La Fenice Nr 1

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La Fenice No 1 ­ Inverno 2021 Il volo della Fenice L'iniziazione martinista nell'era contemporanea L'iniziazione martinista: iniziazione reale o virtuale? L'Ain e i suoi riflessi La barba di Aronne (1a parte) Louis-Claude de Saint-Martin e la via cardiaca (1a parte) Essere martinisti (1a parte)

Loggia Martinista "Silentium" Info e conta : loggiasilen um@gmail.com


La Fenice No 1 ­ Inverno 2021

BENNU è il notiziario della Loggia Martinista "Silentium" dedicato agli studi sul Martinismo e sulla Tradizione. È uno spazio di incontro fra quanti, animati da interno desiderio, vogliono condividere la propria esperienza con coloro che sono in cammino o si apprestano a farlo, nel solco della Tradizione.

L'editing e la pubblicazione online sono a cura di: Iperion S:::I:::I::: ­ Bes S:::I::: Le immagini e la revisione dei testi sono curate da: Eros S:::I::: ­ Hathor I:::I::: Hanno scritto su questo numero della rivista: Iperion S:::I:::I::: ­ Aerman S:::I::: Rhiannon S:::I::: ­ Bes S:::I::: Eros S:::I::: ­ Crisi I:::I:::

Sommario Editoriale ‒ Il volo della Fenice ‒ La Fenice

Rassegna Martinista ‒ L'iniziazione martinista nell'era contemporanea ‒ L'iniziazione martinista: iniziazione reale o virtuale?

Sentieri della Tradizione ‒ L'Ain e i suoi riflessi ‒ La barba di Aronne (1a parte)

La Parola ritrovata ‒ Meditazioni sul Martinismo e sui doveri dei martinisti

Contributi ‒ Louis­Claude de Saint­Martin e la via cardiaca (1a parte) ­ Essere martinisti (1a parte)

Vita Fraterna La responsabilità degli articoli è lasciata interamente ai singoli autori e non impegna, per il loro contenuto, la Loggia Martinista "Silentium".

‒ La loggia martinista "Silentium" e i suoi gruppi ­ Calendario operativo

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La Fenice

Editoriale

Il volo della Fenice di Iperion S:::I:::I:::

Carissimi lettori,

Luce. Separabis Terram ab Igne, subtile a spisso, suaviter, cum magno ingenio… et recepit vim superiorum et inferiorum… sic habebis gloriam totius mundi. Per il nome della rivista, ci si è ispirati alla narrazione mitologica che descrive la Fenice come l’uccello abitante la regione mediterranea della Fenicia, nell’Asia occidentale. Il mito rimanda ai concetti di rinascita, di rinnovamento e di rigenerazione. La Fenice è messaggera e annunciatrice di una nuova Vita, della novella Luce. Questi concetti sottendono a fasi operative che si ritrovano in ogni Tradizione iniziatica. Nel Martinismo trovano la loro ragion d’essere nella reintegrazione che prelude al “Ritorno alle Origini”, fine a cui tende ogni martinista e che il mito della Fenice, così come illustrata in copertina, ben rappresenta. La rivista “La Fenice” esprime le idee e l’operatività che caratterizzano la Loggia Martinista “Silentium” e i suoi Gruppi nei quali forte è il senso di rinnovamento e “habitare fratres in Unum”.

la rivista “La Fenice” fa il suo debutto in un periodo dell’anno in cui forte è il desiderio di dare avvio alla semina di quanto in precedenza raccolto e con attenzione vagliato affinché un nuovo ciclo possa avere inizio. Ed è quanto ci rammenta - nella Tavola di Smeraldo - Ermete Trismegisto: «Separerai il sottile dallo spesso con grande ingegno… affinché ogni oscurità si allontani».

Ciò che avviene in Natura, trova le sue leggi nell’agricoltura celeste che, analogicamente, riguarda anche l’essere umano. In piena adesione con lo spirito di cui la Natura è partecipe in questo periodo, ci si è separati da quanto ritenuto superfluo e contingente raccogliendo la forza delle cose superiori e inferiori, per mirare esclusivamente alla

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Come la Fenice rinasce dalle ceneri per iniziare una Vita Nova così la Loggia “Silentium” e i suoi Gruppi sono sorti dalle ceneri di una precedente esperienza per librarsi nuovamente verso vette più elevate e dar vita a un nuovo percorso di ricerca operando fraternamente, nel senso più autentico del termine, superando ogni forma di umiliante discriminazione, soprattutto di genere, nella piena osservanza della tradizione martinista. Si è pensato di mutare, oltre al nome della rivista, anche la sua veste grafica, a cominciare dal cambio di colore della copertina che dal rosso amaranto passa al blu. Innanzitutto, il colore blu suggerisce l’idea della riflessione e della meditazione (idee necessarie se si vuole rispondere alle tre domande della Sfinge: Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?). Al contempo, il colore blu rimanda ai concetti di rinascita e di scoperta della Verità, così come ritenuto dagli egizi. Su questi elementi valoriali è stata realizzata l’immagine della Fenice che simbolicamente allude a un percorso verticale mirante all’astro luminoso per eccellenza: il Sole. I primi numeri della Rivista riproporranno alcuni articoli già pubblicati in altra sede poiché affrontano concetti e idee irrinunciabili per la comprensione degli articoli che verranno pubblicati nei numeri successivi. La collaborazione alla rivista “La Fenice” è aperta a tutti gli “uomini di desiderio” che nel Martinismo (qualunque ne sia la

denominazione e la struttura) vedono come fondamentale Verità e come scopo irrinunciabile - la riconciliazione dell’uomo con sé stesso e la successiva reintegrazione che ciascuno deve evocare, creare e sviluppare in sé. La Fenice ha ripreso a volare.

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L a Fe n i c e di Belfegor (settembre 1949) tempi lontanissimi, ricostruita da una serie di documenti scritti su tavolette d'argilla, appartenenti ai secoli XIV e XIII a. C.

L'articolo che segue fu pubblicato, nel

1949, sul primo numero dell'omonima rivista La Fenice - Rivista mensile di studi esoterici - per conto della Delegazione Generale della Fr+Tm+ di Miriam, ai quei tempi presieduta da Domenico Lombardi (Benno). Nella nota di presentazione della rivista La Fenice, Lombardi racconta di aver trovato l'articolo in un mucchio di vecchie carte e di averlo scelto perchè intitolato come la rivista, La Fenice appunto, «e poi perchè firmato da un certo Belfegor». Quindi prosegue: "Baal o Beelphegor, come Voi sapete, era il dio dell'«aprimento», cioè dell'«apertura» che si fa «per entrare». Dunque è d'occasione e pure di buon augurio. Speriamo, pertanto, che "La Fenice" riesca ad aprire più larghi orizzonti ai cerebri chiusi ed a far entrare i migliori, con passo misurato ed accorto, nel Sacrario della Mistica Rosa". Non possiamo che fare nostro il medesimo augurio. =^=^=^=^=^=^=

Esse contengono testi di cultura di carattere amministrativo è religioso, di cui alcuni ancora inediti, incisi con scrittura alfabetica, simile al sillabario cuneiforme sumero-accadico. La loro religione, che conosciamo da un rifacimento greco di Filone di Biblo, conservato in numerosi frammenti, consisteva in una cosmogonia che attribuiva, all'unione del CAOS con lo

La Fenicia si stendeva lungo le coste della Siria, a settentrione del promontorio del Carmelo, sulla fascia costiera, fra l’Antilibano e il mare, e fu abitata da remotissimi tempi, come è provato da avanzi arcaici ivi rinvenuti. I Fenici ebbero e conservarono, nonostante l'influenza egizia e greca, una propria fisionomia culturale ed etnica, che risale a

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SPIRITO, la nascita di un uovo (Môt), dalla cui scissione ebbero origine il CIELO e la TERRA. Due principi, dunque, che si fondono e si scindono, per diretto ed inverso processo di creazione, da cui una coppia originaria, matrice degli dei, dei giganti e dell'umanità. I loro onori sacri erano resi fondamentalmente ad una coppia divina, Baal - Astarte, cui univano un dio fanciullo, per la formazione della Triade Suprema. Essi nutrivano un culto sensuale della Natura, nella quale distinguevano un principio maschile e un principio femminile. Fenice era il loro rappresentante mitico, in greco fòinix, che vuol dire rosso fuoco. Abbondano in greco i derivati e sinonimi come: Foinico, che significa rosso, purpureo, fiammeggiante, vermiglio. Foinios, rosso (di sangue) sanguinoso.

Foinissa, sangue. Foinisso, tingere, colorare in rosso. Fenicide era la tunica rossa che gli opliti spartani portavano sotto la corazza. Fuoco fenicio o feniano era una soluzione di fosforo nel solfuro di carbonio, che, versata su corpi combustibili, li incendiava, perché il solfuro di carbonio si volatilizza subito e il fosforo che resta si infiamma facilmente. La Fenice è pure una costellazione del cielo australe. Fenici erano le Caste Avi-Gerie, che serbavano i Lari degli Avi, cioè le ceneri, quelle stesse da cui la fenice risorgeva e che sono il risultato della combustione in Apotheosis. La Fenice, a quanto sostiene Ovidio, si trovava negli Elisi, cioè Eli-Isis, (Sole e Luna) e adombrava un mistero, l'ultimo a conoscersi, unico per tutto il mondo.

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E viene tirata in ballo perfino l'accertata sede topografica, variabile su tutti i quarti e mezzi quarti della rosa dei venti, a seconda che alla nuova coprocrazia dell’occulto piaccia spostare la sua instabile residenza. La Fenice, invece, ne indica l'ubicazione UNICA e SICURA, ed i suoi decifrabili connotati stanno a dimostrare che non bisogna rivolgersi al pizzardone stradale per rintracciarla, perché i Numi non si farebbero tanto facilmente sorprendere a simposio da estranei non muniti del biglietto d'invito. Nel simbolo della Fenice stanno la chiave e la parola di passo per comunicare con l'OCCULTO SINEDRIO, la cui Gerarchia non si estrania dai suoi dipendenti ed è la sola DOMINANTE. Pertanto, chi non sia un venditore di fumo, o uno dei tanti ciarlatani che infestano noiosamente l'approccio ai confini del sacro recinto, ha il dovere di invitare i preparati a non rivolgersi vanamente all'oriente o all'occaso, ma a stabilire il proprio, indistruttibile contatto. Allora soltanto, sapranno se trattisi di un cavo transatlantico o di un filo della tessitrice Aracne, avranno risposta ai loro molti pensieri che, sotto l'aspetto di iridate farfalle o di notturne falene, vanno sciamando intorno ai consapevoli, e capiranno pure perché fanno una grandissima pena.

Su questo famoso uccello molto favoleggiarono gli antichi e, secondo Erodoto, esso volava dall'Arabia in Eliopoli, ogni cinquecento anni, recando chiuso in un uovo di mirra il cadavere del padre, per seppellirlo nel Tempio del Sole. Secondo Tacito, invece, si fabbricava un nido in Arabia e, cresciuto, bruciava il padre sull'altare del Sole; mentre per altri, giunto alla età avanzata, si uccideva sopra un rogo di legni aromatici, donde il nome di Ardea purpurea, dalla pira che lo incenerisce e dal colore rosso di cui si ammanta. L'uccello fu adorato in varie città e venne messo in relazione col dio Sole (Rig), anzi lo si vede appollaiato presso la tomba di Osiride e, secondo i testi delle Piramidi, nel Tempio della Fenice era la pietra sacra puntuta, dalla quale era sorto nei primordi il dio. Il rosso, il fuoco, le ceneri, che volano facilmente al vento, l'uccello purpureo, il rogo, la resurrezione e gli Elisi, sono tutti ingredienti, procedimenti e risultati di operazioni alchemiche, che si praticano in un recondito CENTRO, ove lo 0 è la Fiamma, lo 0 è l'Orifiamma e lo 0 è la Sfinge; del quale CENTRO potrebbe dirsi, come per l'Araba Fenice, «che vi sia ognun lo dice, ove sia nessun lo sa». Cotesto CENTRO ricorre, tuttavia, frequentemente nelle incaute, malconsistenti e fin troppo riconoscibili ostentazioni di versatissimi millantatori.

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La Fenice

Rassegna Martinista

L'iniziazione martinista nell'era contemporanea Iperion S:::I:::I::: - Loggia "Silentium" - Collina di Pescara È anche vero che i termini iniziazione e Parola vanno contestualizzati, non in un ambiente spazio-temporale finito, o quaternario, ma vanno invece riferiti in un ambito tradizionale dove non c’è spazio e non c’è tempo, dove invece vi è l’esistenza, non necessariamente legata alla presenza dell’uomo, ma dove vi è qualcosa che va al di là quello che i suoi sensi sono in grado di cogliere. Come si dice, se il cieco non è nelle condizioni di vedere la luce emanata dal Sole, non significa che la luce e il Sole non esistano. A tal riguardo, eviterei di entrare nelle disquisizioni fra immanenza e trascendenza, disquisizioni che lascio agli amanti dei verba, ma non del Verbum.

In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Ómnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. (Giovanni, Vangelo 1:1-5)

Perché iniziare questo articolo, dedicato

all’attualità dell’iniziazione martinista, con il Prologo o, altrimenti detto, Inno al Logos di Giovanni? Per affrontare l’argomento, ho voluto prima chiarire a me stesso cosa intendere per iniziazione. Innanzitutto, ho pensato che il termine iniziazione faccia pensare a un inizio, a un cominciare, a un principio. Mi è allora, subito balzato alla mente, come ricordo recente, il Prologo di Giovanni, in cui si fa riferimento, per l’appunto, al Principio. E cosa ci dice Giovanni? Che al principio c’era il Verbo, o meglio, il Verbum. Soffermiamoci: il termine Verbum è tradotto, il più delle volte, come Parola. Quindi, se dobbiamo pensare all’iniziazione come un principio e, al principio era il Verbum, cioè la Parola, allora per sillogismo categorico, in qualche modo, l’iniziazione deve avere a che fare con la Parola.

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l’iniziazione martinista, si tratta di cominciare da subito ad operare affinché, come indicato dai Maestri Passati, si possa giungere alla reintegrazione dell’uomo nelle sue primitive proprietà, virtù e potenze spirituali e divine, andate “dimenticate” e quindi perse, in seguito alla “caduta”. Con l’iniziazione, infatti, si apre per l’uomo la possibilità di fare ingresso in un “mondo altro”, ma allo stesso tempo in sé stesso, per risvegliare il “principio divino” presente in ciascuno di noi. Si tratta di ciò che veniva definito il Fuoco al centro della Terra, rappresentato anatomicamente nell’uomo dal cuore, considerato come centro dell’intelligenza spirituale, da cui deriva il termine ricordare, da "re-cordari", cor, cordis, cioè cuore che col prefisso re, significa portare al cuore. Non è un caso che molti segni nei diversi gradi martinisti, e in altre strutture iniziatiche, fanno riferimento al cuore quale simbolo del centro della memoria spirituale umana da risvegliare altrimenti detto flos ignis, il fiore di fuoco, rappresentato in alcune immagini mistiche come una fiamma che si sprigiona dal cuore.

Non a caso anche altre strutture iniziatiche, riconoscendo questa vicinanza semantica fra Verbum e iniziazione, spingono la loro opera alla ricerca della Parola perduta. In realtà, sia il Verbum che l’iniziazione riportano ad un concetto comune che è quello di atto creativo, di atto trasmutatorio, o, ancora meglio, di palingenesi, vale a dire di ri-nascita, di una nuova vita dunque o Vita Nova. Ciò è possibile se si lascia agire, su di sé e in sé, l’influenza spirituale che viene trasmessa durante il rito di iniziazione per aprirsi completamente ad un altro modo, o mondo, di esistenza. In particolare, per quanto concerne

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riportare in luce quanto è stato ottenebrato, obnubilato dallo stato esistenziale nel piano della manifestazione sensibile o “al di qua”. Pertanto, l’iniziazione deve necessariamente condurre, in quanto memoria, ad una presa di conoscenza di una condizione “altra”, o ancora meglio, “ultra”, una condizione che ci è nota, ma è stata dimenticata conseguentemente al distacco dalla divinità, alla caduta nel piano fenomenico della materialità o quaternario. Lo stesso può dirsi della perdita della Parola, nel rumore prodotto dalla materialità del discorso puramente dialettico. Invece, la Parola deve essere intesa essenzialmente nel suo significato profondo, come veicolo simbolico di una esperienza interiore. In quanto appena detto, ci soccorre il divin poeta, allorché, nel primo canto del Paradiso, al settantesimo verso, ci ammonisce: Trasumanar significar per verba non si poria, vale a dire che non si può andare al di là dell’umano se si utilizzano le parole. Ci si riferisce qui ad una conoscenza non accademica, non parolaia, non libresca, non limitata alla razionalità, per quanto dotta essa possa essere. La conoscenza a cui tende l’iniziazione è completamente opposta alla conoscenza

Quindi, se con l’iniziazione dobbiamo ricordare, se dobbiamo pervenire allo stato iniziale dell’uomo prima della caduta, allora dobbiamo ritrovare per analogia, il Verbum, la Parola che solo apparentemente è andata perduta o confusa nel frastuono della verbosità.

Sempre analogicamente, si può fare riferimento alla Fenice, l’Uccello di Fuoco della teologia di Heliopolis, o al Quetzalcóat, il Serpente piumato della teologia tolteca. Entrambi indicano un inizio, il principio primordiale di vita che riscoperto in sé, conduce all’immortalità. Su questo tema, e in particolare su come gli antichi egizi hanno rappresentato il percorso a ritroso dell’uomo verso la sua origine divina, è opportuno fare riferimento al Libro dei morti egizio chiamato anche Libro per uscire al giorno. Occorre rammentare che l’iniziazione è strettamente collegata ad un ricordo, e il ricordo è una riconquista della memoria, un

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non le si pongono a dimora al calore della terra nel giusto periodo, non si diventa giardiniere. Una cosa non la si conosce realmente finché non la si realizza. Vale a dire finché la coscienza non possa trasformarvisi. Questo ci pone dinanzi una evidente verità: la conoscenza fine a sé stessa è essenzialmente concettuale e accademica, è kultur, mentre la conoscenza iniziatica è sostanzialmente un vissuto, un fare, ancora meglio è Opera. È questo il motivo per cui, in ambito iniziatico e tradizionale non vi è, e non vi può essere, un insegnamento di tipo cattedratico con sedicenti messia e abboccanti discenti. Non possono esserci conferenzieri che propongono falso misticismo e confusioni spiritualistiche, tipiche della new age, abbonamenti a prolifiche monografie periodiche sul sovrannaturale, corsi a dispense di dottrine esotiche di ogni tipo a costi proibitivi. Ma questo dispersivo e fuorviante panorama che si offre a chi si avvicina alla ricerca esoterica non ha nulla di tradizionale e tantomeno di iniziatico.

razionale, alla gnosis greca, che vede il conoscente, colui che conosce, e il conosciuto, l’oggetto della conoscenza, su versanti contrapposti, rimarcando, di fatto, una dualità fra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Consegue un processo gnostico, o di conoscenza, essenzialmente duale, un continuo procedere fra due opposti. Al contrario, e non può essere altrimenti, la conoscenza iniziatica è un andare oltre ogni dimensione dialettica. Nella conoscenza iniziatica vi è identificazione fra conoscente e conosciuto ed è quindi un’esperienza essenzialmente unitaria ed unitiva. Un basilare assioma ermetico così recita: per conoscere cosa sia la tal cosa, bisogna diventare la cosa stessa, come dire che possiamo leggere tutti i libri di giardinaggio e guardare tutti i video possibili, ma finché non si prendono le sementi e le pianticelle e

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sdoppiamento fra conoscente e conosciuto, allo stesso modo, il culto del divino presuppone uno sdoppiamento, una netta separazione fra l’orante e la divinità. Il processo iniziatico, di contro, auspica una transumanazione, un andare oltre la natura umana, per pervenire, successivamente, ad una identificazione con il divino, una fusione, un bruciare insieme o indiamento. Una sintesi di quanto appena detto si trova nella parola “Dio” che indica sia il concetto di divinità, Dio per l’appunto, sia l’identità dell’iniziato, se si pensa a Dio scritto come D’Io. Ed è questo ricordo della primitiva unità da ricostituire che richiama il concetto di reintegrazione tanto caro al Martinismo e ai martinisti e, come ricordato dal Maestro Passato Nebo, ne è “… la sua essenza, la sua prima e ultima parola2”. Parola o Verbum, vorrei aggiungere, capace di richiamare, da noi e in noi, la voce occulta e divina del nostro Maestro Interiore che ci ri-corda chi Io Sono. Louis-Claude de Saint-Martin, in Ecce Homo, rammenta: “Malgrado la vastità del

Ho detto pocanzi che la conoscenza iniziatica è Opera; allora, se il fine del Martinismo è la reintegrazione dell’uomo nelle sue condizioni originarie, prima della caduta, cioè un processo di reintegrazione con il divino, ne consegue (sempre seguendo il sillogismo categorico) che l’opera a cui si fa riferimento è un Opera Divina, in greco antico teos Dio e ergon opera, ciò che negli Oracoli Caldaici1 è stata definita teurgia (dal greco antico theurghía). Di Opera si sta trattando.

Occorre escludere, pertanto, tutto quanto possa avere carattere devozionale e, conseguentemente, deve essere escluso tutto ciò che diviene mero culto del divino. Infatti, come il processo di conoscenza adottato dalla gnosi presuppone uno

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istanza di percorrere un cammino di riconciliazione e reintegrazione, facendo di sé stesso il Filosofo dell’Unità. Sta proprio in questo l’attualità dell’iniziazione martinista che conserva la sua essenza più profonda nel suo essere intimamente radicata nella Tradizione.

tempo, malgrado lo spessore delle tenebre, tutte le volte che l'uomo contemplerà i suoi rapporti con Dio, ritroverà in sé gli elementi indissolubili della sua essenza originale ed i naturali indizi della sua gloriosa destinazione3”. Ecco, allora, che il Martinismo fornisce gli strumenti per pervenire a questo risveglio progressivo in funzione della qualificazione dell’iniziato che rappresenta la materia prima dell’Opera. Si è detto delle finalità dell’iniziazione, e dell’iniziazione martinista in particolare, si è detto che il Martinismo fornisce degli strumenti progressivi per la pratica, si è detto che il compimento dell’Opera dipende dalla messa “in atto” di quanto nell’iniziato è “in potenza”. Il martinista dovrà, perciò, mostrarsi scevro dai lacciuoli del tempo e dello spazio che non possono avviluppare colui che, ricevuta una iniziazione reale, avverta l’intima

Note: Gli oracoli caldaici sono stati scritti fra il I e II sec. d.C. e sono attribuiti a Giuliano il Caldeo e suo figlio Giuliano il Teurgo. L’opera completa, scritta in greco, è andata parzialmente distrutta e sono giunti a noi solo dei frammenti. 1

Francesco Brunelli, Il Martinismo e l’Ordine Martinista, Editrice Volumnia, Perugia, 1980, p.175. 2

Louis-Claude de Saint-Martin, Ecce Homo. La reintegrazione dell’uomo attraverso la catarsi, Edizioni Bastogi, Foggia, 1998, p.27. 3

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L'iniziazione martinista: iniziazione reale o virtuale? Rhiannon S:::I::: - Gruppo "Phartenope" - Collina di Napoli

Nel momento in cui si vuole cominciare a

dall’altro abbiamo la possibilità offerta all’uomo di rialzarsi lungo una verticalità nel momento in cui si “rende conto” di avere in sé “il germe della Luce” che lo porterà allo stato iniziale prima della “caduta”. E ancora una volta è richiamato il concetto di inizio e di principio. Ma inizio di cosa? La parola “inizio”, da cui “iniziazione”, è la soluzione: inizio da in-ire, quindi un “andare dentro” e non verso improbabili divinità assise su nubi accomodanti e paffute.

parlare di “iniziazione” la mente ci rimanda subito al concetto che si sta per “dare inizio a qualcosa”, che si sta “intraprendendo un percorso” che ci condurrà verso la “meta” di cui abbiamo - in un preciso momento della nostra vita - avvertito la “presenza” e il conseguente “richiamo”. E questo “sentire interiore” ha caratterizzato sempre colui che si avvicina ad una struttura iniziatica, sia se ci riferiamo al passato sia in età contemporanea. Come martinista, come donna che ha avvertito questo richiamo e che ha deciso, non certo per caso, di intraprendere il percorso martinista, non posso che fare riferimento ai nostri Maestri Passati – che sono sempre presenti fra noi – a cominciare da Martinez de Pasqually che usava affermare: “Mio Dio, proteggimi da me stesso”. Il suo allievo prediletto, LouisClaude de Saint-Martin gli faceva eco sostenendo che: “L’uomo è la somma di tutti i problemi” ma allo stesso tempo asseriva che: “L’uomo porta in sé il germe della Luce e delle verità”. Ecco, quindi, che se da una parte abbiamo la rappresentazione dell’uomo immerso nella problematicità del piano orizzontale (ricordato da Martinez e da LCSM)

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Una volta compreso che la “risposta” a questa “chiamata interiore” si trova nell’intraprendere un percorso di comprensione e successivo sviluppo del nostro essere, dobbiamo riflettere se quanto ci prospetta il percorso martinista sia reale nel senso di res, di riscontrabile, oppure frutto di seducenti fumose filosofie, cioè se il Martinismo offre una iniziazione reale o virtuale. E per rispondere a questo mio interrogativo mi è giunto, quasi inaspettatamente, un piccolo intervento svolto dal Gran Maestro Passato Giovanni Aniel (Fabrizio Mariani). Fabrizio Mariani ha lavorato come giornalista e come conduttore radiofonico per la Rai. È stato anche uno scrittore e ha dato alle stampe numerosi testi con la casa editrice Bastogi di Foggia. In particolare, nel 1982, ha pubblicato “Introduzione alla pratica ermetica” la cui presentazione è stata scritta da Nebo, Francesco Brunelli, Gran Maestro dell’allora Ordine Martinista Antico e Tradizionale (OMAT). La presentazione al testo è datata Perugia, luglio 1982. Brunelli morirà qualche settimana dopo, il 19 agosto. Quindi, è stato forse uno dei suoi ultimi contributi scritti. Giovanni Aniel (Fabrizio Mariani) come giornalista ha condotto la rubrica radiofonica “Atanor - Gli orizzonti dell'esoterismo” che andava in onda la domenica sera, alle ore 22:15, su Rai Radio 3. Una delle trasmissioni ha avuto come tema “Iniziazione reale

e/o virtuale” con particolare riferimento all’iniziazione nell’Ordine Martinista. Ecco la trascrizione, semplificata, del contenuto della trasmissione. L'iniziazione - e in particolare l'iniziazione martinezista-martinista - è per definizione la trasmissione reale di un potere spirituale. Ne conseguono alcune ovvietà sulle quali sarà bene soffermarci per chiarire una buona volta le idee a tutti. È ovvio, per esempio, che ognuno utilizzerà il deposito iniziatico ricevuto in ragione delle sue possibilità intrinseche, le quali variano da individuo a individuo.

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Attraverso questa trasmissione si instaura un vincolo karmico, indissolubile, tra chi trasmette il fluido e chi lo riceve, vincolo che, come tutto ciò che attiene al karma, si perpetua oltre la morte (il fatto che alla morte dell'Iniziatore il discepolo debba cercarsi un altro maestro riguarda, specificatamente, l'attività operativa sul piano del Quaternario). In altre strutture è diverso: in Massoneria, tanto per fare un esempio, è la loggia, unità di base dell'organizzazione, che accoglie l'aspirante apprendista attraverso il suo capo, il maestro venerabile, che tale non è a vita, né a priori, ma è eletto dall'assemblea, con periodica cadenza. L'Iniziatore Martinista, invece, è tale a priori, cioè prima ed indipendentemente dalla loggia, che, una volta costituita, è per sempre di sua esclusiva responsabilità. L'iniziazione martinista riguarda le possibilità intrinseche (cioè quelle che già sono, anche se latenti, nel recipiendario); queste possibilità possono non affiorare mai, ma non per questo l'iniziazione è meno reale; altre forme di iniziazione, invece, riguardano le possibilità non intrinseche (cioè quelle che, grazie allo studio e alla meditazione sui simboli potranno un giorno nascere, ex novo, nel recipiendario); in questo caso si può (anzi: si deve) parlare di iniziazione virtuale, ma il discorso non ci riguarda. Il grave compito che si assume l'Iniziatore consiste nel capire se un profano di desiderio abbia in sé, oppure no, le possibilità intrinseche: solo in caso affermativo, infatti, egli potrà procedere a trasmettere

Dei talenti ricevuti, ogni operaio fa quel che vuole e che può. È errato affermare che chi non spende i talenti è perché non li ha ricevuti, o li possiede soltanto virtualmente. La peculiarità dell'Ordine consiste nella trasmissione diretta di un fluido, di un legame, fra l'iniziatore (che tale è a vita, semel abbas, semper abbas) e il recipiendario con l'imposizione della mano e con le parole (risvegliati, o tu che dormi, ricevi questa fiamma ardente che ti permetterà di vincere la potenza delle tenebre) parole che ogni Martinista, degno di questo nome, dovrebbe custodire scolpite nel cuore.

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Qui termina la trascrizione della trasmissione. Da quanto appena detto, è fuori di dubbio che la iniziazione martinista sia una iniziazione reale che produce un legame indissolubile fra il recipiendario e il maestro rafforzato dalla catena eggregorica ininterrotta fra recipiendario e l’iniziatore e fra questi e il suo maestro, e così fino a giungere ai Maestri Passati, ricordati durante la trasmissione iniziatica:” Io… nel nome del mio iniziatore… e sotto gli auspici dei Nostri Venerati Maestri Passati, ti ricevo… ecc. ecc.” E da questo momento, il nuovo iniziato, il neofita, è posto in contatto con la sua realtà, res appunto, interiore, attraverso la pratica dei riti relativi al grado di appartenenza.

un'iniziazione che abbia tutti i requisiti richiesti dalla nostra Tradizione. Capire ciò è molto difficile: sono in gioco, da parte dell'Iniziatore, cospicue facoltà intuitive e una buona conoscenza della psicologia applicata. Può accadere - e accade - che l'Iniziatore sbagli e scambi per desiderio quella che è soltanto una malcelata e inconsapevole velleità. Allo sbaglio dell'Iniziatore, però, pone rimedio l'Eggregoro dell'Ordine che senza frapporre indugi espelle dall'Ordine e restituisce al mondo profano la persona che in campo iniziatico dispone, in quel momento, soltanto di possibilità non intrinseche. È probabilmente su queste argomentazioni che si è usata, nel nostro ambito, la dizione relativa alla virtualità dell'iniziazione, generando qualche piccola confusione che speriamo di aver fugato, in quanto l’iniziazione martinista è sempre un’iniziazione reale.

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A questo punto mi è obbligo ricordare Stanislas de Guaita che al nuovo iniziato, così si rivolge: “Invano i più saggi Maestri ti rivelerebbero le supreme formule della scienza e del potere magico, poiché la Verità Occulta non può essere trasmessa in un discorso, ma ciascuno deve evocarla, crearla e svilupparla in sé”. Ciò significa che il grado ricevuto deve essere attivato e sviluppato in sé, magari con la guida dell’iniziatore per evitare errori e sviamenti visto che questi, come dice il Maestro Passato Aldebaran, con l’iniziazione ne assume una responsabilità personale. Se è vero che l’iniziazione martinista è reale e non virtuale, in quanto crea un legame che prescinde dal piano della manifestazione e va oltre il quaternario per approdare a piani più elevati, è ancor più vero, allora, che l’iniziazione martinista, e quindi l’iniziatore, deve andare oltre le forme fenomeniche contraddistinte dalla dualità. Deve dunque prescindere da un mondo dove tutto è sdoppiato e polarizzato, comunemente rappresentato dal Sole e dalla Luna, dal bianco e dal nero, dal maschile e dal femminile, ma guardare la Luce Una imprigionata nella materia, nella corporeità. Deve dare la giusta risposta alla chiamata di quella scintilla divina che, in quanto tale non può essere né uomo e né donna e prescinde da ogni forma di caratterizzazione e, soprattutto, di limiti al suo naturale e incondizionato sviluppo. Questo è ancor più vero se osservo la mia esperienza personale dal giorno in cui ho deciso di rispondere alla mia chiamata interiore e intraprendere un percorso iniziatico. Il rapporto con il mio iniziatore,

gli strumenti che l’Ordine mi ha messo a disposizione e la pratica costante dei riti hanno fatto di me una donna nuova, che ha cioè raggiunto la consapevolezza che una strada per la propria reintegrazione esiste e il desiderio di percorrerla si è tramutato in realtà. In questo vedo e intendo l’iniziazione reale e non virtuale che caratterizza il martinismo. E in questo vedo e intendo la sua ineluttabile attualità.

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Sentieri della Tradizione

L'Ain e i suoi riflessi Bes S:::I::: - Gruppo "Anubi" - Collina di Palermo

All’origine di tutto, nella tradizione

Il senso di Ain che diventa Ani va in questa stessa direzione. Esiste così il Sole che non vediamo, il Sole riflesso sugli oggetti e il raggio di Sole. Ognuna di queste esistenze, chiamate Zahzaot, possiede un nome: • L’inconoscibile è Ain • La proiezione come spazio (i nostri oggetti) è Ain Soph • La proiezione come tempo (il raggio) è Ain Soph Aur

cabalistica, vi è il nulla, l’Ain. Permutando queste tre lettere in Ani il significato cambia nel pronome personale “io”, come se il vuoto originario e l’io siano i due punti del diametro di un cerchio che parte dall’emanazione, arriva alla mia coscienza, e ritorna al suo principio. Inteso come qualcosa di perfetto al di là del tempo e dello spazio che l’uomo non può conoscere in nessun modo, David ben Abraham ha-Lavan descrive così l’Ain : “Ha più essere di ogni essere del mondo, ma è semplice; e siccome ogni essere si riconosce nella complessità viene assunto come il Nulla.” Nonostante l’assoluta impossibilità dell’uomo di conoscere Ain, i cabalisti, in particolar modo a partire da Isaac il Cieco, lo hanno cercato attraverso un gioco di riflessi, come quando contempliamo la presenza dell’astro solare vedendone la luce sugli oggetti posati sul tavolo o sulle pareti delle nostre abitazioni. Questi raggi condividono con il Sole la loro natura luminosa in una maniera che farà dire a René Guenon in altro contesto tradizionale: "La luce è essenzialmente una e la sua natura non è diversa nel Sole e nei suoi raggi, i quali ultimi non si distinguono se non in modo illusorio nei confronti del Sole stesso." (Rivista di Studi Tradizionali, 1947).

Ain Soph, nome che pur indicando una delle Luci di Ain è diventato per antonomasia il nome di Dio, si è iniziato ad usare dal 1200 inizialmente come aggettivo per definire qualcosa di infinito. Dal 1300 lo troviamo quasi in tutte le pubblicazioni cabalistiche a volte confuso con la Shekinah che, più specificatamente,

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La Creazione sott’intende l’avvenuta presenza delle tre Zahzazot e infatti nel pensiero mistico ebraico è triplicemente divisa. Esiste una dimensione assoluta inconoscibile se non mediante la perdita dell’Io da cui scaturisce la creazione degli oggetti della Casa, la parola Bereshit che ha per lettera iniziale la Beth, il cui significato è appunto casa. Esiste, infine, una creazione che è simile alla luce che cade sopra gli oggetti. Queste ultime due creazioni posseggono un particolare contesto simbolico. Nel Sefer Yetzirah infatti vengono incisi – Chalak - nel fango, quindi togliendo qualcosa da una materia già esistente formata da terra e acqua, i 32 sentieri mistici di Sapienza che generano la Casa. Successivamente l’Eterno dà forma all’Universo mediante tre lettere Samekh, Peh e Resh che formano le parole Sepher – il testo, Sephar – il numero, e Sippur – la comunicazione. Sepher è l'elemento visivo, la forma. Sephar è l'elemento numerico/ritmico e Sippur è la vibrazione, il suono. Queste tre lettere sono infine le radici della parola Sephirah attraverso la quale la luce acquisisce un suo colore che attesta una specifica qualità.

è la presenza di Dio nel mondo, nell’uomo e nell’Universo ma che nei percorsi più legati all’immanentismo tende a coincidere con l’Assoluto. Se vogliamo insistere sulla cosa è come se Ain Soph si riferisse all’infinito e quindi ad una condizione spiccatamente spaziale e Ain Soph Aur all’eterno ossia al tempo.

Teniamo sempre in mente la coincidenza qualitativa confermata dalla permutazione delle tre lettere Ain in Ani, e riflettiamo sulla aderenza semantica tra origine dell’universo e origine dell’io. Quest’ultimo, quindi, ha una consistenza vuota, meglio dire “silenziosa” per il suo essere del mondo ma semplice e, così come percepiamo l’esistenza di una persona attraverso la sua voce, è in questa dimensione ermetica di assoluto silenzio che percepiamo l’esistenza originaria. Io sono quello.

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Nel XV/XVI secolo si diffusero le prime rappresentazioni grafiche cabalistiche a forma di Albero anche grazie a opere come l’Ilan ha-Gaddol di Meir Poppers e la Kabbalah Denudata di Knorr Von Rosenroth. La rappresentazione ad albero, l’Otz Chiim, ha avuto l’indubbio vantaggio di identificare in un colpo d’occhio il percorso della luce, il raggio che si colora attraverso le Sefiroth mediante dei percorsi di trasmutazione interni chiamati canali, o Zinnot. Osservando l’Albero Cabalistico, notiamo alcune particolarità di cui spesso si legge e su cui non è mai scontato riflettere. È possibile innanzitutto dividere l’Albero in tre colonne: La colonna di destra è la colonna della Grazia, formata dalla Saggezza (Hokmah), dalla Grandezza o dall’Amore (Gedullah) e dalla Vittoria (Netzach). È la colonna delle forze ampliatrici, positive di segno e maschili. L’Espansione. La colonna di sinistra è la colonna della Severità, formata dall’Intelligenza (Binah), dal Potere o dalla Severità (Gevurah) e dalla Maestà (Hod). È la colonna delle forze limitanti, negative di segno e femminili. Il Contenimento. Considerando il contenimento come l’utero che accoglie il seme, in questo senso femminile e l’espandere come il seminare e avendo contezza dei tre triangoli che si vengono a formare a partire dal basso del nostro albero, il triangolo naturale legato

Se quello che è stato scritto finora riguarda una creazione che odora di fede in quanto inconoscibile, ricordo l’importanza che per l’ebraismo hanno le lettere e la loro combinazione. Pertanto, ancora una volta, assoluto inconoscibile e Io hanno la stessa qualità e la creazione potrebbe quindi essere vista come un ritorno, due semicirconferenze che si completano nel cerchio. Per questo, però, occorre un Sentiero.

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al fisico, quello psichico legato all’anima e quello dell’intelletto legato allo Spirito vediamo inoltre come, a sinistra, Hod contiene il naturale, Geburah lo psichico e Binah l’intelletto così come, a destra, Netzach amplia il naturale, Gedullah lo psichico e Hokmah l’intelletto. La colonna centrale, che sorregge l’intero Albero è la colonna dell’Equilibrio e della Bellezza, formata dalla Corona (Kether), dalla Bellezza o dalla Misericordia (Tiphereth), dal Fondamento o dal Giusto (Yesod) e infine dal Regno (Malkuth). Assume questo nome in quanto nel suo proiettarsi equilibra le forze contenitrici e quelle espansive.

Così Yesod equilibra Netzach e Hod; Tiphereth, Gedullah e Gevurah; Kether, Hokmah e Binah. L’Ani, l’Io, è attraverso i tre libri, ossia Sepher, Sephar e Sippur, che contempla l’Eterno e l’Infinito percependo l’inconoscibile. Questi tre libri sono raccolti nella parola Sefirah. Le Sefiroth sono vetri colorati, oggetti della casa, che raccolgono la luce e le danno una specifica qualità attraverso la quale il nostro corpo, la nostra anima e il nostro intelletto si proiettano in una direzione compiendo un viaggio. I tre triangoli, il naturale, lo psichico e l’intellettuale, sono l’Ain, l'Ani, il Nulla che si muta in Io. Questo avviene quando dal parlare di Dio parliamo con Dio sino a essere Dio. Questo è il serpente che si morde la coda, la circonferenza chiusa, il ritorno che mette fine al Tikkun.

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La barba di Aronne (1a parte) Eros S:::I::: - Gruppo "Zeteo" - Collina di Salerno

Ho avuto modo, in questi anni dedicati al

martinismo, di meditare spesso sul nostro rituale giornaliero, rendendomi cosciente dell’investitura spirituale che esso rappresenta, la sua tradizione e il suo potere magico di risvegliare l’uomo interiore. Ma è altrettanto vero che il rischio di fare il rituale in modo meccanico è molto alto. Questo rischio si presenta, credo, quando l’uomo iniziato viene sovrastato dall'uomo profano e il rito è relegato in quei pochi minuti ad esso dedicati. Il rito giornaliero diventa, così, un mero dovere derivante dall'iniziazione. In questo caso l'associato è ancora prigioniero dell’uomo profano in cui prevale l'obbligo di fare qualcosa. La “forzatura” (o meglio l'impegno) nasce da una organizzazione dell’iter giornaliero. Con il tempo, se il seme sboccia, l’uomo iniziato prevale sull'uomo profano. Questo è frutto di un processo che implica un perfezionamento continuo dell’Uomo, durante il quale egli comincia ad incarnare il Verbo: la personalità iniziatica e il nuovo io iniziatico si fanno sempre più spazio: dove prima c’era un ammasso informe di desideri, voglie ed egoici personalismi ora c’è un Individuo. Come una piantina si erge dalla terra per dirigersi verso il cielo dove l’uomo iniziato è al di sopra dell'uomo profano e di ogni cosa appartenente al piano materiale. Questo sentire l’iniziazione mi nasce meditando sull'Ecce quam bonum e sulla consacrazione di Aaroon.

L’Ecce quam bonum ricorda la solenne investitura di Aaron, il fratello di Mosè: “Poi Mosè prese l'olio dell'unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacrò. Fece sette volte l'aspersione sull'altare, unse l'altare con tutti i suoi accessori, la conca e la sua base, per consacrarli. Versò l'olio della unzione sul capo d'Aronne e unse Aronne, per consacrarlo. Poi Mosè fece avvicinare i figli d'Aronne, li vestì di tuniche, li cinse con le cinture e legò sul loro capo i turbanti, come il Signore aveva ordinato a Mosè.”

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significato legato sia alle ossa sia ai giorni dell’anno, nonché ha un collegamento con la Torah, che invito il lettore a fare una ricerca personale) e 1600 torri da ogni lato. Ogni torre di file incastonate, che volano in alto e attingono alla mensa della madre sublime, dal suo olio dell’unzione. Dall’antico dei giorni è discesa l’energia del Padre e della Madre, rispettivamente dalla sephirah della sapienza (Hockmah) e dell’intelligenza (Binah), dalle cui unione è poi nato Ze’er Anpin.” Nella descrizione di Ben Yochai, il corpo di ZA è a un tempo: figura divina e agglomerato di Sephirot, quindi esso richiama sia gli attributi dell’uomo, ma anche metafore dell’emanazione. Come i suoi 3 cervelli sono collegati a Hockmah, Binah e Da’ath. In questo caso anche la barba e i capelli non hanno un ruolo marginale, ma anzi, hanno intrinsecamente immagine, simbolo e metafora dell’emanazione. “Abbiamo stabilito che Madre e Padre si tengono all’antico dei giorni, ai suoi riccioli (barba).” È certamente così, giacché essi dipendono dal cervello, occulto tra tutti gli occulti, e a questi si tengono. Quando i discepoli considereranno le mie parole, comprenderanno che tutto è solo antico:

Questo tipo di cerimonia avveniva in tre occasioni: per l'ordinamento sacerdotale, per l'investitura a sovrano, per il matrimonio. Troviamo una prima apparizione di questo passo nello Zohar, nel libro chiamato: “La madre orna gli sposi”. Questo passo zoharico mi richiama subito alla mente l’immagine di Myriam o se vogliamo Sophia, incarnata dalla sephirah Binah, come si osserva in questo passaggio: “Allora in segreto, la madre effonde doni sublimi e li invia e li incastona nella corona. Poi profondi fiumi di Santo Olio dell’unzione sul capo del Re. Dal capo di questi scende così quel buono olio sublime sulla barba preziosa, e di là sulla veste regale". A ciò si riferiscono le parole: “È come olio profumato sul capo, che scende lungo la barba, la barba di Aronne, che scende sino all’orlo della sua veste”. Attorno alla corona ci sono 50 grappoli (le 50 porte d’intelligenza) incisi sulla madre sublime tempestata di pietre preziose: bianca, rossa, verde, nera, azzurra e porpora. In questi colori c’è un forte richiamo agli arcangeli e alle sephiroth, manca solo il giallo di Tipheret. Quindi prosegue: 613 luci da ogni parte (613 sono le mitzvot che sono i precetti che l’ebreo osserva. Oltretutto questo numero ha un

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egli era ed egli sarà, e tutti quelli sono suoi ornamenti. Padre e Madre escono da quel cervello […] da esso dipendono e ad esso sono attaccati.” Quando le ciglia inferiori si dividono da quelle superiori e offrono spazio necessario per scorgere, gli occhi si aprono e hanno l’aspetto di chi si è appena svegliato dal sonno. Quattro colori appaiono in quegli occhi, da essi risplendono i 4 astucci dei filatteri, che illuminano i condotti del cervello. Questi quattro colori rappresentano sia i quattro colori dell’Eden identificabili con quattro lettere: mem, nun, resh, ghimel. Queste lettere sono le porte d’accesso alla Natura superiore, al firmamento superiore, questo accade in due occasioni, secondo lo Zohar. La prima è quando si lascia definitivamente questo corpo, l’altra è attraverso il sogno o attraverso pratiche iniziatiche.

La mem rappresenta la morte, essenza femminile, materia del mondo divino, la rinascita, il principio rinnovatore, la trasformazione; la Croce, Iehovah. La nun trasmutazione, il passaggio, il frutto, il premio nato da un lavoro materiale e spirituale dell’uomo che può rivendicare la sua identità nei confronti del Padre. L’iniziativa umana. L’Aqua; Emmanuel. La resh, medicina, resurrezione, la testa, il vero pensiero che penetra l’uomo attraverso la morte. È il rinnovamento. Rodeh. La ghimel è la mano che afferra, il primo avvenimento dell’uomo, la terra, l’azione. Gadol. Secondo lo Zohar, solo le anime dei giusti attraversano la porta dell’arconte. Quest’arconte aspetta al “varco dei dormienti” e il suo nome è Suria.

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con cui discernerà il bene e il male. La via di queste sephirot è Aleph che è chiamata il primo maschile. La lettera Aleph è composta da due iod e una vav. La iod inferiore è Gerusalemme e la superiore è Sion - 3 è come la rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion; là infatti il SIGNORE ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno. Gerusalemme rappresenta la parte esteriore di Malkut, l’altra (Sion) quella interiore: Sempre gli occhi del Signore, tuo Dio, sono su di essa (Gerusalemme) dall’inizio dell’anno alla fine dell’anno. In entrambi i casi (inizio e fine) sono stati scritti con grafia difettata senza l’Aleph poiché si tratta della He inferiore del Nome Divino (Malkut) ( Me-resit anziché Me-re’sit con l’Aleph). (continua)

Il suo compito è “inghiottire” chi si avvicina, e se l’anima è giusta, la partorirà come era nel principio. Oltre il varco ci sono quattro arcangeli: Mikael, Rafael, Gabriel e infine Nuriel. Questi quattro arcangeli si posano sull’anima dell’iniziato e dopo averlo profumato con 12 tipi di aromi lo vestono di una veste bianca, e così, l’anima non è più di un mondo inferiore, ma di un mondo superiore: In questo mondo i vestiti sono superiore agli uomini, ma nell’altro, i vestiti sono superiori all’uomo che l’indossa. 7 sono quelli chiamati Occhi del Signore (gli arcangeli) e la vista esce dal colore nero (Binah/Saturno); dal rosso escono i signori del giudizio (Geburah/Marte) e sono chiamati Occhi del signore che perlustrano la terra. Dal verde (Netzach/Venere) si rivelano le azioni buone e cattive; poiché è detto: invero i suoi occhi sono le vie dell’uomo e sono chiamati: gli occhi del Signore che perlustrano, poiché essi sono i due lati, nel bene e nel male. Dal bianco escono tutte le misericordie, tutte le bontà che si trovano nel mondo, per fare del bene: allora si purificano tutti e tre i colori per ricevere la misericordia, quei colori si mescolano gli uni con gli altri e si attaccano gli uni con gli altri. Le orecchie dell’Antico diventano una sola

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La Parola ritrovata

Meditazione sul martinismo e sui doveri dei martinisti Sette S:::I:::I:::

È questa una meditazione sui valori

intrinseci del Martinismo e sulle possibilità che ogni appartenente all'Ordine ha davanti a sé nella traduzione pratica di una dinamica che, originata, come tutto, dall’UNO, ci giunge attraverso e per mezzo di... «ogni Tradizione» come dice l'art. 2 degli Statuti, o meglio della TRADIZIONE, perché essa, quando è vera, non può che essere UNA, riallacciandosi necessariamente alla Fonte Primordiale matrice del divenire. Sempre l'art. 2 precisa che «l'Ordine non pone limiti alla ricerca, né fa distinzione di razza, di fede religiosa o di ideali sociali». Sono questi i punti che distinguono in modo inconfondibile il Martinismo da molti altri Ordini Iniziatici! Il Martinismo è un sistema aperto, e come tale possiede, a differenza di altri Ordini, una dinamica cronotipica che pur mantenendo il costante e necessario collegamento con la Fonte Primordiale, vive e reagisce in funzione delle variabili spazio-temporali; emanazioni dualistiche dell'Unità Primordiale. Questa precipua caratteristica che trova conferma nel poliedrico valore radicale dei Maestri Passati la pone in una posizione unica almeno rispetto al mondo occidentale. In un mondo rimasto ancorato per la maggior parte al passato, o proiettato in un futuro completamente squilibrato e disarmonico - perché partorito da principi

generati da una reazione al passato e incuranti dei nuovi vettori spaziotemporali che cominciano a pesare sui piatti della bilancia terrestre - il Martinismo ha in sé tutte le possibilità per agire quale forza catalizzatrice che permette alle nuove potenzialità di inserirsi nella dinamica umana e terrestre. Da tempo, e da più parti ormai, si sente ripetere come il suono di una campana che accelera sempre più il ritmo dei suoi rintocchi, che i nuovi tempi stanno sopraggiungendo e con essi la necessità per l'uomo di acquisire nuovi stati di coscienza. L'umanità è giunta ad un giro di boa, si dice da alcuni: l'era dell'Acquario sta iniziando, ripetono altri; un nuovo ciclo cosmico avanza a passi serrati, insistono altri ancora; ma ognuna di queste fonti, incatenata ai suoi schemi

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dottrinari, lo dice, lo ripete, magari lo urla, per affermare che solo poco tempo è rimasto, a chi vuol veramente salvarsi, per abbracciare incondizionatamente quella dottrina. Così la percezione di una verità, che come tale dovrebbe amalgamare, non fa che frazionare sempre più, incrementando lo sviluppo di una nuova Torre di Babele già in atto. Il Martinismo in forza della sua essenza, collegato per mezzo della sua energia sempre vitale e presente in esso trasfusa dai Maestri Passati che si rinnova, si potenzia e si trasfonde in noi tutti grazie alla dinamica vorticosa della ritualità, può essere veramente depositario della Tradizione una e vera congiungentesi alla Fonte

assimilare questi nuovi vettori di forze che stanno cominciando ad avvolgere questa nostra Terra. Trovandosi in tali condizioni, può attuare un'azione sia sui piani sottili che su quelli concreti per portare il suo valido contributo alla creazione di una equilibrata comprensione di una nuova realtà fra tutti coloro che divisi da apparenti superficialità dottrinarie, sono di retti verso un medesimo raggiungimento. Ed in ciò vedo un rinnovato dovere di ogni Martinista, il dovere di aiutare ogni creatura umana verso la comprensione di quel principio che dovrà un giorno essere l'unica vera forza che tutti accomuna e tutti comprende: l’AMORE UNIVERSALE. Ogni qual volta una creatura riuscirà veramente ad identificarsi nel suo prossimo, una parte della immensa differenziazione che fa esistere il dualismo sarà stata assorbita; due scintille un tempo esplose da un unico globo di Luce si saranno riunite, sospinte dalla loro stessa forza originaria a rientrare nella Grande Fiamma d’Amore che dovrà un giorno ardere in un unico fuoco il dualismo tutto. Questo impulso formidabile fu un giorno già donato all'umanità e con esso fu data la Pace, ma essa non è stata compresa. Il Nuovo Stato di Coscienza nel quale

Primordiale. Ecco, il Martinismo grazie a questa sua superiore qualità, libero come è da catene dottrinarie unidirezionali, ha in sé le caratteristiche per ben comprendere ed

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contrastanti; ed i primi sintomi già si palesano nell'uomo e nella natura. È quindi di somma importanza che si creino dei canali psico-spirituali che, consci di tale realtà, si adoperino a far defluire, se così si può dire, queste nuove energie verso la moltitudine impreparata attraverso un mezzo trasduttore con essa risuonante. Il Martinismo, e per esso ogni Martinista, può e deve adoperarsi con tutte le forze per creare quei canali di cui parlavo prima, giungendo così in breve tempo al coordinamento psico-spirituale di tutti gli altri «centri di buona volontà per la nuova era» che in tutto il mondo cercano di sbocciare; perché, anche se sparuti, esistono esseri che hanno già avuto la percezione netta di tale necessità. Gli Alti Centri Occulti già lavorano in tale senso, ma la collaborazione deve essere data da ogni uomo di desiderio e di buona volontà, affinché, nettati gli spiriti dai preconcetti e dai tarpami che li invischiano e li legano, un bocciolo di rosa possa germogliare al centro della croce dell’umanità. Allora, all'Amore ed alla Pace verrà aggiunta la Gioia!

l'umanità tutta è sospinta dalle nuove forze spazio-temporali che hanno, per ora blandamente, cominciato ad investire il nostro pianeta, porta con sé qualcosa che integra e completa all'umanità era stato già dato.

Tale realtà ancora intangibile per i più, è senza dubbio il grande evento cosmico che innalzerà l'umanità lungo la spirale del suo cammino evolutivo. Si tratta di forze di ordine spirituale che, come tali, incideranno sullo stesso piano per gli uomini, ma sono forze nuove e poderose alle cui armonie i più sono ancora sordi, perché rimasti ancorati a principi che sono serviti ad una esperienza ormai conclusa, nell'economia spaziotemporale cosmica. Perché tutto ciò possa compiersi secondo quell’Armonia che regge e governa il tutto, il nostro sistema planetario sta entrando in zone cosmiche di adatte vibrazioni generanti. Questo incontro, si convertirà in un primo momento, per i più, in un vero e proprio scontro di potenzialità energetiche

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Contributi

Louis-Claude de Saint-Martin e la via cardiaca (1a parte) Crisi I:::I::: - L::: G::: M::: Toscana “C’è senza dubbio un diapason giusto nella natura, c’è n’è uno particolare per ogni essere. Se tu ne usi un altro, che puoi produrre? Malgrado la precisione di tutti i tuoi suoni, secondo i rapporti della scala musicale, questi non saranno meno falsi, poiché il diapason lo sarà lui stesso” Louis-Claude de Saint-Martin

La preghiera è uno strumento espressivo di

tutte le religioni ed è nata con il mondo. L’essere umano infatti spesso è ricorso all’atto del pregare per incamminarsi di nuovo verso la divinità, per invocare o evocare il proprio dio. Si potrebbe erroneamente definire la preghiera come il momento in cui l’uomo parla alla parte divina che è in sé, ma è molto molto di più di un semplice momento, anche e soprattutto in quanto priva di tempo, così come di spazio. Pregare è l’azione più semplicemente efficace a disposizione dell’uomo, e la complessità non è del sacro. La preghiera è un segmento, la via immaginabile più breve per unire due punti la cui costituzione minima sono appunto i due punti stessi e che si dissolve nel suo scopo ultimo di farli combaciare e divenire un punto unico: l’Unità. Louis Claude de Saint Martin nasce nel 1743 ad Amboise, in Francia. Frequenta la facoltà di giurisprudenza ma alla fine si dedica alla carriera militare.

È in tale ambiente che, nel 1769, viene presentato a Martinez de Pasqually, fondatore dell’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo, di cui seguirà gli insegnamenti e da cui sarà iniziato, diventandone segretario nel 1768. Dopo la morte del maestro (1774), sostenitore della Via Teurgica o Magica, Saint Martin – che non volle mai fondare un proprio Ordine - delinea i perimetri della propria dottrina che presenta caratteristiche mistiche, riconoscendo comunque un considerevole debito verso la cosmologia martinezista rivisitata alla luce della filosofia di Jacob Bohme. Questa sarà da Saint Martin stesso definita “Via Cardiaca”.

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La mistica, o via cardiaca, è caratterizzata da una forte ricerca interiore e da un relativo distacco dalle cose mondane, nonché da una spiritualità semplice e lineare, istintiva e spontanea. È centralizzata sul superamento di ogni dialettica dualistica conflittuale, lavorando oltre i sistemi plurimi ed egoici della mente. Vive e si nutre nel silenzio della comunione con il divino che è in noi. Non c’è ricerca di perdono, di comprensione, di riparo, di salvezza. C’è un viaggio irrazionale ma controllato, folle ma lucido, con una ricerca invocativa ed una manifestazione evocativa di intensità inimmaginabile mediante mente umana: mania (stato non ordinario della coscienza a contatto con il sacro) ed entusiasmo (“con Dio dentro di sé”). I termini invocazione ed evocazione derivano entrambi dal latino e significano rispettivamente “chiamare intensamente” e “chiamare fuori”.

L’accezione religiosa si distingue ovviamente da quella esoterica, ambito in cui non dobbiamo dimenticare che la preghiera è intesa come contatto diretto con il divino multisfaccettato, conosciuto o sconosciuto, che arde in noi. Ben si comprende quindi che utilizzeremo l’evocazione per risolvere un nostro difetto, per allontanarlo, dissolverlo, mentre invece ricorreremo all’invocazione per creare un ponte solido attraverso cui ottenere una qualità, farla giungere sino a noi e farla nostra. Ma per procedere tra questo “fuori” e questo “dentro” è necessario aver raggiunto la rara e perfetta posizione dell’enucleazione, dello sdoppiamento coscienziale, per prendere a piene mani da un lato, e dall’altro rimanere immuni e invulnerabili psicologicamente. Noi siamo lì, consapevoli di esserlo, non per perdere “qualcosa” bensì per canalizzarlo senza traumi in noi stessi. La via cardiaca non è ideata in supplenza di quella teurgica, bensì a quest’ultima affiancata, ed esaltata dalla consapevolezza del desiderio che parte dalla mente, si consolida attraverso la volontà, per poi sbocciare dal cuore, luogo d’incontro con il divino. La teurgia è valida e prende senso, ma soprattutto efficacia, solo se non slegata dalla

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preghiera nonché dal lavoro di retrospezione e meditazione. La retrospezione è un allarme che segnala gli attacchi della nostra natura materiale a quella spirituale e divina, un segnalatore dei limiti alla nostra libertà. La meditazione è una sonda che rileva le catene della nostra prigione terrestre, e indica la fitta rete costruita da noi stessi (ma non solo) al di sotto di queste maglie che inconsciamente ci attanagliano ogni giorno. La preghiera esoterica è l’esercito con cui scendiamo in guerra contro i nostri demoni e le nostre paure, per vincere i nostri confini, per ridare la dignità e il trono al re che è in noi. Durante la retrospezione stiliamo la nostra anamnesi, durante la meditazione diventiamo il nostro medico migliore, durante la preghiera ci curiamo sino ad intervenire chirurgicamente. Per rendere efficace l’azione della preghiera è necessaria la costruzione da due lati dello stesso canale, occorre cioè sia l’aiuto divino che la predisposizione umana. Si lavora in due, si opera in Uno, tramite lo strumento fondamentale che è la preghiera interiore unita a quella esteriore, serie di gesta quotidiane indirizzate verso l’universo metafisico. L’uomo dedito alla reintegrazione nella sua essenza divina universale è tutto proteso a riprendere il

contatto con il Principio Supremo, a ristabilire l’Unità primordiale. Questo processo si manifesta, si costruisce e si fortifica mediante il desiderio e la volontà. L’essere umano infatti è un soggetto attivo con caratteristiche di “pensiero, volontà e azione” ed è proprio facendo leva su queste – riportate allo stato originario – che esso può elevarsi al NOSCE TE IPSUM. Nel poema “Il Coccodrillo” - scritto da Saint Martin nel 1799 - il protagonista Eleazar viene depredato della sua polvere magica ottenuta con la pansé o viola del pensiero con la quale aveva sempre vinto il male. Viene insomma a perdere la sua “forza elementale” pur restando in possesso del “desiderio”, che grazie anche alla “concentrazione”, riesce a dominare i nemici attraverso le tre facoltà dell’anima riconquistate: il pensare, il sentire, il volere. Questo è l’uomo nuovo, questo è l’uomo di desiderio. Saint-Martin in una lettera ad un amico: "La sola iniziazione che predico e cerco, con tutto l'ardore della mia anima, è quella tramite cui possiamo entrare nel cuore di Dio e far entrare il cuore di Dio in noi, per realizzare un matrimonio indissolubile che fa di noi l'amico, il

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fratello e lo sposo del nostro Divino Riparatore. L'unico mezzo per arrivare a questa Santa Iniziazione è spingersi sempre più negli abissi del nostro essere e non mollare la presa finché non siamo giunti a trarne la vivente e vivificante radice". La preghiera è un’Azione Sacra e nasce dalla sinergia delle tre macro-zone fisiche e animiche dell’uomo. Queste individuano tre punti precisi del corpo umano pur appartenendo ad un livello più elevato, sottile: il plesso solare, il plesso cardiaco e la zona intracigliare. Ciascuna di esse rappresenta la fonte di una “qualità” ben delineata. Il plesso solare individua il luogo dove il nutrimento si trasforma in energia che viene destinata, oltre al corpo fisico, a funzioni intellettive, mentali, spirituali; è qui che umanamente viene nutrita la legione di ego. Il plesso cardiaco individua l’ingresso della caverna da cui salire o scendere lungo il nostro inconscio. È l’ingresso del labirinto dell’anima, ove introdursi fino al centro, sconfiggere lo sconosciuto mostro, e riemergere attraverso il filo “sottile”. La zona intracigliare è il centro del pensiero e dell’intelletto, più materiale e corporeo il primo, più elevato e nobile il secondo. Il plesso solare è energia, il plesso cardiaco è volontà, la zona intracigliare è pensiero: di nuovo incontriamo il “pensiero, volontà e azione” del maestro… È comunque il cuore la via di fuga dalla ristrettezza e dalla morte terrena, il centro della croce, bilancio e soluzione del dualismo che perviene dagli ego vigorosi materiali nonché dai pensieri duali e dubbiosi della mente.

Quando ricerchiamo la nostra energia, la nostra coscienza, la nostra intelligenza, scopriamo che siamo ingannati in tale ricerca dalla continua e prevaricante ombra dell’ego. Quando preghiamo diventiamo invulnerabili e osserviamo la veste psicologica dei nostri io perché siamo oltre, così come in meditazione riusciamo a guardare dall’esterno la nostra mente che agisce per noi, ci prende in giro, e ci conduce dove vuole lei. Tutto è duale, tutto è bianco e nero, persino le due colonne poste come confine fra natura umana e divina. La preghiera è la barca per passare indenni le colonne d’Ercole ed intraprendere il viaggio spirituale. Quando preghiamo, innanzitutto, dobbiamo trovare il tipo di respirazione più adatto, sia a noi stessi che al momento specifico. (continua)

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Essere martinisti (1a parte) Aerman S:::I::: - A:::O:::M::: Il Martinista, pur essendo essotericamente un “laico” nella sua essenza e piena operatività, invece, è un “sacerdote” nell’accezione del termine e non nel senso clericale vero e proprio. Infatti, il Martinista opera una sua iniziale purificazione come “essere decaduto” in modo da potersi mondare dai miasmi della vita profana e da altre forme di decadenza larvale che spesso nascono con la pratica di attività più o meno magiche di basso livello dotte o indotte. Superata l’iniziale fase come “associato” che è molto importante per la purificazione, si passa alla seconda fase come “iniziato” ove s’incomincia a “praticare” ma nello stesso tempo si effettua un periodo di purificazione molto ben più importante del primo. Quindi, ha ben esternato il Fr::: Duncan quando ha scritto «… Sottolineo quindi che il Rito Quotidiano è un Rito di Purificazione Individuale e pertanto va fatto proprio quando ne abbiamo più bisogno …». Da ciò nasce l’importanza di eseguire il rito

Chi è il Martinista? Cosa deve praticare?

Semplicemente si

potrebbe rispondere con: “Il Martinista è quella persona, di sesso maschile o femminile che aderisce ad un Ordine Martinista”. Ma non è così semplice perché tale attestazione è solo un’affermazione esteriore e come tale effimera. Come ben sanno i Fratelli e le Sorelle, la regola dell’Ordine è: “Fai ciò che ritieni opportuno purché non sia in contrasto con i principi del Martinismo”. Questi principi sono quelli di aiuto al prossimo, in modo anonimo e disinteressato. Sul significato di “aiuto” ci si può scrivere un trattato in quanto, comunemente, nella vita di tutti i giorni, è interpretato in moltissimi modi che spaziano dall’aiuto materiale a quello psicologico. Nel Martinismo, invece, s’intende l’aiuto che si da nei “piani sottili”, che non è appannaggio dei molti ma solamente di chi pratica a livello teurgico sia che essi siano degli ecclesiastici o che siano degli iniziati Martinisti o di altri ordini ermetici collaterali.

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quotidiano (o di Catena o Giornaliero – come lo vogliamo intendere) con costanza, forza e impegno. Ove ciò non è possibile, così come scrive il Fr::: Duncan, è necessario farsi “sospendere” dalla Catena perché, altrimenti, si diventa un freno e una “zavorra” per tutta la stessa Catena Iniziatica. Si è mai visto o sentito che un prete non svolge il sacro rito della messa giornalmente o che lo esegue quando gli va? Per darvi una testimonianza che quanto dico non sono immaginazioni, vi riporto un caso che mi capitò tanto tempo fa. Mi offrirono di aderire anche ad un altro ordine che non era in contrasto con i nostri principi. Per andare all’iniziazione, dovevo fare un viaggio di circa 7-8 ore e come mezzi dovevo utilizzare l’auto, il traghetto e il treno. Partii la mattina prima dell’alba e raggiunto l’imbarco per il traghetto, ancora buio, non lo trovai al solito molo. Chiesi notizie al personale addetto e mi dissero che ancora doveva arrivare e mi indicarono un altro traghetto. Salito su quel traghetto, vidi quello che dovevo prendere, partire da un altro invaso ancora. “Poco male arriverò sempre in tempo per prendere il treno su cui avevo prenotato il posto”, pensai; ma non fu così perché la nave su cui ero si fermò in mare per dare la precedenza ad un’altra nave

Il Martinista può praticare altri percorsi iniziatici? Per quanto riguarda la pratica di altri percorsi iniziatici, come già detto, la regola dell’Ordine è: "fai ciò che ritieni opportuno purché non sia in contrasto con i principi del Martinismo”. Ma su questa regola bisogna fare delle considerazioni speculative individuali. Ognuno di noi, penso, abbia fatto delle scelte nell'essere Martinista. Se poi, durante il cammino, può succedergli di essere attratto da altre strade, è giusto che ognuno le provi. Sicuramente due percorsi non si potranno fare anche se potrebbero essere analoghi. A maggior ragione se sono diversi. Sarà poi l'essenza dell'individuo e il verificarsi degli eventi (che sicuramente ci saranno, leggi Eggregoro) a fargli comprendere quale delle due possibili strade sia perseguibile.

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che veniva in senso trasversale, poi dopo un quarto d’ora, partì e quando raggiunse la meta, la passerella per la discesa si bloccò in semi- verticale e non ci fu verso per farla mettere in posizione. Dopo mezz’ora di armeggi, non si sa come (a detta del personale manovratore), si mosse e si mise in posizione di discesa. Raggiunsi la stazione ma il treno che dovevo prendere, in perfetto orario, era già passato da circa mezz’ora e quindi lo avevo perso. Contrariato, ma deciso a proseguire, aspettai il treno successivo che sarebbe partito da li a circa due ore. Presi quel treno ma, mi viene da ridere al ricordo, dopo avere viaggiato per circa quattro ore (era oltre metà percorso) il treno si fermò ad una stazione e ... non volle più partire. Si proprio così! Si erano bloccati i freni di quattro ruote della vettura ove mi trovavo. Cosa molto strana perché (per chi non lo sa) i freni dei treni sono ad aria compressa e tutte le vetture, compresa la motrice, sono collegate tra loro tramite una condotta di modo che la frenata agisca in modo uguale e graduale in tutto il treno e, nel caso si sganciasse una carrozza, automaticamente frenerebbe tutto il treno perché l’aria non sarebbe più tenuta allo stato compresso. Inutile dire che tutti i tentativi per sbloccarli sono andati a vuoto. Dopo circa un’ora e quando si aspettava un intervento sostitutivo, all’improvviso i freni si sbloccarono da soli e il treno fu in grado di ripartire. A quel punto avevo intuito.

Troppe coincidenze in una volta e tutte strane. A distanza di poco tempo, ebbi la certezza che quella “via” era sbagliata e non era per me. Sicuramente ognuno di noi ha bisogno, nella vita, di fare delle esperienze per potere decidere delle scelte giuste o sbagliate che possano essere. Ma una volta fatta la scelta, è sicuramente quella perché fatta con fede e costanza. Altrimenti, sarà sempre una continua tentazione e un continuo di dubbi; venendo a mancare la fede che si può solamente originare dalla scelta vera, consapevole e sentita dal proprio essere. Il volere imporre o condizionare non porta a nulla se non a generare una coesione forzata che al primo urto si romperà in mille pezzi.

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Altrimenti, che senso avrebbe “parlare bene e razzolare male” così come avviene nel mondo profano e anche con alcuni ministri di qualsiasi religione o confessione essi siano? Forse il Maestro Gesù ha mai detto “Fai quel che ti dico e non fare quel che faccio”? Se invece si cammina sulla “strada”, ti accorgerai che sei un “estraneo” nel mondo in cui fino al momento hai vissuto e continui a vivere. Ti rendi conto (o per lo meno ne hai la sensazione): delle bellezze del creato fino a sentirle tue. Di essere una parte di loro. Di sentire il canto della natura (gli uccelli, i corsi d’acqua, il vento, la pioggia, il fuoco, etc.) e sembra che essi ti parlino della creazione o comunque ti dicano qualcosa, nella semplicità del loro linguaggio, che la tua mente razionale (ma chiusa ed imprigionata da schemi, convenzioni, da desideri materiali, speranze, da odio, da astio, etc.) non percepisce. Così come non percepisce “la vita”, “la vera vita” che trovi ovunque; anche nella nuda pietra che tiri con un calcio al tuo prossimo per volerlo ferire. Ti rendi conto che, seduto sulla nuda terra, questa ti parla e ti racconta della sua creazione, degli eventi che ha visto e che gli uomini hanno generato nella loro grande stupidità ed egoismo. Ed allora ti rendi conto di vivere in un mondo di dolore e di pazzia. Per la prima volta ti assale un dubbio: “Che invece io sia un disadattato?”.

La comunione di scelte, invece, potrà navigare su tutti i mari in tempesta e se anche nella “nave” dovesse entrare dell'acqua in determinati momenti, è sicuro che la robustezza la manterrà sempre a galla permettendole di raggiungere la sua meta. Personalmente, ho anch’io fatta questa esperienza per poi arrivare alla conclusione che l’essere «Martinista senza “poi”, ma, in animo e spirito» conduce alla realizzazione dell’«essere» in modo tangibile, reale e inopinabile.

Come dev’essere il rapporto con il mondo circostante? “Vivere così come si parla (ora et labora – prega e lavora) per camminare nella Via della Reintegrazione”. Così è riportato nelle “lezioni di preparazione” che ognuno di noi ha letto e studiato prima di essere ammesso nell’Ordine e che consiglio ogni tanto di rileggere.

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Allora ti rendi conto che quello che “hai sentito di leggere” non erano parole avulse o sentimenti e pensieri scombinati e capirai di avere imboccato l’inizio di una strada giusta: “Il sentiero di mezzo” che gli ermetisti descrivono: “Diritto, ma pieno d’insidie ed ostacoli”. Sta a te superarli ma anche di non cadere nelle trappole che ti saranno tese durante il cammino.

Allora e solo allora, ti rendi conto, perché senti “qualcosa” che ti avvolge e ti “inchioda” entrandoti dalla sommità della testa (il 7° chakra) giungendo ai piedi ed oltre questi fino al centro della terra, che ti dice “IO SONO” ed allora senti la “potenza”, “il peso” e “l’armonia” dell’Universo e ti senti piccolo ed insignificante ma anche, nello stesso tempo, una parte di Esso. La mente razionale allora ti dice: “Non sei disadattato, senti qualcosa che gli altri non hanno la fortuna di sentire. Perché non ti adoperi invece ad alleviare le loro sofferenze umane e spirituali, an- che le più piccole? Anche la più banale, ed avrai compiuto il tuo dovere di Uomo? ”

(continua)

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Vita fraterna

La Loggia Martinista "Silentium" e i suoi gruppi Durante questo decennio di operatività la Loggia Martinista "Silentium" ha cercato approcci collaborativi con altre strutture martiniste, tutti conclusi.

La Loggia Martinista “Silentium” ha cominciato ad operare da circa dieci anni, presso la collina di Pescara, in sedi che di volta in volta vengono poste a disposizione da strutture iniziatiche amiche. Questo perché nel Martinismo, tradizionalmente, non ci sono quote di ingresso, capitazioni annuali e somme per passaggi di grado. Al più c'è un'equa ripartizione delle spese, qualora sostenute. Come ogni loggia martinista, anche la "Silentium", è seguita da un iniziatore, Iperion S:::I:::I:::, che assume la funzione di Filosofo Incognito della loggia. La sua linea iniziatica è la seguente: Nebo (Francesco Brunelli) - Rigel (RMPN) Iperion (FRR). Iperion è stato associato al Martinismo dall'amatissimo Nicolaus (Nicola Ingrosso), nel 1998, entrando così a far parte dell'Ordine Martinista Universale, dove ha conseguito i tre gradi martinisti durante la Gran Maestranza dell'illuminante Giovanni Aniel (Fabrizio Mariani). Nella Loggia "Silentium", dalla sua costituzione, sono stati iniziati al Martinismo 81 fra fratelli e sorelle. Ovviamente non tutti sono rimasti all'interno della Loggia, soprattutto perché il Martinismo richiede un'operatività costante e continua, che può non essere alla portata di tutti. Vi è anche chi ha optato per il passaggio in altre diverse strutture. Per tutti vale il motto "semel abbas semper abbas" non avendo il Martinismo previsto forme affini alla "scomunica".

Quindi, allo stato attuale, la Loggia Martinista "Silentium" è una struttura iniziatica assolutamente indipendente da altri Ordini, Riti, Obbedienze, fratrie spirituali e da qualunque chiesa, pur rispettando ciascuna di tali organizzazioni. La Loggia “Silentium” opera alla Gloria del Grande Artefice dei Mondi, del sacro pentagramma e sotto gli auspici del Phil::: Inc::: Louis-Claude de SaintMartin, Nostro Venerato Maestro. Conformemente alla Tradizione Martinista, la Loggia “Silentium” adotta il simbolismo del ternario: i tre gradi (Associato Incognito, Iniziato Incognito, Superiore Incognito), i tre colori (nero, rosso, bianco), i tre simboli fondamentali

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(cordone, maschera, mantello), i tre lumi. La Loggia Martinista “Silentium” proclama la sua osservanza alle leggi dello Stato, così come l’inderogabile rispetto dei principi di libertà, tolleranza e fratellanza. Allo stesso modo, si oppone a ogni forma di miope, ottusa e umiliante discriminazione: di genere, sociale ed etnica; si astiene dal prendere parte in controversie di natura politica e confessionale nel rispetto del libero pensiero, individuale e sociale. Gli insegnamenti, la rituaria e il piano di studi sono conformi a quelli martinisti di estrazione "brunelliana" prevedendo un approccio essenzialmente teurgico occidentale con particolare riferimento alle dottrine sviluppatesi, in diversi periodi storici, nel bacino del mediterraneo e nel continente europeo. Dalla Loggia "Silentium", negli anni, sono "gemmati" diversi gruppi (ogni gruppo deve essere composto da almeno 4 fratelli/ sorelle), ciascuno seguito da un Fratello/ Sorella Maggiore. Attualmente, oltre la Loggia "Silentium" che ha sede a Pescara, affidata a Iperion S:::I:::I:::, sono presenti i seguenti gruppi: - "Anubi" - Palermo (Bes S:::I:::) - "Parthenope" - Napoli (Rhiannon S:::I:::) - "Zeteo" - Salerno (Eros S:::I:::) - "Stanislas de Guaita" - Bari (Zapquiel S:::I:::) - "Nova Lux" - Roma (Samas S:::I:::) È in corso di costituzione il Gruppo "Eirene", in Piemonte, guidato dalla sorella Aspasia S:::I:::, non appena saranno regolate le iniziazioni al cessare dell'emergenza sanitaria.

Fratelli e sorelle isolati (laddove non è ancora possibile costituire un gruppo) sono presenti in Toscana, Liguria e Sardegna. Oltre che con la presente rivista - riportante le idee e l’operatività che caratterizzano la Loggia Martinista “Silentium” e i suoi Gruppi - è in corso di realizzazione il sito web che riporterà notizie e materiali utili ad ogni martinista e a ogni cercatore dello spirito. In vista di questi ambiziosi propositi, non resta che augurarci che la pace, la serenità, e la gioia ardano sempre nei nostri e vostri cuori. Ora e per sempre. Iperion S:::I:::I:::

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