Il restauro del verde

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IL RESTAURO DEL VERDE CASI STUDIO E RIVELAZIONI POETICO TECNICO STORICHE

TESI DI DIPLOMA Laurea I째 Livello 째 Corso di Conservazione e Restauro 째

Relatore: Gianluigi Nicola Correlatore: Francesca Petrucci

Candidato: Paolo Gullino

N째 Matricola: 7796T A.A. 2007/2008 1


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‌Fiore del botton d’oro Da un calice verde A tutti coloro che mi han suggerito...

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INDICE Introduzione………….7 Manutenzione e restauro dei giardini………………………………………pagina 9 Arte Natura Tempo nel giardino………………………………………………….12

Storia del giardino italiano………….17 Premessa………………………………………………………………………...19 Evoluzione del giardino nella storia: - Giardini orientali……………………….21 - Giardini ellenistici e romani………… 25 - Giardini medievali e arabo-islamici…….30 - Il giardino rinascimentale…………… 37 - Il giardino Manierista: ponte tra Rinascimento e Barocco……..50 - Il giardino Barocco…………………….60 - Il giardino nel Settecento………………66 - Il giardino nell Ottocento……………... 74 - Il giardino nel Novecento…………….. 82

Approfondimenti………….87 Peripezie delle ville romane…………………………………………………….. 89 L’arte dei giardini sabaudi………………………………………………………. 91 Viaggio tra i restauri dell’ottocento nei giardini italiani…………………………..105

Poetica della rinascita dal degrado………….111 Premessa………………………………………………………………………..113 Restauro dei giardini……………………………………………………………114 Materia compositiva…………………………………………………………….117 Quale autore?………………………………………………………………… 118 Tra pittoresco e conservazione…………………………………………………121 Verde figurato………………………………………………………………… 122 Sussurri remoti…………………………………………………………………123 Tra invenzione e ricordo……………………………………………………….124 I resti del giardino……………………………………………………………....127 Il giardino come testimone del Tempo…………………………………………128 Il restauro………………………………………………………………………130 La catalogazione del verde storico…………………………………………… 134 Il restauro del verde storico…………………………………………………….135 Linee guida di tutela……………………………………………………………140 Materia viva……………………………………………………………………141 Degrado e recupero dei giardini nel Novecento………………………………...143 Accade in Italia……………………………………………………………… 145 Riferimenti e dialoghi attuali…………………………………………………... 146

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Il Verde tra cultura e archeologia………….151 Evoluzione del verde come bene culturale…………………………………… 153 Dell’arte che tutto fa nulla si scopre……………………………………………155 Vegetazione e archeologia…………………………………………………….. 157 Archeologia nei giardini………………………………………………………..160

Il Verde e la Botanica………….167 Il contributo del Botanico……………………………………………………. 169 Problemi specifici……………………………………………………………... 170 Xilotassonomia e dendrocronologia………………………………………… 173 Abbattimenti e dendrochirurgia………………………………………………...174 Accenni di Fitocronologia…………………………………………………… 177 Essenze legnose per il restauro del giardino storico…………………………… 178 Fattori variabili…………………………………………………………………182 Rapporto pianta-clima………………………………………………………….183 Distinzioni e similitudini tra flora esotica e flora indigena……………… …… 184 Piante senza frontiere………………………………………………………… .186 Passato e presente vegetale…………………………………………………… 188 Dagli orti ai giardini botanici……………………………………………… ….. 190

I giardini tra campagna e città………….193 Prospettive…………………………………………………………………… 195 La città e i giardini, nuove alleanze tra verde e costruito……………………….. 198 Funzioni igenico-sanitarie del verde: gli alberi restaurano l’aria di città………….202

Conclusioni………….203 Mantenere la fiamma accesa: la conservazione dei giardini nel XXI secolo……..205

Esecutivo………….213 Dalla Terza Natura al Quarto Spazio………………………………………… 215 Quello che i giardini ci dicono…………………………………………………217 Assunto………………………………………………………………………..219 Breve storia del “Regio Sacro Eremo di Torino”……………………………....220 L’intervento…………………………………………………………………. 229 Epilogo……………………………………………………………………… 232

Appendice………….233 Carta dei giardini storici di Firenze…………………………………………….235 La voce di Ercole Silva………………………………………………………...238 Regio Sacro Eremo: riscontri fotografici tra giardino e affreschi………………245 Piccola guida al portamento e ai criteri di scelta di alcuni alberi………………..253

Bibliografia………….255 ………………………………………………………………………………

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INTRODUZIONE

“Il giardino segreto rimarrà aperto per sempre Aperto….fiorito e vivo. E se guardate bene vi accorgerete che tutto il mondo è un giardino”. Dal film The secret Garden 7


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MANUTENZIONE E RESTAURO DEI GIARDINI 1

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Il trasporto di alberi (da Gartenpalais Liechtenstein in der Rossau, Salomon Kleiner, Vienna, 1738).

Il giardino non è un sistema statico ma un ambiente in continua trasformazione. Nei parchi storici è fondamentale che la componente vegetale si mantenga in armonia con la componente architettonica, e che le varie essenze mantengano fra loro rapporti di scala corretti.

Nel 1777 il curato William Mason, poeta e pittore, fece un paragone tra la pittura, forma d’arte in cui l’opera finale resta immutata sulla tela, e il giardinaggio. “Quanto più felici siete, voi figli di CLAUDE!… benché noi, come voi, dipingiamo, lo facciamo con colori mutevoli; ogni anno che ripassa su ciò che dà lo spessore dell’ombra che abbiamo cercato, con un’aggiunta prepotente segna la nostra scena”2. Più di due secoli dopo, John Sales, consulente per i giardini del National Trust, espose lo stesso pensiero, anche se in termini meno poetici: “Per molti aspetti un giardino è più un processo che un oggetto: cambia continuamente, sviluppandosi e degradandosi, quindi senza una costante cura può degenerare”. Il cambiamento è una sfida per chi si occupa dei giardini storici, ma è anche fonte di piacere. “Una delle ragioni per cui amiamo i giardini è proprio per i mutamenti che vi si verificano, di stagione in stagione, e, di anno in anno”3. 1

Testo riportato integralmente da: R. Bisgroove, Manutenzione e restauro dei giardini storici, in“MMW” 2007, n. 3, p. 36- 39, traduzione testo in italiano di Agnese Fornaris. 2 William Mason, The English Garden (Libro 2, righe 322 ss.) Horsefield, 1772. 3 John Sales, ‘The Trust as Gardener: a growing responsibility’ in The National Trust Magazine 47, 1986, p. 14-16.

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Chi visita una tenuta del National Trust, troverà sufficiente una sola visita alla casa, mentre ritornerà nel giardino più e più volte per seguirne le trasformazioni. Certamente l’equilibrio tra architettura e vegetazione varia enormemente nell’ambito dei giardini storici. Nei grandi giardini italiani del Rinascimento l’architettura domina la scena: terrazze, scalinate, cascate, fontane ed elementi scultorei restano relativamente immutati benché i costi di conservazione e restauro, quando questo sia necessario, siano molto elevati. Ciò nonostante, anche il più architettonico dei giardini contava originariamente sul corredo e sulla decorazione delle piante per completare il quadro. In seguito, la perdita delle siepi topiate e delle ‘broderies’ colorate di fiori sulle terrazze, per lasciare il posto ad arbusti ed alberi lasciati crescere liberamente a formare dei boschetti, altera drammaticamente l’atmosfera del giardino, trasformando un tripudio trionfante di ricchezza, gusto e potere in un misterioso mondo di ombre, romantiche o malinconiche a seconda dell’umore. La filosofia che sta alla base della conservazione dei giardini storici è relativamente semplice: le piante avranno bisogno di essere periodicamente sostituite o ridimensionate per non sconvolgere la scala del progetto. Il restauro, invece, pone spesso problemi più complessi: bisogna mantenere gli impianti originali genuinamente storici del giardino, spesso ormai completamente fuori scala, o eliminarli per ricreare un design ‘originale’, ma, evidentemente, nuovo? In giardini più recenti, del XIX e del XX secolo, di cui vi sono molti bellissimi esempi in Piemonte, le sfide tra conservazione e restauro sono più difficili.Le piante sono elementi sia strutturali, sia di decorazione del giardino.Alberi e grandi arbusti formano delle quinte, creano la prospettiva, incanalano viste ed integrano elementi architettonici minori in una composizione sempre mutevole. Questi stessi alberi ed arbusti hanno anche un valore estetico di per sé, grazie ai fiori, ai colori, alla tessitura e ai volumi del fogliame, mentre piante come erbacee annuali, perenni e bulbose arricchiscono la scena di elementi più semplicemente decorativi. Le difficoltà nel gestire questi giardini sono anche dovute al fatto che molti di essi non sono stati progettati sulla carta, ma si sono evoluti nel corso degli anni seguendo le conoscenze, il gusto e le possibilità economiche di chi li aveva realizzati, con un’azione simile a quella del pittore che stende pennellate successive per realizzare un quadro, ma distribuita in decine di anni anziché di giorni o di settimane. La crescita dei primi impianti si combina con le aggiunte successive, le correzioni e le estensioni che creano una composizione in continua trasformazione. Quando dovrebbe interrompersi questo processo e come possono essere conservati questi giardini? In un giardino privato spesso non c’è ragione perché il processo evolutivo si interrompa. Successive generazioni della famiglia costruiranno sugli sforzi dei loro predecessori. Se il giardino passa ad una gestione pubblica come parte di un paesaggio storico, o se l’opinione della generazione presente è che il valore storico accumulato dal giardino è più attrattivo e importante del potenziale per il cambiamento, allora l’evoluzione lascerà posto alla conservazione; tuttavia la crescita delle piante non può comunque essere interrotta. Il giardino continuerà a prosperare solo se viene continuamente rinnovato. La gestione di un giardino storico ricco dal punto di vista botanico richiede l’occhio dell’artista e l’abilità del giardiniere; la conservazione avrà il massimo successo solo quando queste due abilità in qualche modo opposte siano strettamente combinate in una sola persona o nella collaborazione tra un artista e un giardiniere. L’artista, o il lato artistico di un artista-giardiniere4, stabilisce ciò che è desiderabile. Qual è il significato del giardino? Qual è l’equilibrio ideale tra pieni e vuoti? Come combinare i vari elementi del giardino in modo da formare un insieme soddisfacente? Dove sono le viste chiave e i percorsi? Il giardiniere può aggiungere elementi a questa analisi. Quali piante hanno un certo valore come esemplari 4

‘Artista-giardiniere’ è un termine che Gertrude Jekyll usa per descrivere se stessa.

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rari? Il ruolo principale del giardiniere (o dell’artista-giardiniere) è stabilire quello che è possibile fare. Alcune piante rispondono bene alle potature; in tal caso a esemplari originali possono venire ridimensionati per riaprire viste, ridurre l’ombreggiamento e lasciare spazio per reintrodurre un ‘piano inferiore’ di decorazione nel giardino. Altre piante non amano essere potate, oppure sono così facilmente reperibili sul mercato che la sostituzione può essere la strategia più sensata. Quanto è desiderabile e quanto è possibile forniscono il materiale per una fusione creativa che determinerà le strategie di conservazione del giardino come opera d’arte. La chiave di questa fusione sta in una gestione creativa. Potare, dimensionare, rimuovere e sostituire le piante non dev’essere determinato da ciò che suggeriscono i libri, ma da ciò di cui la pianta ‘ha bisogno’ in una certa situazione. Un approccio pragmatico è cruciale per la conservazione a lungo termine del ricco patrimonio di giardini storici. La mia Opinione personale è che nessun giardino può sopravvivere oltre 30 anni senza un cambiamento significativo di carattere5. Invece di cercare disperatamente di ‘congelare’ i giardini in un periodo storico preciso, dovremmo concentrarci sull’incoraggiare, educare e formare nuove generazioni di artisti-giardinieri in grado di conservare il meglio del passato e creare giardini nel futuro.

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Richard Bisgrove, ‘Keeping the flame alight: garden conservation in the 21st century’- The Horticulturist 16:1 (inverno 2007), p. 6-9.

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Arte natura tempo del giardino In un quadro delle diverse arti, i giardini occupano un posto privilegiato. Privilegiato non preminente. Le arti nobili, architettura, pittura o scultura, si situano fuori dalla durata, sfidano il tempo, mentre i giardini nascono e muoiono ogni stagione, in un continuo trasformarsi. Arte dell’effimero affine in questo alla musica, che è arte di durata e di pause, a mezza strada tra l’eternità del marmo scolpito e l’istantaneo delle note che rinascono ogni istante, c’è l’arte dei giardini, non lontana dal teatro. Teatro e giardino hanno qualche affinità, legati come sono alle entrate periodiche dei loro personaggi: le stagioni, ma il giardino è un teatro dove lo scenario è vivente e il “palcoscenico” è pronto per la vita quotidiana. I giardini si distinguono anche per un’altra caratteristica: in essi, diversamente che nelle arti plastiche, non viene creato un oggetto, spesso tutto il loro artificio non fa altro che rendere più vive ai sensi alcune bellezze, riunite in uno stesso luogo. Mentre l’imitazione propria della pittura e della scultura consiste praticamente in una trasposizione del percepito nella materia, nei giardini l’unica materia che l’artefice usa è il discernimento continuo, nell’insieme di combinazioni sia ordinate sia spontanee, di ciò che la natura e l’ingegno umano offrono creativamente. I giardini sono in fondo per noi un modo di addomesticare e interagire con le selvatiche forze della natura. L’arte del giardino nasce come specchio di una coscienza popolare, comunque investe le tendenze più profonde di un popolo o di una comunità, anche quando sempre più splendida e raffinata, dovrebbe essere estranea alla massa: a volte materialmente inaccessibili i giardini non lo sono mai spiritualmente. Mentre la bellezza di un dipinto o di un poema non possiamo comprenderle a fondo senza possedere una preparazione specifica, non c’è nessuno per quanto estraneo o poco colto, che non percepisca, almeno confusamente, la bellezza di un giardino. Anzitutto perché i giardini parlano ai sensi, e poi perché anche gli individui meno colti non possono restare, di norma, indifferenti agli oggetti naturali che essi offrono. Un albero ci emoziona sempre un poco, come un essere vivente emoziona sempre un altro essere vivente6.

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Si ringrazia la Cristina Cavetto nella ricerca la pittura di giardino romana.

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“L’arte dei giardini comprende ogni altra arte, ogni scienza, ogni motivo della natura nelle sue infinite combinazioni, la storia dei popoli in ogni sua fase, in ogni opera creata. Per cui in tali opere la mente dell’artista deve sollevarsi in alto alla contemplazione delle sovrane bellezze della natura e di ogni cosa creata; e poi scendere al basso a procurarsi le necessarie cognizioni per dar pratica esecuzione agli svariati lavori richiesti nella costruzione di un giardino. Il saper scegliere il punto migliore di una data posizione, o semplice o piana o fra accidenti svariatissimi di terreno, il saper armonizzare la creazione di un giardino coll’aspetto della natura che lo circonda, è pure compito difficile. Occorrono nell’artista architetto doni naturali, disposizioni ed attitudini speciali corredati di studi profondi e di lunga esperienza. Nella creazione dei giardini sonovi i tracciati, i movimenti di terra, la condotta delle acque, i bacini, i giuochi d’acqua, le fontane, le rocce artificiali, i motivi vari della natura, il collocamento dei frammenti archeologici, e infiniti ricordi storici, la scelta e vasta collocazione delle piantagioni coi dovuti riguardi alla specie numerosissima degli alberi, degli arboscelli ed arbusti, alla loro forma e sviluppo alle singole dimensione di grado e colore”7.

I principi creativi del giardino trovano sorgente nella poesia, nella visione, nell’immaginazione e nel contatto sensibile con il reale. “Prima di impegnarsi nella progettazione, l’architetto dovrebbe stabilire un rapporto di profonda familiarità con l’ambiente naturale su cui dovrà intervenire, concentrandosi sul suo progetto, dedichi ad esso la sua intelligenza, la sua sensibilità, le sue energie, cercando di creare un unicum, specchio del suo percepire dentro e fuori l’armonia manifesta e realizzare piuttosto che imitare. L’ispirazione non è collegata all’aspetto finanziario, ma solo a quello artistico, traendo dall’ambiente e dal cliente il carattere, le inclinazione e le esigenze a cui riferirsi nel proprio potenziale creativo”8.

Antonio Caregaro Negrin, in una foto di famiglia (da Ricatti Tavone, 2005).

Da qui la percezione non è più solo esclusiva della ricerca o del mercato, ma dell’istinto, dei sensi del genio. Il Giardino dunque come proiezione dell’animo umano nella natura, le forze della natura non solo invitano ad interagire creativamente con esse, ma a selezionarne e convogliarne gli elementi all’interno di un progetto, un intento o un’ispirazione

ben definita. Le possibilità compositive sono quindi illimitate, eppur la scelta e l’impostazione stessa del giardino rientra in una sfera di pensiero, cultura, arte, manifesto di un determinato periodo. Nell’epoca moderna molte sono le trasformazioni sociali-economico-politiche rivelate dai cambiamenti delle correnti di pensiero, dal cambiamento del gusto che nei giardini si ripercuote in repentine modifiche, alle persistenze culturali di nicchia dove la tradizione continua quasi inalterata9.

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B. Ricatti Tavone, p. 76-77. V. Cazzato 1999. 9 “Dagli incunaboli quattrocenteschi come il giardino del Palazzo Piccolomini a Pienza fin quasi all’Ottocento – pur con le molteplici varianti dovute alla regia di validi artisti e con l’additivo dell’acqua che sempre più diventa elemento integrante e vivo del giardino – la maniera italiana perdura costante nei suoi principi” da C. Caramellino, Due esempi di giardini all’italiana nel Cusio, in “Archeologia ed arte nel Cusio” Atti del convegno, 1987. 8

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Quale che sia la bellezza delle visuali, il rigore o la naturalezza l’interesse nei giardini è essenzialmente interiore: giardini belli, siano conclusi o aperti fan ritrovar la pace, l’armonia. Poiché lasciar gli avviluppati calli In lieto aspetto il bel giardini si aperse Acque stagnanti, mobili cristalli Fior varii, e varie piante, erbe diverse Apriche collinette, ombrose valli Selve e spelonche in una vista offerse E quel che il bello e il caro accresce all’opre L’arte che tutto fa nulla si scopre10 La vita e la natura son di mille volti e ogni mattina con il levar del Sole esse rinascono e si fanno nuove, aprir gli occhi su di esse con Amore e ascoltarne la fragranza in un cuore genuino e libero, ogni eco ritorna così sorgente, sfavillando come un torrente in quell’unico diamante che dona vita e ben riflette. Il silenzio nei fiori s’intona alla melodia dell’esistenza nell’eterno ritorno al mondo. Così fecero gli avi…ricorda. Giardino vuol dire libertà senza intoppo verso tutti i canti dell’orizzonte, gioco dei venti in pieno incontro, luci e ombre in perfetto contrasto e in perpetuo movimento, forme sorte senza prefissa regola se non quella intrinseca, variabilità continua d’aspetti e d’ambienti ad ogni muover di passo e voltare di occhi. …Scrivo e racconto ora dei Giardini aprendo la via a una tale mole di sfumature di ricerca che solo un’opera complessa come la natura e il giardino possono offrire. Fusti e foglie, terra e piogge, uomini e alberi, con quali ritmi e stagioni si compone la creazione che vede l’uomo e la natura in sinergia? Nei giardini tale sinergia è un fattore universale, che si estende a ogni stimolo sensoriale, che lascia spazio all’immaginazione mantenendo il senso terreno delle cose. Già poichè un giardino si modella ad ogni istante, accogliendo il passo del visitatore, le mani del giardiniere, e le continue piccole modifiche che lo rendono opera vivente sono il frutto della partecipazione e del tempo che l’uomo innalza al cospetto della natura. La voce dell’uomo e quella della natura causano il silente mutar e accrescersi delle forme, delle masse, nelle stagioni e nei colori Villa Sorra, nei pressi di Modena cangianti che queste creano. è uno dei principali giardini Vivi elementi quali acqua e Terra nutrono la parte radicale, Sole emiliani a carattere ed aria, quella fogliare floreale, la vera culla della varietà paesaggistico-romantico. botaniche che caratterizzano un giardino sono le gradazioni , le Particolare della galleria. tipologie e l’infinità di iterazioni tra gli elementi stessi non separabili dal loro contesto, ma in continuo cambiamento. Con tale coscienza schiere di uomini e di epoche hanno caratterizzato e perpetuato la presenza e la voce di parchi e giardini nel quotidiano pubblico e privato. È il giardino storico dove lo si colloca?

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T.Tasso, reame di Armidia, in “La Gerusalemme liberata,1999, p. 670.

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Maniglio Calcagno descrive: “il giardino storico è manifestazione di un pensiero creativo, trasposizione nella realtà di un ideale estetico di natura, l’una e l’altra influenzate da numerosi fattori, dai condizionamenti ambientali e dalle potenzialità naturali del luogo, dalle suggestioni del paesaggio in cui l’opera si colloca e da specifiche richieste del committente, dal complesso intreccio dei canoni estetici, dalla sensibilità, memoria culturale dell’artefice e dalle immagini di paesaggio che gli sono proprie. La traduzione formale del pensiero creativo comporta quindi un processo progettuale composito attraverso il quale l’artista formula non solo le sue risposte a convenzioni, gusti e richieste di un epoca, ma esprime il suo ideale artistico seguendo le teorie del suo tempo, interpretando il genius loci o apportando trasformazioni più o meno profonde all’ambiente paesistico”11. Le cure manutentive a cui è sottoposto il giardino, prodotto dell’uomo e dalla profusione della varietà che crea la natura come “materiale costituente”, tendono per loro qualità intrinseca a modificare e ad continuare l’esecuzione dell’opera, di cui permane l’ispirazione originaria che ha con lungimiranza dato il via all’insieme di ritmi che si integrano nel giardino, tempi quotidiani, stagionali, annuali, secolari. Ritmi esponenziali l’uno nell’altro ma che creano appunto l’impressione, l’emozione, il sentimento che il giardino suscita ad ogni momento. L’accrescimento e la morte biologica delle specie vegetali caratterizzano l’evoluzione continua di un giardino. In tali viventi opere, interventi di dirado, sostituzione o contenimento delle specie si fanno ponte tra l’idea di conservazione e quella di trasformazione a cui questo mondo è soggetto, l’ecologia è l’insieme dove l’uomo e le risorse della natura (climatiche, vegetali, animali) sono in continuo scambio e in reciproca partecipazione non in quanto forze separate ma in quanto completamento l’uno dell’altra e da cui l’uomo stesso dipende. L’abbandono dunque metterebbe in letargo l’apparire di quei valori estetici e storici che solo l’uomo riconoscendo può preservare. La natura di suo non distingue, in un giardino abbandonato le specie entrerebbero in competizione tra loro, disfacendo raggruppamenti e ordini vegetali creati dall’uomo, nascondendoli nel selvaggio. Il primo passo da compiere per salvaguardare e conservare il patrimonio dei giardini risiede nella loro interpretazione, intesa nel senso più ampio, come conoscenza degli aspetti vegetazionali ed ecologici che regolano il delicato equilibrio tra azione antropica e processi naturali instaurati nel giardino stesso. Attraverso l’interpretazione avviene la comprensione, attraverso la comprensione la consapevolezza, attraverso la consapevolezza la protezione e il risveglio.

Immagine tratta dal film “Il Giardino segreto”. 11

A. Maniglio Calcagno, 1998

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Storia del giardino italiano e

“Si continua a rifare la storia, ma inversamente è quest’ultima che continua a d essere fatta da ognuno di noi, sul suo corpo. Quale personaggio avreste voluto essere, in quale epoca vivere? E se foste invece una pianta o un paesaggio? Eppure, tutto questo voi lo siete già, soltanto che vi ingannate nel rispondere”. Gilles Deleuze 17


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Premessa Piante e fiori e quindi anche i giardini, nel lungo percorso della storia dell’arte, hanno sempre rappresentato lo sfondo per scene bibliche, mitologiche, amorose, eroiche, ma anche quotidiane e umili, comunitarie e private..il giardino è un luogo di delizie e di gioie, ma anche di necessità, di sopravvivenza e d’ombre, luogo favorevole agli amori e al mistero, alla preghiera, al fabbisogno alimentare, allo sfarzo. Espressione ora del trionfo della ragione, della regolarità, della geometria, ora del sentimento, della sorpresa, della fantasia, il giardino offre un’immagine sia idealizzata sia concreta della natura, le contraddizioni trovano complemento nei secoli e il tutto sembra essere creato in un manifestarsi spontaneo, che fornisce all’anima il paesaggio alla ricerca dell’Eden perduto. “Il termine stesso del giardino, che prende origine dalla parola ebraica gan omologa a quella araba Gianna, corrisponde nella sua forma più perfetta al paradiso”12. Il Paradiso, del resto è rappresentato come un giardino, in greco era pronunciato “paradeisos”, a sua volta derivato dal termine persiano “peri” che indicava “attorno”, “muro”. Nella genesi gan Eden indica appunto il paradiso, da cui a sua volta deriva il termine anglo-sassone garden. “Il Paradiso è chiuso a molti, ma il giardino è aperto a pochi”13. Il giardino è la concretizzazione della poetica di un popolo, di un’epoca. “Un corpo che è nei giardini, e nel momento stesso in cui l’occhio lo contempla, l’ideale poetico può essere vissuto. La vita quotidiana s’eleva all’altezza di un mito, il gesto più semplice assume un significato all’interno della sensibilità”14. Così si può scrivere una storia che riporti solo i nomi delle battaglie e dei re, e si può anche concepirne una che li comprenda all’interno della sfera della poesia, della pittura e dei giardini dove le tonalità e le sfumature del tempo si dilatano enormemente.

L’essenza del giardino I giardini sono un fenomeno d’espressione non solo fisico ed estetico, essi sono anche pregni di valenze spirituali, gli alberi, i fiori, le acque, le conformazioni geologiche e il disporsi di tali elementi per opera dell’uomo e della natura uniscono come arte la bellezza, la storia e l’esoterico contenuti in un giardino.

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Caneva, 2005, p. 243. Proverbio orientale. Tra i testi religiosi il Corano s’ispira molto al valore dei giardini:“Coloro che credono e operano il bene li faremo entrare in giardini alle cui ombre scorrono fiumi dove resteranno in eterno, sempre, e avranno ivi spose purissime, e li faremo entrare in ombrosa ombra” Corano, IV Sura. 14 P. Grimald, Prefazione dei i giardini di Roma antica. 13

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Il giardino nella sua essenza riflette un luogo in cui l’animo umano possa ritrovare la pace, la quiete che si spalanca al divino attraverso una natura sottilmente addomesticata e creativamente composta. Sacri testi di molte religioni indicano il giardino come origine e fine ultimo dell’uomo, poiché parte della creazione, in questo trascendere la natura si trasfigura ed accoglie ogni fremito, del particolare o dell'essere, in un insieme organico e vitale. Il giardino come tempio che l’uomo realizza attraverso la natura può acquistare toni ludici e ricreativi, volti a ristorare i sensi oltre che lo spirito. Tra i suoni, i colori, le forme e gli odori che un giardino contiene si manifesta l’essenza della vita stessa, dove l’uomo è partecipe e dove luci e ombre plasmano un terreno che nella sua fertilità, indotta, spontanea o rigenerata dal ciclo vitale, racchiude un universo di possibilità in cui sconfinano conoscenze ed applicazioni che fanno da ponte tra le abilità più sviluppate dell’essere umano e la natura nel suo spirito selvatico. L’ibrido che ne sorge è pregno della forza di entrambi e da entrambi si rinnova continuamente. Fili di culture, paesi, regioni, società, gruppi d’individui e religioni hanno da sempre tramandato attraverso il giardino il condensato del loro manifestarsi, del loro piacere, del loro pregare, rivolgendosi alla natura con rispetto, senso pratico ed estetico, nel termine stesso del giardino si ritrova l’etimologia del principio d’origine e del paradiso. Di tale reciproco riflesso le piante hanno costituito il principale tramite, rimandando con il loro aspetto e le loro caratteristiche anche mediche ad una certa divinità, ad un angolo di cielo o ad un mito in esse racchiuso. Disposte secondo un ordine simbolico, estetico o pratico le piante del giardino hanno assunto ruoli via via modificatisi o dimenticati nei secoli, rinnovando la tradizione ad esse legata, senza però mai perdere quella forza intrinseca che tanto ha giovato alle comunità umane. La botanica è uno dei principali strumenti d’indagine per la conoscenza o la riscoperta dei valori attribuiti alle piante nel corso del tempo. 20


Il fertile e reciproco stimolo suscitato tra committenti, ingegneri, artisti e scienziati impiegava le piante, tramite per trasmettere messaggi-simbolo di lunga vita, benessere, abbondanza, religiosità, prosperità, fertilità in cui s’inserivano elementi utili alla vita quotidiana e al piacere dei sensi.

L’evoluzione del giardino nella storia I giardini orientali Il giardino come elemento correlato alla cultura sociale, estetica, religiosa di una civiltà, sfuma nel tempo fin oltre al 2000 a.C. È con gli egizi all’alba della XVIII dinastia che si hanno tracce e documenti concreti sull’uso, e la disposizione del giardino. Disposizioni di alberi autoctoni e indigeni ( palme, sicomori, carrubi, tamerici, giuggioli e mirto nonché fico, ulivo, vite) vengono racchiusi nella loro ordinata disposizione da recinzioni ed edifici, un intreccio diretto tra ordine vegetale e ordine costruito componente essenziale ed elegante dell’aspetto civile e religioso che caratterizza l’antico Egitto. Specie di alto valore ornamentale e alimentare sono i “colori” con cui vengono realizzati i giardini, foglie verdi spesso per tutto l’anno con forme eleganti e vistose donano sollievo all’occhio per la loro bellezza e ristoro al corpo con la loro ombra, oasi alla Ricostruzione ipotetica di un giardino melanconia desertica dell’intorno. Le piante del di un ufficiale egiziano. giardino forniscono piacevoli frutti da consumarsi entro le mura domestiche o da offrirsi in qualche rituale, le varietà ad uso pratico alimentare e medico cosmetico sono indispensabili nella società egizia, in cui rituali religiosi, necessità domestiche, piacere sensoriale ed estetico trovano come punto d’incontro il giardino disponendone gli elementi a misura di ordine e protezione. Il deserto rende ancor più viva, necessaria e primaria la presenza del giardino, in cui piante, acqua, e l’ombra e la frescura che da esse deriva, genera un mondo a sé che consente all’uomo di sopravvivere e provare intime sensazioni. Il giardino è racchiuso da alte mura per difendere questi importanti e fragili equilibri dalle frequenti tempeste di Dea Albero che nutre il faraone sabbia. tomba Thutmosis III (1502-1448 Si sviluppano modalità irrigatorie semplici a C) e Dea albero dispensatrice ma efficaci, per garantire la prosperità del di acqua e di cibo, Rilievo di Abukir. verde e il minimo spreco d’acqua (elemento molto prezioso). Papiri e loto colonizzano piacevolmente tale ambiente, canali , convogli, cisterne sono la linfa attraverso cui si manifesta il giardino, tali stratagemmi di conduzione dell’acqua sono ancora oggi usati con successo. Sicomoro come dea.

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Particolare della sala botanica in Karnak. Le raffigurazioni sono a basso rilievo su pietra calcarea e comprendono tutte e quattro le pareti. Voluta dal Faraone Tutmosi III stupisce per la ricchezza dei particolari e per la precisione botanica nel raffigurarli.

L’arte del giardino egiziano è da considerare non meno importante e significativa delle grandi architetture delle piramidi e dei templi o dei tesori e delle pitture parietali in essi contenuti. È durante il Nuovo Regno (periodo compreso tra la XVIII dinastia ed il 1200 a.C.) che il giardino vive il suo momento di maggiore splendore ed acquista le caratteristiche di complessità e ricchezza che costituiranno il preludio della diffusione della medesima forma d'arte nella Grecia classica e nella civiltà di Roma antica. Concepito come luogo di svago ma sfruttato anche per la produzione di vino, frutta, verdura (a mo’ di vero e proprio orto), il giardino egiziano ci è pervenuto attraverso le testimonianze pittoriche degli affreschi ed i modellini ritrovati nelle tombe. I ritrovamenti forniscono informazioni non solo sull'esistenza e sull'importanza dei giardini, spesso peraltro decantati nelle iscrizioni, ma anche sull'impianto degli stessi che rimase sostanzialmente invariato nei secoli. Le testimonianze rinvenute, tra le quali di notevole importanza risultano il modello di giardino ritrovato nella camera mortuaria di Il giardino di Imeni. Testimonianza tra le più Mekere, cancelliere di Monthuotpe II, le antiche di progetto di giardino (da caneva 2005). raffigurazioni della tomba di Imeni, architetto di Tuthmosis I, la rappresentazione di 256 specie diverse di piante sulle pareti del tempio di Tuthmosis III a Karnak, ci confermano il particolare interesse della cultura egizia per lo studio della vegetazione. Esse ci informano inoltre sulla varietà e sulla ricchezza delle specie: alcune di queste risultano autoctone, altre di importazione e sono il risultato delle spedizioni effettuate dall'Egitto per la conquista di nuovi territori. Sappiamo, infine, che nel giardino coesistevano piante con carattere ornamentale, come palme e tamerici, e piante con carattere utilitario come fichi, melograni, olivi, mandorli, viti.

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Il rigore geometrico, il calcolo matematico, l'attenzione alla composizione che costituiscono il carattere principale della produzione artistica dell'antico Egitto, si ritrovano applicati con la stessa cura all'interno del giardino. Spesso annesso ad edifici civili e religiosi, (soprattutto nelle ville della città di Tell-el-Amarna, residenze di campagna, e nei templi di Aten, dio del sole e di Amun), il giardino egizio si sviluppa in un'area circondata da alti muri, sui quali s’aprono i portali di ingresso, al riparo dalla sabbia del deserto e dalle piene del Nilo, in un ambiente intimo di cui è assicurata la protezione ed in cui l'acqua e l'ombra sono, comprensibilmente, gli elementi fondamentali. L'impianto del giardino egizio è rigidamente disegnato: intorno ad un bacino rettangolare o anche a più vasche, Giardino con vasca di pesci, anatre e in un'area nella quale sono a volte dislocati diversi piante acquatiche, (XVI-XIV sec. a. C. padiglioni, si dispongono le piante erbacee ed arbustive da una tomba di Tebe). e, lungo il tracciato regolare, gli alberi di alto fusto. Nell'area isolata del giardino, spesso circondata da edifici addossati ai muri di cinta, si definisce un mondo regolare, ordinato e sicuro, rigoglioso, caratterizzato dalla armonia dei colori, dalle disposizioni matematiche e dalla combinazione delle forme e delle dimensioni delle varie specie vegetali. Per queste ragioni il giardino egizio assume la connotazione di un "dentro" sicuro, nettamente separato dal deserto che, al contrario, costituisce il "fuori" caotico, irregolare, assolato, caldo ed arido. In questo senso, con tale carattere di "sacralità", esso costituisce certamente sia la premessa più antica dell'hortus conclusus medievale, sia, con la netta separazione tra la regola interna ed il caos esterno, anticipatore di uno dei caratteri principali del giardino nel Rinascimento.

Due diverse Ricostruzioni di giardini pensili di Babilonia.

Di modalità esecutive diverse, ma sempre volte a rendere più piacevole un clima arido e inospitale, sono i giardini mesopotami, memoria delle prime forme d’alboreti comprendenti le prime specie esotiche d’importazione, che ravvivano ed arricchiscono un paesaggio monotono e monocromo, sprovvisto per sua natura di boschi e dunque del piacere che ne deriva osservandoli. L’evoluzione data da queste mancanze paesaggistiche affina le modalità per ovviare a varie difficoltà di composizione, sopravvivenza e gestione degli impianti. 23


Molti Re dedicano ampie risorse per creare e migliorare gli apparati dei giardini, tecniche d’alta ingegneria e genialità realizzano i famosi giardini pensili della Babilonia.15 Il verde diviene parte integrata ed integrante dell’edificio che lo ospita, le murature delle case sono studiate ad hoc per sorreggere il peso della terra e delle piante poste sui tetti, nei terrazzi e nei cortili. L’edificio, quindi, è l’ossatura su cui sorge il giardino, canalizzazioni e impianti idraulici di sofisticata fattura e immediata praticità apportano l’acqua necessaria allo sviluppo delle piante, Il palazzo di Ninive. piante che spesso soddisfano (altro parallelo con i giardini Egizi) i fabbisogni casalinghi. Piante con funzione medica e alimentare sono disposte con cura e attenzione, la loro presenza non solo riveste l’edificio di una pelle vivente, rinfresca anche tutti gli ambienti interni dalla calura esterna termoregolando gli sbalzi termici (notevoli nelle zone desertiche). Non si conoscono documenti che rivelano le specie vegetali impiegati per tali impianti nè che riguardano i progetti eseguiti. Si sa comunque che il giardino, considerato riflesso del paradiso, è fonte di ristoro, piacere e sopravvivenza e che nei persiani conosce momenti di particolare bellezza16. I re committenti dei giardini definiti meraviglia del mondo amano circondarsi di parchi e filari d’alberi e di prati, ogni desiderio del Re viene considerato come prioritario ricercando soluzioni che spaziano dal semplice all’impossibile. Le modalità esecutive sono così sempre lo specchio delle risorse disponibili, alle Cahàr-bàgh, giardino tradizionale persiano. conoscenze tramandate si affiancano modelli unici e nuovi. In Persia nascono così i giardini ortogonali, costruiti su due viali principali arginati da filari d’alberi, e nell’incontro centrale dei due viali spesso si colloca una fontana, fonte di vita o un tempio fonte di preghiera (sorgente spirituale). Acqua, terra, alberi, fiori ed erbe si compongono con ordine e rigore geometrico, fornendo lo spunto sia alla Grecia, sia all’Islam che riconosce in tale ordine un riflesso del prossimo paradiso, accogliendo e adattando una tradizione che ha sviluppato tutti gli elementi essenziali per l’evoluzione e la trasformazione incorsa tra le varie epoche. Gli elementi non cambiano, cambia il modo di disporli, concepirli e percepirli.

15

“Un importante passo avanti nella costruzione e nella struttura dei giardini si ha durante il regno babilonese di Nabucodonosor (605-562 a.C.), al quale si devono i famosi giardini pensili di Babilonia”, cit. Caneva, 2005, p. 246. 16 Scarsi sono i ritrovamenti archeologici, ogni informazione deriva da fonti egizie e ricostruzioni ipotetiche.

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I giardini ellenistici e romani Nella Grecia antica si conformava il giardino secondo un aspetto più casalingo, lo spazio per la coltivazione di piante utili17 era primario, passando in secondo piano l’aspetto ludico-simbolico tanto presente in altre culture18. Per ovviare alla mancanza d’aspetti più sottili e spirituali che il giardino può accogliere, sorgono, in prossimità dei templi, giardini con funzione prettamente rituale e sacra, in cui il giardino, i prati e i boschi divengono l’estensione stessa del tempio in cui gli alberi sono un tramite alla divinità. Nel tempo si congiungono tali estremi, i privati anche grazie alla prosperità economica, iniziano ad inserire a fianco delle piante utili, fiori, arbusti, siepi. Il periodo ellenistico subisce l’influsso della Persia, nascono così veri e propri parchi, soprattutto nella magna Grecia (ad esempio il parco di Crotone), con viali adorni d’alberi, fontane, statue, boschi e templi, in cui l’alto senso estetico che la Grecia aveva saputo in pochi secoli raggiungere si riversava pienamente, riunendo gli aspetti sacri e mondani19 attraverso una sapiente fusione tra coltura e cultura. Nella Magna Grecia si amplia la biodiversità e la quantità di specie utilizzate, generando accostamenti innumerevoli mantenuti in armonia da una coerenza di fondo, rivolta alla praticità dello spirito Greco e alla sua costante ricerca. La familiarità con il mondo vegetale è l’avanguardia dello sviluppo delle scienze20, la medicina si avvale di piante medicamentose, la botanica, ai primi rudimenti classifica un gran numero d’esemplari, l’agronomia si avvale di tecniche colturali innovative, i giardini coinvolgono branche dell’architettura e dell’ingegneria, ricercatori quali Teofrasto, Dioscoride, Ippocrate e altri aprono un’infinita staffetta volta a conoscere l’immensa varietà della natura e l’utilità indispensabile d’alcune piante. È probabile che i Greci siano sconfinati nella natura a partire proprio dallo studio dell’uomo e delle sue necessità primarie, per poi esprimerne talenti a rapido sviluppo poiché stimolati ben oltre le necessità primarie verso l’accostamento dell’eredità di molte culture. “Nel bacino del Mediterraneo confluiscono esperienze molteplici, grazie alle quali si matura il pensiero del mondo ellenico e si costituisce l’affermazione della sua grandezza politica e culturale”21. Da qui s’innesta il sorgere della realtà romana, che dal II secolo a.C. inizia ad ordinare e a comporre giardini, avvalendosi proprio degli apici conoscitivi raggiunti dai Greci, da cui attinge per esaltare la propria potenza. “[…] Per un lungo periodo della loro storia i romani ebbero solo orti e campi intorno alle case della loro città. Parchi e giardini nacquero dopo, quando furono padroni del mondo. Molto più tardi dei gioielli etruschi, dopo i vasi greci, pressappoco nello stesso periodo del gusto per la buona cucina, e assai più tardi della filosofia, nacque nel Lazio l’arte dei giardini, quasi al termine dell’evoluzione che aprì ai Romani la comunità mediterranea”22.

17

Del Giardino d’Alcinoo raccontato nell’Odissea si descrivono tutte piante utili all’alimentazione. Come appunto quella egizia. 19 Elaborati dal VI sec. a. C. fino all’ellenismo. 20 Medici e filosofi (Ippocrate, Aristotele, Epicureo) basano parte dei loro studi e delle loro cure sul mondo naturale. 21 A. Tagliolini, 1994 p. 13. 22 M.L Golthein, 1914, capitolo 3. 18

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Pompei, decorazioni di III stile raffiguranti ville con giardini sistemati ad aiuole.

L’aspetto prettamente utilitaristico con cui venivano composti i primi giardini, conosce ora un novo disporsi estetico. L’incontro con la cultura greca stimola i conquistatori ad assimilarne i modelli, complementari a quelli rustici maturati dalla tradizione italica rivolta verso una necessità di ordine votivo dove i boschi e gli alberi ritenuti sacri erano integrati all’interno delle stesse Urbe. Se la voce dei Lari era ascoltata esclusivamente nella cenere e nella terra, la tradizione, la natura sacrale dimora degli dei e i riferimenti di un’impostazione culturale agricola ,si riversano nei giardini dove i modelli Greci erano assunti per emergere con fasto da quella austerità che aveva caratterizzato Roma alle origini. Dai templi alle case i giardini non sono solo tramite di un qualcosa di superiore e concreto, ma di elegante ed effimero, pregno di presenza, potenza ed arte in cui l’animo agricolo e pratico del I giardini di Minerva, ricostruzione ipotetica. romano si eleva culturalmente. L’origine23, anche con l’espandersi dell’impero, non viene mai dimenticata, ai Lari stessi si dedicano copiose offerte e attenzioni, i giardini rispecchiano la prosperità raggiunta da alcune famiglie con commerci fruttuosi e campagne militari. I giardini dei ricchi divengono realtà sempre più complesse per la cui manutenzione è necessaria la presenza di una figura che se ne dedichi con costanza, nasce così il topiarius responsabile e fautore del carattere che assume il giardino, a cui è affidato il rinnovo e l’inserimento delle specie vegetali e la potatura ad arte che apre le porte per una spettacolare decoratività continuamente da rinnovarsi.

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753 a.C. secondo Varrone (116-27 a.C.) è la data di fondazione di Roma (Ab urbe condita).

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Ricostruzione recente degli spazi adibiti a bosco Sacro nell’antica Roma. Nello specifico bosco Sacro delle Furie.

Egli foggia la componente verde del giardino in modo da realizzare un vero e proprio paesaggio, costruito in equilibrio con le architetture che lo ospitano. L’ars topiaria diviene così l’arte dei giardini e del loro mantenimento, l’arte di far arrampicare armoniosamente le piante su colonne e, soprattutto, quella di potare gli alberi sempreverdi in forme diverse. Nel tempo romano quindi si definiscono man mano le figure che si occupano professionalmente del giardino, arte che trova il suo ampio esprimersi nell’ambiente privato fuori dal contesto urbano, situato nello spazio aperto e campagnolo della città (a differenza del centro densamente abitato della città, in cui i giardini non sono che fazzoletti di scarso ristoro).

Una piccola precisazione sul termine Topia evidenzia però che prima di diventare termine proprio dei giardini e dei loro incaricati, la parola apparteneva alla sfera della pittura, Plino nella sua Naturalis Historia usa espressamente la frase “Picturas operis topiaria”24, i diversi generi di pittura impiegati nell’antica Roma attribuiscono alla topografia il compito di dipingere i paesaggi (Similmente all’attuale topografia che equivale all’arte di rappresentare graficamente una limitata zona di territorio25), tale branca della pittura anticipa di quasi un secolo la comparsa dell’arte dei giardini.

Villa e schema della villa di Plinio al Laurento (da Caneva 2005).

Nel divenire imperiale Roma capitale rivela nei giardini un aspetto più ludico e contemplativo, aperto alla pura estetica e in armonia con il paesaggio. Vasche, statue, impianti e disposizioni arboree, nonché fiumi e giochi d’acqua, manifesto del sistema di acquedotti e approvvigionamento idrico di alta ingegneria, sono gli elementi che si compongono con geniali combinazioni26. Varrone descrive i suoi impianti a Cassino, ma molte voci si levano a elogio dello spettacolo interno ed esterno offerto dalle Ville di cui il paesaggio restava il 24

Plinio, Naturalis Historia XIV, 140. Definizione da dizionario. 26 Erone fornisce i principi di una nuova meccanica idraulica attraverso l’uso del sifone e della turbina. 25

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protagonista “[…] Immagina un anfiteatro immenso e quale soltanto la natura può crearlo. Una vasta e aperta piana è cinta dai monti, e le cime dei monti hanno boschi imponenti e antichi”27. I resti di ville di Pompei e le ricostruzioni delle ville di Plinio offerte dalle sue copiose descrizioni confermano tale prerogativa dei giardini romani. L’arte romana infatti era volta a copiare con l’ingegno la natura; natura che si offriva particolarmente generosa nelle coste campane dove le Ville di Lucullo e Faustino ne accoglievano il panorama. “Nell’Urbe i giardini avevano rinverdito le sponde del Tevere”28 con apparati di usufrutto pubblico e parchi imperiali. Impianti termali come quelli di Diocleziano, piantagione di Horti come quelli Cesaris e Mecenatis, estesi impianti verdi nella Domus Aurea si profilavano a Roma o nei suoi dintorni, continuamente aggiornati o cancellati dal susseguirsi di Imperatori. Celebre è il caso della Villa di Adriano a Tivoli, raccordo di molteplici funzionalità: militari, imperiali, ludiche, etc. Dove ogni elemento culturale-estetico è filtrato da un retaggio ellenico, con ampie trasformazioni ambientali mirate a mettere in risalto “[…]anche le bellezze del luogo e il carattere rupestre del giardino[…]Nel clima di una riscoperta dei valori Roma Terme Diocleziane, Chiostro della intimi del giardino si muove, diversamente da Adriano, Certosa. Marco Aurelio, imperatore e filosofo”29, più umano ed essenziale nell’interagire con la natura. Ad Ostia negli impianti arborei egli affida parte della sua eredità materiale e spirituale ai familiari, richiedendo che i posteri “Non sij ardito di toglierle”30. Pitture parietali, numerose fonti letterarie e disposizioni di alberi ritrovate e ricostruite a partire dagli scavi archeologici di Roma e Pompei, sono testimoni spesso fedeli di come dovevano essere i giardini, della varietà vegetale e del suo utilizzo, piante sempreverdi, pergolati, rose rare e piante sconosciute provenienti magari dall’altra parte dell’impero, prati e boschi, statue ad imitazione di quelle greche, bacini, impianti idrici e termali, architetture aperte al paesaggio: i giardini fedele riflesso del percorso storico-umano-territoriale di un’intera epoca si ritira in Italia, con la divisione dell’impero in province, a compendio di una realtà frammentaria.

Il Canopo di villa Adriana a Tivoli. La sua costruzione avvenne su precisa richiesta dell’imperatore Adriano di imitare i giardini greci.

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Plinio il giovane, Lettere ai familiari, traduzione di L. Rusca, Milano 1991 p. 150. A. Tagliolini, 1994 p. 24. 29 A. Tagliolini 1994, p. 26. 30 Vita gesti costumi et lettere di Marco Aurelio imperatore, Venezia 1580, p. 100. 28

28


Pompei, casa del bracciale d’oro particolare della Flora e della fauna dipinte con maestria sulla parete d’ingresso. Il giardino dipinto permette effetti di grande realismo anche se espressione di paesaggi irreali e immaginati. Sulla destra triclinio dalla Villa di Livia, decorazione parietale.

Poche città riescono a conservare un pallido ricordo degli antichi splendori, tra queste Ravenna, sede dell’impero d’Occidente. La Natura viene accolta fra i tumulti e i saccheggi del tempo come elemento rivolto alla pura sopravvivenza.

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I giardini medievali e arabo-islamici 31 Con la fine dell’impero d’occidente il giardino romano decade, il contatto con il verde si riduce ad attività rurale e boschiva. “Gli sconvolgimenti politici e sociali sopravvenuti con lo sfaldamento dell’impero romano impediscono, tra l’altro, la trasmissione dei modelli che costituiscono il patrimonio delle grandi Ville, degradate dagli eventi”32. Solo i monaci all’interno dei monasteri cinti da spesse mura curano gli horti definiti appunto conclusi, essi mantengono viva quella relazione e conoscenza legata alle piante e ai simboli ad esse riferiti in maniera autonoma. All’interno dei monasteri si coltivano erbe mediche e aromatiche, i valori espressivi e spirituali si limitano all’essenziale, la riflessione e la ricerca si tinge di quella devozione che l’hortus conclusus ben rispecchia. Le regole del monachesimo benedettino imponendo ai monaci di risiedere nei conventi favorirono in epoca post-carolingia il rinascere dei giardini e di comunità stabili, di cui i monasteri si fecero guida poiché costruiti in luoghi agevoli e dotati di ogni elemento essenziale a una vita sedentaria, condividendo i loro saperi e le tecniche di coltivazione, le specie botaniche mantenute vive e tramandate attraverso i secoli. A Montecassino, “nel monastero, decorato per iniziativa dall’abate Desiderio dagli artisti provenienti dall’Oriente, si trasmettevano attraverso l’opera degli amanuensi le preziose conoscenze del passato, partecipando all’evoluzione stessa delle idee”33. Idee che si estendono ai popoli anglosassoni per via del cristianesimo e favoriscono l’edificazione di numerosi monasteri, come quello di Sangallo o di Bobbio, dei quali i disegni pervenutici evidenziano lo schema geometrico dei giardini interni. In tali giardini, la vita e la natura ordinata razionalmente, oltre a fornire tutto l’occorrente per un’indipendente alimentazione e per la cura delle malattie più comuni, compensava l’austerità della vita ipogea e buia delle cripte e delle severe celle nei monasteri. “I monaci erano consapevoli

Schema esemplificativo a modello dell’hortus conclusus.

Giardino monastico in un’incisione del XV secolo (da Tagliolini, 1994).

31

Questo paragrafo costituisce solo un accenno in quanto i giardini medievali e arabo-islamici potrebbero formare un capitolo a sé. 32 A. Tagliolini, 1994 p. 29. 33 Ibidem p. 33.

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di una partecipazione alla volontà divina, che nella coltivazione giornaliera dell’orto elargiva la serenità interiore promessa dalla vita conventuale”34; il giardino era complemento di ogni ordine monacale, raggiungendo verso il XII secolo una maturità formale ad opera del modello cistercense. Dei giardini delle abbazie nessun esempio a noi tramandato può fedelmente rivelare l’originale aspetto, affidato a una flora deperibile e impotente di fronte alle critiche avverse alla mondanità che fin dal XIII secolo riformulavano i canoni decorativi degli ordini monastici35. In parallelo emerge il giardino curtense, altra realtà contemporanea ai monasteri, di valenza sia utile che estetica, fondamento per la vita del feudo e del suo prestigio come polo comunitario. “La flora smorzò in qualche modo i toni severi della fortificazione, dove viveva il signore con la sua famiglia, e nacquero luoghi verdeggianti che Pianta dell’abbazia benedettina di San Gallo (da Tagliolini, 1994).

cancellarono il ricordo delle carestie e delle guerre”36.

Esempio di giardino utilitaristico (orchard, orto con alberi da frutto; a lato esempio di giardino di piacere tratto dal testo di Pietro de Crescenzi, De Ruralium Commodorum(da Marzorati, 2005).

34

Ibidem p. 36. nel capitolo generale del 1216 i vallambrosiani espressero il disappunto per la moda dei priori di tenere nei chiostri uccelli e animali esotici, diletto mondano e disturbo alla preghiera. 36 Ibidem p. 38. 35

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Il giardino persiano (da Caneva 2005).

Modellini di giardini turchi portati in processione in una miniatura del XVI secolo (da Maresca, 2004).

Il recupero con Carlo V dell’unità dell’Occidente con il Sacro romano impero, l’eredità romana dell’arte dei giardini mantenuta viva da Bisanzio e diffusa nel suo impero e l’elaborazione nel corso dei secoli da parte di artisti, ricercatori, alchimisti, religiosi fa riprendere attività di studio che ripristinano il giardino come elemento notevole per luoghi pubblici e privati. “Quelle cose veramente che l’humana vita sostentano; et nelle quali ogni loro studio mettono gli huomini, con ogni ornamento et ordine vi si vedranno; né solamente le cose necessarie, ma le superflue anchora, et che ai piaceri de gli occhi et dell’odorare fanno, vi si potranno leggere”37. Contemporaneamente nei paesi arabi l’avvento della religione islamica ha adattato e conformato a sé elementi della tradizione egizia-babilonese. Il riflesso delle delizie promesse da Allah si ha proprio nel giardino e nei suoi elementi: alberi38 ed acqua. La Sicilia è costellata, fin da prima dell’anno Mille, di giardini e canali irrigui, dove frutteti e colture fiorenti sono descritte dai contemporanei con meraviglia39. “Al giardino arabo-siculo è il merito di aver permeato di sé il paesaggio, in modo da creare con le piantagioni fruttifere, prime fra tutte gli agrumeti, un modello estetico che sarà recepito e convalidato nei secoli successivi, divenendo interprete del giardino mediterrane e della sua poetica”40. 37

Costantino Cesare, De’ notevoli et utilissimi ammaestramenti dell’agricoltura, Venezia 1549, in A. Tagliolini 1994, p. 39. 38 I termini rumici Sikah Kiliyah sono alla radice dell’origine etimologica della Sicilia. 39 Numerosi poeti, uomini di corte tra cui il geografo del re Ruggiero:Edrisi, si veda il testo dell’Amari 40 Ibidem p. 40.

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Le espressioni umane, è ciò è molto visibile nell’arte e nei giardini, s’influenzano reciprocamente, anche se appartengono a culture indipendenti, da quest’influsso emerge un chiaro beneficio poiché avvengono scambi di conoscenze, aggiornamenti, rivoluzioni creative. Apporti arabo-turco-persiani caratterizzano i giardini del re Ruggiero presso le campagne di Palermo. Agrigento e molte città sicule conobbero prosperi giardini di cui l’ascendente spirituale islamico rimaneva il riferimento fondamentale. Nella Favara in Sicilia, nella Cuba adattata sotto re Ruggiero ogni elemento era rivolto ad essere delizia e compenetrato da un’armonia insita nella natura stessa. Il fermento culturale ed esoterico prodotto a sud dell’Italia dalla corte di Federico II (nel XIII Palermo, la Cuba (da Tagliolini 1994). secolo)non sarebbe stato tale senza l’apporto di una consolidata tradizione moresca. Per le residenze e i numerosi aggiornamenti ed edifici che voleva costruire, Federico chiese a competenze arabe l’avvallo tecnico; i domini Meridionali di Federico II conobbero anche ripristini archeologici di opere classiche, interventi formativi per una nuova generazione di scultori come Nicola de Apulia. “L’atmosfera dei giardini meridionali del Trecento rivive nella villa Rufolo che domina le alture di Ravello” dove i rifacimenti romantici Ottocenteschi non hanno eliminato le influenze arabe manifeste nei resti archeologici. “Quanto il giardino rappresentasse una moda assai diffusa nell’Italia Meridionale lo dimostra il trattato Liber ruralium Commodorum scritto intorno al 1300 da Pier de Crescenzi”, dedicato all’arte dell’agricoltura e riferimento pratico per come disporre un giardino41, enunciando tipologie di giardini, specie botaniche inseribili e modalità esecutive e di coltivazione42. Un angolo del giardino di villa Rufolo (da Tagliolini, 1994). 41

I giardini venivano eseguiti anche in base alle necessità e alla disponibilità economica offerte dai committenti. “Dall ingresso (1) si accede alla aiuole con i fiori (2), e si prosegue verso il prato con fontana e padiglioni (3). Vi si notano altre aiuole con erbe (6) che si integrano con l antica figura del labirinto (4) e con il padiglione del bagno (5). Le altre aree del giardino sono destinati ai pomari (Pr), ai verzieri (V), al viridario (Vr) e alla peschiera (Ps). Secondo la letteratura del tempo, fortemente connessa ai testi della cultura romana, il pomario è il frutteto nel quali gli alberi sono piantumati regolarmente a quinconce, e suddivisi secondo la loro specie. Il viridario è il luogo degli alberi sempreverdi (pini, cipressi, abeti, allori, ulivi), il sito prediletto dall avifauna. Il verziere o erbaio è lo spazio dedicato alla 42

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Ricostruzione del giardino medievale descritto da Pietro de Crescenzi, De Ruralium Commodorum (da Marzorati, 2005).

L’importanza di questo trattato fu tale da invertire il senso di insicurezza e di abbandono del territorio verso un nuovo interesse del signore per la campagna preannunciando il rinnovarsi di “quell’amore per il villeggiare che era stato alla base dello splendore delle ville romane e greche”43. In Italia dopo il XIV secolo il giardino ritiratosi a complemento delle arroccate residenze signorili riprende magnificenza per volontà di emergenti signori quali i Visconti, i Savoia, i Colonna, gli Orsini, gli Estensi; progenitori agli albori del rinascimento dei potenti committenti che tanto investiranno nell’arte dei giardini. Nell’hortus ecclesiastico i benefattori concorrono a sovvenzionare migliorie degli impianti conclusi, dando vita a soluzioni di giardini aerei elaborate ed eleganti. Testimonianza di questo fatto la fornisce Nicolò Acciaioli che scrivendo al priore della Certosa di Firenze nel 1356 esprime “que per mia consolacione faciate per exelencia bello lo orto ovvero viridario retro ale cappelle et sia bene planato, con anditi larghi e spaziosi, con pergole alte a guisa di volte, et con sedili et receptaculi là dove voi parerà que siano plù amenosi et grati, et alcuni pratelli magnifici con ogni altro adornamento[…]”44 . Il giardino inizia ad integrarsi con la prosperità del comune in cui sorge, sostituito nelle piazze del borgo, da mercati e situazioni commerciali. L’orto non è più contenuto dai palazzi, ma si profila

domesticazione e alla produzione delle erbe medicinali e di quelle necessarie alla cucina e alla profumeria: menta, salvia, rosmarino, timo, basilico e ruta. Nelle aiuole si coltivavano rose, viole, gigli, gelsomini, giacinti e lillà”da Marzorati , 2005, pp 92. 43 44

Ibidem p. 52. Ibidem p. 53 da Biblioteca Medicea Laurenziana, ASHB 1830, cassetta I, n. 112.

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all’interno delle mura sospinto verso la riconquista delle campagne di cui i ricchi commercianti stavano comprando i terreni per edificarvi la propria residenza; “Intorno al XIII secolo Firenze”, come altri comuni d’Italia “accoglieva tra le sue mura ampliate per ben due volte, numerosi giardini appartenuti ai religiosi e alle persone benestanti”45. Le campagne, infatti, riprendono a Pergolato medievale in una xilografia del XIV secolo. produrre e le vie di comunicazione vengono ripristinate. La funzione di sopravvivenza del giardino lascia il posto a quell’indotta dall’agiatezza e dalla cultura favorita dal ruolo di finanziatori che i fiorentini rivestivano nelle importanti corti europee riportandone esempi e ritrovando continuità con lo splendore antico. Le tecniche colturali e compositive, seppur rinnovate, riaprono un dialogo con l’antichità, ma il contesto e gli stimoli forniti sono del tutto nuovi.

Il giardino dei sentimenti, miniatura del XV secolo (da Marzorati 2005).

45

Viali, aiuole con piante commestibili e pergola in un immagine del testo di Crisp datata 1470 (da Marzorati) 2005).

Ibidem p. 47.

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“L’influenza dell’arte araba si era diffusa praticamente in tutta la Spagna dove le caratteristiche della flora erano assai variate per le diversità orografiche. Nel Cinquecento la Spagna vanta un fiorire di scrittori d’agricoltura di lingua araba, la tradizione del giardino si era infatti trasmessa per generazioni formando eccellenti tecnici richiesti come esperti da altri paesi. Questa manodopera di coltivatori arabi ribattezzati col nome di ‘morischi’, definitivamente espulsi agli inizi del secolo XVII con grave danno per l’agricoltura, ebbe un’influenza non trascurabile nella conservazione di molti giardini italiani”46.

Pianta dell’Alhambra a Granada (da Caneva 2005).

46

Ibidem p. 113.

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Il Giardino rinascimentale

Immagine dal trattato architettura del Filarete, il Palazzo-giardino (da Tagliolini 1994).

La concezione romana del giardino ritorna arricchita da una nuova sensibilità simbolica ed estetica. Per giardino rinascimentale s’intende: riaprire i recinti dei “giardinetti” medievali a un manifesto dominio dell’uomo e delle sue razionali capacità all’interno di un paesaggio che non solo accoglie, ma esalta gli impianti stessi. L’opera di Leon Battista Alberti, il De Re Aedificatoria della metà del XV secolo, è il primo trattato che determina le qualità con cui, dal Quattrocento al Seicento, i valori del rinascimento verranno definiti per poi ripercuotersi in un contesto internazionale. Guardando all’era classica, l’Umanesimo stimola gli artisti a conoscere dettagli progettuali artistici e filosofici per riformulare nuovi canoni estetici. “L’ideale della villa suburbana s’identifica con quello di una vita serena a cui aspira l’agiata borghesia”,le regole per la costruzione della villa sono sancite in modo chiaro, altrettanto chiari sono i consigli forniti per disporne il giardino, non in “loco celebri da non consentirci di star davanti alla soglia senza toga”, ma in un’area “Festivissima in cui si faranno cerchi, semicerchi e altre figure geometriche in uso nelle aree degli edifizi, limitate da serie d’allori, cedri, ginepri, dai rami ripiegati e reciprocamente intrecciati”47, che rialzati rispetto alle campagne circostanti offrono dai loro giardini visuali dominanti. “ Una città vicina, una strada battuta e una plaga ridente sono fattori che contribuiscono a rendere un luogo frequentato. Quivi la costruzione risulterà piacevole se, al primo uscire dalla città, essa si offrirà internamente allo sguardo nella sua bellezza. 47

Autoritratto di Leon Battista Alberti(Roma Biblioteca Nazionale Centrale, n.738).

L. Battista Alberti, De re aedificatoria, Milano 1966, libro nono cap II, p 791, cap IV p. 806.

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Quasi ispirando in coloro che si dirigono alla sua volta diletto e attrazione”48. La villa, il cui luogo di edificazione viene scelto oculatamente49 si caratterizza rustica e funzionale, libera dagli eccessi ma elegante nel caratterizzare il paesaggio, raggiungendo talvolta espresse onoranze da parte della comunità in cui si trovava. “Un esempio del riconoscimento del fine sociale del giardino come opera d’arte è offerto dalla decisione della comunità comunale di Quaracchi di garantire la manutenzione di quello che vi aveva costruito Bernardo Ruccellai, sembra su disegni dell’Alberti”50, esempio del tenore con cui la comunità accoglieva tali opere e in esse si rispecchiava favorendone la conservazione51. “Gli elementi naturali sono subordinati ad un preciso piano architettonico ordinato nell’area regolare, con disegno speculare lungo l’asse breve del percorso. Le ripartizioni geometriche delimitate da bordure regolari di mirto sono punteggiate da arbusti ed alberelli di forma conica”52, addomesticando la natura per estendere al giardino le Un gigante composto geometrie architettoniche. di siepi di bosso (da Hypnerotomachia

Filarete, allegoria della virtù sovrastata dalla fama tra alberi di dattero ed alloro (da Tagliolini, 1994).

Poliphili Venezia Le specie sempreverdi 1499). caratterizzano e delineano: viali, siepi, figure, bordure sono disposte secondo un ordine preciso e razionale, basato su regole indotte dalla prospettiva e dalla geometria. “Il giardinajo, o a dir meglio l’architetto taglia le piante come fossero pietre”53. Non mancano comunque angoli intimi e misteriosi, ritagliati e inseriti nel gran fasto che caratterizza il giardino all’italiana in cui s’intessono attimi dedicati al sacro e al profano e in cui ritrovare aiuole colorate, forme libere tra le topiate. “Perché li giardini principalmente si fanno per dilettazione di chi fa edificare, et ancora sicondo la comodità del loco, però pare superfluo assegnare la figura loro; pure si debba il compositore ingegnare di redurla a qualche spezie di figura perfetta, come circolare, quadra o triangolare; dopo queste più apparenti la pentagona, esagona, ortogonia etcetera si ponno applicare. Similmente in esso si ricerca fronti, loci segreti sicondo el desiderio de’ poeti o filosofi, deambulazioni ad uso palestre coverte con verzure ed altre fantasie che più al signore suo piacesse, coverto più che si può dalli vicini intorno”54.

48

Ibidem. “Un luogo che permetta il piacere di tali cose senza tuttavia gravare sul bilancio familiare a causa dell’obbligo d’ospitalità verso troppi conoscenti di passaggio”Ibidem p. 402. 50 A.Tagliolini 1994, p. 58. 51 “43 uomini elessero per sindaci e prochuratori due de’loro uomini […] con piena autorità di potere ubrighare tutto il popolo a mantenere e conservare le bellezze e gentilezze del detto giardino alle spese del detto popolo” da Giovanni Rucellai e il suo Zibaldone, a cura di A. Perosa, 1960 p. 23, in A Tagliolini 1994 p. 58. 52 C.Caramellino, 1987. 53 I. Pindemonte, Sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia. Dissertazione, Verona 1792 e 1817, p. 27. 54 F. Giorgio Martini, Trattati di Architettura, ingegneria e arte militare, R. Bonelli, Milano 1967, Vol II p. 348. 49

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Elementi di topiaria trattti da alcuni famosi giardini storici e giardiniere che modella il carpino.

L’arte topiaria è uno dei fulcri del giardino all’italiana, siepi di bosso scolpite in allegoriche e molteplici forme, quali animali, costruzioni, statue verdi e mezzi di trasporto, manifesto dell’attiva forza dell’uomo impiegata per delineare le forme che la natura stessa tende a riprendersi. L’arte topiaria richiede una costante cura e manutenzione, le piante utilizzate per delineare sculture verdi (quali bosso, carpino, tasso e pochi altri) sono sì a lenta crescita, ma costante ed inarrestabile. All’interno delle mura difensive o per via delle morfologie territoriali si rendeva necessario sfruttare al meglio spazi esigui, i giardini pensili erano a volte l’unica alternativa per riportare la presenza verde estesa in verticale. Reimpiegati per necessità dal XV secolo vengono in seguito inseriti come elemento alla moda. Essenziale doveva essere il giardino pensile in Palazzo Ducale ad Urbino, “cose pensili” si ritrovavano a Roma ad opera di Paolo III annesse al palazzo di San Marco, rimosse nel 1911 “per far Pianta della piazza di Pienza e del giardino pensile dl palazzo Piccolomini (da Tagliolini 1994). posto al monumento a Vittorio Emanuele”55. L’utilità dei giardini pensili la racconta il Sederini “Servono ancora a ricreazione delle più belle stanze per il godimento della veduta della verdura, […] senz’alzare i piedi per arrivarvi, e poter quasi di camera cogliere l’insalata, e di notte con il lume della lucerna, e avere le frutte a ore strane”56. Esempio fedele delle indicazioni del primo Rinascimento è il giardino pensile di Palazzo Piccolomini a Pienza, costruito nel 1460 da Bernardo Gamberelli, detto il Rossellino.

55 56

A. Tagliolini 1994 p. 63. G. Sederini, Orti e giardini, Milano 1851 p. 26.

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Nel progetto egli calibra e rapporta prospetticamente gli spazi tra piazza, edificio e giardino pensile, con trovate che alterano le distanze tra gli edifici e aprono dal giardino la vista al paesaggio. “Il disegno del giardino, così come oggi si presenta, diviso in aiole regolari, è assai semplice, ma il panorama della val d’Orcia che si offre dalle tre arcate aperte nel muro di fondo, tappezzato di rampicanti, lascia intuire il ruolo primario avuto dal paesaggio nell’ideazione di questo giardino”57. I nuovi giardini sfaldano l’isolamento di mura concluse al paesaggio, come anticamente le nuove Ville offrono cornice al territorio e intarsiano in esso giardini come tramiti eleganti per un sano e libero contatto agreste. Contatto che nonostante le profonde trasformazioni conserva, ancora oggi, qualche impronta originale del segno rinascimentale. Testimone è la villa di Cafaggiolo dove ancora “sono di fatto le coltivazioni e le piantagioni fruttifere a ordinare il tessuto verde della villa”58, dove l’ordine rustico compenetra quello sublime del paesaggio.

Giusto Utens, veduta della fortezza di Cafaggiolo, XVI secolo (Museo di Firenze com’era, Firenze).

Giusto Utens, pittore fiammingo, idealizza verosimilmente la ristrutturazione della fortezza di Cosimo I ad opera di Michelozzo, suo architetto di fiducia. Nel 1491 i lavori compiono interventi mirati a raccordarsi con i poderi limitrofi e al bosco riservato alla caccia, l’austerità della villa risulta dominante ma allietata da una elegante fontana e ricercati impianti di verzura. Giardini notevoli accompagnavano tutte le ville Medicee progettate da Michelozzo: Il Trebbio, Careggi. Questi luoghi aderivano perfettamente alle personalità culturali del tempo, ne accoglievano i discorsi e i prodotti dei talenti artistici, come la fontana del Putto con delfino del Verrocchio oggi in Palazzo Vecchio, ma creata proprio per Careggi. Talenti che Lorenzo il Magnifico richiama ancor più marcatamente essendo lui stesso collezionista e letterato oltre che uomo di potere. A Careggi “Lorenzo vi raccolse numerose piante esotiche e rare, facendone un luogo ricco di attrattive botaniche”59. Altra villa tra il panorama di quelle 57

A. Tagliolini 1994, p. 64. Ibidem p. 65. 59 Ibidem p. 68. 58

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medicee è quella Medici a Fiesole, i cui giardini, risistemati nel 1915 da Cecil Pisent, conservano il digradare a terrazze funzionale per inserire la villa entro la collina e riportare un belvedere al carattere agreste del luogo. È comunque a Poggio a Caiano l’esempio più felice di residenza come portale del paesaggio. Comprato nel 1479 da Lorenzo il Magnifico è a Giuliano da Sangallo che venne affidata la sua sistemazione.

Giusto Utens, veduta della villa di Poggio a Caiano, XVI secolo (Museo di Firenze com’era, Firenze).

“Boschi e piantagioni fruttifere circondano la residenza, creando una trama di verde in cui s’inserisce il motivo ortogonale dei viali”60. Nei giardini all’italiana costanti interventi di manutenzione sono estesi non solo agli artifici verdi, ma a tutto il giardino vista la sua controtendenza alle spontaneità naturali. Controtendenze che vengono nella campagna curate dalle mansioni agricole. Attraverso le campagne e i boschi tali giardini emergevano dal paesaggio diventandone parte. “L’impegno alla costruzione di grandi parchi e giardini era condiviso da tutte le corti italiane”61. Sul finire del Quattrocento la riconquista del territorio Orti e giardini nell'isola di San Giorgio italiano bonificava i terreni limitrofi di Venezia, a Venezia (dalla pianta di Jacopo de integrava con querce, frassini, platani, pioppi, aceri i Barbari, inizi del XVI secolo; da parchi di Mantova delle ville di Marmirolo e Goito, Tagliolini 1994). pergole di viti, aerei elementi (pergole e rampicanti), prati fioriti scanditi da rivoli d’acqua erano meraviglia dirimpetto ai loggiati dei giardini di Belfiore a Ferrara. 60 61

Ibidem p. 69. Ibidem.

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Dei cento ettari di impianto del giardino del Barco presso Treviso fatto costruire da Caterina Cornaro sul finire del secolo ne rimane “solo il lungo fabbricato di una ‘barchessa’ con elegante loggia centrale a cinque archi e la facciata affrescata”62. A Roma da Niccolò V in poi si ridesta l’arte dei giardini con i viridarium, preludio agli orti botanici, poiché dalle specie raccolte dipendeva l’effetto stesso del giardino. “Tra gli esempi di maggior rilievo in Roma figurava il Belvedere eretto da Innocenzo VIII sulle alture del Vaticano”63, villa che eretta su progetto del Pollaiolo attingeva la sua fama proprio per il paesaggio su cui si proiettava. Se a Napoli la villa di Poggioreale, costruita da Giuliano da Maiano per Alfonso d’Aragona era sede degli incontri cultural-umanistici aragonesi, a Milano gli Sforza adeguavano i parchi per le loro avventure venatorie. Perfino Leonardo applica il suo ingegno per rendersi familiare la Natura e comprenderla nei suoi studi pittorico-urbanistici64

Leonardo da Vinci, schizzo di pianta per un giardino milanese (da Tagliolini 1994); Leonardo Da Vinci, disegno a penna della valle dell’Arno, datato 2 agosto 1473, particolare (Gabinetto dei disegni e delle Stampe, Uffizi, Firenze).

“[…] e altra acqua correrà pel giardino, adacquando li pomeranci e cedri ai loro bisogni […]”65, oltre a indicazioni pratiche sulla costruzione di serre Leonardo si ingegnava a fornire invenzioni che allietassero con sorprese musicali le passeggiate dei signori. Svolte progettuali nell’architettura e nei giardini si hanno all’interno dell’ambizione della corte pontificia. Con Giulio II Della Rovere Donato Bramante inizia nel 1505 la costruzione del Palazzo Pontificio a Belvedere, opera che per le soluzioni adottate diventa modello nella cultura architettonica del Rinascimento.

62

Ibidem p. 70. Ibidem p. 71. 64 Un esempio lo fornisce la sala dell’Asse dipinta da Leonardo all’interno del Castello Sforzesco per Ludovico il Moro. 65 L.Firpo, Leonardo architetto e urbanista, Torino 1963, in A. Tagliolini 1994 p. 77. 63

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Perin del Vaga, naumachia al Belvedere, affresco in Castel s. Angelo (da Tagliolini, 1994).

Bramante organizza lo spazio secondo i canoni delle residenze imperiali della Roma antica, interpretandolo secondo le esigenze del papa. Le componenti architettoniche “Le maestose gradinate, le strutture a terrazze successive, i lunghi loggiati, le esedre, gli emicicli”66,disegnano e interrompono assialmente i punti focali del giardino, guidandone la composizione, visibile nell’insieme solo dai piani alti delle stanze papali. I loggiati superiori risultavano così l’apertura attraverso cui il paesaggio coronava e incorporava la nuova architettura. Le scale scandivano la dinamica delle terrazze, ancora oggi riconoscibile nei suoi tre livelli, seppur occupati dai cortili del Belvedere, della Libreria e della Pigna costruiti successivamente: “Sisto V ordinò a Domenico Fontana di traversare il cortile con la nuova ala della biblioteca vaticana che mutilò definitivamente la composizione spaziale bramantesca”67.

Veduta cinquecentesca del giardino del Belvedere in Vaticano (da Tagliolini, 1994).

Seppur soggetta a precoci modifiche l’opera del Bramante influenzò l’esecuzione di quelle contemporanee. È al Belvedere che Raffaello guarda nel progettare villa Madama a Roma e le sue 66 67

Caneva, 2005, p. 256. A. Tagliolini 1994, p. 84

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terrazze per il cardinale Giulio de’Medici. Ma la promessa di un ritorno alla classicità elaborata da Raffaello venne realizzata solo in parte per via della sua prematura scomparsa nel 1520. Il giardino si sviluppa su tre livelli terrazzati caratterizzati in sequenza da prati, aranceti, boschi di abeti e di castagni. “ La diversità delle essenze, dalle più silvestri alle fiorite, scopre una delle tematiche di fondo del giardino rinascimentale”68 il confronto tra arte e natura delimita terrazze e comprende brani di paesaggio accompagnati fin dentro le geometrie da piante selvatiche. Una nuova visione dello spazio accompagna l’idea originaria, ma gli allievi più vicini a Raffaello, Giulio Romano e Giovanni da Udine, non seppero trovare accordo per completare i lavori di villa Madama. I tumulti del sacco di Roma alterarono lo spirito di rinnovamento che a Roma si manifestava aperto e creativo. Villa Madama oltre a restare incompleta, nonostante gli interventi del Sangallo, venne anche danneggiata durante i saccheggi del 1527.

Raffaello Sanzio, progetto per le terrazze dei giardini di villa Madama(Galleria Disegni e Stampe, Firenze).

Delle sorti della villa i discendenti non ebbero grande cura: Margherita d’Austria disinteressata alla proprietà e alla sua manutenzione preferì altra sede, passò a privati nel 1775 e successivamente venne rilevata da un notevole stato di degrado dallo Stato Italiano.

Martin van Heemskerck, I giardini di villa Madama, disegno, (Musèe du Luvre, Parigi). 68

Ibidem p. 89.

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Antonio da Sangallo, progetto in pianta per Villa Madama a Roma (Gabinetto dei disegni e delle stampe, Firenze).

Gli allievi di Raffaello: Perin del Vaga69, Giulio Romano diventano autorità a cui riferirsi per il riordino e l’aggiornamento estetico di palazzi, cortili e giardini. Giulio Romano già nel 1524 viene accolto a Mantova al servizio dei Gonzaga. L’affidamento della supervisione di tutte le opere ducali è immediato e Giulio Romano si ritrova in un panorama ricco di arte e natura molto curato in cui riversare il suo estro creativo. Nascono così opere quali Palazzo Te e nei giardini oltre i cortili “Da un lato le logge si specchiano nelle peschiere, dall’altro le arcate dell’esedra lasciano intravedere nello spettacolo del Veduta della villa Doria a Fassolo con il giardino (da Tagliolini, 1994). giardino fiorito i profili della campagna mantovana”70. Profili interpretati autonomamente che liberano l’estro di Giulio Romano dalla maniera raffaellesca, dove “Il dubbio invade la regola, aprendo le porte alla ricerca manierista, e nella matrice sottesa dell’intervento si scopre il preludio di un ritorno alla natura di cui il giardino percepirà in seguito i segni del rinnovamento”71. Rinnovamento che si andava diffondendo capillarmente per l’Italia. L’aggiornamento di siti e ville se da un lato segue l’impronta dei maestri, dall’altro si adatta alle esigenze del luogo e del Signore locale. Villa Imperiale a Pesaro si ritrova internamente e esternamente compenetrata dal paesaggio. Fu ristrutturata a partire dal 1530: i due Dossi, pittori, ne affrescano le pareti interne a modo di 69

Sua è il riordino del giardino nel 1522 della villa da Andrea Doria a Fassolo, inserendovi un lungo pergolato con colonne scalanate oggi perduto. 70 Ibidem p. 100. 71 Ibidem p. 102.

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vedute sulla campagna; i giardini splendidi e ricchi di aranceti, cedri, terrazze ombreggiate dalla vite. “Al cortile-giardino dove erano grotte e fontane per intrattenere gli ospiti, si accedeva da una loggia a tre arcate, la cui volta a cassettoni sembra ispirarsi alla villa Madama”72. Ai modelli romani Baldassarre Peruzzi, architetto senese, seppe solo affiancarsi per l’intento naturalistico. Egli preferiva, alla compostezza classica, un proprio senso dei materiali e delle disposizioni assiali degli elementi naturali “cercando nuove visioni prospettiche con lo sfruttamento delle valenze paesaggistiche”73. Grande era l’interesse del Peruzzi per l’arte dei giardini, riscontrabile fin dagli interventi nella Farnesina le cui logge dipinte da Raffaello si aprivano davanti a prati disegnati per discendere con gli impianti fino alle sponde del Tevere. “Del giardino originale poco o nulla rimane”: i lavori urbani rivolti al Tevere eseguiti nel 1874 “hanno sottratto buona parte dell’area verde” privando la vista dei Veduta della farnesina, anonimo italiano del XVi secolo (Courtauld giardini dal fiume “che era Institute Galleries, Londra). stata fin dai tempi più antichi di Roma uno spettacolo affascinante”74. Nella villa Chigi Zondadari a Vicobello presso Siena il Peruzzi eseguì interventi sulla limitrofa campagna volti ad esaltare l’aspetto naturalistico del sito, impiegando le risorse naturali del territorio come contorno e traforo del giardino, al cui interno l’esedra è la convergenza accompagnata dal giardino dei limoni da cui si apre selvatico un bosco di lecci, nelle terrazze sottostanti è disegnato a parterre lo stemma dei Chigi, ancora oggi una flora secolare accompagna i giardini inferiori.

Pianta della Farnesina (da Tagliolini, 1994).

72

Ibidem p. 104. Ibidem p. 90. 74 Ibidem p. 91. 73

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“Delle ville progettate dal Peruzzi poche hanno conservato il giardino, rinnovato, come spesso è accaduto, dalla moda. È scomparso nel senese quello dell’Apparita, sostituito in epoca moderna da un raffinato intervento paesaggistico dell’architetto Porcinai”75; villa Celsa, in cui interventi di epoca seicentesca hanno risparmiato la peschiera semicircolare e il motivo dei riquadri del terrazzo Baldassarre Peruzzi, giardino con porticato panoramico: elementi propri del (Gabinetto dei disegni e delle stampe, Firenze). Peruzzi. Egli rivolge alla natura ogni aspetto delle sue opere, anche negli affreschi delle logge romane e senesi, da lui eseguiti, la flora dipinta rivela attenzione e conoscenza. “Se le premesse raffaellesche trovarono una continuità ideologica nelle opere degli artisti formatisi nell’ambiente romano, quelle del Peruzzi ebbero la loro affermazione nella trattatistica del Serlio” che nel presentare schemi di ville di campagna si avvale anche dell’eredità grafica lasciata dal Peruzzi stesso76. Sulla ricchezza del paesaggio italiano intervengono quindi artisti di grossa levatura, i committenti sono personaggi altolocati, che vogliono vedere nei giardini il riflesso del loro status sociale e politico, ma anche la filosofia e il pensiero77 che ne caratterizza la cultura. “Un valido contributo alla diffusione delle poetiche del giardino rinascimentale si Baldassarre Peruzzi, progetto per villa Trivulzio doveva alle accademie ed in (Gabinetto dei Disegni e delle stampe, Firenze). genere ai circoli letterari che si raccoglievano intorno agli umanisti”78. 75

Ibidem p. 93. il suo trattato, Tutte l’opere d’architettura et prospettiva, è pubblicato a Francoforte nel 1575. 77 Il pensiero si ispira ai classici, ne recupera e ricerca le fonti, l’arte, la mitologia, la filosofia interpretandone e adattandone i termini a una nuova visione del mondo, lo stimolo apportato da letterati ed artisti in tutte le corti dei comuni e stati italiani, trova Firenze e Roma come polarità estremamente attive. Il sacco di Roma del 1527 portato dalle truppe di Carlo V, pone arresto ai fermenti culturali, che a Roma riprenderanno anni più tardi decisamente trasformati. 78 Ibidem p. 111. 76

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La classicità conquista anche la scena veneta, nel Cinquecento Andrea Palladio persegue i canoni del Rinascimento ma alle costruzioni da lui edificate come la Rotonda, Villa Maser di Daniele Barbaro, villa Emo a Fanzolo egli non associa giardini come grazioso complemento, ma preferisce riferirsi all’aperta campagna come giardino più vasto “La relazione con la natura diventa indissolubile…”, le piantagioni e i frutteti offrono uno scenario coloristicamente più attrattivo, “…L’architettura fa propria l’orografia, non forza la natura. Con una sintesi geometrica scopre il La rotonda di Palladio, Marco Moro Genio del luogo e lo esalta in un’opera (litografia del XIX secolo). monumentale”79.Il giardino di villa Maser è vago e sfuggente, riconoscibile per le direttive e i riferimenti offerte dalle statue, dai padiglioni, dalle fontane, ma libero all’Orizzonte. Altro punto fondamentale per comprendere il giardino rinascimentale lo abbiamo nell’attività di Niccolò di Raffaello detto il Tribolo.

Giusto Utens, veduta di villa Castello, XVI secolo (Museo di Firenze com’era, Firenze).

Operante a Firenze nelle prime decadi del XVI secolo egli rinnova nel 1540 la villa di Castello proprietà Cosimo I dei Medici, il quale “decidendo di costruire un giardino che rispecchiasse il prestigio del suo casato e superasse in bellezza gli altri esempi europei”, riversa in esso i simboli delle sue ambizioni e della sua politica. Nicolò elabora la volontà di Cosimo riportandola allegoricamente nelle statue delle fontane80 al centro dell’impianto. 79

Ibidem p. 138-139. Le statue dell’allegoria di Firenze del Giambologna e dell’Anteo dell’Ammanati culminano le due fontane, oltre a questi due artisti collabora alle fontane del Tribolo anche Pierino da Vinci.

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Dai due vivai che s’inserivano nel paesaggio e al prato antistante alla villa, la composizione si rivelava simmetrica rispetto al viale d’accesso. Le fontane del Tribolo e i giardini geometrici proseguivano verso una nascosta peschiera. Il Tribolo è autore anche del primo progetto del giardino di Boboli “A’ dì 12 di maggio, in lunedì si cominciò a spianare l’orto dei Pitti, et a fognare per porvi li abeti, li ancipressi, i lecci et allori”81, il che fa presupporre un’idea progettuale gia definita.

Giusto Utens, veduta del giardino di Boboli XVI secolo (Museo di Firenze com’era, Firenze).

Proseguito a partire dal 1555 dall’Ammanati, allievo come il Tribolo del Sansovino, e istruito da esperienze romane egli completa Palazzo Pitti reclamando “una più stretta partecipazione del giardino” alla planimetria del palazzo. “Il basso corpo edificato del ninfeo, avente una chiusura a terrazza e all’interno una peschiera con quattro nicchie, sbarra il quarto lato, e dà un taglio decisivo all’impianto generale di Boboli” 82, concluso nel suo primo disegno dal Buontalenti autore anche del parco di Pratolino. La valenza fantastica e naturalistica che il Buontalenti conferisce a questi luoghi crea surreali ambienti, sfuggevoli al rigore83 e libere al mistero “In alto le efflorescenze rocciose del Buontalenti, dissolvono come organismi di fantascienza i profili del timpano e dell’arco”. Nella grotta tutto concorre ad evocare, stupire e rendere ambiguo il connubio arte e natura.

Giusto Utens, veduta di villa la Petraia, XVI secolo (Museo di Firenze com’era, Firenze).

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Diario fiorentino di Agostino Lapini, Firenze 1900, p. 107. A. Tagliolini 1994, p. 158. 83 Boboli risulta nella parte inferiore rigorosamente impostata dalle architetture del Vasari, e dal disegno del Tribolo, ripresi dall’Ammanati. 82

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Il giardino Manierista: ponte tra Rinascimento e Barocco

Giusto Utens, veduta del parco di Pratolino, XVI secolo (Museo di Firenze com’era, Firenze).

Il manierismo, conseguenza naturale del Rinascimento e delle vicende del sacco di Roma, è già premesso nelle scoperte dei grandi maestri. La realtà fantastica e mostruosa, occultata dalla razionalità rinascimentale torna alle luce nelle figure mostruose, dai reconditi significati allegorici che ornano i parchi dove la natura incontaminata esprime le sue forze indomite. Da questo nuovo impulso esuberante e ricolmo il giardino rinascimentale si trasfigura, alterando la propria “sobrietà” con un’infinità di elementi mondani e scherzosi. Per questo sovraffollamento il giardino rinascimentale stenta a tramandarsi così come artisti del Quattrocento e del Cinquecento lo avevano concepito, gli elementi di impronta scenografica e spettacolare ricalcano e occultano l’essenzialità del giardino all’italiana. Tuttavia gli ingegnosi artifici messi a punto per soddisfare e proporre bizzarre idee ampliano notevolmente la varietà dei giardini e gli apparati in essi presenti.

Pianta del parco di Pratolino (da Tagliolini, 1994).

50


Proprio a Pratolino, proprietà comprata nel 1568 da Francesco I dei Medici, all’ingegno del Buontalenti viene affidato l’intero progetto. L’impronta naturalistica e fantastica che, a differenza di Boboli, qui egli esprime integralmente, trasmette la particolare visione plastica e scenografica dell’artista “in cui convergono le inquietudini di un linguaggio impregnato delle problematiche manieriste diffuse ormai in tutta l’Europa”84. Le caratteristiche inedite che si realizzano nel parco di Pratolino sono dovute oltre che al cambiamento di pensiero portato dalla controriforma, dal particolare connubio che si forma tra Francesco I, architetto e ricercatore, e il Buontalenti artista “che dirigeva il suo spiccato estro creativo nella manifestazione della bellezza interpretata dall’artificio e dal capriccio”85. Il luogo si articola così nella suggestione delle scene.

La parte alta del parco di Pratolino: particolare con la statua di Giove, il labirinto e l’Appennino e la veduta dell’intero parco di Pratolino da sud, 1590 ca. (S. Vitale, Annales Sardiniae, Firenze, 1693; da Maresca, 2004).

La natura selvatica della vegetazione e la particolare morfologia del luogo favoriscono l’inserimento di allegoriche rappresentazioni statuarie, come l’Appennino colossale statua realizzata dal Giambologna, e ipogee in cui l’acqua animava congegni e meccanismi creati appositamente dal Buontalenti ponevano lo splendore della natura in dialogo attraverso l’arte tra il reale e il fantastico dove le sconvolte apparenze sono artifici sottesi ad arte nella rappresentazione.

84 85

Ibidem p. 159. Ibidem p. 160.

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Già nel tardo Cinquecento molte ville con i loro impianti vengono aggiornate, è il caso della villa di Castello adeguata su progetto del Buontalenti, di cui Giusto Utens ci dà un’idea della qualità degli interventi, gia alterati nel XVII secolo da Giulio Parigi, il quale “inserendo una fontana nel centro del ripiano inferiore, aveva distrutto l’originale bipolarità del progetto, trasformando i due cerchi in una fontana ovale”86. Interventi nel Settecento e nell’Ottocento trasformeranno ulteriormente il giardino, trasferendo nel 1760 la fontana del Tribolo con la Venere del Giambologna dalla villa di Castello a villa La Petraia; nell’Ottocento verranno inoltre realizzati dei parterre, motivi di gusto estesi poi a tutto il giardino che frammenteranno “quell’unità compositiva che il primo progetto aveva raggiunto”87. Se a Firenze gli artisti rispondevano con perizia e tecnica allo stimolo delle possibilità offerte dal governo dei Medici nell’approfondire varianti e idee sulla poetica del giardino, realizzando orti botanici88 e impianti scenografici inseriti Modulus cubitorum florentinorum. Gli capillarmente nella città come quello progettato da Baccio Horti Fiorentini diretti da Luca Ghini d’Agnolo per Giovanni Bartolini o quello della Loggia dei (da Tagliolini, 1994). Lanzi voluto da Francesco I, l’interesse delle ville Toscane, rustiche poiché legate alla produzione agricola dei poderi, diventavano motivo di svago dai fiorenti affari cittadini. Ma i giardini, essendo frutto dell’agiatezza di alcune famiglie come quella dei Buonvisi a Lucca, ne rivelavano il prestigio economico, perdendo via via che il prestigio aumentava quei toni rustici e d’utilità che Giovanni da Saminiati aveva postulato nel suo Trattato di agricoltura, scritto sul finire del Cinquecento. “Della villa che i Buonvisi avevano a monte San Quirico, dove soggiornò nel 1541 il ponteficie Paolo III in attesa di incontrare l’imperatore Carlo V, a testimonianza del grande giardino che comprendeva anche un vasto lecceto, non restano che i grandiosi portali di tufo e pietra. È scomparso anche il giardino cinquecentesco della villa dei Buonvisi a San Pancrazio, con i terrazzamenti e la stupenda vista panoramica. Un ramo della famiglia si era chiamato Buonvisi al Giardino dalla loro splendida residenza cittadina, finita di costruire pare da Bernardino Buonvisi nella penultima decade del secolo XVI”89. Di timbro rinascimentale e slegati dalla struttura del Palazzo i giardini voluti da Diomede Leoni, chiamati Horti Leonini nascono nel 1581 su concessione di Francesco I tra gli antichi baluardi di San Quirico, per recuperare una zona colpita dalla guerra. Le Gli Horti Leonini attualmente. fortificazioni presenti s’aprono alla sosta dei viandanti; l’ospitalità del luogo, transito tra Roma e le città Toscane, aveva fini prettamente sociali ed era proprio resa possibile dal giardino90. 86

Ibidem p 170. Ibidem. 88 Quello di Firenze costruito a partire dal 1545 su ordine di Francesco I appassionato di botanica, venne diretto da Luca Ghini curatore allo stesso tempo dell’orto botanico di Padova. 89 Ibidem p. 178. 90 Il giardino infatti si realizzava addolcendo un tratto delle poderose mura fortificate. 87

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“Et perché dentro a la detta Terra nostra di San Quirico, già molto ruinata da la guerra, il detto Diomede Leoni fu il primo che diede principio a restaurare le ruine et far alcuni suoi Orti chiamati Leonini, che tornano ad ornato di quel luogo dove esso è nato et a qualche comodità ancora delli viandanti e specialmente Nobili…”91. A Roma la ripresa dell’arte dei giardini anni dopo il sacco del 1527 avvenne secondo canoni più cosmopoliti e consapevoli di quest’arte nei suoi più felici esempi a livello europeo. La ripresa delle attività culturali della corte papale richiamava esponenti politici e artistici provenienti da ogni parte d’Europa. Anche qui i giardini, fioriti ogni dove all’interno delle mura aureliane, favorirono il recupero delle zone degradate, unendo i quartieri della città e stimolando il ripristino e il restauro degli acquedotti antichi reso necessario per l’approvigionamento idrico92 degli impianti. Giardini sorgevano oltre che a corredo di ville tra gli spazi offerti dalle rovine dell’antichità, sui monumenti e i tetti delle case. I giardini romani inoltre erano aperti, i passanti potevano visitarli e passarvi il tempo che volevano. Norme poste su apposite lapidi guidavano il visitatore a rispettare il giardino dove vi “sono bellezze offerte a chiunque se ne voglia servire e per qualunque cosa, fosse pure per dormire e anche in buona compagnia, purchè non ci siano i padroni che non ci vanno molto; o andar ad ascoltar le prediche che si tengono in ogni epoca, o le dispute di teologia, o anche talvolta qualche donna pubblica, presso cui ho notato questo inconveniente che esse vendono cara la semplice conversazione”93. Tra l’esuberanza offerta dalle numerose ville costruite nella campagna romana spiccano quelle progettate dal Vignola (Jacopo Barozzi, 1507-1573).

Pianta degli Horti Farnesiani (da Tagliolini, 1994).

91

A. Verdini Bandi, I castelli della val d’Orcia e la Repubblica di Siena, Siena 1973, in A. Tagliolini 1994 p. 180. Queste necessità fecero fronte a zone malsane. La presenza dell’acqua depurava e bonificava i territori abbandonati rendendoli vivibili e liberi da infezioni. 93 M. de Montaigne, Viaggio in Italia, Milano 1942, in A. Tagliolini 1991, p. 183. 92

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Gli Horti Farnesiani sono notevoli per il retaggio classico dell’architetto. Commissionati dal Papa Paolo III94, ricalcano lo stile bramantesco, le disposizioni sono interpretazione personale del Vignola che accoglie tra gli scompartimenti di aiuole fiorite piante tra le più rare di quelle importate dall’Europa95. “C’è da ricordare che la zona terminale rivolta al Circo Massimo era praticamente lasciata allo stato agreste e interpretava esemplarmente il carattere del paesaggio vivificato dalle testimonianze archeologiche”96. Geniali sono inoltre gli impianti realizzati a Caprarola per Alessandro Farnese e a Bagnaia per il cardinale Gambara. Queste ultime sono frutto della capacità del Vignola di adattare alle ville impianti dalle geometrie mai scontate. L’esuberanza dei progetti ben s’inserisce nella bellezza dei luoghi dove raffinate geometrie si aprono al paesaggio intarsiandolo geometricamente. Se a Caprarola egli estende i prospetti del palazzo in due grandi quadrati di aiuole tra loro divergenti, raccordate dalla vista offerta dal terreno montuoso Pianta del Palazzo e del giardino inferiore a Caprarola e seguite da un giardino grande separato dal palazzo da un (da Tagliolini, 1994). bosco di abeti e di castagni; a Bagnaia più contenuta, ma altrettanto preziosa appare la composizione del giardino “adagiato tra i monti Cimini, circondato da un bosco di castagni e di querce”97.”Due porte si aprono sull’abitato”, proprietà del cardinale Gambara “Una dava l’accesso al giardino geometrico, costruito a terrazze dove erano inserite le palazzine gemelle, l’altra su di un vasto bosco, lasciato allo stato rustico”98, ma percorribile allegoricamente attraverso la presenza di numerose fontane: cornice di una ingegneria idraulica notevole99 e riferimento concettuale e visivo di tutto l’insieme.

Pianta del parco e del giardino di villa Lante a Bagnaia (Da Accanì-Rezza, 1998). 94

Che appassionato botanico rivolge la sua attenzione anche all’orto botanico del Vaticano. “È da questo luogo che prese il nome l’Acacia farnesiana, la pianta proveniente dall’isola di Santo Domingo. Ma moltissime erano le piante esotiche[…]” A. Tagliolini 1991, p. 186. 96 A. Tagliolini 1994, p. 186. 97 Ibidem p. 192. 98 Ibidem. 99 L’impianto idraulico di villa Lante di Bagnaia è opera del senese Tommaso Chinucci. 95

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La villa del cardinale Ippolito d’Este a Tivoli segna in grande l’apporto di nuove idee offerto dal manierismo. Progettata nel 1550 da Pirro Logorio con l’avvallo culturale di Ippolito caratterizza profondamente il luogo. Per i giardini innumerevoli uomini lavorano a spianare e a realizzare canali utili per convogliare dal vicino fiume Aniene l’acqua necessaria agli impianti e alla fontane. Tra le innumerevoli si ricordano quelle dell’Organo dell’Ovato e della Rometta, caratterizzanti la scenografia del luogo insieme a vasche, canali, arcobaleni100. La passione di Ippolito d’Este per le piante si riflette anche all'interno di Roma; l’ampio spazio limitrofo alle terme di Costantino lo fa adornare con aiuole “che formano un’ordinata maglia verde”, fontane e tempietti ritagliati fra piantagioni di selvatico che denotavano il sito con il nome di Silva Estensium. “Ma l’aspetto rilevante di questo giardino” alterato gia con Paolo V, attraverso il progetto di Carlo Maderno che spiana completamente la componente selvatica, “era dato dalle piante” di specie sconosciute o rare all’epoca “curate dal Botanico Evangelista Quattrami”con cui si rivestivano i muri ed eseguivano intrecci d’alberi. Il prestigio delle ville era in relazione al sito su cui sorgevano e alle capacità di adattare il giardino alla morfologia naturale, ingenti spese si affrontavano per adattare il suolo al progetto, come è il caso di villa Medici costruita nel 1540 dal cardinale Camillo Crescenzi, che conserva ancora oggi parte dei suoi impianti. Diverso e più accomodante all’orografia del suolo è Giovanni Maggi, veduta dei giardini del Quirinale,( incisione 1612). il famoso giardino L’aspetto rilevato è quello risultante le trasformazioni di Carlo Maderno su promosso da Ciriaco commissione di Paolo V. Mattei e progettato da Giacomo del Duca, allievo di Michelangelo. Villa d’Este (Tivoli), veduta del giardino voluto da Ippolito d’Este (Da Maresca, 2004).

100

Questi ultimi erano ottenuti vaporizzando l’acqua con potenti getti su cui il Sole scomponeva la sua luce.

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Pianta di villa Mattei (da Tagliolini, 1994).

I lavori iniziati nelle ultime decadi del Cinquecento “concretano un’originale disposizione planimetrica[…]formando un attraente percorso animato da luoghi diversi nei loro caratteri”101. Gli elementi, il grande prato, le logge, le fontane, il giardino segreto sono dislocati secondo una composizione che diventa unitaria solo a fronte del percorso che attraverso di essi si racconta. Le geometrie sono quindi più fluide e non incernierano staticamente il giardino. Libertà che anche il Sacro bosco di Bomarzo rivela nei suoi apparati mostruosi e misteriosi.

Numerosi si levano dalle l’epigrafi inni che decantano il mistero e la meraviglia del luogo VOI CHE PEL MONDO GITE ERRANDO VAGHI/ DI VEDER MERAVIGLIE ALTE E STUPENDE/ VENITE QUA, DOVE SON FACCIE ORRENDE,/ ELEFANTI, LEONI, ORCHI ET DRAGHI. Pianta generale del Sacro Bosco di Bomarzo.

101

Ibidem p. 204.

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Ma numerose altre raffigurazioni si presentano scolpite nella roccia tufacea “Immagini che l’arte topiaria ha già espresse nel giardino italiano in forma fantasmagorica[…], ma che nell’evoluzione stessa dell’artificio raggiungono con la pietra una loro immanenza, penetrando nel paesaggio per essere cardine del percorso ideologico”102 Oppure CHI CON CIGLIA INARCATE/ ET LABBRA STRETTE/ NON VA PER QUESTO LOCO/ MANCO AMMIRA/ LE FAMOSE DEL MONDO/ MOLI SETTE. Un’altra indica il proprietario, il perché e la data di realizzazione del luogo VICINO ORSINI NEL MDLII/ SOL PER SFOGAR IL CORE. Questa ultima denota quanto nel Sacro bosco l’Orsini volesse esser libero nell’esprimere liberamente la sua interiorità, libera dagli obblighi e dalle apparenze di città attraverso la simbiosi con il mondo naturale. Parco di Bomarzo disegno di portale e di urna (Vienna).

Dal Sacro Bosco di Bomarzo: la Palazzina pendente (realizzata forse su progetto del Vignola); il drago; Pegaso.

In parallelo con Francesco I, ma più marcatamente, si rinnova con Vicino Orsini la figura del committente. “Il grande sviluppo delle tecniche esaudisce le ambizioni dei proprietari che spesso non si limitano al contributo iconologico o botanico, ma intervengono nel disegno del giardino dando vita a un personaggio nuovo di committente-architetto che nel corso della storia di quest’arte si farà garante di splendide realizzazioni”103.

102 103

Ibidem p. 207. Ibidem p. 212.

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Altra villa in cui gli impianti denotano una precisa svolta dell’arte dei giardini è quella di Montaldo a Roma. Edificata per volontà di Peretti Montaldo, futuro papa Sisto V, da Domenico Fontana, si rivela da subito una concezione innovativa; al giardino geometrico si associa infatti un preludio al giardino pittoresco come ci rivela il Fontana stesso “ S’è impiegato in questa impresa grandissima copia di danari per essere il luogo Veduta dell villa Montaldo (da Tagliolini, 1994). pieno di monti e valli, che si sono spianati e riempiti per ridurre il sito in uguaglianza, e ben vero ch’in alcuni luoghi si sono lasciate ad arte molte dolcissime salite, e piacevolissime vallette per maggior vaghezza”104. La soluzione naturalistica non solo limita i costi di esecuzione, ma dissolve serenamente quel conflitto tra arte e natura insito nel Manierismo e nel Rinascimento, dove la conservazione del territorio naturale è parte del progetto stesso.

Pianta di villa Montaldo. Rilevante è notare in alto a destra del progetto la particolare disposizione del terreno, lasciato “a naturale”, rispetto all’evidente livellamento operato per realizzare le aiuole in basso (da Tagliolini, 1994). 104

D. Fontana, Della trasportazione dell’Obelisco Vaticano, et delle fabriche di Nostro Signore Papa Sisto V fatte dal Cavalier Domenico Fontana, Roma 1590, in A. Tagliolini 1991, p. 212.

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“Il giardino a paesaggio proposto dal Fontana nella villa Montaldo, contrapposto alle partiture regolari al di là dei tre giardini assiali, ci dà sul finire del secolo i segni della trasformazione del gusto e dell’ascendente che l’elemento naturalistico aveva sulla visione del giardino”105. Ma ci vorrà ancora un secolo prima che la visione pittoresca del giardino possa pienamente manifestarsi. Il Barocco fornirà tutti gli elementi e le contraddizioni per giungervi consapevolmente.

105

A. Tagliolini 1991, p. 226.

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I giardini nel Barocco Seppur graduale, il passaggio da Manierismo a Barocco si manifesta con il trionfo e la sovrabbondanza di quegli elementi che avevano caratterizzato il giardino rinascimentale. La presenza di una corrente conservatrice che aleggia per tutto il Seicento preserva grosso modo gli impianti cinquecenteschi dalle trasformazioni prefisse da nuove tendenze. “L’audace e vibrante nuova manifestazione nelle arti e nelle lettere e quelle espressioni del pensiero contemporaneo” sono per tanti versi rivolti ancora al passato106. Seppur rielaborando e componendo gli elementi secondo esuberanti proporzioni, gli artisti barocchi manifestano una perizia tecnica portata sicuramente dallo sviluppo delle scienze dove “la sensazione dell’ignoto che pervade la ricerca” rinascimentale “si tramuta nella meraviglia della scoperta della realtà”107. Il giardino s’apre, come preannunciato da Pratolino a parco, scenograficamente inserito a ordine della campagna circostante. I viali si aprono a raggiera, l’acqua incarna, attraverso lo sviluppo dell’ingegneria idraulica, la fantasia delle forme topiate, e i giardini stupiscono per accomodare lembi di paesaggio tra boschi a ricercata meraviglia. Proprio questa ricerca trasformerà il giardino Barocco da erede e arte della campagna agreste a isola esclusiva della nobiltà, cornice isolata e paesaggio separato da quello delle realtà sociali più umili. “L’opera romana che agli albori del Barocco suggella una nuova percezione dello spazio è la villa Aldobrandini a Frascati”108. Della villa progettata da Giacomo della Porta e dopo la sua morte da Giovanni Fontana e Carlo Maderno l’acqua è l’assoluta protagonista. Gli imponenti flutti e ingegni idraulici sono circondati da abbondanti ornamenti inseriti ogni dove nel percorso di visita. Ai tre viali rettilinei ispirati dalla villa di Montaldo si frappone nel retro della villa un naturale querceto. “Il rapporto con il paesaggio diviene elemento fondamentale del giardino e trova la sua Pianta della villa Aldobrandini. I viali tripartiti e espressione nelle ampie scenografie convergenti su di un unico punto sono una chiara r ap presentate dai lembi di boschi che sconfinano elaborazione del modello offerto dalla villa di nelle aree agresti dove ancora viene conservata la Montaldo (da Tagliolini, 1994). peculiarità del lavoro della campagna”109.

106

Ibidem p. 231. Ibidem . 108 Ibidem p. 238. 109 Caneva 2005, p. 261. 107

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Notevoli erano anche gli impianti di villa Ludovisi, scomparsa insieme ai suoi giardini per la costruzione nell’omonimo quartiere di Roma sul finire dell’Ottocento; e di villa Borghese, divisi dalla successione di tre recinti aperti al visitatore da solenni portali. La villa voluta dal cardinale Scipione Caffarelli era famosa per la notevole collezione di sculture antiche e moderne a corredo del primo recinto. Come i precedenti, i giardini di villa Doria Pamphili risultano fondamentali per comprendere l’evolversi dei Pianta della villa Ludovisi a Roma (da Tagliolini, 1994). giardini nel Seicento. Fu voluta intorno al 1650 dal cardinale Camillo Pamphili, nipote del nuovo papa Innocenzo X, per onorare la casata. Il progetto venne dapprima affidato a Francesco Borromini, illustre architetto Barocco, ma il fantasioso progetto proposto dal Borromini non entusiasmò il cardinale, che si avvalse dello scultore Alessandro Algardi e del pittore paesaggista Giovanni Francesco Grimaldi. La combinazione di personaggi portò a un progetto sobrio e classico. La vasta proprietà e le aiuole regolari intorno al palazzo erano immerse nel parco che “assume particolare rilievo nell’ideazione della villa, rivelando un desiderio di apertura verso orizzonti più vasti”110. Le qualità del Barocco romano eseguite con un tenore più classico per via dell’influenza di Gianlorenzo Bernini e dei suoi interventi su scala urbana formò numerosi tecnici e artisti, le realizzazioni numerose evasero dalla città mediante la figura di Carlo Fontana (1634-1714).

Pianta di villa Borghese a Roma (da Tagliolini, 1994).

110

A. Tagliolini 1994, p. 251.

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A lui si deve anche la villa di Cetinale presso Siena, dove una parte del parco, la Tebaide, viene organizzata con intenti simbolico-mistici. Sempre Carlo Fontana è autore dei uno dei più eminenti e radiosi esempi di giardino Barocco: l’isola Bella sul lago Maggiore proprietà dei Borromeo. Già iniziati nel 1620, i lavori richiesero il riporto via barca di tutti i materiali. I giardini strutturati a terrazze digradavano verso il lago e gli elementi si orientavano secondo La Tebaide, allievo di Paolo Uccello (Galleria panoramiche privilegiate. L’ornamento dell’Accademia Firenze). era affidato alla vegetazione, cipressi, camelie, azalee erano circoncise da apparati scultorei sapientemente inseriti ad arte. In tutto il settentrione è un edificare ville, secondo diversi stimoli e influenze: se il giardino veneto diventa prettamente scultoreo, l’influenza francese non tarda a farsi sentire in Piemonte e nella Lucchesia caratterizzandone gli spunti barocchi.

Veduta dell'isola bella (da Tagliolini, 1994).

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La partecipazione di artisti italiani romani e fiorentini alla realizzazione degli impianti di Fountainbleau e Versailles è contributo essenziale per la formazione del gusto formale. Dalla Francia ritornano elementi nuovi rinnovati dall’evolversi del gusto francese: come i parterres de broderies, i berceaux, etc. In Francia i giardini sono inseriti in grandi pianure, i lavori procedono secondo uno stile derivato dal giardino italiano, ma reso proprio dalle diverse possibilità offerte dall’ambiente e dai committenti: vaste pianure e re, principi, imperatori. “La svolta decisiva venne per l’opera del celebre architetto dei giardini Andrè Le Notre, figlio del giardiniere capo delle Tuileries, allievo del pittore Vouet ed autore dei famosi giardini di Versailles. Si devono a lui infatti le grandi composizioni paesaggistiche, basate sul passaggio graduale dalle superfici livellate dei parterre alle volumetrie dei boschetti. Giardini allineati sui grandi viali ornati non più dai Andrè Le Nòtre, sempreverdi ma da piante spoglianti, mutevoli nelle stagioni e (1613-1700). schiuse ai colori trasparenti della campagna francese”111. Il Piemonte tramite i Savoia ricalca tale concezione emulando i giardini di stile francese112 e interpellando i migliori progettisti d giardini francesi , tra cui proprio Le Notre per aggiornare nelle ultime decadi del Seicento i giardini di Venaria, di Palazzo Reale a Torino e Racconigi. A parte il caso Savoia e quello Borbonico a Napoli l’Italia non può affiancare il Barocco francese, poiché nè il territorio nè la politica frammentata lo permettono. E se a Firenze gli interventi sono mirati a aggiornare e trasformare in parte gli impianti già esistenti, - per opera del già citato Giulio Parigi e del figlio Alfonso, autore dell’isolotto di Boboli: giardino nel giardino - l’arte dei giardini in Italia e in Toscana continua a produrre felici esecuzioni. Il palazzo di Versailles aperto a una infinita prospettiva, modulata formalmente, sarà il gusto che caratterizzerà i giardini di questo periodo.

111 112

Ibidem p. 267. Già con la vigna di Madama Cristina si riscontrano chiari influssi formali.

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Il giardino di Collodi è un’autorevole esempio di giardino barocco toscano: “Qui la serie di terrazze le scalinate, il labirinto, il teatro di verzura, i giochi d’acqua ne definiscono l’aspetto architettonico al quale partecipano i viali di palme e di cipressi, realizzando una struttura ad alto contenuto scenografico”113, collegato al castello tramite l’accesso di un ponte fiancheggiato da un delizioso labirinto.

Il giardino di Collodi in un disegno del 1913 (da Maresca 2004); e pianta della villa Garzoni a Collodi (da Tagliolini, 1994).

113

G.Caneva 2004, p. 264.

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“Agli albori del secolo XVIII l’arte italiana dei giardini gode i frutti del suo glorioso passato. Le tesi barocche vengono convalidate nella loro accezione di esemplarità classica e rinvigorite nel linguaggio dai nuovi valori spaziali e cromatici trasmessi dall’arte francese[…]” e se Versailles, Vaux-le-vicomte, Chantilly sono i nuovi modelli di un giardinaggio ormai aperto al confronto europeo, in Italia si cercano ancora “[…] le valenze inespresse di un linguaggio che nelle opere tardoseicentesche non aveva mancato di dare Elaborate siepi del giardino fronteggiano la facciata stupendi esempi”114. La tradizione del castello di Vaux le Vicomte. profondamente classica e i giardini a terrazza che ben s’inserivano nella morfologia del territorio collinare italiano, ostacolano l’affermarsi di quella poetica, elaborata fin nelle prime decadi del Settecento in Inghilterra, che diede vita al giardino romantico.

Veduta del parco di villa Corsini alla Lungara (da Tagliolini, 1994).

114

A. Tagliolini 1994, p. 271.

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Il giardino nel Settecento In questo secolo l’Italia apre le sue tradizioni a due correnti d’oltralpe, a quella formale francese e al gusto informale inglese, la prima è la naturale evoluzione dei canoni rinascimentali (adattati al territorio francese), la seconda stravolge schemi e simmetrie per generare una più intima fusione con il paesaggio stesso. “Gli artisti che operano in Italia si fanno garanti della tradizione rinascimentale […] la magnificenza che nel Settecento l’arte italiana esprime nelle pitture che decorano gli interni delle ville si rispecchia all’esterno nelle visioni scenografiche che investono la flora con i grandiosi effetti delle scalinate, delle fontane e dell’ornamento in genere”115. La Francia influenzò tutto il nord Italia, non privandolo però di realizzazioni di carattere.

Batty Langley fu tra i primi ad introdurre forme irregolari nel tracciato del giardino, come evidenziato da quest’immagine, tratta dal suo trattato New principles of gardening, del 1728 (da Accati-Rezza, 1998).

Il Piemonte trova in Filippo Stupinigi, particolare dei del giardino nella corte d’onore e dei Juvarra e il suo geniale boschetti di verzura. Le presenze verdi a Stupinigi sono solo esprimersi architettonico la un’eco di quelle originali scomparse già agli inizi del Novecento. risposta autorevole agli influssi formali. Stupinigi sorprende non solo per la novità della palazzina impostata a croce di Sant’Andrea, ma anche per il suo raccordare attraverso i giardini la partenza dei viali adibiti al percorso delle battute di caccia, al bosco, compenetrandone circolarmente il perimetro. La Lombardia proseguiva nel disporre i giardini con i canoni dei modelli laziali importati da Carlo Fontana e proseguiti attraverso l’operato di Giovanni Ruggeri suo allievo. Ce ne danno esempio la villa Somaglia ad Orio e la villa Trivulzio ad Omate. Queste ville denotano nel complesso impianti che seppur delimitati da cinte e canali, trascendono l’ostacolo nell’orizzonte del paesaggio coltivato. Il trattatoVille di delizia o siano palagi camparecci nello stato di Milano, pubblicato nel 1726 da Marcantonio Del Re offre visione della sistemazione delle ville lombarde a quel tempo, tra cui, oltre quelle del Ruggeri, anche quella di villa Brentano a Corbetta progettata da Francesco Croce, dove il disegno di viali simmetrici offriva infinite prospettive di visione richiamate a giardino dalle forme realizzate dall’arte topiaria, e di villa Novati a Merate trasformata da Giacomo Muttone, distinta nei suoi giardini dalla scansione a terrazze verso l’est dell’edificio, ricchi di elementi scultorei coronati sul fondo da un’ampia peschiera e un labirinto.

115

A. Tagliolini 1994, p. 272.

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In Veneto si aggiornano gli impianti cinquecenteschi secondo i nuovi modelli. Tra il 1718 e il 1746 Francesco Antonio Muttoni cura la sistemazione dei giardini di villa Trissino: “Davanti all’edificio superiore si stende un ampio cortile che trova un suo rimando spaziale nel belvedere triangolare, punta avanzata del piano del palazzo” riferimento focale della composizione convogliato attraverso parterre da un lato, e dalle cedraie dall’altro, intelaiate “da un ricco portale ornato di statue e di pinnacoli e da una superba cancellata in ferro battuto”116. E se Piemonte, Lombardia, Veneto elaborano ancora nuove residenze, la Liguria trova, con la villa Gavotti costruita intorno alla metà del Settecento, la sua più matura espressione tardobarocca. L’operato di Andrea Tagliafichi ritocca a Genova le antiche ville patrizie “gli interventi di restauro enunciano già motivi formali neoclassici e nella sistemazione dell’ambiente naturale mostrano la volontà Veduta del parco di villa Novati a Merate (da Tagliolini, 1994). di conciliare la tradizione dell’impianto con le istanze delle nuove mode paesistiche che 117 si affacciano nei desideri della committenza” . Toscana e Lazio risultano essere meno propense ad adottare lo stile formale. Il rinnovo avviene anche attraverso l’arte dei giardini, a partire proprio dallo splendido patrimonio lasciato dal passato recente. A Firenze il vigente governo lorenese, attraverso il granduca Pietro Leopoldo, aggiorna gli impianti di Poggio Imperiale, le Cascine, Boboli. In quest’ultimo “I viali sono ingranditi, si costruisce il giardino degli Ananassi e viene eretto l’obelisco egiziano in mezzo all’anfiteatro” , l’apertura al pubblico e le costruzioni adibite a serra contribuiranno a mantenere attivo e produttivo il giardino.

Anfiteatro di Boboli l'obelisco egiziano di Ramsete II; e L’anfiteatro di Boboli nell’intervento settecentesco. 116

Ibidem p. 285.

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A Roma attenuante al dilagare del rococò risulta essere la presenza dell’antico e il ritorno nelle prime decadi del secolo di canoni cinquecenteschi. Le controtendenze antibarocche si rivelano nel dibattito per la scelta dei progetti di alcuni lavori urbani tra cui la fontana di Trevi, realizzata poi ispirandosi al paesaggio romano. La resistenza romana al rococò è stemperata da grandi realizzazioni, il giardino barocco s’inserisce a contorno dello spettacolo offerto dai monumenti della città, per via di impianti effimeri o complessi interventi urbani. Ferdinando Fuga decora i giardini di Palazzo Corsini, complemento della costruzione sono i “viali centrali e laterali, protetti da alte pareti arboree che isolavano i due settori decorati a parterre ai cui estremi erano situate le fontane”118. Se Piranesi guarda nelle sue illustrazioni alle bellezze del passato, è con villa Albani progettata a metà secolo da Carlo Marchionni che traspare dal gusto tardo-barocco l’anticiparsi del neo-classicismo. “Un ampio parterre di gusto francese, con una fontana a calice nel mezzo, Giovan Battista Piranesi un grottesco (da Tagliolini, 1994). collega con un arabescato disegno le due costruzioni[…]Reperti archeologici sono disposti in molte parti del giardino, accostati e composti in modo da formare originali fontane[…] i nuovi orientamenti di gusto riproponevano nella natura quegli stessi valori di libertà e di purezza che gli ideali neoclassici avevano riscoperto nell’architettura del passato”119.

Nel Meridione è a Napoli che la ripresa dalle precarie condizioni di vita si concreta in programmi volti all’abbellimento della città. Alle residenze rinascimentali abbandonate o scomparse si sostituiscono numerose ville edificate dalla fiorente e ricca borghesia, i giardini delle villa dei Pignatelli e di Monteleone sono i belvedere delle stupende bellezze offerte dal panorama costiero. L’episodio più significativo rimane la Reggia di Caserta. F Sicuro, veduta della villa Favorita a Resina. La caratteristica che accomunava i giardini delle ville intorno a Napoli era ed è ancora la presenza del Vesuvio. (da Tagliolini, 1994).

117

Ibidem p. 287. Ibidem p. 293. 119 Ibidem p. 298. 118

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Luigi Vanvitelli, progetto per la Reggia di Caserta (da Tagliolini, 1994).

Progettata da Luigi Vanvitelli e iniziata nel 1752, al grandioso progetto si associano grandiosi giardini. Il complesso di sculture mitologiche segnano la straordinaria concezione “Il maestoso giardino si svolge sull’asse del palazzo in un’ampia scenografia prospettica dominata dall’acqua”, la quale segna la scansione allegorica, che a partire dalla discesa da un silvestre monte diviene corredata di figure e deposta nella successione di bacini e peschiere,”Questo acceso racconto mitologico, vivacizzato dai getti d’acqua un tempo assai copiosi, si spegne nei grandi arabescati parterre, oggi sostituiti da più semplici prati, che fronteggiavano il prospetto interno del palazzo”120. Gli accorgimenti operati dal Vanvitelli trasfigurano il limitato spazio disponibile in una grandezza pari a quella delle maggiori residenze europee. Alla dinastia borbonica sono legate anche altre opere come i giardini delle regge di Portici, progettata dallo stesso Vanvitelli, Capodimonte, e la villa Flora a Palermo. Costruita nel 1777 e progettata da Nicolò Palma, si rivela avere uno dei primi giardini a carattere chiaramente pubblico in Italia: tra viali a croce e diagonali la pianta quadrata è aperta sulla metà di ogni lato. Inscritto nel quadrato risulta il percorso alberato circolare. Il giardino presente ancora oggi è aggiornato da esedre neoclassiche inserite successivamente. L’Italia fa da culla per l’incanto che suscita a quel tempo il suo territorio e la sua natura ai molti artisti e viaggiatori esteri: oltre a Goethe121e a Johann Joachim Winckelmann, troviamo William Kent e Alexander Pope, personaggi inglesi, i quali elaborano da questi viaggi quello stile che verrà definito paesaggistico o informale. Tappa fondamentale del tour italiano era sicuramente Roma. Oltre all’ambiente di villa Albani, tramite di incontri tra personaggi come il Wilckelmann e Anton Raphael Mengs fondamentali per la definizione dello stile neoclassico nel giardino settecentesco, da Roma deriva lo stile informale: Alexander Pope e William Kent, lo elaborano a partire dagli ampi orizzonti aperti dallo studio della pittura di paesaggio nel Seicento, da quell’assimetria accennata dal gusto rococò, e dalle 120

Ibidem p. 303-304. Egli fornisce numerosi descrizioni dei giardini che incontra durante le soste del suo viaggio in Italia nella seconda metà del Settecento.

121

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testimonianze culturali orientali e antico romane. William Kent autore dei primi esempi di giardino pittoresco, “Soggiornò otto anni a Roma dal 1711 al 1719, studiando pittura sulle orme dei grandi maestri paesaggisti del Seicento”, autori di un notevole patrimonio di immagini; “i luoghi rappresentati nei loro quadri ove appaiono alberi centenari, fontanili rustici, erme e rovine, altro non erano che i selvatici dei giardini rinascimentali confinanti con la campagna romana”122. Il sunto è un nuovo modo di concepire la natura, libero da quelle strutture in cui l’uomo l’addomestica, in cui si possa rivelare appieno la bellezza delle forme spontanee naturali proprie dell’originale paesaggio. Natura e pittoresco vengono così ad intrecciarsi mediante esperimenti e creazioni indirizzate ad un equilibrio tra gli elementi, le suggestioni italiane rivelavano già in parte quest’approccio che associato alla tendenza naturale delle piante esotiche di caratterizzare il giardino asimmetrico assunse dopo la morte di Kent, per opera di Capability Brown suo allievo, caratteri esclusivamente naturalistici. Le masse arboree libere e la morfologia del terreno richiamano non un paesaggio come sfondo, ma come artefice in primo piano. E se l’architettura mantiene integra la propria classicità, assunta nella visione palladiana del termine, il giardino evolve non più come proiezione dell’edificio in natura, ma come mondo autonomo, ricordo, attraverso piante esotiche, di terre e tempi lontani, che l’arte del giardinaggio ha per libertà il potere di evocare e ricreare. “Non a caso nella nuova arte del giardinaggio troveranno ampi spazi le istanze di un secolo che contrappone ai convenzionali schemi barocchi una stimolante evasione, mediante la riproposta degli stili d’ogni tempo, dal gotico al rinascimentale, al cinese, al turco[…] l’effetto che questa teoria dei giardini provocò nella cultura europea fu profondo” 123 e se già a partire dalla seconda metà del XVIII secolo il paesaggismo inglese attecchì in Francia e Germania, bisogna aspettare le ultime decadi del secolo per ritrovarne qualche esempio in Italia, spesso realizzato promiscuo a quello formale, essendo il giardino paesaggistico “una licenza per pochi eletti”. Autorevoli sono comunque gli esempi e le figure coinvolte nel concretizzare il nuovo stile, accolto con anticipo da interventi nel nord Italia. Nel 1787 in Piemonte è con Giacomo Pregliasco che il parco di Racconigi, disposto secondo il progetto di Le Notre, assunse i connotati della nuova moda per esplicita volontà della principessa Giuseppina di Lorena; la Lombardia si rivelò tra le regioni più aperte rivelando il nuovo stile paesaggistico nelle figure di Giuseppe Piermarini e del suo discepolo Leopoldo Pollack. Giacomo Pregliasco progetto per la trasformazione del parco di Racconigi (collezione privata; da Tagliolini, 1994).

122 123

Ibidem p. 316. Ibidem p. 318.

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Veduta della villa Reale di Monza, tav. VIII (da Silva, 1801).

Nei giardini della reggia di Monza il Piermarini optò per una compresenza di stili, ai tracciati tardobarocchi si alternavano brani di giardino paesistico. Ma è con Pollack che il giardino moderno lombardo determinò una svolta nel rapporto con il palazzo per cui sorgeva. “Il progetto della villa Belgioioso (poi reale) a Milano, oggi villa Comunale, raggiunge in modo esemplare l’integrazione dell’edificio all’ambiente naturale riproposto, svincolandosi nettamente da ogni compromesso con la tradizione. La grandiosa integrità spaziale e monumentale dell’architettura neoclassica si specchia in un ambiente dove la natura effonde con altrettanta integrità e solennità quei valori poetici che risvegliano i sentimenti.”124. È Francesco Bettini, formato da viaggi in Inghilterra e Francia la figura di riferimento che riuscì a farsi interprete della poetica paesaggista adattata al mondo romano.

Leopold Pollack progetto in pianta per il parco della villa Belgioioso a Milano (Raccolta Bertarelli, Milano).

124

Ibidem p. 334.

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Francesco Bettini progetto per il parco di villa Doria a Roma (da Tagliolini, 1994).

Egli riportò la pratica assimilata nei suoi viaggi in una intensa attività progettuale. Dei molti disegni e progetti l’unico realizzato fu quello del giardino per la villa del cardinale Giuseppe Doria giostrato tra elementi architettonici esotico-simbolico-evocativi e inserimenti ad arte di una flora appositamente ricercata. “Un progetto grandioso […] che non ebbe il tempo di crescere, giacchè le vicende politiche che in quegli anni afflissero la città non permisero la sua sopravvivenza: e dopo essere stata abbandonata per alcuni anni all’incuria, passò di mano finché nel 1830 non venne acquistata dai Borghese e incamerata nella loro vicina proprietà”125. Tra le realizzazioni di maggior rilievo ritorna il giardino della reggia di Caserta; annesso a quello formale il giardino all’inglese nasce per volontà della regina Maria Carolina di Napoli. La realizzazione nel 1774 del primo giardino all’inglese di Francia nel parco di Versailles su desiderio della sorella di Carolina, Maria Antonietta moglie di Luigi XVI, comportò il parallelo a Caserta.

125

Ibidem p. 329.

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Nella veduta aerea della Reggia di Caserta si nota sulla sinistra annesso al complesso dei giardini il parco paesaggistico (da Google Earth).

All’architetto Carlo Vanvitelli venne affiancata la figura di un esperto botanico chiamato apposta dall’Inghilterra. La realizzazione comprende numerose vedute di templi, pagode e architetture apposite come le serre e il criptoportico. Il Vanvitelli si adopera anche per risolvere il problema del convoglio delle acque e per realizzare il laghetto artificiale. Sul finire del XVIII secolo, pubblicazioni e scritti sul giardino edite da ricercatori e letterati oltre che fornire esempi guida e modelli per la creazione dei giardini secondo il nuovo stile, rivendicavano l’Italia come patria del giardino paesaggistico: non soltanto Ippolito Pindemonte, con la sua Dissertazione sui giardini inglesi e sul merito di ciò dell’Italia pubblicata nel 1792, ma anche altri personaggi a cavallo tra i due secoli come Melchiorre Cesariotti e Antonio Caregaro Negrin architetto operante nel XIX secolo. “Il dibattito dimostrava che la fama dei primi giardini realizzati si stava diffondendo, ma che rimanevano ancora alcune resistenze, palesate dal consiglio dei tre autori di far coesistere giardini formali vicino all’edificio principale e informali nell’intorno”126. Ma sul finire del secolo è chiaro che l’evoluzione del giardino italiano viene assorbita da un progressivo ritorno alla natura incontaminata, forse anche per controbilanciare i sentori di una esplosiva crescita urbanistica che avvolse le città europee.

126

G. Caneva 2004, p. 270.

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Il Giardino nell’Ottocento Il primo trattato italiano a completo favore dell’arte dei giardini inglesi fu quello Dell’arte dei giardini inglesi, scritto da Ercole Silva e pubblicato per la prima volta a Milano nel 1801. “Il trattato acquista subito una grande notorietà sia per la dotta esposizione delle varie problematiche, illustrate da tavole esemplificative, che per la personalità illustre dell’autore”127. Il Silva avvalorò ancor di più le tesi e la guida offerta nel suo trattato attraverso l’esperienza personale: nel parco della sua villa a Cinisello egli riversò tutta la sua cultura, l’uso della flora secondo la poetica paesaggista, intesa come inno alla natura da Capability Brown, è immancabilmente corredato da tempietti, grotte, obelischi, colonnette votive, laghi e isolette. Il Silva però cerca di aprire le possibilità di realizzare un giardino paesaggistico a un maggior numero di committenti affermando nel suo trattato che “un giardin naturale Tav. I, da Ercole Silva, 1801. potrà però essere vago anche senza questi estranei soccorsi”128.

La visione naturalistica e quella pittoresca di uno stesso sito (Payne Knight, 1794; da Caneva 2005).

L’evoluzione dello stile detto inglese continuò fin oltre la metà del XIX secolo, manifestando sfumature romantiche, pittoresche, naturaliste, approfondendo conoscenze botaniche con la continua scoperta di specie esotiche129 il cui inserirsi nei giardini e in serre appositamente costruite comportò una vera e progressiva tropicalizzazione degli ambienti.

127

A. Tagliolini 1994, p.321. E. Silva, 1801 p. 307. 129 Portata dalle numerose spedizioni, ed esplorazioni botaniche in Africa, Asia, America del XIX secolo. 128

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Cassa di Ward, utilizzata dai plant hunters(cacciatori di piante) per trasportare in Gran Bretagna vivi e integri gli esemplari vegetali esotici. Questo strumento contribuì a diffondere numerose specie sconosciute (da Accati-Rezza, 1998).

Interno di una serra vittoriana (da Caneva 2005).

In Italia un vigoroso apporto ideale e concreto alla costruzione di parchi venne dalle conquiste napoleoniche. Le città mutarono radicalmente scenario: a Torino si abbattono le mura fortificate per dar spazio ai giardini pubblici, a Milano Gianantonio Antolini progetta Foro Bonaparte pensandolo circondato da giardini formali, a Venezia Giovanni Antonio Selva progetta e realizza i nuovi giardini pubblici. In Toscana, ribattezzata col nome di Regno di Etruria, la figura di Elisa Baciocchi si fa garante dei programmi napoleonici. Si inizia a rinnovare Boboli;

L’interpretazione iconologia moderna proposta da Marco Dezzi Bardeschi per il restauro del parco storico delle Cascine (da Tagliolini, 1990).

Le Cascine vengono adibite a parco pubblico e sulla carta per opera di Giuseppe Manetti si prefigurano le trasformazioni paesaggiste degli impianti della villa di Poggio a Caiano e villa Poggio Imperiale rimaste inattuate. Anche Villa Marlia presso Lucca viene trasformata nello stile inglese da Pasquale Poccianti. “Nell’onda napoleonica di rinnovamento va ricordato il fantasioso ed ambizioso progetto redatto dallo scenografo Antonio Basoli, esponente di spicco della cultura bolognese, per l’ampliamento del parco di palazzo Albergati a Zola, scelto intorno al 1805 come residenza della Corona imperiale”130. 130

A. Tagliolini 1994, p. 346.

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Manifesto delle intenzioni napoleoniche risultavano gli interventi a Roma, per la città venne scelta la costruzione di due parchi comprendenti vaste aree tra cui quella archeologica dell’Appia Antica e del parco del Pincio redatti da Giuseppe Valadier. Per quest’ultimo la sistemazione delle zone tra il Pincio e piazza del Popolo comportò alcune polemiche sanate dalla volontà di conferire al progetto una monumentalità francese. “La proposta firmata dal de Tournoun” prefetto e anima delle realizzazioni napoleoniche a Roma “spingeva i giardini fino al Tevere risolvendo felicemente l’area pianeggiante aldilà dell’emiciclo con un’estesa piantagione di platani a quinconce, tagliata da ampi Il progetto francese del 1813 per il Pincio redatto dal progetto di viali”131. Giusepe Valadier (da Tagliolini, 1994). A Napoli è Antonio Niccolomini il referente dello spirito paesaggista; egli maturando esperienza tra i fervori edilizi portati dalla presenza francese realizzò a partire dal 1816 il giardino nella villa la Floridiana su commissione di Ferdinando I appena ritornato dall’esilio. “La concezione pittoresca si esprimeva nell’articolata varietà delle scene disposte nel giardino che sfruttavano abilmente il carattere del terreno e permettevano all’architettura di integrarsi felicemente all’ambiente naturale godendo l’eccezionale panorama che si apriva dal Vomero”132. La preminenza delle colture nelle realizzazioni di inizio secolo è portata anche dall’introduzione di piante esotiche, per la cui competenza nel disporle valse l’esperienza fornita dal giardino paesaggistico. Il botanico diventa così la figura di riferimento nelle realizzazioni privando gli architetti, pittori e le belle arti in genere del loro ruolo centrale133. “Ne consegue l’affermazione dei direttori dei giardini che, per la loro capacità ed esperienza, sono delegati a curar l’originalità dello spettacolo consentita dalle nuove specie”, alle figurazioni consunte dalla moda di architetture evocative si sostituisce la flora, costruttrice del nuovo spazio

G. Palermo rilievo della pianta della Floridina a Napoli 1826 (Museo di San Martino, Napoli).

131

Ibidem p. 351. Ibidem p. 364. 133 Caserta costituisce il primo illustre esempio: il botanicoGraffer fatto venire apposta dall’Inghilterrà affiancherà il Vanvitelli nella realizzazione del giardino informale. 132

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“una sorta di crociata in nome di un risveglio della natura che invade le ville patrizie e i luoghi pubblici”134, che condurrà a quel sereno disporsi del giardino paesaggistico come tramite tra il pensiero illuministico e la visione romantica della natura. “Non a caso il giardino moderno raggiunse il successo quando la corrente romantica ravvisò in esso l’immagine emblematica della propria ideologia”. E se l’architetture evocative, gli spunti esotici sorgevano a manifesto del pensiero illuminista, l’interpretazione del medioevo suscitata dal “culto delle rovine” riporta in auge i valori cavallereschi ed eroici fondamentali secoli addietro per la ripresa della cultura “mentre l’arte quale esperienza umana, rivendicava ormai l’autonomia del sentimento come criterio di gusto”135. È proprio il sentimento a garantire, dopo il crollo dell’Impero napoleonico e l’affievolirsi del gusto neoclassico, la creatività nell’arte dei giardini, scenario fondamentale nell’accogliere l’interiorità come libertà dal tempo e la fantasia in seno alla realtà. Giuseppe Jappelli è la figura di riferimento per l’esprimersi di questa nuova piega dell’arte giardiniera. Oltre alla realizzazione del giardino di Saonara nei pressi di Padova e all’aggiornamento di villa Selvatico a Battaglia, lo Jappelli è chiamato per eseguire l’ultimo importante giardino di committenza romana: villa Torlonia segna un linguaggio celebrativo, portato da figurazioni ludiche come la serra moresca, o il campo chiuso, costruito con pietre “di color somigliante al legno, acciò sembri opera non stabile, ma eretta Giuseppe Jappelli progetto di trasformazione di un giardino all'italiana in un giardino paesistico (Biblioteca Civica di Padova).

all’opportunità di una festa”136, evoluzione dello stile architettonico dello Jappelli dai motivi simbolici massoni delle precedenti realizzazioni.

Veduta panoramica di villa Torliona, incisione (da Tagliolini, 1990).

134

Ibidem. Ibidem p. 352. 136 G. Cecchetelli, Una giornata di osservazione nel palazzo e nella villa di S. E. il signor principe D. Alessandro Torliona, Roma 1847, in A. Tagliolini 1994, p 354. 135

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Serra e torre moresca nella villa Torliona a Roma (da Tagliolini, 1994); e veduta attuale tra il rigoglio di piante esotiche (da Tagliolini, 1990).

L’influenza dello Jappelli si diffonderà per tutto il Veneto. Mentre sui laghi di Como e di Varese sorgevano stupendi parchi, la cui vegetazione è libera dalle ristrettezze cittadine che ormai si facevano pressanti per il giardino paesaggistico, in Liguria le trasformazioni operate precedentemente dal Tagliafichi si rivelano nella crescita di esemplari vegetali esotici, a cui si associa il sorgere per fini botanici di altri giardini voluti per l’interesse dei committenti su questo tema favorito dal clima della riviera. Anche la Toscana accolse il giardino moderno come evoluzione di una tradizione secolare. Oltre le trasformazioni di giardini privati come quello dei Corsini e dei Guicciardini a Firenze notevole è il caso del parco di Pratolino. Ferdinando III chiamò un certo Joseph Fricks che a partire dal 1818 nell’arco di tre anni lavorò sulle rovine del precedente impianto ideato dal Buontalenti.

Joseph Fricks progetto per il parco di Pratolino 1823 (Stanì Ustrednì Praga).

Gli inserimenti di nuove specie arboree comportarono la trasformazione ma anche la rinascita del parco a scapito della villa che venne demolita. “Il fascino di Pratolino consiste nell’armonica 78


convivenza di due tipi della architettura del paesaggio: il parco manierista tracciato da Bernardo Buontalenti secondo un disegno di significato arcano scenario delle pratiche alchemiche di Francesco I de’Medici, il principe mago; il parco romantico costruito a più vasta scala da Giuseppe Fricks sulle rovine del precedente, specchio della nuova cultura borghese degli spazi aperti introdotta in Toscana dai Lorena”137. Preziosi risultano essere gli interventi in ambito toscano di Luigi Cambrai Digny tra cui gli Orti Oricellari, costruiti includendo testimonianze più antiche, inserite in un grandioso percorso allegorico di cui oggi risulta solo in qualche traccia. Nel secolo XIX oltre ad affievolirsi la fiaccola del giardino paesaggistico consunta nelle sue accezioni, la seconda metà del secolo vede il successo del giardino privato marcatamente incalzato nel suo spazio dall’edilizia urbana, in forte crescita ed Scorcio degli Orti Oricellari a Firenze (da Caneva, 2005). espansione. Gli spazi riservati della villa e la natura romantica cedettero il passo al progresso, dove sono il giardino pubblico e il giardino eclettico, caratterizzato da più stili antichi adattati in chiave moderna, i riferimenti assunti per conformare la natura alla città. A partire dal terzo decennio del XIX secolo Charles Barry e William Andrews Nesfield realizzarono nel Regno Unito numerosi giardini d’ispirazione italiana che valse a queste opere l’appellativo di ‘italianate gardens’, il contributo del ritorno al gusto formale valse a caratterizzare parte delle accezioni proprie del giardino eclettico “la cui caratteristica saliente fu la convivenza di parti formali e informali in zone diverse, a comporre in molti casi un repertorio museale degli stili storici precedenti che ebbe peraltro come conseguenza la fine dell’unitarietà dello stile nei progetti”138. Se i parchi caratterizzano le politiche urbane di molte città europee come a Parigi nel parco di Buttes Chaumont realizzato da Pierre Barillet Deschamps o quello del Valentino a Torino, il giardino eclettico viene assunto come indice della Belle époque.

137 138

A. Tagliolini 1990, p. 296. G. Caneva 2004, p. 274.

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Esempio di giardino eclettico.

Ogni paese ne rivela sfumature assimilabili in un’identità nazionale, “in Inghilterra l’eclettismo giardiniero coincise con il giardino vittoriano, caratterizzato da un giardino ‘immediato’ attorno all’edificio principale […] in Francia dalla rinascita dei giardini seicenteschi; basandosi su documenti dell’epoca Henry Duchène e il figlio Achille restaurarono, tra gli altri il parco di Vaux le Vicomte, opera di Le Notre, nelle sue forme attuali[…] in Italia l’eclettismo si manifestò nei giardini pubblici”139. Palermo, Genova, Milano aggiornarono il loro volto dotandosi di parchi come il giardino Inglese a Palermo e la passeggiata dell’Acquasola a Genova. Con l’unione d’Italia sotto lo scettro dei Savoia, la successione delle capitali del Regno140 valsero a intervenire profondamente nel tessuto urbano che accoglieva, seppur aggiornati, ancora numerosi esempi di giardini storici. Particolarmente trasformate secondo le direttive sabaude furono: Firenze, dove le realizzazioni operate da Giuseppe Poggi valsero appena a bilanciare le demolizioni operate per trasformare la città in capitale e Roma completamente alterata dal prevalere di interessi speculativi che demolirono alcuni tra i più importanti giardini storici presenti all’interno delle mura aureliane. Le ville suburbane in genere perdono il loro ruolo primario di riferimento culturale, sostituito dai fermenti cittadini, e l’impegno dei proprietari nei giardini si manifesta nell’apporto di una flora sconosciuta. Il desiderio di riconquista rivolto agli antichi splendori si infrange nella realtà del nuovo tessuto cittadino, portando la scomparsa o la minimizzazione di molti giardini. “La relazione felice che lega l’uomo al giardino, e questo al paesaggio, non sarà facile da attuare e resterà ancora patrimonio di una mera intuizione letteraria: la crisi del giardino paesaggistico ottocentesco in Italia conferma così il limite di una poetica che nella sua ricerca si era svuotata di quei contenuti che l’arte, al contrario aveva saputo custodire. Il riaffiorare di un ordine geometrico nella sfera del giardino non produrrà comunque nessuna svolta ideologica profonda: nella realtà

139 140

Ibidem p. 175. Torino 1860, Firenze 1864, Roma 1871.

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italiana i movimenti eclettici trascineranno l’arte dei giardini in una impasse che solo le avanguardie artistiche del XX secolo, con l’audacia del loro estro creativo riusciranno a superare�141.

141

A. Tagliolini 1994, p. 371.

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Il giardino nel Novecento Con l’avvento del XX secolo all’eccessiva artificiosità del giardino eclettico vittoriano si sostituì un bisogno più genuino e semplice, anche a livello gestionale e manutentivo, di vivere l’ecologia del giardino. Un gruppo di progettisti sulla fine del XIX secolo riscoprì, attraverso il loro leader Robinson Williams, nell’approccio naturalistico al giardino un nuovo modo di intenderlo e realizzarlo, inserendo piante perenni come elementi principali, libere nella loro crescita e nel loro susseguirsi di colori. Gertrude Jekyll realizzò moltissimi giardini sperimentando altrettante combinazioni, in cui nelle composizioni tra percorsi formali balenavano gli effetti coloristici delle perenni. I giardini a stanze che attraverso l’opera della Jekyll caratterizzarono il giardino Inglese per buona parte del XX secolo trovarono riflessioni paesaggiste attraverso l’opera di Geoffrey Jellicoe Jardins à Fez, disegni di A. Laprade 1918 (da Giusti, 2004). autore di Sutton Park, uno dei parchi più significativi del XX secolo e Russel Page attivo in Francia. Il rinnovato gusto per il colore si diffuse per l’Europa: Germania e Francia espressero tale comporre con i colori e le forme fornite dai fiori, sapientemente calibrati nell’espressione di Jean Claude Forester e Andrè Vera e preludio al decò nell’ambito della Secessione viennese, evolvendosi al pari di altri rami artistici, verso un oggettivo uso delle geometrie e della simmetria del disporre le piante. Il vivaismo si orienta sia nella produzione di piante autoctone che nell’importazione di quelle sconosciute orientali (papavero del Tibet, Albero dei Fazzoletti), la cui gestione non richiedeva cure speciali.

L’apprezzamento e la passione verso le specie esotiche tipici dell’epoca vittoriana, portarono a realizzazioni sovente ‘azzardate’, come è accaduto a questa famosa alberata a Bicton, in Gran Bretagna. Araucarie e abeti sono intervallati da yucche nane (da Accati-Rezza, 1998).

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Oltre all’interesse crescente di pubblicazioni, riviste con la traduzione dei testi di altri esponenti europei, abbondavano i manuali di giardinaggio: oltre al Manuale di floricoltura di Giuseppe Roda del 1891 si ricorda anche la Istruzione teorico-pratica dell’arte dei giardini di piacere edita nel 1928-29 dai professori Giuseppe Moretti e Carlo Chiodini, indicativi per il diffondersi a livello amatoriale delle pratiche di giardinaggio. “Il periodo tra i due secoli fu caratterizzato in Italia anche dai primi restauri di giardini storici, considerati non soltanto fonte d’ispirazione per i giardini ex novo, ma degni essi stessi di tutela”142 Tra i primi interventi di restauro del Novecento troviamo i lavori eseguiti a villa Gamberaia e promossi dalla principessa Catherine Jeanne Ghyka, a villa Guicciardensi Salviati a Sesto Fiorentino nel 1907. Con questa direttiva l’Italia sembra chiudersi alle novità artistiche, ma l’interesse straniero per il patrimonio verde dell’Italia continua ad approfondirsi tramite numerose pubblicazioni specifiche a fronte Frontespizio del Manuale del Giardiniere floricoltore, pubblicato nel 1891 da dell’unico accenno italiano promosso da Luigi Dami nel Marcellino e Giuseppe Roda. suo Il Giardino Italiano del 1924. La conclusione del panorama italiano alle correnti estere svilì il giardino come fonte primaria per lo stimolo e lo sviluppo delle arti figurative, quali scultura e architettura che lo aveva caratterizzato fin dal XVI secolo e non si riesce ad uscire dal ripetersi di un decorativismo privo temporaneamente di quel guizzo geniale con cui l’Italia aveva prodotto vere e verdi opere d’arte. In Italia permane ancora la stile eclettico, scalzato solo dalla presa di coscienza di un patrimonio storico da salvaguardare (da cui i primi interventi di restauro e ripristino), fonte autorevole di ricerche, studi e pubblicazioni. La “Mostra del giardino italiano” tenuta a Firenze nel 1931 e organizzata da Ugo Ojetti è tra i primi tentativi di diffondere la storia del giardino in Italia e di esaltare il ruolo preminente avuto dalla penisola anche Il parterre della villa Gamberaia rinnovato dalla principessa Ghyka (da in quest’arte. Colloquio internazionale sulla storia della conservazione dei giardini, Se gli interventi di inizio 2005). secolo mirano a resuscitare 142

G. Caneva 2004, p. 277.

.

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il giardino nella sua forma originale, privandolo di quella storia che lo aveva modellato incessantemente nel corso di secoli, tali operazioni, interpretate da noi oggi come eccessive e criticabili, sono da considerarsi genuine nel loro tentativo di sfrondare i giardini da tutto quel sovrapporsi di stili che ne occultava la purezza, è per questo che si guarda al passato nel tentativo di recuperare un ampio patrimonio spesso troppo trascurato. Sapere che le caratteristiche con cui si tramanda un giardino passano sotto il vaglio delle epoche che attraversa, rivela un’attenzione che oggi conosce più prospettiva di quanto non si avesse all’inizio del secolo scorso. Si riparte dopo la mostra del 1931 e ancor prima con Cecil Pinsent, (progettista per la colta committenza inglese insediatasi in Toscana dei giardini a villa Tatti a Settignano e a villa Le Balze a Chianciano), interpretando il gusto rinascimentale e barocco libero da quell’eclettismo imperante che aveva caratterizzato lo stile del neonato Regno italiano. Il senso di ordine e geometria che tanto aveva ispirato l’evoluzione del giardino nei secoli passati è ritrovato nell’attività dei maggiori progettisti del periodo tra cui Raffaele Manifesto per la mostra del Vico “autore dei giardini romani di piazza Mazzini, del Colle giardino italiano, Firenze 1931. Oppio e, nel dopoguerra degli apprezzati giardini dell’EUR”143. Piante sempreverdi quali pino, bosso, cipressi ritornarono al loro amato panorama ma prive ormai di quel consumato valore simbolico che le aveva riportate in auge quattro secoli prima. La pratica e l’utilità sono necessari al pubblico e l’impianto trova impronta più nel suo autore che nel suo stile. Dopo la seconda guerra mondiale vi è un cambio di orientamento, i giardini e il paesaggio sono preda dell’espansione urbana e industriale, delle vie di comunicazione (strade, autostrade, ferrovie), delle infrastrutture tecnologiche (tralicci alta tensione, linee telefoniche, etc), il verde, compreso quello storico, è vittima di ripercussioni edili che decurtano il volto stesso dell’Italia costruito a suon di mani e di geni e di anonimi uomini nei secoli. Si diffonde in compenso il piccolo giardino privato, privo però di quella antica cultura giardiniera ed esoterica con cui i committenti del passato richiedevano i giardini e i giardini diventavano opere d’arte. La figura di Pietro Porcinai attenua tale fenomeno attraverso le richieste di una committenza aperta alla sua preparazione culturale sempre aperta e aggiornata al confronto con le correnti e i colleghi internazionali144. Egli è esempio per interventi rispettosi delle peculiarità del luogo145 i cui particolari, da lui stesso curati e disposti, siano manifesto poi di una completezza d’insieme.

Particolare dell’intervento di Pietro Porcinai nella campagna Toscana, per integrare le abitazioni al paesaggio.

143

Ibidem p. 278. Sono attestati comunque interventi a carattere verde anche rivolti alle grandi opere infrastrutturali, Lo stesso Pietro Porcinai partecipa a progettarene l’inserimento lungo innesti autostradali. 144

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“L’importanza di Porcinai è anche legata alla difesa del suo ruolo professionale di paesaggista attento ad integrare elementi artificiali, naturali e di paesaggio che lo ha reso figura di riferimento per i paesaggisti a lui seguiti e chiamati negli ultimi decenni a riqualificare zone e contesti degradati nei loro aspetti ambientali e sociali”146. Tra gli interventi di una attività durata più di cinquant’anni ricordiamo le ville toscane dei Collazzi, del Roseto e di Castelluccio e nei dintorni di Perugina il giardino Servadio. Integrare elementi naturali e artificiali in armonia con il paesaggio richiede una capacità flessibile e una cultura che non si anteponga e sia a servizio della innata sensibilità che rende umano l’essere umano, la pratica, l’intuito e l’ingegno sono qualità Villa Bona a San Vito: sistemazione del giardino, 1938, architetto Pietro Porcinai (M. Mattini, Pietro che scaturiscono dalla capacità di ascoltare il Porcinai architetto del giardino e del paesaggio, luogo in cui si agisce, l’intervento è allora Milano 1991). guidato dalla consapevolezza di operare in sintonia con l’ambiente. Ora si denota un avvicinamento dell’arte moderna al giardino (parco di Pinocchio a Collodi o Il giardino dei Tarocchi), preludio a un nuovo sodalizio tra arte e natura, fondamento stesso della cultura

Il Giardino dei Tarocchi a Grosseto. interpretazione dell’arcano “La Stella”.

145

il genius loci quando riportato nei particolari compositivi presieduti dall’uomo si concreta in un’unità di fondo con il paesaggio, da cui non può che scaturirne una più profonda armonia d’insieme. 146 G. Caneva 2004, p. 279.

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APPROFONDIMENTI

Ma il saggio Giardinier, che ben comprenda Di ciascuna il desir, può con bell’arte Accomodarsi tal, ch’a poco a poco Faccia porle in oblio le antiche usanze, E rinnovar per lui costumi, e voglie. Quanti veggiam noi frutti, erbe e radici Cha da i lunghi confin di Persi, e d’Indi, O dal Libico sen per tanti mari, per tante region cangiando il cielo, E cangiando il terren, felice e verde Menan vita tra noi! Né più lor cale Di Boote vicin, di nevi, o gielo Che l’assaglian tal’or, che il freddo spirto Sentin dell’Aquilon! Perché natura Cede in somma all’industria, e per lungo uso Continovando og’or rimuta e tempre”. Luigi Alamanni

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Peripezie delle ville romane

Pianta di Roma in un’incisione del 1688. Si notano in particolare numerosi palazzi con annessi i loro giardini (da Wilkipedia).

Tra le migliori espressioni dell’arte del giardinaggio e di ricchezza arborea, si registrano gli interventi di grandi artisti nei palazzi e nei giardini ad essi correlati. La villa diviene polo attrattivo di collezioni d’arte antica, ritrovi culturali, feste, teatri all’aperto, ed è spesso il giardino ad ospitare nella bella stagione tutto questo. Ecco perché la sua fisionomia muta e si adatta alle esigenze di quel presente. Molte di quelle ville con le collezioni e gli apparati ad esse annesse sono andate distrutte, gli arredi e le raccolte smembrati, i giardini, manomessi, trascurati o distrutti. Palazzo Alfieri a Oriolo Romano, villa Pamphili, villa Ludovisi e ancora altre hanno conosciuto azioni devastanti. Le amministrazioni statali e capitoline succedutesi dal 1870, non tennero conto del valore e dello stile che si poteva conferire alla nuova capitale. Grandi interessi edili sradicarono intere ville e i loro apparati costruiti nei secoli, facendo spazio a case e edificati di cemento.

A Roma permangono comunque oasi verdi, soprattutto in corrispondenza delle ville rimaste e dei siti archeologici, come evidenziato da questa ripresa aerea della “Città Eterna”.

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Il giovine Regno d’Italia perdette l’occasione di fare di Roma un’ecologica e moderna meraviglia, la conservazione dei giardini di ville e dei loro fabbricati avrebbe mantenuto e tramandato un patrimonio d’inestimabile valore, con risultati urbani alla stregua dei più moderni obbiettivi ecologici e purtroppo oggi non più ottenibili. Estese a tutte le città dell’edificato regno furono le perdite di tali gioielli di cultura ed estetica, distrutti da speculazioni ed ignoranza che han volutamente, per interesse, travisato la vera Italia, quella costruitasi nei secoli di convivenza, scambi e lotte tra stati di culture diverse, ma già unita dai fuochi del genio sorti in tutto il suo territorio. Villa Ludovisi dichiarata nei suoi giardini e nelle proprie architetture superiore a Versailles e alle Tuileries, venne inghiottita dall’omonimo quartiere; a Roma almeno 53 sono le ville distrutte, le altre rimanenti sono spesso menomate del giardino, in esse trovano oggi sede privati ed ambasciate. Solo 10 sono aperte al pubblico, e i loro giardini divengono parco pubblico. Le rimanenti sono solo mozziconi di quel che era l’originale e trascurato splendore. A Roma le ville che hanno mantenuto i loro apparati “intatti” furono proprio quelle con funzione pubblica e usate a scopo culturale e ricreativo (Si deduce da qui quale sia la vera via che possa oggi garantire la tutela). Villa Borghese, villa Mattei, villa Torlonia, villa Sciarra, villa Pamphili continuano la loro esistenza poiché offerte al dominio pubblico, potenzialità questa che può estendersi ad utilizzi completi degli edifici, quali centri culturali polivalenti, musei a servizio di interi quartieri, come spesso in questi ultimi anni accade.

Villa Pamphili oltre a conservare parte del giardino all’italiana è caratterizzata all’intorno da un vasto parco di dominio pubblico recante numerose varietà botaniche.

Simboli e tecniche sono aperte al vaglio della ricerca, anche di interesse individuale, per far fronte alla diffusa sterilità della creatività moderna nell’ambito del verde che solo oggi riprende animo attraverso l’unirsi di alta tecnologia al servizio delle antiche conoscenze. Un giardino storico è un bene da mantenere anche nelle piantagioni, conifere di montagna o essenze esotiche mal s’accordano con quelle usate nei giardini romani: leccio, pino, quercia da sughero, rovere, olmo, visciolo, platano, cipresso, palma, mirto, corbezzolo, ginepro, alloro, ginestra, bosso, tasso, lauro ceraso, acero campestre; la loro disposizione delinea un preciso disegno, da mantenere e salvaguardare anche dalle forme meccaniche di piantagione moderna. Le intrusioni di essenze estranee alterano quella compiuta realtà percepibile ovunque. Nel momento in cui i proprietari lasciarono cadere o abbandonarono l’uso della villa iniziò il degrado, potenziale distruttore a partire proprio dal giardino147. 147

Per approfondimenti si veda M.L. Quondam 1981, p. da 101 a 107.

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L’arte dei giardini sabaudi “Ciò che si propone è dunque l’identificazione attraverso la storia degli elementi tipologici caratterizzanti i giardini sabaudi”. Le vicissitudini diplomatiche, territoriali e artistiche incorse nella corte sabauda hanno plasmato e influenzato costantemente i giardini, in cui sono volutamente espressi un preciso “programma ideologico, oltre che un gusto e una cultura”148. I dettami ducali che guidano la creazione dei giardini sono il fulcro e il riferimento che influenza tutta l’arte dei giardini in Piemonte. “Stagioni culturali diverse hanno poi segnato gli impianti originari (i cantieri del Valentino dal 1633 al 1646, di Moncalieri dal 1648 al 1683, di Venaria dal 1658 al 1679, di Stupinigi dal 1731 al 1735) e le loro trasformazioni (Venaria 1699-1713, 1716-39, 1739-70; Rivoli 1647-83, 1711-13, 1715-31; Stupinigi 1735-66 e da tale data al 1793), si che talvolta il legame tra edifici e pertinenze a verde – pur inscindibile nei valori. in parte è ormai perduto”149. I ritmi serrati e il susseguirsi di cantieri manifestano una continua volontà d’aggiornamento, alla stregua della moda e di voler vedere riflesso negli apparati verdi e nelle architetture il sentimento dei sovrani e delle principesse. Dal trasferimento della capitale del ducato di Savoia avvenuto nel 1559 da Chambery a Torino, le modifiche e gli adeguamenti apportati fin da subito alla nuova capitale Circondario delle delizie e delle maggiori e principali hanno offerto ampio spazio all’evolversi residenze sabaude con annessi i corrispettivi giardini. del giardino, elemento qualificante delle ville, dei palazzi nobili e delle residenze sabaude. “Le complesse figurazioni che guidavano la costruzione del giardino quale intorno di una delizia di corte, l’espressività del fasto, lo spettacolo di cui il giardino diventa teatro per una coreografica esaltazione del personaggio preminente permangono al più come memoria”150. Il giardino e il suo impianto erano la base attraverso cui i diversi sensi umani s’incontravano soggiacendo a quella impellenza che spazia dalla razionalità all’emozione. 148

I giardini a Torino, 1992, p. 9. ibidem p. 23. 150 ibidem p. 10. 149

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Oltre ai reciproci intrecci tra apporti floristici e forma degli impianti, il giardino si modella all’inizio in relazione al fabbricato, ma l’incalzare di modifiche, vuoi per rimanere vicino alle novità europee, vuoi per impiegare il frutto di nuove scoperte e sperimentazioni, comporta un iter evolutivo, perché “La specificità della materia vegetale, fragile e caduca, è, infatti, quella di essere maggiormente soggetta alla mutevolezza V. A. Cignaroli Venaria Reale (Torino, Palazzo Chiablese). del gusto e delle mode e di degradarsi più velocemente rispetto alle architetture. Proprio per queste ragioni le vicende dei giardini storici non collimano talvolta con quelli delle residenze […] i parchi scomparsi del Viboccone, di Mirafiori, Rivoli e Venaria reale dimostrano emblematicamente la caducità di queste strutture”151, infatti, i giardini piemontesi al pari di quelli fiorentini e romani non sono slegati da quella scaletta culturale che si flette secondo i secoli, “Pompa nel ‘600, fasto coreografico nel ‘700, specchio romantico di un egoismo vissuto come sentimento totale nell’800”152, ma a differenza delle altre regioni d’Italia il Piemonte è più aperto al contesto internazionale e i sovrani sabaudi cercano costantemente di porsi alla stregua dei potenti stati monarchici transalpini. Seppur con le dovute riserve e peculiarità da caso a caso interessante è analizzare alcuni di questi passaggi chiave. Dal manierismo dell’estinto giardino di Mirafiori alle modifiche dell’impianto del modello di Racconigi, “Le motivazioni letterarie e storiche che hanno informato ogni singolo programma hanno dovuto confrontarsi con le singolari fortune di ciascuna residenza e le persistenze giunte fino a noi sono spesso il prodotto di vicende di mancata manutenzione, di abbandono o di sfruttamento utilitaristico, come nel territorio di Pollenzo, che hanno determinato la perdita completa o parziale degli impianti verdi”153. Fin dagli albori dell’insediamento sabaudo in Piemonte emerge l’importanza assunta dal giardino, il duca Emanuele Filiberto “Ha un buon numero di giardinieri, perché si diletta assai di giardini, nei quali fa la maggior parte della sua vita”154. Di timbro formale i giardini sorti in quel periodo stimolano più che l’apporto botanico, la presenza di elementi artificiali: rappresentazioni emblematiche, giochi d’acqua, curiosità zoologiche, il tutto con riferimenti allusivi agli interessi del duca e del suo stato, “Per formare uno specchio della vita umana”155e della corte ducale.

151

ibidem p. 23-24. ibidem p. 10. 153 ibidem p. 24. 154 Relazione alla repubblica di Venezia redatta dal Morosini nel 1570. 155 ibidem p. 12. 152

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G L Gino, tippo del castello e beni di millefiori […] (fine ‘600). L’impianto triangolare dei giardini bassi e l’organizzazione delle allee prospicienti “la delizia” ai tempi di Carlo Emanuele I (Torino, Archivio dell’Ordine Mauriziano).

Punto di passaggio di tale specchi è Miraflores, millefiori, insediato e costruito formalmente a partire da un’ansa naturale, “L’impianto è rigidamente geometrico e predeterminato”156, influenzato dal manierismo (ville di Caprarola e Bagnaia) e dallo stile francese contemporanei. Inserti di tipo naturalistico sfuggono però alle aiuole quadrate del Morello, proposte dallo stesso per Racconigi. “La poetica cristallizzata nella latente geometria di tutto l’impianto sottende l’idea che il giardino – quale rito – debba esprimere all’esterno la metafora concettuale e figurativa che negli interni delle fabbriche ducali uniforma il palazzo”157. Estraniata dai lavori della città e dalle residenze ducali in costruzione appare la vigna del Cardinal Maurizio, figlio di Carlo Emanuele I di Savoia.

Carlo Morello pianta del castello di racconigi (1650). L’interpretazione del giardino tardo manierista nei suoi elementi fondamentali: parterres, isola quadrata, labirinto e grotta (Torino, Archivio di Stato).

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ibidem p. 13. ibidem p. 15.

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Maestro delle residenze sabaude, “Veduta della vigna del cardinal Maurizio di Savoia”, 1670 circa (Racconigi, Castello inventario R 6758).

Prima di trasformarsi nel corso del ‘700 in villa della Regina, la villa del Cardinal Maurizio prende spunto dalla contemporanea villa Aldobrandini a Frascati, dove l’utilità della vigna è lo sfondo su cui giochi di salite, teatri, cascate d’acqua sono cesellati formalmente. Tali costruzioni edificate fuori dalla cinta muraria sono manifesto del potere che domina aldilà delle mura e che si esprime culturalmente. Tale potere è ostentato anche dai simmetrici impianti nel 1667 della vigna della Madama Reale, Cristina di Francia (oggi Villa Abegg),

Planimetria generale di Villa della Regina, 28 Settembre 1868, (Torino Archivio di Stato, corte, Archivio Informatico, cat. 12, u.a 663).

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Vigna di Madama Cristina.

“Organizzati su vari livelli a recinto quadrato, in asse alla vigna e legati alla serialità modulare dell’edificio, che diviene l’intrinseca ragione progettuale anche dello spazio esterno”158. Giardini chiari ed ermetici, poiché separati dall’esterno oltre che dai muri perimetrali, da un circondario di selvatici faggi svettanti fin in cima alla collina. Il rapporto: la città sta alla Villa come la Villa sta al Giardino è determinante, sia per il rigore con cui si costruisce la città, sia per la razionalità con cui la geometria a quadrato diviene “Programma emblematico […] rispetto alla natura libera e vegetante”159. Un apporto alternativo, ma sempre geometrico, al quadrato giunge da oltralpe, “ La rottura dello schema è nella proposta di Andrè Le Notre”160. “La scelta e la conquista dei luoghi è programma del ‘600, il ‘700 invece completerà e amplierà, trasformando radicalmente le pertinenze, […] con un programma fortemente influenzato dalle idee e dalle realizzazioni d’oltralpe. […] La contemporaneità dei progetti per Palazzo reale (Le Notre, de Marne), Rivoli (Garove), Racconigi (Garove) e Venaria (Garove, Duparc e de Marne) segneranno il volgere del XVII secolo”161. Nel giardino di Palazzo Reale l’adattamento del progetto di Le Notre non è così facile: per l’irregolarità del terreno, l’infinita prospettiva lenotriana riesce ad esprimersi solo verso la piana offerta dopo la Dora, le altre visuali giocano tra le direttive dei parterre come un sistema di specchi a circuito che fanno perno su ogni elemento edificato, “La qualità innovativa del giardino di le Notre, attuato su prospettive dilatate, perviene però a una cristallizzazione della forma, teoricamente puntualizzata nel trattato di Dezallier d’Argenville”162. 158

ibidem p. 16. ibidem . 160 ibidem . 161 ibidem p. 26. 162 ibidem p. 17. 159

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Il giardino dopo la trasformazione su progetto di le Notre, particolare della Carta Topografica della Caccia ante 1762 (Torino Archivio di Stato).

La portata dell’onda francese modella profondamente con terrazzamenti, sbancamenti, parterre, ars topiaria, i giardini delle residenze sabaude. I progetti di Michelangelo Garove e di Henri Duparc sono passati al vaglio francese e adattati secondo l’impostazione lenotriana e laddove il terreno non si riesce ad adattare al progetto è il progetto che si adatta al terreno; come nei giardini di Palazzo Reale l’estensione dei modelli francesi viene qui a miniaturizzarsi. “La semantica del giardino per episodi costruiti”, definisce ora “giardini a grande o a piccola scala”; giardini minori emulano le avanguardie ducali, ma con l’avvento del barocco juvarriano nel ‘700, la dominanza formale inizia a perdere la sua preminenza.

A. Le Nòtre “parco di Racconigi” (1670). La proposta del giardino formale “alla francese” (Torino Archivio di Stato).

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Confronto tra: A sinistra M Bernard plan du jardin de la royalle Maison de Stupinis (1740) sull'impianto ideato da Juvarra; (Torino Biblioteca Reale;) A destra Pianta del Regio parco di stupiniggi (inizio sec . XIX). Il progetto si arricchisce nel lato est del rondò di un elaborato labirinto (Torino, Archivio di Stato).

Stupinigi, palazzina di caccia, sorge come punto chiave. Poiché edificata in funzione del territorio circostante, Stupinigi “attraverso le rotte di caccia rappresenta un importante salto qualitativo”163, il giardino anticipa i boschi con ordinato possesso e più che imporsi sfuma nel territorio. M. Bernard realizza l’impianto ideato da Juvarra per Stupinigi (alterato poi nel corso dei primi anni dell’ottocento). Il formale evolve e Bernard interviene anche su Racconigi, riplasmando il disegno di Le Notre, raccordandone gli elementi con incroci assiali più variati, aperti anche al laterale e cornice di una più libera esecuzione. L’intento mira ad esaltare le forme architettoniche, e tale spunto lo si riconosce anche nel parco di Agliè; i cantieri del 1766, oltre che riguardare gli edifici, offrono una revisione dei giardini. “Le aperture su assialità laterali, sempre integrate alla modularità dell’impianto, inquadrano la grande cascina e un rondò sul dosso boscato da due vallette, con un’immersione naturalistica all’interno di un paesaggio antropizzato”164; il tramite tra costruito e parco viene completamente riformulato, con “un disegno geometrico simmetricamente suddiviso dall’allea centrale, con prospettive in affaccio ai vari ingressi (quello della nuova cascina Allea), i parterres, i labirinti sul fondo, le rampe sulla fontana con i portici verdi”. La conseguenza naturale degli impianti formulati con sapienza da Bernard è l’avvento del gusto paesaggistico. Giacomo Pregliasco, verso la fine del ‘700 realizza la poetica della Principessa Giuseppina di Lorena. M Bernard progetto per il parco di Agliè (1770 circa, Torino, Archivio di Stato). 163 164

ibidem p. 17. ibidem p. 18.

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Giacomo Pregliasco progetto di imbarcazione alla cinese (Collezione privata; da Tagliolini, 1994).

Il nuovo impianto a Racconigi “lega a una pluralità di punti di vista la reinvenzione in itinere di un nuovo paesaggio, sempre costruito, ma dove la componente naturalistica assume un ruolo di condizionamento essenziale”165. La volontà della principessa per dei giardini a carattere paesaggistico darà il via alle trasformazioni degli attuali giardini rimasti. Dal protagonismo delle forme, grotte, fontane del giardino manierista, ora si passa alla dimensione nuova della natura espressa in una forma conchiusa, ma G. B. Piacenza plan du parc annexè au chateau calibrata nel libero e studiato rapporto imperial de Raconis : rilievo. Il parco di Racconigi viene tra alberi e masse vegetali. trasformato da Giacomo Pregliasco secondo lo spirito pittoresco (1812, Torino, Archivio di Stato).

“Santena opera dell’architetto Lombardi bene esprime questo concetto, il disegno si stempera nel paesaggio, l’effetto degli alberi è previsto fin da subito con opportune sequenze”166 Il giardino viene magistralmente congeniato dal Lombardi secondo forti valenze romantiche. Plan Geometrique des Jardins de Santena (Lombardi 1797, Torino, Biblioteca di storia e cultura piemontese).

165 166

ibidem p. 20. ibidem p. 20-21.

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Cambiano i rapporti con il complesso delle residenze reali, Carlo Alberto “Con nuove presenze culturali, avvia la sostanziale variazione di disegno dell’intorno verde di Agliè, Racconigi, Pollenzo”167, dopo aver nel 1826 dismesso con la restaurazione la reggia di Venaria (lasciando al suo destino il parco e i giardini) a favore della tenuta della Mandria. Nel 1835 il parco di Pollenzo viene adibito a reale tenuta agricola, modello di efficienza e utilizzo moderno, a Racconigi Pelagio Pelagi e Carlo Soda “Chiusero gli interventi edilizi in concomitanza con l’angolo sud ovest (1842)”168, modificando ulteriormente la disposizione botanicoarchittetonica lasciata dal Pregliasco.

Saverio Kurten è il principale incaricato delle sostituzioni botaniche a Racconigi e a Pollenzo, qui nei grossi lavori impiegati per la bonifica dei territori vennero piantati “altri 12.503 esemplari di piante esotiche”, di cui però attecchirono solo pochi esemplari. Sempre nell’800 “anche a Moncalieri avveniva la trasformazione della zona più elevata a bosco paesaggistico”169. Gli impianti più prossimi al castello conservavano fino alla prima decade del ‘900 intatti “I pergolati verzura, o portici verdi, circondati da comparti di olmi, al centro era sistemato il serbatoio ottagonale verso cui convergevano i viali diagonali”170 Il parco attualmente rispecchia le ultime variazioni operate da Saverio Kurten e dai fratelli Roda. Un recente restauro a riportato alla luce gli interventi di questi ultimi (da Macera, 2008).

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ibidem p. 30. ibidem p. 31. 169 ibidem p. 32-33. 170 ibidem p. 33. 168

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Moncalier du Cotè du Levant olio su tela (Racconigi Castello); P Foglietti L Tonta real castello di Moncalieri planimetria generale (Torino, Archivio di Stato).

“Dopo l'Unità d'Italia, la perdita del ruolo di sede delle “reali villeggiature” comporta, per il castello e il parco di Racconigi, una cronica carenza di risorse”, che riguarda tutto il complesso di residenze, ma Racconigi residenza cara ai sovrani viene riadattata: “Nel 1880 Giuseppe Roda collabora, in qualità di consulente, con l'Agente del complesso di Racconigi, Francesco Fiorina, alla redazione del bilancio della Tenuta, gestita come un’azienda agricola: i grandi Progetto di assestamento del giardino” proposto da prati fornivano fieno messo Giuseppe Roda nel 1889 e successivamente eseguito. Di recente proprio questa parte del parco ha ricevuto un attento in vendita; dai campi si restauro volto a riportare in vista l’intervento dei Roda e del loro ricavavano grano, segale, peculiare linguaggio creativo meliga e canapa; legname da (da Macera, 2008). costruzione e legna da ardere erano ottenuti dagli alberi ad alto fusto e dai boschi cedui. Con speciali squadre di lavoranti si raccoglieva il “fogliame dei boschi” mantenendo pulito il sottobosco e conseguendo una rendita commerciale dalla produzione di concimi e terricci.”. I fratelli Roda furono, dopo il Kurten, tra gli ultimi giardinieri che intervenirono a modificarne gli assi prospettici e le strutture verdi, “I Roda precorrono di almeno trent'anni i deliziosi e ancor più ameni e romantici giardini di Jertrude Jackil”171.

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M. Macera 2008, Il real parco di Racconigi il giardino dei principino.

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Riepilogo Il destino di ogni giardino racconta come si manifestassero, evolvendo, gli equilibri tra concezione del territorio, diplomazia e talenti operanti. “Nel ‘600 la corrispondenza era completa, nelle maestranze, negli architetti e nella fruizione, Carlo di Castellamonte, il padre Costagua, il capitano Morello e Amedeo di Castellamonte progettarono le residenze e le delizie, compresi i loro giardini, secondo un programma completo e non separabile”172, realizzazione e manutenzione andavano di pari passo rendendo reciproco il rapporto tra residenza e giardini. “Per il ‘700 la vicenda dei giardini e dei parchi s’intrecciava da un lato al non finito dei progetti di Michelangelo Garove, di Filippo Juvarra, di Henri Duparc e dall’altro alle realizzazioni di Michel Benard”173. La priorità e l’impiego di risorse per far fronte ai cantieri delle residenze di Rivoli, Venaria, Agliè, Stupinigi, Racconigi e Moncalieri comportarono l’abbandono e la perdita degli impianti verdi di Regio Parco e di Mirafiori. Vi fu una sorta di specializzazione dei compiti progettuali per comporre la scenografia del verde “ E ciò appare maggiormente evidente ed esplicito nell’800”174, come attestano le figure di Saverio Kurten e successivamente dei fratelli Marcellino e Giuseppe Roda. La poetica dei giardini informali e gli oneri apportati dalle manutenzioni comportarono la dismissione di Venaria e l’aggiornamento delle residenze di Racconigi, Agliè, Pollenzo con le annesse strutture verdi; le residenze conservano “Oggi il disegno ottocentesco, benché le vicende connesse tanto all’uso, quanto all’abbandono ne abbiano mutato la materia vegetale […] rari sono gli elementi riconoscibili e nella maggior parte dei casi permangono solo lacerti e memorie”175.Memorie che sono finestre per la storia dei siti, ma “Ormai amalgamati e connessi ai nuovi assetti”176. L’iter degli eventi di ogni residenza è unico, racconta di preferenze, cantieri, adattamenti, passaggi di proprietà, adattamenti, stravolgimenti, abbandoni e persistenze. Da tale alternanza decade ogni tentazione al ripristino, l’arte espressa nei giardini delle residenze si trasforma oggi per ogni traccia in nota, per ogni lacuna in silenzio. Oggi parchi e giardini delle residenze sabaude di Racconigi, Venaria, Agliè, Villa della Regina sono considerate parte fondante della storia stessa delle residenze e come tali hanno ricevuto restauri atti a liberarle dall’abbandono o dalle decadenza imperanti. A Racconigi si è recuperato tutto il possibile riguardante gli antichi e gli ultimi impianti del Kurten e dei fratelli Roda, dalle cancellate del Pelagi ai percorsi e alle architetture romantiche, Due visioni aeree della zona della serra ottocentesca del alle aiuole formali ma naturali dei Roda177, ripulendo il parco da parco di Racconigi infestanti e i letti dei canali da ostruzioni. prima e dopo i restauri.

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ibidem p. 33. ibidem. 174 ibidem. 175 ibidem p. 24. 176 ibidem p. 33. 177 M. Macera 2008, Il real parco di Racconigi il giardino dei principino. 173

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“L’ eliminazione delle infestanti, gli abbattimenti selettivi e la messa a dimora di nuovi esemplari che nel parco si stanno realizzando tendono a recuperare la composizione generale del Kurten con i tagli prospettici di Giuseppe Roda, considerati le due fasi storicamente significative della storia del complesso.”178 Restauri alle architetture del Pelagi e del Soda sono tutt’ora in fase di chiusura.

Veduta del parco e della reggia di Venaria reale (Da Tagliolini, 1994); i recuperi attuali non hanno ancora colmato tutta l’area interessata dagli impianti scomparsi, in particolare si nota il quarto spazio ancora in fase di completamento (da Google earth).

A Venaria ai giardini ormai scomparsi si sono sostituiti dei rifacimenti.

Seguendone progetti e riferimenti storici, un intenso lavoro di equipe ha potuto offrire alla residenza recuperata parte del suo splendore verde. Agliè è forse stato il parco in cui un minimo di manutenzioni si sono sempre effettuate. Conserva intatte e funzionanti buona parte delle sue strutture seppur leggermente modificate nell’insieme da interventi di carattere stradale. 178

ibidem.

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Villa della Regina prima e dopo gli interventi di restauro. Particolare del Belvedere retrostante la facciata della villa.

Villa della Regina, dopo anni di abbandono è oggi restituita con i suoi apparati scultorei e giardini allo scenario di Torino, alla vista dominante sulla città, si affianca sulla collina limitrofa lo sfondo della vigna, evidente rievocazione dell’impianto originario del Cardinal Maurizio.

I restauri in corso a Palazzo Reale riguarderanno anche i suoi giardini che seppur modificati dalla moda paesaggistica e dalle necessità urbanistiche conservano ancora tracce degli interventi di Le Notrè.

Palazzo Reale, veduta aerea.

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Viaggio ideale tra i restauri ottocenteschi Il viaggio che ora si profila, spero sfiori e stimoli l’immaginazione sulla mentalità del tempo e sui gioielli verdi le cui molte ed improprie manomissioni hanno affievolito lo scintillio e il mistero che solo il tempo e il suo inesorabile scorrere può dare. Certo il giardino all’italiana è difficile che possa sopravvivere se lasciato a sé e non curato con la debita manutenzione, ma così come non si può portare un maturo melo selvatico a produrre frutti domestici, così un giardino evoluto nel tempo è saggio liberarlo del sovrappiù e dalla patina dell’abbandono.

Urbino. Palazzo Ducale: il giardino pensile secondo la descrizione di Bernardino Baldi e sulla base dei resti murari rintracciati in situ (ricostruzione ideale di Renato Buscaglia); Urbino: Palazzo Ducale: veduta del giardino dopo i restauri eseguiti dal Serra nel 1919-20.

Giardini di grandi capoluoghi e sperdute campagne, da Venezia a Palermo, dai giardini piccoli e pensili d’Urbino e Pienza, a quelli terrazzati e immensi di villa d’Este, a quelli stemperati con il paesaggio della toscana. “Il nostro viaggio ideale che prende spunto dai saggi contenuti in questo volume- potrebbe iniziare da Venezia dove tra la fine dell’ottocento e i primi del Novecento, alcuni giardini proprietà di famiglie inglesi sono recuperati e reinterpretati”179, tra questi si annoverano quello di palazzo contarini dal Zaffo e quello di Frederic Eden, stranieri che attraverso la passione e l’amore per l’incanto dei giardini in Italia, equilibrano l’abitudine degli italiani di fronte all’enorme varietà del patrimonio presente nel paese. Pienza Palazzo Piccolomini il giardino dopo i restauri dei “Dalla villa Selvatico a Battaglia le primi del Novecento. spalliere di rose centofoglie cabbage roses, dal Generallife di Granada la vasca riproposta in marmo rosso, circondata di vasi di limoni ed aranci, i giardini di fiori delle ville toscane, ricchi di tulipani, di gigli, di garofani e di rose e persino il labirinto ancora leggibile nel rilievo aereo della città dei primi del novecento”180. Non solo recuperi quindi, ma vere e proprie evocazioni attraverso apporti e inserimenti ex-novo di apparati scultorei, specie botaniche, stili orientali, insomma il giardino italiano s’apre al mondo. 179 180

V. Cazzato 1999, p. 12. M. Cunico 1989, p. 98-102.

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Il giardino di Villa Pisani a Vescovana, conosce una rinascita di tipo vittoriano, le case rimangono quelle disegnate da Gianfrancesco Costa, ma ai giardini scomparsi si sostituiscono siepi di bosso e sculture. Riprogettazioni e nuovi inserimenti interessano rispettivamente la Villa a Stra di Cappello, che vede sorgere tra il bosco e la villa un “doppio parterre di bosso nano che riprende motivi diffusi nell’Europa di sei-settecento”181, e la villa Fini a Dolo, riprogettata negli anni quaranta dai vivai Sgaravatti di Saonara utilizzando anche gli elementi preesistenti. Nuovi giardini geometrici si delineano come miniature nella Villa Ameni a Fiesso d’Arco. Recuperi “all’altezza dell’importanza dell’edificio”182 avvengono ad opera del nuovo proprietario a Malcontenta, all’edificio palladiano si affiancano il parco e i giardini segreti. In tali operazioni trovano spazio architetti sconosciuti, che inseriscono elementi di gusto coevo, aprendo il giardino a quell’eclettismo di cui si è già parlato. A Villa Pisani nel 1911-13 “ il tipo di decorazione, i materiali proposti per il rivestimento del bacino, le statue collocatevi successivamente, il completamento del disegno con basse siepi di bosso e piccoli bordi di fiori posti davanti evidenziano la volontà di uniformarsi ai modi del giardino e del suo linguaggio oltrechè al mondo delle composizioni barocche”183. I labirinti riprendono vita, elemento curioso e misterioso nonché di grande presenza estetica e simbolica; a quello di Villa Pisani vengono sostituite le siepi di carpino con quelle di bosso, si rileva quello di villa Pagani Gaggia a Socchieva di Belluno e si pianta quello di Villa Barbarico a Valsanzibio. Questo fermento è dovuto proprio all’insediarsi nel territorio di mentalità non locali, o comunque di una nuova onda creativa che rinnova molti giardini. Non mancano in questo periodo date precise e tipi di intervento: a Villa Giusti nel veronese il giardino è restaurato a partire dal 1946184, il labirinto verrà rinnovato in seguito “ in Friuli frequenti sono i rifacimenti di spazi manomessi o degradati in seguito agli eventi bellici”185, composizioni inserite ad hoc, potenziamenti degli impianti formali interessano le ville Friulane: palazzo Tullio Altan a S.Vito al Tagliamento, Torre Valsassina a Ziracco e de Claricini Dornpacher a Bottenicco di Moimacco. “ Il nostro viaggio nel mondo del giardino ri-formato e restaurato comporterebbe a questo punto una lunga sosta in Lombardia, regione nella quale l’arte dei giardini è appannaggio delle sole grandi famiglie nobiliari e del patriziato arricchitosi con i commerci”186. I criteri di intervento spaziano nelle varie ville da “parziali ricostruzioni che agiscono sul sedime dei giardini esistenti”187, a ripristini basati sulla ricerca in situ delle tracce illustrate dai documenti, a citazioni speculari di modelli formali di giardini, a “criteri di della conservazione e del riutilizzo che a quelli di un tentativo di riproposizione e ricostruzione dei passati splendori del sito”188. A Varese nei giardini estensi vengono liberate le parti geometriche più antiche dalle più recenti introduzioni paesaggistiche. Molti giardini inoltre vengono evocati ex-novo secondo un determinato stile “dove il confine tra il vecchio e il nuovo, tra ri-proposizione del passato e definizione di caratteri architettonici moderni non è sempre facilmente definibile”, questo proprio a causa della vena eclettica che si andava diffondendo e rivelando in molti impianti d’Italia. Se molte ville lombarde conoscono questo tipo di intervento, da Villa Litta di Tommaso Buzzi, a villa Clerici di Riguarda, altre ricevono trattamenti che aggiornano elementi secondo il gusto di architetti di lustro: Achille Majnoni, Alberico Belgiojoso, Chevalley. 181

V. Cazzato 1999, p. 12. ibidem. 183 ibidem p. 13. 184 ibidem p. 13. 185 ibidem, per approfondire si veda F. Venuto,Giardini friulani del primo Novecento ripristini e ricreazioni,Giardini del Friuli Venezia Giulia arte e storia,1991 Pordenone. 186 ibidem,si veda L. Scazzosi, Da monumento a documento: restauri in Lombardia tra fine Ottocento e inizi Novecento. 187 ibidem. 188 ibidem. 182

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Quest’ultimo “studia ed interpreta i dipinti lasciati dal Venerone autore dei giardini nella forma settecentesca, e ne riproduce il disegno aggiungendovi, tuttavia, anche nuove parti in stile”189, egli si ispira nei suoi progetti a tutta la gamma di passaggi subiti dal giardino nella storia moderna, predilige il barocco e a volte vi inserisce elementi che sono di un contemporaneo gusto eclettico – liberty, cosi “ molti giardini pubblici sono venuti formandosi, altri riadattandosi”190. Il Piemonte si denota quale custode del giardino portale delle sterminate riserve di caccia e di produzione del legname. Le residenze sabaude ospitano giardini a più stili situati a ridosso del fabbricato, rimessi in ordine a quel tempo dal giardiniere-architetto Giuseppe Roda; alle dipendenze del Re egli ridisegna nel 1889 il giardino di Racconigi, inserendovi anche tutti gli apparati necessari per produrre le piante utili all’impianto. “Nel Roda – disegnatore di giardini, professore di arboricoltura e giardiniere di casa Savoia – è possibile imbattersi anche in altre regioni come l’Emilia dove si assiste all’affermazione della categoria dei paesaggisti giardinieri.” Con questo criterio egli restaura Villa Costa a Piacenza, “ricreazione di un giardino pubblico urbano”. “Mentre da un lato si assiste all’innesto di arredi aggiornati e di soluzioni geometriche nei precedenti impianti all’inglese, dall’altro se di convenienza si può parlare, risulta evidente che il modello inglese incontra maggiormente il gusto dei committenti”191. Ruoli preminenti sono assunti dai committenti che scelgono con quale spirito interagire e modificare il giardino “ Arretratezza culturale, carenza provinciale d’informazione? Gli episodi analizzati sembrano piuttosto dimostrare quanto abbia influito sul piano formale la più vasta circolazione delle idee favorita dall’unificazione nazionale”192. Ferrara cerca di recuperare zone degradate per ritornare a quelle “glorie estensi” che l’avevano resa famosa. Carlo Savonuzzi si incarica dell’intervento nel giardino rinascimentale di Marfisia restaurandone il disegno. Pietro Porcinai è tra i protagonisti del giardino nel novecento, “l’architetto del giardino e del paesaggio più rappresentativo in questi anni, egli inaspettatamente attua dei restauri nei dintorni di Rimini: la villa des Vergers a S. Lorenzo in G. Roda e figli, Real Parco di Racconigi, (1891, Correggiano, dove i lavori si rivelano specchio Archivio di Stato Torino, Documento ritrovato della sua visione. da Monica Naretto).

189

ibidem p. 14, si veda A. Terafina, Castel Balduino: un giardino barocco fra le colline dell’oltrepò. ibidem, si veda U.Ometti, Mostra del giardino italiano, 1931 Firenze. 191 ibidem. 192 ibidem p. 15, si veda anche C. Mambriani, Tradizione inglese e riprese formali nei giardini parmensi sullo sfondo delle lotte agrarie. 190

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“Quello che Chevalley è per il Piemonte, Giuseppe Crosa di Vergagni è per la Liguria, regione nella quale la riscoperta dei valori della tradizione coincide con una serie di restauri (e di distruzioni) conseguenti alla pubblica acquisizione di importanti aree private, soprattutto dopo la costruzione nel 1926 della Grande Genova”193. L’interesse per le grotte torna in auge in Liguria, a Busalla si costruiscono grotte in stile, ricalcando quelle della grotta di Villa Grimaldi-Sauli. Per il Lazio molti sono gli interventi che ne deformano il volto, le esigenze urbanistiche non lasciano scampo a molte ville presenti nella città “ad un’istanza conservativa” riguardante i parchi archeologici “ si contrappone costantemente l’istanza utilitaristica […] distinguendo tra quelle da far rientrare nel demanio culturale e quelle private da distruggere o ridurre in nome della viabilità, consentendo di edificare sulle porzioni residue”194. Consistente resta comunque il patrimonio di ville e giardini in Roma. Villa Borghese apre al pubblico nel 1903, villa Aldobrandini viene espropriata nel 1926, Villa Madama, importante costruzione, conosce complessi interventi e lavori di recupero volti a “ridare un’idea visiva del grandioso progetto originario”. Al 1925- 28 risale il “ripristino del giardino formale antistante la loggia”195. “Il caso di villa Madama, più che per la ricostruzione di un Villa Madama,i ricostruzione ipotetica dei giardini a nord-ovest della frammento, è interessante in villa(da Geymuller, 1884). quanto nel corso degli anni – e fino ai giorni d’oggi, pur con intendimenti diversi – si dimostra un fertile campo di sperimentazioni progettuali”196 utili nel tracciare linee guida oggettive e che possano riunire così tanti modi di intendere e di intervenire.

Roma villa Madama il giardino antistante la loggi privo del parterre agli inizi del Novecento (da “Gazzette des Beaux Arts”, aprile 1903).

In Italia l’approccio classico al giardino nel cinquecento e nel settecento trova continuità nel novecento, le iniziative del giardino all’italiana si rianimano sotto le esigenze post-unitarie dell’Italia, i giardini di tipo paesistico tendono a venir inglobati da quelli di gusto classico, privandosi di “compiacimenti pittorescosentimentali”197 e questa realtà nazionale si esprime in diversi restauri: da Villa Imperiale a Pesaro, a Palazzo Ducale d’Urbino, ogni caso è unico, ma maestro, rivolto verso non solo l’idea dell’originale, ma di una sua concreta manifestazione.

193

ibidem, si veda inoltre C. Olcese Spingardi, La cultura del giardino a Genova tra le due guerre. ibidem p. 16, si veda A. M. Racheli, Ville e Giardini nei primi piani urbanistici di Roma capitale: i progetti e le trasformazioni. 195 ibidem. 196 ibidem. 197 ibidem. 194

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I giardini pensili di palazzo Ducale risalgono al ‘400, “ agli inizi del Novecento, del giardino in aria d’Urbino, restavano solo scarsissimi elementi”, nel 1919-24 completati a intuito da Luigi Serra e poi “secondo un disegno più intonato” da Pasquale Rotondi nel 1940198. In Toscana le modifiche ai giardini non vengono risparmiate dai proprietari, Castello di Barberino del Mugello, Palazzo Medici Riccardi, Villa Gamberaia, Villa la Pietra. Per quanto grandi o piccoli, mirati o estesi gli interventi fanno spesso discutere, schierando ora quella ora l’altra parte a favore, in dubbio, o contro gli interventi. Figure di professionisti emergenti agiscono sia con sensibilità, sia con autorità: Porcinai, Castellucci, Lusini e tanti altri creano trasformano e tramandano i giardini come noi oggi li conosciamo.

Veduta della villa della Gamberaia presso Firenze (da tagliolini, 1994).

Per villa Gamberaia “Criterio costante fu ricondurre all’antico come meglio si poteva quando era stato malamente trasformato; ove questo non fu possibile modificare lo stato attuale adattandolo meglio che si potesse all’antico; dovunque togliere le stonature moderne, ma rispettare l’impronta dell’arte interiore o posteriore allo stile settecentesco predominante; ricercar sempre la semplicità e la schiettezza sia nel disegno sia nell’esecuzione; non aggiungere nulla di fuori, come statue, vasi o altri ornamenti, ma usare e riadattare quanto, pur degli stessi vecchi materiali, si poté ritrovare nella villa e nei suoi annessi. Utile ammonimento mi fu la mania di taluni di rifar troppo le nostre ville e giardini e di volerli in tutto ricondurre ad uno stile, togliendo loro, colle varie tracce dei tempi, quello che di umano, perché di vissuto essi avevano”199. Tra i giardini Piccolomini a Pienza e la coincidenza tra progetto di restauro e tracce d’antico impianto rinvenute tra i lastricati del giardino di Palazzo Medici Riccardi, il paesaggio toscano veniva ritoccato in stile inglese da Cecil Ross Pinsent che “in trent’anni lavora così intensamente che si può dire abbia in parte ridisegnato due delle colline più celebrate di Firenze, Fiesole e Arretri”200. Firenze Palazzo Medici Riccardi, il giardino ripristinato nel 1911.

198

ibidem p. 17, si veda B. Deodori, Note critiche e storia dei restauri del giardino pensile, in M.L. Polichetti, Il palazzo di Federico da Montefeltro, Urbino 1985. 199 ibidem p. 17-18. 200 ibidem p. 18, si veda inoltre G. Galletti, Il ritorno al modello classico: giardini anglofiorentini d’inizio secolo, in, Il Giardino storico all’italiana, a cura di Nuvolari F. 1992.

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Si riconosce, infatti, che l’insediamento di così tanti inglesi sulle sponde dell’Arno contribuì non poco ad alterare la flora originale, introducendo nei giardini toscani piante sconosciute ai climi, ai terreni, ai paesaggi di questa regione. Oliveti e vigneti vengono sostituiti da piante esotiche, interi appezzamenti sono riconvertiti, dell’originale giardino toscano, afferma La Wharton, non rimangono che pochi esempi201. I dintorni di Firenze andrebbero tuttavia analizzati nella loro globalità, come un paesaggio restaurato, tante sono le trasformazioni nei primi decenni del Novecento. Una certa ambivalenza con la Toscana si ha nella costa campana, dove “ lo spirito inglese coesiste con i segni della meditterraneità”202. Nonostante gli apporti esteri, incoraggiati dall’affermarsi in Inghilterra dell’English Italianate Style, Il carattere dei giardini italiani rimane ancorato alle sue millenarie radici. A Napoli i ripristini prendono la piega del Barocco; Camillo Guerra, portavoce Sesto fiorentino, Villa Guicciardini Corsi Salviati veduta istintivo di questa soluzione, lavora nei del giardino dopo i restauri (da Guicciardini corsi Salviati 1937). giardini di Palazzo Reale. Da Napoli al Salento il barocco lievita fin dentro il costume e le tradizioni presenti: “Le preesistenze barocche e le presenze neo-barocche dialogano con i nuovi spazi riprogettati a verde e comprendenti una parte formale e un’altra di gusto pittoresco”203, realizzati negli anni quaranta a Villa Vergine presso Cutrofiano su indicazioni del Porcinai e in seguito di Michele Massari, che impiegò materiale estraneo, ma in stile. “La moda del reimpiego del frammento in un contesto diverso da quello originario si ricollega alle demolizioni indiscriminate di architetture barocche[…]i frammenti conoscono nuova vita ed assumono nuovi significati proprio nei giardini”. In Sicilia la testimonianza di Vincenzo Ostinelli percorre la memoria dell’”intero panorama palermitano d’inizio secolo”204. Giardiniere di Villa Travia l’Ostinelli indica quanto i monumenti vegetali siano lo specchio di uomini illustri, che trovano ancora presenza attraverso la natura e il giardino.

201

ibidem p. 19, si veda anche E. Wharton, Ville italiane e i loro giardini, Firenze 1983. ibidem. 203 ibidem. 204 ibidem p. 20. 202

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