tentare di stabilire con esattezza cosa siano gli Ufo è stato, e continua ad essere, il cruccio di moltissimi ricercatori, e non solo. Provando a confrontare il dettaglio delle testimonianze al fine di verificarne l’attendibilità, spesso ci si ritrova ad ammettere quella che potrebbe essere definita “la realtà dell’impossibile”; se infatti sarebbe logico, e in alcuni casi anche dovuto, nutrire dubbi su testimoni occasionali, dobbiamo ammettere che molti dei resoconti redatti da astronomi, astronauti e scienziati non possono essere attribuiti a fervide fantasie o voglie di protagonismo. Si tratta di testimonianze rilasciate da uomini abituati ad osservare, a vivere in stretto contatto con i misteri dell’universo e le leggi della fisica, sono quindi racconti di uomini che conoscono il proprio lavoro e che non avrebbero motivo di esprimersi in un certo modo se non coscienti di trovarsi di fronte ad eventi che vanno oltre le loro stesse conoscenze. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Si tratterebbe quindi di oggetti fisici, solidi, che interagiscono nella nostra dimensione lasciando spesso evidenti e inesplicabili segni del loro passaggio; un veivolo che sfonda l’asfalto sul quale atterra, un Ufo che lascia tracce corrispondenti a pesi di circa trenta tonnellate; non si tratta certo di fantasie, le illusioni ottiche non lasciano tracce fisiche, soprattutto di questo genere. Nel luglio del 1972, a Washington, un Ufo venne raggiunto da una raffica di mitra; i proiettili produssero il classico rumore metallico derivante dall’urto, il colore argenteo del veivolo passò nella frazione di qualche secondo al rosso brillante e un frammento si staccò cadendo al suolo. Le analisi condotte sul frammento da Wilbert Smith, dei servizi Canadesi, rilevarono una composizione di ortosilicato di magnesio, ovvero migliaia di sfere da quindici micron; nessuna illusione ma una solida e possibile realtà, forse nuova per il nostro mondo ma di sicuro


così antica da vantare tecnologie per noi assolutamente futuristiche. Le prove fisiche di questa impossibile realtà sono molteplici: il 14 dicembre del 1954, a Campinas, in Brasile, un Ufo in evidente difficoltà lascia sfuggire un filo di liquido argenteo; anche in questo caso gli esami risultati inaspettati, 90% di stagno e 10% di sostanze non identificate, oltre che una assenza di ferro e di antimonio che rappresentano le impurità normali nello stagno di origine terrestre. Nel 1957 un Ufo esplode sopra la baia di Ubatuba, nei pressi di Rio de Janeiro; Luisa Barbosa del laboratorio di produzione mineraria brasiliano esamina prontamente i resti raccolti nell’acqua da alcuni testimoni, i risultati riveleranno del magnesio allo stato puro. Questi resoconti, e molti altri ancora, parlano di fatti che si integrano perfettamente con il regno della materia, malgrado l’osservazione visiva spesso non coincida o sia frammentaria, come nel caso della descrizione di fenomeni nebulosi che però con le nuvole vere e proprie hanno poco da spartire. Basti pensare al fenomeno osservato nel 1952 negli USA e nel 1954 in Francia: una manifestazione nebulosa di vaste dimensioni, di forma allungata, luminoso la notte, verticale in posizione di arresto, inclinato in

movimento, che sembra emettere o assorbire uno o più oggetti a forma di disco. Rileggendo queste testimonianze è difficile non pensare alla famosa colonna di nubi che guidava gli Ebrei mentre lasciavano l’Egitto e durante il loro lungo cammino nel deserto. Questa diversità di osservazioni evidenzia una seconda difficoltà riscontrata nello studio delle testimonianze, cioè la diversità delle forme valutate a seconda del punto di vista dell’osservatore. Una vecchia rivista francese pubblicò un “decalogo” in merito che, malgrado ormai datato, risulta essere comunque ancora valido per un primo approccio testimoniale; in base a quanto riportato le peculiarità intrinseche di un Ufo dovrebbero, bene o male, corrispondere alle seguenti caratteristiche: • Forma di due dischi uniti per i bordi • In rotazione lenta se il volo è stazionario, considerevolmente veloce un attimo prima del decollo • Congegno luminoso sormontato spesso da una sorta di cupola • Luminoso con gradazioni che vanno verso il rosso arancio; la luminosità è debole quando il veivolo si muove adagio, mentre aumenta velocemente quando si muove. • In volo stazionario l’Ufo oscilla alternativamente da una parte all’altra, con un TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

movimento molto simile a quello di una foglia morta. Lo stesso accade quando si trova in discesa verticale. • Gli Ufo non fendono l’aria come farebbe un normale aereo; non presentano quindi al vento il loro profilo più aerodinamico. In realtà si inclinano in direzione del senso di marcia, visto anche che la cupola è sempre rivolta in questa direzione Così come esistono prove concrete della materialità degli Ufo, a queste è possibile anche aggiungere una vasta casistica di “effetti collaterali” che possono essere spiegati soltanto se la causa è estranea a qualsiasi forma di interazione umana conosciuta. Gli organismi umani e animali sono, ad esempio, estremamente sensibili a questi contatti; gli uomini che si sono trovati esposti alle luci emanate da un Ufo hanno spesso lamentato casi di bruciature estremamente gravi, molto simili a quelle che produrrebbe una lampada ad acetilene. Soprattutto le luci di colore blu, ricordate da molti testimoni, risultano molto nocive, producendo casi di paralisi parziale che comunque spariscono abbastanza in fretta, lasciando come strascico una invincibile tendenza ad addormentarsi che invece dura parecchi mesi. Gli animali invece intuiscono più rapidamente dell’uomo l’eventuale presenza di un Ufo; nel caso


di avvistamento registrato a Exeter i cani vennero colti da vere e proprie crisi di pazzia, mentre i cavalli scalciavano e si impennavano parecchi minuti prima che accadesse l’evento. Altre situazioni “rivelatrici” sono poi gli scompensi termici e magnetici: nel 1954 uno Starfire decollato dalla base di Griffiss, (New York), si avvicinò ad un oggetto dalle dimensioni enormi, immobile vicino ad una nuvola; improvvisamente il reattore dell’aereo entrò in panne, la cabina di pilotaggio divenne un inferno di calore e gli aviatori dovettero abbandonare il veivolo.

Sempre nel 1954, a Rovigo, un Ufo atterrò per pochi minuti; durante i pochi minuti di sosta sei pioppi che si trovavano vicini all’oggetto vennero completamente calcinati, mentre a decollo avvenuto rimase sul terreno un cratere dal diametro di circa sei metri, come se la terra fosse stata sollevata in alto da un aspiratore gigantesco. Anche in questo caso parlare di allucinazioni collettive è abbastanza difficile, sarebbe forse meglio prendere atto che qualcosa di fisico si muove da tempo sopra di noi, qualcosa di materialmente tangibile, capace di

Roberto La Paglia

Misteri sconosciuti d’Italia

interagire con il nostro pianeta e con i suoi abitanti. A volte accettare determinate realtà non è facile, comporterebbe la necessità di sovvertire molte di quelle leggi che rendono tranquillo e sereno il nostro quotidiano, ma allo stesso modo, a volte, la realtà stessa può rivelarsi la più appassionante fantasia che sia mai stata realizzata. sargatanas@tin.it

Approfondimenti: Jacques Pottier Gli Ufo e la guerra dei mondi

Misteri sconosciuti d’Italia si pone come vera e propria guida oltre che per il turista dell’insolito, anche per il ricercatore sempre a caccia di nuovi enigmi. Dopo l’esperienza divulgativa di Archeologia Aliena, Roberto la Paglia continua a mantenere viva l’attenzione su quei misteri poco conosciuti, ma non per questo altrettanto importanti e degni di attenzione da parte dei ricercatori. Inizia così un lungo e affascinante viaggio che tocca tutta Italia, un percorso che non mancherà di stupire il lettore, magari sorpreso nell’apprendere che uno dei tanti misteri descritti si trova proprio nel suo paese, nella sua città. Dalla Porta Alchemica alle case infestate, dalla Pesatura delle Anime al Museo dell’Oltretomba, l’autore ci accompagnerà attraverso notizie, curiosità e fatti storici che non sempre hanno trovato spazio nelle bibliografie ufficiali, rimanendo spesso confinati nelle tradizioni orali.

www.cerchiodellaluna.it

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Documenti

pag.40

I Codici di Nut e lo Zodiaco di Denderah © Monica Caron

Monica Caron

Il mio lavoro si basa sulle osservazioni e intuizioni che mi vennero studiando i dipinti della Dea Nut e dello Zodiaco di Denderah. Le mie sono solo idee e per questo devono essere verificate per attestare la loro veridicità ed il loro valore scientifico, ma, se come credo, il risultato sia affermativo, ci troveremmo davanti ad una scoperta a dir poco eccezionale.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Ora vi spiegherò per gradi i particolari. La Dea Nut era la raffigurazione della volta celeste, veniva anche chiamata la Mucca Sacra, Hathor. Generò Iside, che gli Egizi solevano anche chiamare Sothis o Sirio, che come sappiamo è la stella “dell’arco”. Nel dipinto Nut crea un Arco, e genera Iside.


Anche la Mucca crea con le quattro zampe un arco. Nella parte superiore, cioè sul corpo della Dea, si vedono cinque sfere rosse. Ce ne sono anche altre due, di cui la più importante è quella che rappresenta il disco alato, che possiamo identificare con la divinità Iside-Sothis. Questa sfera, nasce dal ventre della Dea e tramonta (entra) dalla testa, “nasce ad Est e tramonta a Ovest”. Sirio-Sothis scompariva “nel Duat”, o mondo sotterraneo, e quindi non era più visibile nel cielo notturno per un periodo di 70 giorni. Dopo questo periodo si rendeva di nuovo visibile. Per questo amatissima, la sua comparsa non segnava soltanto l’inizio dell’anno, ma annunciava anche l’imminenza dell’inondazione del Nilo. Si riteneva che in questo periodo Sothis fosse morta e che quindi si stesse purificando. Solo dopo la sua ricomparsa si festeggiava la rinascita. In totale le sfere sono sette. Questo particolare potrebbe voler far notare e sottolineare questo periodo. È stato scoperto che la tribù dei Dogon nello stato del

Mali, si tramandava questa antica conoscenza. Il sistema di Sirio è composto da Sirio A-B-C. Sirio A è la stella principale, Iside. Sirio B, detta Digitaria, la possiamo associare ad Osiride. Orbita attorno a Sirio, perpendicolare al suo orizzonte. È la più piccola ma anche la più pesante. Impiega un periodo orbitale di 50 anni. Sirio C, detta anche Emme ya, Sole delle Donne o Piccolo Sole, Sorgo femmina, è quattro volte più grande di Digitaria, ma anche più leggera. Emette raggi e ruota attorno ad A per un periodo di 50 anni. Ha un suo satellite che le ruota attorno, detto Stella delle Donne, Capraio o Guida delle Capre, Guida del Sorgo, e viene disegnata come una croce (Gesù veniva raffigurato come un pesce e.. non era un pastore di pecore? Uno dei Nommo, si dice, morì crocifisso all’albero Kilena, e venne resuscitato). La tribù dei Bozo nel Mali, che è affine ai Dogon, descrive Sirio B come la “stella dell’occhio e gli Egizi, come sappiamo, rappresentavano Osiride anche come un occhio. Iside nei cieli era la stella Sept, in quanto tale era ritenuta la compagna di Osiride. L’anima di lui dimorava nella stella Sahù, cioè Orione di cui fa parte il

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

sistema della costellazione del Cane Maggiore.

La sfera davanti alla testa, appare anche di fronte alla punta che ricorda la prua di un’imbarcazione. Si vede chiaramente il taglio trasversale, proprio per dare la parvenza di una barca. Come si vede, ci sono 5 omini con i remi, di cui quello centrale si distingue per il copricapo. Gli antichi templi egizi erano orientati sul sorgere della stella Canopo, che dava il nome ad un’antica città egiziana, il cui nome deriva dal comandante della flotta Menelao. Veniva identificato come l’uomo che stava al “remo di governo della nave principale della flotta”. Entrambi i rematori hanno in mano un remo, ma visto che i remi sono 5, chi ha fatto il dipinto ha pensato bene di mettere a fianco 10 tacche per rendere evidente il numero 50. Questo numero corrisponde al numero dei rematori dell’imbarcazione celeste, che ricorda la mitica imbarcazione con a capo Giasone e i 50 Argonauti, la nave degli Annunaki o addirittura Enki, che nel mito sumerico compare sempre nella sua dimora in


fondo all’Abzu, o Abisso di acqua dolce.

Fu proprio Enki ad avvisare e consigliare al proto-Noè dei sumeri, dell’imminente catastrofe che incombeva sull’umanità, e a far costruire un’arca, prima del diluvio. Nelle pagine storiche, il proto-Noè libera dall’arca degli uccelli, per far si che vadano in cerca di terra asciutta, proprio come fece il Noè ebraico (e il mitico Giasone, affinché trovassero la via attraverso le Rupi Erranti). Il Dio Enki veniva associato a Oannes, il misterioso pesce umano, creatura anfibia, detto anche il Signore delle Onde. L’unico disegno originale degli scavi di Kouyunjik – in Iraq – tuttora conservato al British Museum, rappresenta una scultura del Dio che regge una cesta misteriosa. Anche l’uccello del dipinto sembra portare a tracollo la stessa cesta. La foto non è troppo chiara ma il particolare è più visibile dall’originale.

Anche nella tradizione Dogon abbiamo degli esseri anfibi, metà uomo metà pesce. Il Dio dell’universo Amma, inviò questi esseri sulla Terra: i Nommo, detti “Patroni dell’Acqua”, i “Consiglieri” o gli “Istruttori”.

La sede dei Nommo è nell’acqua. Ciò corrisponde alla tradizione babilonese, in cui il dio Ea, come il sumerico Enki, viveva in acqua e veniva a volte associato a Oannes. Scesero sulla Terra su di un’arca, che approdò a nordest del paese, l’Egitto, nella arida terra della Volpe. A nord le Pleiadi, a est Venere, a ovest la Stella con la Grande Coda, a sud Orione. Ne uscirono dei “quadrupedi” che la trascinarono fino ad una TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

cavità, poi la cavità si riempì d’acqua. Essi descrivono anche il suono dell’atterraggio. “Mentre scendeva, la parola del Nommo uscì dalla sua “bocca”. “L’arca era rosso fuoco e quando atterrò divenne bianca. In cielo era apparsa una stella luminosissima, che scomparve quando i Nommo se ne andarono”. Secondo la leggenda i Nommo ritorneranno: ci sarà una loro “risurrezione”, e in cielo apparirà una stella detta ie pelu tol, rappresentata come “l’occhio del Nommo risorto”. Interessanti queste similitudini nella tradizione del Dio Osiride.

Nella figura sopra c’è un disegno Dogon per rappresentare lo sfiatatoio, del sistema respiratorio del Nommo. Non ricorda “l’occhio” o “la bocca” di questo Dio? Sempre vicino alla testa di Nut, c’è un occhio con il remo, forse per indicare i rematori, o visto che l’occhio rappresenta anche Osiride, volevano sottolineare che lui governava la barca? Era un Nommo?


Infatti nel dipinto sotto c’è Osiride con le tre Dee vicine. Nell’antico Egitto l’imbarcazione di Sirio trasportava tre dee, che sono Iside-Sothis (chiamata anche Anukis) che navigava nel vascello insieme a Satis e Nefti. I Dogon dicono che "il periodo di tempo dell'orbita è calcolato doppio, cioè 100 anni, perchè i Sigui si celebrano in coppia di 'gemelli', per insistere sul principio base della gemellanza". Le due Dee nel dipinto si assomigliano. La cerimonia del Sigui, a cui si allude, simboleggia il ritrovamento del mondo e si celebra ogni 60 anni.

La “scala che porta fino al cielo”, la Scala Celeste, nel riquadro in alto, come riportato nei testi sacri del Duat, il faraone doveva raggiungerla “nella Casa dei Due”, entrare nell’Amen-Ta,

dove non vi è corrente… né alcuno che lo trascini. Tempo fa con degli amici facemmo un esperimento. Uno di noi, dal peso di 95kg, si sedette su di una sedia. In quattro affiancati a lui, con le mani unite e le prime 3 dita distese, provammo a sollevarlo. Due dal davanti sotto le ginocchia, gli altri due sotto le ascelle. Impossibile! Si sollevò si e no 25, 30 cm dalla sedia. A quel punto iniziò l’esperimento vero e proprio. Mettemmo le mani sulla testa del nostro amico seduto, senza toccarla e, andando in senso antiorario, ci intervallammo con le mani di ognuno di noi, fino a sovrapporle entrambe e formare sopra la sua testa, una torre. Ci concentrammo col nostro chakra 6, o terzo occhio, per qualche minuto su di lui. Provammo a risollevarlo: se non ci fossimo dati un freno avrebbe sicuramente perso l’equilibrio e sarebbe caduto per terra. Lo avevamo sollevato di quasi un metro! Mi accorsi chiaramente della differenza di peso, sembrava diminuito di 50kg. Questo esperimento vi invito a provarlo, è molto L’omino ci indica la stella. divertente e poi la dice lunga Questi girati al contrario che sui nostri campi fanno l’imposizione delle morfogenetici o dell’energia mani, sono molto del punto zero. importanti. Quindi se come penso è Nella sesta ora o sezione giusto, gli “Egizi” del Duat, l’imbarcazione di conoscevano bene l’uso Osiride è ora dotata di dell’imposizione delle mani, poteri magici.. e viaggia nella levitazione la terra di Seker, il Luogo Nascosto, e con la voce ottenere il permesso di entrare. “La Bocca della Terra si apre per te.. la Porta Orientale del cielo è aperta per te”. Notate Osiride nel mezzo del dipinto. Sopra la testa c’è una bocca aperta. Dove si trova la scala ci sono “due”vascelli, la Casa dei Due. Una era la barca diurna m’ndt, l’altra, la barca notturna msktt , trainata da sciacalli sulle sabbie del mondo sotterraneo. Gli sciacalli sono sotto, davanti ai 6 omini che fanno l’imposizione delle mani.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


antigravitazionale, per sollevare i grandi massi granitici delle piramidi o per spostarsi con le loro imbarcazioni, lungo le linee geodetiche della terra. Nella mitologia sumerica troviamo Nibiru, il pianeta degli Anunnaki, che secondo la storia riportataci, starebbe ritornando verso la Terra, come ha sempre fatto nel passato. Negli ultimi decenni si è ipotizzata, attraverso un modello matematico, l'esistenza di un corpo celeste oltre il Sole che con la sua enorme mole gravitazionale influirebbe sull'orbita delle comete passanti per l'estrema periferia del sistema solare. Denominato pianeta X, presenta una massa tre volte superiore a quella di Giove ed un'orbita contraria a quella degli altri pianeti. Ma perché credono che questo misterioso astro corrisponda a Nibiru? Proprio per il dato appena riferito: la storia ci parla del pianeta degli Dei come di un enorme corpo celeste con orbita contraria rispetto ai nostri (gli omini sono girati al contrario). Gli studiosi ipotizzano che, se anche non fosse un pianeta, Nibiru comunque potrebbe essere una nana bruna: una stella più piccola del Sole, incapace di emettere luce e collassata su se stessa dopo aver esaurito l' energia contenuta nel proprio nucleo. Nibiru, viene rappresentato come un disco alato e le sfere dipinte sul corpo della

dea Nut sono rosse: sarà una coincidenza? I Sumeri ci svelano che avrebbe una perfetta orbita ellittica che lo farebbe entrare ed uscire dal nostro sistema solare ogni 3.600 anni. Può quindi venire considerato appartenente al nostro sistema solare, sebbene risulti invisibile per lungo tempo. Orbiterebbe tra due soli, il nostro ed uno esterno che ne costituirebbero i perigei.. Sirio? Ora invertiamo il dipinto di mezzo giro in senso antiorario..

dell’elicottero, ad un tratto si vede come se la ruota girasse nel verso opposto. Perché dico questo? Guardando con attenzione i 36 codici, “casualmente”, ve ne sono 6, come il numero degli omini al contrario, che coincidono con 6 tacche (bianca-nera-bianca), della decorazione affiancata. A questo punto non vi viene in mente niente? Con 6 codici esatti, si possono trovare le coordinate spaziali su di una sfera o nello spazio vuoto. Ma bisognerebbe avere dei punti di riferimento. Ora ci arrivo.

Sulla destra ci sono 36 tacche, che per semplificare chiamerò codici. Non sembrano una scala a pioli? Fino qui può non dir nulla. Ma se osserviamo attentamente, vicino a questi codici c’è una decorazione ornamentale che diventa di estrema importanza. Questo disegno ricorda la colorazione della pelle del serpente corallo. Rossa-bianca-nera-biancarossa-bianca-nerabianca…ecc. Gli Egizi tenevano in grande considerazione questo animale. Se si fa girare velocemente una ruota o le eliche

Attraverso un cancello sorvegliato a vista, il faraone passa nella settima sezione: qui tanto le divinità quanto l’ambiente circostante perdono i loro aspetti sotterranei e cominciano ad assumere caratteristiche celesti. Il faraone incontra il dio Heru-her-khent, dalla testa di falco, il cui nome geroglifico comprendeva anche il simbolo della scala e portava sulla testa l’emblema del Disco Celeste. Egli aveva il compito di fare in modo che gli “dei-stelle e le dee-costellazioni andassero per la loro strada”

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


(seguissero le proprie orbite). Nel Libro dei Morti, la Scala Celeste veniva anche raffigurata con il segno dell’Ankh e arrivava simbolicamente fino al Disco Celeste nei cieli. Se osserviamo il primo codice, quello principale, notiamo che ha inciso sopra come primo simbolo Ankh, che significa vita.

direzione antioraria da seguire. Il primo codice al lato destro è molto lungo. Se con i 36 codici creiamo un cerchio, questo verrebbe a toccare il suo opposto, il 18, che dividerebbe in 2 il nostro “emisfero”. Nel dipinto dello zodiaco ci sono 2 segni bianchi che finiscono a punta, forse per indicarci proprio dove coincidono questi 2 codici e darci i punti di riferimento principali.

Nella prima foto, c’è una sfera bianca con 8 omini seduti dentro. I 50 grandi Dei sumerici, gli Annunaki, sono sempre seduti, analogamente i rematori sacri, gli Argonauti sono raffigurati a sedere mentre vogano. Nello Zodiaco di Denderah Secondo i Dogon le figure troviamo 8 divinità maschili divine che fondarono la con la testa di prima città egizia erano 8. falco, e 4 femminili. La Togunà, la Casa della In tutto sono 12. Parola ha il tetto sorretto da Sicuramente volevano farci 8 colonne. pensare al cielo. Quindi se possiamo pensare Poi è così evidente, nel che questa sfera indichi disegno si vedono l’arrivo degli Dei sul nostro chiaramente le costellazioni. pianeta, questo potrebbe Queste divinità sorreggono il essere il punto di partenza Grande Disco Celeste. per i nostri calcoli e ci indicherebbero anche la

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Anche questi 2 simboli coincidono e quello della tavoletta sumera ha sotto inciso una sfera. Forse è solo una coincidenza. Nel dipinto dove si trovano Osiride e le Dee, come si


vede, si possono contare 19 omini sopra e 18 sotto. Gli Egizi costruivano i reticoli fondandoli su 19 quadrati, perché sapevano quale ruolo svolge in tutte le questioni riguardanti tempo e spazio. Invertendo i numeri si dovrebbe trovare il rapporto 18/19 che deriva dal tracciato geometrico consistente nel formare un pentagono inscrivendolo in un cerchio. Pentagono e pentagramma sono in rapporto stretto con il Phi e la Sezione Aurea. Quindi bisognerà sviluppare i calcoli con questi 6 codici tenendo in considerazione lo sviluppo con la Sezione Aurea, così da confermare l’effettiva esistenza del decimo pianeta Nibiru e della sua rotta o trovare la prova che gli antichi Egizi, Sumeri, Babilonesi, e la tribu dei Dogon, avessero la stessa conoscenza sull’esatta collocazione del pianeta Sirio B. Bisognerà tenere anche in considerazione la posizione delle costellazioni nel dipinto di Denderah per trovare l’effettivo periodo che rispecchia il dipinto.

Da qui in poi io non sono in grado di fare da sola, avrò bisogno dell’aiuto di studiosi di astronomia e ricercatori che, per puro spirito di conoscenza e curiosità intellettuale, abbiano volontà e capacità di proseguire con lo sviluppo delle mie idee. Tempo fa feci un sogno molto significativo che non sto a raccontarvi tutto. In sintesi vedevo una cartina che diventava una sfera. Qualcuno mi mostrava 8 punti. So che i 2 principali rappresentano il Nord e il Sud. Mi fanno vedere come li collegano e da questo schema appare il dorso di un cavallo. Ho trovato un riferimento nel libro di Robert Temple, Il Mistero di Sirio, (prima edizione del 1998), pag. 232: “…in un’altra impresa di Ercole…l’eroe andò in cerca della cintura di Ippolito…. Rileviamo che Ippolito significa, “liberare i cavalli”…. La parola hippopede, che significa “pastoie di cavallo”, viene usata in modo peculiare, in senso cosmico. Scott e Liddell riferiscono che fu l’astronomo Eudosso… ad usarla per definire la curva descritta da un pianeta.”

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Questo di seguito è uno schema sintetizzato dello Zodiaco. Abbiamo i 360° suddivisi in 12 parti da 30°: partendo dal segno bianco nella parte alta, dove c’è il cerchio, si inizia a posizionare il primo codice, così via fino al trentaseiesimo. Quelli evidenziati, cioè il 6,13,20,25,27,32, sono quelli che bisognerà tenere in considerazione per i nostri calcoli. Potrete tener conto della sezione aurea per lo svolgimento dei calcoli di trigonometria sferica, però di questo non sono sicura è da provare visto il suggerimento nel dipinto; io non ho proprio la più pallida idea di come procedere, anche perché a me mancano gli studi.

Spero di potervi essere stata utile per quel poco che ho suggerito. Fatemi sapere qualcosa, anche se pensate di non poter concludere niente. monica.caron@yahoo.it Note Tutta la mia ricerca si è basata sullo studio di ricercatori come R. Temple, Z.Sitchin, J.A.West, G Hancock, Bouval ecc. che con il loro lavoro, mi hanno aiutato a trovate i riferimenti per le mie intuizioni.


Ufologia

pag.47

Il pilota cosmonauta Pavel Popovich e gli UFO © Paul Stonehill e Philip Mantle Paul Stonehill e Philip Mantle

Philip Mantle is an international UFO researcher, lecturer and broadcaster. He is the former Director of Investigations for the British UFO research Association and currently lives in West Yorkshire, England. He can be contacted on email philip@mantle8353.fsworld.co.uk

Paul Stonehill is originally from the Ukraine but he now resides in the USA. An international author, lecturer & broadcaster he can be contacted via e-mail at rurcla@hotmail.com

Il 30 Settembre 2009, Pavel Romanovich Popovich è scomparso all’età di 79 anni, in Crimea, Ucraina, in seguito ad un ictus. Fu il primo cosmonauta ucraino nella storia, sempre orgoglioso del suo retaggio, e amò sempre profondamente la sua terra natia. Per due volte nella sua vita fu insignito del premio Eroe dell’Unione Sovietica, la più alta onorificenza ottenibile nella vecchia URSS, premiato personalmente o collettivamente per atti eroici nel suo servizio per lo Stato e per la società sovietica. Ricevette molti altri riconoscimenti. Il generale maggiore dell’Aviazione, il pilotacosmonauta P. Popovich, insieme a Vladimir Ajaja, fu al

tempo stesso un rappresentante del MUFON in Russia. Pavel Popovich era molto rispettato da tutti quelli che lo conoscevano. Era descritto come una persona, gentile, gradevole e rispettabile, sempre pronto ad aiutare gli altri. Aveva inoltre uno spiccato senso dell’umorismo. La sua vita si intrecciò con la controversia tematica della ricerca ufologica in Unione Sovietica dopo il 1978 e (dopo la caduta del regime comunista e dell’Unione create dopo la rivoluzione bolscevica) in Russia. Il padre di Pavel era un povero contadino, in seguito un fuochista, e lavorò per tutta la sua vita in una fabbrica di lavorazione dello zucchero. Il ragazzo, che patì dure condizioni di carestia nell’Ucraina negli anni ’30, e gli orrori dell’occupazione nazista diversi anni dopo, non aveva probabilmente mai immaginato che avrebbe finito per pilotare navette spaziali; né che un piccolo pianeta gli sarebbe stato intitolato. Ma guardando alla sua vita, appare chiaro che il cielo lo ha praticamente chiamato a sé. Popovich nacque nella regione di Kiev il 5 Ottobre 1929. Era un ragazzo forte e robusto, ma durante la carestia del 1933 in Ucraina soffrì di rachitismo. Sopravvisse.


Nel 1941 la sua città, Uzin, fu occupata dalle truppe tedesche. Pavel imparò il tedesco dall’ufficiale nazista aquartierato in casa Popovich: l’ufficiale lo colpiva sulle mani con una cintura quando Pavel non rispondeva in Tedesco. Il ragazzo si vendicava tagliandogli le gomme dell’automobile e sabotando granate. Ma imparò il tedesco, e questo lo aiutò in seguito, quando si iscrisse al college. All’età di 20 anni si laureò in ingegneria edile e ricevette anche un brevetto di pilota da una scuola privata amatoriale. Popovich proseguì la sua istruzione in un istituto aeronautico. Al momento del suo diploma, nel 1954, Popovich si unì alla Soviet Air Force; nel 1960 fu ingaggiato in un team di cosmonauti sovietici. Pavel Popovich si sottopose ad un addestramento completo di volo spaziale a bordo della navicella “Vostok”. Popovich era il cosmonauta “numero quattro” nella storia del volo spaziale umano. I tre antesignani, Gagarin, Titov e Nikolayev erano già scomparsi. Yuri Gagarin e Pavel Popovich vissero sotto l’occupazione nazista, e questo avrebbe potuto renderli indegni dell’onore di essere cosmonauti sovietici (il destino di chi ebbe la sventura di vivere in territori occupati era molto triste; molti venivano marchiati come traditori, e spediti ai GULAG)… Il KGB impiegava molti mesi per studiare le biografie di ognuno dei futuri cosmonauti; ma qualcuno deve aver avuto il coraggio di guardare oltre il fatto che i due giovani fossero vissuti sotto il giogo nazista durante l’infanzia, e fu loro

consentito di proseguire l’addestramento.

Il modulo di lancio del Vostok

Compì il suo primo volo spaziale a bordo della navetta “Vostok 4” nell’agosto del 1962. In seguito, Pavel Popovich fu addestrato per un volo spaziale sotto l’egida del programma di ricerca Soviet Moon. Ma dopo che il programma fu chiuso, Popovich fu sottoposto all’addestramento per i voli a bordo delle navette “Soyuz”. Come risultato, volò nello spazio una seconda volta come pilota capo della navetta “Soyuz-14” nel luglio del 1974. Poche persone sapevano che questo era un volo speciale: era parte del programma sovietico per l’uso militare della tecnologia di esplorazione spaziale, ovvero il loro programma Guerre Stellari. Il nome in codice di Popovich era Berkut-1 (Aquila d’oro). Dopo aver attraccato con la stazione orbitale Salyut 3 (questo era un nome in codice per la stazione da battaglia segreta Almaz-2), Popovich e il suo ingegnere, il colonnello Artyukhin, avevano condotto operazioni di intelligence militare. Avevano potenti attrezzature ottiche e all’infrarosso, 14 speciali macchine fotografiche, e perfino un cannone da 30 TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

mm. Uno di questi obiettivi era di catturare la stazione American Skylab con tre astronauti a bordo. Un altro progetto vedeva entrambi testare nuovi moduli alimentari per i voli spaziali (ad entrambi piaceva il nuovo cibo). Gli americani avevano un soprannome per Popovich: l’Aggressore. I cosmonauti avevano spedito i loro rapporti alla Terra in speciali capsule, creando così il primo dispaccio remoto dallo spazio. Ma il programma fu successivamente chiuso. Popovich continuò la sua formazione, e tra il 1980 e il 1989 ricoprì il ruolo di vice-capo del Centro di Addestramento per Cosmonauti “Y. Gagarin”. In seguito, nel 1993, fu promosso al rango di Generale Maggiore in riserva dell’Aviazione. Presidente dell’associazione ufo Nel 1990, fu fondata la prima organizzazione pubblica ufficiale di ricerca sugli UFO. Il nome era SOYUZUFOTSENTR, ovvero la All-Union Ufological Association. Il suo responsabile era V. Ajaja, un ex ufficiale di marina, di bordo su sottomarini, e un infinitamente paziente ricercatore indipendente UFO e conferenziere. Il suo presidente, Pavel Popovich, dichiarò chiaramente in interviste che diresse la AllUnion UFO Association su richiesta esplicita dei suoi amici, ricercatori UFO. Non si considerava un esperto nel campo dell’ufologia. Ma era determinante nell’aiutare coloro che cercavano di fare ricerca in tal senso, benché in maniera


indipendente, o come parte del programma segreto sovietico. La sua autorità e reputazione nella vecchia URSS favorì molto gli sforzi di Ajaja a mantenere la sua organizzazione a galla e in grado di sopravvivere nella burrascosa e turbolenta realtà della Russia del dopo-1991.

Popovich e il Setka: un programma segreto sovietico di ricerca sugli ufo Una brusca intensificazione dell’attività UFO nel 1977-1978 (specialmente il Caso Petrozavodsk) costrinsero diversi dipartimenti all’interno dell’Accademia delle Scienze dell’URSS ad intraprendere un programma di ricerca sui fenomeni atmosferici anomali. Il nome in codice per questo programma era SETKA-AN (Akademii Nauk Set’--Academy of Sciences Net, or AS-NET). Il Ministro della Difesa sovietico intraprese un programma simile, denominato SETKA-MO (Ministerstva Oboroni Set’). Stando a quanto si dice, fu la Commissione MilitareIndustriale ad ordinare questa ricerca. Questa potente Commissione decise di creare due centri di ricerca UFO, uno all’Accademia delle Scienze URSS, l’altra al

Ministero della Difesa dell’URSS. Entrambi i centri cooperavano nella ricerca e si scambiavano informazioni. Ma non ne siamo completamente certi; ci sono state notizie dalla Russia che Yuri Andropov, il direttore generale del KGB dal 1967 al 1982, e Segretario Generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica dal 1982 al 1984, era parecchio interessato al fenomeno UFO (precisamente in uno dei casi investigati dai ricercatori del SETKA). Aveva abbastanza potere per avviare la creazione del programma segreto. Così, alla fine del 1978, la ricerca sui fenomeni anomali dell’Accademia delle Scienze URSS divenne l’argomento di uno specifico programma di ricerca designato come SETKAAN. Le sue funzioni erano ripartite tra molti dipartimenti, ed un certo numero di istituti di ricerca sovietici dell’Accademia delle Scienze URSS ricevettero incarichi di ricerca su diversi aspetti del tema dei fenomeni anomali. Il primo atto del SETKA-AN fu la definizione ufficiale di “fenomeni atmosferici anomali” per descrivere il termine proibito “UFO”. Le catene censorie sul tema UFO furono rimosse nel 1989. I compiti ben definiti del SETKA ebbero un impatto incredibilmente efficace. La “Commissione Accademica” fece del suo meglio per dimostrare che non c’erano UFO, ma soltanto errori nell’osservazione dei lanci missilistici, o al limite, fulmini globulari. Il SETKA-AN fungeva da efficace copertura, sviando l’attenzione dai lavori del Ministero della Difesa, il cui TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

SETKA-MO pare essere stato più rigoroso nelle sue investigazioni che non il gruppo accademico. Nonostante la disinvoltura del SETKA ci furono occasioni in cui i “fenomeni anomali” condussero a lanci non autorizzati di missili, e in altre occasioni, l’apparizione di UFO durante esercitazioni militari implicò disfunzioni negli equipaggiamenti e l’interruzione delle comunicazioni radio. Nel 1981, il programma di ricerca SETKA fu rinominato GALAKTIKA, e nel 1986 il nome fu modificato in GORIZONT MO e AN. Dopo la fine del programma (subito dopo il colpo di Stato fallito comunista, antiGorbaciov del 1991, sebbene il colonnello Kolchin, un noto ricercatore UFO russo, menzionasse l’anno 1990), un gruppo di esperti rimase nel Dipartimento di Fisica Generale e Astronomia dell’Accademia delle Scienze URSS dove analizzarono i rapporti in arrivo fino al 1996. Le argomentazioni scientifiche sulla natura degli UFO erano l’ultima delle preoccupazioni della ricerca militare; al contrario, essa si interessava particolarmente all’ipotesi degli UFO come manifestazioni di civiltà aliene. Più di tutto, il loro interesse verteva sull’impatto del fenomeno UFO sulla tecnologia militare e sulle truppe; questo impatto potrebbe essere imprevedibile. Volevano decisamente sapere come usare le caratteristiche degli UFO per le proprie necessità militari. Nel 1984 Vsevolod Troitsky, corrispondente dell’Accademia delle Scienze URSS, istituì una commissione per studiare i fenomeni anomali.


Precedentemente, nel 1982, aveva pubblicato un articolo (Volume 10, sulla rivista Nauka i religiya o Science and religion), dove descriveva complessi fenomeni anomali (nell’atmosfera, idrosfera e spazio) che erano stati osservati e verificati, ma non spiegati, e che necessitavano di ulteriori ricerche, per il bene della scienza e della società umana. Ci sono due opinioni circa l’origine e gli scopi delle commissioni. Secondo un accreditato ricercatore russo, Yuri Stroganov, lo Stato sovietico tentò di promuovere il rango dei suoi informatori attraverso la creazione delle cosiddette “commissioni per i fenomeni anomali”. Le commissioni, secondo Stroganov, si dimostrarono un altro sforzo efficace nel carpire informazioni da diversi strati della popolazione. Per via dei precedenti tentativi di copertura contro il fenomeno UFO da parte dell’Accademia delle Scienze, i testimoni oculari non erano particolarmente entusiasti all’idea di contattare rappresentanti di una qualsiasi organizzazione di Stato. Le neonate “commissioni per i fenomeni anomali” erano viste come organizzazioni di “azione indipendente”, in ogni caso, e ciò contribuì a formare un certo clima di fiducia. La gente le credeva indipendenti, quando in realtà queste commissioni erano a loro volta coperture per nascondere un forte interesse da parte del governo a raccogliere informazioni e ricerche riguardo gli UFO. Stroganov collegò queste commissioni al SETKA-MO. Le commissioni comparirono per la prima volta cinque anni prima della rimozione del

segreto sulle informazioni UFO nell’URSS, e durante la loro esistenza, tutte le informazioni raccolte vennero, stando ai loro membri, registrate e raccolte all’interno di computer. Non fu mai spiegato che fine abbiano fatto in seguito questi dati. Il vice-direttore della Commissione dominante per i Fenomeni Anomali non era altri che il rinomato cosmonauta sovietico Pavel Romanovich Popovich. Secondo Stroganov, Popovich fece una dichiarazione sorprendentemente improbabile alla prima conferenza della AllUnion Ufological Association, di cui era Presidente. Popovich dichiarò ai convenuti di essere un uomo con scarse competenze nel campo dell’ufologia. Inoltre affermò che il suo ruolo sarebbe stato di semplice cuscinetto tra l’Associazione e lo Stato. Comunque, Popovich agì in accordo con le sue parole. Era un uomo umile che aveva aiutato molta gente; e, come aveva dichiarato nelle sue interviste, non un esperto di ufologia. Secondo Popovich, la maggior parte delle informazioni sui fenomeni anomaly veniva dai military e dai piloti, gente equilibrata e fidata. Tra i rapporti ce n’erano molti senza senso, ma altri erano molto importanti storicamente. I dati sugli UFO iniziarono ad essere raccolti dai tempi della II Guerra Mondiale. Durante la Battaglia di Kursk, gli aviatori sovietici e i testimoni a terra osservarono misteriosi oggetti in cielo. I piloti dell’Aviazione statunitense avevano incontrato un oggetto dalla forma di sigaro che emetteva raggi accecanti intorno a sé, costringendo i piloti a catapultarsi fuori, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

abbandonando gli aerei. Popovich rivelò questo il 10 aprile del 2009, in un’intervista al portale web ucraino DonbassUA. L’episodio di Kursk è descritto in dettaglio in Mysterious Sky: Soviet UFO Phenomenon. Un altro punto di vista è quello di Mikhail Gershtein, il principale ricercatore russo sugli UFO. Egli scrisse nei suoi libri (come Tayni prishel’tsev I NLO, 2006, S. Pietroburgo, Russia) che nel febbraio del 1984, per decisione del VSNTO (All-Union Council of Scientific Technical Societies), fu creata una Commissione Centrale per i Fenomeni Anomali (agendo nell’ambito del Comitato VSNTO per i problemi ambientali). Il direttore era il Membro Corrispondente dell’Accademia delle Scienze URSS, V. Troitsky, e i suoi assistenti erano Membri Corrispondenti della stessa Accademia, N. Zheltukhin, G. Pisarenko dell’Accademia Ucraina delle Scienze, e il Generale Maggiore dell’Aviazione, il pilota cosmonauta P. Popovich. C’erano altre personalità di spicco (A. Mordvin-Shodro, un ufologo sovietico e un ufficiale militare; gli scienziati I. Lisevich, N. Petrovich, L. Gindilis e E. Ermilov; avevano contribuito alla ricerca sugli UFO nell’Unione Sovietica, in un modo o nell’altro). I giornali sovietici Trud, Sovetskaya Rossiya, Izvestiya, e Sotsisalisticheskaya Industriya pubblicarono informazioni sulla Commissione, ed interviste con i suoi capi. I compiti e gli obiettivi furono dichiarati, e l’indirizzo cui spedire segnalazioni e altro materiale fu pubblicato


(101000, Moscow, Post Office, POB 764). Secondo Gershtein, la Commissione era nata perché chi era al comando della ricerca accademica del programma SETKA fondamentalmente si liberò dei veri entusiasti della ricerca UFO. Restarono soltanto gli artisti della copertura insieme agli specialisti militari provenienti da istituti militari segreti. Gli entusiasti dell’ufologia andavano controllati, e doveva esser loro permesso di lavorare solo su progetti assegnati, e non doveva essere consentita alcuna fuga di notizie. Il programma GALAKTIKA, come un potente aspirapolvere, aspirò tonnellate di informazioni, ma nulla trapelò mai. Né gli ufologi non militari, né quelli militari ricevettero mai alcuna spiegazione coerente. Perfino quando un fenomeno insolito avrebbe potuto essere spiegato come un lancio missilistico, la risposta non era mai diretta, perché in quegli anni tutto era coperto da segreto militare. I demistificatori del SETKA-AN avevano ragione nel dichiarare che la maggior parte degli avvistamenti UFO potevano essere facilmente spiegati dall’attività tecnologica umana, e che non più del 10% erano autenticamente “non identificati”, ma avevano decisamente torto nel dichiarare che tutti gli altri oggetti osservati (facenti parte di quel 10%) non potevano ricondursi ad oggetti concreti ma a qualche altro fenomeno. Sbagliavano anche nel dire che sebbene non conosciamo cosa effettivamente solchi il cielo sopra le nostre teste, qualunque cosa sia non è certamente di origine extraterrestre.

Inoltre questi demistificatori gettavano costantemente discredito su tutti gli ufologi amatoriali, vale a dire i ricercatori “non ufficiali”, indipendenti che iniziarono ad unirsi sotto l’egida di famose riviste e società tecnicoscientifiche di quegli anni. Ma questi entusiasti dell’ufologia non si scoraggiarono, e iniziarono ad evitare l’Accademia delle Scienze, preferendo avvicinare direttamente i coordinatori militari del programma GALAKTIKA-MO. L’iniziativa di creare la Commissione fu appoggiata dai ricercatori militari, stanchi delle attività infruttuose dei demistificatori accademici. Ovviamente la Commissione doveva includere anche quelli che avevano lavorato al Ministero della Difesa (TenenteGenerale G. S. Legasov e Tenente-Generale V. P. Balashov). Ecco quindi come la Commissione nacque. E Pavel Popovich giocò un ruolo in tutto ciò, sebbene a causa della segretezza e del suo giuramento, non abbia mai rivelato tutto ciò che sapeva. Per quanto riguarda “vere anomalie” fu Popovich a rivelare ai giornalisti alcuni esempi. Il 29 maggio 1984, il giornale Trud pubblicò un articolo di V. Vostrukhin dal titolo Chto zhe eto bilo? Popovich aveva detto all’autore di un caso avvenuto il 27 marzo 1983 a Gorky (investigato dalla sezione di Gorky della Commissione). Era un oggetto che transitò nell’area dell’aeroporto della città. I radar dell’aeroporto segnalarono l’oggetto ma non riuscirono a identificarlo. L’altitudine dell’oggetto non andava oltre un chilometro, e la

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

velocità era circa di 180-200 km/h. Il testimone (il Controllore di Volo A. Shushkin) che aveva osservato l’oggetto disse che aveva più o meno le dimensioni della fusoliera di un aereo IL-14. Ma non c’erano ali. Era un “sigaro”. Il colore era grigio chiaro, metallico, e si spostava lentamente nel cielo. Il fenomeno durò circa 40 minuti. Alla distanza di 30 o 40 chilometri in direzione nord-est dall’aeroporto i radar lo persero. Ma Shushkin in seguito corresse Pavel Popovich e disse che l’UFO in realtà apparve sulla città il 28 marzo 1983, volando ad un’altitudine di 400-600 metri, e scomparve 10 secondi dopo essere stato avvistato. Un altro, per certi versi più drammatico, episodio avvenne nel gennaio del 1978, e fu segnalato sul giornale Sotsialisticheskaya Industriya il 6 agosto 1984 (nell’articolo Zagadki nebesnikh yavleniy di I. Mosin). Popovich aveva detto all’autore che durante il volo dello YAK40 sull’area tra i due insediamenti Medveahye e Nadim, l’equipaggio notò qualcosa di rotondo; un corpo estraneo molto luminoso che si avvicinava rapidamente, e poco dopo comparve proprio di fronte all’aereo. Di minuto in minuto le dimensioni dell’oggetto crescevano. Quando l’impatto sembrava ormai imminente, l’oggetto si impennò verso l’alto proprio di fronte al muso dell’aereo, non causando alcun danno. I files ufo del KGB Il 24 ottobre 1991 una cartella di documenti (soprannominata la Cartella Blu) fu inviata all’ex-


cosmonauta sovietico Pavel Popovich, l’allora Presidente della All-Union Ufological Association in Russia. Popovich sollecitò il KGB a divulgare l’informazione. Fu il Secondo Comitato Direttivo del KGB (Controintelligence), o piuttosto il Decimo Dipartimento interno al Comitato (Controllo delle attrezzature di difesa), a ricevere informazioni sugli UFO da un certo numero di fonti, compresi gli informatori. Questi dati (124 pagine di testo stampato) contenevano copie di segnalazioni UFO inviate al KGB. Una lettera di accompagnamento fu scritta dal Vice-direttore del Comitato per la Sicurezza di Stato dell’URSS, N. A. Sham. I dati consistevano in segnalazioni scritte a mano, testimonianze, e note degli informatori del KGB, schizzi e testimonianze oculari di UFO. Questa collaborazione tra i ricercatori UFO e il KGB non aveva precedenti e rappresentò una pietra miliare nella ricerca UFO dell’Unione Sovietica e possibilmente mondiale. La lettera di accompagnamento, allegata al pacco, recitava così: “Comitato della Sicurezza di Stato URSS, 24.10.91, num. rif. 1953/III, al compagno Popovich Caro Pavel Romanovich: Il Comitato della Sicurezza di Stato non è impegnato nella raccolta ed analisi delle informazioni sui fenomeni anomaly (i cosiddetti Oggetti Volanti Non Identificati). Nello stesso tempo le informazioni sui casi di osservazione di tali fenomeni arrivano al KGB dell’URSS da varie organizzazioni e cittadini. Le inviamo una copia di questo material.

Vice-presidente del Comitato N. A. Sham. ” Anni dopo, in un’intervista, Sham dichiarò che il KGB non era impegnato nella ricerca sui fenomeni anomali (indicò il programma SETKA come l’ente responsabile di tali ricerche; “è solo che alcune amministrazioni, alcuni dipartimenti speciali, se avessero a che fare con testimoni oculari di ciò che stava succedendo nell’atmosfera… acquisirebbero spiegazioni e materiale per lo più scritto a mano che veniva spedito lì, che descrivevano ciò che avevano visto (fenomeniP.S.), cosa avevano provano durante (avvistamenti-P.S.); descrivevano il contesto dell’evento, e così via”. Per maggiori dettagli, si veda l’articolo di Philip Mantle “The Real KGB UFO Files”. (http://www.ufodigest.com /news/0308/kgb.html). Il giornale Chetvertoye izmereniye i NLO (volume 2, 1998, Yaroslavl, Russia) pubblicò un interessante articolo scritto da Vladimir Ajaja in risposta alle critiche secondo cui egli avrebbe tenuto segreti i dati sugli UFO al pubblico, tra le altre cose. Nell’articolo Ajaja riportò che nel 1993 (sic-P.S.) il KGB, basandosi su una richiesta di Pavel Popovich, che era allora il presidente della Ufological Association, inviò all’organizzazione guidata da Ajaja circa 1300 documenti collegati agli UFO. Tra di essi le segnalazioni di agenzie ufficiali, comandanti di unità militari, ed informazioni spedite da singoli privati. (Che Ajaja stesse descrivendo lo stesso insieme di documenti di 124 pagine di informazioni inviate a Pavel Popovich dal KGB nel 1991?

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Molto probabilmente!-P.S.). Secondo lui, il Lyubyanka (cioè il KGB) si stava liberando di “inutili rompicapo”, e gli ufologi russi stavano così ampliando i loro database di conoscenze sugli UFO. Popovich e l’ufo-crash di Roswell Uno serio sforzo nello studio cooperativo del fenomeno UFO e della condivisione di informazioni fu avviata nel 1991. La Joint American-Soviet Aerial Anomaly Federation (JASAAF) fu fondata in quell’anno, grazie agli sforzi del dott. Richard Haines. I co-firmatari del documento di fondazione della federazione includevano il Mutual UFO network, il centro J. Allen Hynek per gli Studi sugli UFO, e il Fondo per la ricerca sugli UFO, in America. Nell’URSS i co-firmatari erano l’All-Union Inter-branch Scientific and Coordinative UFO Center (SOYUZUFOTSENTR), e l’Istituto di Ricerca Scientifica per lo Studio dei Fenomeni Anomali. I co-direttori erano Vladimir Ajaja a Mosca, e il dott. Vladimir Rubstov a Kharkov (o Kharkiv, come è nota oggi) in Ucraina. Haines, uno scienziato NASA in pensione, ha viaggiato diverse volte in Unione Sovietica. La Federazione doveva essere un ponte per i ricercatori seri di entrambe le nazioni. In realtà, la Federazione tradusse e pubblicò alcuni dei lavori di Felix Zigel, e creò un imponente incartamento relativo ai fenomeni UFO, comprendente frammenti di informazioni e articoli dall’URSS (alcuni di essi tradotti).


Nel 1992, su richiesta del dott. Haines, Pavel Popovich, all’epoca alla guida della AllRussian Ufological Association, contattò due Ministri russi riguardo ai documenti di Roswell. Il dott. Haines voleva scoprire se gli archivi sovietici contenessero documenti relativi all’incidente di Roswell. Le risposte che Popovich ricevette furono insolitamente rapide rispetto agli standard della burocrazia sovietica. La sua lettera al Ministero della Difesa della Federazione Russa era datato 8 giugno 1993. La risposta del Ministero della Difesa era datata 17 settembre 1993. Veniva detto che gli ufficiali dell’Archivio Centrale del Ministero della Difesa avevano condotto una ricerca del materiale cui Popovich era interessato. Non avevano trovato alcun materiale su Roswell. La seconda risposta venne dal Ministero per la Sicurezza della Federazione russa, ed era datata 14 settembre 1993. Non fu scoperto alcun materiale documentario sul caso di “piatti volanti” precipitati nell’area di Roswell, USA, nell’anno 1947. L’intelligence sovietica era piuttosto attiva negli Stati Uniti negli anni ’40, e l’Incidente di Roswell (qualunque cosa fosse precipitata lì) avrebbe attirato la loro attenzione. In Mysterious Sky: Soviet UFO Phenomenon, abbiamo descritto il presunto interesse di Stalin all’evento, e la pila di documenti e libri che egli mostrò ai suoi più validi scienziati delle cui opinioni sul fenomeno UFO aveva bisogno. Ovviamente le risposte ricevute da Popovich non significavano nulla. È possibile che il materiale su Roswell sia nascosto in archivi

chiunque altro, e giocò un ruolo importante nello sviluppo dei programmi spaziali sovietici e russi. In seguito il cosmonauta raccontò una leggenda all’intervistatore. Moltissimo tempo fa esisteva un pianeta gigante vicino alla Terra; era più grande di Saturno. Era abitato da una civiltà molto avanzata. Alcuni autori di fantascienza chiamano questo pianeta Rivelazioni Fetonte, altri Moonah. I suoi abitanti sapevano usare Dopo ogni intervista Pavel l’energia termonucleare, e Popovich doveva firmare uno usavano la Terra come campo di speciale documento in cui prova. dichiarava che non avrebbe Purtroppo avvenne una tragedia rivelato alcun segreto di Stato. e un’esplosione distrusse quel Non disse mai tutto quello che pianeta. sapeva, era pur sempre un Le armi nucleari possedute dalle militare, e ligio al suo grandi potenze terrestri giuramento. potrebbero distruggere il nostro Nell’agosto del 2006, Pavel pianeta almeno duecento volte. Popovich rilasciò un’intervista Ciò è quanto sarebbe successo al Bul’var Gordona, una rivista all’altro pianeta. Ucraina (volume 31[67]). Un frammento di Moonah Contrariamente a molti altri cadde all’interno del campo cosmonauti, che evitavano la gravitazionale terrestre, ne fu risposta, quando fu interrogato catturato, e divenne la Luna. a proposito dell’esistenza di L’onda d’urto dell’esplosione altre forme di vita intelligente ruotò l’asse terrestre di 90 nell’Universo oltre agli esseri gradi, e ciò produsse la grande umani, Popovich rispose, Inondazione (Diluvio). evidenziando che si trattava Ciò fu confermato durante della sua opinione personale. l’esplorazione dell’Antartide, in Anni prima, Konstantin cui furono scoperti resti di Tsiolkovsky dichiarò che non alberi di palma, coccodrilli e siamo soli nell’Universo. Inoltre, da dove venivano tutti i così via. Lo stesso Moonah fu scagliato litoglifi rappresentanti persone nello spazio esterno, ma in in tute spaziali? Per coloro che non lo sapessero, seguito decelerò e la civiltà su di Konstantin Tsiolkovsky fu un un esso non perì. Popovich ripetè che ciò che vero visionario, filosofo e pioniere dell’astronautica che fu raccontò era solo una leggenda, ma anche che diversi anni affascinato dagli avvistamenti prima dell’intervista aveva letto UFO. di calcoli scientifici relativi ad Persona profondamente un pianeta gigante all’orlo religiosa (fatto messo a tacere estremo del Sistema solare, non nell’URSS), teorizzò molti aspetti dei viaggi spaziali umani visibile a causa della distanza. Se la leggenda era nata molto e della propulsione missilistica prima di questa scoperta decine di anni prima di più remoti; che ci sia un tentativo congiunto dei governi della Russia e degli Stati Uniti per nascondere questi documenti; o una spiegazione più banale: un avido ufficiale russo potrebbe semplicemente aver venduto i documenti nei giorni torbidi della Russia dei primi anni ’90. Ma Popovich tentò di scoprire se i documenti fossero o no negli archivi russi.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


scientifica, potrebbe forse essere basata su fatti concreti? Popovich rivela quindi informazioni interessanti. Racconta che gli abitanti di Fetonte o Moonah probabilmente visitano la Terra di tanto in tanto. La loro base intermedia si trova nell’area di Saturno, ed hanno tre basi sulla Terra. Una di esse è ubicata sulle Ande, un’altra nelle profondità dell’Oceano Indiano, e la terza sull’Himalaya, e sarebbe la famosa Shambala. La base delle Ande fu abbandonata perché la civiltà umana le si avvicinò troppo. Analizzando accuratamente i diari di bordo delle navi che attraversano l’Oceano Indiano, si potrebbero trovare appunti come: “Un oggetto ardente è entrato in acqua”, “Un oggetto infuocato è appena emerso dall’acqua”… Sì, hanno una base sottomarina sul fondo dell’Oceano Indiano. Come sappiamo, i seguaci di Nicholas Roerich sono convinti che egli sia stato a Shambala, ma sebbene molta gente abbia cercato di scoprirla, nessuno c’è mai riuscito. Una spedizione sarebbe partita, e quindi tornata un mese dopo sul sito della partenza. Come per il caso spaziale, non si riscontrano anomalie da lì. Quando fu interrogato dall’intervistatore sul motivo per cui gli esseri intelligenti dell’Universo, simili agli umani, non tentino di comunicare con noi, Popovich riferì la sua opinione, e cioè che non siamo ancora pronti per il contatto. E “loro” hanno ragione. Il cosmonauta dichiarò che sebbene abbiamo apparentemente trovato un linguaggio comune con le formiche, ed addomesticato gli animali, non siamo stati in grado di trovare un accord tra

noi stessi (come umanitàPM/PS). Quindi “loro” comunicheranno con noi quando saremo “maturi” a sufficienza per il contatto. Nell’intervista, Pavel Popovich ricordò l’avvistamento UFO che ebbe nel 1978. Era a bordo di un aeroplano in volo da Washington a Mosca. L’altitudine era di 10500 metri. Sedeva accanto al finestrino. Popovich ricordò che sebbene non avesse nulla su cui fissare l’attenzione a parte nuvole e oceano, qualcosa lo costrinse a continuare a guardare. Lo fece, e per poco non gli uscirono gli occhi dalle orbite: a circa un chilometro e mezzo dal suo aereo e circa 10 gradi più in alto (come stimato da lui e da altri), Popovich vide un triangolo isoscele bianco. Il cosmonauta gridò, urlò all’equipaggio. Il radar di bordo non registrò nulla, come nulla fu registrato a terra. Ma anche l’equipaggio osservò l’oggetto, e stimarono che il suo lato misurasse circa 100 metri. L’oggetto non ricordava alcun velivolo noto; non esistevano velivoli simili, aggiunse Popovich. Si spostava rapidamente; l’aereo volava alla velocità di circa 1000 km/h, mentre l’oggetto era circa una volta e mezzo più rapido. Questo oggetto volante li superò facilmente, e balzò in avanti, e rimase nel loro campo visivo per un minuto. Nemmeno loro, professionisti, riuscirono a capire cosa fosse quell’oggetto. Abbiamo studiato un certo numero di fonti per quest’avvistamento. Abbiamo determinato che Popovich era un membro della delegazione dell’Accademia delle Scienze URSS, di ritorno da Pittsburgh, dove avevano TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

partecipato alla conferenza internazionale Gagarin Readings. C’erano a bordo accademici sovietici che osservarono anch’essi gli strani oggetti. In un’altra intervista (al giornale ucraino FAKTY, 2001), Popovich disse che l’avvistamento avvenne a metà degli anni ’70, e che la velocità dell’aereo era approssimativamente di 900 km/h, mentre l’oggetto viaggiava a circa 100 km/h. L’oggetto scomparve dalla vista dopo aver superato l’aereo. Quando fu intervistato da Ultra, una rivista finlandese, nel 1993 (volume 5), Popovich disse che l’UFO da lui avvistato era trasparente, e che l’altitudine era di 12000 metri; l’anno era il 1978. Comunque, ciò potrebbe essere dovuto a traduzioni inaccurate. Non potè dire se il suo avvistamento fosse in realtà un’arma segreta in fase di test, sebbene il 90% di questi avvistamenti di solito lo sia. Popovich non volle discuterne. Ripeteva che stava soltanto riportando la sua opinione. Ci sono molte domande a cui gli esseri umani non sanno dare risposte, e ci si può imbattere in misteri nella vita di tutti i giorni. Fece un esempio: cosa genera i fulmini globulari? Sappiamo che si tratta di bolle di plasma, ma non si decompone, in qualche modo sta insieme, si mantiene intatta, e può avere le più svariate dimensioni, da pochi centimetri a dozzine di metri. I fulmini globulari si comportano molto stranamente: possono volare attraverso il pannello superiore di una finestra, spuntare dalle prese elettriche, volare per la stanza, quindi allontanarsi o esplodere. I colori sono i più vari, possono


perfino essere completamente neri. Nessuno conosce la loro natura, ma annualmente si generano circa 11000 fulmini globulari. Ci sono così tanti fenomeni che non siamo in grado di spiegare. Il livello della nostra scienza non ha ancora raggiunto il livello (tale da poter spiegare tali fenomeni – PM/PS). Dovremmo quindi stupirci se gli extraterrestri ci evitano? Pavel Popovich diceva di non credere in alcuno dei “contattisti” (gente che afferma di avere vissuto contatti con extraterrestri), nessuno di loro. Per la maggior parte dei casi, questa gente vuole soltanto avere un ruolo nella storia, esserne parte, stare in TV. Leggono libri, e iniziano a proferire palesi idiozie. Quando si cerca di deviare un po’ dalle loro storielle predefinite o contestarle, cominciano ad atteggiarsi, dicendo “Non voglio più parlare con lei!” (Nell’intervista del 2001 a FAKTY Popovich disse che il 95% di tutto ciò che è stato scritto sugli UFO andrebbe cestinato. Inoltre, aggiunse che durante il suo soggiorno a Star City, un gruppo di scienziati da Nizhny Novgorod andò a incontrare i cosmonauti, e dichiararono che esiste un altro Sistema Solare, identico al nostro, che ruota esattamente ad un angolo di 90° rispetto al piano di rotazione del nostro). Nella stessa intervista a Bul’var Gordona a Popovich fu chiesto se lui, un pilota e cosmonauta totalmente formato in una società atea (talvolta in modo militante), credesse in Dio. Rispose che in primo luogo, era stato battezzato. In secondo luogo, nel 1974, durante un volo con il cosmonauta Artyukhin, capì che c’è qualcuno che a suo

tempo creò le stelle al di fuori del portello della sua navicella, la Luna, e gli altri pianeti. Quando si ammira uno spettacolo simile, si capisce quanto ogni cosa sia infinita. Popovich ricordò un pensiero che gli passò per la mente in quel momento: “qualcuno l’ha creato, e qualcuno dirige tutto questo”. Chi ha creato le leggi della meccanica celeste? Tutto ciò che noi facciamo è usarle, capirle, spiegarle. Ecco perchè pensò a Dio. Non importa come lo si chiami, esiste un Creatore di Tutto. Conclusione Il suo matrimonio con Marina Popovich, una aviatrice coraggiosa e intelligente, pilota collaudatrice, scrittrice, ricercatrice UFO e scienziata militare che sognava di diventare cosmonauta, avvenne dopo 30 anni di vita insieme. Le loro figlie intrapresero la strada dei servizi bancari internazionali, e lui ha anche un nipote a Londra, dove una di loro vive. Popovich sposò successivamente una donna Ucraina, Alevtina Fyodorovna, e visse felicemente con lei (per quanto dichiarasse che la nazionalità di lei non c’entrasse nulla). Fiero del suo retaggio, divenne presidente della società Ucraina “Slavutich” a Mosca. Popovich visse i suoi ultimi anni in un insediamento vicino a Ostankino (Mosca), ribattezzato Villaggio della Stella (Star Village), per via dei 36 cosmonauti che ci vivevano. Aveva un hobby: la pesca. Sebbene avesse pescato un po’ ovunque nella ex-Unione Sovietica, ricordava nostalgicamente le volte in cui pescava pesci persico nelle acque del Fiume Dnepr. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Popovich amava e promuoveva la boxe; gli piaceva anche rilassarsi giocando a biliardo. Per molti anni, Popovich era stato a capo dell’ All-Russia Institute of Agricultural AeroPhoto-Geodesic Studies (che monitora i suoli e l’ecologia russi); e ivi rimase fino alla morte. Aveva un sogno che confidò ad alcuni intervistatori: poter volare di nuovo su una navetta spaziale, per guardare la Terra dall’alto. È una vista incredibile, diceva Popovich. Di notte, aveva spesso sogni riguardanti lo spazio e gli eventi che visse lassù. Il nome di Pavel Popovich fu dato anche ad una catena montuosa in Antartide e ad un pianeta minore. philip@mantle8353.fsworld.co.uk rurcla@hotmail.com

Mysterious Sky – Soviet UFO Phenomenon di Philip Mantle & Paul Stonehill è disponibile via Amazon.


Urbis Historia

pag.56

Il manoscritto Voynich: un libro misterioso o una “beffa imperiale”?

Simonetta Santandrea

Il manoscritto Voynich, conosciuto anche come il libro più misterioso del mondo, è a tutt'oggi l'unico libro scritto nel medioevo che non sia stato ancora decifrato. Contiene immagini di piante mai viste ed è scritto in un idioma che non appartiene ad alcun sistema alfabetico/linguistico conosciuto.

Il manoscritto, scritto su pergamena di vitellino, misura circa 22x16 cm, spesso 4, per un totale di 102 fogli, quindi 204 pagine; alcune delle quali ripiegate su di loro più volte. Dei 250.000 caratteri, le parole sono 4182, di queste 1284 si ripetono, 308 appaiono otto volte, 184 quindici e 23 circa


cento volte. Inoltre, dal manoscritto mancano 8 fogli. Corredano il testo una notevole quantità di illustrazioni a colori, ritraenti i soggetti più svariati: proprio i disegni lasciano intravvedere la natura del manoscritto, e sono stati di conseguenza punto di riferimento per la suddivisione dello stesso in diverse sezioni, a seconda del tema delle illustrazioni:

presumibilmente erbe medicinali. L'ultima sezione del Manoscritto Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, fatte salve delle stelline a sinistra delle righe, ragion per cui si è portati a credere che si tratti di una sorta di indice.

Sezione I (fogli 1-66): chiamata botanica, contiene 113 disegni di piante sconosciute. • Sezione II (fogli 67-73): chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione. • Sezione III (fogli 75-86): chiamata biologica, nomenclatura dovuta esclusivamente alla presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro. Subito dopo questa sezione vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi. •

Sezione IV (fogli 87-102): detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie. In questa sezione vi sono anche disegni di piccole piante e radici,

http://it.wikipedia.org/wiki/Manoscri tto_Voynich

http://www.noreligion.org/bookmark /incredibile/voynich/index.asp

Il manoscritto Voynich deve il suo nome a Wilfrid Voynich, un mercante di libri rari statunitense che lo acquistò dal collegio gesuita di Villa Mondragone , nei pressi di Frascati, nel 1912. I gesuiti avevano bisogno di fondi per restaurare la villa e vendettero a Voynich trenta volumi, tra cui quello misterioso. Il vero problema, oltre alla decifrazione del testo, è stato TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

quello della datazione; il disegno del girasole, ipotizzato dal biologo O’Neil che collaborò con Voynich e altri esperti impegnati nello studio del manoscritto , lo daterebbe a dopo la scoperta dell'America. Successivamente, la sorpresa di trovare, all’interno di un doppio fondo nella copertina anteriore, una lettera indirizzata da Joannes Marcus Marci (rettore dell'Università di Praga e medico reale di Rodolfo II di Boemia, imperatore del Sacro Romano Impero e grande collezionista di testi esoterici e mirabilia) ad Athanasius Kircher, retrodatò il reperto a prima del 19 agosto 1665. Questa lettera accompagnava il manoscritto spedito al Kircher, che viveva a Roma, per una decifrazione. Nella lettera, recante l'intestazione "Praga, 19 agosto 1665" (o 1666), Marci affermava di aver ereditato il manoscritto medievale da un suo amico (che in seguito le ricerche riveleranno essere un non meglio noto alchimista di nome Georg Baresch), e che il suo precedente proprietario, l'imperatore Rodolfo II, lo aveva acquistato per 600 ducati (una cifra molto elevata), credendolo opera di Ruggero Bacone, (confuso da alcuni con Francis Bacon). Molti hanno sostenuto la tesi che il manoscritto fosse opera del doctor mirabilis del XIII secolo: ad esempio William R. Newbold, docente di filosofia della University of Pennsylvania, uno dei primi ad aver avuto la fortuna di esaminare il manoscritto, nel 1921. Secondo Newbold, ogni carattere del codice conterrebbe piccoli tratti corrispondenti ad un antico tipo di stenografia che nasconderebbe la descrizione del microscopio e di altre straordinarie invenzioni fatte da Bacone. Ma l’interpretazione non ha retto a un più attento


esame: i trattini di penna si sono rivelati, in realtà, semplici macchioline di inchiostro. Il manoscritto restò nell’ufficio di Kircher sino a quando una équipe di esperti “moderni” non lo analizzarono e scoprirono con gli ultravioletti una firma cancellata in seconda copertina: “Jacobi Tepenece”, di Praga. Da qui in poi, le peripezie di questa opera si alternarono. Alla morte di Voynich, il testo passò alla moglie che lo lasciò in eredità ad una amica di famiglia che, a sua volta, lo vendette all’asta. Il Sig. Kraus, nuovo possessore del manoscritto, cercò di rivenderlo, ma alla fine lo donò alla Rare Book and Manuscript della Yale University, dove a ancora oggi è conservato. Alcuni scienziati ripresero lo studio. Nel tentativo di datare più esattamente il testo, i botanici individuarono in altri disegni piante ed ortaggi di origine americana, ma storici dell’arte constatarono che il copricapo di quello che sembrerebbe il segno zodiacale del sagittario è in stile fiorentino antecedente il 1400.

http://www.crystalinks.com/voynich. html

Ad ogni modo, la Seconda Guerra Mondiale arrestò gli studi sul misterioso libro, ed è solo attorno al 1980 che si riprese attivamente l'indagine. Lo studio più significativo in

materia resta ad oggi quello compiuto nel 1976 da William Ralph Bennett, che ha applicato la casistica alle lettere ed alle parole del testo, mettendone in luce non solo la ripetitività, ma anche la semplicità lessicale e la bassissima entropia: il linguaggio del Voynich, in definitiva, non solo si avvalerebbe di un vocabolario limitato, ma anche di una basilarità linguistica riscontrabile, tra le lingue moderne, solo nell'hawaiano. Il fatto che le medesime "sillabe", e perfino intere parole, vengano ripetute con una frequenza tale da rasentare il beffardo, è attinente più ad una concezione inconsciamente accomodante, che non volutamente criptica. L'alfabeto che viene usato, oltre a non essere stato ancora decifrato, è unico. Sono però state riconosciute 19-28 probabili lettere, che non hanno nessun legame con gli alfabeti attualmente conosciuti. Si sospetta inoltre che siano stati usati due alfabeti complementari ma non uguali, e che il manoscritto sia stato redatto da più persone. Imprescindibile quanto significativa in tal senso è poi l'assoluta mancanza di errori ortografici, cancellature o esitazioni, elementi costanti invece in qualunque altro manoscritto. In alcuni passi ci sono delle parole ripetute anche 4 o più volte consecutivamente. Nel 1978 il filologo John Stojko sostenne che il testo era scritto in ucraino, senza le vocali: un’ipotesi anche questa non convincente. Nel 1987 il medico Leo Levitov sostenne invece che era un testo religioso dei Catari, scritto in una specie di “gramelot”, un insieme di termini di lingue diverse. Questo documento sarebbe dunque l’unica copia di ciò che TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

rimane della loro lingua e dei loro segreti, intrecciati a doppio filo con il volto di Maria Maddalena e del suo sangue reale. C’è poi chi lo ritiene opera di Leonardo da Vinci, chi è pronto a giurare che sia la versione più segreta della leggendaria “Clavicola di Salomone”, il testo magico per eccellenza ( la sua popolarità è dovuta anche al fatto che esso è un vero e proprio manuale pratico di magia che accompagna passo per passo l'aspirante mago: descrivere come preparare se stesso e gli strumenti per le operazioni di magia, quali formule impiegare, di quali simboli e sigilli munirsi per difesa, come conversare con gli spirti evocati, ed infine cosa chiedere), e naturalmente c’è anche chi sostiene che sia opera di una civiltà extraterrestre. Ancora, si è recentemente scoperto che la grafia in alcune pagine è di un’altra mano, come se gli autori fossero stati due e si alternassero nello scrivere. Il codice ritorna d’attualità nel 2004 per il tentativo di interpretazione da parte di un informatico inglese, Gordon Rugg, della Keele University. Si tratterrebbe soltanto di una burla, sostiene Rugg, o meglio di una truffa operata ai danni di Rodolfo II. Molti studiosi sono sempre stati contrari a questa ipotesi – osserva Rugg – : “il “Voynichese” sarebbe troppo complesso per essere un documento privo di significato. Come avrebbe potuto un truffatore medioevale produrre 230 pagine di testo con una struttura così perfetta? Neanche lavorando per parecchi anni a una nuova grammatica si arriverebbe a un testo così convincente come il manoscritto di Voynich. Ma io ho scoperto che questo è possibile usando


uno strumento molto semplice, la Griglia di Cardano, inventata dal grande algebrista italiano Girolamo Cardano e ben nota nel XVI secolo”. Si tratta di un foglio di cartone nel quale vengono praticati a caso buchi rettangolari. Il messaggio scritto in questi buchi su una pagina sottostante, riempita poi con altre parole e frasi fuorvianti, ma di senso compiuto, potrà essere letta solo da chi possiede una griglia identica a quella del mittente. Il testo che si può produrre grazie a questa griglia assomiglia molto al “Voynichese”, ma è soltanto un insieme di parole privo di significato, senza alcun messaggio nascosto. Rugg ha ricondotto il metodo di creazione ad una griglia di 36x40 caselle, a cui viene sovrapposta una maschera con 3 fori, che compongono i tre elementi della parola (prefisso, centrale e suffisso). Lo studioso, inoltre, ha ottenuto alcune "regole base" del Voynichese, riconducibili a caratteristiche della tabella usata dall'autore: ad esempio la tabella originale aveva probabilmente le sillabe sul lato destro più lunghe, cosa che si riflette nella maggiore dimensione dei prefissi rispetto alle altre sillabe. Chi era Girolamo Cardano? Matematico e medico del Cinquecento, era anche mago e pericoloso truffatore. Cardano è l’autore di un codice segreto molto semplice, ma efficace. E’ sufficiente un foglio di cartone nel quale si devono praticare alcuni buchi rettangolari in ordine sparso. Questo foglio viene poi usato come griglia, sovrapposto al foglio sul quale deve comparire il messaggio cifrato. Il mittente inserisce le lettere o le sillabe del messaggio nei buchi preparati in precedenza e riempie poi il foglio sottostante con altre

lettere e parole in modo da dare un senso compiuto, ma fuorviante alla pagina. Chi riceve il messaggio, per poterlo leggere, dovrà collocare sul foglio una griglia uguale a quella usata dal mittente. Una curiosità: la stessa griglia, nella forma più semplice, con buchi che evidenziano una lettera o una parola sì e una no, battezzata “codice Bibbia”, è stata usata per rivelare ipotetici “messaggi nascosti” nella Bibbia. Una griglia a tre buchi, spostata in modo opportuno su una tabella contenente prefissi, sillabe centrali e suffissi, ripetuti su diverse colonne potrebbero creare una pagina di Voynichese. Questa almeno è la tesi di Rugg, ma per averne la prova è necessario produrre una grande quantità di testo, usando griglie e tabelle diverse. A questo scopo sta elaborando un software adatto allo scopo. Per la sua ricerca Rugg ha usato EVA, l’Alfabeto Europeo Voynich, uno dei modelli di traduzione dei caratteri del Voynichese nelle lettere del nostro alfabeto. La struttura del Voynichese risulta completamente diversa da quella di qualsiasi altro linguaggio conosciuto, pur presentandosi con una complessità linguistica straordinariamente precisa. E’ proprio questa differenza dagli altri linguaggi che avvalorerebbe l’ipotesi della truffa e che ha convinto Rugg a proseguire nella sua indagine. Ma chi avrebbe messo in piedi una truffa di tale portata, ai danni dell’imperatore Rodolfo II? Protagonisti del raggiro sarebbero due inglesi, Edward Kelley, medium e avventuriero, e il suo amico, il celebre TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

matematico e filosofo, con una accentuata inclinazione per il paranormale, John Dee. I due viaggiarono insieme per anni, presentandosi a tutte le corti europee come messaggeri delle sfere celesti, in grado di ricevere messaggi direttamente dagli angeli, ed erano a Praga alla corte di Rodolfo II proprio nel periodo in cui l’imperatore acquistò il misterioso manoscritto. La “Griglia di Cardano” utilizzabile per costruire il codice era, secondo Rugg, uno strumento sicuramente noto a un matematico del valore di John Dee, e Kelley può averlo convinto a collaborare nell’organizzazione della truffa.

http://it.wikipedia.org/wiki/Edward_ Kelley

http://it.wikipedia.org/wiki/John_Dee Edward Kelley


Edward Kelley, medium e truffatore di professione, si vantava di aver scoperto la pietra filosofale e di essere in comunicazione diretta con gli angeli, che evocava attraverso la classica boccia di cristallo. Nel 1582 conobbe il matematico John Dee, che aveva sempre coltivato le arti magiche tanto da essere considerato il Mago Merlino dell’Inghilterra elisabettiana. Dee è l’inventore dell’enochiano, il linguaggio degli angeli e si era convinto che proprio Kelley, con i suoi poteri di medium, gli consentisse questo contatto soprannaturale. Apparentemente Kelley era al servizio di Dee, ma in realtà era Kelley a dominare l’amico, attraverso gli ordini che egli affermava di ricevere dagli angeli. Per parecchi anni i due vissero insieme, viaggiando per i paesi dell’Europa Centrale e tenendo ovunque conferenze sulla realtà del paranormale. Grazie all’autorità di Dee, considerato giustamente uno dei più grandi matematici dell’epoca, i due poterono avvicinare molte famiglie reali europee in particolare, a Praga, l’Imperatore Rodolfo II, riuscendo forse a realizzare la loro grande truffa con il falso manoscritto. Nel 1588 Dee, interruppe i suoi rapporti con Kelley e ritornò in Inghilterra, abbandonando l’amico che aveva deciso di dedicarsi completamente all’alchimia. Nel 1590 Kelley, grazie ai favori dell’imperatore e di un ricco

conte boemo, aveva raggiunto una certa agiatezza ed era stato nominato “Barone del Regno”. Ad un certo punto però Rodolfo II ebbe il sospetto che Kelley volesse nascondergli le sue scoperte e nel 1591 lo fece richiudere in prigione. Spaventato, Kelley promise di collaborare e di essere pronto a svelare i suoi segreti alchemici per la trasformazione delle pietre in oro. Naturalmente i suoi esperimenti fallirono e così venne nuovamente rinchiuso in prigione. Secondo la tradizione Kelley sarebbe morto durante un tentativo di fuga, attuato nel modo più classico: legando fra loro le lenzuola del suo letto. Ma la sua corda era troppo corta e cadendo si procurò diverse ferite dalle quali non riuscì più a guarire. Secondo un’altra versione avrebbe invece toccato terra illeso, e sarebbe fuggito facendo perdere per sempre le sue tracce. Tornando a Gordon Rugg e ai suoi studi di crittografia, egli onestamente afferma che nel manoscritto non sarebbe però nascosto alcun messaggio particolare, sarebbero tutte parole senza senso. Questa mancanza di significato non prova sicuramente che il manoscritto sia una truffa, ma prova semplicemente che un’unica persona in due o tre mesi di lavoro potrebbe produrre un documento simile. Rugg afferma di essere in grado di dimostrare la sua ipotesi,

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

plausibile ma contestata dagli altri esperti che si sono occupati del manoscritto, senza però riuscire del tutto a convincere esperti e profani della reale natura dell’unico libro esistente che nessuno sa leggere. Il 19 Aprile 2007 è comparsa una notizia su Le Scienze secondo la quale il manoscritto Voynich, altro non sarebbe che lo strumento di una truffa ai danni di Rodolfo II, al quale sarebbe stato venduto per una cifra esorbitante. A giungere a questa conclusione è stato Andreas Schinner, fisico e informatico dell’Università Johannes Kepler di Linz, in un articolo sull’ultimo numero della rivista di studi crittografici Cryptologia. Schinner avrebbe utilizzato sofisticate tecniche statistiche per analizzare il manoscritto, grazie alle quali ha potuto riscontrare che esso presenta tutte le caratteristiche che avrebbe un testo privo di significato una volta che venisse criptato con un sistema analogo a quello che veniva utilizzato alla corte di Elisabetta I per inviare messaggi segreti. Il manoscritto Voynich, il libro più misterioso del mondo: un trattato di alchimia in codice, il delirio di un pazzo, una scrittura perduta o una beffa d’artista? simonettasantandrea@libero.it


Librarsi

pag.61

Il libro “muto” Questa sezione di Librarsi si occupa qui di letture d’approfondimento sul manoscritto Voynich, libri in italiano e di recente pubblicazione. Va detto, per onestà di cronaca, che nessuna di queste letture porta verità strabilianti né scoperte mirabolanti: sono tutti saggi che fanno il punto della situazione da un punto di vista storico, delle ipotesi, dei lavori per decriptare questo strano, particolare, affascinate libro che sembra voler tenere per sé il suo segreto (sempre che ne abbia uno da custodire…) Simonetta Santandrea

Simonetta Santandrea L' enigma del manoscritto Voynich Il più grande mistero di tutti i tempi (Marcelo Dos Santos)

176 pagine - 70 illustrazioni 36 foto a colori f.t. Edizioni Mediterranee, 2009

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Come la storia dell’uomo anche la storia della letteratura è costellata di misteri, di enigmi che da sempre appassionano esperti e curiosi: dall’interpretazione e decifrazione dei linguaggi antichi, fino ai misteri dei libri scomparsi, passando per le migliaia di falsi e apocrifi che hanno sempre costellato la storia della cultura. Uno di questi misteri, per alcuni il più grande e inspiegabile è il manoscritto di Voynich, sul cui conto le storie si moltiplicano e si intrecciano, così come le interpretazioni. Se per qualcuno questo strano manoscritto, compilato in una lingua sconosciuta e mai decifrata, costellato di illustrazioni di piante e di animali sconosciuti, risalente più o meno al 1500, è da considerarsi un cimelio alieno, per altri sarebbe un trattato di erboristeria o un libro cifrato


legato a qualche setta o massoneria, per altri ancora sarebbe semplicemente una beffa. Uno scherzo talmente ben congegnato e studiato da resistere ai secoli, la cui storia ci viene raccontata in modo avvincente dall’argentino Marcelo Dos Santos in questo suo libro dal titolo “L’enigma del manoscritto di Voynich” edito da Edizioni Mediterranee.

Ψ L’enigma dei codici cifrati Dai misteriosi simboli dell'antico Egitto ai cifrari nazisti, alle crittografie della CIA (Richard Belfield)

dedicati alla possibilità di intercettare e riconoscere i messaggi segreti: un tipo di competenza che si rivela essenziale in guerra, negli affari e... tra amanti. Con una prosa scorrevole e illuminante Richard Belfield passa in rassegna la storia della crittografia mondiale analizzando i più celebri messaggi in codice, alcuni decifrati, molti altri rimasti ancora irrisolti. Dai dispacci degli antichi cinesi su frammenti di seta, alla decrittazione dei messaggi dei cospiratori contro Elisabetta I, fino alla macchina Enigma dei nazisti e alla misteriosa scultura Kryptos della CIA, Belfield racconta entusiasmanti storie di spionaggio e smaschera trucchi mai divulgati, incoraggiando ogni lettore a mettere a punto il proprio personale “codice Da Vinci” e a cimentarsi nella soluzione di misteriosi cifrari che ancora oggi rappresentano un rompicapo anche per i più abili crittoanalisti.

indica l’ubicazione di un tesoro sepolto Quale messaggio si cela dietro il codice alfanumerico del cifrario Dorabella? Zodiac: il serial killer che beffeggiava polizia e giornali con le sue lettere cifrate

Ψ Codice Voynich (Claudio Foti)

Alcuni dei temi affrontati: Kryptos: i segreti della CIA Storia e origine dei codici segreti La macchina Enigma: il codice dei nazisti e la seconda guerra mondiale Pagine 263 Newton Compton editore Anno 2009 Fin dalla notte dei tempi, gli uomini hanno architettato gli stratagemmi più intricati pur di nascondere comunicazioni top secret. Sforzi altrettanto grandi, naturalmente, sono stati

Il misterioso manoscritto Voynich con cui si cimentano da quasi un secolo i più grandi crittografi Quali terribili segreti nasconde l’iscrizione sul Monumento del Pastore a Shugborough? Il cifrario Beale: l’enigmatica serie di 1283 numeri che TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Libro a copertina morbida 143 pagine www.lulu.com/content/216557 8#reviewSection Copyright ©2008 Claudio Foti “Quello che vi apprestate a leggere è un libro che parla di un libro. Ma ciò che rende straordinario il libro di cui si parla è che nessuno è in ancora in grado di leggerlo e di comprenderlo, ma solo di guardarne la scrittura e le illustrazioni. Il manoscritto di Voynich (o VMS come sarà chiamato d'ora in avanti per brevità) sembra indecifrabile.


Da secoli porta in sé un mistero che nessuno è ancora riuscito a svelare. Probabilmente è stato redatto in epoca medievale, anche se molte sono le differenze con gli altri scritti di quel periodo, e in un luogo imprecisato. Negli ultimi novanta anni è stato sottoposto a molteplici tentativi di decrittazione, ma senza risultato. Ha resistito alle analisi di grandi criptoanalisti, ai tentativi effettuati dalla CIA e dai servizi segreti di diverse nazioni che, pur avvalendosi dei potenti mezzi offerti dai computers, non sono riusciti finora a capire cosa nascondano i suoi caratteri. Nelle pagine che seguono cercherò di far luce sulla sua storia, diradando le nebbie che l' avvolgono, se possibile. Lo seguirò nel suo itinerare attraverso le strade dell'Europa al seguito di vari personaggi,

poi nel suo traslocare di biblioteca in biblioteca, fino ad arrivare nelle mani di un antiquario, che l'ha fatto conoscere al mondo. Cercherò di illuminare, riportando vecchie e nuove teorie, le da tanti "sudate carte" del VMS, definito a ragione il libro più misterioso del mondo. Ma qui il mistero antico si intreccia con il moderno. Connettendosi ad internet si trovano oltre duemila siti che, in una dozzina di lingue diverse, trattano del VMS, cercando di carpirne il segreto. Decine di forum, migliaia di iscritti, innumerevoli interventi incentrati sull'enigma di questo affascinante ed intrigante manoscritto hanno dato vita e voce a un vero e proprio popolo, il Popolo di Voynich. Della famosissima VMS-list fanno parte centinaia di anime informatiche che scrivono ed

interagiscono dalle parti più diverse del mondo. Persone di varia estrazione: professionisti e dilettanti, studiosi e scienziati, curiosi e appassionati. E sono entrato anch'io a far parte del popolo di Voynich. Il libro che avete tra le mani è il primo in Italia che offre la possibilità di vedere, in grandezza naturale, tutte le misteriose pagine del manoscritto che sono pervenute fino a noi. Una precisazione: non sono né uno storico né un criptologo, pertanto non troverete analisi crittografiche e grafologiche approfondite, per quelle vi rimando ai libri tecnici del settore, di cui purtroppo nessuno in italiano.” Claudio Foti www.claudiofoti.com/IT/Saggi_Voynich.php

NEL PROSSIMO NUMERO DI TRACCE D’ETERNITA’ IN DOWNLOAD A FINE GENNAIO 2010

Gianluca Rampini intervista

Semir Osmanagic TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Lo Spazio dell’OTTAVA

pag.64

Il Popolo Celeste

Michele Proclamato

Introduzione Faccio sempre un po’ fatica a”partire” ma in questo caso ho superato me stesso. Credo di averci pensato su per mesi, non solo, ho persino incominciato, sbagliando, a scrivere qualcosa per poi TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

ritenerlo inadatto, inutile, incompiuto. Fino a quando quasi mi sono sentito in colpa, direi in debito, con un “sito” per il quale mai in precedenza avevo nutrito attenzione o curiosità. Ho quindi atteso il “momento” giusto con nervosismo, a volte


con rabbia, come se il Tempo a mia disposizione verso questa mia “incompiuta” stesse per esaurirsi, fino a quando, meno atteso, è arrivato. Quindi finalmente, con calma, sicuro questa volta di essere nella giusta “dimensione”, ma soprattutto in pace con me stesso, quel me stesso di cui “io” sono il peggior arbitro, ho acceso il mio vecchio PC e cominciato ciò che mesi fa avrei dovuto fare senza tentennamenti sicuro di avere, almeno per questa volta, la “possibilità” di chiudere un debito, contratto con uno spazio telematico e con un suo popolo che da molto ormai lo sostengono con affetto sincero. Si, devo pagare pegno alla Stazione Celeste (www.stazioneceleste.it) e ai suoi affezionati lettori, un pegno diventato debito conoscitivo che sarebbe più giusto aggettivare come “CELESTE”. Ho quindi sottratto IPOD alla mia “grande” figlia , l’ho acceso, mi sono isolato fra i suoni della “sua” appena raggiunta maturità per ricercare quelle armonie “sonore” utili ad allineare il mio piccolo “dono”, un “dono” ricevuto alcuni anni fa all’interno di una basilica centenaria, ma sicuramente caratterizzato da “gusti musicali indubbiamente e inaspettatamente “moderni”. Per cui, eccoci qua, mi presento: mi chiamo Michele Proclamato e per alcuni mesi non ho fatto altro che leggere e rileggere le pagine telematiche dedicate dalla Stazione celeste alle ricerche di David Wilcock. Letto, riletto, e poi letto e riletto fino a quando mi son reso conto di trovarmi di fronte alla più bella ricerca, mai scritta, dedicata al SAPERE dell’OTTAVA, alle sue applicazioni millenarie, ma soprattutto di fronte alla più

bella “mano tesa” di tipo conoscitivo posta a disposizione della SCIENZA UFFICIALE, finalizzata esclusivamente all’ottenimento di un unico risultato: “capire CHI, COME e COSA abbia creato l’UNIVERSO, la MATERIA e le nostre LEGGI FISICHE, per il bene di tutti e tutto. Io, rinato sul LABIRINTO delle TRE OTTAVE di Collemaggio, per la prima volta mi sono trovato di fronte ad una summa, direi prettamente scientifica, in grado di dare risposte alla vera “scienza” del passato, alla vera radice di quell’albero esoterico millenario, spesso, negli ultimi anni, padre di gemmazioni conoscitive molto, troppo discutibili. Finalmente grazie alla sapiente miscellanea di D.Wilcock potevo per la prima volta accedere ad una serie di informazioni inedite tutte dedicate all’OTTAVA, a me per primo sconosciute, e vi posso assicurare che quando si parla del “sapere sonico” di FEDERICO II e di CELESTINO V, credo proprio di non essere secondo a nessuno. Ma a parte le velleità personali, tipicamente umane direi, con immenso piacere , ho potuto apprendere come “tutto” il mondo del sapere, ufficiale o no, si stia occupando, con grande determinazione, di una SCIENZA presente sulla TERRA da SEMPRE ma ancora oggi inutilmente definita ESOTERICA. La qual cosa mi ha dato non poco sollievo, vista l’inizialmente fredda accoglienza bibliografica (Il Segreto delle TRE OTTAVE, L’OTTAVA la Scienza degli DEI e Il genio Sonico, Ed.Melchisedek) data a suo tempo ai miei studi. Ma a parte i ringraziamenti e gli elogi, il vero motivo di questa TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

“mia” è dato da una necessità nata impellente subito dopo la prima lettura dei suddetti scritti, una necessità di integrare, direi quasi di risolvere alcuni “PUNTI NEVRALGICI” di una ricerca, credo impeccabile, ma che con alcuni miei “suggerimenti” potrebbe diventare senza presunzione “UNICA”. A questo punto però dovrò chiedervi, se non l’avete già fatto, di documentarvi sui due e-books di Wilcock per poter dare a me la possibilità di essere capito e a voi l’opportunità di accedere ad una visione della SCIENZA dell’OTTAVA se possibile più completa di quella proposta dalla Stazione Celeste. Dato questo per assunto, credo sia il momento di iniziare la mia disamina. Il Tempo di Kozyrev, lo stesso della Lista Partiamo dal primo capitolo di “The Divine Cosmos” tutto dedicato al grande N.A Kozyrev e vorrei come riferimento un estratto del testo, il seguente: “se Kozyrev avesse cambiato la sua terminologia, usando la parola “tempo”, anziché termini scientifici più comuni come “etere” e “vacuum fisico”, allora molte persone sarebbero state in grado di comprendere il suo lavoro prima. Tale assunto verrà rimarcato in quanto a detta dell’autore il vero motivo “dell’intolleranza” agli studi del grande scienziato russo fu dettata da un fattore terminologico più che dai contenuti degli studi stessi. Inoltre lo stesso Kozyrev definì, in ultima analisi, il TEMPO un “MOVIMENTO a SPIRALE” e le Stelle “macchine che convertono il flusso del tempo in calore e luce”, facendo intendere come sul TEMPO la


nostra scienza, ancora oggi, sostanzialmente, nulla sappia.

mai, avrebbe bisogno di una mano dal…”Passato”.

Ebbene in quest’ambito vorrei far notare “all’autore” come e quanto in questo caso si sia sbagliato additando la “terminologia” del Kozyrev come una delle responsabili della scarsa importanza data dal mondo ufficiale alle sue ricerche. Forse infatti non sono molti coloro che sanno come migliaia di anni fa qualcuno utilizzò proprio il TEMPO come “TERMINOLOGIA” per descrivere molte delle caratteristiche dell’Etere tra cui proprio quella spiralica, con un unico risultato: quello, finora, di non essere preso sul serio, a dimostrazione di come non sarà la terminologia ad aprire la via dell’Etere ma la predisposizione umana ad aprirsi al “futuro dimensionale”. Quindi spero che la Stazione Celeste sia anche in questo caso il giusto viatico per rivolgersi a quel mondo del sapere ufficiale che in questo momento, più che

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Passiamo però ai fatti, quei fatti da cui sono partiti i primi passi dei miei studi, fatti costituiti da un ritrovamento archeologico avvenuto presso Larsa, nell’attuale Iraq, ed oggi conservato ad Oxford.

(WELD-BLUNDELL 144) Re Anni Alulim 28.800 Alagar 36.000 Enmenluanna 43.200 Eumengalanna 28.800 Divino Dumuzi 36.000 Ensibzianna 28.000 Enmenduranna 21.000 Ubardudu 18.600

Totale

Tale ritrovamento universalmente noto come “Prisma di Blundell”, dal nome del suo scopritore, contiene due delle TRE LISTE SUMERE dei RE più famose, oggi contraddistinte dalle sigle WB144 e WB62. Ad esse, per avere un quadro abbastanza completo delle dinastie regali Sumere “pre” e “post” diluviane bisognerà aggiungere la terza lista attribuita all’ultimo degli storici mesopotamici: il Berosso. Ebbene, tutte le liste sopracitate sono contraddistinte da “un’anomala” descrizione dei periodi regnanti, un’anomalia inaccettabile sia dall’Archeologia ufficiale come dalla logica scientifica, la quale, chiaramente, mai ha potuto vedere nei millenari periodi regnanti dei” RE” qualcosa di più di un semplice intercalare mitico, dalle prerogative quasi folcloristiche, aggiungerei giustamente, se si considera l’età media umana. Ma vediamo le TRE LISTE, sinteticamente descritte:

(WELD-BLUNDELL 62) Re Anni Alulim 67.200 Alagar 72.000 Kidunnushakinkin 72.000 ...? 21.600 Divino Dumuzi 28.800 Enmenluanna 21.600 Enzibzianna 36.000 Eumenduranna 72.000 Arad-gin 28000 Ziusudra 36000 241.200 Totale 456.000

456.000 + 432.000 = 888.000

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

BEROSSO Re Anni Aloros 36.000 Alaparos 10.800 Amelon 46.800 Ammenon 43.200 Megalaros 64.800 Daonos 36.000 Euedoraches 64.800 Amempsinos 36000 Opartes 28800 Xisuthros 64800 Totale 432000


Un primo approccio credo le renda doverosamente inverosimili, ma, in quest’occasione, vorrei farvi notare un piccolo particolare, numericamente molto utile in seguito: se sommate la WB62 alla lista del Berosso otterrete un totale pari a 888000 anni, una somma custode di una TRINA estremamente importante. Ora giustamente porrò alla vostra attenzione più diffusamente “tutta” la traduzione della WB144 che vorrei leggeste con molta, molta attenzione: “WB 144” Dopo la discesa della regalità dai cieli, la regalità fu a Eridu, in Eridu Alulim divenne re, egli regnò per 28800 anni. Alalgar regnò per 36000anni. "Due" re; essi regnarono per 64800 anni. Poi Eridu cadde E la regalità fu spostata a Bad-Tibira Divenne re a Bad-Tibira Enmenluanna; egli regnò per 43200anni. Enmengalanna regnò per 28800 anni. Dumuzi il pastore regnò per 36000anni. "Tre" re essi regnarono 108000 anni. Bad -ti-bira cadde E la regalità fu spostata a Larak. A Larak, Ensibzianna regnò 28800 anni. "Un" re ……. Egli regnò per 28800 anni. Larak cadde E la regalità fu spostata a Sippar. A Sippar Enmeduranna divenne re E governò per 21000 anni. Poi Sippar cadde

E la regalità fu spostata a Shuruppak. Ubaratutu divenne re,egli governò per 18600 anni. "Un" re …….. egli governò per 18600 anni.. In "Cinque" città “Otto”re, essi regnarono per 241200 anni. Poi il Diluvio “travolse tutto”. Ora, dopo aver letto tale enorme compendio temporale, vorrei porvi delle domande: ma siete sicuri che le “Liste” non siano altro che un mero compendio temporale privo di significato? Siamo sicuri che nel lontanissimo passato da cui “arrivano”, nulla ci fosse di così scientificamente avanzato da poter essere conservato, criptato e trasmesso a “NOI”, viaggiatori di un tempo, in cui siamo assolutamente convinti di essere al TOP di qualsiasi capacità tecnologica a noi preceduta? Ebbene signori, ora permettetemi di mettere a vostra disposizione il mio piccolo “dono”, l’unico talento vero, tra mille difetti, di cui dispongo, in grado di leggere le parole di un “passato” che nonostante tutto, ancora “canta” in molti di noi. La codifica del tempo A questo punto vediamo la struttura base della WB 144. Sostanzialmente essa dice che OTTO RE per OTTO archi di tempo ben definiti, regnarono in 5 Città anch’esse ben precise. Ma vediamo come ciò è avvenuto poiché esiste in tale contesto una sequenza ben precisa secondo la quale:

In ERIDU regnarono 2 RE. A BAD-TIBIRA regnarono 3 RE. A LARAK regnò 1 RE A SCHURRUPAK regnò 1 RE A SIPPAR regnò 1 RE, cosa che non verrà sottolineata nel TESTO. Quindi, a fronte di OTTO regni solo SETTE avranno degna citazione, ma se vorrete trasformare TUTTO il sistema descrittivo in un impianto “frazionario” di tipo “numerico” avremo, molto sinteticamente, i periodi regnanti suddivisi in DUE\TERZI(2\3) e Un\Terzo (1\3). Vedremo in seguito quanto tutto ciò sia importante. Nuovamente, se numericamente vorrete riassumere tutta la Lista partendo dalla” FINE” della descrizione, avremo: 1RE 1RE 1RE 2RE 3RE 5 CITTA’ 8 PERIODI TEMPORALI. Potrete osservare un particolare estremamente importante, cioè che tutta la LISTA WB144 è strutturata per rapportarsi secondo la SEQUENZA di FIBONACCI. Inoltre, se dividerete matematicamente i periodi regnanti secondo il loro raggruppamento città per città, vi accorgerete che gli stessi si trovano in uno stato di quasi perfetto RAPPORTO AUREO. Sappiamo a questo punto che OTTO RE, di cui solo SETTE degni di citazione, hanno regnato per millenni rispettando la Sequenza di Fibonacci e in pieno


Rapporto Aureo, attraverso 5 città ben precise. Perché 5 città, ve lo siete domandato? Dovreste farlo, perché molti capitoli della ricerca di Wilcock, soprattutto ne “il “Cambio d’Era”, verranno dedicati proprio a 5 strutture, frutto geometrico delle vibrazioni ETERICHE.

Sì, cari signori, le 5 Città saranno proprio i 5 Solidi di fama platonica che in questo contesto, per la prima volta, verranno CREATI dal tempo, da una FORMA di TEMPO a “noi” scientificamente sconosciuto. Ma non fermiamoci poiché, se volessimo visualizzare in una “forma”, o meglio in un “processo naturale”, ciò che abbiamo descritto, che cosa potremmo utilizzare secondo voi? Che cosa in natura si materializza, secondo Fibonacci, utilizzando perfetti Rapporti Aurei, utilizzando una matrice geometrica composita collegata ai 5 Solidi Platonici? Signori, una cosa sola: UNA SPIRALE. Sarebbe quindi superfluo ricordarvi, a questo punto, come il grande Kozyrev definiva il TEMPO, poiché già millenni fa qualcuno “SAPEVA” essere una perfetta” SPIRALE”. Una SPIRALE costituita da un SETTENARIO sì temporale, ma dalle chiare caratteristiche soniche, in grado di evolversi in modo Cimatico attraverso 5 figure geometriche ben chiare.

Quindi da millenni esiste sulla TERRA la descrizione di un elemento, il TEMPO appunto, in grado di riassumere credo tutte, lo vedremo in seguito, le caratteristiche di un fantomatico quinto elemento da “sempre” definito come ETERE. Sarà quindi doveroso addivenire ad un passaggio secondo il quale l’ETERE è fatto di una forma di TEMPO sicuramente dotato di una serie di caratteristiche indubbiamente innovative per la nostra Scienza. Prima di occuparci però del computo totale posto alla fine della descrizione della LISTA, vorrei nuovamente ripensaste ai capitoli 4 e 5 della “NUOVA ERA”, dove, con dovizia di particolari molto si è detto sulla Teoria delle Stringhe, Mikio kaku, le TRINE NUMERICHE del povero Srinivasa Ramanuyan e le sue importantissime Equazioni Modulari, poiché grazie sia alla Lista che ad un famosissimo reperto Egizio potremo chiarire un altro punto nevralgico ma oscuro della ricerca di Wilcock. Chiuderò questo capitolo aggiungendo che probabilmente potremo intendere la WB in questione come la descrizione sì temporale ma sicuramente DIMENSIONALE di un ATTO CREATIVO di tipo CIMATICO, in grado di propagarsi secondo canoni SPIRALICI. Chiuderei dicendo che Kozyrev aveva pienamente ragione quando diceva che a fronte di determinati processi spiralici sulla TERRA, responsabili fra le altre cose del posizionamento del cuore TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

per l’uomo o della crescita del guscio di un Nautilus, doveva corrispondere uno Spazio –tempo in cui la spinta spiralica doveva avvenire in modo OPPOSTO. La Lista descriverà esattamente questo luogo, per capirlo sarà sufficiente ricordare come i rapporti numerici nonché temporali posti alla base della sequenza di Fibonacci avranno seguito non dall’INIZIO della descrizione bensì dalla FINE, come ho già sottolineato, descrivendo un sostanziale ANTITEMPO SPIRALICO in grado di palesarsi, come vedremo, nella “nostra dimensione” pur appartenendo a “dimensioni altre”. Io non” Sentivo” Concedetemi a questo punto di riportare alcune affermazioni riguardanti sempre il TEMPO, le quali, vedrete, saranno molto utili al proseguo. In questo caso vorrei “utilizzare” il grande Todeschini, mai abbastanza ricordato, il quale parlava del tempo in questi termini: “L'unità temporale deve essere diversa da ZERO. Quindi al concetto di tempo, che scorre come l'acqua di un fiume, dovremo sostituire il concetto di una natura oscillatoria, ritmica, come un onda”. Ho voluto utilizzare le parole di Todeschini per un motivo molto importante: egli, esattamente come la Fisica appurerà attraverso gli esperimenti di Hal Puthof, immediatamente si rese conto di come il concetto di ZERO a livello energetico poteva non esistere.


Vi dico questo perché vedremo utilizzare tale assunto nuovamente e senza esitazione millenni fa, proprio nel caso della SOMMA della WB 144. Ma prima vorrei porre alla vostra attenzione il computo finale motivo del contendere, pari a 2412000 anni. Se fosse vero ciò che ho appena sottolineato, gli ZERO posti alla fine di tale computo dovranno e potranno essere solo l’eco finale di una forma energetica come sopra accennato di tipo temporale, potremo quindi farne a meno vista la loro inutilità. Dovremo quindi considerare solo la parte numerica, la quale rivelerà subito delle caratteristiche uniche già toccate. Il 2412 sappiamo infatti essere frutto di tutta una serie di caratteristiche temporali, non ultime quelle platoniche, esso quindi rappresenterà il computo finale di un sistema energetico di tipo geometrico, ma ad un attento esame nasconderà, se suddiviso numericamente in coppie, altre prerogative. Esso infatti rappresenterà i 2\3 e 1\3 di un ulteriore somma pari a 36 unità. Ora, considerando l’aspetto platonico, potremo dire che l’evoluzione energetica di tale computo, pur passando attraverso ulteriori due STEP geometrici, pari a 12 e 24 unità, si consoliderà finalmente attraverso la forma principe di tutte le forme geometrica e cioè la SFERA di 36, o sarebbe meglio dire 360, unità, vista l’opportunità o meno di utilizzare gli ZERO. Sostanzialmente vi sto

dicendo che l’energia, sicuramente intelligente, posta alla base di tale evoluzione geometrica, avrà come finalità ultima quella di creare tutto ciò che è SFERICO, così come, al contrario, tutto ciò che vedremo di sferico nella nostra realtà conterrà dentro di sé tutte le prerogative platonico energetiche tanto diffusamente trattate dalla ricerca di Wilcok. Penso che a questo punto comincerete a rendervi conto dell’enormità della cosa da me a voi sottoposta, poiché, come diceva il grande TESLA “il conoscere come numericamente era possibile codificare l’ETERE voleva anche dire arrivare al suo pieno ed effettivo utilizzo”. Ma non è per ora di questo ciò di cui vorrei occuparmi quanto di quelle famose TRINE numeriche alla base delle MODULARI EQUAZIONI del grande e sfortunato indiano TAMIL, a loro volta a detta delle stessa Scienza ufficiale, BASE della TEORIA delle STRINGHE. Prima però, per meglio ricordare, vorrei riproporvi alcuni estratti di la “Nuova Era” cap. 4\5: “Le equazioni cui giunse Ramanujan sono ancora considerate le parti più importanti nella creazione del modello delle dimensioni superiori, incluso il numero di dimensioni che devono esistere” “Nel lavoro di Ramanujan [cioè le funzioni modulari], appare ripetutamente il numero 24 (8 x 3). Questo è un esempio di quelli che i matematici chiamano numeri magici, che appaiono TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

in continuazione quando meno ce li aspettiamo, per ragioni che nessuno comprende. Miracolosamente, la funzione di Ramanujan appare anche nella teoria delle stringhe…” “Nella teoria delle stringhe, ognuna delle 24 modalità della funzione di Ramanujan corrisponde a una vibrazione fisica della stringa…” “Quando la funzione di Ramanujan viene generalizzata, il numero 24 viene sostituito dal numero 8” “È come se ci fosse un qualche tipo di profonda numerologia che si manifesta in queste funzioni che nessuno comprende…” Credo si evinca da tutto ciò come la TEORIA delle Stringhe esista grazie a pochissimi riferimenti numerici condensati in 8, TRE VOLTE OTTO (888) e 24. Inoltre, è palese constatare come la SCIENZA ufficiale non si renda conto del fatto che i NUMERI non siano altro che un modo di parlare attraverso l’ETERE o il TEMPO o, se volete, DIO. Comunque vorrei che per un attimo riandaste alla famosa somma delle LISTE WP 62 e Berosso. Penso ricordiate il loro computo totale. Adesso siete pronti per poterlo osservare con altri occhi, di scioglierlo dall’inutile catena fatta di ZERO e di soppesarlo tenendo presente i dubbi


conoscitivi esposti da Mikio Kaku. Capirete che quella TRINA, che io conosco molto, molto bene, non sarà proprio un mistero quanto la naturale evoluzione numerico temporale dell’ETERE. Sì signori, la scienza ufficiale basa il massimo delle sue teorie, alla base se volgiamo della stessa CREAZIONE, udite, udite, sul TEMPO, o sarebbe meglio dire ancora l’ETERE. E non è tutto ciò abbastanza paradossale se non comico visto il suo palese atteggiamento di totale chiusura nei confronti di questo famoso QUINTO ELEMENTO? Vorrei comunque spiegare meglio tale passaggio attraverso proprio la mia piccola “esperienza”.

La Scienza, come Kaku o Wilcok non sanno che da più di 700 anni esiste una meravigliosa TRINA di OTTO in pietra inserita nel cuore di una delle Basiliche più importanti del mondo, quella di Collemaggio, le quali molto diligentemente, con me e spero con tutti coloro che lo vorranno, hanno “PARLATO” e mi hanno insegnato a “sentire”, a “capire, forse”, e soprattutto “intuire”, sempre molto modestamente, come DIO CREA. E sarebbe bellissimo se tale modo di apprendere fosse ufficialmente contemplato

poiché in tale contesto cognitivo si aggirò lo stesso Ramanuyan quando parlava dei suoi aiutini onirici indotti dalla DEA Namagiri, una delle fortunate mogli del dio SHIVA. Però, così come la Scienza o kaku o Wilcok non sa di Collemaggio e dei suoi TRE OTTO, non conosce una tessera di questo puzzle conoscitivo di tipo Eterico, in grado di spiegare con completezza che cosa siano le OTTO DIMENSIONI di Srinivasa, i TRE VOLTE OTTO o la loro somma il 24. Per questo dovremo andare in Egitto in uno dei templi più antichi e misteriosi di tutto l’Egitto, quello di Dendera, per osservare l’omonimo zodiaco. Uno zodiaco eterico Vi ho condotto in Egitto per alzare ipoteticamente i vostri occhi verso la copia (l’originale è stato a suo tempo trafugato ed oggi è al Louvre) di ciò che universalmente è considerato lo zodiaco più importante del mondo. Per l’occasione offrirò a voi l’immagine di una copia eseguita da Gerolamo Segato, utile, nonostante alcune piccole modifiche rispetto all’originale, a osservare e capire, con molta più chiarezza cosa sapessero gli iniziati egizi di ETERE. Qui capiremo meglio sia il computo numerico delle LISTE, come il senso del significato delle trine del Ramanuyan, nella speranza che anche la scienza ufficiale un giorno si sieda, come tante volte ho fatto io, su quelle odiate panche del Labirinto di Collemaggio per ringraziare il VERO DONO di TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

CELESTINO V: le TRE OTTAVE.

Ma veniamo a noi, sappiamo su quel 2412 molti particolari, ora vi richiedo cosa saremmo stati capaci di fare “noi” oggi con il nostro sapere attraverso un simile computo. Probabilmente nulla. Osservate quindi gli egizi come interfacciarono la WB 144 con una loro visione cosmologica riassunta dallo zodiaco in questione. Essi più di 2000 anni fa UTILIZZARONO la SOMMA eterica Sumera e gli diedero vita antropomorfizzandola. Il risultato di tale “magia” è ravvisabile partendo dall’esterno dello zodiaco di Dendera, da quei 12 ENORMI ESSERI che sostengono una visione cosmologica costretta in una SFERA. Ma vediamo, appunto, le caratteristiche salienti degli ESSERI in questione rapportandoli al computo mesopotamico. Essi saranno, come sopra, 12, ai quali corrisponderanno logicamente 24 Braccia. Semplicemente il 2412 Mesopotamico in Egitto diventa un1224 attraverso, RIPETO, 12 esseri e le loro 24 BRACCIA. I quali verranno FRAZIONATI molto


diligentemente in 1\3 femminili e 2\3 maschili (i Neter). Avremo quindi 4 donne e 8 uomini a coppie a significare un ulteriore sviluppo dell’ETERE-TEMPORALE sumero. Quindi nuovamente la suddivisione frazionaria della Lista apparirà nello Zodiaco svelando questa volta qualcosa di eccezionale e cioè che l’ENERGIA ETERICA è suddivisa secondo un preciso e imprescindibile frazionamento in energia FEMMINILE e MASCHILE. Di conseguenza avremo, in ambito platonico, geometrie femminili e maschili intrinsecamente unite, come Wilcok ha fatto notare, attraverso un chiaro effetto SPIRALICO. Ciò nondimeno dovrò farvi notare come sostanzialmente il sistema numerico mesopotamico venga sì utilizzato dagli egizi, ma in modo inoppugnabile, al CONTRARIO. Questa inversione numericoantropomorfica giustificherà in pieno l’assunto già diffusamente trattato, secondo il quale, come Kozyrev affermava, doveva esistere uno spazio-tempo nel quale l’energia Spiralica doveva scorrere al contrario rispetto alle sue manifestazioni terresti. In questo contesto egizio ci troviamo esattamente nel momento in cui una serie di OTTO DIMENSIONI, come Ramanuyan giustamente affermava, si uniscono spiralicamente per rapportarsi con una NONA DIMENSIONE, la nostra, in modo perfettamente speculare, invertendo semplicemente la sua polarità direzionale.

Qui converrete con me come una visione Toroidale diffusamente trattata in THE DIVINE COSMOS , cominci a palesarsi. Tuttavia, dovrò ora soffermarmi su un aspetto FONDAMENTALE del sapere eterico egizio. Essi infatti migliaia di anni fa furono capaci di “spiegare” che cosa erano le TRINE numeriche impossibili del mondo delle STRINGHE, attraverso 24 PODEROSE ma semplici BRACCIA. Le 24 VIBRAZIONI BOSONICHE di una STRINGA, i TRE OTTO di Ramanuyan, il 24 di KAKU, le mie TRE OTTAVE (888), sono lì, davanti ai vostri occhi. State guardando un ENERGIA, perfettamente suddivisibile, caratterizzata probabilmente da miliardi di gradi kelvin, per ora probabilmente impossibile da simulare dalla nostra tecnologia, che geometricamente strutturata è pronta per diventare che cosa? Il che cosa lo vedremo più avanti. Intanto, nuovamente e questa volta con più precisione, possiamo notare come e quanto la SCIENZA UFFICILE senza rendersene conto, stia raccogliendo una semina appartenente ad un mondo ingiustamente definito ESOTERICO. Questo non è esoterismo, ma scienza, pura scienza, tutta da decifrare forse, ma in grado di dare risposte molto più semplici e dirette delle “nostre”. Inoltre, dovrete convenire come un Settenario temporale nato in dimensioni altre, approdi secondo un “sistema dodecafonico”(12 esseri) ai confini della nostra realtà dettando un ulteriore capacità TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

dell’Etere, quella SONICA a me tanto cara. Potremmo quindi affermare che una STRINGA BOSONICA non è altro che un sunto di una melodia temporale nata da un ‘OTTAVA. Giusto, oltre a ciò , sarà far notare come le DIMENSIONI tutte, non saranno 10, 11 o 26 come asserisce la Teoria delle Stringhe bensì NOVE come sopra ho accennato. Avremo quindi che il sistema creativo dell’OTTAVA si concretizzerà attraverso NOVE DIMENSIONI, STOP. Pur ipotizzando delle sottodimensioni, porremo così fine a questa assurda rincorsa “UFFICIALE” al numero sempre cangiante di dimensioni. Dall’etere alla materia Pertanto, ritornando alle 24 BRACCIA, esse cosa stanno per diventare? Cerchiamo prima di intuirlo anche se gli egizi lo hanno già inciso a DENDERA. Sappiamo che gli ESSERI sono energia temporale nonché Eterica, sappiamo che tale energia è intelligente tanto da antropomorfizzarsi, facendo intendere come essa celi dentro di sé il segreto del DNA. Conosciamo il suo modo di palesarsi attraverso un sistema spiralico creato dal movimento congiunto di un sistema geometrico platonico di tipo maschile e femminile, si comporta in modo Sonico, si moltiplica olograficamente in modo binario (12-24-36), quindi a questo punto se esso contiene dentro di sé una chiara volontà intelligente di “DIVENIRE” apparirà ai nostri occhi sotto forma finalmente


di MATERIA: e a DENDERA lo fa. Dovete sapere che quegli ESSERI, non solo sostengono ma CREANO una realtà Celeste, posta all’interno dello Zodiaco, strutturatasi secondo 72 corpi celesti a loro volta suddivisi secondo 5 CIELI. Avremo indi un ulteriore passaggio che vedrà sommati numericamente gli ESSERI in 36 unità (la sfera) da cui tutto nascerà in modo binario e Sferico nella nostra REALTA’. Ora vi vorrei chiedere: perché la scienza VEDE, con la sua tecnica, le stelle, le costellazioni e i pianeti posti all’interno dello Zodiaco di DENDERA , ma non VEDE gli ESSERI che la circondano? Per un solo ed unico motivo, perché si intestardisce a negare l’ETERE non concedendosi la possibilità di codificare la nascita della materia dall’energia platonica. Siamo quindi nella nostra di realtà dimensionale ed il tutto, partito in Mesopotamia, ora approda in una visione celeste in cui il numero 72 sarà principe.

Chi legge saprà come e quanto si è scritto su tale numero e sui suoi multipli, ebbene ora sa che esso è la matrice numerica della codifica dell’ETERE. Dovrei dilungarmi sulla Precessione ma non sarà questo il contesto. Piuttosto vi domando: se un sistema celeste come quello descritto si dislocherà secondo 5 cieli (5 solidi platonici) utilizzando un multiplo binario degli ESSERI, l’Universo descritto che caratteristiche avrà? Semplice, tutte quelle descritte, quindi l’immensità materiale che ci circonda manterrà rapporti planetari, stellari, galattici e spaziali regolamentati da leggi prima eteriche, in ultimo fisiche. Di conseguenza tutta la MATERIA sarà unificata in modo speculare da un'unica manifestazione fisica: una SPIRALE. Allora adesso guardate con attenzione come all’interno dello Zodiaco le 72 porzioni celesti obbediscono ad un senso rotazionale sinistrorso di tipo Spiralico.

Potrete quindi rendervi conto di come e quanto Kozyrev avesse ragione nei suoi studi, soprattutto quando diceva che Stelle e pianeti non sono altro che trasformatori di TEMPO in LUCE ed energia. Adesso venite idealmente con me, datemi le vostre mani e torniamo sulle TRE OTTAVE di COLLEMAGGIO, chiudiamo gli occhi e proviamo a “sentire” gli OTTO SUONI di un DIO sicuramente androgino, che da troppo tempo abbiamo creduto diverso e lontano da noi. Quanta distanza credete ci sia tra il suo battito creativo e il battito di un neonato che per NOVE mesi attenderà di nascere rispettando la stessa struttura dimensionale dell’UNIVERSO? NESSUNO. Allora basta con la SCIENZA di un “bambino” che, vivendo, dimentica di essere TEMPO, di essere ETERE, di essere “DIO”. proclamato1@interfree.1

“La storia millenaria dei cerchi nel grano” (Editore Melchisedek, pag.180, euro 22, settembre 2009) rappresenta per Michele Proclamato un’ulteriore tappa degli originali studi a cui si dedica ormai da anni. Per chi ha letto la monografia di agosto 2009 de “I Misteri di Hera” (Acacia Edizioni), dedicata a questa tematica, sarà l’occasione per approfondire le proprie conoscenze al riguardo. L’autore non ha la presunzione di individuare chi possano essere gli autori ‘materiali’ dei Crop Circle e nemmeno l’ardire di imporci soluzioni definitive riguardo le modalità di realizzazione: questo lo chiama fuori, energicamente, da ogni sorta di polemica. Egli si occupa di ben altro: ci introduce in un contesto in cui il Tempo assume connotati del tutto differenti, anche perché è proprio tra le sue ‘maglie’ che, infine, potremmo cercare di individuare chi da sempre ci accompagna anche con l’ausilio di queste particolari ‘formazioni’. Insomma, l’interesse di Proclamato per la dibattuta questione è da inserire come un necessario tassello nel suo particolare percorso di ricerca e confluisce in maniera naturale nella costruenda teoria della legge universale dell’OTTAVA, tanto da poter considerare i Crop Circle come un sistema “spirituale-scientifico”, a cui si poteva attingere in ogni epoca. L’autore si occupa quindi della problematica ricostruendone, per la prima volta, un lontanissimo passato in cui i nostri antenati, senza peraltro comprenderne il pieno significato, pare avessero a disposizione questa ancestrale conoscenza, tanto da utilizzarla sovente e non solo nelle espressioni prettamente artistiche. Dalle pagine di questo volume emergeranno anche testimonianze eccellenti: infatti, Leonardo da Vinci e Giordano Bruno avevano già capito tutto di questa scienza dell’armonia, dell’equilibrio e della pace. L’intenzione di Michele Proclamato è far emergere questo misterioso sapere, utilizzando la chiave di lettura a lui più congeniale, quella riscoperta e già illustrata nei precedenti lavori: la LEGGE delle TRE OTTAVE.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Xaaran

pag.73

Poe, Marie Roget e Mary Cecilia Rogers: i misteriosi confini tra finzione letteraria e realtà Antonella Beccaria

Antonella Beccaria scrive e pubblica con la casa editrice Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri e con Socialmente Edizioni. Questi i libri disponibili sia in libreria che online: "Il programma di Licio Gelli" (2009), "Pentiti di niente Il sequestro Saronio, la banda Fioroni e le menzogne di un presunto collaboratore di giustizia" (2008), "Uno bianca e trame nere – Cronaca di un periodo di terrore" (2007), "Bambini di Satana – Processo al diavolo: i reati mai commessi di Marco Dimitri" (2006) e "NoSCOpyright – Storie di malaffare nella società dell'informazione" (2004). E’ curatrice dell'antologia "Creative Commons in Noir" (2008, collana Millelire), collabora con le riviste "MilanoNera" e "Thriller Magazine". Spesso lavora come editor e traduttrice e dal 2004 tiene un blog, Xaaraan, su cui racconta storiacce varie.

Per gli appassionati del mistero in chiave letteraria e cinematografica il nome di Marie Roget significa qualcosa: così infatti si chiamava la protagonista di un racconto scritto all'inizio degli anni Quaranta del XIX secolo da Edgar Allan Poe, di cui peraltro ricorrono i duecento anni dalla nascita (venne alla luce a Boston il 19 gennaio 1809). Un secolo più tardi, il testo dello scrittore statunitense si trasformò anche in un film diretto da Phil Rosen e in entrambe le versioni la storia ruotava intorno all'indagine che un antesignano degli investigatori da romanzo, Auguste Dupin, avviava – concludendola con successo – dopo l'insoluto assassinio della giovane protagonista. Fino a questo punto, è storia risaputa, come è risaputo che Poe si ispirò a un fatto di cronaca nera solo un po' aggiustato per motivi narrativi. Anticipando il filone del true crime – portato in auge solo molto più avanti da Truman Capote e dal suo "A sangue freddo" (1967) che ne fece un vero e proprio genere letterario – il testo ricostruisce un delitto TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

che nella realtà avvenne a New York nel 1841. Nella finzione, invece, la vicenda veniva trasportata in Francia e il nome della vittima cambiato da Mary Cecilia Rogers in quello che dà il titolo al racconto. Ciò che invece si sa meno è un altro fatto: a lungo, dopo il ritrovamento del corpo senza vita della ventunenne commessa in un negozio di sigari di Broadway, si pensò che il caso sarebbe rimasto senza colpevole. Nel libro dello scrittore inglese Colin Wilson "World Famous Unsolved Crimes", si cerca di ricostruire la vicenda e si dice che all'inizio venne interrogato il fidanzato di Mary, Daniel Payne, morto suicida qualche anno più tardi, ma non rientrò nella rosa dei sospetti e gli inquirenti, non sapendo che pista seguire, provarono anche a giocarsi la carta di una taglia sulla testa dell'assassino. Intanto la stampa, fiutando lo scandalo innescato da una lettera anonima in parte confermata da un sedicente testimone, pubblicava resoconti scabrosi delle ultime ore di vita


della ragazza, vista per moli insieme a uno o più uomini. Si dava per scontato che Mary fosse una poco di buono: bella, giovane e nubile, aveva rotto un tabù sociale trovandosi un'occupazione e aveva abbandonato il nido familiare senza attendere un marito che la impalmasse. Già questo bastava per farne, se non la vittima designata di un delitto, almeno la protagonista di licenziosi pettegolezzi. E così, tra delazioni e fonti non verificate, a un certo punto le manette scattarono ai polsi di un biscazziere, tale Joseph Morse, ma anche questa era una strada morta: l'uomo aveva un alibi e tutto il lavoro di ricostruzione andava rifatto. Il caso potrà alla fine considerarsi risolto – malgrado dubbi in seguito nuovamente avanzati – solo molti anni dopo, nel 1891, quando furono ritrovati alcuni documenti appartenuti al datore di lavoro di Mary, John Anderson, deceduto ormai da un decennio. Documenti che emersero casualmente, per via di un'eredità contestata, nei quali si raccontava che l'uomo avesse avuto una relazione con la bella commessa e che le avesse pagato un primo aborto. A esserle fatale fu la seconda interruzione di gravidanza, finanziata sempre dal suo datore di lavoro, anche se sulla

paternità le ricostruzioni si dimostrarono petulanti tanto quanto le cronache che seguirono l'omicidio. Unico ad appassionarsi al caso tanto da occuparsene al di fuori degli scandali innescati dai giornali fu proprio lo scrittore americano. Il quali suddivise l'idea che si era fatto del delitto in tre parti, pubblicate nel 1842 sulla rivista "The Lady's Companion", ed esordì scrivendo che «ci sono poche persone, anche tra i pensatori più cauti, che non si sono fatti talvolta sorprendere da una vaga credenza nel soprannaturale [...], da coincidenze così incredibili che, prendendole come tali, non potevano essere elaborate dall'intelletto [...]. Gli straordinari dettagli che sto per rendere pubblici costituiscono il nodo essenziale di una serie di coincidente poco comprensibili [...]». E prosegue, Poe, incaricando il suo personaggio Auguste Dupin dell'indagine. Fino ad arrivare alla soluzione del caso letterario. Una soluzione molto vicina alla realtà. Tanto che ancora oggi ci si chiede se lo scrittore assistette o ebbe un ruolo nell'epilogo di questa vicenda. Secondo qualcuno, invece, Poe non aveva alcuna responsabilità nella morte di Mary Cecilia

Rogers, ma venne scelto dal suo assassino come confidente. E come per alcuni misteri rimasti su altri lavori dell'autore statunitense (tra cui "La caduta della casa degli Usher", divenuto oggetto di analisi da parte di Sigmund Freud), anche in questo caso ancora oggi ci si chiede dove la fantasia letteraria abbia incrociato la realtà e quale delle due dimensioni ne sia rimasta maggiormente contaminata. abeccaria@gmail.com

Per approfondire: The Mystery of Marie Roget, murdered by Edgar Allan Poe, Hystorical Mistery Writer: http://historicalmysterywriter.blog spot.com/2009/10/mystery-ofmarie-roget-murdered-by.html Mystery of Marie Roget: http://www.imdb.com/title/tt003 5107/ World Famous Unsolved Crimes di Colin Wilson: http://www.anobii.com/books/Col in_Wilsons_World_Famous_Crim es/9780786702176/01b0b4d18c6e 366e95/ Edgar Allan Poe: il mistero intorno a "The Mistery of Marie Roget": http://www.edgarallanpoe.it/artic oli/edgar-allan-poe-il-misterointorno-a-the-mistery-of-marieroget/

ATTENTATO IMMINENTE di Antonella Beccaria e Simona Mammano Stampa Alternativa Collana Senza Finzione, novembre 2009 www.stampalternativa.it Piazza Fontana, una strage che si poteva evitare che si poteva evitare - Pasquale Juliano, il poliziotto che nel 1969 tentò di bloccare la cellula neofascista veneta Nella primavera del 1969 l’ennesima azione terroristica all’Università di Padova fa partire una nuova indagine. A coordinarla è un commissario di polizia, Pasquale Juliano, il capo della squadra mobile, che arriva a individuare un nucleo di estremisti neri che traffica in armi ed esplosivi. Ma i neofascisti gli preparano una trappola: Juliano si vedrà così scippare l’inchiesta, che verrà insabbiata, e finirà sotto processo accusato di aver costruito le prove contro i terroristi. Gli occorreranno dieci anni per dimostrare la sua innocenza, ma nel 1979, quando sarà assolto da tutti i capi d’imputazione, la stagione delle bombe avrà quasi concluso il suo tragico corso.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Life after Life

pag.75

Una vita dopo l'altra

Noemi Stefani

Il mese di novembre (per noi il giorno 2) si festeggia il culto dei morti. Questo rito antichissimo risale addirittura ai tempi del neolitico. Infatti sono stati ritrovati scavi del tempo della pietra con resti che lo testimoniano. Si vive la morte come separazione, con tanto dolore per la perdita delle persone che non vedremo più in questa vita, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

e soltanto chi ha fede in un Aldilà può guardare al futuro nella speranza di riabbracciare i suoi cari. Chi crede soltanto alla materia, al qui e ora, cerca la gioia nell'apparire, in quello che è illusione e passa veloce, come tutto passa qui sulla Terra. Quando si troverà a vivere il momento del distacco dovrà combattere sia con il dolore che con il vuoto, il pensiero del


nulla che lo attende. Ma cosa ne pensano gli Angeli a proposito della morte? Chiediamolo a Serafino, Lui saprà spiegarci bene… Serafino risponde… Creatura LO SAI PERCHE' SI MUORE? Certo, …si nasce… si muore. Tutto ha un principio e tutto ha una fine a questo mondo. Ma il senso della morte? Non si potrebbe nascere e vivere per sempre? O magari non nascere. Si eviterebbero tanto dolore e sofferenza, tante brutte esperienze. Queste sono domande che ti pone un bambino quando incomincia a chiedersi tante cose e domanda ai genitori, che spesso non sanno cosa dire. Voi però avete quasi paura a parlarne di questa cosa. Arrivate al punto di accantonarne persino il pensiero, come se pensare solamente al fatto di morire potesse in qualche modo provocarne l'evento. Eppure pensa che tutto serve, tutto ha un senso. Il Creatore non ha lasciato nulla al caso. C'è un senso profondo nella fine di quello che a voi pare il vostro

unico modo di esistere. Come esiste la sequenza delle stagioni, e siamo quasi all'inizio del gelido inverno. Però guardate le gemme sui rami rinsecchiti. Scrutate il grigiore contorto dei rami. L'albero non è morto… Riposa. Sui suoi rami ci sono già le promesse per la prossima primavera, ci sono già i segni dei succulenti frutti che verranno. Così i morti non sono morti, dormono. Riposano. Attendono la nuova primavera che il Creatore manderà, le nuove promesse che verranno. Perché morire non avrebbe senso se non cambiasse il nascere. E certo che così Angelo mio tutto è più chiaro, tutto diventa quasi accettabile. Ma se la ragione può comprendere, la nostra mente no, la fisicità rifiuta di soffrire, noi preferiamo la vita, le gioie dell'AMORE. Vorresti spiegarci il tuo punto di vista su questo sentimento che per noi vale tanto? Che cos'è l'AMORE? Parlo di quello che tutti vogliono, quello che tanti credono d'avere e non hanno, accontentandosi di una scialba

parvenza. Quello che fa scrivere i poeti e passare notti intere a sognare aspettando che squilli il telefono. Parlo di quella sensazione che ti fa battere forte il cuore e tremare le gambe ogni volta che lo incontri, di quel senso di gioia sublime quando puoi stringere tra le braccia la tua Creatura appena venuta al mondo. Parlo di baci mai avuti, abbracci mancati per timore, soggezione, o semplicemente a quei tempi non si usava fare così…(i nostri vecchi). Ma quando ormai verrà la fine, basterà uno sguardo nei suoi occhi velati, e una carezza tanto leggera che ti sfiori la guancia per far crollare tutti i muri dell'incomprensione. Parla loro d'AMORE… Questo è AMORE. Amen Queste ultime parole sono talmente forti, talmente illuminanti, che non mi resta nulla da aggiungere. Fanno parte della storia di ognuno di noi, chi può dire di non aver mai provato queste esperienze? Grazie Serafino, Angelo mio, ti ringrazio per tutta la luce che porti a sfiorarci la mente, grazie…e Amen. rorgeno@libero.it

Noemi Stefani, sensitiva e ricercatrice della storia delle religioni, indaga da più di 20 anni nel paranormale ricevendo numerose conferme alle sue tesi. Le sue esperienze l’hanno portata a visitare i posti più misteriosi e ricchi di spiritualità della terra. Ha preso parte a convegni con tematiche riguardanti “ la vita oltre la vita “ facendo da tramite per le persone che erano in attesa di risposte e conferme dall’aldilà. Ha tenuto conferenze, intervenendo anche a trasmissioni radio (RTL 102,5) e televisive (Maurizio Costanzo show).

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Confesso, ho viaggiato

pag.77

Cartagine

Noemi Stefani

Prima di arrivare al parco archeologico con i resti della città, all'orizzonte una stringa blu di mare mi conferma che è prossimo il famoso porto di Cartagine. Non esiste più da tanti secoli, annientato e devastato dai Romani… Non è diverso dagli altri porti dell'Egitto, Tunisia, Grecia, o di qualsiasi altro paese al mondo, suppongo.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Gli stessi colori caldi del Mediterraneo, le stesse luci sul degradare della scala cromatica del blu, azzurro e turchese che avanza e si ritrae insieme al movimento ritmato delle onde. Forse sarà l’immaginazione o forse il sole accecante allo zenit, intorno a me la situazione cambia. Ora non sono più me stessa, curiosa vacanziera un po’ sudata e studiosa per vocazione.


Sotto il sole del mezzogiorno vedo luccicare qualcosa… sono bagliori di elmi e di corazze…vedo lance protese.

Per un attimo divento viaggiatrice/spettatrice nello spazio tempo… Echi di voci si avvicinano. Sibilano frecce e soldati in armatura e calzari corrono senza meta lungo la riva. Urla di vittoria degli inseguitori, di terrore e gemiti degli inseguiti. Fortunati quelli che sono già morti.

stata spianata (insieme al famoso tempio di Asclepio) sotto il regno di Augusto (30 a.C. 14 d.C.) perché la bellezza e la potenza di questa città potevano diventare una vera minaccia per la Roma del tempo. Venne distrutta totalmente al motto "delenda Cartago", Cartagine veniva bruciata e sulle ceneri sparso del sale a significare che per i punici non vi sarebbe stata più possibilità di ricostruire.

Fu così che divenne città romana. I romani edificarono il foro con il Campidoglio e la basilica civile. Quelle che noi visitatori vediamo, sono infatti soltanto le rovine romane. Sotto lo strato romano gli scavi hanno riportato alla luce un quartiere abitativo databile al II secolo a.C. con isolati formati da case a più piani disposte lungo strade e scalinate che si intersecano perpendicolarmente.

I feriti si trascinano carponi sotto i colpi delle lame nemiche… Nessuna pietà, stessa sorte per loro, maggiore la sofferenza. Sangue e sabbia si fondono insieme, ci penseranno le onde e il tempo a tergere. La mia testa è un po’ confusa, stringo le palpebre e riapro gli occhi più volte. La visione si dissolve, per fortuna non c'è più. Il pullman arranca sulla collina di Byrsa dove sono stati La casa punica si articolava ritrovati i resti della città di Annibale. Persino la collina era intorno a un cortile centrale e TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

nel seminterrato aveva una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana (impluvium). Molte case conservano parte dei mosaici e degli stucchi che le ornavano e il cosiddetto "pavimentum punicum", composto da un impasto di malta, frammenti di terracotta e di marmo. A livelli ancora inferiori sono emerse tracce di officine metallurgiche (IV-III secolo a.C.) e di una necropoli del VII secolo a.C. Bellissimi mosaici sono stati riportati quasi intatti nel famoso museo del Bardo, vicino a Tunisi. Tra i tanti reperti archeologici c'è anche la statua del dio Baal, divinità terribile che richiedeva il sacrificio di tanti bambini del posto. La storia riferisce che, a quanto pare, i loro genitori erano ben felici di sacrificarli perché per loro significava aumentare il prestigio della famiglia, si sarebbero propiziati un avvenire sicuro…

Infatti lungo i sentieri degli scavi si incontrano spesso delle piccolissime urne (grandi quanto fioriere). Come non pensare con pietà a quelle vittime, bambini indifesi che in ogni tempo della storia subiscono la violenza degli adulti, scannati come agnelli in nome di un dio tanto pessimo… Ba'al Ammone era il dio supremo dei Cartaginesi ed è


generalmente identificato, dagli studiosi moderni, sia con il dio semitico del nord-ovest El sia con Dagon, mentre nella mitologia greca è assimilato a Crono e in quella romana a Saturno.

E' sempre e comunque lo stesso, E' l'unica dimostrazione rimasta quello che i cristiani chiamano il di quanto grande e famosa dannato. fosse la Cartagine del tempo. Quelle che si vedono sono le rovine delle stanze degli inservienti, e dei magazzini. Tra le altre, pubblico la foto curiosa di una lapide. Chissà se qualcuno di voi riesce a decifrare i simboli impressi, a capirne il significato? Vi passo la palla, a voi il gioco… e alla prossima meta. Bellissime le terme di Antonino costruite il 145 d.C che erano le seconde come importanza in tutto l'impero romano.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

rorgeno@libero.it


Altre verità

pag.80

I Manoscritti di Qumran e il Papiro Magdalen Alateus

I Manoscritti di Qumran

www.alateus.it

Le vicende accadute intorno a questa importante scoperta sono emblematiche di come la chiesa abbia proceduto e proceda sistematicamente alla eliminazione di ciò che preferisce non si sappia. Il potere clericale, basato su determinate e false credenze, inculcate con forza (e con ferocia) nel corso di due millenni, difende se stesso, nascondendo determinate verità; mantenere la gente nell'ignoranza ed in uno stato perenne di pecorinismo nazareno significa difendere i propri privilegi economici, finanziari e politici. La prima scoperta risale al 1947 ed è stata fatta casualmente da un pastore beduino, in una grotta in località Khirbet Qumran, sulla riva occidentale del Mar Morto; consisteva in 7 rotoli completi, contenuti in giare di terracotta, nonché altri frammenti, molti dei quali venduti dai beduini sul mercato clandestino delle antichità. Successivamente la zona venne battuta alla ricerca di nuovi reperti; le grotte esplorate furono 270 e, si dice, ma non è certo, che i rotoli ritrovati siano

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

stati oltre 40 ai quali vanno aggiunti altri 800 reperti. Si suppone che questi reperti fossero stati sepolti nell'imminenza della guerra giudaica e trattasi di scritti prodotti, in linea di massima nella prima metà del I secolo. Per una serie di disgraziate circostanze (guerre in Israele), i primi rotoli e l'autorizzazione a nuove ricerche furono affidate alla cosiddetta "banda del domenicano", capeggiata dal monaco DE VAUX e ben presto tutti i reperti finirono nelle mani di questa presunta "commissione di esperti" che avrebbe avuto il compito di tradurli e renderli di pubblico dominio. Il contenuto dei rotoli fu ritenuto esplosivo non tanto perché contenenti particolari notizie sul cristianesimo (in fondo sono tutti testi ebraici), ma perché riportavano alla luce quella realtà essena che la chiesa ha sempre voluto artatamente ignorare. Quindi, in combutta con il Vaticano e con la forzata connivenza del governo israeliano, che aveva altri gravi problemi per le mani, la commissione, per 50(!) anni non fece quasi nulla se non occultare tutto il materiale


impedendone anche la riproduzione fotografica. Il materiale venne classificato in due categorie: - reperti biblici - reperti settari (questi ultimi naturalmente top secret) e solo nel 1996, dopo una ennesima protesta di studiosi ed accademici di tutto il mondo ed una interrogazione presso il Parlamento d'Israele, si cominciarono a diffondere le prime copie fotografiche dei documenti. Cinquanta anni di protervo e interessato occultamento di un patrimonio storico! Tra i rotoli più importanti ed oggi noti, vanno segnalati: - Apocrifo della Genesi - Rotolo del Tempio - Rotolo della guerra - Commentario ad Abacuc - libro dei Giubilei - Regola dell'assemblea - Regola della comunità - Rotolo di rame - Documento di Damasco - altri. Il rotolo di rame è particolarmente importante perché contiene un inventario criptato di tutti i tesori del Tempio, nascosti dai sacerdoti, in 64 nascondigli segreti, in previsione dell'attacco romano a Gerusalemme. Il Documento di Damasco, già noto per una copia rivenuta al Cairo molti anni prima, è importante perché lascia chiaramente intendere come "Damasco" fosse in realtà uno dei tanti nomi che indicavano la comunità essena di Qumran. Attualmente questi reperti sono esposti al pubblico nello speciale padiglione SHRINE OF THE BOOK (il Santuario del Libro) dello Israel Museum di Gerusalemme.

Se giudichiamo quanto raccontano il Nuovo Testamento, i Vangeli e gli Atti degli Apostoli come fatti storici indiscutibili, allora è impossibile rendere giustizia, in senso scientifico, ai Rotoli. E' la dottrina cristiana in realtà a dettare le regole. (P.R.Davies) Il Papiro Magdalen A proposito di questo papiro, uno studioso ci manda la seguente segnalazione che riteniamo un utile complemento a quanto esposto in merito ai reperti di Qumran. Ho da poco letto un libro (Testimone oculare di Gesù Carsten P. Thiede e Mattew D'Ancona) dove si parla di tre frammenti di codice di papiro, trovati nel 1901 a Luxor da un cappellano inglese, che poi li donò all'Università di Oxford, dove aveva studiato, appunto all'Istituto Magdalen. Questi frammenti sono stati studiati anche con il microscopio a scansione laser, per individuare anche le minime tracce di inchiostro, oltre che comparandoli con molti altri manoscritti, in particolare quelli di Qumran. Gli autori parlano anche del frammento 7Q5 di Qumran analizzato in modo analogo. Com'è noto è accertato che 7Q5 contiene un brano del Vangelo di Marco. Ebbene, i tre frammenti contengono brani del Vangelo di Matteo. L'esame al radiocarbonio non è stato fatto perché i frammenti sono troppo piccoli e comunque il margine di errore, 10% circa, lo rende inutile. Comunque il confronto paleografico dice che la TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

scrittura risale allo stesso periodo di alcuni testi greci di Qumran, quindi anche 7Q5, e di alcuni frammenti trovati ad Ossirinco; questi ultimi possono essere datati con certezza al 66 d.C. mentre per i testi di Qumran non ci sono problemi, non sono posteriori al 70 d.C. In altre parole sembra che i Vangeli di Matteo e di Marco esistessero come tali nel primo secolo d.C. Probabilmente nella prima metà, visto che alla fine del I sec. e l'inizio del II, lo stile di scrittura sarebbe stato leggermente diverso. Questo non dà, come ammettono gli autori, attendibilità storica ai Vangeli in senso moderno, però è evidente che per costruire un mito simile in pochi decenni doveva esserci un ambiente culturale molto vivace. (F. Fornasier) Il fatto che lascia alquanto perplessi è come siano stati "datati" alcuni di questi frammenti e come sono stati interpretati i segni che essi riportano. Sulla datazione fatta con il radiocarbonio (non sempre possibile) su frammenti tanto piccoli, il margine di errore sposta il periodo di più/meno due secoli, quindi praticamente inutili quando si vuole giocare sui quei limiti molto ristretti che farebbero comodo alla chiesa. Quanto all'estrapolazione di interi brani, attribuiti poi a Tizio o Caio, da qualche sparuta decina di caratteri visibili e leggibili riportati sui frammenti stessi, il risultato dipende sempre dalla buona ...volontà e dal condizionamento di chi estrapola; si ha l'impressione, a volte, che si tratti di esercizi da ...Settimana Enigmistica!


In data 10/9/2001, sul quotidiano LA STAMPA, pag. 11, sono apparsi alcuni articoli nei quali si annuncia l'intenzione della chiesa di "ritoccare" la Bibbia alla luce di quanto contenuto nei rotoli scoperti a Qumran, per 50 anni gelosamente nascosti. Si sta profilando una ennesima e disinvolta manipolazione di quella che viene comunemente propinata come "parola di Dio". Si afferma anche che, probabilmente, Gesù ha vissuto con gli Esseni per 18 anni, nella comunità di Qumran; questo farebbe del nostro personaggio un capo partigiano, un guerrigliero a tutti gli effetti come ipotizzato da alcuni studiosi da almeno un secolo prima! alateus@tin.it

LE NOSTRE INIZIATIVE COMITATO GARANTE E’ l’organo che provvede ad esaminare e valutare tutta la documentazione che perviene alla redazione di “Tracce d’eternità”. Viene attivato ogni qualvolta sorgano problematiche relative all’eventuale pubblicazione di materiale sia sul portale che sulla rivista elettronica. E’ quindi garante, a tutela dell’utente, affinché l’informazione sia coerente e, quanto possibile, supportata sufficientemente. Al momento ne fanno parte Simone Barcelli (web master del portale), Antonella Beccaria (giornalista) e Roberto La Paglia (pubblicista).

REFERENTI DI ZONA Chi ha aderito all’iniziativa, mediante il Gruppo COLLABORA COME REFERENTE PER TRACCE D’ETERNITA’ creato sulla piattaforma Facebook, verrà quanto prima contattato dalla nostra redazione, al fine di confermare la disponibilità al progetto. L’impegno richiesto è minimo ma dovrà essere costante. Si tratta, in sostanza, di incentivare, nei modi ritenuti opportuni, quello che la redazione ritiene l’obiettivo primario, cioè la libera divulgazione delle tematiche qui trattate. Ogni collaboratore sarà quindi Referente di zona per ”Tracce d’eternità” nell’ambito della propria Regione e potrà contribuire attivamente alla buona riuscita dell’iniziativa.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Esoterica

pag.83

RENNES LE CHATEAU E LA PORTA ALCHEMICA Tra Santo Graal e Pietra Filosofale David Lombardi

David Lombardi, 27 anni, si occupa da tempo di archeologia, ufologia e clipeologia. E’ socio del CROP www.croponline.org (Centro di Ricerche Operativo sul Paranormale) diretto dal dottor Giorgio Pastore nonché membro dello staff di Majuro (www.majuro.it).

Cosa lega il mistero della porta alchemica a quello di Rennes le Chateau? Stando al libro del dottor Massimo Barbetta “è quasi certo che Sauniere si sia recato a Roma ed è quindi possibile che avesse visto questa porta alchemica”. Questa affermazione presente nel libro di Barbetta dal titolo “Rennes le Chateau porta dei misteri” è molto interessante e nasce dall’incredibile uguaglianza del segnalibro dell’abate Sauniere con il frontone della porta alchemica stessa. Il legame però non termina con questa uguaglianza che a breve andrò ad approfondire ma con il suo ultimo proprietario prima di finire a Roma nei giardini di Piazza Vittorio Emanuele II. Quest’ultimo proprietario era il marchese Massimiliano di Palombara, molto amico di Cristina di Svezia, appassionata di esoterismo e alchimia, che aveva fondato un’Accademia culturale che si rifaceva ai temi dell’Arcadia. I temi dell’Arcadia, legati al misterioso quadro di Poussin “I Pastori d’Arcadia” ed il segnalibro di Sauniere, sono i due elementi che collegano il TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

mistero di Rennes le Chataeu al mistero della porta alchemica.

Ma in che modo e perché? Partendo da un ipotesi di livello spirituale abbiamo da una parte la chiesa di Rennes le Chateau legata al mistero del Santo Graal e la porta alchemica legata ai misteri alchemici e quindi alla figura della pietra filosofale. Quindi abbiamo: “Santo Graal e Pietra filosofale”. Entrambi, secondo alcune leggende, conferirebbero l’immortalità, ma se proviamo a mettere i piedi fuori da queste


leggende e andiamo a vedere questi due oggetti con l’ottica del materiale, noteremo che la situazione assume un aspetto diverso. Per entrare in quest’ottica passiamo alla descrizione della porta alchemica fatta dal dottor Barbetta: “Il frontone di essa corrisponde al segnalibro di Sauniere e mostra subito sotto la frase ebraica Ruach Elohim (spirito degli dei) ed una frase latina Horti magici ingressum Hesperius custodit Draco, et sine Alcide Colchias delicias non gustasset jason ossia “Il Drago delle Esperidi custodisce l’ingresso del giardino magico e, senza Ercole, Giasone non avrebbe gustato le delizie della Colchide”. Il brano, che all’apparenza sembra non collegare la porta alchemica al mistero di Rennes le Chateau, dopo alcune righe ci svela il collegamento in questione: “Il vello d’oro, recuperato da Giasone in Colchide, verrebbe equiparato alle mele blu delle esperidi, recuperate da Ercole, che, peraltro era proprio personalmente presente alla spedizione degli Argonauti in Colchide”. Le “mele”, con i riferimenti astronomici precedenti, assomigliano molto alle Pommes bleues (“mele celesti”) del Serpent Rouge, di cui si parla frequentemente a proposito del mistero di Rennes le Chateau. Come abbiamo potuto vedere ci sono altri due elementi, ossia le “mele blu” ed il “serpente rosso” che collegano il mistero di Rennes le Chateau alla porta alchemica. Il mistero potrebbe risiedere nella seguente data: 17 GENNAIO. Il fenomeno delle mele blu avviene ogni 17 gennaio ed il

serpente rosso è stato pubblicato il 17 gennaio. Si tratta di una banale coincidenza? Oppure chi ha stampato il libricino aveva scoperto qualcosa in merito al mistero delle mele blu di Rennes le Chateau? Secondo le fonti più accreditate fu Sauniere a dirigere i lavori di restauro nella chiesa, dopo aver fatto decriptare le pergamene scoperte in una delle due colonne che sorreggevano l’altare. Sauniere riuscì in qualche modo a far sì che la luce, filtrando da una delle vetrate delle chiesa, proiettasse all’interno di quest’ultima un albero di mele blu. Oltre a ciò bisogna aggiungere che la parola “mele blu” compare nella seconda pergamena resa nota al pubblico e che allo stesso tempo è una delle chiavi del segreto di Sauniere. Nella pergamena viene fatto anche riferimento al pittore Nicolas Pouissin e si sa che Sauniere si procurò a Parigi, dove era andato a far tradurre le pergamene, un suo famoso quadro dal titolo “I Pastori d’Arcadia”. L’Arcadia non era anche uno dei temi affrontati dall’accademia di Cristina di Svezia, accennato all’inizio dell’articolo in relazione alla porta alchemica? Un'altra coincidenza? Prima di rispondere, andiamo avanti. Tornando alla pergamena in cui compare la parola “mele blu”, in essa compare anche il nome “Dagoberto II” un famoso re Merovingio e secondo la storia uno degli ultimi della sua dinastia. In base alle varie ipotesi in circolazione i Re Merovingi sarebbero i possibili discendenti nati dall’unione tra Gesù Cristo TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

e Maria Maddalena ovvero i discendenti del Sangue Reale. Guarda caso il termine “Sangue Reale” deriva, sempre secondo alcune fonti, dal termine “Santo Graal”, guarda caso tale termine viene associato alla coppa dell’ultima cena la quale, secondo alcune leggende, conferirebbe la vita eterna a chiunque ne berrebbe da essa e guarda caso anche la pietra filosofale, tra l’altro famosissimo oggetto alchemico, ha anch’essa il potere di dare la vita eterna. Quindi in base a tutto ciò è possibile dedurre che Sauniere avesse scoperto qualcosa in relazione alla vita eterna? E se cosi fosse, cosa c’entra la data del 17 gennaio? Di certo la porta alchemica si collega per i molti simboli incisi su di essa e si potrebbe ipotizzare ad una sorta di codice da decifrare per avere l’accesso alla vita eterna o, come viene più elegantemente chiamato, “l’elisir di lunga vita”. In breve l’enigma della chiesa di Rennes le Chateau e quello della Porta Alchemica sono uniti da una misteriosa data: 17 GENNAIO Ma cosa si nasconde veramente in essa? E perche tanti elementi vi ruotano attorno? Le domande sono tante ma solo con il tempo riusciremo a trovare le risposte. davidlombardi82@gmail.com

Bibliografia Rennes le Chateau: porta dei misteri – Massimo Barbetta L’enigma di Rennes le Chateau – Giorgio Baietti


Gli anelli mancanti

pag.85

Le abilità telepatiche del DNA

Ines Curzio

Da una ricerca pubblicata sul ACS’ Journal of Physical Chemistry è risultato che le molecole di DNA possiedono una capacità che lascia increduli gli scienziati. Il fenomeno osservato appare simile alla telepatia. Sequenze di diverse centinaia di nucleotidi possono riconoscere molecole corrispondenti ad una certa distanza e poi possono raggrupparsi insieme, tutto apparentemente senza che vi siano contatti tramite proteine o altre molecole biologiche.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Con la comprensione che si aveva fin qui del DNA, gli scienziati non avevano nessuna ragione di sospettare che le eliche sosia fossero in grado di riconoscersi e di ordinarsi, cercandosi da sole a distanza. Il processo analizzato dal team di ricerca riguarda la capacità dei geni di identificarsi a vicenda e allinearsi per dar inizio al processo di ricombinazione omologa, dove due doppie eliche di DNA si scambiano materiale genetico, o segmenti della stessa molecola che possiedono


un’ampia regione di sequenze omologhe. Nello studio, gli scienziati hanno osservato il comportamento di filamenti di DNA resi fluorescenti e messi in acqua che non conteneva proteine o altro materiale, per non interferire con l'esperimento. I filamenti con sequenze identiche di nucleotidi erano circa il doppio ad accoppiarsi rispetto a filamenti di DNA con diverse sequenze. Nessuno sa il meccanismo che permette a filamenti individuali di DNA di comunicare fra loro in questo modo, eppure lo fanno… In questo risiede l'effetto "telepatico" che è fonte di meraviglia per gli scienziati. “Sorprendentemente, le forze responsabili per il riconoscimento della sequenza possono arrivare a più di un nanometro di acqua di distanza dal DNA vicino”, hanno detto gli autori Geoff S.Baldwin, Sergei Leikin, John M.Sedon e Alexei A.Kornyshev. Quest’ultimo ha affermato: “Vedere queste molecole identiche di DNA cercarsi in una moltitudine disordinata di

altre molecole, senza alcun aiuto esterno, è molto emozionante. Questo può fornire una forza di azionamento per i geni simili, per cominciare il complesso processo di ricombinazione senza l’aiuto di proteine o di altri fattori biologici. I risultati sperimentali della nostra squadra sembrano sostenere queste aspettative”. Capire il preciso funzionamento del riconoscimento primario potrà in un futuro prossimo evitare che ci siano errori nella ricombinazione e quindi fare in modo che il DNA si possa riparare. Tutto ciò ha un’importanza notevole se si considera che patologie come il cancro o l’Alzheimer sono spesso determinate da errori nel patrimonio genetico di alcune cellule. Naturalmente questo fenomeno che appare “telepatia” è un fatto certo e assolutamente scientifico, non soprannaturale, perché è stato sperimentato e reso visibile dalle strumentazioni. Ma quante informazioni contenute nel codice genetico

non sono ancora state scoperte e decifrate? Da questa recente ricerca si aprono inevitabilmente ulteriori domande sul grande mistero del DNA, sulla molecola della vita che contiene in sé tutte le informazioni indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento dell’organismo. Il DNA mostra capacità che possiedono non solo i geni, ma di riflesso tutti gli organi, inclusa la mente. Allora non viene il dubbio che la telepatia, la telecinesi, la telestesia e le altre facoltà psichiche siano ben altro che non eventi occasionali, soprannaturali o paranormali? Non potrebbero invece essere normali abilità del cervello, le cui istruzioni sono racchiuse nello stesso DNA, che stranamente si scopre ora avere abilità simili? inescurzio@yahoo.it

Bibliografia http://www.livescience.com/health/0 80124-dna-telepathy.html http://www.bioblog.it/2008/01/29/ge ni-telepatici/20082145

E’ un vero piacere presentare ai nostri lettori il libro d’esordio di Ines CURZIO, collaboratrice di Area di Confine e di Tracce d’eternità. Beninteso, la nostra amica coltiva tanti altri interessi ma qui vogliamo segnalarne l’impegno nel campo di ricerca a noi più congeniale. “Gli anelli mancanti”, edito da La Riflessione Davide Zedda Editore, fresco di stampa, è un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca delle origini dell’uomo, tra mitologia, scienza e archeologia. Per saperne di più è d’obbligo il rimando al sito www.glianellimancanti.com ove troverete anche un video di presentazione. L’autrice si interroga su diversi argomenti: l’esistenza dei Giganti, la loro asserita provenienza dalla mitica Atlantide, il diluvio universale, le similitudini esistenti nei resoconti mitologici di tutto il mondo. Tematiche controverse, che da sempre fanno discutere studiosi e appassionati. Ben venga, quindi, lo scritto di Ines, se non altro per ridestare l’attenzione ed aprire di nuovo il dibattito, alla ricerca di qualcosa che pare sfuggirci di mano: gli anelli mancanti, appunto.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Dreamland

pag.87

Le fotografie dimenticate dell'UFO in Scozia © Malcolm Robinson

L'immagine originale del disco fotografato da Ian Mc Pherson

Malcolm Robinson

La Scozia nel corso degli anni ha avuto la sua parte di avvistamenti UFO e gran parte di queste attività si sono verificate nei cieli del Fife e nella città di Bonnybridge nel Stirlingshire.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Tuttavia, ci sono due casi con rilevanti prove fotografiche che raramente sono state di pubblico dominio, molto diversi ma, comunque, abbastanza incredibili.


L' incidente di Craigluscar Reservoir. Il più famoso caso di UFO fotografato. 19 febbraio 1994. Fotografie di UFO che si possano definire buone sono poche e poco visibili; nuovi sofisticati computer chiariscono e gettano fumo su ogni potenziale fotografia di UFO. La Scozia ha raramente visto una foto di UFO degna di essere definita " una buona foto" (a parte la foto di Reservoir di Polmont), ma tutto questo stava per cambiare, perché il 19 febbraio 1994, l' ufologia ha avuto a che fare con quella che penso "essere la migliore foto di UFO mai effettuata in Scozia". Non solo la fotografia è chiara e nitida, ma la testimonianza per quanto riguarda l'evento vero e proprio, è, a mio avviso, la testimonianza più veritiera e nitida che di cui io abbia mai sentito parlare in tutti i miei anni come ricercatore di UFO. Il caso vero e proprio mi è stato passato da Nick Pope del ministero della Difesa britannico, che, a quel tempo, ancora occupava il suo posto alla Whitehall, Air Staff. In realtà, Nick è stato informato, la prima volta, di questo caso dallo Scottish Daily Record, in un comunicato scritto dal testimone Ian Mc Pherson (44) da Dunfermline, il quale ebbe a dire circa il suo incontro UFO: "Il pomeriggio di sabato 19 febbraio 1994, ero in macchina per Craigluscar Reservoir appena fuori Dunfermline, per fare alcune foto a quella zona. Sono un artista dilettante, e mi servivano delle fotografie per aiutarmi nella produzione di un dipinto del serbatoio.

Sono un membro del club locale, che pesca e ha diritti di pesca per l'acqua. Avevo già fatto alcune fotografie in estate, ma volevo avere immagini del paesaggio invernale. Ho fatto un certo numero di fotografie, mentre camminavo lungo la riva del serbatoio e riflettevo se fare qualche fotografia guardando a est, lontano dal mare, quando ho sentito come una specie di ronzio acustico, come il suono delle linee elettriche ad alta tensione. Mi sono anche sentito molto a disagio e mi girai lentamente verso il serbatoio. "

Close up dell'oggetto non identificato

"Sospeso in aria c'era un disco, che doveva essere sicuramente un 'oggetto volante', che stava venendo verso di me. Avevo la mia macchina fotografica in mano ma, in qualche modo, non ero in grado di utilizzarla. Non ho mai provato un sentimento simile. Non pensavo nemmeno a fare uno scatto. Ripensandoci era come se ci fosse stata una specie di impedimento. Mi stavo concentrando sul velivolo totalmente incapace di capire ciò che stava succedendo. Avevo molta paura, ma ora mi rendo conto che la paura svanì per essere sostituita da un TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

senso di "rilassata accettazione", non ho parole migliori per descriverla. In seguito ho realizzato che devo aver guardato quella cosa per più di quindici minuti. Il velivolo è venuto abbastanza vicino da farmi vedere che era decisamente metallico e aveva diversi punti di luce al di sotto, il tutto all'interno di un 'cerchio' di colore più scuro. Quando cominciò ad allontanarsi la sensazione che aveva bloccato la mia mano scomparve. Ho sollevato la mia macchina fotografica e ho scattato due fotografie. L'accelerazione del velivolo era fenomenale. Nel breve tempo intercorso tra i due scatti il velivolo era diventato un piccolo puntino nel cielo. Non c'era alcun rumore, a parte il ronzio quando era vicino a me. Io non so assolutamente niente di UFO e nemmeno mi interessa. Ma niente di ciò che ho visto o vissuto era nella mia 'immaginazione'. Di questo sono certo. Più tardi quel giorno, ho telefonato alla R.A.F. Pitrevie per chiedere se vi fosse stata qualche attività insolita in quel giorno. Mi è stato detto di no. Sono un appassionato di aerei e so come riconoscerli e so che quello che ho visto non era un aereo convenzionale ". Venerdì 25 febbraio 1994 (sera) "Dopo aver parlato con Malcolm Robinson di BUFORA, la notte scorsa, mi appare molto più semplice riordinare i miei pensieri riguardo ciò che ho visto sabato scorso senza sentirmi 'sciocco'.


Perché è questo che ho fatto! Anche quando parlavo con le persone del giornale ".

Malcolm Robinson

Ian sapeva che aveva fotografato qualcosa di straordinario e che se avesse sviluppato le foto da solo, probabilmente, sarebbe stato etichettato come un mistificatore, così pensava che sarebbe stato più accettabile consegnarle al Daily Record Newspaper per lo sviluppo. Ma poi gli venne il dubbio che ciò che aveva fotografato avrebbe potuto non essere visibile nelle foto! Eppure, doveva tentare. Era successo qualcosa di straordinario e lui, non solo aveva bisogno di verifica, ma doveva sapere che cosa fosse stato. Ian continua la storia: "Mi sentivo come se non fossi riuscito ad arrivare da nessuna parte. Ma qui c'era qualcuno che, non solo era consapevole ed entusiasta, ma che, anche se non è riuscito a dare una spiegazione, mi ha almeno rassicurato su alcuni punti. Non meno importante è stata la tesi di Malcolm, il quale pensava che l'impossibilità di utilizzare la fotocamera in

alcuni momenti non era insolita. Fui contento di sentirglielo dire. Perché tutta la settimana mi sono chiesto "perché"? Non era, come mi ha suggerito un amico, il dramma della sensazione di impotenza. Non del tutto. Non accettavo il fatto che " qualcuno" 'mi dicesse' che non avevo 'NESSUN DIRITTO' o 'VOLONTA'' di fare una fotografia. Mi è stato chiesto il colore dell'oggetto / velivolo / qualsiasi cosa fosse. Credo che fosse grigio chiaro a parte alcune differenze di tono, causate dalla direzione della luce che lo colpiva. Non era 'lucido', né cromato o simile all'alluminio. La parola migliore che ho trovato per descriverlo, era 'sporco'! Non aveva l'aspetto originario, sia in forma che in finitura. "

Schizzo originale dell'episodio

"Malcolm mi ha chiesto se avevo visto 'aperture' nella struttura superiore, (perché aveva visto la copia di uno dei miei primi schizzi in cui avevo raffigurato alcune sporgenze circolari). Ma, a posteriori, questi sporgenze sono risultate appartenenti alla superficie e

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

non delle vere e proprie finestre. Mi ci sono voluti giorni di riflessione per arrivare a questa conclusione. Ha sorpreso anche me, chiedendomi se avessi avuto sogni su quello che avevo vissuto. I sogni non hanno mai significato molto per me, non penso siano sogni, quanto una 'incapacità di dimenticare'. Tutto il tempo, anche quando sto facendo cose che non hanno alcun legame con l'esperienza, essa mi si ripropone. Giorno e notte. Forse allora essa 'fa' parte dei 'sogni', non so. Elementi di chiarimento. Quando ho visto l'oggetto o velivolo, che dir si voglia, mi sembrava che esso fosse allo stesso tempo statico e in movimento verso di me. Voglio dire, non stava viaggiando. Sono certo che si è avvicinato molto lentamente, ma questa conclusione è dovuta alla percezione del progressivo ed impercettibile aumento delle sue dimensioni e non dalla vista di un movimento vero e proprio, (spero che questo abbia senso!) " "E non avevo la mia macchina fotografica pronta per l'uso, vale a dire, fuori dal suo involucro e senza il copriobiettivo. Io 'so' che non sarei stato in grado di fotografarlo, perché da quando ha cominciato ad allontanarsi, fino a quando sono stato in grado di fotografarlo, cioè fino a che scomparve in lontananza, non erano passati neanche due secondi. " Ian Mc Pherson


Questa fu la dichiarazione scritta e presentata al SPI della testimonianza di Ian Mc Pherson. Ian afferma anche che, si tentava in continuazione di disegnare ciò che aveva visto, ma sentiva che non riusciva a farlo bene. Non importava quanto si sforzasse, arrivava sempre e solo 'vicino all'idea' di ciò che aveva visto quel giorno. Inoltre, racconta che una volta si trovò seduto su una sedia nel salotto di casa sua, non sapendo come c'era arrivato. Non si ricorda di essersi dal letto, o di scendere nel salotto, tutto ad un tratto si ritrova seduto in poltrona a guardare il dipinto del serbatoio che aveva fatto. Come si è detto, Ian è stato turbato dall'immagine del 'velivolo' nella sua mente che egli voleva disegnare correttamente. Un altro punto importante per quanto riguarda la fotografia che Ian ha fatto dell' UFO, è quello in cui egli riferisce che, sulla fotografia, l'oggetto in realtà appare sottile e assomiglia ad un frisbee, in altre parole ha una struttura a spessore minimo. Tuttavia, quando Ian fu immobilizzato e si trovò a fissarlo in maniera quasi assente, egli afferma che il velivolo aveva una grande struttura quadrata abbastanza visibile in cima e, poco prima che l'oggetto sparì dalla vista, questa struttura quadrata 'scese' nel corpo principale del 'velivolo'; dopodichè si inclinò leggermente e schizzò via ad una velocità terrificante. Ian desiderava solo aver avuto la possibilità di fare la fotografia alcuni secondi prima, perché se l'avesse fatto, sarebbe

riuscito a catturare l'oggetto in tutta le sua interezza. L'inchiesta dello SPI di questo straordinario caso è stata estesa e non abbiamo trovato NESSUNA prova di un velivolo che si trovasse in quella zona, al momento dell'avvistamento. Ho parlato con Andrew Allan, Direttore della fotografia del Daily Record, che collabora con il giornale da più di 2O anni, il quale mi disse che era molto impressionato dalle fotografie. Ne aveva viste altre, durante il suo periodo al Daily Record, ma queste erano certamente le migliori che avesse mai visto finora. Ian Torrence, fotografo del Daily Record, ha sviluppato egli stesso il rullino ed era del parere che i negativi non erano stati 'ritoccati' in alcun modo ed era, anch'egli, molto impressionato. Inutile dire che quest' impressionante avvistamento, con le fotografie di accompagnamento è stato descritto nel Daily Record pochi giorni dopo, con entrambe le osservazioni da Ian Mc Pherson e me. In questo momento, le copie di entrambe le fotografie sono nelle mani del ministero della Difesa a Londra per la valutazione, e mi è stato detto che mi sarebbe stato inviato un rapporto scritto completo della loro valutazione, una volta completata. Per informazione dei lettori, la marca della macchina fotografica era un Chinon, modello C.5 , ed aveva circa 15 anni, ma era in buone condizioni. La lunghezza focale era fissata a B-1OOO sec. e lo stop a 2.8. Dal Settembre del 1994, non ho ancora ricevuto alcuna risposta da parte del Ministero della Difesa, anche se continuo a

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

telefonare quasi ogni due settimane. Nick Pope ha continuato a dirmi che il Ministero della Difesa aveva altre cose di cui occuparsi e che si trattava di priorità, ma che ci si sarebbero messi a lavorare! Copie di queste fotografie sono state sottoposte a test per l'Università di Paisley vicino a Glasgow, ma non erano state in grado di raggiungere una qualsiasi conclusione definitiva su cosa potesse essere quella cosa, tuttavia, poteva dirmi che l'oggetto raffigurato nelle fotografie era certamente vero. Con l'intervento dell'allora direttore delle ricerche di BUFORA, Philip Mantle, abbiamo chiesto l'aiuto di Jeff Sainio di Heartland WI. USA. Jeff è l'analista delle foto al MUFON (IL MUTUO UFO Network) ed ha preso in esame numerose fotografie e video di presunti UFO. Jeff ha condotto test di valorizzazione al computer sulle fotografie e di seguito riporto un estratto da una lettera che egli ha inviato a Philip Mantle, scrive: "Sono state presentate due fotografie che mostrano un lago sotto un cielo coperto. In una fotografia si vede chiaramente un disco piatto mentre l'altra mostra un minuscolo puntino. L'immagine della seconda foto è troppo piccola per effettuare tutte le analisi utili, si potrebbe benissimo dire, ed in entrambi i casi avere ragione, che è un uccello lontano o un aereo. E' chiaro che la prima foto non è un errore d'identificazione. Il disco è un oggetto sconosciuto o una frode. La seconda foto corrobora le affermazioni dei testimoni, ma non aggiunge nulla di più.


Un controllo a fuoco dei bordi dell'UFO dimostra che la nitidezza del bordo dell’UFO stesso contro l'orizzonte è esattamente come dovrebbe essere trattandosi di un oggetto distante. Gli alberi all'orizzonte appaiono confusi, come è giusto che sia, e, apparentemente, i bordi arrotondati della UFO danno l'impressione di un oggetto non messo a fuoco, come in realtà è. Quindi l'UFO è chiaramente un 'oggetto lontano'. “Un modello gettato può mostrare segni di striature causate dal movimento durante l'esposizione alla fotocamera, non è stato trovato niente, nemmeno segni che davano adito a pensare che l’orizzonte fosse striato a causa del movimento della fotocamera, quando il fotografo seguiva l'UFO. Questo conferma anche la dichiarazione dei testimoni, anche se un' esposizione veloce o un modello che si sta allontanando dalla fotocamera non mostrano segni di striature causate da movimento. L'anello superiore dell' UFO sembra essere più un disegno ad anello tipico di un frisbee. Dal momento che non è visibile sul lato opposto dell' UFO, ciò sembra essere coerente con un disco sollevato e connesso al disco principale. Questa forma è tipica di un frisbee, ma bisogna considerare alcuni dischi metallici simili a quelli che coprono i mozzi delle ruote degli autoveicoli. Dopo la comparazione del colore rispetto al cielo, il disco risulta essere di un verde rugginoso, vicino al disco centrale, e bluastro sul disco esterno.

Un semplice disco metallico cromato non dovrebbe mostrare questa variazione di colore. La prova è debole, ma è contraria ad una teoria che verte su dischi cromati " Jeff Sainio I risultati ottenuti da Jeff non sono stati conclusivi 'in entrambi i casi', ma, almeno, abbiamo trovato una persona che analizza quotidianamente materiale come quello fornito da noi. Ulteriori ricerche con i club di volo e gli appassionati di aeromodellismo, sono state vane. Ci siamo chiesti se qualche persona che vive vicino al serbatoio potesse aver visto qualcosa di strano, quel giorno, e ho telefonato presso una fattoria adiacente informandomi sul fatto. Lo strano caso del Landrover! Ho parlato con un fattore del luogo e, raccontando brevemente quanto era accaduto vicino alla sua fattoria, gli ho chiesto se lui, o i membri della sua famiglia, aveva visto qualcosa di strano quel giorno. Mi ha risposto di no, ma ha aggiunto che c'è stato un incidente che lo aveva colpito, una cosa successa a sua figlia e ad una sua amica. Dopo aver parlato con sua figlia, le ho chiesto di scrivere una dichiarazione riguardo a ciò che era accaduto, questo è quanto Shona(*) ha scritto: "La mia amica June mi venne a prendere con il suo Landrover Discovery diesel tra le 7:45 e 8:00 di sera.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Siamo partite immediatamente e non ho notato niente di strano fino a quando, a metà strada, accesi la radio senza riuscire a farla funzionare. Avevo provato a mettere una cassetta fin da quando eravamo partite da casa mia, ma non funzionava, così l'ho spenta. Ho continuato a giocare con la radio fino a quando abbiamo raggiunto la fine della strada, quando sia io che la mia amica June ci siamo rese conto che le luci del Landrover erano del tutto oscurate. Penso che abbiano cominciato a oscurarsi fin dal momento in cui abbiamo lasciato la casa. Per qualche ragione, proprio mentre stavamo attraversando l'incrocio alla fine della strada, June accese i tergicristalli che erano insolitamente lenti. " "Stavo ancora provando ad accendere la radio che non dava segni di funzionamento dissi a June che non funzionava. Nello stesso istante abbiamo notato che le luci del telefono della macchina si erano spente. La luce dei fari stava, man mano, diventando sempre più fioca, fino a quando non 'sparì completamente' a circa mezzo miglio da dove avevano cominciato a svanire. Non sapevamo quello che stava accadendo e June era costretta a guidare molto lentamente in quanto si vedeva a malapena la strada. Mi ricordo che il motore funzionava normalmente. Dopo aver superato una curva, le luci lentamente tornarono, così come le luci del telefono e della radio. Non sono sicura per quanto tempo è rimasto spento, credo un paio di minuti, forse meno. Abbiamo proseguito verso la casa di June, circa mezzo


miglio avanti, dove abbiamo telefonato a un amico per vedere se c'era qualche guasto alla macchina. Ma ci disse che lui non riusciva a vedere niente di guasto. Il giorno dopo June ha portato a far controllare la macchina, ma non è stato trovato nulla di rotto". Shona Green (*) Il racconto sopra è abbastanza insolito ed è accaduto 'due giorni' prima dell'osservazione effettiva dell' UFO da parte di Ian Mc Pherson. Naturalmente l'evento descritto qui, può non avere niente a che fare con quello che seguì, due giorni dopo, ma dobbiamo ricordare che questo tipo di evento è stato riscontrato più volte in casi riguardanti i fenomeni UFO; ma, di solito, questi oggetti non identificati si notano quando una macchina è in panne e nè i fanali nè la radio funzionano. Era un UFO il motivo del mal funzionamento del veicolo? Le due ragazze non hanno visto nulla. Ho voluto inserire questo racconto esclusivamente a riconferma della stranezza del caso delle fotografie. Può non significare assolutamente niente, ma serve solo da spunto per altri ufologi che si potrebbero trovare di fronte a qualcosa di simile. Questo è il motivo per cui, noi ufologi, dovremmo presentare 'tutti' i vari frammenti di informazione, non importa quanto irrilevanti possano sembrare. Come ho già detto dovremmo stare molto attenti a non 'buttare via il bambino assieme all'acqua del bagnetto'! L'episodio di Craigluscar è uno di quei casi che ha come valore

aggiunto alcune fotografie, ma la testimonianza di Ian Mc Pherson è ugualmente impressionante. Io sono del parere, che questo caso non è una bufala e che non è neanche il risultato di una errata interpretazione, da parte di Ian, di un qualcosa che potrebbe essere stato gettato verso il cielo. Non dimentichiamo che Ian ha visto questo oggetto per circa 10 minuti, un lasso di tempo incredibile per chiunque abbia sperimentato un incontro con un UFO. Frisbee e cerchi cromati non rimangono in aria così a lungo! La fotografia di Polmont Reservoir Ho già detto molte volte, che è estremamente facile fare una fotografia e affermare che essa rappresenta un fantasma o un UFO. Quando si lavora alla ricerca di UFO, si scopre che, di tanto in tanto, qualcuno ti avvicina dicendo di avere una fotografia di un UFO. Ovviamente avere testimonianze sostenute da fotografie è estremamente fondamentale e bisogna tenere in attenta non solo le indicazioni dei testimoni, ma anche l'analisi di un’ eventuale foto. Una fotografia del genere mi è capitata tra le mani durante i primi anni della mia Indagine sui fenomeni Bonnybridge. Phil Trevis è un aspirante musicista, suona la chitarra in un gruppo rock locale di Grangemouth, la notte del 12 novembre 1991 (prima dell’esplosione del fenomeno Bonnybridge) stava scattando alcune fotografie con un amico per un progetto di fotografia, in una dichiarazione scritta,

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Philip, disse questo riguardo la sua esperienza.

"Io ed un mio amico stavamo scattando alcune fotografie allo Stabilimento di Chimica di B.P. a Grangemouth da Polmont Reservoir, quando abbiamo notato una scarsa, o meglio, due piccole e fioche luci intermittenti oltre i due piloni Kincardine Bridge. Abbiamo visto l'oggetto, che abbiamo pensato fosse un elicottero, volare lentamente sopra il ponte oltre lo stadio di Grangemouth. Lo abbiamo visto gironzolare per circa 5 minuti. Fu allora che ci accorgemmo che il 'velivolo' non stava facendo alcun rumore. Se si fosse trattato di un elicottero avremmo dovuto sentire le pale del rotore. Poi si voltò e si mise di fronte a noi. Stava a circa 600 m sopra le nostre teste. Poi si abbassò e prese velocità. Al momento della fotografia, era a circa 60-90 m sopra di noi. E 'stato allora che abbiamo sentito il pulsante ’ronzio' del velivolo. In quel momento io ed il mio amico eravamo molto scossi, ma, in seguito, fummo presi da un enorme senso di eccitazione. Da allora ho mostrato la mia fotografia a pochissime persone e ho persino distrutto il negativo. Non avevo alcun motivo per distruggere il negativo, ora, ovviamente, mi pento di averlo fatto". Phil Trevis


(a) le registrazioni per il periodo in questione non erano state conservate; (b) era improbabile che un aereo militare avesse sorvolato Grangemouth la notte in questione; (c) gas di scarico spesso si manifestano in questo impianto petrolchimico, un evento che potrebbe apparire allarmante. L'Ufo di Polmont

La fotografia mi è stata consegnata da un amico del fotografo in una riunione dello SPI tenutasi a Stirling; è stata fatta da una fotocamera Halina 35 mm, con una pellicola Kodak con esposizione di 24. Quello che si dovrebbe tenere a mente, guardando questa strana fotografia, è che, ciò che si sta guardando, in realtà, è la parte inferiore dell'oggetto, perché quando esso era al di sopra di Philip egli avrebbe effettivamente dovuto piegarsi all'indietro per poterla fare. Nella foto si può vedere che il centro dell'oggetto sembra essere concavo, si vedono brillare diverse luci bianche che creano una sorta di effetto alone nel cielo intorno ad esso. Allora, cosa hanno rivelato le nostre indagini, c'è una spiegazione naturale per questa fotografia? In primo luogo ho contattato la Polizia locale per vedere se avesse contattato la loro stazione, nessuno lo aveva fatto. Ho, quindi, scritto diverse lettere ai vari aeroporti scozzesi per vedere se, magari, qualche tipo di aereo o un elicottero avessero sorvolato la zona durante quella notte. L’aereoporto di Prestwick nell’Ayrshire rispose nel giugno 1995, affermando che:

Entrambi i testimoni sanno benissimo a cosa somigliava questo 'gas di scarico' e certamente non era quello di cui erano stati testimoni. L’aereoporto di Aberdeen non è stato in grado di offrire alcuna spiegazione così come Edimburgo e Glasgow. Il ministero della Difesa a Londra ha risposto che, siccome questo avvistamento non era di alcuna importanza per la difesa, non erano riusciti a notare l‘evento (dove l’ho già sentita questa frase?!). Ma cosa succederebbe se lo stabilimento di B.P. offrisse qualche informazione. Questo stabilimento, che è estremamente esplosivo, è una bella vista, quando è illuminato di notte, e guardandolo da lontano, si potrebbe pensare di osservare Las Vegas per quanto è enorme e luminoso. In una lettera pervenuta da parte di Bill Moore, addetto stampa per BP Chemicals, datata 9 giugno 1995, Bill ha affermato, e cito: "Posso confermare che gli elicotteri svolgono ispezione condotte in nome della BP Chemicals. Questi voli si verificano a intervalli di due settimane e avvengono esclusivamente durante le ore di luce durante il fine settimana. Vorrei sottolineare che gli elicotteri non tendono a sorvolare luoghi per i quali TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

nutrono maggior interesse, ma seguono percorsi che collegano Wilton e Mossmorran a Grangemouth. Mini-luci o aquiloni telecomandati e muniti di telecamere non sorvolano il complesso. Ho controllato le nostre registrazioni e non vi è alcuna indicazione riguardo un velivolo che ha sorvolato il complesso Grangemouth il 12 novembre 1991 ". Bill Moore In una lettera successiva, questa volta dal Sign. K.W. Smith, coordinatore dell’Estates & Pipelines per B.P. Oil allo stabilimento di Grangemouth, ha dichiarato e confermato che BP Olio di non utilizzare miniluci o altri dispositivi di controllo di volo per ispezionare i tubi, e che lo spazio aereo immediatamente al di sopra del Complesso Petrolchimico di B.P.è un 'area riservata' agli aeromobili. Egli ha poi affermato che, secondo una ricerca da lui stesso condotta, non ha trovato alcuna prova di qualcosa di insolito nella notte in questione. Dopo questi controlli e molti altri, era chiaro affermare che niente di convenzionale era da imputare a ciò che i testimoni avevano visto. Le analisi svolte sulla fotografia hanno provato molto poco e non ha contribuito a dimostrare la tesi in nessun caso e, come sappiamo, il testimone ha distrutto il negativo per motivi che, ancora oggi, egli non riesce a comprendere appieno. In realtà egli stava per distruggere anche la fotografia, ma fu fermato da un amico. Dopo aver parlato con Philip in molte occasioni, ad oggi non ho


alcun motivo di dubitare della sua onestà e credo che quello che lui e il suo amico hanno visto quella notte, era qualcosa di totalmente inspiegabile con mezzi razionali. Purtroppo l’amico di Phil è scomparso in un incidente automobilistico e, di conseguenza, non ho potuto ottenere alcun chiarimento circa la storia di Phil. La fotografia di Phil Trevis è chiaramente insolita ed è sicuramente parte integrante dei fenomeni di Bonnybridge. L'area in cui egli ha fatto la fotografia dista solo poche miglia di distanza dalla stessa Bonnybridge. Una fotografia insolita, una delle pochissime foto che abbiamo, che mostra l'attività UFO sulla Scozia. malckyspi@yahoo.com

fornendo informazioni sugli UFO e sul paranormale. La completa storia sull'ondata di avvistamenti UFO sopra la città di Bonnybridge è descritta in questo libro, è la storia completa del primo caso di rapimento documentato. Altri casi di incontro ravvicinato sono analizzati in dettaglio. Il libro “Amazing Real Life Incontri Alien” di Malcolm Robinson è disponibile su http://www.healingsofatlantis.com a £14:99 Malcolm Robinson è un ricercatore esperto in UFO e Paranormale con un’ esperienza trentennale, egli ha 'messo le mani' in ogni esperienza contenuta in questo libro. Malcolm ha tenuto conferenze sugli UFO e paranormale in tutto il Regno Unito e Irlanda ed è stato il primo a tenere una conferenza sul suolo americano in Laughlin, Nevada, nel 2009. Malcolm è apparso numerose volte alla televisione, sia nel Regno Unito che in altre parti del mondo ed ha assistito i giornali e le stazioni radio

Nella pubblicazione del primo libro di Malcolm Robinson, egli cerca di illuminare con il più affascinante tra i casi riguardanti gli UFO che la Scozia abbia da offrire. Questo lavoro è tutt’altro che definitivo, anzi esso rappresenta una riflessione personale sulle sue ricerche e su ciò che vuole essere il più intrigante e inspiegabile caso di UFO. Questo è un libro epico, un libro che dimostra chiaramente che la Scozia, come nazione, è stata toccata dalla presenza di UFO. Questo libro vi lascerà con pochi dubbi sul fatto che l'umanità si sta occupando di un fenomeno reale e in buona fede, come i testimoni possono chiaramente asserire.

NEL PROSSIMO NUMERO DI TRACCE D’ETERNITA’ IN DOWNLOAD A FINE GENNAIO 2010 Ricordo di Gabriele D’Annunzio BARALDI, scomparso nel 2002 a 64 anni. Archeologo atlantologo, con una passione per i territori mitici poco indagati, investigatore di uno dei misteri del Brasile preistorico: la "pedra do Ingá", un monolite che si trova nello Stato del Paraíba, ricoperto di "petroglifi".

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Collaborazioni

pag.95

www.oopart.it

Ardi, l'anello mancante tra uomo e scimpanzè

Gianluca Schirru

2 ottobre 2009 Gli scienziati hanno annunciato la scoperta del più antico scheletro fossile di un antenato dell'uomo. La scoperta rivela che i nostri antenati hanno subito una fase precedente sconosciuta alla teoria dell'evoluzione, più di un milione di anni prima di Lucy, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

infatti i primi antenati dell'uomo camminavano sulla Terra 3,2 milioni anni fa. L'ominide è stata chiamata Ardipithecus Ramidus, aveva un piccolo cervello, pesava 50 kg ed era di sesso femminile, ed è soprannominata dagli studiosi "Ardi".


La Storia Il fossile mette in discussione le nozioni, conosciute fin dai tempi di Darwin, e cioè che non sia esistito un anello che lega l'uomo e le scimmie di oggi, poichè le nuove prove, finora, suggerivano che lo studio dell'anatomia dello scimpanzé e il suo comportamento non servivano per dedurre la natura dei primi antenati dell'uomo ed i nostri inizi. Ma Ardi mostra invece un mix inaspettato dato che lo scheletro sembra essere l'ultimo antenato comune tra gli esseri umani e le scimmie. La scoperta è stata annunciata nel corso delle conferenze stampa congiunta a Washington, DC, e ad Addis Abeba, in Etiopia. "Questo ritrovamento è di gran lunga più importante di Lucy", ha detto Alan Walker, un paleontologo della Pennsylvania State University, che non faceva parte della ricerca. "Ciò dimostra che l'ultimo antenato comune con gli scimpanzè, non aveva l'aspetto di uno scimpanzè, o di un essere umano, o qualche cosa strana in mezzo." I fossili di Ramidus sono stati scoperti in Etiopia nel deserto di Afar in un sito chiamato Aramis nella regione del Medio Awash, a soli 46 miglia (74 km) da dove Lucy, Australopithecus afarensis, è stato trovata nel 1974. La datazione di due strati di cenere vulcanica radiometrica inserita nei depositi fossili ha rivelato che Ardi visse 4,4 milioni di anni fa. "Le dita dei piedi e delle mani, le braccia e le gambe ed infine i denti hanno tratti unici", ha detto Tim White dell'Università della California, Berkeley, che ha co-diretto il lavoro con

Berhane Asfaw, un paleoantropologo ed ex direttore del Museo Nazionale di Etiopia. Tutti gli ominidi conosciuti in precedenza, membri del nostro lignaggio ancestrale camminavano eretti su due gambe, come noi. Ma i piedi di Ardi, il bacino, le gambe e le mani suggeriscono che era un bipede per camminare sulla terra, ma un quadrupede quando si spostava in mezzo agli alberi. Il suo alluce, per esempio, è esterno al suo piede, come una scimmia, per meglio cogliere i rami degli alberi, ma a differenza di un piede di scimpanzé, i ramidus avevano un osso speciale all'interno di un piccolo tendine, che mantiene la punta divergenti più rigida, cosicche l'osso avrebbe aiutato Ardi a usare i piedi per terra come i bipedi, anche se meno efficiente rispetto ominidi più tardi come Lucy.

Secondo i ricercatori, il bacino presenta un mosaico di tratti simili ad entrambe le specie. Le ossa di grandi dimensioni del bacino sono posizionati in modo che Ardi potesse camminare su due gambe senza barcollare da un lato all'altro, come uno scimpanzè. Ma il bacino inferiore è stato costruito come una scimmia, per ospitare grandi muscoli

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

degli arti posteriori usati nella scalata degli alberi. Anche le ossa del polso sono molto rigide nell'uomo mentre i polsi e le articolazioni delle dita dei Ramidus erano altamente flessibile, come risultato Ardi avrebbe camminato sul suo palmodi mano fattore tipico di alcune scimmie primitive fossili antenati di scimpanzé e gorilla.

I primi frammenti di esemplari di Ramidus sono stati trovati a Aramis nel 1992, lo scheletro annunciato oggi è stato scoperto nello stesso anno e fu trovato con le ossa di altri 35 individui. Ma ci sono voluti 15 anni prima che il team di ricerca potesse pienamente di analizzare e formare lo scheletro, perché i fossili erano in cattive condizioni, dato che i resti a quanto pare siano stati calpestati da ippopotami e da altri erbivori di passaggio. Pezzi di cranio schiacciato sono stati poi sottoposti a scansione digitale da Gen Suwa, un paleoantropologo presso l'Università di Tokyo. Alla fine, il team di ricerca ha recuperato oltre 125 pezzi dello scheletro di Ardi, tra cui gran parte dei piedi e quasi tutte le mani, un estrema rarità tra i fossili di ominidi di ogni età, figuriamoci uno così antico.


"Trovare questo scheletro è stato un'immensa fortuna", ha detto White. Il team ha anche trovato circa 6.000 fossili di animali e altri esemplari che offrono un quadro del mondo abitato da Ardi: un bosco umido molto diverso dalla attuale regione, inoltre grazie ai modelli di usura e di isotopi nei denti degli ominidi ciò ha suggerito una dieta che comprende frutta, noci, e altri alimenti della foresta.

armi formidabili nelle lotte e per l'accoppiamento. Il Ramidus, però sembra aver già intrapreso un percorso evolutivo verso la specie umana in modo univoco, poichè i canini sono di dimensioni ridotte e "femminilizzati"cioè esemplari maschi e femmine sono vicini gli uni agli altri in termini di dimensioni del corpo. Questi cambiamenti forse fanno parte di una svolta epocale nel costume sociale: Invece di combattere per l'accesso alle femmine, un maschio ramidus avrebbe potuto fornire, in cambio della fedeltà sessuale, gli alimenti alla sua famiglia. Tutte le scimmie, in particolare i maschi, hanno a lunghi canini superiori che all'uso diventano

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

redazione@oopart.it


Collaborazioni

pag.98

www.luoghimisteriosi.it

Le Tombe dei Giganti in Sardegna

Isabella Dalla Vecchia

Sotto la crosta terrestre scorrono energie telluriche e forze magnetiche che fanno del nostro pianeta un autentico “organismo vivente”. L’uomo, creatura figlia della Madre Terra, ha facoltà di interagire ed essere molto sensibile a questi “movimenti”, TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

e, in particolari situazioni, di assorbirli inconsciamente. Queste energie sono più intense in certi ambienti piuttosto che in altri e recenti studi hanno rilevato che antichi luoghi sacri sono stati costruiti lungo questi canali energetici.


Ma chi e come ha scelto di innalzare un tempio in un determinato luogo piuttosto che in un altro, considerato che solo con la moderna tecnologia si è scoperto tutto questo? L’architettura antica è molto diversa da quella odierna, innanzitutto si edificava non sopra la natura ma all’interno della natura stessa, in un caldo abbraccio vitale e benefico. Svariati erano i metodi per la scelta dei luoghi, a volte cruenti come nel caso dei romani che, dopo aver fatto pascolare alcune greggi in un campo, dopo averli uccisi ne controllavano il fegato e se in buono stato si decideva di dare l’avvio ai lavori. Altre volte i luoghi erano scelti in base al riposo degli animali in quanto si presupponeva fossero in stretto legame con la Terra, molto più dell’Uomo stesso. Ma spesso entravano in scena i cosiddetti “sensitivi”, che sceglievano il posto dove costruire il santuario. Queste persone con innate capacità sensoriali che permettevano di percepire queste particolari energie, nel passato erano i druidi o i “santoni del villaggio” e venivano spesso interpellati. Il neo tempio, già pregno delle forze magnetiche, si arricchiva a sua volta dell’energia degli abitanti che lì si recavano a pregare. Spesso vi era anche la vicinanza di una fonte d’acqua, elemento fondamentale per i rituali, come viene dimostrato dagli innumerevoli pozzi sacri presenti in Sardegna. In Gallura (la zona settentrionale) i numerosi siti sacri nuragici e prenuragici non si trovano in ambienti casuali, ma sono per la maggior parte

eretti proprio su luoghi di intense forze telluriche.

una porticina che collegherebbe l’esterno con l’interno della tomba.

Mappa vibrazionale della Tomba di Giganti “Li Mizzani” Palau www.luoghimisteriosi.it

Baluardi accumulatori di tali energie sarebbero proprio le Tombe dei Giganti, quelle strane costruzioni che ricoprono il territorio sardo, ma le possiamo trovare solamente in questa regione e in nessun’altra parte del mondo, motivo sufficiente per considerarle di importanza senza pari. Sono costituite da un lungo corpo funerario entro il quale venivano riposti i corpi dei defunti. Sono l’evoluzione dei dolmen che si sarebbero “allungati” creando le tombe a corridoio chiamate ALLEES COUVERTES con l’aggiunta di un’area sacra delimitata da una serie simmetrica di lastre ortostatiche. Esse, a partire dalla stele centrale, la più alta, si espandono a semicerchio con altezze discendenti delimitando così una sorta di “piazza” davanti alla tomba, che ha il nome di ESEDRA. Alla base dei menhir vi era quasi sempre un sedile che correva lungo tutta l’area sul quale gli officianti tenevano gli antichi rituali funerari. Inoltre vi era la presenza di betili, chiari richiami alla presenza di Dio. L’entrata è formata da una grossa e alta lastra di pietra con TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Tomba dei giganti “Coddu Vecchiu”, vista www.luoghimisteriosi.it

Tomba dei Giganti “Li Mizzani” www.luoghimisteriosi.it

Essa aveva il valore simbolico di unione tra il mondo dei vivi e l’oltretomba, alla cui base vi era un bancone sul quale venivano lasciate le offerte. Tutto questo ricorda la funzione della “falsa porta” egizia, elemento che in Sardegna si ritrova spesso anche nelle “domus de janas” (tombe scavate nella roccia). La falsa porta è il punto di contatto tra il mondo dei vivi e l’aldilà. Dinnanzi a questa finta apertura venivano poste le


offerte di cui ne usufruiva la persona cara che da qui si sarebbe “affacciata” sulla Terra. La porticina è talmente stretta che per un adulto risulta molto impegnativo passarvi attraverso, per cui essa doveva avere un ruolo esclusivamente simbolico e i defunti venivano calati dall’alto all’interno del corpo funerario. Il corpo funerario è composto da un lungo buio corridoio, metafora del cammino nell’oltretomba, alla fine del quale si trova il sepolcro vero e proprio con la presenza di lastre su cui venivano posti oggetti di vita quotidiana che l’anima del defunto ne avrebbe “usufruito”. Si chiamano tombe dei Giganti perché la tradizione vuole che ospitassero un unico corpo umano ed essendo spesso lunghe una decina di metri si pensava che fosse un uomo particolarmente alto. In realtà le tombe ospitavano molti corpi, come dimostrano i ritrovamenti ossei di decine di persone che a volte sfioravano il centinaio! Non si sa dunque se fossero “fosse comuni” o tombe dedicate a persone importanti come non si conosce il rituale di sepoltura e non si sa se venivano inseriti direttamente i corpi o addirittura soltanto le ossa. Fatto sta che le tombe dei Giganti trasmettono un grande mistero dal punto di vista storico ma anche spirituale. Mauro Aresu, il più importante studioso sardo di questo argomento, dopo aver a lungo studiato questa tipologia di monumenti, afferma che le tombe dei giganti costituiscono i punti più importanti di emanazione energetica al punto tale da avere la facoltà di

“guarire” chiunque si rechi o si distenda al loro interno. La loro disposizione a semicerchio seguirebbe le linee energetiche telluriche catturandone il flusso di cui si impregnerebbero le stesse pietre (ecco perché per guarire è necessario distendersi sulla pietra, rituale presente in molte parti d’Italia) le quali, dopo averlo assorbito, lo avrebbero condotto come un filo elettrico verso la stele più alta che sarebbe così divenuta un autentico accumulatore. Il corpo del defunto posizionato all’interno della tomba, avrebbe ricevuto un’energia tale da strappare la sua anima dal corpo, ricolma di nuova vita, quella della Madre Terra. Sarebbe insomma così risorta, tornando alla sua origine. Ma mi permetto di evidenziare un’altra ipotesi personale. Una stele così alta avrebbe potuto infine lanciare l’anima verso il cielo, verso il ritorno a casa, culto non differente da quello egizio, ma non unico in Sardegna, regione da tempo immemore custode di altre simbologie correlate, come le false porte, la piramide di Monte D’Accoddi, le tombe accessoriate di oggetti di vita quotidiana, il culto per il dio Toro. Dopotutto la forma della Tomba dei Giganti potrebbe ricordare neanche troppo alla lontana, una rampa di lancio verso l’alto. La linea dei menhir è curva, procede inizialmente con poca inclinazione per terminare la sua corsa verticale con grande slancio. Mauro Aresu afferma inoltre che se viste dall’alto, le Tombe dei Giganti potevano sembrare teste di toro stilizzate.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

La figura del toro è molto diffusa in questa regione perché rappresentava la forza maschile in unione con la Dea Madre. Il loro sacro incontro genera vita e dà l’energia all’anima perché possa riunirsi all’energia della terra. Presso le tombe dei giganti si presume che venissero svolti rituali legati al richiamo della vita e della rinascita, proprio nell’esedra ove vi era la presenza di sedili. Si cadeva in un sonno-trance con il quale si entrava in contatto con la divinità (rituale molto diffuso nella cultura greca) di cui se ne potevano ascoltare le volontà. Queste tombe così accurate dal punto di vista architettonico, testimoniano un grande rispetto che la civiltà nuragica nutriva nei confronti della morte e della vita dell’oltretomba. L’enorme fatica umana che queste costruzioni così imperiose ci dimostrano, i rituali, i grossi calcoli e le conoscenze nell’erigere i monumenti in precisi luoghi energetici, tacitamente ci narrano l’importanza dei popoli nuragici e prenuragici per il sacro. Questi popoli tanto primitivi non lo erano, anzi più di noi comprendevano il senso della vita. E noi dobbiamo saperli osservare per capire quel significato della nostra esistenza che abbiamo perso nel corso della storia. PALAU – TOMBA DEI GIGANTI LI MIZZANI I misteriosi rituali di incubazione Come migliore esempio di quanto descritto, non per


grandezza, importanza o bellezza architettonica, ma per l’intensità delle rilevazioni magnetiche è la Tomba dei Giganti di Li Mizzani nei pressi di Palau (OT). Questa modesta tomba sita nella Gallura settentrionale, in un entroterra abbandonato, sola e incustodita è tra gli esempi sardi più interessanti. Non si direbbe, ma ancora oggi gente di tutta Italia viene in questo luogo sperduto a “curarsi”. Risale tra l’Età del Bronzo Medio e quella del Bronzo Recente (1500-1200 a.C.) ed è da annoverarsi tra quelle “piccole” essendo larga solo due metri e mezzo, ma la sua ridotta dimensione ha contribuito a farla rimanere ancora relativamente intatta. Nonostante sia tra quelle meglio conservate poteva presentarsi ancora più integra se non fosse stata toccata dai tombaroli e riutilizzata in parte per la costruzione di un vicino stazzo. Il corpo tombale è rivolto verso est, dove vi è la rinascita del sole e della vita. La stele centrale, ancora perfettamente conservata, presenta un elemento insolito e talmente unico da presumere essere frutto di un “errore”. Il portello d’ingresso, che in tutte le Tombe dei Giganti ha sempre una smussatura del contorno dell’apertura verso l’esterno, a fini decorativi, in questo unico caso la si ha verso l’interno. E’ talmente anomalo da far pensare quasi certamente ad un errore grossolano dei costruttori, i quali avrebbero eretto la stele “a rovescio”. La Tomba è stata eseguita secondo la tecnica “a filari” per il corpo tombale e per l’esedra,

il cui masso in prossimità della stele centrale, alta 2,80 metri, fungeva da sedile e da banco per le offerte. Sono state ritrovate alcune ossa umane e frammenti di utensili in ceramica. Ma ciò che merita davvero la nostra attenzione è il fatto di essere stata costruita sopra un intenso flusso energetico, motivo per cui qui si svolgeva la cosiddetta “incubazione”.

Tomba dei Giganti “Li Mizzanu”, porta d’ingresso www.luoghimisteriosi.it

Tomba dei Giganti “Li Mizzanu”, corpo centrale www.luoghimisteriosi.it

Questa sorta di “rituale” altro non era che una sosta all’interno della tomba per ben 5 giorni con l’obiettivo di guarire da malattie fisiche e psichiche. Esistono antichi documenti di Aristotele, Tertulliano e Solino che ne descrivono l’utilizzo, come fosse un’autentica “macchina” per la guarigione, una preistorica camera TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

iperbarica. E nonostante la scienza del XX secolo, alcune persone la utilizzano ancora oggi. Nonostante sia un luogo isolato e prettamente desertico, con i suoi caratteristici massi di granito intervallati da vegetazione abbastanza rada, è più trafficato di quanto possa sembrare. Diversi sono i visitatori che si distendono sulla pietra sotto la stele centrale. Ciò perché , come spiegato in precedenza, questa tomba attirerebbe le energie della terra facendole confluire fino alla stele centrale che fungerebbe da antenna canalizzatrice concentrandole proprio in prossimità della piccola porta. Insomma chiunque si sieda sul “sedile” in prossimità del monolite principale e al centro dell’esedra semicircolare, riceverà benessere psico-fisico assicurato per mente e corpo. L’energia non viene “rubata”, tutto è costruito in armonia e in equilibrio con la natura. Essa viene catturata e potenziata. Un esempio di queste batterie di energia terrestre sono le piramidi di Giza. Non sono teorie o ipotesi, esiste un vero e proprio studio di questo fenomeno che ha il nome di GEOBIOLOGIA, laddove la pietra viene intesa come “essere vivente”. Non per caso una “tomba” la casa di ciò che è “morto” sfrutta questo concetto di “vita”. Ecco che un uomo non più vivo all’interno di questa tomba grazie all’energia in essa canalizzata sarebbe certamente risorto in uno zampillo di luce cosmica. Con un flusso così potente nell’uomo morto l’anima avrebbe lasciato il corpo


impuro, in decomposizione, mentre l’uomo vivo avrebbe ripulito facilmente l’animo da tutte le impurità di malattie psichiche e fisiche. Se si era preda di mali del fisico o anche della mente, ci si recava nella tomba e vi si rimaneva sdraiati per ben cinque giorni e cinque notti in una sorta di letargo guaritore, cosicché ci si svegliasse risorti a nuova vita. PALAU – TOMBA DEI GIGANTI SAJACCIU La misteriosa pietra “a dentelli” e la Chiesa costruita sopra ad assorbirne le energie Di questa tomba rimangono ormai poche rovine nonostante sia una delle più grandi dell’intera regione. Distrutta anch’essa dai tombaroli ad oggi versa in uno stato totale di abbandono: anche arrivarci non è semplice, avendo i resti sparsi tra la vegetazione, dai quali spicca solo un masso con un’insolita lavorazione a dentelli. Il sito è talmente rovinato da avere alcuni frammenti dell’esedra ma più nulla del corpo tombale. La presunta datazione tocca il 1400 – 900 a.C.; essa è a filari di blocchi di granito e presenta sulla destra un piccolo circolo di menhir. Sotto il circolo vi è sdraiato a terra un betilo. La pietra al centro dell’esedra è molto misteriosa, ha forma tronco piramidale e conserva tre enigmatici incavi ben lavorati alla sommità. In prossimità dell’ipotetica fine del corpo tombale vi sono i resti di un edificio a pianta rettangolare, probabilmente si trattava di un’antica chiesa cristiana che, come spesso

accade, è stata edificata sopra questo luogo di culto pagano, per mostrare la vittoria del Cristianesimo sul Paganesimo. Ma in questo particolare caso potrebbe esserci un’altra motivazione; essendo questo un luogo riconosciuto anche ai giorni nostri per la capacità di accumulare le energie telluriche, non è da escludere che la chiesa qui edificata non abbia celatamente voluto assorbirne a sua volta le energie sacre della Terra che questo luogo emanava. Non è un caso che il corpo tombale sia completamente sparito, forse sono stati proprio i cristiani a smantellare questa zona per eliminare il culto antico e per riutilizzarne le pietre a costruzione del proprio edificio. Inoltre l’esedra è in parte rimasta, l’accumulatore di energie non è stato distrutto a rispetto di quella “macchina” perfetta che sapeva estrarre le energie dalla terra.

copertura a piattabanda, fatto abbastanza raro. E’ presente un’esedra in ottime condizioni con stele centrale di 4,40 metri. E’ la più estesa di tutta la Sardegna. La prima fase della tomba a galleria è stata datata, in base ai ritrovamenti degli scavi, al Bronzo Antico (1800 – 1600 a.C. – cultura dei Bonnanaro). Il riutilizzo nonché ampliamento al Bronzo Medio (1600 – 1300 a.C.).

Tomba dei Giganti “Coddu Vecchiu”, copertura www.luoghimisteriosi.it

TOMBA DEI GIGANTI CUDDU VECCHIU La più grande tomba dei Giganti sarda

Tomba dei Giganti “Coddu Vecchiu”, fianco www.luoghimisteriosi.it

Tomba dei Giganti “Coddu Vecchiu”, ricostruzione

L’ingresso di questa tomba è a EST, essa è stata realizzata come riutilizzo di una tomba a galleria di 10.50 metri. E’ ancora integra nella TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

LA TOMBA DEI GIGANTI LI MORU Il misterioso Daleth Questa tomba è pertinente al nuraghe Albucciu a 80 metri di distanza e si trova nel comune di Arzachena. E’ una tomba a galleria priva di esedra.


Il corpo della tomba ha una lunghezza di 11,30 metri, il muro è davvero molto spesso, va da 1,80 a 2,25 metri! Sono stati ritrovati una coppa con alto piede, due frammenti di pugnali ed un grano d’ambra ad “ASTROGALO” oggi nel museo Sanna di Sassari. Questa tomba è stata utilizzata in età punica dato il ritrovamento di un’importante moneta all’interno del corridoio. Essa è del 300 a.C. e pone diversi interrogativi. All’interno della tomba non sono state rinvenute sepolture di età punica, perché allora la presenza di questo reperto? Probabilmente i punici riconoscendo il luogo particolarmente sacro ed energetico lo hanno rispettato e magari frequentato nei rituali di incubazione. E’ stato inoltre identificato un segno su una piccola stele. Esso è un DALETH dell’alfabeto semita e utilizzato nei culti funebri. E’ la quarta lettera i molti alfabeti semitici, come il fenicio, l’aramaico, l’ebraico, il siriaco e l’arabo. La lettera DALET insieme a HE è utilizzata per rappresentare il nome di DIO in modo sacro. Ad oggi il perché una simile lettera si trovi su una tomba dei giganti non è stato ancora svelato.

dall’altro con le stele al centro alta 3,75 metri. Quest’ultima presenta una decorazione intorno al suo perimetro, una cornice in rilievo che divide in due parti lo stesso monolite. Subito dietro vi è un lungo corridoio costituito da lastre infisse nel terreno con muratura a secco, al cui termine vi è una zona riservata al deposito di offerte e oggetti di culto su due piani. Il recinto ellissoidale attorno alla tomba accerta che essa doveva avere una prima forma di utilizzo, in cui era ricoperta di terra proprio come i circoli di Li Muri, che si trovano a soli 200 metri di distanza (lo stesso nome “Li Lolghi” in gallurese significa proprio “cerchi”).

Tomba dei Giganti “Li Lolghi”, veduta www.luoghimisteriosi.it

TOMBA DEI GIGANTI LI LOLGHI Un luogo sacro e misterioso Questa tomba è tra le più grandi della Sardegna con i suoi 27 metri di lunghezza. L’ingresso è a SUD/SUD-EST ed è composta da quindici lastre ortostatiche infisse nel terreno, sette da un lato e sette

Tomba dei Giganti “Li Lolghi”, interno con zona per le offerte www.luoghimisteriosi.it

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Per la sua maestosità e l’isolamento in cui è ubicato questo antico sepolcro, è impossibile non avvertire una sensazione intensa di sacro e mistero, osservandola non si può che provare rispetto per una cultura che di “preistorico” aveva ben poco. Un popolo che ha saputo lasciarci tanti interrogativi ai quali ancora oggi non siamo riusciti a rispondere, ma solo a rimanere in un rispettoso silenzio, bloccati a guardare verso il sole nascosto dietro l’enorme stele di quattro metri che proietta su di noi un’ombra scura e misteriosa. www.luoghimisteriosi.it


Documenti

pag.104

Il ruolo dei Sabei nel Kalâm islamico Una volta Muhammad (su di Lui la pace e la benedizioni di Dio), riferendosi al conflitto fra le religioni, disse: “Questo accadrà al tempo in cui la conoscenza abbandonerà il mondo.” Said disse: “O Messaggero di Dio, come sarà possibile che la conoscenza sparisca dal mondo se noi leggiamo il Corano e lo insegnamo ai nostri figli e i nostri figli ai loro e così fino all’Ultimo Giorno?” Muhammad rispose: “O Said, ti credevo l’uomo più istruito di Medina, forse che la Gente del Libro che legge le loro Sacre Scritture si conforma ad esse?” -Riportato da Bukhari e Muslim (che Dio si compiaccia di loro!)-

Frontespizio del Moreh Nebukhim

David S. Amore

La scienza (‘ilm) islamica del kalâm (teologia razionalistica) rappresenta, così come il suo equivalente nel Giudaismo e nel Cristianesimo, il tentativo di armonizzare le verità assolute della Rivelazione con gli sforzi contemplativi della ragione umana. È una giustificazione intellettuale della fede, una TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

forma d’apologetica difensiva, che deve aver avuto le sue origini nei primi confronti fra l’Islam e le tradizioni religiose di più lunga durata incontrate nel corso della conquista del Vicino Oriente greco-siriaco, ed eventualmente alcuni dei suoi professionisti vi applicarono gli stessi “ferri del mestiere” impiegati da quei Cristiani e


Giudei impegnati intellettualmente nella difesa della loro fede: l’intelaiatura metodologica della filosofia greca. Una delle prime scuole che si distinsero nell’ambito di questa disciplina, i Mu‘taziliti, chiamati dai contemporanei “partigiani dell’unità e della giustizia divina”,5 elaborarono i loro approcci razionalistici alla fede sul modello della dialettica filosofica greca. Al pari di alcuni teologi cristiani, i Mu‘taziliti non si sentirono di sottoscrivere la tesi tradizionalista del credo etsi absurdum; essi svilupparono un’interpretazione della storia dell’Islam che si poneva in opposizione all’uso della sunnah come l’unico standard d’interpretazione coranica, in quanto stabilirono che il principio del consenso, dal quale la sunnah trae autorevolezza, non producesse necessariamente verità. Naturalmente tutto ciò produsse l’euforia degli Sciiti, il conseguente risentimento della stragrande maggioranza dei Sunniti e, nella fattispecie, le violente contestazioni dei seguaci della scuola teologica di Ahmad ibn Hanbal (m. 855 d.C.), al punto che nell’anno 912 d.C. Abu al-Hasan ‘Ali ibn Isma‘il al-Ash‘ari, studioso mu‘tazilita, durante il sermone del Venerdì alla moschea di Bassora rinunciò pubblicamente alle dottrine dei suoi maestri dichiarando la propria solidarietà ai “partigiani della tradizione e della comunità.”6 Al-Mas‘udi, Kitâb murûj al-dhahab wa ma‘âdin al-jawhar/Les Prairies d’Or, ed. e tr. C. Barbier de Meynard e P. De Courteille, Paris 1871 – 1877, VI, 24. 6 Ibn ‘Asakir, Tabyin kadhib almuftari, Damasco 1928, 40. 5

Fu così che la scuola di teologia che porta il suo nome rappresenta tutt’ora il tentativo di stabilire un compromesso fra la posizione razionalistica dei Mu‘taziliti, lasciandone da parte gli aspetti più speculativi, e l’opposizione degli Hanbaliti al kalâm in tutte le sue forme; il risultato dei suoi sforzi fu la versione islamica della scolastica che al contrario delle dottrine mu‘tazilite trovò posto sicuro nell’Islam sunnita. Inevitabilmente tali scuole influenzarono la nascente coscienza storiografica islamica. Per i Musulmani, la historia rerum gestarum, al pari del fiqh, è una delle scienze “tradizionali”, e come il fiqh, lo studio degli eventi passati trova le sue origini sia nel Sacro Corano sia nella sunnah del Profeta. Il Sacro Corano non contiene solamente l’interpretazione islamica delle tradizioni precedenti alla Rivelazione data a Muhammad, ma poichè l’Inviato di Dio era considerato il culmine di una linea di profeti apparsi durante il corso della storia umana, l’Islam faceva proprie le prospettive di un universalismo che ripercorreva la storia a ritroso fino al tempo della creazione. Contemporaneamente la fuga di Muhammad dalla Mecca a Medina evidenziò l’inizio di una nuova era nella storia, e la memoria collettiva dei Compagni del Profeta, incorporata negli hadîth, autorizzò le generazioni successive a intendere il significato di tale evento come una rottura totale con la storia passata. Il conflitto fra queste due tendenze non tardò a venir fuori.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Al pari di altri teologi musulmani, i Mu‘taziliti divisero le forme di cognizione umana in due categorie: necessarie e acquisite. Nel primo insieme vennero incluse le forme immediate e intuitive di conoscenza sulle quali non si ha un controllo reale; nel secondo campo cadono tutte quelle forme di conoscenza discorsiva che si situano nel regno della responsabilità umana. Sebbene Abu al-Hudhayl (m. 849 d.C.), citato da al-Shahrastani come il fondatore della metodologia mu‘tazilita,7 pose la conoscenza dell’esistenza di Dio nella categoria delle conoscenze necessarie, altri Mu‘taziliti, quali Thumamah ibn Ashras (m. 828 d.C.) e il suo allievo alJahiz (m. 872 d.C.) puntualizzarono che la natura divina poteva essere il prodotto di entrambe le forme di conoscenza, conquistata sia attraverso la Rivelazione sia tramite ragionamenti discorsivi. Questa teoria portava alla necessaria conclusione che l’infedele non era colpevole a meno che non negasse la possibilità della Rivelazione o, pur conoscendo la verità, la rifiutasse, poiché coloro che non possedevano i mezzi per fare questa scelta, vale a dire la conoscenza di Dio, erano semplicemente ignoranti e non potevano essere responsabili per questa loro mancanza di comprendonio. Tale interpretazione della natura della conoscenza divina portò, a lungo andare, a un ampio grado di tolleranza e un immenso interesse per quelle 7 Al-Shahrastani, Kitâb al-milal wa al-nihâl, ed. Kilani, Beirut 1407/1982, I, 5; Livre des Religions et des Sects, tr. J. Jolivet e G. Monnot, Paris 1990, 34.


percezioni non islamiche di verità originatesi nell’arco della storia umana. Al contrario, per le ragioni descritte sopra, gli Ash‘ariti dovettero privilegiare la seconda tendenza, poiché considerarono l’eresiologia come un ramo del kalâm, e ambedue rivelano la tendenza tipicamente ash‘arita di subordinare la storia ai dogmi polemici. Al-Shahrastani (m. 1135 d.C.), la cui opera è un’ulteriore elaborazione delle eresiologie di al-Ash‘ari e alBaghdadi (m. 1037 d.C.), mostra una marcata antipatia nei confronti della filosofia greca, sebbene fosse chiaro che ostentasse una certa familiarità con le sue tradizioni. Da questo punto di vista, l’opera di Maimonide, Guida dei perplessi – composta nel 1190 dell’Era Comune e conosciuta ai più col nome ebraico di Moreh Nebukhîm, sebbene il titolo originale arabo fosse Dalalât al-hâ’irîn –, sembra dar vita a tutte queste prospettive. Uno degli argomenti tipici del kalâm nel quale prendono corpo le tendenze descritte sopra è l’analisi e la trattazione delle dottrine extraislamiche, con particolare attenzione alle pratiche idolatriche, che erano a quei tempi la tendenza religiosa più diffusa su scala mondiale, al fine di comprendere per quale motivo il genere umano fosse attratto da tali pratiche e di capire in che direzione andasse lo svolgersi degli eventi religiosi; ed è precisamente riguardo a tali preoccupazioni che la setta/tipologia dei Sabei, alla quale il presente articolo è consacrato, viene chiamata in causa.

Veduta di Harran L’enigma dei Sabei L’ottimismo semplificatore di tale titolo avrà fatto sorridere il lettore più accorto. Infatti nel caso dei Sabei non ci troviamo ad affrontare un solo enigma. Se l’Islam non fosse esistito, gli studiosi non si sarebbero accaniti su questa problematica; tant’è che essi devono la loro celebrità a tre versetti coranici nei quali vengono menzionati.8 Tali versetti offrono una lista di credi religiosi e non troviamo alcunché di paragonabile in tutto il Sacro Corano ad eccezione di questi tre. I versetti in questione sono: Corano 2, 62, dove vengono citati assieme a alladhîna amanû, vale a dire “coloro che credono”, alladhîna hâdû (Giudei?), al-nasâra (Cristiani?); Corano 5, 69, praticamente un doppione del precedente, anche se va notato che qui il sostantivo è espresso al nominativo, ovvero sâbi’ûn piuttosto che sâbi’în, come invece dovrebbe essere da un punto di vista puramente grammaticale (altro mistero!); infine Corano 22, 17, dove la lista viene estesa fino a comprendere majûs (Mazdei?) e alladhîna ashrakû, ovverossia “coloro che associano [altre entità sovrannaturali al Dio Unico]”, in altre parole gli “idolatri”, parola politically uncorrect che, senza aver alcunché d’offensivo, veniva impiegata fino alla metà del secolo scorso per indicare i seguaci delle religioni e dei culti dei cosidetti “popoli senza scrittura”, e che in attesa di una definizione migliore continuiamo a usare in questo senso nel presente contributo. 8

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Il termine sâbi’ûn designa chiaramente quantomeno una tendenza religiosa, che assieme a yahûd e nasâra, che a loro volta indicherebbero Ebrei e Cristiani, fa parte della categoria – oserei dire fenomenologico-religiosa – della Gente del Libro menzionata ben 31 volte nel Sacro Corano.9 Cosa ci può dir di più il contesto? Nel 1984 Christopher Buck in un suo articolo affermò senza insistere ulteriormente su questo punto che fu allettante, su tali basi coraniche, “to regard the Sabians as a fourth monotheistic community.”10 Ma è Michel Tardieu che, indipendentemente, sottolinea la possibiltà che i Sabei coranici possano aver avuto delle Sacre Scritture:11 il secondo versetto coranico contenente questa lista di fedi in effetti è immediatamente preceduto dal versetto 68 che è esplicitamente indirizzato alla Gente del Libro. Guy Monnot nella sua introduzione al secondo volume del Milâl wa al-nihâl di alShahrastani12 aggiunge che indagando il testo si può facilmente osservare che tale versetto sui Sabei si situa in una lunga esortazione alla Gente del Libro: il termine ahl al-kitâb puntella tale discorso in Corano 59, 65, 68, e ancora 77. In particolare, in Corano 65 e 68 possiamo notare l’impiego della stessa terminologia:

In arabo ahl al-kitâb. Cfr. Corano 2, 105; 3, 98; 4, 153 e 171; 59, 2, ecc. 10 C. Buck, The Identity of the Sâbi’ûn: an Historical Quest, Muslim World, LXXIV/1984, 172; la superficialità di tale affermazione si commenta da sé. 11 M. Tardieu, Sabiens Coraniques et Sabiens de Harran, Journal Asiatique, 274/1986, 40. 12 Monnot, Livre… cit., II, iv. 9


Dì: O Gente del Libro! Voi non fate nulla di quanto vi è ordinato nella Torah, nel Vangelo, e in ciò che vi è stato rivelato da vostro Signore. (Corano 5, 65 e 68) L’espressione finale potrebbe designare il libro dei Sabei. Ad ogni modo l’insieme del passo, in armonia con il contesto degli altri due versetti coranici dedicati a questa lista di fedi, permette di concludere che nel Sacro Corano i Sabei possiedano delle Scritture rivelate proprie, in tutto simili alle Sacre Scritture degli Ebrei e dei Cristiani. Ma questi Sabei coranici chi furono nella realtà? Numerose ipotesi e etimologie contradditorie sono state proposte alla soluzione di tale problematica.13 V. D. Chwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismus, 2 voll., San Pietroburgo 1856; v. anche T. Nöldeke, Göttingische gelehrte Anzeiger, 1869, I, 484; W. Brandt, Elchasai, ein Religionsstifter und sein Werk, Leipzig 1912, 141; M.J. de Goeje, “Mémoire posthume de M. Dozy contenant de Nouveaux documents pour l’étude de la religion des Harraniens, achève par M.J. de Goeje,” Travaux de la 6e session du Congress International des Orientalistes, 1885, II, 283; J. Wellhausen, Reste arabischen Heidentums, Berlin 1897, 236; D.S. Margoliouth, “Harranians,” in Hastings, Encyclopaedia of Religions and Ethics, 1913, VI, 519; J. Pedersen, “The Sabians”, ‘Ajab-nāma. A Volume of Oriental Studies Presented to Edward G. Browne on His 60th Birthday, ed. T.W. Arnold e R.A. Nicholson, Cambridge 1922, 383; più recentemente, J.B. Segal, “The Sabian Mysteries”, Vanished Civilization, ed. E. Bacon, New York 1963, 201; J. Hjärpe, Analyse critique des traditions arabes sur Les Sabéens Harraniens, Uppsala 1972, 25; Tamara M. Green, The City of the Moon God: Religious Traditions of Harran, Brill, Leiden-New York-Köln 13

La tesi più conosciuta è quella di Chwolsohn: i Sabei coranici non sarebbero altro che i Mandei. Tale opinione non resistette alla critica. Tardieu suggerì di vedere nell’arabo sâbi’ûn una derivazione dall’ebraico sâbâ, “armata”, nel senso che i Sabei sarebbero degli gnostici giudeo-cristiani seguaci delle “armate” celesti, vale a dire partecipanti, fra un Dio isolato e il Suo mondo, delle milizie angeliche e delle loro missioni gerarchiche.14 Giacché sono state evocate le etimologie, va detto che nella stessa lingua araba tale ricerca sembra disperata. Nel Sacro Corano, oltre ai tre impieghi della parola sâbi’ûn,

1992, 100; inoltre va richiamata l’attenzione su F. de Blois, The Sâbi’ûn in Pre-Islamic Arabia, Acta Orientalia, 1996, poiché egli propone una teoria originale a proposito dell’identità dei Sabei coranici, identificati con i Manichei, sulla base di analisi etimologiche incrociate. Lo stesso de Blois riconosce tuttavia, e non a torto, che la sua teoria è piuttosto fragile. Ad ogni modo, egli tende a mantenere completamente separate le due problematiche dei Sabei coranici e dei Sabei harraniani. Infine, A. Fratini e C. Prato, I σεβόµενοι (τόν θεόν): una risposta all’antico enigma dei Sabei, Punto Stampa, Roma 2000, i quali, invece, sono completamente da emarginare, poiché fanno tutt’una serie di correlazioni fra fatti che sono storicamente ben distinti, arrivando a conclusioni completamente prive di buonsenso fatte al mero scopo di far rientrare la problematica dei Sabei in un campo d’indagine storico-religiosa, evidentemente familiare agli autori, assolutamente inappropriato alla natura del problema. 14 Tardieu, Sabiens Coraniques... cit., 41-44. Epifanio, nel suo Panarion, descrive tali gnostici con il nome greco corrispondente di stratiòtikoi e segnala la loro presenza “in Arabia” (settentrionale) verso il 370 d.C. L’ostilità crescente delle Chiese cristiane li avrebbe fatti scendere nell’Arabia centrale. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

non si trova alcun uso della radice SB’.15 I lessicografi e gli esegeti musulmani affermano che il verbo sâba’a possa avere il seguente significato: “uscire da una religione per convertirsi ad un’altra”, ma tale spiegazione mal s’accosta col senso concreto della radice: “spuntare, sorgere”, ecc.16 Ciò che è sicuro è che i Meccani dicevano di Muhammad (così come dei suoi primi discepoli) che era sâbi’.17 Anche alcuni autori musulmani tentarono di fare delle ipotesi sull’identità dei Sabei coranici identificandoli nei seguaci dei diversi culti religiosi a loro coevi. In questo senso due gruppi religiosi s’attirarono ben presto quest’etichetta: 1. I Sâbi’ât al-Batâ’îh18 devono tale nome alla 15 La possibilità di un’origine dalla radice SBW è tuttavia ammessa da Abu Ja’far al-Tusi, al-Tibyân fî tafsîr al-Qur’ân, Najaf 1376/1957, I, 282, e da al-Zamakhshari, al-Kashshâf, ed. M.M. ‘Amir, Dâr al-Mushaf, II ed., Cairo 1397/1977, II, 40 (Corano 5, 69, sarebbe: wa al-sâbûn). 16 Cfr. Ibn Manzur, Lisân al-‘Arab, 15 voll., Beirut 1374-1376/1955-1956, I, 107. 17 Cfr. al-Bukhari, Sahîh, “Tayammum”, VI = I, 72, r. 10 e “Manâqib Quraysh”, XI = II, 268, rr. 5 e 8; cfr. anche “Manâqib al-Ansâr”, XXXV = II, 323, rr. 17 e 19 e sgg.; “Maghâzî”, LXX = III, 79, r. 1 (Houdas, I, 129; II, 545; III, 30 e sgg.; III, 214), ecc. 18 Su questo gruppo religioso, v. Ibn al-Nadim, Fihrist, 383-384 (Dodge, II, 811), dove l’autore chiama questo gruppo anche al-mughtâsila; batâ’îh è il plurale di batîha. Sulla regione, v. l’articolo omonimo di Le Strange, in Encyclopédie du l’Islam, 1986, I, 1126 e sgg. Sui questi “Sabei”, v. anche alMas‘udi, Murûj, II, 112 (Pellat, I, 199); Tanbîh, 161, rr. 8-10; ‘Abd al-Jabbar, Mughnî, V, 152 e sgg. (Monnot, Isl. et rel., 229 e sgg.); al-Biruni, Athâr, 206, rr. 12 e sgg. (Sachau, 188); Yaqut,


vasta depressione paludosa mesopotamica compresa tra le regioni di Wasit e Bassora, dove presumibilmente vivevano. Essi fanno risalire la loro dottrina principalmente a Seth, terzo figlio d’Adamo e ben conosciuto dagli esegeti musulmani anche se nel Sacro Corano non vi è affatto menzionato, così come a Noè, il cui nome invece appare 43 volte nel Libro Sacro. 2. I Sabei di Harran sono tuttavia più importanti ai fini del nostro discorso. Harran, le cui rovine giacciono nell’odierno territorio della Turchia meridionale, venne definitivamente rasa al suolo dai Mongoli, a seguito di una rivolta, nel 670/1271.19 Fu una città molto antica dell’Alta Mesopotamia, attestata fin dal 2000 a.C da una tavoletta di Mari, e dove il patriarca biblico Abramo risiedette per un po’ di tempo.20 Il nome arabo della città, a circa 40 km a sud di Edessa, trae origine dal greco Kàrran.21 All’inizio del IX secolo parte degli abitanti di Harran praticava una religione e avevano delle usanze che li distinguevano dal resto del Dâr al-Islâm. Ibn al-Nadim, grazie al contributo di una fonte cristiana da lui citata, scrisse a proposito del fatto che erano Mu‘jam al-buldân, Leipzig 1868, III, 566 (Monnot, Isl. et rel., 224), ecc. 19 Cfr. Fehervari, EI, III, 235. 20 Genesi 11, 31 e sgg.; 12, 4 e sgg. 21 La variante ài Kàrrai diede origine invece al latino Carrhae.

noti col nome di “sabei” un celebre aneddoto.22 Il Califfo abasside al-Ma’mun, partito in campagna militare contro Bisanzio, passa per la città e, incontratosi con questi harraniani, li interpella a proposito della loro fede e li avvisa di cambiare fede prima del suo ritorno dalla guerra, poiché “se non siete entrati nell’Islam o in una delle religioni che Dio l’Altissimo ha menzionato nel suo Libro, ordinerò il vostro massacro e il vostro sterminio”.23 Gli Harraniani, riunitisi in consiglio, decisero di chiamarsi d’ora in poi “sabei”; non rividero più al-Ma’mun, che morì in battaglia (218/833), ma conservarono tale nome. Cosa sappiamo delle loro dottrine? Importanti progressi sono stati fatti.24 Antichi culti di matrice ellenistica furono sempre praticati a Harran fino al V/XI secolo: l’ultimo tempio fu distrutto attorno al 474/1081.25 Ma allorquando al-Mas‘udi visitò la città nella prima metà del IV/X secolo, prese contatto con un gruppo di dotti ben caratterizzati, presumibilmente d’indirizzo neoplatonico, i quali si distinguevano, e che lui stesso distinse con attenzione, dalla religione della gente comune. Senza dubbio in continuità a quella viva tradizione neoplatonica che vide Ibn al-Nadim, Fihrist, 322 (Chwolsohn, II, 14-19; Dodge, 751); cfr. al-Biruni, Athâr, 318 (Sachau, 315). 23 Ibn al-Nadim, Fihrist, 322 (Chwolsohn, II, 16; Dodge, 751). 24 V. Tardieu, Sabiens Coraniques... cit., 13 e sgg., e, soprattutto, Green, The City of... cit., 144-217. 25 Cfr. Tardieu, Sabiens Coraniques... cit., 12, n. 46, e relativi riferimenti. 22

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

l’emergere dei “Sabei di Baghdad”, una stirpe di filosofi, eruditi e traduttori, che iniziano la loro fortuna nella capitale abasside con Thabit ibn Qurra (m. 288/901) e che prosegue fino al letterato Muhassin alSabi (m. 448/1056) e oltre. Ma la maggior parte degli Harraniani si fece notare a causa di un culto astrale piuttosto elaborato con templi consacrati a ciascuno dei pianeti. Tale circostanza, e la comodità di un termine tanto utile quanto vago, indusse gli autori arabi a usare tale terminologia un po’ dappertutto nello spazio geografico e nel quadro delle religioni.26 Ciò che intendiamo fare in questa sede, analizzando le opere più significative del kalâm islamico su questo argomento, è capire se vi siano stati motivi di matrice apocalittica in tale tendenza.27 Un altro caso d’identità artificiosa è quella dei Manichei di Samarcanda. Al-Biruni, intorno all’anno 1000 d.C., attesta che questa gente era già nota in quei luoghi “con il nome di Sabei.”28

V. ad es. al-Mas‘udi, Tanbîh, 161163; cfr. Buck, op. cit. 27 Definita “mania” (sic!) da Monnot, Livre... cit., II, 7. Tali definizioni lasciano esterrefatto chi scrive, soprattutto se vengono da eminenti e seri studiosi quali l’autore di cui sopra. 28 Al-Biruni, Athâr, 209 (Sachau, 191); cfr. anche de Blois, The Sâbi’ûn... cit., - . Indubbiamente tale nome fu dato loro dai musulmani stessi allorché, verso l’anno 800 d.C., sotto pressione degli Uighuri, fecero accedere i Manichei alla “protezione legale” dovuta alla Gente del Libro e al conseguente pagamento della jizya; cfr. Ibn al-Nadim, Fihrist, 401 (Dodge, 802 e sgg.). 26


Veduta di Harran Le fonti islamiche sui Sabei A tali condizioni va da sé che quasi tutti i commentatori coranici, gli storici e i poligrafi musulmani affrontarono chi più chi meno il tema dei Sabei (in particolar modo di quelli di Harran). Uno dei più antichi testi arabi su di un gruppo denominato con l’appellativo di “sabei” risale alla prima metà del III secolo dell’Egira: al-Jahiz spiega “ch’essi castrano se stessi a volte e lo considerano un atto religioso.”29 Nella stessa epoca, al-Kindi è l’autore della notizia riportata da Ibn al-Nadim all’inizio del suo capitolo sui Sabei.30 Una generazione più tardi, un trattato sul tema viene scritto da al-Nawbakhti, e altri due da al-Sarakhsi, allievo di al-Kindi; subito dopo anche il filosofo e medico Abu Bakr al-Razi scrisse sulle “dottrine dei Sabei harraniani.”31 Al-Jahiz, Kitâb al-hayawân, Cairo 1356/1937, I, 125. 30 Ibn al-Nadîm, Fihrist, 319; Dodge, 746. L’originale di al-Kindi potrebbe essere estratto dal suo Kitâb risâlatihi fî iftirâq al-milâl fî al-tawhîd, citato in Fihrist, 319 (Dodge, 622). 31 Al-Hasan ibn Musa al-Nawbakhti (m. fra il 300 e 310/912 e 922), alRadd ‘ala Thâbit ibn Qurra; Ahmad ibn al-Tayyib al-Sarakhsi (m. 286/869), Kitâb risâlatihi fî wasf alsâbiyîn e Kitâb risâlatihi fî jawâb Thâbit ibn Qurra fîmâ su’ila ‘anhu; entrambi sono citati come fonti da ‘Abd al-Jabbar. Abu Bakr Muhammad 29

Nello stesso periodo al-Tabari compone il suo Tafsîr,32 il quale si basa su fonti che se fossero autentiche risalirebbero alla prima metà del II secolo dell’Egira. Nella prima metà del IV/X secolo vedono la luce due opere importanti, al-Bad’ di alMaqdisi e il Murûj di alMas‘udi (il quale e l’unico a esser andato personalmente a Harran), le quali citano diverse volte i Sabei, sia come gruppo storico, vale a dire gli Harraniani, sia come categoria religiosa sotto la quale includere tutti i credi di carattere idolatrico.33 Ibn Babuya (m. 381/991) riporta alcuni frammenti di una grande discussione pubblica di ‘Ali al-Rida, l’ottavo Imam sciita, con i rappresentanti delle religioni tollerate, il quale si sofferma particolarmente sulle questioni poste da un certo ‘Imran il Sabeo.34 L’opera di al-Baghdadi (m. 428/1037),35 apparsa successivamente, è spesso citata da al-Shahrastani nel suo capitolo sui Sabei.

ibn Zakariyya al-Razi (m. 313/925 ?); la sua opera è citata in al-Mas‘udi, Murûj, IV, 68 (Pellat, II, 537). 32 Abu Ja‘far Muhammad ibn Jarir alTabari, Jâmi‘ ‘an ta’wîl ayy alQur’ân, Dâr al-Ma‘ârif, Cairo 1374/1954, I, 146. 33 Al-Mutahhar al-Maqdisi, al-Bad’ wa al-ta’rîkh (composto nel 355/966), I, 142 e sgg., 146, ecc.; II, 143; III, 7; IV, 22-24; Abu al-Hasan ‘Ali ibn al-Husayn al-Mas‘udi (m. 345/956), Murûj, IV, 61-69 (Pellat, II, 535-538), ecc. 34 Ibn Bâbûya, Kitâb al-tawhîd, Tehran 1387/1967, 430 – 440. 35 Abû Mansûr ‘Abd al-Qahîr ibn Tahîr al-Baghdâdî, Al-Farq bayna al-Firâq, ed. Muhammad Badr, Cairo 1328/1910. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Il qâdî di Rayy ‘Abd al-Jabbar parla dei Sabei in almeno tre suoi contributi.36 Il Fihrist di Ibn al-Nadim è probabilmente stato compilato dopo il quinto volume del Moghnî di ‘Abd al-Jabbar, e l’opera del dotto persiano alBiruni è di poco posteriore.37 Inoltre vanno ricordate le pagine del Fisal di Ibn Hazm (m. 455/1066) scritte durante il V/XI secolo.38 Infine datano al VI/XII secolo le opere di due tra i più eminenti studiosi delle religioni, al-Shahrastani e Maimonide, i quali citano a più riprese la categoria dei Sabei in funzione delle loro teorie storico-religiose.39 Accenni successivi ne troviamo sia nell’opera del dottore hanbalita Ibn al-Jawzi sia, un secolo più tardi, nell’opera dell’imam salafita Ibn Taymiyah, ancora una volta in

Abu al-Hasan ‘Abd al-Jabbar ibn Ahmad al-Asadabadi (m. 415/1025, ma ha scritto le sue opere tra il 360 e il 385 dell’Egira), al-Majmû‘ fî almuhît bil-taklîf; Tathbît dalâ’il alnubuwwa; e sopratutto Mughnî, V, 152-154 (Monnot Isl. et rel., 228-231). 37 Ibn al-Nadim, Fihrist (composto nel 377/987), 318-327 (Dodge, II, 745773); va notato come Ibn al-Nadim, come senza dubbio anche altri autori musulmani, debba all’apologetica cristiana buona parte delle sue informazioni sui Sabei. Al-Biruni (m. poco dopo il 442/1050), Al-Athâr albâqiyya ‘an al-qurûni alkhâliyya/Chronology of Ancient Nations, ed. Sachau, Leipzig 1878. 38 Commentate in D.S. Margoliouth, “Harranians” in Encyclopaedia of Religions end Ethics, ed. Hastings 1913, VI, 519-520. 39 Muhammad ibn ‘Abd al-Karim alShahrastani, Kitâb al-milal wa alnihâl, ed. Kilani, Beirut 1406/1986, II, 2-58/Livre des Religions et des Sectes II, trad. J. Jolivet e G. Monnot, Paris 1990, 15-172; Moshes ben Maimon, Moreh Nebukhîm/Guide for the Perplexed, ed. S. Pines, Chicago 1963. 36


relazione al fenomeno dell’idolatria.40 Più o meno coeva all’opera di quest’ultimo sono le pagine sui Sabei di al-Dimashqi41 e, qualche secolo più tardi, un breve accenno ne viene fatto anche da Ibn Khaldun.42

Harran I Sabei nel kalâm Come abbiamo già detto, nel ‘ilm al-kalâm i Sabei divengono oggetto d’interesse allorché si vuole indagare il fenomeno dell’idolatria. Citati in F.E. Peters, Aristotle and the Arabs, New York 1968, 201. È interessante notare come Ibn al-Jawzi (m. 1200 circa), sorta di Don Chisciotte teologico che muove guerra a tutti i mulini a vento della storia dell’Islam, nel suo Talbîs Iblîs condanni sofisti, filosofi e fisici e, citando “i professionisti del kalâm” come suoi informatori sui Sabei, pensi di riconoscere in quest’ultimi la presunta fonte di almeno alcune di queste innovazioni; opinione rinforzata da Ibn Taymiyah (m. 1328 d.C.) che condanna sia i Mu‘taziliti sia i falasifah di “essersi ubriacati dalla stessa sorgente inquinata, vale a dire la dottrina dei Sabei di Harran.” 41 Shams al-Din Muhammad ibn Abu Talib al-Dimashqi, Kitâb nukhbat aldahr fî ‘ajâ’îb al-barr wa albahr/Cosmographie, ed. e trad. C.M.J. Fraehn e A.F. Mehren, S. Pietroburgo 1866, 35. 42 ‘Abd al-Rahman ibn Khaldun, AlMuqaddima, ed. A.A. Wafi, 4 voll., Cairo 1957-1962; The Muqaddimah, trad. F. Rosenthal, Bollingen Series XLIII, 3 voll., Princeton 1958. 40

Diverse opere sono rappresentative sotto questo profilo: per semplicità d’esposizione analizzeremo in particolare gli scritti di Abu Zayd al-Balkhi, ‘Abd al-Jabbar e al-Shahrastani – senza dimenticare, naturalmente, gli autori citati nel paragrafo precedente – riservando un occhio di riguardo all’opera di Maimonide, il quale a nostro avviso si colloca legittimamente all’interno di tale tradizione, di cui ne riassume gli aspetti più salienti, come avremo modo di dimostrare, elevandola così facendo al suo più alto grado di raffinatezza. Prima della comparsa dell’Islam la stragrande maggioranza degli Arabi adoravano idoli,43 e ciò ha dato la sua particolare impronta alla produzione scritta del kalâm. La ragione principale consiste nell’avversione radicale degli autori musulmani per l’antica religione preislamica, ma è altrettanto vero che, da un punto di vista prettamente psicologico, il fatto che proprio gli antenati di tali autori fossero degli idolatri costituiva quantomeno motivo d’imbarazzo; ed è quest’ultimo motivo, a nostro avviso, a far sì che essi s’interrogassero sulle origini e sulle cause di tale fenomeno. È in questa direzione che l’opera di Abu Zayd al-Balkhi è particolarmente significativa. Il celebre geografo (n. 236/850 e m. 322/934) pubblicò le sue opere quasi sicuramente durante la seconda metà del III/IX secolo, vale a dire nel compianto periodo delle polemiche fra religioni. V. al riguardo l’opera fondamentale di T. Fahd, Le panthéon de l’Arabie centrale à la veille de l’Hégire, in particolare pp. 98, 235, 240, 250. 43

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Man mano che il territorio dei Califfi si espandeva, l’Islam dovette fare i conti con diversi, talvolta virulenti, antagonisti,44 tant’è che a quei tempi le confutazioni non avevano nulla d’accademico: si trattava di difendere la propria fede da avversari fin troppo vivaci. Tale quadro storico, e la considerazione che la città natale di al-Balkhi fu, fino a tutto il VII secolo d.C., una metropoli buddista, fanno sì che l’attenzione di quest’autore fu catturata dalle religioni d’origine indiana.45 Cfr. al-Mas‘udi, Murûj, VIII, 293; ‘Abd al-Jabbar, Tathbît, I, 35-129. Per una visione d’insieme v. il già citato articolo di Buck. 45 Fu solamente nel 257/871, quando Ya‘qub-é Layth, durante la serie di spedizioni che si conclusero con la presa di Kabul e l’incendio di Ghazna, distrusse l’ultimo stupa buddista di Bamiyan, che gli “infedeli” furono definitivamente cacciati dalla regione: le enormi statue del Buddha che grazie ai Talebani non possiamo malauguratamente più ammirare, se non in immagini di repertorio, erano una significativa testimonianza di quello che doveva essere il buddismo afghano. Bisogna attendere ancora un secolo affinché Mahmud il Ghaznevide inizi le sue incursioni in India, permettendo in questo modo ad al-Biruni la sua straordinaria missione scientifica. Ma i contatti fra il subcontinente indiano e la totalità del Medio Oriente sono piuttosto antichi, e le guarnigioni arabe che stavano a guardia delle città del Sind erano abbastanza integrate nel milieu culturale induista, tant’è che durante la seconda metà del II/VIII secolo, il vizir Yahya ibn Khalid al-Barmaki fece comporre un’opera, Milal al-Hind wa adyânuhâ, consultata da Ibn alNadim, Fihrist, ed. Flügel, Leipzig 1871, 345, 11, 22 e sgg. Nel 237/851 furono compilate le Akhbâr al-Sîn wa al-Hind, resoconti di viaggi marittimi la cui collezione fu riprodotta e ampiamente pubblicizzata intorno al 304/916 – l’epoca di Abu Zayd alBalkhi – da un certo Abu Zayd alSirafi, in Silsilat al-tawârîkh, ed. Langlés 1811; va altrettanto evidenziato il suo contemporaneo Abu 44


Una conferma dell’immenso interesse che i professionisti del kalâm nutrivano per le pratiche religiose indiane ci è data dal Kitâb al-asnâm di al-Jahiz, leggermente anteriore al contributo di al-Balkhi. L’opera è andata perduta, ma fortunatamente l’autore stesso ne riassume i concetti salienti nella premessa del suo Kitâb alhayawân,46 dove afferma: Le giustificazioni date dagli Indiani a proposito degl’idoli, la causa occasionale della loro adorazione da parte degli Arabi e le divergenze delle due genti sui fondamenti di tale religione (dyâ-na) malgrado il loro accordo globale riguardo ad’essa; i processi che portano gli adoratori dei bidada e i seguaci del culto degl’idoli scolpiti nella pietra e nel legno ad essere i devoti più intimi con l’oggetto della loro credenza e i più amorevoli per l’oggetto del loro culto, i più espansivi nella manifestazione del loro zelo, i più aggressivi nei confronti delle loro contraddizioni e i più fanaticamente attaccati alle loro proprie credenze; la differenza tra bodd, wathan, sanam...

al-Qasim al-Balkhi (m. 319/931), poiché il suo celebre libro perduto, ‘Uyûn al-masâ’îl wa al-jawâbât, verrà considerata più tardi da alMas‘udi quale una delle sue fonti sull’India. 46 Al-Jahiz, Kitâb al-hayawân, Cairo 1357/1938, I, 5 e sgg. Le righe da noi ttradotte sono a p. 5. Cfr. la trad. di Fahd, Le panthéon... cit., 250, e il riassunto di W. Atallah nell’intr. alla sua ed. di Ibn al-Kalbi, Kitâb alasnâm, lvii, e ancora Monnot, Sabéens et idolatres selon ‘Abd alJabbar, MIDEO, 12/1974, 21.

Il testo parla da solo: al-Jahiz comincia con l’India e chiama in causa i bidada (plur. di bodd), vale a dire i buddha scolpiti che divenirono sia in arabo sia in persiano il nome generico di tutti gli idoli indiani. Il testo più importante di Abu Zayd al-Balkhi ai fini del nostro discorso lo troviamo nel Tafsîr di Fakhr al-Din al-Razi.47 Qui Abu Zayd esprime chiaramente il senso di sgomento che sta alla base della sua riflessione: durante la sua epoca l’idolatria rimaneva al mondo la religione maggioritaria, e tale constatazione lo spinse a cercare, se non una giustificazione, almeno una spiegazione plausibile a tale fenomeno. A tale riguardo egli offre diverse interpretazioni sulle origini di questa pratica religiosa: 1. “L’idolatria non è che una conseguenza della dottrina secondo la quale Dio è localizzato in un corpo. In effetti viene detto che Dio è un luminario, il più grande dei luminari, tant’è che gli angeli che circondano il Suo Trono sono dei piccoli luminari in confronto a tale Luminario Supremo.48 I seguaci di tale credenza si sono presi un idolo, il più grande, a immagine del dio a cui credono, e altri idoli, Fakhr al-Din al-Razi, al-Tafsîr alkabîr, Cairo 1352/1933, XXX, 143 e sgg. 48 Al-nûr al-a‘zam. Al-Razi, Tafsîr, XXIII, 223, attribuisce ai Manichei (mânawiyya) tale credenza. Difatti, la stessa espressione (maximum hoc lumen) si trova in una citazione di Mani fatta da S. Agostino, De natura boni, 46. 47

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

differenti per dimensione e dignità, a immagine degli angeli della Sua corte.49 Essi instaurarono il culto di questi idoli credendo di rendere culto a Dio (al-Ilâh) e agli angeli. È così che l’idolatria non è altro che una derivazione del ‘corporeismo’.”50 2. “I Sabei credono che Iddio Supremo abbia creato le stelle fisse e i pianeti, ma che ad essi abbia delegato il governo del nostro mondo inferiore. Gli uomini sono così i servitori degli astri, alla stessa maniera degli astri che sono i servitori di Dio Supremo. Gli uomini devono dunque adorare gli astri. Ma tali astri tanto appaiono quanto scompaiono. Allora gli uomini si son presi la briga di fare degli idoli a immagine degli astri e instaurarono il culto di quest’idoli allo scopo di rendere culto agli astri.” 3. “Fin dai tempi antichi si praticava l’astrologia giudiziaria.51 La gente attribuiva agli astri gli avvenimenti benigni o maligni di questo mondo. Se appariva nel firmamento una forma strana atta al disegno di un talismano, 49 Al-malâ’ika al-muqarrabiyn. L’espressione proviene da Corano 4, 172. 50 Il “corporeismo” (tajsîm) è la dottrina dei mujassima, per la quale Dio è di natura corporea (jism). 51 Quella in cui gli oroscopi pretendono di esprimere dei “giudizi” sul futuro: madhhab asbâb al-ahkâm. Cfr. Maimonide, Moreh, II, 10 (Pines, 269-270).


fabbricavano questo talismano. Esso produceva circostanze strane ed effetti meravigliosi. Onoravano allora tale talismano, lo veneravano, instauravano il suo culto. Fabbricavano ogni talismano secondo la forma di una stella o di una costellazione determinata. Vale a dire che Wadd aveva la forma di un uomo, Suwa‘ quella di una donna, Yaghuth quella di un leone, Ya‘uq quella di un cavallo, Nasr quella di un’aquila.”52 4. “Quando degli uomini pii morivano, la gente faceva delle statue a loro immagine. Iniziarono a venerare le statue allo scopo di venerare tali morti, affinché essi intercedessero in loro favore presso Dio. In ciò vi è il senso delle parole: ‘Noi li adoriamo affinché essi ci facciano avvicinare a Dio’.”53 5. “A volte moriva un re o un grande personaggio, e si faceva una statua a sua immagine in sua riconoscenza. Ma le generazioni posteriori pensarono che i loro padri adorassero tali statue e si misero essi stessi ad adorarle ad imitazione dei loro antenati.54 O meglio, 52 Si può riconoscere in questi cinque “talismani” divenuti oggetto di culto il nome dei cinque idoli noachidi di Corano 71, 23 e sgg. 53 Corano 39, 3. 54 Questa quinta interpretazione, simile alla precedente, risale all’Antichità. È associata al nome di Evemero, autore greco che scrisse attorno al 280 a.C. L’evemerismo, di cui troviamo un’analogia in Sapienza 14, 15-21, diventa presso gli antichi

questi cinque nomi: Wadd, Suwa‘, Yaghuth, Ya‘uq e Nasr, erano quelli dei cinque figli di Adamo (su di Lui la Pace). Quando morirono, Iblis disse agli uomini: ‘Se voi vi fate delle immagini, potrete ottenere la loro riconoscenza.’ Le fecero. Ma alla morte di questi uomini, Iblis disse alla generazione seguente che i loro padri adoravano i cinque figli di Adamo (su di Lui la Pace), e questi li adorarono. Ecco perché l’Inviato di Dio (la Pace e le Benedizioni di Dio su di Lui) interdisse dapprima la visita delle tombe. L’autorizzò in seguito dicendo, così come ci è riportato: ‘Vi ho interdetto la visita delle tombe. Su! Visitatele, affinché vi troviate nella loro visita un richiamo’.”55 6. “Poiché Dio era concepito come un corpo a cui era possibile lo spostamento e il trasferimento (hulûl), non veniva scartata l’idea che Dio potesse discendere al livello dell’individualità corporea di un uomo o a quella di un idolo (shakhs sa-nam). Quando dunque si credeva di ricevere un idolo come se fosse un autori cristiani la spiegazione favorita sulle origini dell’idolatria (v. Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris 1922, VII/1, col. 652 e sgg.). La stessa interpretazione è sostenuta da al-Biruni, Tahqîq, 53-60 (Sachau, 111123). 55 Un richiamo a Dio e all’Ultimo Giorno. Il detto (tadhkira) è coranico: cfr. Corano 20, 3; 69, 12 e 48; ecc. Questo hadîth è riportato da Abu Dawud, Sunan, Cairo 1354/1935, III, 218 (ottavo hadîth prima della fine del “Kitâb al-janâ’iz”). TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

talismano di uno strano stato [dell’essere], si immaginava che il dio era disceso nell’idolo. Così un gruppo di antichi rafiditi, quando videro ‘Ali (che Dio si compiaccia di Lui) sradicare la porta di Khaybar, fatto in sè straordinario, dissero che Dio era disceso fino al suo corpo56 e che lui stesso era Dio.” 7. “Era altresì possibile che tali idoli vennero presi come mihrâb, e che la loro adorazione s’indirizzasse a quella di Dio (Allâh).” Qui Fakhr al-Din conclude la citazione di Abu Zayd elencando sette interpretazioni generali dell’idolatria. Per completezza d’esposizione dobbiamo citare altre due interpretazioni facilmente ricorrenti nell’antica letteratura islamica: 8. Una delle due è resa da Ibn al-Kalbi:57 un figlio di Caino eresse il primo idolo a contrapposizione del culto di venerazione reso dai figli di Seth alla tomba di Adamo situata in India Inna al-Ilâh halla fî badanihi. Durante la presa di Khaybar, ‘Ali staccò una porta pesante da cui ne ricavò uno scudo, e fu grazie a lui che fu presa la fortezza di Hisn al-Qamis. I “rafiditi” (rawâfid) qui menzionati sono dei sciiti estremisti (ghulât). Nella maggior parte delle fonti più importanti il termine rawâfid (o râfida) designa i duodecimani ed è sinonimo di imâmiyya: così alAsh‘ari, Maqâlât al-islâmiyyin, ed. Ritter, Istanbul 1929, I, 16 e sgg.; alMalati, al-Tanbîh, Baghdad 1388/1968, 18. 57 Ibn al-Kalbi, Kitâb al-asnâm, 42 e sgg. 56


sul monte Nawdh. È interessante notare che, in una delle spiegazioni sull’origine dell’idolatria araba data dagli esegeti coranici, la quale imputava al leggendario eroe preislamico ‘Amr ibn Luhayy la diffusione a Jedda dei cinque idoli noachidi, il monte Nawdh sia indicato come luogo d’origine di tale diffusione. 9. L’altra interpretazione infine presuppone all’origine dell’idolatria la credenza degli uomini nel fatto che Dio abbia ripartito il governo del mondo fra gli spiriti celesti, ciascuno dei quali preposto a un elemento del globo o a una forza naturale. Ad esempio, un angelo dirige i mari e un altro le montagne, uno dirige le nuvole e la pioggia, un altro governa i raccolti e un altro le guerre... Gli uomini costruirono allora un idolo e un tempio per ogni angelo, al fine di domandargli i benefici derivanti dalle sue competenze. Tale interpretazione non la troviamo che in un solo passaggio, dovuto nuovamente ad al-Razi.58 L’autore in effetti, nel suo Tafsîr, parla almeno tre volte dell’idolatria. Oltre al lungo paragrafo ricordato più sopra, egli

Fakhr al-Din al-Razi, Tafsîr, XIII, 37. Un’interessante parallelismo lo troviamo tuttavia in al-Shahrastani, Milal, II, 677, sui rûhâniyyât ai quali i Sabei indirizzano un culto. 58

sviluppa la questione in altri due punti. Nel secondo volume vi consacra tre passaggi; il primo, dopo una classificazione generale dei mushrikûn, riprende la lista d’interpretazioni di Abu Zayd, ma senza nominarle e con delle leggere modificazioni.59 Nel tredicesimo volume al-Razi ritorna sulla classificazione dei mushri-kûn e si sofferma su tre interpretazioni dell’idolatria. La prima citata (che è la seconda delle altre due liste) è, a suo dire, “la più solida”: già nel secondo volume la cita come “l’opinione della maggior parte degli scienziati.” È la tesi che pone l’idolatria in dipendenza del culto degli astri; gli uomini, vista l’influenza del sole sulla terra, si convinsero del dominio degli astri sul loro destino, e iniziarono ad adorarli, o come divinità autentiche (è la dottrina dei dahriyya in XIII, 35), oppure come intermediari creati da Dio i quali, a loro volta, crearono questo mondo (è la dottrina dei Sabei in XXX, 143). Ma a quali Sabei Abu Zayd faceva riferimento e come ottenne notizie su questa gente? Sappiamo che Abu Zayd alBalkhi era, assieme ad alSarakhsi e Abu Ma‘shar – anche quest’ultimo nativo di Balkh –, uno degli allievi di al-Kindi. Abu Yusuf Ya‘qub ibn Ishaq alKindi (m. circa 257/870), che fu il primo faylasûf “ellenico” fra i Musulmani ed è una delle fonti più importanti sulle posizioni dottrinali dei Sabei, nacque a Kufa, uno dei primi centri politici del movimento sciita. Egli partecipò attivamente alla vita intellettuale di Baghdad durante il regno del Califfo Ma’mun – fece probabilmente Fakhr al-Din al-Razi, Tafsîr, II, 111114, si riferisce a Corano 2, 21 e sgg.

59

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

parte del corpo docente della Bayt al-Hikmat, la celebre università islamica di Baghdad – e sebbene non conoscesse il greco, al-Kindi era in contatto con i membri della comunità harraniana di Baghdad, ed è abbastanza verosimile che il suo primo barlume di ciò che poteva essere la filosofia greca fu dovuto a queste influenze. Infatti, personalità di spicco di questa comunità furono Salm (III/IX secolo), che fu rettore della Bayt al-Hikmat durante il regno di Ma’mun e che tradusse le opere di Aristotele ed era profondo conoscitore della figura di Tolomeo, il già ricordato Thabit ibn Qurra, le cui opere sono elencate nel Fihrist di Ibn al-Nadim, e l’astronomo al-Battani (m. 317/929), la cui scienza sembra fondarsi su basi razionalistiche, dati i titoli delle opere anch’esse elancate nel Fihrist. Al-Sarakhsi stesso, che come abbiamo già ricordato era allievo di al-Kindi, era il confidente personale di Thabit, ed è molto probabilmente quest’ultimo la fonte delle notizie sui Sabei di Harran poste a premessa del capitolo nono del Fihrist, tant’è che alKindi nel riportare tali notizie accredita come fonte proprio il suo discepolo; un’altra prova di ciò potrebbe consistere nel fatto che al-Kindi, dopo aver descritto il culto harraniano come un culto astrolatrico, operi delle chiare correlazioni fra le dottrine dei Sabei e le teorie aristoteliche.60 Se comparassimo la notizia di al-Kindi con la seconda interpretazione dell’idolatria Cfr. Ibn al-Nadim, Fihrist, 322 (Dodge, 750). Va tuttavia notato che la dottrina dell’unità divina che al-Kindi mette in bocca ai Sabei odora di salsa mu‘tazilita.

60


data da Abu Zayd al-Balkhi nell’opera di al-Razi le analogie sulle posizioni dottrinali dei Sabei risalterebbero subito all’occhio, tutt’al più noteremmo un diverso atteggiamento nei confronti di tali credenze: dove al-Kindi è piuttosto comprensivo e tollerante Abu Zayd è sostanzialmente critico, d’altronde è abbastanza noto che al-Kindi veniva sovente criticato dai suoi discepoli a causa delle sue idee filosofiche.61 Ad ogni modo secondo gli autori arabi, e come vedremo secondo ‘Abd al-Jabbar in particolare, vi era più di una connessione fra l’idolatria e i Sabei, assurti a tipologia ideale di religione astrale. ‘Abd al-Jabbar e alShahrastani Il qâdî di Rayy Abu al-Hasan ‘Abd al-Jabbar62 parla dei Sabei in tre suoi contributi. Un piccolo capitolo è dedicato a loro in al-Majmû‘ fî al-muhît bil-taklîf in cui sia la descrizione che la critica delle loro credenze è più sintetica che nel Moghnî; o meglio, mentre la critica del Moghnî rimanda ad altre parti, irrimediabilmente perdute, dello stesso libro, il Majmû‘ affronta subito questi argomenti. Il più notevole è il seguente: “Nel descrivere gli astri come ‘sottomessi’, il Sacro Corano [7: 54; 16: 12] intende un altro argomento. Vale a dire: i movimenti delle stelle seguono un corso determinato, qui si mostra Cfr. Green, The City of… cit., 135. Abu al-Hasan ‘Abd al-Jabbar ibn Ahmad al-Asadabadi, nato nella regione di Hamadan verso il 320/932, morto a Rayy nel 415/1025. 61

62

l’evidenza del fatto ch’essi non godono di libero arbitrio. D’altronde, se essi comandassero se stessi, i loro movimenti varierebbero... Ma noi sappiamo che il corso degli astri è invariabile, e questo dimostra ch’essi non sono viventi. Se essi non sono viventi, a maggior ragione non possiedono una loro forza. Date queste condizioni, essi non meritano né l’adorazione né la riconoscenza...”63 L’altra opera del summenzionato autore è nota col titolo di Tathbît dalâ’il alnu-buwwa. Quest’opera impetuosa fa qualche allusione ai Sabei di Harran, che vengono menzionati in particolare durante una diatriba contro la farmacia e la medicina; ma i Sabei entrano soprattutto in scena, a proposito di Costantino, in due piccoli passaggi.64 Il primo riporta che l’imperatore in persona venne ad Harran e passò a fil di spada tutti gli astrolatri su cui riuscì a mettere le mani, ma certuni si rifugiarono fra le montagne. Il secondo passaggio gli attribuisce di averli forzati a violare un tabù alimentare, che il testo esprime in questi termini: “Fra i Sabei di Harran, vi è chi non mangia le fave e pretende ch’esse siano nemiche dei cieli. Giacché le fave sono cubiche, mentre i cieli sono sferici!” Quanto al Moghnî, l’interesse sembra essere rivolto anche a proposito dei Sâbi’ât al-Batâ’îh 63 Cfr. Monnot, Sabéens et idolatres... cit., 29. 64 Ibid., 29. Sulle fave, cfr. Maqdîsî, alBad’, IV, 23; Ibn al-Nadîm, Fihrist, 749; Hjärpe, Analyse critique... cit., 151. Sui Sabei, cfr. Tathbît, I, 108, 162 – 166, II, 622, 627.

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

(i Mughtasila menzionati da Ibn al-Nadim). Non viene specificato il luogo del loro insediamento, ma sono semplicemente distinti dalla “gente di Harran”, al punto che apparentemente, una decina d’anni prima dell’opera di Ibn al-Nadim, il dottore mu‘tazilita sembra considerare l’ipotesi di una frode commessa dagli Harraniani riguardo alla loro identità religiosa.65 Nel trattato sulle religioni che concludono il quinto volume del Moghnî, le varie sezioni seguono uno schema uniforme. Che si dibatta dei dualisti, dei Mazdei, dei Cristiani, o infine dei Sabei e degli idolatri, l’autore comincia sempre a esporre le loro dottrine nei punti che gli interessano, dopodiché le critica (particolarmente suggestiva è la formula retorica introduttiva “Sappi che...”). La caratteristica essenziale di ‘Abd al-Jabbar sta nella perizia con cui egli cita le sue fonti; sui Sabei e sugli idolatri, come sui dualisti e sui Maz-dei, la fonte principale è un personaggio che egli chiama “al-Hasan ibn Musa”, che molto

65 Qualche anno dopo ‘Abd al-Jabbâr, i dubbi da lui espressi sul presunto “sabismo” degli Harraniani sono cosî formulati in termini abbastanza simili da al-Khwârizmî, Mafâtîh al-‘ulûm, Cairo 1349/1930, 25: “I Caldei sono le genti che si chiamano Sabei ed Harraniani (harnaniyyûn). I discendenti di questa setta sono ad Harran ed in Iraq. Essi pretendono che il loro profeta sia Bûdhâsaf… Questi (hâ’ulâ’i) si chiamano Sabei dai tempi di Ma’mûn, ma i veri Sabei sono una setta di Cristiani.” Rammentiamo che l’Iraq, in un testo antico come questo, non può designare altro che la Bassa Mesopotamia: i due gruppi “sabei” sono ugualmente accusati di frode e distinti dai “veri Sabei”.


probabilmente è da identificarsi con al-Nawbakhti.66 A sua volta quest’ultimo, nei passi riportati da ‘Abd alJabbar, cita tre autori molto significativi ai fini della nostra indagine: sui Sabei alNawbakhti allega l’autorità di al-Sarakhsi, di cui abbiamo già detto, mentre per quanto riguarda gli idolatri egli fa riferimento ad altri due filosofi. Il primo di questi è Abu Ma‘shar al-Balkhi (m. 272/886), altro allievo di alKindi, la cui fama arriva fino all’Europa medievale, dove è conosciuto col nome di Abulmasar. A lui s’attribuisce la opinione che l’idolatria derivi dalla credenza nel carattere corporeo di Dio; tale interpretazione poteva essere stata tratta dalla sua opera perduta al-Milal wa al-duwâl.67 L’ultima fonte è infine Abu ‘Isa al-Warraq (m. 247/861?), pensatore brillante ma discusso, autore di un’opera di maqâlât che rimane un classico della letteratura islamica. Analizzando nel dettaglio i discorsi di ‘Abd al-Jabbar si evincono immediatamente le dipendenze di cui sopra, e si può evidenziare anche qualcos’altro. L’esposizione sui Sabei si può virtualmente dividere in sei parti: la prima e la seconda affermano che fra i Sabei vi sono due gruppi, ovverossia alcuni che credono che sia la materia primordiale sia il Almeno secondo Monnot, Sabéens et idolatres... cit., 31. 67 La stessa interpretazione si trova, ogni volta attribuita nuovamente a Abu Ma‘shar, presso ‘Abd al-Jabbar, al-Mughni, V, 155, 11.3-7; Ibn alJawzi, Talbîs Iblîs, 60; al-Razi, Tafsîr, II, 112; XIII, 37; XXX, 143 (è in quest’ultimo testo che egli cita Abu Zayd). 66

creatore68 sono coeterni, e che quest’ultimo abbia iniziato l’opera di edificazione di questo mondo a partire da tale materia primordiale, e altri che affermano che il mondo è stato indotto all’esistenza e che è opera di un creatore eterno, che non è paragonabile con niente al mondo. Successivamente, nella terza parte, il giudice mu‘tazilita afferma che, sempre secondo i Sabei, tale creatore abbia creato le sfere celesti (khalaqa al-falak) affinché governassero il mondo.69 Tali sfere sono chiamate “angeli”. Viene poi fatto un accenno alla teologia negativa, ossia alla possibilità di parlare di Dio solo per mezzo di negazioni, praticata da alcuni Sabei;70 inoltre troviamo una citazione di al-Sarakhsi: Secondo i Sabei, il mondo non si può ricondurre a un’altra direzione. Dopo questa dimora, non vi sarà un’altra dimora per ricompensa: la ricompensa è in questo mondo, con un ritorno in prosperità e piaceri, allo stesso modo in cui il castigo consiste nella

Qui ‘Abd al-Jabbar, Mughni, V, 152, usa la parola sâni‘ che semanticamente indica più un demiurgo che un Creatore Assoluto. 69 Cfr. al-Biruni, Athâr, 205. 70 Possiamo ritrovare tale affermazione presso Ibn al-Jawzi, Talbîs Iblîs, 74. la teologia negativa dei Sabei è evidenziata da al-Maqdisi, al-Bad’, IV, 22; Ibn al.Nadim, Fihrist, 318 e 320 (Dodge, 746 e 750); alBiruni, Athâr, 205. lo stesso al-Biruni, Tahqîq, 59, fa un’osservazione interessante: “Gli antichi Greci stabilirono che gli idoli fungessero da mediatori fra loro e la causa prima, e li adorano sotto il nome di pianeti e corpi celesti.

metempsicosi nelle specie animali.71 Infine l’ultima parte è dedicata alla notizia dell’esistenza di un altro gruppo chiamato “Sabei”, i cosiddetti Sâbi’ât al-Batâ’îh, i quali si caratterizzano per la loro pretesa di aderire agli insegnamenti di Seth, il terzo figlio di Adamo, il quale riveste un grande ruolo in varie sette gnostiche dell’antichità, in particolare presso i Mandei (Sithîl).72 Il ruolo preponderante di questo patriarca nei Sâbi’ât albatâ’ih risulta da tre testi concordanti, dove il più antico è proprio quello di ‘Abd alJabbar. Il secondo è nell’opera di alBiruni, intorno al 390/1000; infine la notizia di Yaqut su alTîb: “…Borgata fra Wâsit e il Khûzistân. I suoi abitanti sono Nabatei fin’oggi, e parlano il nabateo. Il mercante Dâwûd ibn Ahmad ibn Sa‘îd al-Tîbî (che Dio lo abbia in misericordia!) m’ha raccontato quello che segue: ‘Si pensa fra di noi che al-Tîb sia stata fondata da Seth, figlio d’Adamo. I suoi abitanti sono i discendenti della comunità di Seth, ovvero la setta dei Sabei,73

68

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

‘Abd al-Jabbar, Mughni, 152. Cfr. alMaqdisi, Bad’, IV, 22 e 23 e sgg.; Ibn al-Nadim, Fihrist, 318 e 319 (Dodge, 746 e 749; sui 9000 anni del primo passaggio, v. Hjärpe, Analyse critique... cit., 126-164); Ibn al-Jawzi, Talbîs Iblîs, 75, II.5-8. 72 V. Genesi 4, 25. 73 Yaqut, Mu‘jam al-buldân, ed. Wüstenfeld, Leipzig 1868, III, 566. Il testo dice: al-Tîb min ‘umara Shîth ibn Adam wa mâ zâl ahlahu ‘ala milla Shîth wa huwa madinat alSâbi’a. Su al-Tib, v. G. Le Strange, The Lands of Eastern Caliphate, Cambridge 1930, 64. 71


fino all’arrivo dello Islam, dopodiché si convertirono.”74 Ad ogni modo, analizzando questo testo si evidenziano subito le dipendenze descritte più sopra, al punto che le testimonianze di al-Kindi e di ‘Abd al-Jabbar possono considerarsi quasi sinottiche! Il discorso contro gli idolatri è invece composto da due sezioni: la prima dedicata alle cause di questo fenomeno religioso; la seconda sullo stato dell’idolatria fra gli Arabi nel periodo preislamico. La nostra attenzione è concentrata sulla prima, dove possiamo facilmente individuare almeno tre delle interpretazioni date da Abu Zayd nella citazione di al-Razi, e nella fattispecie la prima, la seconda e la settima della nostra lista. L’originalità di ‘Abd al-Jabbar consiste nel fatto che tali interpretazioni sono concatenate all’interno di un quadro dov’esse appaiono come dei momenti successivi nell’evoluzione del pensiero religioso dell’umanità.75 74 Cfr. G. Monnot, Sabéens et idoltres... cit., 30. 75 Cfr. ‘Abd al-Jabbar, Mughni, V, 155. Si Abu Ma‘shar abbiamo già detto, va ultreriormente notato che la menzione sia dell’India che della Cina come luoghi d’origine dell’idolatria è assente dalla citazione di al-Razi, Tafsîr, XXX, 143, tradotta nel presente articolo, ma la si ritrova in tutte le altre citazioni dell’ipotesi di Abu Ma‘shar (in al-Mas‘udi, Ibn alJawzi e lo stesso al-Razi in altri suoi passaggi). Per quanto riguarda il testo di ‘Abd al-Jabbar, sebbene solamente il primo paragrafo esprima l’interpretazione tradizionalmente associata al nome di Abulmasar, sembra che l’intero passaggio di alNawbakhti nella sua totalità sia una citazione di Abu Ma‘shar. In ogni caso, possiamo identificare molto facilmente lo stesso passaggio in alMas‘udi, Murûj, IV, 42-46 (Pellat, II, 379-381). Al-Mas‘udi non cita la sua fonte, ma conosceva senz’altro il libro

Anche per ‘Abd al-Jabbar, quindi, le problematiche dei Sabei e dell’idolatria sono strettamente correlate, e questo lo si può dedurre dalle confutazioni che egli fa di questi fenomeni religiosi. Possiamo facilmente individuare nella testimonianza del giudice mu‘tazilita le dipendenze dalla scuola filosofica di al-Kindi mostrate più sopra – tutt’al più va notato il carattere decisamente meno conciliante – ma, allo stesso tempo,troviamo altri spunti che verranno sviluppati in seguito da al-Shahrastani. Il contributo di al-Shahrastani sui Sabei e uno dei più importanti e apparentemente uno dei più strani. A partire dalla sua ampiezza: una buona cinquantina di pagine. Per un’opera che si propone di trattare “le opinioni dottrinali degli uomini del mondo intero”,76 tanto sul piano religioso quanto su quello filosofico, equivale a fare gli onori di casa a un insieme fittizio di gruppi oramai scomparsi. E tuttavia il fatto c’è: alShahrastani consacra loro quasi il triplo di spazio che dedica a Giudei e Cristiani messi assieme. Il piano della sezione non è meno strano della sua lunghezza. Diverse volte nella sua opera l’autore afferma con dovizia di particolari che vi sono tre specie di Sabei: i “compagni degli Spiriti”, i “seguaci delle Case Planetarie”, gli “adepti degli idoli.”77 di Nawbakhti, tant’è che ne dà il titolo in I, 156 (Pellat, I, 66). 76 Al-Shahrastani, Milal, I, 1 (Monnot, I, 105). 77 Cfr. al-Shahrastani, Mughni, I, 526; II, 31 e sgg., 49, 50 (Monnot, I, 631; II, 133 e sgg., 159, 161). La terminologia TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Ci si aspetterebbe di trovare tre capitoli corrispondenti; e invece mentre il primo capitolo è interamente dedicato alla prima categoria, sebbene sia articolato in tre blocchi eterogenei, e cioé una presentazione generale dell’argomento, una lunga controversia fra questi Sabei e gli hunafa’78 e una raccolta di aforismi di Hermes Trismegisto, il secondo raggruppa la seconda e la terza tipologia di Sabei, prima di evidenziare nel Sacro Corano la confutazione delle loro credenze fatta da Abramo. Il terzo capitolo, inoltre, che a una lettura superficiale appare senza alcun legame reale con ciò che lo precede ed è quasi sicuramente un’aggiunta posteriore operata dall’autore, è consacrato agli Harraniani; usata da al-Shahrastani è ashâb alrûhâniyyât, ‘ibada al-kawâkib e ‘ibada al-asnâm. 78 Plurale di hanîf, epiteto coranico attribuito al patriarca Abramo. Sul termine, v. EI; per un origine straniera del termine, v. Pedersen, The Sabians... cit., 383; Hjärpe, Analyse critique... cit., 24 e sgg.; e ancora Green, The City of... cit., 107 e sgg., in cui si delinea un rapporto di parentela fra questo termine e il siriaco hanpa – sovente usato per tradurre il greco hellènes, ovvero persona di cultura greca, e passata nell’uso cristiano tardo-antico col significato di “pagano” – basato sulle fonti arabe che sembrano usare tale termine in questo senso, specialmente in al-Biruni, Athâr, 318 e sgg. Su quest’ipotesi nutriamo molte riserve, poiché fra le altre cose è senza dubbio basata su una scarsa conoscenza della grammatica araba e, di conseguenza, su un’errata traduzione del passaggio in questione, il quale, secondo gli studiosi citati, dice sostanzialmente che i Sabei prima del tempo di Ma’mun “erano chiamati hunafa’, idolatri e Harraniani”, mentre la traduzione corretta è che i Sabei “erano chiamati dagli hunafa’ idolatri e Harraniani.” Ad ogni modo crediamo che con questo termine alShahrastani voglia designare i discepoli di Abramo.


un’ulteriore stranezza è data dal fatto che lo stesso nome della loro città, Harran, non compare una sola volta in tutta la sezione sui Sabei.79 Ma tali problemi non diminuiscono per nulla l’importanza del contributo del Milal: l’originalità intrinseca di al-Shahrastani si cela in tre caratteristiche fondamentali della sua trattazione. Innanzitutto, l’interpretazione sistematica dell’Abramo coranico, nel secondo capitolo. Abu al-Fath, che dovrà mostrare più tardi nel corso del suo commentario coranico rimasto incompiuto80 una straordinaria abilità nell’arte delle citazioni probanti, compose, principalmente a supporto dei versetti delle sure coraniche 6, 19 e 21, un resoconto magistrale dell’azione di Abramo, il hanîf per antonomasia, che distrugge le convinzioni sabee alla stessa 79 Tuttavia al-Shahrastani la nomina in un passaggio precedente. Secondo lui, in effetti, il kharigita Yazid ibn Unaysa annunciò la venuta di un profeta iraniano che “praticherà la religione dei Sabei menzionati nel Corano, i quali sono differenti dai Sabei che vivono a Harran o a Wasit” (Milal, I, 306; Monnot, I, 411). Per un approfondimento di tali problematiche, cfr. Monnot, Livre... cit., II, ix; va detto però che tali apparenti “stranezze” non lo sono più se ci immedesimassimo nell’ottica dei canoni letterari del tempo e se considerassimo le peculiarità morfologico-sintattiche della lingua araba che è pur sempre una lingua semitica e non indoeuropea. Inoltre un testo va pur sempre considerato nella sua globalità e non sezione per sezione, altrimenti il rischio di incappare in “stranezze” è sempre presente. 80 Abu al-Fath, Mafâtîh al-asrâr wa masâbîh al-abrâr (scritto attorno al 540/1145): cfr. l’analisi di Monnot in Annuaire de l’École Pratique des Hautes Études – Section des sciences religieuses, Paris, da 92/1984 a 97/1989.

maniera in cui è stata relazionata e definita dall’autore del Milal. Anche il capitolo sugli Harraniani è indubbiamente un documento di valore. Esso è composto da diversi passaggi che si riferiscono evidentemente allo stesso reale gruppo religioso; l’autore vi descrive caratteristiche che attribuiremmo volentieri a un gruppo di teurgi ermetici,81 ma al-Shahrastani vi vede una liturgia autentica, un culto reso, in fondo, al Creatore, il “Signore dei signori.”82 Un’ulteriore conferma del carattere ermetico delle dottrine sabee è data dalla constatazione che sia Agathodemon sia Hermes Trismegisto, leggendari autori del Corpus Hermeticum, sono menzionati nel Milal come gli unici profeti dei “primi Sabei.”83 Infatti i Sabei di Harran, che riconoscono ulteriori profeti,84 81 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 7, 28, 49, 50 (Monnot, II, 100, 134, 160, 161). 82 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 7, 27, 49 e sgg. (Monnot, II, 100, 129, 160 e sgg.). 83 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 4, 5, 28 (Monnot, II, 97, 98, 134). 84 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 56 (Monnot, II, 170), in cui “gli Harraniani attribuiscono la loro dottrina a Agathodemon, Hermes, A‘tata e Arani.” La frase seguente ne aggiunge un altro: Solone. La medesima lista di profeti sabei e data da al-Mas‘udi, Murûj, III, 348 (Pellat, II, 465); Tanbîh, 161; al-Maqdisi, Bad’, II, 143 e, in maniera più completa, III, 7 e sgg.; Ibn al-Nadim, Fihrist, 318 (Dodge, 746); al-Biruni, Athâr, 205 e 318 (Sachau, 187 e 314 e sgg.); Ibn Hazm, Fisal, I, 35 (Hjärpe, 59 e sgg.). La lista del Tanbîh enumera sette profeti harraniani, e altri nomi sono aggiunti da al-Biruni e Ibn Hazm, ma non c’è alcun termine che rassomigli seppur lontanamente al terzo nome della del nostro passaggio, A‘tata. Cfr. Monnot, Livre... cit., II, 170, n. 17, in cui

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

sono considerati da alShahrastani come discendenti dei Sabei primitivi e praticanti una variante degenerata della loro dottrina pura, tant’è che per il filosofo l’etichetta di sâbi’ abbracciava una moltitudine di credi religiosi ma tutti basati in un modo o nell’altro su dottrine astrali. Al-Shahrastani fu forse il primo autore ad applicare il termine sâbi’ûn a vari gruppi religiosi dell’India per classificarli a seconda del grado d’idolatria. Facendo uso delle tre categorie da lui adoperate nel descrivere i Sabei, nel suo capitolo finale “Ara’ al-Hind”, egli trova posto Tardieu fa notare che potrebbe essere una trascrizione corrotta del siriaco Atar‘ata, corrispondente al greco Atargatis, altro nome di Iside. La dea, in effetti, è la terza di una catena di nomi attestata nel Corpus: Agathodemon > Hermes > Iside (= greco: Atargatis) > Horus (= greco: Arnebeskhenis). V. a proposito J. Doresse, in HR, II, 443 e soprattutto M. Tardieu, Les paysages reliques. Routes et haltes syriennes d’Isidore à Simplicius, Louvain-Paris 1990, 160, n.101. Il quarto nome della nostra lista è scritto Awadi o Awadhi nei mss del Milal, ma è quasi sicuramente una corruzione del nome Arani utilizzato da Ibn al-Tayyib al-Sarakhsi, citato da al-Maqdisi, Bad’, II, 143 e III, 7, e da Ibn al-Nadim, Fihrist, 318 (Dodge, 746). Dovrebbe in teoria designare il quarto personaggio della serie ermetica suddetta. Si potrebbe supporre, in maniera del tutto speculativa, che Arani provenga da Arnani, che traduce una forma contratta, Arn-eni(s), del greco Arnebeskhenis. Si può così tranquillamente scartare, con l’appoggio delle fonti ermetiche, dell’opinione espressa da Chwolsohn I, 800 e sgg.; cfr. II, 624, 635, e in seguito da M. Ch. Pellat, nella sua ed. del Murûj, II, 308 e sgg.; cfr. VI, 175: poiché il termine Arani che si ritrova nel Tanbîh sembra parallelo al termine Arasis o Awranis nella lista del Murûj, questi studiosi considerarono tutte queste grafie come differenti corruzioni di Awrfais, vale a dire Orfeo.


per ben undici gruppi religiosi indiani – escludendo solamente i Barâhi-ma (Bramini) ed i filosofi indiani – partendo dai più spirituali tra questi, specialmente i seguaci di Visnu e Shiva, attraverso gli adepti di culti astrali fino a quelli “che adorano idoli che hanno fabbricato con le loro mani.”85 Ma anche per il filosofo ash‘arita, così come per ‘Abd alJabbar, vale lo stesso discorso, sebbene il primo debba aver necessariamente impiegato un diverso filtro di teologia islamica. Un’interessante analogia a quanto relazionato da alShahrastani nel primo capitolo della sua sezione sui Sabei la troviamo nel tafsîr di alTabari:86 in una sezione del notevole commentario che egli dedica a Corano 2, 62, riporta l’opinione di alcuni esegeti secondo i quali i Sabei sono “adoratori di angeli e pregano in direzione della qibla.” Ma è nell’opera di al-Mas‘udi che riscontriamo le dipendenze maggiori. Quest’autore, le cui frequenti citazioni di al-Kindi, al-Sarakhsi e al-Jahiz suggeriscono un’influenza mu‘tazilita, ci fornisce l’unica testimonianza oculare diretta della società harraniana: Ho visto sullo stipite della porta del luogo di riunione dei Sabei nella città di Harran un’iscrizione in siriaco attribuita a Platone e spiegatami da Malik ibn ‘Uqbun e da altri fra loro Cfr. Al-Shahrastani, Milal, II, 444458 (Monnot, II, 547-562). 86 Abu Ja‘far Muhammad ibn Jarir alTabari, Jâmi‘ ‘an ta’wîl ayy alQur’ân, ed. Shakir, Dâr al-Ma‘ârif, Cairo 1374/1954, I, 146. L’opera è più o meno coeva alle produzioni letterarie di al-Sarakhsi e alNawbakhti. 85

la quale recitava: “Colui che conosce la sua natura diventa divino.” Platone diceva anche che: “L’essere umano è come una pianta celeste, e difatti rassomiglia ad un albero capovolto le cui radici traggono origine dal cielo e i cui rami si protendono verso terra.”87 Al-Mas‘udi distingue due gruppi fra gli Harraniani, con differenze ideologiche piuttosto rilevanti: la gente comune e i dotti; “la gente comune pratica sacrifici e divinazioni e pratica diversi rituali, ma i loro sapienti sono filosofi.”88 Va inoltre aggiunto che il filosofo ritornerà sulla quella sentenza platonica nel Tanbîh,89 ma sebbene nel Murûj al-Mas‘u-di stabilisca una fonte greca per la dottrina harraniana, nel Tanbîh attribuisce un’origine egiziana ad essa, combinando così le due percezioni delle fonti storiche della tradizione ermetica: la filosofia greca e la sapienza egiziana. Di fatto egli enumera quattro gruppi di Sabei – Caldei, Cinesi, Greci e Harraniani – classificando quelli di Harran come differenti dai Sabei greci ma, piuttosto, come discendenti

Al-Mas‘udi, Murûj, III, 343 (Pellat, II, 460; cfr. Chwolsohn II, 372). L’ultima metafora platonica la si può trovare in Timeo 90, A7-B2; la fonte della prima è più problematica. Tardieu, Sabiens Coraniques... cit., 14, suggerisce che possa trattarsi di una parafrasi di un passo da I Alcibiade, 133 C, ma di qualsiasi testo si tratti al-Mas‘udi e i suoi ospiti harraniani non avevano dubbi sul fatto che fossero le parole di Platone. 88 Cfr. al-Mas‘udi, Murûj, III, 342 (Pellat, II, 458; cfr. Chwolsohn II, 371). 89 Cfr. al-Mas‘udi, Tanbîh, 160. 87

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

dai Sabei egiziani.90 Perfino la descrizione che fa nel Murûj dei templi harraniani geometricamente modellati secondo i pianeti e i principi cosmici che rappresentano rimanda all’ultimo capitolo della sezione sui Sabei di alShahrastani.91 Un’altro autore che in qualche modo ha influenzato il Milal è al-Biruni. Lo storico persiano nelle sue pagine dedicate ai Sabei ne distingue fondamentalmente due gruppi: i “veri Sabei” e gli Harraniani. I primi sono i discendenti di quegli Ebrei che Nabuccodonosor deportò da Gerusalemme a Babilonia e che decisero di rimanere lì. La loro religione divenne un sincretismo giudaicozoroastriano. “La maggior parte di loro vive nel Saw-ad al-Iraq... vivono sparpagliati... essi non concordano su nessuna materia, sia che si tratti di rivelazione diretta o indiretta. Genealogicamente si attribuiscono la discendenza da Enoch, figlio di Seth, figlio di Adamo.”92 Gli ultimi invece sono secondo l’autore una sorta d’impostori, i quali non avrebbero adottato questo nome prima del 228 dell’Egira al fine di essere inclusi “fra coloro che hanno lo status di dhimma; essi sono meglio conosciuti con questo nome [Sabei] dei veri Sabei. Ma prima erano chiamati dagli hunafa’ idolatri e Harraniani.”93

Cfr. al-Mas‘udi, Tanbîh, 161 (Chwolsohn II, 378-379). 91 Cfr. al-Mas‘udi, Murûj, III, 340 (Pellat, II, 455; cfr. Chwolsohn II, 367). 92 Cfr. al-Biruni, Athâr, 318 (Sachau, 314). 93 Ibid. 90


Quest’ultima affermazione è particolarmente importante poiché introduce un altro tema caro al kalâm e ad alShahrastani in particolare, ovvero la contrapposizione ideologica fra i Sabei e gli hunafa’ abramici. L’origine di tale tema, che si andava pian piano sviluppando nelle opere del kalâm fino a raggiungere il suo apice nel Milal, rimane tuttora enigmatica, ma senza dubbio vi furono alcuni fattori determinanti. Uno è senz’altro l’importanza della figura di Abramo nel Sacro Corano e nella liturgia islamica in generale; egli infatti è il prototipo dell’uomo pio che, dapprima attraverso sue riflessioni e poi grazie alla Rivelazione, intuisce l’unicità di Dio, e che quindi per i professionisti del kalâm rappresentava l’uomo ideale in cui filosofia e religione convivevano pacificamente senza contraddirsi e che, anzi, ambivano al medesimo scopo: la Perfezione. L’altro fattore era la consapevolezza che Abramo, nel suo viaggio per ritrovare la vera fede da Ur alla Mecca, stazionò per un po’ di tempo a Harran, cosa che ebbe la sua importanza e che fu anche fin troppo pubblicizzata da Thabit ibn Qurra e soci nel tentativo di perorare la causa del riconoscimento dello status di dhim-ma alla sua comunità presso la corte abbasside.94 Ma tornando all’opera di alShahrastani, la sua più grande originalità consiste per l’appunto nell’esposizione delle dottrine sabee, e della confutazione che ne fa, sotto la Su questi argomenti, v. Green, The City of... cit., 1, 2, 11-14, 15, 55, 104, 107, 110, 114-119, 140, 214-216.

94

forma di un dialogo fra Sabei e hunafa’. È un pezzo bellissimo; vi si può leggere praticamente un piccolo trattato religioso e filosofico. Vi cita il Sacro Corano,95 attingendo volentieri dal pensiero di Avicenna,96 ed esprimendo costantemente la dottrina islamica, sebbene sotto una forma discretamente ismailita. Quattro idee maestre dominano il dibattito fra i due gruppi: 1. Gli uomini (corpo ed anima) sono superiori agli Spiriti e agli angeli. È il cuore del dibattito.97 Ma tale proposizione, nel senso logico del termine, dipende da diverse altre che ad essa s’incatenano. Queste troveranno il loro principio nella quarta, che non sarà posta e difesa che tardi nell’esposizione scritta di queste controversie. 2. La Perfezione è nell’atto, e non nell’essenza.98 3. La Perfezione dell’atto è di scegliere la conformità alla “disposizione originale” operata da Dio.99 4. L’Ordine è anteriore alla Creazione.100

Cfr. Al-Shahrastani, Milal, II, 14, 16, ecc. (Monnot, II, 109, 112, ecc.). 96 Cfr. Al-Shahrastani, Milal, II, 22, ecc. (Monnot, II, 119, ecc.). 97 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 5, 9 e sgg., 20 e sgg., 23, ecc. (Monnot, II, 98, 103 e sgg., 117 e sgg., 121, ecc.). 98 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 11 e sgg., 13 e sgg., ecc. (Monnot, II, 106 e sgg., 109 e sgg., ecc.). 99 Al-fitra. Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 5, 26 e sgg., 53, ecc. (Monnot, II, 98, 126 e sgg., 166, ecc.). 100 Cfr. al-Shahrastani, Milal, II, 10, 19; soprattutto 29 e sgg., ecc. (Monnot, II, 104, 115; 129 e sgg., ecc.). 95

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

Resta naturalmente un grosso e doppio problema. Il discorso degli hunafa’ rassomiglia troppo nella terminologia e nello stile ad altri sviluppi del Milal e di altre opere del filosofo ash‘arita per non essere scritto che da lui. Ma è possibile che abbia tratto spunto da un canovaccio anteriore? Se le interrogazioni e le dichiarazioni dei Sabei fossero state scritte da lui, inevitabilmente avrebbe inventato lo scenario intero. Non è piuttosto che ha posto il suo marchio, nello sviluppo, su un’opera preesistente? È la prima questione. La seconda sorge di conseguenza. Chi, allora, erano questi avversari sabei, che di volta in volta sono sicuri di sé, incisivi e penetranti, pericolosi polemisti? Al-Shahrastani, come abbiamo già evidenziato, conosceva e simpatizzava con le posizioni teologiche ismailite, contenute soprattutto nella produzione mu‘tazilita.101 Come allora non ricordare il celebre dibattito riportato da Ibn Babuya fra l’Imam ‘Ali alRida e ‘Imran al-Sabi’, dove alcuni dei temi discussi anticipano il contenuto delle controversie del Milal? Ma molti dei temi discussi li potremmo trovare in embrione anche in quelle opere da noi discusse precedentemente, vale Se ciò traspare appena nel Milal, è piuttosto palese nell’altra opera del nostro autore, l’Asrâr; cfr. Monnot, Annuaire... cit., 95/1987, 255-257; 98/1988, 238-240. V. anche A. Hartmann, “Ismâ‘îlitische Theologie bei sunnitischen ‘Ulamâ’ des Mittelalters?”, in “Ihr alle aber seid Brüder.” Festschrift A.T. Khoury zum 60. Geburstag, L. Hagemann/E. Pulstorf ed., Würzburg 1990, 190-206. 101


a dire nell’opera di al-Kindi, i di lui allievi al Sarakhsi e Abu Zayd al-Balkhi, e in maniera particolare ‘Abd al-Jabbar. Il che ci consentirebbe di rispondere anche alla seconda questione, e cioé che molto probabilmente il modello dei Sabei del Milal era improntato su quella comunità sabea di Baghdad, rappresentata da Thabit ibn Qurra e discepoli, descritta a più riprese nella produzione letteraria di alKindi e dei suoi allievi.

Maimonide L’opera di Maimonide Tale cospicua premessa era necessaria per introdurre i temi affrontati in quello che sarà uno dei libri più discussi di tutti i tempi: il Moreh Nebukhîm del filosofo e teologo ebreo Maimonide (n. Cordoba 1135, m. Cairo 1204). Qualcuno ha sostenuto che l’intento che sta alla base della sua opera fosse di mostrare che Dio creò il mondo così come asserito dalle religioni abramiche in opposizione all’opinione che vede Dio e il cosmo coeterni così come postulato da Aristotele. Tuttavia, nel Moreh vi è un altro importante tema, ovverosia la storia umana come evoluzione in direzione del monoteismo.

Maimonide sviluppò una teoria trifasica di quello che noi oggi potremmo chiamare “evoluzione culturale”. Ognuna di queste tre fasi è caratterizzata da una differente base legale per le società: legge politica, legge naturale e legge divina. La seconda e la terza fase sono rappresentate dagli insegnamenti dei profeti Abramo e Mosè, mentre la prima fase è illustrata dalle pratiche e dalle credenze dei Sabei. Il filosofo ebreo, ben a conoscenza sia della tradizione biblica che di quella coranica, vide in loro gli avversari di Abramo, e li descrisse come adoratori delle stelle, considerate da loro “come divinità, e il sole come la divinità in capo. Essi credono che tutte le sette sfere sono dei, ma i due luminari sono più grandi di tutto il resto. Essi dicono chiaramente che il sole governa il mondo, sia ciò che sta di sopra che ciò che sta di sotto... Tutti i Sabei quindi credevano nell’eternità dell’Universo, essendo i cieli, nella loro opinione, Dio.”102 Maimonide non sembra eccessivamente preoccupato di determinare etnologicamente chi erano o non erano i Sabei, in quanto il suo maggior intento è quello di sviluppare l’idea di “sabismo” come una categoria che può essere impiegata per risolvere gli enigmi storici delle relazioni fra il monoteismo con l’ambiente pagano in cui si trovava ad interagire. Infatti una delle originalità del pensiero maimonideo si Moshes ben Maimon, Moreh Nebukhîm/Guide for the Perplexed, ed. S. Pines, Chicago 1963, III, 315. 102

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

sviluppa dalle sue considerazioni sulle origini dell’idolatria in relazione ai precetti biblici su fenomeni apparentemente irrazionali, quali ad esempio i sacrifici; in altre parole l’idea che a causa della lunga esposizione del popolo ebraico a pratiche idolatriche che enfatizzavano il culto del regno visibile, la Torah potrebbe non aver avuto successo nell’ordinare ai Giudei di adottare un tipo di culto puramente spirituale, consistente solamente nell’adorazione di Dio: in pratica la Torah dovette fare una sorta di compromesso culturale, conservando le forme di culto alle quali la gente era abituata, ma purgandole da ogni significato idolatrico. Se da una parte tale teoria è piuttosto originale dall’altra essa è lo sviluppo di un concetto ben noto nel kalâm di matrice mu‘tazilita, ma anche nella letterarura patristica, normalmente chiamato “teoria della divina condiscendenza” (arabo: talattûf; greco: synkatabasis). Tant’è che Maimonide sostenne nel Moreh che gli Israeliti furono influenzati durante la loro permanenza in Egitto dai riti idolatrici che lì venivano praticati e che è al fine di sradicare gradualmente tali cattive abitudini che Dio ordinò loro di praticare i sacrifici.103 All’idea che sia le pratiche idolatriche israelite sia i sacrifici biblici abbiano una origine egiziana – idea che, come abbiamo già detto, è praticamente la stessa V. su quest’argomento G.G. Stroumsa, John Spencer and the Roots of Idolatry, History of Religions, 41/2001, 1-23; M.S. Sunwall, “Maimonides on the Sabians: A Case of Constructive Disapproval”, in CNASHB 6, Hyogo 1999. 103


sostenuta dai Padri della Chiesa104 – Maimonide aggiunse la sua originale concezione dell’idolatria. La categoria dei Sabei è molto importante per Maimonide per almeno tre ragioni. Innanzitutto è la categoria alla quale evidentemente crede che Aristotele, a cui l’opera è interamente indirizzata, appartenga; in secondo luogo è una categoria chiaramente collegata a un certo tipo di nozione che gli esseri umani possono avere del mondo; infine è una categoria che gli consente di dare una spiegazione pseudoevoluzionistica di alcuni degli aspetti della Legge più difficili da razionalizzare.105 Lo scopo del progetto storico di Maimonide è quello di dimostrare che il monoteismo è la naturale e primordiale comprensione umana della realtà, e l’idolatria è solamente un’innovazione. Ciò è abbastanza difficile da accettare oggi – e perfino durante il corso del Medioevo vi furono forti critiche a questa tesi – poiché i dati storici parrebbero dimostrarci il contrario, ma bisogna considerare che al tempo del filosofo ebraico vi erano due importanti fattori che potrebbero aver indotto tali pensatori a propendere per questa tesi. Il primo fu un’analogia basata sulla concezione del cosmo dell’epoca: l’idea aristotelica dell’universo eternamente in rotazione poteva essere vista come analoga ai miti ciclici delle antiche religioni astrali,

dando a queste intuitivamente un certo primato. Il secondo fu una conseguenza del fatto che il monoteismo, in confronto all’epoca di al-Kindi, stava andando rapidamente in vetta alle classifiche delle preferenze religiose, e la storia umana poteva esser vista, in termini puramente lineari, come la storia di una sempre maggiore rivincita sul paganesimo.106 Per Maimonide la storia ha un andamento a forma di V, cominciando con un’involuzione nell’idolatria che raggiunge il suo nadir al tempo di Abramo, dopo la quale si assiste a una lenta ma vigorosa ascesa che continua tutt’oggi fino alla sua conclusione nella Era Messianica. Questa è ovviamente la visione rabbinica standard, che a sua volta è una amplificazione di ciò che possiamo trovare nei testi biblici. Maimonide non ha bisogno di affermare o di riscoprire questo schema, ma solo di espanderlo al fine di giustificarlo. Ciò che potrebbe disorientare nella versione maimonidea di tale schema è la sua volontà di includere i nomoi greci e l’astrolatria dei Sabei in una comune categoria.107 La storiografia moderna dominante tende, pur riconoscendo la qualità “irrazionale” o “dionisiaca” di molti aspetti della cultura greca, a dare un fermo arresto a coloro i quali includono le istituzioni politiche greche sotto quest’aspetto. Le istituzioni della città-stato e dell’assemblea legislativa sono

104 E che fu già espressa da al-Biruni Athâr, 318 (Sachau, 314), ma relativa alla cattività babilonese. 105 Cfr. Maimonide, Moreh, III, 29 ( Pines, 515).

106 Cfr. R.L. Weiss e C. Butterworth, Ethical Writings of Maimonides, New York 1975, 161. 107 Cfr. Maimonide, Moreh, III, 29 e sgg., ecc. ( Pines, 516 e sgg., ecc.).

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

viste come la fonte del razionalismo sia politico che democratico, e in questo senso sono ben distinte, a volte con un’accezione di superiorità qualitativa, dalla legge oracolare, dalle sentenze astrologiche e dall’uso politico della divinazione. Ed è precisamente questa distinzione che Maimonide – e chi scrive è senz’altro d’accordo – rifiuta nella maniera più assoluta; sebbene sia un pragmatico ante-litteram, egli fa una chiara distinzione fra la ragione e la facoltà d’immaginazione, egli pone in dubbio, associando i Greci ai Sabei, la qualità razionale di tali atti legislativi. Per lui un tratto essenziale della razionalità è la sua qualità extraumana. A differenza della matematica, ma piuttosto simile alla poesia e all’arte in generale, la legiferazione è chiaramente il risultato dell’esercizio della volontà umana, ed è per tale motivo che sia l’idolatria che la legiferazione possono essere viste in senso lato come il prodotto dell’immaginazione umana. Sebbene una delle funzioni dei Sabei contenuta nel Moreh è di dimostrare la tesi storiografica proposta da Maimonide, vi è un’ulteriore considerazione ancor più fondamentale per capire l’opera di questo straordinario filosofo: l’uso dei Sabei come esempio per illustrare le distinzioni fra i differenti regimi legali sotto i quali la specie umana ha vissuto. Tale considerazione è fondamentale, a nostro avviso, anche per comprendere i lavori di parecchi filosofi europei dell’Età Moderna, a partire da


Tommaso d’Aquino fino ad arrivare a Gianbattista Vico. La tendenza storica dopo la “svolta abramica” può esser considerata “progressiva”; la sequenza temporale, idolatria sabea > monoteismo abramico > profezia mosaica, sottintende anche una scala crescente di valori morali. Ovviamente ciò che Maimonide trova disdicevole nei Sabei è la loro idolatria. Nella tradizione ebraica la idolatria, chiamata ‘avodah zarah, (lett. strano culto), ha due forme. Una è il culto di altre divinità, la sostituzione dell’Uno, Unico, Increato e Infinito da qualcosa di plurale, generico, creato e finito: tale idolatria è il culto di coloro che noi chiamiamo “pagani” e che Maimonide chiama nella sua opera “Epicurei”. La seconda, che Maimonide ascrive ai Sabei, tuttavia, è leggermente più sottile della prima, ed è una tentazione costante anche per i fedeli delle religioni puramente monoteistiche, poiché essa pur non negando l’esistenza di Dio e credendo anche nell’esistenza di esseri intermediari fra l’Essere Supremo e l’umanità, al pari dei monoteisti, indirizza le proprie suppliche verso quest’ultimi piuttosto che alla Fonte.108 Ciò ha delle implicazioni politiche; per capire come sia possibile dobbiamo tener presente che per Maimonide la relazione tra gli esseri umani e il soprannaturale non è materia di incontri occasionali che, influenzati anche fin troppo da Rudolph Otto, siamo abituati a chiamare “numinosi”. Cfr. Maimonide, Moreh, I, 63 (cfr. Pines, The Guide… cit., cxxiv). La stessa cosa avviene in ambito islamico con la distinzione giuridica fra kafirûn e mushrikûn.

Piuttosto il divino stabilisce, non solamente il tono, ma lo standard di condotta nelle società umane, ovvero il regime politico e il sistema legale. Prima della “svolta abramica” Maimonide vede le norme morali e legali come derivanti da una combinazione di umana deliberazione e divinazione oracolare, e sebbene il filosofo ebreo non dica di più, è implicito che tali metodi non possono produrre quella sorta di disinteressato, categorico giudizio che possa soddisfare un criterio di un universale e obiettivo sistema giuridico. Ciò viene stabilito da un sottinteso paragone con Abramo. È abbastanza interessante notare come, per Maimonide, Abramo non sia un profeta in senso stretto – status riservato a Mosè – ma piuttosto un filosofo che scoprì una nozione simile a ciò che potremmo chiamare “legge naturale”.109 Solamente dopo che i discendenti di Abramo crearono una comunità di persone osservanti questo tipo di legge che non confondeva la rivelazione divina con gli oracoli degli esseri intemediari allora il mondo fu pronto per affrontare la Rivelazione mosaica. Maimonide non ha dubbi sul fatto che la distinzione tra divinazione sabea e profezia mosaica possa essere mantenuta sulle basi descritte sopra, e ciò fa sì che in termini di struttura e lettura essoterica dell’opera egli trovi un convincente e conveniente schema su cui impostare la struttura della Guida:

108

Cfr. Maimonide, Moreh, III, 34 (Pines, 535). 109

TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà

1. Divinazione sabea: relazione soggettiva con le forze numinose della natura. Ciò, nella visione maimonidea, corrisponde all’idea di legge politica. 2. Speculazione abramica: universale, razionalistica comprensione del mondo come creazione di un singolo creatore. Ciò corrisponde, in assenza di un termine migliore, alla “legge naturale”. 3. Profezia mosaica: ultrarazionale contatto con Dio al di fuori della natura. Ciò produce la legge divina. In conclusione possiamo dire che Maimonide non sta difatti giudicando una particolare comunità, ma tentando di stabilire un tipo ideale allo scopo di illustrare le conseguenze dell’idolatria e le sue interazioni con il monoteismo. Cosa possiamo aggiungere? In primo luogo che il “sabismo” di Maimonide sembra basarsi sulle pratiche religiose di carattere astrolatrico dei Sabei di Harran, e sebbene sia ancora materia di dibattito il modo in cui il filosofo possa aver avuto conoscenza di questa comunità,110 la nostra Una delle fonti certe di maimonide è il controverso Kitâb al-filâha alnabatiyya, il cui titolo è ingannevole, in quanto non si occupa elle pratiche naturali dell’agricoltura, ma delle proprietà nascoste degli elementi naturali. È un’eccezionale mescolanza di magia ermetica, profezia e divinazione che ebbe la nota pretesa di essere una traduzione dalla “lingua dei Caldei”; i suoi esoterici precedenti greci sono chiaramente visibili, in quanti le sue teorie sui cieli mostrano l’influenza di un Neoplatonismo sincretista. Attribuito ad Abû Bakr ibn 110


modestissima opinione al riguardo è che egli era perfettamente a conoscenza degli scritti dei filosofi del kalâm che trattarono quest’argomento, in particolar modo dell’opera di alShahrastani. E questo lo si può evincere dal modo in cui egli descrive i Sabei, che è lo stesso degli autori già ricordati, e dal fatto che Maimonide, seguendo un processo graduale che parte con Abu Zayd e che, attraverso alMas‘udi e ‘Abd al-Jabbar, raggiunge il massimo grado con al-Shahrastani, trasformi la categoria dei Sabei in una tipologia storico-religiosa universale; del resto la sua identificazione degli antichi Egizi come un tipo di Sabei111 è già presente nelle opere summenzionate. Inoltre la concezione della figura di Abramo e dello status di profeta nel Moreh offrono lo spunto per un interessante confronto con quanto emerge dal Milal di al-Shahra-stani, con tutte le considerazioni già esposte, ed è un’ulteriore prova della dipendenza dell’opera del filosofo ebreo dal kalâm islamico. Infine sia la concezione storiografica sia l’interpretazione dell’idolatria

di Maimonide prendono le mosse da tali dipendenze, poiché, nel tentativo di comprendere lo svolgersi degli eventi religiosi dell’umanità, preoccupazione sempre presente negli autori musulmani che cercavano di intravedere in tali eventi le avvisaglie dell’imminenza dell’Ultimo Giorno, già autori quali Abu Zayd al-Balkhi e ‘Abd al-Jabbar svilupparono diverse teorie al riguardo che trovarono la loro sintesi finale, per l’appunto, nel Moreh. Vivendo nel bel mezzo della civiltà islamica, Maimonide, come altri autori ebrei viventi nel Dâr al-Islâm, quali Saadia ben Geor, Ibn Gebirol e altri, cercava così di portare avanti la causa del Giudaismo come religione universale, e poteva farlo mostrando come il Giudaismo, al pari dell’Islam, giudicava la umanità attraverso un singolo fattore: la distinzione fra idolatri e non idolatri. Maimonide fa un uso coerente e costruttivo di questa tipologia, ponendo delle basi dal significato universale che non escludono, pur con i dovuti adattamenti, anche la nostra era. suley@vodafone.it

Wahshiya, era più probabilmente il prodotto di Abû Talîb Ahmad ibn alZayyât, studioso sciita vissuto nel IX secolo, il quale avanzò la pretesa che la traduzione fosse stata dettata a lui da Ibn Wahshiya; v. F. Sezgin, Geschichte des arabischen Schrifftums, Leiden 1967 – 1984, IV, 318 – 329. 111 Per l’impatto che tale teoria ebbe negli studiosi europei dell’Età Moderna, v. Stroumsa, Roots of... cit., 17 e sgg. Va ricordato inoltre che Maimonide conosceva sicuramente l’opera di Fakhr al-Din al-Razi, grazie a un allievo di quest’ultimo, Ibn Tahir al-Baghdadi, che incontrò durante il suo soggiorno a Damasco. TTrraaccccee dd’’eetteerrnniittàà


Siti partners


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.