Il restauro del verde III

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ESECUTIVO

“Quivi sono senza fine gl’ingegnosi innesti, che con si grande meraviglia al mondo mostrano, quanto sia l’industria di un accorto giardiniero, che incorporando l’arte con la natura fa che d’amendue ne riesce una terza natura, la qual causa, che i frutti sieno quivi più saporiti che altrove”. B. Taegio 213


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Dalla Terza Natura al Quarto Spazio Terza natura, agricoltura dei giardini e giardini come arte: agricoltura come arte374. L’essenza della Terza Natura, la riscoperta dell’intervento umano più ricettivo e sensibile ai connotati del paesaggio “molte dolcissime salite e piacevolissime vallette […] lasciate ad arte[…] per maggior vaghezza”375, sembra aver riconsegnato molti giardini in seno alla natura. Il confronto tra geometria e selvatico è risolto dalla poetica pittoresca e romantica in modo apparentemente spontaneo. Per il giardino ogni traguardo o soluzione e sempre protratto e mai definitivo. Come una verde staffetta tocca invece che correre, ritornare, ascoltare, assecondare il genius loci376, che in un giardino si rivela straordinariamente dettagliato. Al dettaglio contribuisce l’opera dell’uomo che modifica, pianta, colonizza, sfrutta, crea, dimentica, abbandona e poi ritorna. È proprio sulla scansione di questa altalena che si alternano Terza Natura e Quarto Spazio377; “Il Quarto Spazio è un limite, è un ‘non-oltre’ per il corpo e per la mente. Di fronte ad esso ci si può fermare per aspettare qualcosa, oppure lo si ignora e si scivola via. Massa mancante, il Quarto Spazio rappresenta ciò che è informe, caotico, opaco. È cassa sonora in attesa di suono. Si può negarne la presenza, oppure in sua presenza si può immaginare, ascoltare, ricominciare a imparare”. Se la Terza Natura è il migliorare e migliorarsi nell’applicare le conoscenze tramandate378,che dovrebbero essere guida al progresso tecnologico e non venire scavalcate da quest’ultimo, è proprio nella terra e nel modo di gestirla che si rivela lo specchio dei tempi. Ma questa modernità non è meno dissacratoria di quella antica, la differenza sta solo nelle esigenze collettive e dal diverso modo d’intendere la cultura e la coltura, sospinta da un condizionamento di produzione intensiva che se da un lato sfrutta e sottrae spazio dall’altro tralascia gli ambienti degni di poetica e privi di politica, che forse proprio per questo si preservano incontaminati. “Invece di usarlo come un restauro della coscienza individuale e sociale, possiamo guardare il giardino come un pensiero visivo verso l’aperto, possiamo guardare noi stessi di spalle affacciati verso l’ignoto”379, permettendoci così di agire tutt’intorno a noi per via di quell’innata sensibilità, di cui basta riscoprirne il creativo non-confine per attingere chiaro l’intento dell’azione, accoppiandolo concretamente a tecnica e storia. Terza Natura come riconquista dei valori di una natura spontanea anche all’interno del giardino, che se in tempi passati era curato in maniera puntiforme per il sostentamento vitale e culturale della comunità stessa, ora si denota quasi come un sovrappiù. Ma se i giardini in città soddisfano il naturale bisogno dell’uomo di accostarsi seppur temporaneamente all’idea e al bisogno di campagna, sta proprio nell’incapacità di suscitare in sé questa dialettica la causa da cui scaturisce il Quarto Spazio. Quarto Spazio è lo spazio aperto senza alcuna utilità economica o sociale: privo di funzione, sfugge agli interessi di gestione burocratici o individuali; non ha altro statuto se non quello di esserci. 374

Lo stimolo per comprendere il giardino come arte dell’agricoltura e la Terza Natura lo abbiamo già nella seconda metà del XVI secolo, nell’opera di B. Taegio “Quivi sono senza fine gl’ingegnosi innesti, che con sì grande meraviglia al mondo mostrano, quanto sia l’industria di un accorto giardiniero, che incorporando l’arte con la natura fa, che d’amendue ne riesce una Terza Natura, la qual causa, che i frutti sieno quivi più saporiti che altrove”, in La villa, Milano 1559, p. 58. 375 D. Fontana, Della trasportazione dell’Obelisco Vaticano, et delle fabriche di Nostro Signore Papa Sisto V fatte dal Cavalier Domenico Fontana, Roma 1590. La frase riguarda le modalità adottate per risolvere parte dell’innovativo giardino di villa Montaldo a Roma. 376 Tanto si è detto sul genius loci. Per me è la risorsa a cui ogni luogo attinge per caratterizzarsi ed essere caratterizzato. 377 Nel tessuto abitato a volerli definire convivono quattro spazi: il Primo circonciso e concluso dalla griglia urbana (dimore, negozi, uffici), il Secondo aperto e governato da regole necessarie per il suo utilizzo (Vie viali, piazze), il Terzo vincolato ai successivi sviluppi dell’Urbe, il Quarto è quello di seguito descritto. 378 “Che bellissimi giardini, amenissime ville, e tutte le altre gentilezze vi si farebbero comodamente; che se per se stesse vi nascono e viti, e olivi, e palmette, e mortelle, che farebben poi quando fossero coltivate da l’arte e da la maestria e da l’ingegno dell’uomo?” Della edificazione d’una città sul Monte Argentario, ragionamento di Claudio Tolomei e Pietro Cutaneo, Firenze 1885. 379 Manifesto al giardino nomade, Palermo 2006.

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Ricolmo per questo di possibilità intraprendenti, viverlo e risvegliarlo alla Terza Natura, laddove possibile, non vuol dire estinguerlo o convertirlo, ma più semplicemente assecondarlo, fattore questo estremamente positivo, immediato ed economico, fonte inoltre di sorprese e di scoperte che riportano a lettura brani di storia dimenticata, non quella scolastica, ma quella fatta da ognuno di noi, giorno per giorno. Se l’affermazione della Terza Natura è in fondo l’affermazione dell’uomo, della sua individualità nell’armonia del cosmo, della sua capacità di scorgere nella natura una legge universale, essa non afferma il destino di un disegno universale forgiato da una mente superiore, ma il risultato dell’esperienza degli uomini; oggi è il risveglio del Quarto Spazio a rendere possibile il ritrovare questo sentimento. Basta guardarsi intorno per comprendere l’indice di questa ambivalenza. Qui la scelta diventa saper vedere. Gli equilibri e la storia dei luoghi non più frequentati sono in rapida successione per via di una colonizzazione naturale vegetale dapprima pioniera e invasiva e di poi sempre più stabile. Il Quarto Spazio, proprio per le cause che lo generano tra cui l’urbanizzazione, l’abbandono, l’inacessibilità, diventa manifesto di una natura libera di autogestirsi in un contesto artificiale o dimesso. Il caos diventa l’ordine di composizione soverchiando ogni traccia di dedizione umana, (che ne diventa l’elemento di maggior fascinazione). “L’omologazione degli spazi ha rimosso dal quotidiano lo spazio sconosciuto, lo spazio in cui ci si perde, lo spazio del rischio, della fatica, della morte. Nel giardino non c’è pericolo di smarrirsi come accade nella natura selvaggia, perché il giardino è ancora il giardino dell’Eden, dove esorcizziamo le nostre paure di fronte al selvatico. Ma l’uomo ha un bisogno fisiologico e psicologico di queste cose, e continuare a rimuoverle può essere più pericoloso che ascoltarle”380. Il Quarto Spazio è il punto di mezzo tra gli estremi umano e selvatico, ma l’omologazione dettata dalla necessità ha reso incapaci molti di noi a esplorare ed esplorarsi senza perdere l’orientamento, di seguire con intelligenza la volontà del coraggio e la chiave universale della curiosità. Ecco perché saper vedere: per discernere il pericolo dalla scoperta, l’avvento dall’intuizione. Dal Quarto Spazio non bisogna pretendere ma ascoltare, e solo così che il frastuono degli spazi dimessi, risorge come eco e rintocco della Terza Natura, luoghi che, come nel caso qui di seguito presentato, sono spesso quelli in passato più curati e pregni della dedizione umana nel far fiorire la terra, che nel frattempo continua ad esistere. Con la complicità dell’uomo nel riprendere dallo stato di fatto, senza nostalgia per ciò che fu, la Terza Natura applicata oggi può essere linfa per la primavera del Quarto Spazio. Anche le cascate hanno bisogno di una sponda, alla rapidità di questi tempi è bene fornire riferimenti di fermento creativo, liberi dagli inni al cemento ed estremamente moderni in termini di produttività e resa al pubblico; alla fruizione collettiva subentri il sentimento che ci rende individui, pozzo per vivere e comprendere l’arte e la natura. Dall’indipendenza del Quarto Spazio alla rete di esperienze e dedizione che ancora si tramanda attraverso la Terza Natura risulta l’equilibrio che trascende sia Terza Natura che Quarto spazio: il giardino eretto o social-selvatico. Dove al controllo del selvatico si passa al controllo selvatico, e la produttività ritorna arte agricola. “Non fraintendere questi miei pensieri perché io non mi ritengo un naturalista d'assalto, un nemico del nuovo, anzi, sono assolutamente convinto che i giardini siano e debbano essere fatti per le persone - e non per le piante, come molti credono. E proprio poiché sono convinto che le piante assumono valore e importanza solo nel momento in cui si comprende la loro dinamica e le loro potenzialità, posso assicurarti che il giardino che più mi interessa è quello che sa integrarsi in un paesaggio spontaneo creatosi secondo un gioco evolutivo di forme, capace di generare un mondo misterioso, quasi impenetrabile, in cui perfino le ortiche vanno mantenute: per la loro dichiarata capacità di autodifesa, oltre che per la loro spontanea predisposizione a ospitare le crisalidi di meravigliose farfalle. Ecco dunque la risposta alla tua domanda, ecco un esempio di giardino quando non c'è più natura, o meglio la mia visione ottimistica di come le piante e gli animali pionieri ci aiutino sempre dando una seconda possibilità malgrado ogni nostro sforzo di cinico sfruttamento delle risorse. Il miglior esempio? Quello da emulare? Non lo so. Però sicuramente è solo grazie all'energia della natura se i nostri errori vengono riassorbiti”381. 380 381

Manifesto al giardino nomade, Palermo 2006. Tratto da Contro il giardino, Ponte delle grazie, pp.11-14.

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Quello che i giardini ci dicono382 Ti trovi a ripulire il giardino dopo tre anni di abbandono e non puoi sfuggire al richiamo delle similitudini e delle metafore. Ogni giardino ha una storia diversa, da raccontare. Come una casa, il giardino ricorda e conserva. Ogni piccolo riquadro che stai ripulendo fa emergere relitti di epoche passate, capitelli e pezzi di colonne. Il tuo giardino: su ogni particolare si focalizzano le luci dei ricordi, come fari che si accendono qua e là tra i ruderi del Foro romano, in uno spettacolo visto di recente: ogni flash uno scorcio diverso, una nuova prospettiva. Un giardino abbandonato per qualche anno è un vecchio diario: ci trovi cose dimenticate tra le pieghe della mente; sogni superati dalla realtà; progetti attraversati dal tempo. Eppure te ne insegna di cose un giardino… Vi hai imparato, giorno per giorno e al di là di ogni vuota teoria, che ogni attività ha il suo tempo. Che devi fare e goderti le cose al momento giusto. Che non si torna indietro: le situazioni cambiano… ogni vegetazione, fiore, profumo esplode e risplende per il suo breve momento e poi finisce. Un giardino – ma un grande terrazzo sarà la stessa cosa - ti parla ogni giorno dei cambiamenti. C’è una bella differenza nel modo di vivere il tempo e le stagioni, tra i cittadini e la gente che vive in campagna… Riesci a ricordare un autunno dal modo in cui le foglie hanno cambiato colore – tutti gli anni accade in un modo diverso – e una primavera dal colore più tenero o brillante del verde. Allo stesso modo la stagione del vento e quella delle piogge hanno un significato diverso, per chi sta in campagna e segue il respiro della terra che cambia.In un giardino ci sono avvicendamenti: senza di essi, il tuo non avrebbe potuto mai potuto contenere tutte le piante che ci hai messo nel corso degli anni… Ma chissà quante possibilità avresti perduto, se alcune non fossero scomparse e non avessi dovuto sostituirle. Ognuna di esse ti ha lasciato qualcosa; un accostamento di colori che si era prodotto per caso, ti aveva dato la sorpresa di una scoperta; altri fiori erano comparsi al posto di quelli che ricordavi di aver lasciato. Altri profumi; novità di forme e colori. Come hai potuto.. pensare ad una perfezione immobile? Pare che l’immutabilità venga rapidamente a noia e hai cominciato a pensare che ci sia un tipo particolare di bellezza nel cambiamento stesso. …Così ‘lentamente ma continuamente’ cambiano i panorami geografici, vegetali e affettivi. Serve all’anima, la cura di un giardino. Sarà che abbiamo bisogno di lasciare impronte; di avere il controllo di un piccolo spazio, dal momento che il grande mondo al di là della siepe ci sfugge ed è insensibile a qualunque sforzo diretto a cambiarlo, né riusciamo ad adattarlo in nessun modo. Troppo vasto e crudele; incomprensibile e inerte. Il giardino invece risponde, morbido e compiacente, alle tue sollecitazioni. Una ‘scultura lenta’ che si modifica nel tempo e insieme ti cambia; così che il risultato finale è frutto dell’interazione. Tu esponi la tua visione; le piante – a saper recepire - ti dicono le loro preferenze; …in qualche modo un accordo si trova…Niente come il giardino ti fornisce l’esperienza e l’attenzione ai dettagli minimi. Quel piccolo mondo racchiuso in un quadrato di terra ti insegna a riconoscere e a distinguere: le infestanti dalle piante utili, le piante spinose da maneggiare con i guanti; il liscio e lo scabro al tocco; e poi gli odori, la forma delle piantine appena spuntate, prima che diventino grandi, l’identità dei piccoli bulbi che trovi sottoterra… Chissà quante altre cose… Un giardino può essere frequentato da presenze; alcune, care, rimangono sedute, a volte all’ombra di un olivo o di spalle, tra i filari dei pomodori. Rimangono lì al lungo, purché non ti avvicini troppo e non cerchi di attaccar discorso. Altre stanno nascoste, tra i rovi o le iris, come se avessero qualcosa di cui vergognarsi. Ricordi altri giardini, lontani nel mondo e nel ricordo. Quanto lavoro! ...quanta erba hai tagliato, quanta terra girato e rigirato: anche se non hai fatto altro che lavorare su te stesso, in fondo.. 382

Il testo a cura di Sandro Russo ben esprime la sensazione che si vive nell’interagire con un giardino abbandonato.

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Un giardino si può anche abbandonare. Quando accade, a differenza di un animale, non uggiola e non sembra soffrire troppo. Semplicemente copre, nasconde dissimula. Ritrovi un ordine che si è imposto in modo naturale; le piante più forti hanno sopravanzato le altre; ci sono nuovi muri e colonne di vegetazione, ogni vuoto è stato riempito. Non potresti dire che è triste: ha trovato un diverso equilibrio. Ritrovare il giardino: volerlo frequentare di nuovo, rifare progetti su di esso o riprenderne di antichi. Non è un processo automatico: - Torni e ricominci a lavorare al giardino… - Non funziona così! Piuttosto: torni e lo guardi da lontano, obliquamente, di sfuggita. Cominci a fare qualche passo al suo interno. A volte ti attira, con richiami da sirena, una fioritura improvvisa, un odore. Sì… forse insegui un odore o forse anche un ricordo, pungente come una spina sottopelle, inapparente all’esterno. Capisci… che il tempo è venuto... quando non fa più male.

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Assunto Conservazione: gestione corretta e responsabile di una risorsa. Preservazione: politica conservativa che si propone l’obiettivo di mantenere un luogo nello stato in cui esso si trova (tipologia difficilmente applicabile su parchi e giardini dato il loro continuo evolversi). Rinnovo, ripristino: interventi volti a risolvere fattori di tipo fenomenico e stagionale, azione puntiforme e mirata a mantenere vitale e unito l’insieme. Il restauro, che apre il tentativo di riportare il giardino alla sua identità senza privarlo di quel vissuto che l’ha formato, si attua nel caso si riscontrino degradi causati da abbandono, cattiva gestione, disinteresse che altera i parametri di manutenzione. È una procedura complessa che richiede studi e ricerche a più livelli di indagine, da quello storico, a quello in sito, in cui confluiscono gli ambiti di diversi esperti e professionisti, i vari settori trovano accordo nel produrre una comprensione organica dei fattori concomitanti; archeologia, botanica, architettura, agricoltura, ricerca e storia, dal giardino nascono quelle possibilità che tutelano il sapere dell’uomo nel suo aspetto pratico. La ricostruzione di un giardino o parco storico è attuata là dove il sito è stato completamente o quasi distrutto (necessarie fonti documentarie attendibili per attingere il modus operandi). Una volta che sia perduta la presenza fisica del giardino è impossibile rievocarla attraverso ricostruzioni definite fedeli, proprio poiché nel giardino la creazione continua e non trova mai termine. Il restauro dei giardini a livello estetico è solo la punta di un iceberg ben più grande. Infatti la fruizione estetica di un parco o giardino è solo uno degli aspetti per cui esso è creato e mantenuto, esso infatti racchiude elementi utili alla vita quotidiana, quali orti e frutteti; ludici, quali fontane, rovine e corsi d’acqua; estetici, quali siepi e scenografie evocate o artefatte (topiaria); culturali, educativi, sperimentali e creativi. In questi ultimi l’uomo affronta e gestisce direttamente la natura alfine di riversarvi aspetti speculari al tempo in cui vive. La manutenzione e il mantenimento sono necessarie per preservare tali aspetti accompagnandoli nella loro naturale evoluzione, e alle modalità in cui questa rientra in un disegno prestabilito. Un organismo vivente quale è il giardino è in continua trasformazione, gli alberi e le piante sono legate a un ciclo vitale che varia da specie a specie, da esemplare a esemplare e alle condizioni in cui esso è mantenuto. Tali condizioni sono dettate all’origine della realizzazione e poi adattate al mutare delle esigenze e alla storia acquisita dal giardino nel tempo. Per un giardino all’inglese è intrinseco confondersi con il paesaggio stesso, liberi da quelle geometrie che invece caratterizzano l’essenza del giardino all’italiana. Si intuiscono l’infinità di varianti che incorrono tra questi due estremi e che rendono unico ogni giardino, quindi le modalità di ripristino e manutenzione sono modulate a seconda di ciò che si vuole ottenere da tali operazioni. Un restauro meramente estetico è come una pianta che crescendo ad alto fusto senza lo sviluppo delle dovute radici, soccomba ai primi venti improvvisi; per eseguire un restauro bisogna invece conoscere tutti gli elementi che compongono l’ambiente: dati storici, territoriali, archeologici, architettonici, artistici, elementi ipogei ed acquatici, specie botaniche autoctone, naturalizzate ed esotiche (adattate, importate, infestanti). Le varie figure professionali coinvolte hanno da cooperare in modo mirato e unitario, chiaro e definito per ridurre i costi e i numerosi imprevisti, proponendo soluzioni che agendo sul particolare considerino l’insieme. “Questa ‘visione al futuro’ – prosegue Paolo Pejrone – comporta scelte coraggiose finalizzate a creare un giardino che abbia bisogno di poco lavoro una volta terminato l'intervento. Con un buon investimento di partenza si può ottenere così un risultato che garantisca una gestione tranquilla, poco dispendiosa e, soprattutto, sostenibile nel tempo”383.

383

Tratto dall’intervista di Luca de Leone.

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Breve storia del “Regio Sacro Eremo di Torino”

l'Eremo nel theatrum Sabaudie (da M. Aragno, 2006).

Il luogo adibito nel percorso di questo scritto a oggetto di studio, risale nella sua fondazione al 1602. Il vago ricordo che si ha oggi del luogo non intacca la sua importanza storica, ben documentata da fonti e dati autorevoli. L’abbandono protratto per decenni non ha cancellato, ma solamente nascosto le presenze architettoniche superstiti utili per la lettura del giardino e di quello che rimane. Dei quattro secoli di storia che lo caratterizzano il Regio Sacro Eremo risulta ancora pregno. La scocca che diede origine alla fondazione del sito e che giustifica l’oggettivazione Regio, giunge da Carlo Emanuele I e dallo scoppiare dell’epidemia di peste nelle cittadine del Piemonte, arrivando nell’autunno del 1598 anche a Torino. “Contro la peste esistevano all’epoca ben pochi rimedi, per cui si finiva sempre per ricorrere all’Aiuto Divino: processioni, richieste di intercessione a San Rocco, San Sebastiano, ecc. e voti.”384 Su quest’ultimo punto determinante risulta la figura di Ascanio da Ceva, nato a Garessio il 13 gennaio del 1538 e votato fin dall’infanzia alla carriera ecclesiastica, sfuggendo per scelta alle tormentate vicissitudini della corte papale, diventa camaldolese con il nome di Alessandro all’età di 32 anni.

384

M. Aragno, 2006, p. 15.

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Egli riesce ad emergere tra le fila dell’Ordine per le sue particolari doti ed è inviato nel 1576 a Torino come reggente del convento di Pozzo Strada, spiraglio cittadino di un ordine votato all’eremitaggio. Assumendo autorevolezza e stima all’interno della corte Alessandro “riuscì appunto a convincere il Duca che la strada giusta per far cessare il contagio era un voto di fondazione di un Eremo sui ‘Monti’ di Torino”385. Nell’autunno del 1599 l’epidemia cessò e la fondazione dell’Eremo da voto divenne decisione concreta. Al Ceva venne affidato, da un pontificio emesso da Clemente VIII e dalle disposizioni del Capitolo dell’Ordine camaldolese, la facoltà di fondare un Eremo. La scelta del luogo si rivela fondamentale per tali insediamenti dovendo soddisfare la necessità di isolamento dalla comunità laica (rimanendone comunque riferimento) e di sostentamento indipendente, proprio per questo il sito doveva essere ricco di fonti e di boschi. “La solitudine doveva essere garantita dall’assenza di abitazioni di uomini secolari per il raggio di un miglio intorno all’Eremo. Per assicurare la Il Venerabile Alessandro da Ceva. conservazione dei boschi che circondavano l’Eremo era previsto che si tagliassero solo gli alberi necessari[…] Con una sensibilità ecologica sorprendente per l’epoca veniva imposto che per mantenere l’equilibrio della foresta circostante si piantino ciascun’anno, in luoghi opportuni e vicini all’Eremo, quattro o cinquemila alberi”386. Tra i dettami formulati nelle costituzioni dell’Ordine Camaldolese risultavano anche quelli relativi alla tutela del luogo adibito a Eremo, dove non era possibile tagliare alberi “per non guastar la bellezza del luogo”. Tra tutti i siti visitati dal Ceva quello più vicino ai dettami di fondazione risultò il nostro sito denominato Paschetti, al confine tra Pecetto e Torino, con ben cinque sorgenti di acqua purissima (che saranno tra i principali motivi di degrado), il territorio rivolto a sud-est risultava tutt’intorno scarsamente abitato e circondato da boschetti di rovere. “Nell’autunno del 1601 salivano ai Paschetti il Duca, padre Alessandro, monsignor Broglia, vescovo di Torino, e l’architetto ducale Ascanio Vitozzi, per disegnare l’area di fondazione”387 e già il 21 luglio 1602 si posava con solennità la prima pietra, “il 28 ottobre 1606 la chiesa, dedicata insieme alle celle già costruite, al SS. Salvatore, veniva consacrata da parte di monsignor Broglia, alla presenza del Duca, dei suoi figli e dei cavalieri della SS. Annunziata”388. Quest’ultimo ordine, tra i più antichi d’Europa389 interagì con il nostro Eremo per via della perdita, dovuta alle guerre intraprese dal bellicoso stato Sabaudo contro la Francia, della loro sede centrale a Pierre Chàtel, situata oltre i territori del Rodano ceduti ai francesi.

385

Ibidem. Ibidem, p. 17. 387 Ibidem, p. 18. 388 Ibidem. 389 Creato inizialmente da Amedeo VI, detto il Conte Verde, intorno al 1350 comprendeva all’inizio 15 cavalieri compreso il Sovrano, denominati Milites Collaris Sabaudiae, proprio perché contrassegnati da un Collare chiuso da tre nodi d’amore a doppio intreccio. 386

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Per la nuova sede era necessario un luogo vicino a Torino, comodo per il Sovrano e maggiormente difendibile. L’Eremo ancora in costruzione venne designato come luogo ideale e le trasformazioni in corso d’opera per rendere coabitative le due entità eremitico-cavalleresche non trovarono nessuna resistenza. Anzi entrambi gli Ordini trassero giovamento reciproco per quasi due secoli, e il luogo venne arricchito con notevoli opere d’arte e costruzioni. “Per rendere il nuovo complesso monastico all’altezza della nuova dignità era però indispensabile dotarlo opportunatamente di rendite e possedimenti”, a questo provvide Carlo Emanuele che nel 1606 concedeva all’Eremo, “un censo annuo perpetuo di ducatoni due mila effettivi[…] e un donativo annuo perpetuo di ducatoni cinquecento da fiorini tredici di moneta di Piemonte” prelevati dai redditi dei feudi (tra cui Racconigi) e direttamente dalle casse statali. Si comprende subito quale giovamento comportasse per Amedeo VI crea l'ordine della SS l’Eremo la compresenza dell’Ordine dei cavalieri, ampie Annunziata (da M. Aragno, 2006). donazioni erano elargite alla Cappella Capitolare, di cui Alessandro Ceva, già Superiore dell’Eremo, risultava il Cappellano perpetuo. “Aggiungiamo ancora che quando, verso la metà del secolo seguente, sarà completata la Cripta per la sepoltura dei Cavalieri, verranno previste anche cospicue donazioni alla loro dipartita”390. La cosa curiosa è che tra gli 870 Cavalieri creati fino ad oggi, 78 erano ospitati in apposite nicchie della suddetta Cripta; tra di essi figura Roberto Malines (1714-1783), intellettuale e massone che, chiamato a corte in età matura, assunse dapprima il ruolo di educatore del principe Carlo Emanuele e poi di Gran Ciambellano, fino ad essere insignito dell’onoreficenza del Collare (1771). Tra i suoi lasciti, oltre a brillanti scritti e ad un’autobiografia è la fondazione della Regia Accademia di Pittura e Scultura (l’attuale Accademia Albertina), di cui fu il principale promotore. Tornando all’Eremo, l’attenzione dedicata da personaggi illustri, tra cui Sovrani e Madame reali come reggenti dell’Ordine della SS. Annunziata, apportarono lustro e ricchezza. La Chiesa situata centralmente all’area e progettata in maniera molto semplice dal Vitozzi, risolse parte queste ambizioni. Già modificata dal Valperga nel 1612 conobbe vari interventi di abbellimento e di resa statica, lesa dalle numerose infiltrazioni d’acqua, proprie dell’abbondanza idrica del luogo (che come vedremo sarà la causa della sua scomparsa). Se nel Seicento la chiesa ospitava un tabernacolo figurato da Amedeo di Castellamonte, costituito da marmi e pietre preziose, è nella prima metà del Settecento che vengono ampliati il coro, il presbiterio e la sala capitolare costruendovi inoltre l’altare maggiore. “Nel 1779 Dellala di Beinasco, nell’ambito di altri rifacimenti resisi necessari a causa delle solite infiltrazioni, costruirà la Cripta destinata ai Cavalieri, con 78 nicchie […] Sempre il Dellala ricostruirà, elevandola, la torre campanaria di destra”, costruzione che ancora sopravvive e ancora svetta, rendendo il luogo riconoscibile.

390

Ibidem p. 27.

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Altro elemento che caratterizza il luogo è l’unica cella camaldolese superstite, unico esempio in tutto il Piemonte. “Pur apparendo ad un primo esame, una costruzione relativamente modesta, la cella camaldolese è frutto di un’elaborazione architettonica sedimentatasi nei secoli alla ricerca, forse inconscia, della soluzione di un problema abitativo molto particolare”391: le celle erano dimore piccole ma confortevoli, costruite seguendo particolari criteri di igiene ambientale. L’autonomia della costruzione era il metro edificante, l’esposizione seguiva le necessità dell’orto annesso, recintato e poco più grande della costruzione stessa. Riflesso del loro stile di vita le celle camaldolesi si adattano al luogo più che adattarlo, “modificando il meno possibile la geometria. Un’ulteriore conferma alle inclinazioni ecologiste ante litteram dell’ordine di San Romualdo”392. Tra guerre, eventi canonici e straordinari il nostro Eremo passa indenne e prospera; la religiosità del luogo lo preservava dall’essere bersaglio bellico, mentre le cascine e le ville della collina, tra cui anche la Vigna del cardinal Maurizio vennero saccheggiate e distrutte durante l’assedio di L'Eremo nel 1726 Estratto dalla mappa catastale, Torino del 1640. sala consiliare Pecetto (da M. Aragno, 2006). Nei primi anni del Settecento il rovesciamento di alleanze tra Francia e Vittorio Amedeo II comportò un nuovo conflitto. “Incendi divamparono su tutta la collina: in fiamme vigne e cascinali. L’Eremo rimaneva integro”. L’unica perdita fu l’intorno boschivo, costituito da roveri, tanto caro ai camaldolesi e fondamentale per il loro statuto (isolarsi, ma non troppo), abbattuto per esigenze tattico-balistiche. “Dopo la liberazione di Torino”,che comportò l’innalzamento sull’altro colle torinese della Basilica di Superga “alcuni monaci proposero di approfittare del disboscamento per convertire l’ex zona boscosa in area agricola […] La maggioranza decise tuttavia di ripiantare i roveri, in coerenza con le regole camaldolesi, e nel 1721 si procedette alla messa a dimora delle prime piantine”393. Alcune descrizioni contribuiscono ad intendere l’Eremo nel suo insieme religioso, architettonico, artistico. “Di qui (Pecetto n.d.r.) andando verso Torino si trova, come massimo abbellimento del suo territorio, il celebre Eremo dei camaldolesi istituiti da San Romualdo abate, fatto erigere da Carlo Emanuele I, duca di Savoia di imperitura memoria. È ragguardevole per la stupenda chiesa impreziosita dalla cappella dei cavalieri dell’Ordine di Savoia, per le cellette dei monaci tutte uguali come quelle degli antichi anacoreti, per i bellissimi giardini e boschi e, quel che più importa, per le venerabili ossa di sant’Alessandro da Ceva, sacerdote camaldolese, confessore dello stesso Duca e famoso per le sue virtù”394. Notevole è inoltre il patrimonio artistico contenuto nell’Eremo all’epoca del suo massimo splendore: presenti numerosi quadri del Cignaroli, mobili del Padre camaldolese ed ebanista Carlo Amedeo Botto, tarsie del Piffetti, un’Ultima cena dipinta dal fiammingo Baldassarre Mathieu d’Anversa (allievo del Rubens) e ancora ammirabile 391

Ibidem, p. 31-32. Ibidem, p. 33. 393 Ibidem, p. 58. 394 Descrizione annessa alla rappresentazione iconografica dell’Eremo, Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis, 1660. Altra descrizione la fornisce Amedeo Grossi nel 1791, si veda M. Aragno, 2006 p. da 62 a 66. 392

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all’interno della biblioteca di Superga, un ritratto di Carlo Emanuele I per mano di Van Dick (scomparso), solo per citarne alcuni395. “Come si vede il Regio Eremo, grazie alla sua posizione privilegiata di monumento dinastico, possedeva una dotazione di tesori artistici di tutto rispetto, per lo meno in rapporto con le disponibilità finanziarie di una dinastia continuamente alle prese con guerre e problemi di bilancio”396. Per giungere all’Eremo si passava, allora come oggi, accanto a villa delle Regina, proseguendo su da strada dell’Eremo (oggi strada Pecetto), si arrivava al posto designato per l’insediamento camaldolese. Un lungo filare di roveri accompagnava all’ingresso principale. Tutto il terreno era delimitato da una recinzione in muratura che ancora oggi ne descrive il perimetro. All’interno le architetture scandivano sia la clausura della vita monacale sia le funzioni religiose e sociali. I monaci promuovevano attraverso la coltivazione di erbe officinali l’attività sanitaria e accoglievano i pazienti in un edificio apposito: l’Infermeria, scostato dall’area propria della vita monacale. Di quest’edificio rimane in buone condizioni l’annessa Farmacia, che ospita al suo interno affreschi dedicati alle storie della vita di Maria, degni di considerazione e bisognosi di un recupero immediato. Sul finire del Settecento, per il nostro Eremo inizia la fase di lento ma inesorabile declino. L’incolumità dell’Eremo risulta ancora inviolata sia dalle conquiste di Napoleone sia dai ripetuti capovolgimenti di fronte fino al 1801, anno in cui “la Commissione esecutiva per il Piemonte sopprimeva gli eremi di Torino, Busca e Cherasco ed i loro beni residui venivano incamerati come beni nazionali”397. Parte dei monaci confluirono a Lanzo, il cui Eremo era ancora conservato, altri ritornarono laici. Passarono otto anni prima che l’Eremo venne messo all’asta, durante i quali, il residuo di opere d’arte e di oggetti al suo interno venne trafugato o disperso. Il Piemonte nel frattempo scompariva come realtà indipendente, diventando sul finire del 1802 parte della Grande Nazione e nel 1804 dell’Impero, con Napoleone Imperatore. L’11 aprile 1809 l’Eremo venne messo all’asta, fino a giungere dopo alcuni passamano al banchiere Giuseppe Reyneri. Decadde l’interesse per la religiosità del luogo, innalzato a villeggiatura e vigna. “Le vigne sette-ottocentesche della nostra collina seguivano uno schema abbastanza omogeneo […] Il terreno prospiciente alla villa era generalmente terrazzato, attrezzato a giardino all’italiana, con siepi di bosso, statue e fontane, o all’inglese con boschetti, pelouses, finte grotte. Spesso si creava volutamente, o per stratificazione, un misto delle due tipologie. […] In sostanza la vigna era un lusso che potevano permettersi solo i più ricchi e che spesso portava alla rovina economica i proprietari”398. Con tale metro il neo-proprietario voleva adattare il sito, Nel realizzare le strutture a lui congeniali, tra cui la villa ancora oggi visibile, il Reyneri non eliminò del tutto la precedente conformazione architettonica, modificando invece quella botanica. “L’ingresso e l’ala settentrionale della Foresteria” che in passato accoglieva i viandanti “con la chiesa dei Forestieri, rimasero intatte, le celle, che ovviamente non erano funzionali alla nuova destinazione del complesso, furono abbattute, ad eccezione di tre (più una inglobata nella villa) ”399. L'Eremo nel 1826 (da M. Aragno, 2006). 395

Descrizioni esaustive del patrimonio artistico dell’Eremo le fornisce Amedeo Grossi. Per la situazione del collocamento delle opere, disperse dopo la soppressione del sito è necessario approfondire le ricerche;si veda sempre M. Aragno, 2006, p. 66-67 e p. 145-146. 396 Ibidem, p. 67. 397 Ibidem, p. 87. 398 Ibidem, p. 102. 399 Ibidem, p. 103.

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Molte altre strutture decaddero, ma non la farmacia e le strutture riadattate per uso agricolo. Nel terreno si intervenì terrazzandolo e trasformandolo in un vago giardino all’inglese, con l’introduzione di numerose piante anomale ed esotiche. L’acqua, che continuava ad essere abbondante venne utilizzata per comporre giochi e zampilli, e al posto della pescheria venne introdotto un laghetto. Se tra le piante e le aiuole facevano capolino grotte artificiali, notevole fu l’edificazione ex-novo della torre detta “dei principi”, in apparenza semplice belvedere ed ulteriore elemento suggestivo dell’intero complesso, la torre aveva funzione pratica: mulino a vento, forza utile nell’azionare una pompa che estraeva acqua da un pozzo sottostante. Nel frattempo che il Reyneri era impegnato nel risolvere problemi pratici (tra cui ancora quello dettato dall’invasione dell’acqua sorgiva all’interno della proprietà), “l’astro di Napoleone tramontò: il 20 maggio 1814 re Vittorio Emanuele I rientrava a Torino”400 acclamato dalla popolazione. Nel rimettere le cose a posto venne valutata la possibilità del ritorno dei camaldolesi nel loro Eremo. “Il povero Reyneri deve probabilmente aver sudato freddo, all’idea di vedersi portar via la proprietà, a caro prezzo trasformata in residenza di piacere”; convocato a rapporto dal funzionario addetto alla perizia del sito: “Non sappiamo cosa si siano detti, all’una di pomeriggio di quel 23 novembre 1815, Reyneri ed il Vicario di Polizia: la restaurazione dell’Eremo in ogni caso non si fece”. Le cause possono essere le più varie tra cui la difficoltà e l’onerosità nel riportare il luogo alla sua precedente situazione, di cui la chiesa centrale risultava ora pericolante. “Nel 1840 Carlo Alberto trasferì la sede dell’Ordine della Santissima Annunziata alla Certosa di Collegno, ponendo fine ad ogni residua ipotesi di ritorno all’antico Eremo”401. Ma l’Eremo per vie traverse ritornò a far parte dei beni ecclesiastici. Dall’asta passò a privati, che lo rivendettero a Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino, alla ricerca di un luogo salubre e isolato per stabilire la sede estiva del Seminario di Torino. “L’assoluto disinteresse di Monsignor Gastaldi per la conservazione di quanto rimaneva del Sacro Eremo non deve meravigliare più di tanto”402. Egli stabili l’abbattimento di alcuni edifici, tra cui il Museo, edificato nei pressi della scomparsa chiesa collocata al centro dell’area, al fine di reperire materiale edile. “Villa, Foresteria e Chiesa dei Forestieri furono conservate e si costruì un nuovo lungo edificio, unito ai precedenti a partire dal fianco sud della chiesa, da adibire a residenze dei seminaristi. Anche gli edifici rustici, che avevano una funzione pratica, furono conservati. Il Campanile era decorativo, Cella e Farmacia forse non valevano, per le ridotte dimensioni i costi della demolizione”403. Il Seminario istituito dal Gastaldi funzionò fino alla seconda guerra mondiale. “I giardini erano ben curati, fu costruito un campo da tennis e nel laghetto si poteva persino andare in barca”. Con lo scoppio del conflitto l’Eremo venne affittato alla FIAT per togliere gli ingegneri dagli innumerevoli obbiettivi bellici cittadini. Dalla FIAT in poi gli utilizzi furono i più disparati: dopo la guerra da vuoto e inutilizzato Mappa dell'Eremo all'atto dell'acquisto da ritornò utile nel 1960, la struttura dei seminaristi parte di Gastaldi (1876) con annotati gli edifici da conservare e quelli da abbattere ottocentesca venne riadattata e in parte trasformata a (da M. Aragno, 2006). residenza turistica in occasione di Italia ’61; 400

Ibidem, p. 107. Ibidem, p. 110. 402 Ibidem, p. 115. 403 Ibidem, p. 115-116. 401

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tra il 1962-63 la destinazione d’uso ripiegò nell’ambito sanitario, la struttura già precedentemente trasformata crebbe di un piano e divenne sponda dell’ospedale San Giovanni (le Molinette); problemi di competenza territoriale delle USL e di tipo igienico fecero chiudere la struttura; venne adibita allora a deposito di materiale radioattivo e magazzino incustodito. Le peripezie del nostro Eremo si fecero giudiziarie404: la struttura in parte abusiva venne riportata alla norma solo nei primi anni ’90 anni in cui anche la Sovrintendenza decretò il consolidamento e il ripristino delle coperture delle strutture storiche rimaste. I lavori di restauro non conobbero ulteriori approfondimenti e dei materiali impiegati nel recupero si fece razzia. Ora “La nuova residenza per anziani Eremo dei camaldolesi accoglie i suoi ospiti in un ambiente confortevole. Degli edifici storici del convento” e del giardino “,purtroppo non si è occupato più nessuno”405, ma forse del giardino sì, qualcuno sì.

Stratificazione degli edifici dell'Eremo dei camaldolesi a Pecetto. Disegno tratto dalla tesi di Laurea delle Dott.sse Roberta Mazza ed Elena Pecorari (Politecnico di Torino; da M. Aragno, 2006).

404

Anche i camaldolesi avevano avuto nell’occasione di qualche attrito di appellarsi in giudizio, vincendone le cause. Si veda M. Aragno, 2006, p. 77-80. 405 Ibidem, p. 122.

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L’Eremo si trova tra Torino e Pecetto in cima all’omonima collina torinese, rivela una posizione di prestigio sapientemente scelta fin dalla sua fondazione. La fotografia dall’alto (da Google Earth) attesta un notevole ammasso vegetale, all’apparenza informe, ma osservando attentamente si possono già notare resti di impianto dei precedenti utilizzi del giardino nell’area abbandonata. L’area a nord-ovest è attualmente adibita a sede per anziani e gode di miglior “salute” , rinascendo con successo dopo anni di incuria.

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Rilievo in pianta del “Regio Sacro Eremo� di Torino con il rilievo delle componenti architettoniche e botaniche * Si ringrazia il prof. Giorgio Buffa, docente di Botanica presso l’Orto Botanico di Torino per il suo prezioso aiuto nel definire la parte botanica.

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L’intervento Situato sul confine tra Pecetto e Torino, grande poco più di un ettaro e mezzo (15.000 m^2), il giardino dell’Eremo si presenta in uno stato altamente degradato. Il fatto che sia un giardino oltre che dalla sua storia è desumibile da alcuni indizi ancora riscontrabili all’interno del sito: l’assenza di specie arboree da ombra tipiche del bosco (visibili all’esterno della cinta perimetrale), ne attesta ancora una manutenzione “recente”; la presenza di disposizioni arboree disposte con “artificio” dall’uomo; la presenza di terrazzamenti e strutture tipiche del giardino (in questo caso di un giardino paesaggistico associato ad un utilizzo agricolo: laghetto con isoletta, finte grotte, terrazzamenti, lavatoio). Nelle numerose escursioni effettuate è stato possibile tracciare una mappa di rilievo dello stato attuale. Al rilievo delle architetture si è sovrapposto il rilievo delle presenze arboree sia pioniere sia proprie del luogo; la botanica ha contribuito in maniera essenziale per il riconoscimento e l’età delle varie specie. Questa prima fase d’intervento costituisce lo studio necessario per poter preventivare un’azione concreta. La piantina fornisce, oltre che lo stato di fatto in cui versa il giardino, il rilievo, come si è detto degli impianti apportati dall’uomo: oltre alla disposizione degli ippocastani (Aesculus hippocastanum) ordinati secondo un preciso percorso, si è rilevata la presenza di impianti di alberi da frutta (molto degradati e occultati da edere e rovi); verso nord esiste ancora un filare di peri il che fa supporre che quell’area fosse adibita a frutteto; un altro filare, questa volta di ciliegi, si trova in prossimità del laghetto. Quella zona era sicuramente produttiva vista l’abbondanza d’acqua e la presenza di terrazzamenti che ancora resistono. Elemento notevole dal punto di vista botanico e vero e proprio esemplare è quello che chiamo “il testimone”: in prossimità del laghetto si trova un tasso (Taxus baccata), vecchio di almeno quattro secoli, il che comporterebbe una quasi contemporaneità dell’esemplare con la fondazione dell’Eremo406. Purtroppo il tasso versa in condizioni di totale abbandono ed è prossimo al deperimento se non si interviene; è infatti infestato da una possente liana (Clematis vitalba) che lo priva della luce e tutt’intorno da rovi, edere e piantini di Lauro ceraso che ne limitano lo spazio. Abeti rossi svettano in prossimità della torre, tra di essi uno è schiantato e gli altri necessitano di un controllo fitostatico (la loro presenza è a ridosso della strada). Al degrado delle disposizioni arboree del giardino dell’Eremo contribuiscono in maniera notevole il dilagare di rovi che infestano buona parte del sito (rendendolo pressoché inaccessibile nella bella stagione) e la presenza di liane ed edera che avviluppano molte delle essenze citate, compromettendone la vitalità e la statica e anche l’estetica. Tra le varie fasi d’intervento, quella immediata e meno onerosa mirerebbe a ripulire e consolidare gli equilibri vegetazionali che risultano disomogenei e caotici. Oltre a disinfestare il sito dalla predominanza di rovi e a liberare gli alberi dall’edera e dalle liane mediante trinciature ripetute nell’anno (e negli anni per un minimo di tre) e sradicamenti; si provvederebbe a diradare l’invasione in atto dell’Acer pseudoplatanus, predominante nella parte occidentale del sito, mediante la scelta degli esemplari migliori. La suddetta zona verrebbe riportata da una situazione invasa e caotica a una più gradevole con le caratteristiche di parco collinare; nell’arco di breve tempo gli alberi selettivamente rimasti aprirebbero le loro chiome prosperando e mantenendo il terreno sottostante in una situazione ombreggiata a sottobosco di minima manutenzione. Tra le necessità primarie d’intervento risulta anche il fattore idrico. L’abbondanza di acqua (che come si è visto è stata fra le causa del degrado di molte architetture, a cui sopraggiungeva inevitabile la demolizione) tende oggi a non trovare del tutto appositi scoli; essa 406

Si ricorda che vera e propria regola per i Camaldolesi era quella di non alterare la morfologia del luogo più di tanto e di non tagliare nessun elemento arboreo già sviluppato o in fase di crescita.

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rende il terreno altamente argilloso e in alcuni punti palustre. Oltre a costituire degli scoli idonei e funzionali si dovrebbe far drenare il laghetto, attualmente quasi stagno, malsano e occultato, ripristinandone la profondità e gli argini, convogliando su di esso parte degli scoli. L’isoletta che ancora presenta delle strutture in legno verrebbe ripristinata e ripulita, così come il ponticello che la unisce alle sponde del laghetto, parte delle presenze arboree che attanagliano l’Isoletta verrebbero diradate optando per il recupero degli esemplari adulti tra cui un salice di particolare fascino per la sua crescita inconsueta a cavallo tra il ponticello e l’isoletta. Altro punto utile e non dispendioso lo fornirebbe il collocamento dei numerosi piantini di albero nati spontaneamente da piante madri nell’intorno che annoverano: noci, ippocastani, frassini, aceri campestri, tassi, lauri cerasi, querce. Riposizionati con strategia garantirebbero una colonizzazione puntiforme delle aree attualmente infestate. Il motivo per cui l’area denominata in cartina “prato a riposo” è rimasta tale è che attualmente viene adibita a pascolo; la conservazione di quest’area del giardino è dovuta proprio alle presenze animali che ciclicamente popolano quest’area. Gli animali seppur calpestando pesantemente il suolo, ne comportano la concimazione e eludono ogni tentativo dei rovi di invaderlo. L’area ben fertilizzata prospera in estate con distese di ortiche, il che visto il valore alimentare e terapeutico dell’ortica, fornirebbe lo spunto e l’aggancio per una possibile fase ulteriore di recupero (previa la volontà ed estinte tutte le priorità di degrado dell’ambiente). L’introduzione nel terreno a fronte alla Farmacia (quello appunto adibito a pascolo) di essenze aromatiche e medicamentose ripristinerebbe l’utilizzo che già in passato caratterizzava i terreni attigui alla Spezieria e alla Farmacia; la produttività verrebbe garantita dalla fertilità e dal riposo del suolo. Altri lavori successivi a quelli primari di recupero ambientale mirerebbero quindi a ristabilire la produttività dell’Eremo: oltre all’introduzione di piante aromatiche è possibile il ripristino dei frutteti a nord e a sud sulle indicazioni fornite dai filari superstiti, entrambi caratterizzati da un’ottima esposizione. Questa ultima parte del recupero per avere un senso dovrebbe scaturire in concomitanza con il progressivo restauro dei residui architettonici, che peraltro guidano la scansione del giardino. Se il recupero di muri a secco, dei loro resti e della messa in sicurezza potrebbe rientrare nell’intervento di “manutenzione straordinaria” del giardino, per le altre costruzioni compete un progetto razionale ed omogeneo, inteso nel complesso e preventivato per favorire un bilancio positivo dell’Eremo. Tra le architetture notevoli per la testimonianza che arrecano figurano: l’unico esempio di cella camaldolese superstite in Piemonte; la villa del Reyneri (con il suo frontone a tempietto è un autorevole esempio di residenza di villeggiatura ottocentesca); il campanile settecentesco progettato dal Dellala, in buono stato di conservazione ed elemento notevole del complesso; il lavatoio, parte del corpus d’azienda agricola del giardino del Reyneri; la farmacia, elegante architettura che arreca al suo interno affreschi con urgente bisogno d’intervento dedicati alle storie di Maria. La preziosità delle pitture è data oltre che dall’epoca (fine Seicento inizio Settecento) anche dalla fattura. Oltre alle suddette architetture figurano elementi ipogei: la cripta dei Cavalieri e la galleria sotterranea carrozzabile (le architetture ipogee accrescono il valore intrinseco del luogo e non sono da escludere come possibile percorso di visita). Il giardino potrebbe quindi guidare i visitatori alla scoperta, stimolante e concretamente attiva se rivelata in termini di cultura e natura così come si prefigura libera dal degrado. La complessità delle fasi d’intervento che l’Eremo richiede sono da stemperare negli anni; prioritario è riportare in termini di norma e sicurezza i degradi in atto operati dalla vegetazione invadente e dal quasi totale abbandono. I lavori potrebbero conoscere un avvicendamento utile per raggiungere il miglior risultato rapportato in termini di bilancio. Tra tutte le fasi d’intervento presentate quelle basilari comporterebbero una spesa fattibile, e il risultato potrebbe essere guida e traino per interventi futuri. Nel giro di qualche anno l’Eremo potrebbe conoscere, se non proprio l’antico splendore, una nuova rinascita, speranza già concretata nel restauro dell’attiguo Ospedale che attualmente è una 230


confortevole residenza per anziani. L’Eremo potrebbe conoscere quindi una nuova realtà unitaria a beneficio dell’intero complesso. Non mi dilungo oltre sull’importanza per il Piemonte della storia, della cultura, della natura che il luogo ancora preserva. Nell’Eremo intravedo, anche per via della sua comodità stradale, una risposta ecologica, culturale, concreta a questi tempi di “crisi”. Coinvolgendo professionisti, appassionati, studiosi, ricercatori nel recupero è lecito scoprire una storia che, seppur appartata e religiosamente riservata, in fondo ci appartiene.

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Epilogo407 “La stesura di questo modesto libro è stata occasione di svago, d’evasione dalla quotidianità e di riflessione per chi lo ha scritto. Mi auguro, per chi lo ha letto, anche solo in parte, di non essere stato troppo noioso. Pero di aver ottenuto lo scopo di risvegliare un, sia pur modesto, interesse per un simbolo della nostra storia, che come tale ci appartiene e dovrebbe essere salvaguardato e trasmesso ai nostri discendenti. Si riscoprono, con campagne di scavo costose, le vestigia di antiche civiltà, e questo è lodevole. Si recuperano edifici industriali obsoleti, promossi al rango di reperti di “archeologia industriale”, ed anche questo è degno di lode, purché non sia un pretesto per impiegare denaro pubblico in opere di dubbia utilità. In sostanza: quando esiste la volontà, politica o di altro tipo, i fondi e le intelligenze si trovano. La domanda che pone normalmente chi viene richiesto di un interessamento per il recupero dei poveri resti dell’Eremo, sia che si tratti di un pubblico amministratore che di un privato, è la seguente “e poi che cosa ce ne facciamo?”. Come se la salvaguardia del bello (e quello che rimane dell’Eremo, sia sotto l’aspetto artistico che sotto quello ambientale, è indubbiamente bello) richiedesse un utilizzo pratico immediato. Teniamo comunque presente che gli altri Eremi piemontesi, oltre ad essere mantenuti in condizioni incomparabilmente migliori rispetto al Regio Sacro Eremo, vengono utilizzati con profitto: - Belmonte ospita gruppi di giovani del comune di Carmagnola per soggiorni estivi, manifestazioni culturali e concerti; - Selvamaggiore è sede del Circolo Enogastronomico Culturale Eremo, che organizza mostre d’arte e cura un settore di accoglienza enogastronomia; - Rorea ospita uffici ed ambulatori della ASL. Anche l’antichissima Cerotosa di Pierre Chàtel è utilizzata per convegni, seminari e soggiorni. Le possibilità di un utilizzo pratico del sito recuperato, ad un passo da Torino, sono innumerevoli, ad esempio: - realizzazione di un percorso botanico-naturalistico, dedicato alla flora collinare, con l’inserimento di coltivazioni officinali, secondo la tradizione camaldolese; - commercializzazione di erbe medicinali, tisane, liquori, marmellate ecc. all’interno della Farmacia restaurata; - valorizzazione dell’unico esempio superstite in Piemonte di Cella camaldolese; - utilizzo degli ambienti della Foresteria per esposizioni museali, convegni e soggiorni; - sede del parco della Collina Torinese. Agli esempi suesposti se ne potrebbero aggiungere altri, con la possibilità di creare occasioni di lavoro per giovani volenterosi e spazi di svago intelligente per i frequentatori occasionali della Collina. Il recupero in questione potrebbe, forse, anche contribuire a migliorare l’educazione di una parte dei cittadini, abituati ad utilizzare le aree attigue all’Eremo, e la Collina in generale, come libera discarica per rifiuti di ogni genere e dimensione. Speriamo che gli Enti pubblici (Regione, Provincia, e Comune) e la proprietà recepiscano questa esigenza e si attivino finalmente verso un intervento di recupero concreto e razionale.”

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Riporto l’epilogo del libro di Maurizio Aragno, Principi, monaci e cavalieri “Regio Sacro Eremo” di Torino. Note storiche e divagazioni, p.157-158.

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“Perché dunque il presente non uccida il passato, anzi lo integri, il passato va tenuto vivo accanto al presente, sia nell’arte che nella natura, non meno storica, in un paesaggio come il nostro, dell’arte stessa”. Cesare Brandi 233


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Carta dei giardini storici detta "Carta di Firenze" Riunito a Firenze il 21 maggio 1981, il Comitato internazionale dei giardini storici ICOMOS-IFLA ha deciso di elaborare una carta relativa alla salvaguardia dei giardini storici che porterà il nome di questa città. Questa carta è stata redatta dal Comitato e registrata il 15 dicembre 1982 dall' ICOMOS con l'intento di completare la "Carta di Venezia" in questo particolare ambito. A. Definizioni e obiettivi o Art. 1 - Un giardino storico è una composizione architettonica e vegetale che dal punto di vista storico o artistico presenta un interesse pubblico. Come tale è considerato come un monumento. o Art. 2 - Il giardino storico è una composizione di architettura il cui materiale è principalmente vegetale, dunque vivente e come tale deteriorabile e rinnovabile. Il suo aspetto risulta così da un perpetuo equilibrio, nell'andamento ciclico delle stagioni, fra lo sviluppo e il deperimento della natura e la volontà d'arte e d'artificio che tende a conservarne perennemente lo stato. o Art. 3 - Come monumento il giardino storico deve essere salvaguardato secondo lo spirito della Carta di Venezia. Tuttavia, in quanto monumento vivente, la sua salvaguardia richiede delle regole specifiche che formano l'oggetto della presente Carta. o Art. 4 - Sono rilevanti nelle composizione architettonica del giardino storico: la sua pianta ed i differenti profili del terreno; le sue masse vegetali: le loro essenze, i loro volumi, il loro gioco di colori, le loro spaziature, le loro altezze rispettive; i suoi elementi costruiti o decorativi; le acque in movimento o stagnanti, riflesso del cielo. o Art. 5 - Espressione dello stretto rapporto tra civiltà e natura, luogo di piacere, adatto alla meditazione o al sogno, il giardino acquista così il senso cosmico di un'immagine idealizzata del mondo, un "paradiso" nel senso etimologico del termine, ma che è testimonianza di una cultura, di uno stile, di un'epoca, eventualmente dell'originalità di un creatore. o Art. 6 - La denominazione di giardino storico si applica sia a giardini modesti, che a parchi ordinati o paesistici. o Art. 7 - Che sia legato o no ad un edificio, di cui è allora il complemento inseparabile, il giardino storico non può essere separato dal suo intorno ambientale urbano o rurale, artificiale o naturale. o Art. 8 - Un sito storico è un paesaggio definito, evocatore di un fatto memorabile, luogo di un avvenimento storico maggiore, origine di un mito illustre o di una battaglia epica, soggetto di un celebre dipinto, etc. o Art. 9 - La salvaguardia dei giardini storici esige che essi siano identificati ed inventariati. Essa impone interventi differenziati quali la manutenzione, la conservazione, il restauro. Si può eventualmente raccomandare il ripristino. L'autenticità di un giardino storico concerne sia il disegno e il volume delle sue parti che la sua decorazione o la scelta degli elementi vegetali o minerali che lo costituiscono. B. Manutenzione, conservazione, restauro, ripristino o Art. 10 - Ogni operazione di manutenzione, conservazione, restauro o ripristino di un giardino storico o di una delle sue parti deve tenere conto simultaneamente di tutti i suoi elementi. Separandoli le operazioni altererebbero il legame che li unisce. o Manutenzione e conservazione 235


Art. 11 - La manutenzione dei giardini storici è un'operazione fondamentale e necessariamente continua. Essendo la materia vegetale il materiale principale, l'opera sarà mantenuta nel suo stato solo con alcune sostituzioni puntuali e, a lungo termine, con rinnovamenti ciclici (tagli completi e reimpianto di elementi già formati). o Art. 12 - La scelta delle specie di alberi, di arbusti, di piante, di fiori da sostituire periodicamente deve tenere conto degli usi stabiliti e riconosciuti per le varie zone botaniche e culturali, in una volontà di mantenimento e ricerca delle specie originali. o Art. 13 - Gli elementi di architettura, di scultura, di decorazione fissi o mobili che sono parte integrante del giardino storico non devono essere rimossi o spostati se non nella misura necessaria per la loro conservazione o il loro restauro. La sostituzione o il restauro di elementi in pericolo devono essere condotti secondo i principi della Carta di Venezia, e dovrà essere indicata la data di tutte le sostituzioni. o Art. 14 - Il giardino storico dovrà essere conservato in un intorno ambientale appropriato. Ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta. Queste misure riguardano l'insieme delle infrastrutture sia interne che esterne (canalizzazioni, sistemi di irrigazione, strade, parcheggi, sistemi di custodia, di coltivazione, etc.). o Restauro e ripristino o Art. 15 - Ogni restauro e a maggior ragione ogni ripristino di un giardino storico dovrà essere intrapreso solo dopo uno studio approfondito che vada dallo scavo alla raccolta di tutta la documentazione concernente il giardino e i giardini analoghi, in grado di assicurare il carattere scientifico dell'intervento. Prima di ogni intervento esecutivo lo studio dovrà concludersi con un progetto che sarà sottoposto ad un esame e ad una valutazione collegiale. o Art. 16 - L'intervento di restauro deve rispettare l'evoluzione del giardino in questione. Come principio non si potrà privilegiare un'epoca a spese di un'altra a meno che il degrado o il deperimento di alcune parti possano eccezionalmente essere l'occasione per un ripristino fondato su vestigia o su documenti irrecusabili. Potranno essere più in particolare oggetto di un eventuale ripristino le parti del giardino più vicine ad un edificio, al fine di farne risaltarne la coerenza. o Art. 17 - Quando un giardino è totalmente scomparso o si possiedono solo degli elementi congetturali sui suoi stati successivi, non si potrà allora intraprendere un ripristino valido dell'idea del giardino storico. L'opera che si ispirerà in questo caso a forme tradizionali, sul sito di un giardino antico, o dove un giardino non era probabilmente mai esistito, avrà allora caratteri dell'evoluzione o della creazione o escludendo totalmente la qualifica di giardino storico. C. Utilizzazione o Art. 18 - Anche se il giardino storico è destinato ad essere visto e percorso, è chiaro che il suo accesso deve essere regolamentato in funzione della sua estensione e della sua fragilità in modo da preservare la sua sostanza e il suo messaggio culturale. o Art. 19 - Per natura e per vocazione, il giardino storico è un luogo tranquillo che favorisce il contatto, il silenzio e l'ascolto della natura. Questo approccio quotidiano deve essere in opposizione con l'uso eccezionale del giardino storico come luogo di feste. Conviene allora definire le condizioni di visita dei giardini storici cosicchè la festa, accolta eccezionalmente, possa esaltare lo spettacolo del giardino e non snaturarlo o degradarlo. o Art. 20 - Se, nella vita quotidiana, i giardini possano tollerare lo svolgersi di giochi tranquilli, conviene comunque creare, parallelamente ai giardini storici, alcuni terreni appropriati ai giochi vivaci e violenti e agli sport, così da rispondere ad una domanda sociale senza nuocere alla conservazione dei giardini e dei siti storici. o

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Art. 21 - La pratica della manutenzione e della conservazione, i cui tempi sono imposti dalle stagioni, o i brevi interventi che concorrono a restituire l'autenticità devono sempre avere la priorità rispetto alle necessità di utilizzazione. L'organizzazione di ogni visita ad un giardino storico deve essere sottoposta a regole di convenienza adatte a mantenere lo spirito. o Art. 22 - Se un giardino è chiuso da mura, non bisogna eliminarle senza considerare tutte le conseguenze dannose per la modificazione dell'ambiente e per la sua salvaguardia che potrebbero risultarne. D. Protezione legale e amministrativa o Art. 23 - E' compito delle autorità responsabili prendere, su consiglio degli esperti, le disposizioni legali e amministrative atte a identificare, inventariare e proteggere i giardini storici. La loro salvaguardia deve essere inserita nei piani di occupazione dei suoli e nei documenti di pianificazione e di sistemazione del territorio. E' ugualmente compito delle autorità competenti prendere, su consiglio degli esperti competenti, le disposizioni finanziarie per favorire la conservazione, il restauro ed eventualmente il ripristino dei giardini storici. o Art. 24 - Il giardino storico è uno degli elementi del patrimonio la cui sopravvivenza, a causa della sua natura, richiede cure continue da parte di persone qualificate. E' bene dunque che studi appropriati assicurino la formazione di queste persone, sia che si tratti di storici, di architetti, di architetti del paesaggio, di giardinieri, di botanici. Si dovrà altresì vigilare produzione regolare di quelle piante che dovranno essere contenute nella composizione dei giardini storici. o Art. 25 - L'interesse verso i giardini storici dovrà essere stimolato con tutte quelle azioni adatte a valorizzare questo patrimonio ed a farlo conoscere e apprezzare: la promozione della ricerca scientifica, gli scambi internazionali e la diffusione delle informazioni, la pubblicazione e l'informazione di base, lo stimolo all'apertura controllata dei giardini al pubblico, la sensibilizzazione al rispetto della natura e del patrimonio storico da parte dei mass-media. I giardini storici più importanti saranno proposti perchè figurino nella Lista del Patrimonio Mondiale. o

Nota Bene Queste raccomandazioni sono adatte per l'insieme dei giardini storici del mondo. Questa carta sarà ulteriormente suscettibile di complementi specifici per i diversi tipi di giardini, correlati alla descrizione succinta della loro tipologia.

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La voce di Ercole Silva408

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Pagine tratte da Ercole Silva, Dell’arte dei Giardini Inglesi, Milano: Casa Crivelli, anno IX (1801). Si ringrazia la Biblioteca Reale di Torino.

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“Regio Sacro Eremo”: alcuni riscontri fotografici

Vedute generali d’insieme; il Bric seminascosto che definisce il luogo; presenze “edili” tra le ceppaie di nocciolo.

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Gli alberi interni al giardino dell’Eremo nel corso delle stagioni; edera a guisa di tenda nella grotta; edera avviluppata nei muri esterni ed interni degli edifici.

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Gli elementi architettonici emergono dalla massa vegetale, che come si vede ha conquistato anche parte degli interni.

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Le sorprese e le scoperte che un giardino abbandonato riserva hanno dell’imprevedibile: veduta della Farmacia; resti dei muri di fondazione della Chiesa; la scala a chiocciola del Campanile e il Campanile; il prato adibito a pascolo in fronte alla Farmacia; veduta dell’Isoletta del laghetto e del Laghetto.

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Altre sorprese: accesso alla Cripta dei cavalieri interrata che ancora sopravvive come elemento ipogeo; la volta della Cripta dei cavalieri; murature e decorazioni interne alla Villa del Reyneri; Decorazione ad affresco sulla volta della Cella camaldolese superstite.

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Le pitture ad affresco, di inizio Settecento, presenti all’interno dela Farmacia sono di notevole fattura, il loro stato di conservazione attuale è pessimo, le pitture dedicate alla storia di Maria rischiano di perdersi del tutto se non si interviene a breve termine. L’intonaco cedevole, l’incuria dell’uomo e l’acqua infiltrata sono tra le cause principali del degrado

in atto. Dio padre; Assunzione al Tempio; Sposalizio della Vergine; decorazioni tipiche del Settecento che intermezzano la volta. Molti frammenti di intonaco con le pitture giacciono al suolo con il rischio di polverizzarsi.

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Le pitture si presentano con un buon grado di leggibilitĂ . Annunciazione; NascitĂ di GesĂš bambino; Adorazione dei Re Magi; Fuga in Egitto.

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Maria e Maddalena; Ascesa di Maria; La scansione delle decorazioni è data da queste lunette che riportano volti di angioletti di squisita fattura che ancora resistono; insieme della volta della Farmacia; volta della Chiesa dei Forestieri.

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Piccola guida al portamento e ai criteri di scelta di alcuni alberi

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…Fiore del botton d’oro da un calice verde Il saper ratto s’apprende Se il sentir lo guida. Ancor da misura eppur Mai confina.

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