Il ragazzo selvaggio - annuario 2019

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Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXXV - nuova serie - Periodico bimestrale - Supplemento al n. 136/137 della rivista il Ragazzo Selvaggio

CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA

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LUGLIO-OTTOBRE 2019

Supplemento

Tutti i film per la scuola


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Alita: Angelo della battaglia

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PER LA SCUOLA

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Editoriale 22 Luglio Un affare di famiglia / Aladdin Alita: Angelo della battaglia / Ancora un giorno I bambini di Rue Saint-Maur 209 / Il bene mio BlacKkKlansman / Boy Erased - Vite cancellate Butterfly / Cafarnao, caos e miracoli The Children Act - Il verdetto / Conta su di me Il coraggio della verità / Cyrano mon amour Dilili a Parigi / La diseducazione di Cameron Post Dolor y gloria / La donna elettrica La douleur / Dove bisogna stare Dumbo / La favorita First Man - Il primo uomo / I Fratelli Sisters La gabbianella e il gatto / Girl Il grande spirito / Green Book In guerra /Gli Incredibili 2 Gli Invisibili / Land Mia e il leone bianco / Momenti di trascurabile felicità

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T U T T I I F I L M D E L L’A N N O

Dolor y gloria

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Dumbo

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In copertina:

Aladdin

di Guy Ritchie, Usa 2019

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Cafarnao, caos e miracoli

La strega Rossella e Bastoncino / Styx Sulla mia pelle /Torna a casa, Jimi! 10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro Toy Story 4 / Il traditore Tre volti /Troppa grazia Unicorn Store / L’uomo dal cuore di ferro Vice - L’uomo nell’ombra / Zanna Bianca

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Mia e il leone bianco AUTORI SCHEDE

Le nostre battaglie / Opera senza autore Oro Verde - C’era una volta in Colombia / Papa Francesco - Un uomo di parola La paranza dei bambini / Il primo re La profezia dell’armadillo / La promessa dell’alba Ralph spacca Internet / Remi Il ritorno di Mary Poppins / Roma Santiago, Italia / Sarah & Saleem Là dove nulla è possibile Sembra mio figlio / Senza lasciare traccia Sofia / Spider-Man: Un nuovo universo

f.b. p.c. t.c. l.c. c.d. d.d.g. p.f. m.g. m.gn. g.g. l.g . a.l.

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Franco Brega Patrizia Canova Tullia Castagnidoli Luisa Ceretto Carla Delmiglio Davide Di Giorgio Paolo Fossati Mariolina Gamba Marzia Gandolfi Giuseppe Gariazzo Leonardo Gregorio Alessandro Leone

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Spider-Man Un nuovo universo

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Gli Invisibili m.m. m.ma. a.m. m.n. f.p. g.p. m.g.r. d.s. f.s. a.s. f.v. c.m.v. f.vo. l.z. g.za.

Marco Marrapese Minua Manca Alessandra Montesanto Marianna Ninni Francesco Pellegrini Grazia Paganelli Maria Grazia Roccato Domenico Sarracino Francesca Savino Andreina Sirena Flavio Vergerio Cecilia M. Voi Filippo Volpini Laura Zardi Giancarlo Zappoli


EDITORIALE

ANNUARIO 2019

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e precarie condizioni in cui le Associazioni di Cultura Cinematografica (riconosciute dal MiBAC e sostenute dai contributi ministeriali) sono costrette a svolgere il loro lavoro finalizzato alla ricerca, alla formazione e all’educazione delle nuove generazioni ai linguaggi multimediali sono da anni inaccettabili. Se non fosse per le profonde radici che sostengono il nostro impegno e per la dedizione incondizionata che caratterizza dirigenti e collaboratori del Centro Studi Cinematografici - come tutti coloro che condividono i nostri valori accettando di essere compensati con mesi e mesi di ritardo - gruppi di lavoro come il nostro e Il Ragazzo Selvaggio - nato nel 1985 - sarebbero morti da tempo. Manteniamo comunque vivo il legame con i lettori assicurando non solo l’uscita puntuale dei numeri

della Rivista ma anche l’Annuario dei film per la scuola che pubblichiamo da 14 anni. Lo mettiamo a disposizione in versione digitale (PDF) come supplemento al n. 136/137, scaricabile gratuitamente dal Sito del Centro Studi Cinematografici (www.cscinema.org). Oltre ai film ricordati in queste pagine - i quali confermano che il cinema è da sempre uno strumento utile per riflettere su temi importanti e attuali ricordiamo tante altre opere “classiche” tornate recentemente in sala (molte schedate nella Rivista). Ci auguriamo che le indicazioni contenute in questo Speciale, accanto a quelle dei vari numeri dell’annata, possano potenziare le riflessioni e le proposte degli insegnanti e degli animatori culturali impegnati nella Scuola e nei Cinecircoli. LA REDAZIONE

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22 Luglio Norway Norvegia, 2011. Sull’isola di Utøya, a nord-est di Oslo, un gruppo di ragazzi della Lega dei Lavoratori della Gioventù trascorre un periodo di vacanze tra sport, natura e momenti di riflessione. Molti sono figli di esponenti del partito norvegese al potere. Jens Stoltenberg, Primo Ministro norvegese del Partito laburista, ha previsto di far loro visita. Ma a sbarcare sull’isola è invece Anders Breivik, terrorista di estrema destra, intenzionato a minare le fondamenta della democrazia norvegese. Fatto saltare in aria un furgone nel quartiere governativo di Oslo - l’uomo vuole portare a termine il suo piano terroristico uccidendo i ragazzi presenti al campo. Fingendosi un poliziotto, riesce a superare le norme di sicurezza e a raggiungere Utøya dove uccide ben 69 adolescenti. Mostrata la strage, il film si sposta nel tribunale dove Breivik viene processato. A testimoniare ci sarà il giovane Viljar Hanssen, uno dei superstiti.

r. Paul Greengrass or. Norvegia/Islanda 2018 distr. Netflix dur. 133’

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asato sul libro Uno di noi: la storia di un attacco in Norvegia - e le sue conseguenze di Åsne Seierstad, 22 luglio, decidendo di riaprire la ferita sul gravissimo attacco terrorista, opera una scelta politica forte: vuole con chiarezza denunciare i rischi prodotti non solo dal terrorismo per mano di integralisti islamici, ma anche del terrorismo bianco, di estrema destra, appoggiato dai grandi movimenti sovra-

nisti, supremacisti e nazisti che negli ultimi anni stanno sempre più prendendo piede in Europa e dai quali è assolutamente indispensabile difendersi. La grande crisi economica che sta attraversando numerose nazioni sta generando rabbia e paura, incapacità di gestione dei flussi migratori e sta mettendo in crisi i valori delle grandi democrazie europee. E Greengrass, con il suo cinema civile political action si impegna a spiegare tutto ciò e prova a metterci in guardia dai rischi di questa pericolosa deriva. Nella prima parte del film camera mobile, riprese veloci, punti di vista che si inseguono e sovrappongono, montaggio rapido e concitato ci ‘mettono dentro’ la tragedia della strage; nella seconda parte - con uno stile molto personale e gli stilemi del genere giudiziario - il regista ci fa ‘respirare’ il dramma collettivo e ci ricorda che ‘il sonno della ragione, genera mostri’. Per tutto questo, e non è assolutamente poco, 22 Luglio è senza dubbio un film importante e necessario, in modo particolare per i giovani del terzo millennio. Vedi anche nel n.132, p. 25. p.c.

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Un affare di famiglia Shoplifters Al ritorno dall’ennesimo furto al supermercato, Osamu e suo figlio trovano, fuori da un appartamento prossimo al loro, una bimbetta di pochi anni e tante pene. Reticente a ospitare la bambina per la notte, la moglie di Osamu accetta di occuparsi di lei non appena comprende che i suoi genitori la maltrattano. A dispetto della precarietà finanziaria, r. Hirokazu Kore-eda or. Giappone 2018 della mancanza di spazio e di un distr. BIM Distribuzione dur. 121’ legame che non è fondato sul sangue, i membri di questa famiglia putativa e fuori norma sembrano vivere felici. film di Hirokazu Kore-eda hanno sempre Almeno fino a quando un imprevisto accordato all’infanzia un’importanza non rivela il loro segreto e il vincolo che centrale: in qualità di soggetto, bambini li unisce in un interno e nell’angolo abbandonati alla loro sorte (Nessuno lo sa) cieco della società. o separati da un divorzio (I Wish), ma anche in quella di oggetto della discordia, pedine di un gioco di riorganizzazione familiare e di scambi che non si preoccupano della loro individualità (Father and Son). Il suo cinema empatico filma l’in-

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Aladdin Ad Agrabah dilaga la povertà. Molti si arrangiano con piccoli furti. Così anche Aladdin, ladruncolo dal cuore buono, che ruba per sopravvivere, donando spesso quel poco che ha a chi sta peggio. Un giorno Aladdin incrocia Jasmine, principessa in incognito, segregata a palazzo da un padre protettivo che non vuole perderla né riesce a comprendere il suo desiderio di aiutare la gente e aspirare a molto più che al ruolo di moglie. Mentre il Sultano è concentrato a cercarle un marito facoltoso, lo stregone Jafar cerca di impossessarsi del trono, ma il suo piano viene messo in crisi dal casuale incontro di Aladdin con Jasmine e poi con il Genio di una misteriosa lampada di cui il ragazzo si impossessa proprio per via del diabolico Jafar. Sarà proprio il genio ad aiutare Aladdin a conquistare il cuore di Jasmine e l’ammirazione del Sultano, dando inizio a un’elettrizzante avventura tra le strade e i cieli di Agrabah.

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r. Guy Ritchie or. Usa 2019 distr. The Walt Disney Company Italia dur. 128’

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uy Ritchie rimescola i generi e propone un’opera a metà tra musical e film d’azione, arricchita dagli elementi tipici della commedia in stile Bollywood. La storia, ispirata al racconto tratto da Le mille e una notte, è fedele al film degli anni 90 dal quale eredita anche alcune canzoni, ma prende una piega inedita e attuale.

fanzia come nessuno. Al cuore del suo lavoro ci sono bambini lasciati a se stessi, confusi e confrontati con realtà troppo grandi per spalle troppo piccole. Ci sono adulti che ricollocano in ginecei improvvisati (Little Sister) o in famiglie alternative (Un affare di famiglia) la saggezza acquisita con i torti subiti all’alba della vita. All’ombra dei ciliegi in fiore o di disastri familiari, la (loro) cognizione del dolore si veste di dignità, guadagnando la forza necessaria per superare il male che l’ha determinata. I suoi bambini grandi reagiscono creando un valore morale assoluto, al di là dei propri interessi e assumendosi la responsabilità di essere loro la “famiglia” per una sorella ritrovata o una bimba ‘battuta’. Tra i film dell’autore, Little Sister e Un affare di famiglia costituiscono una sorta di dipoi del suo cinema dell’infanzia, la sua fase post-traumatica, dove un funerale diventa un battesimo e un sequestro una liberazione. Senza eccedere, in sottrazione, contenendo il valore delle emozioni nel quadro discreto e anti-spettacolare del quotidiano. L’arte della litote che gli è valsa a ragione la Palma d’Oro. Vedi anche nel n. 130/131, pp. 4 e 5. m.gn.

Se Aladdin incarna le fragilità di un giovane talmente insicuro da fingersi qualcun altro pur di conquistare il cuore di Jasmine, Jafar è specchio dell’egoismo malato di chi non vuole essere secondo a nessuno, ha sete di potere ed è mosso da brama e crudeltà. Ma è soprattutto con la caratterizzazione del personaggio di Jasmine che sceneggiatore e produttori si prendono le maggiori libertà. Non è più solo una ragazza mossa dal desiderio di conoscere il mondo, pronta a saltare su un magico tappeto volante. È una donna ambiziosa e desiderosa di farsi carico delle difficoltà di un intero paese, se solo il sistema le concedesse un’opportunità. A sottolineare la verve in chiave femminista del film sono persino le canzoni, con Jasmine che ne conquista una nuova, tutta sua e dedicata alla tematica di sfondo. A completare il quadro c’è Will Smith, dirompente genio della lampada che aggiunge ironia e simpatia all’intero scenario. Il nuovo Aladdin è colorato e divertente, immerge lo spettatore nel magico universo orientale, affascina attraverso coreografie ricercate, musiche e ritmo coinvolgenti e aggancia chi guarda grazie all’ormai consueto effetto nostalgia. m.n.


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Alita

Angelo della battaglia Alita: Battle Angel

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Nella Città di Ferro del 2563, i disperati si contendono i rifiuti della metropoli sospesa Zalem. Proprio fra i rottami il dr. Ido trova un cyborg femminile dal cervello ancora intatto, che ribattezza Alita, trattandola come la figlia che ha perso. Alita conosce quindi Hugo, un ragazzo patito di Motorball, lo sport che sembra essere l’unica via d’accesso a Zalem: il vincitore dei tornei, infatti, sarà ammesso nella metropoli. Allo stesso tempo, Alita inizia a dimostrare grande agilità e conoscenza delle arti marziali. Fra i vari tentativi di mettere insieme i pezzi del suo passato, Alita scopre poi che il dottor Ido in realtà è un cacciatore di taglie; e che la sua ex moglie Chiren, che sogna di tornare a Zalem, si è alleata per questo a Vector, l’uomo che controlla il Motorball e agisce agli ordini di Nova, uno dei boss della metropoli sospesa.

r. Robert Rodriguez or. Usa 2019 distr. 20th Century Fox dur. 122’

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rutto della collaborazione tra il produttore/sceneggiatore James Cameron e il regista Robert Rodriguez, Alita è un film di equilibri e continue contrapposizioni, un po’ retrò nel ritrovare la forza propulsiva del corpo meccanico come nelle saghe di Terminator e RoboCop, ma inedito e moderno nella capacità di rimodulare lo stesso in una chiave anche intimista. Il ritmo, infatti, alterna

Ancora un giorno Another Day of Life 1975, Angola: i portoghesi lasciano le colonie africane. Nel paese ricco di risorse si scatenano appetiti contrapposti. Scoppia la guerra civile tra un movimento filomarxista, vicino alla Russia e altri anticomunisti, sostenuti dagli USA. Il giornalista polacco Ryszard Kapuściński convince i suoi superiori a mandarlo nel Paese, dove raggiunge subito Luanda, il centro dell’anarchia, in mano a gruppi armati contrapposti. In un viaggio di tre mesi raggiungerà il sud, dove si è asserragliato l’eroico comandante Farrusco, che ha deciso di schierarsi con i più deboli, per intervistarlo. Strade sterrate, cadaveri abbandonati, imboscate improvvise, Carlota, la guerrigliera che vorrebbe essere infermiera. Ryszard possiede un’informazione che potrebbe cambiare le sorti del conflitto: lo scoop di una vita a costo di migliaia di morti. Potrà la sua coscienza sopportare un simile peso?

r. Raul de la Fuente, Damian Nenow or. Polonia/Spagna/Germania/Belgio/Ungheria 2018 distr. Wonder Pictures dur. 85’

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dattamento di Another Day of Life, il reportage/capolavoro di Ryszard Kapuściński, unico corrispondente estero dall’inferno angolano, che scrisse in decine di libri resoconti accurati di rivoluzioni ignorate dal circo mediatico. La sua opera preferita rimase questo Ancora un giorno. Biografia, action e documentario. Un film tecnicamente composito, con inter-

grandi momenti d’azione dal ritmo scatenato ad altri in cui i personaggi si prendono il loro tempo per esplorare le dinamiche di reciproca interazione, creano alvei di pace in cui si confidano i rispettivi sentimenti e provano a rompere il silenzio del continuo “non fidarsi” per donarsi con sincerità l’una all’altro. Anche per questo, a ricoprire il ruolo del nemico non è tanto un singolo protagonista: la struttura, pensata evidentemente per successive prosecuzioni, snocciola anzi dei “cattivi” che agiscono secondo una dinamica quasi dei vasi comunicanti, impadronendosi dei corpi altrui in un gioco di maschere che fa pendant con il continuo rimpiattino degli inganni e dei segreti da svelare. Non fidarsi è anche la chiave per esplorare un mondo ingannevole, che anche in questo senso acquisisce piena consapevolezza teorica rispetto all’estetica digitale, e ci riporta ad Avatar: chi è l’uomo e chi l’alieno, il sintetico, il “finto”? Alita fornisce la sua risposta con una protagonista meccanica ma dai sentimenti più veri di tanti personaggi superficialmente reali. Vedi anche nel n. 134, p. 18. d.d.g.

viste ai protagonisti di allora, inserti d’archivio e immagini dell’Africa di oggi: l’animazione come principale modalità espressiva, che permette di passare dall’oggettività alla soggettività. Stili grafici agli antipodi: concitate sequenze d’azione, impressionismo per i sogni, gli incubi del giornalista. Un mix di linguaggi diversi perfettamente equilibrati. L’Angola è in preda al disorientamento: il caos, la confusão, che il film rende con estrema fedeltà. L’assedio, interi villaggi sterminati. L’animazione non nasconde la tragicità della guerra. Un massacro di 500.000 vittime e un milione di sfollati.La penna, la macchina fotografica per conservare la memoria: “Un altro giorno di vita, reporter!” chiese il comandante Farrusco, il Che Guevara angolano, al giornalista. Racconto di un conflitto epico e tragico, ma anche riflessione deontologica sul mestiere del giornalista. Kapuściński entra in possesso di informazioni che potrebbero cambiare il corso del conflitto. Quanto vale uno scoop per un giornalista? Una graphic novel emozionante che non smette di essere anche reportage di guerra. Vedi anche nel n. 135, p. 19. c.d.

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ANNUARIO 2019

I bambini di Rue Saint-Maur 209 Les enfants du 209, Rue Saint -Maur Paris 10ème

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Ruth Zylberman scopre sui registri del censimento del 1936 che in un edificio di un quartiere popolare di Parigi su 300 inquilini 100 erano ebrei: di essi ben 52 erano stati deportati. Ricerca i pochi sopravvissuti o sfuggiti alla cattura, in particolare nove bambini nascosti e adottati da altre famiglie. Raccoglie le interviste, oltre che a Parigi, nella provincia francese, a New York, a Melbourne e a Tel Aviv. Oltre a testimoniare gli orrori delle retate e delle deportazioni, rese efficaci dall’indifferenza e dalle delazioni dei collaborazionisti, i sopravvissuti ottuagenari rivelano una grande difficoltà a rievocare ricordi dolorosi. Al tempo stesso desiderano rincontrare le figure memoriali di fratelli e genitori, oltre che vicini di casa della dissolta piccola comunità. Il film si conclude con una riunione dei testimoni della tragedia, insieme a figli e nipoti.

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r. Ruth Zylberman or. Francia 2017 distr. Lab80 Film dur. 102’

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l progetto della Zylberman era rimettere in relazione le vite attuali dei reduci con i loro ricordi, dolorosamente occultati, e con l’edificio abitato nell’infanzia. La maniglia del portone d’ingresso, la guardiola del portinaio, una porta murata, la rampa delle scale, una visione della strada dalla finestra di un appartamento buio e senza servizi vengono riconosciuti, ricostruiti e rigenerati dai sopravvissuti come parte di

Il bene mio È l’ultimo abitante di Provvidenza, paesino del Sud devastato da un terremoto. I sopravvissuti si sono trasferiti nella new town, ai piedi della collina, mentre Elia è rimasto lì, incapace di sganciarsi dal ricordo di sua moglie Maria, maestra, morta nel crollo della scuola elementare. Non vuole scendere, Elia, non vuole abbandonare ciò che è ancora rimasto, nonostante i tentativi del sindaco (fratello di sua moglie) e degli amici (Gesualdo, quasi un fratello; Rita, forse innamorata) che salgono a trovarlo cercando di convincerlo a lasciare tutto e a guardare avanti. Ma lui continua a lavorare, raccoglie oggetti, è agile, è custode della sua memoria e di quella altrui. Eppure, ben presto, Provvidenza verrà interdetta definitivamente ed Elia sarà costretto a lasciarla. Intanto, però, qualcosa cambia: strani segni di passaggi, rumori, presenze iniziano a convincerlo di non essere solo in paese…

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r. Pippo Mezzapesa or. Italia 2018 distr. Altre Storie dur. 94’

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lia si muove in un Sud molto reale e vagamente irreale, come un extraterrestre del nostro tempo, dei nostri giorni, quasi parlasse una lingua, una gestualità, un’idea che non conosciamo più, pur essendo lui riconoscibile, figura forse più prossima all’atleta indisciplinato ma metodico che a Don Chisciotte. Per questo, drammaturgia (alla scrittura, con il regista Pippo Mezzapesa, ci sono Antonella Gaeta

esistenze tragicamente “interrotte”. La struttura dell’edificio, costituito da un cortile abbellito da piante e da quattro blocchi, ha permesso alla regista di articolare il racconto moltiplicando i punti di vista e le prospettive, collegando nelle singole testimonianze e relativi percorsi il passato al presente. La figura forse più significativa e che meglio esemplifica il progetto di ricostruzione della memoria interrotta è quella dell’americano Henry, salvato e protetto in adozioni successive da cinque famiglie e finito a New York. Henry portato via a soli due anni dalla Rue St. Maur non sa nulla della propria famiglia d’origine e ha vissuto con dolore rabbioso la propria condizione di adolescente senza storia. Nel primo incontro con la regista non vuole vedere la foto della madre perita in un campo di concentramento. Afferma amaramente: “Ero un ragazzino problematico”. La visita finale all’edificio di rue St. Maur con i compagni di sventura gli permette di ricostruire la propria storia e di ricomporne le parti mancanti, accettando di riconoscere l’immagine della madre. Vedi anche nel n. 133, p. 15. f.v.

e Massimo De Angelis) e messinscena non ne fanno un essere unidimensionale, e lo sguardo su di lui è dolce, ma è pure di sfida, perfino “dispettoso”, mai pietistico, mentre è l’elemento vitalistico a diramarsi anche nelle oscurità del lutto, dell’amore scomparso. Elia è fisicità sottile e nervosa ma sembra altresì una figura sognata, quasi un cartoon immaginato da Pasolini; la sua Provvidenza è vicina e lontana dalla new town che non vediamo mai, è mondo situato nelle crespe del possibile e dell’impossibile, delle ombre e delle luci, dei giorni e delle notti. E così, Il bene mio a volte sembra volersi fermare e invece si sa collocare lento e aspro, giocoso e serissimo, in un incastro tra carattere italiano e spirito per certi versi “sudamericano”, in un’andatura da comicità più sperimentale che da commedia, dentro un realismo ora magico, ora primitivo, come creatura stranissima, di poesia polverosa, residuale, tra memoria concreta e reinventata. Fino all’incanto, e a un finale che porta il misterioso e il materico nelle stesse voci, nelle stesse presenze e assenze. Negli stessi occhi. Vedi anche nel n. 132, p. 22. l.g.


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BlacKkKlansman Anni 70. Nella profonda provincia americana Ron Stallworth coltiva il sogno di arruolarsi in polizia, diventando così il primo agente afroamericano di Colorado Spring. Stallwort subito si rende disponibile a infiltrarsi in un raduno di giovani studenti afroamericani presenziato anche da un membro dei black panther. Così Ron riesce a entrare in confidenza anche con una bellissima leader studentesca non senza restarne ammaliato. Nel frattempo l’agente, dopo aver risposto a un semplice annuncio riesce a entrare in contatto con la locale sezione del partito suprematista bianco, il riformato Ku Klux Klan. Durante le lunghe conversazioni telefoniche, riesce a costruire un rapporto di fiducia con gli uomini del Klan e con il grande capo David Duke. E quando si presenta il momento di incontrarsi dal vivo invia al suo posto Flip Zimmerman, un collega poliziotto di origine ebrea.

r. Spike Lee or. Usa 2018 distr. Universal dur. 135’

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azzismo, questioni sociali e violenza tornano in primo piano nella filmografia del regista afroamericano. Questa volta Spike Lee le affronta prendendo una posizione politica radicale e giocando la carta dell’ironia. È nella commedia che trova i fili giusti per muovere i personaggi di una storia tanto assurda quanto sorprendentemente vera. Da una parte ci sono gli studenti afroamericani, che si ri-

Boy Erased

Vite cancellate Jared Eamons, figlio di un pastore anabattista dell’Arkansas, educato secondo i valori tradizionali, nel college subisce un’aggressione sessuale, in seguito alla quale scopre di essere attratto dai maschi. Consultate due persone di fiducia, il padre lo iscrive a una “terapia di conversione”, dato che il ragazzo dichiara di essere intenzionato a cambiare. Qui gli verrà suggerito di fingere per diventare quell’uomo che non è, finché la finzione diverrà “naturale”. Il percorso, irto di difficoltà drammatiche, si rivelerà impossibile. Entrato nel programma di riorientamento sessuale con la precisa intenzione di “cambiare”, il ragazzo comprenderà che a “cambiare” dovranno impegnarsi gli altri: la famiglia, la chiesa, la società. Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2018, il film è tratto dall’omonimo libro autobiografico scritto nel 2016 da Garrard Conley, uscito in Italia nel 2018 presso Black Coffee.

r. Joel Edgerton or. Usa 2018 distr. Universal Pictures dur. 114’

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ulla base di una psicologia arbitraria gli operatori del Centro plagiano i pazienti, utilizzando metodi sottilmente penetranti nell’altrui coscienza e comportamenti brutali. Il padre consulta i saggi, invia il figlio a una visita medica, lo iscrive al centro specializzato. Si fida di ciò che offre la società. Sul dramma dei genitori, chiamati a scegliere fra adesione alla fede e amore per

tengono ‘vittime’ di un sistema che li discrimina. Dall’altra ci sono i membri dell’organizzazione per il suprematismo della razza bianca, antagonisti non temibili. Gli affiliati al Klan, infatti, sono ridotti a personaggi caricaturali, fantocci intellettualmente svantaggiati. Da questo punto di vista BlacKkKlansman restituisce una visione del Klan sulla stessa frequenza di quella di Django Unchained. Le connessioni con il cinema di Tarantino però non si fermano alla rappresentazione del KKK. Questa volta Lee sembra voler sfidare Tarantino, attingendo a piene mani dai riferimenti cinematografici del collega, ma rimescolando le carte in modo personalissimo, creando un film dall’impianto visivo ricercato e accattivante, senza però rinunciare a quella componente di militanza che ha caratterizzato tutta la sua carriera. Proprio l’essere così schierato, però, guasta gli equilibri retorici del film. La storia dei giovani afroamericani che è anche un’antologia delle lotte per i diritti civili, viene sovraccaricata di un’enfasi ingiustificata, che discioglie tutta la rabbia in un clima ai limiti del melenso. Vedi anche nel n 130/131, p. 25. m.m.

il figlio, campeggia lo strazio di quest’ultimo: inquietudine, sgomento, vergogna, desiderio di evasione, senso di colpa per essere diverso dalle aspettative degli adulti, forza di volontà nell’impegnarsi con energia. La parola chiave è “cambiare”. Il ragazzo si dichiara intenzionato a “cambiare” e via via conferma la propria determinazione. Ogni volta riprende la ricerca della verità di ciò che gli adulti dicono e il confronto con la verità di se stesso, fino alla scoperta della propria identità, alla decisione di non fingere più e all’individuazione del vero cambiamento: “Sono gay e sono tuo figlio - dirà al padre “nessuna di queste due cose può essere cambiata”. Ha capito che non può conseguire la libertà applicandosi a mettere in atto il diktat di altri, che la libertà non è il premio di un’obbedienza per quanto eroica, ma esperienza di sé e presa di contatto con l’intimità di se stesso, libera e consapevole autodeterminazione. La sua scelta emanciperà la madre, in precedenza acquiescente alle decisioni del marito e nella conclusione - anche il padre, che alla fine immaginiamo orientato a cambiare. Vedi anche nel n. 134, p. 14. m.g.r.

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Butterfly Per la giovane campionessa di pugilato Irma Testa talvolta è la vita stessa a trasformarsi in un ring. La sua quotidianità finisce sotto i riflettori quando, ancora ragazzina, diventa la prima pugile donna italiana a classificarsi alle Olimpiadi. Una frenesia mediatica che fa da contraltare all’esilio dei ritiri per gli allenamenti con le Fiamme Oro ad Assisi, un luogo così tranquillo e diverso dalla palpitante Torre Annunziata, dove lascia affetti e grattacapi. Per anni Irma, oggi ventunenne, ha consentito a una piccola troupe di documentaristi di osservare con discrezione la sua vita, la sua parabola sportiva e umana. Il regista Alessandro Cassigoli l’ha notata quando era solo una quattordicenne nella palestra della Boxe Vesuviana, vero avamposto sociale animato da Lucio Zurlo, il Maestro, personaggio chiave del film, che esplora anche il rapporto di Irma con la madre e la sorella.

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ero come i pugni sferrati dai guantoni di Irma, avvincente come un grande film di fiction sulla boxe. Il documentario di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman segue con pudore e senza clamori Irma, brillante atleta dallo sguardo vacuo quanto magnetico. Dall’ascesa ai tormenti, la “farfalla” (battezzata “Butterfly” dal suo maestro) impara a librarsi in volo, verso il futuro. Gli autori passo dopo passo catturano le emozioni

Cafarnao, caos e miracoli Capharnaüm Zain vive nei quartieri disagiati di Beirut con molti fratelli e i genitori. Viene arrestato per aver tentato di uccidere l’uomo che aveva sposato sua sorella di undici anni, morta per una gravidanza precoce. Si stima che il ragazzo abbia dodici anni. Non ha documenti: i genitori non si sono curati di denunciarne la nascita. In tribunale dice di voler far loro causa per averlo messo al mondo senza potergli assicurare cibo e istruzione. Da lì prendono corpo diversi flashback che descrivono la via crucis del ragazzino. Lo vediamo andarsene da casa dopo che i genitori hanno acconsentito al matrimonio della sorella, accudire e proteggere il piccolo Yonas (figlio di un’etiope clandestina) arrivare allo stremo pur di non cedere alle richieste dell’ambiguo Aspro che vuole il bambino per venderlo, fino al progetto di emigrare in Europa, quando scopre che non può farlo perché privo di identità.

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r. Alessandro Cassigoli, Casey Kauffman or. Italia 2018 distr. Cinecittà Luce dur. 80’

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r. Nadine Labaki or. Libano/Francia/Usa 2018 distr. Lucky Red dur. 123’

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afarnao, caos e miracoli è il terzo lungometraggio della regista e attrice libanese Nadine Labaki. In concorso a Cannes nel 2018, ha vinto il Premio della Giuria e il Premio ecumenico. È stato candidato anche al Golden Globe 2019 come miglior film straniero. Nonostante questi riconoscimenti, la critica ne ha sottolineato più i limiti che i pregi. Forse

delle selezioni olimpiche per Rio 2016. Nasce così un’opera di respiro universale: non è, infatti, il clamore dei riflettori puntati sulla campionessa a interessare i registi, bensì l’effetto che esso esercita sull’adolescente Irma, unito alle rinunce imposte dallo stile di vita da pugile professionista, in particolare la lontananza dagli affetti. È così che Butterfly si offre al pubblico come un grande romanzo di formazione per immagini: tutti possono immedesimarsi nella protagonista. L’effetto “reality show” è completamente scongiurato dall’ampio respiro dell’operazione e da un taglio poetico nell’esposizione delle vicende biografiche. Tante sono le tracce d’inquietudine disseminate nel film - mai sottolineate con elementi retorici - che rendono palpabile la delusione di Irma dopo la sconfitta alle Olimpiadi, non ultime le voci dei detrattori, sotto forma di commenti sui social network. Alle parole cariche d’astio codardo che mettono in dubbio il suo talento, la sportiva non risponde direttamente, ma rialzandosi e dimostrando il coraggio di ricominciare a battersi. Vedi anche nel n. 135, p. 23. p.f.

perché nel film la regista affronta un tema fortemente drammatico, mentre in precedenza, pur trattando argomenti politico-religiosi, aveva privilegiato il registro della commedia. Forse perché si è lasciata prendere la mano dalla volontà di inserire nella vicenda quasi tutti i problemi emergenti nel panorama sociopolitico di oggi: la povertà, lo spaccio di droga, l’infanzia negata, le spose bambine, l’immigrazione clandestina, lo sfruttamento dei minori, i ricatti legati al traffico di neonati e migranti. Con riferimento alle sofferenze e alle violenze che vediamo sullo schermo Labaki conferma l’interesse e la partecipazione nei confronti di chi si trova in situazioni di disagio esistenziale e sociale. Si immerge nei temi che affronta con sensibilità e tenacia suscitando attenzione e coinvolgimento, inducendo riflessioni profonde. In primo piano il personaggio di Zair - in realtà un profugo siriano rifugiato in Libano alla sua prima prova di recitazione - smarrito, deciso, tenero e coraggioso, capace di affrontare situazioni molto complesse. Vedi anche nel n. 135, p. 22. m.g.


DAI 16 ANNI

ANNUARIO 2019

The Children Act Il verdetto

The Children Act

DAI 12 ANNI

Fiona Maye è un alto magistrato presso la Suprema Corte di Giustiza britannica, specializzata nella tutela dei minori. È sposata con Jack, professore universitario; non ha avuto figli né fa l’amore da tempo. Le viene affidato il caso di Adam, malato grave di leucemia, i cui genitori, testimoni di Geova, rifiutano le trasfusioni di sangue. Fiona si reca in ospedale per conoscere la posizione di Adam, contrario a sua volta alle trasfusioni. Tra i due nasce interesse ed empatia. Ma la giudice decide per la liceità delle trasfusioni. Il marito confessa una breve avventura amorosa e viene allontanato da casa. Tempo dopo, durante una trasferta a Newcastle, Adam, guarito, si presenta alla donna chiedendole di essere accolto in casa sua. Al rifiuto di Fiona si allontana disperato. In seguito il ragazzo torna a essere attaccato dalla malattia e Fiona accorre al suo capezzale. Riconciliata con il marito, parteciperà al funerale.

r. Richard Eyre or. Gran Bretagna 2017 distr. Bim dur. 105’

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prima vista il film potrebbe apparire l’illustrazione del conflitto insanabile fra fede e ragione, norma e morale, convenzioni sociali e libertà personali. Ma il suo cuore pulsante sta nella ricerca d’amore di ogni essere umano, attraverso l’attaccamento prima alle figure parentali, e poi ad altre sostitutive che contribuiscano alla costruzione delle nostre storie personali.

Conta su di me Dieses bescheuerte Herz Fare festa, sballarsi, finire con una macchina dentro la piscina di casa è l’idea che Lenny ha del divertimento. Il trentenne vive con il padre cardiochirurgo e sperpera tutti i suoi soldi. Il quindicenne David lotta invece ogni giorno anche solo per uscire all’aria aperta nella scialba periferia in cui vive: ha una grave malattia cardiaca sin dalla nascita. Questi due mondi si scontrano quando il papà di Lenny costringe il figlio a prendersi cura del suo giovane paziente. L’universo di David è fatto di sale operatorie e cliniche, quello di Lenny di donne, locali e feste. Lenny, obbligato dall’impegno impostogli dal padre, decide di aiutare David a realizzare tutte quelle esperienze che bisogna vivere almeno una volta nella vita. Tra i desideri di David c’è quello di conoscere una ragazza e innamorarsene! Superate le resistenze iniziali, tra i due nasce un’amicizia così intensa che vince ogni ostacolo.

r. Mark Rothemund or. Germania 2017 distr. M2 Pictures dur. 106’

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l cinema dopo il successo di Quasi amici ha riproposto in più occasioni storie di incontri ‘impossibili’ in cui uno dei due soggetti soffriva di un problema fisico. In questa occasione la base della narrazione è reale e il film ne mostra le prove. Amend ha incontrato Daniel Meyer quando aveva quindici anni mentre trascorreva i suoi pomeriggi in una struttura

Questa ricerca è fatta di sogni e illusioni, appagamenti e rinunce, innamoramenti fugaci e consolidamenti affettivi. La protagonista ha visto svanire il proprio amore per Jack a causa della maternità mancata e della routine matrimoniale e sociale. Il lavoro ossessivo è forse un sostituto della vita affettiva. La professionalità e dirittura morale si sono trasformati in rigidità nei rapporti interpersonali e in narcosi dei propri sentimenti. Significativo di una risposta mancata al bisogno di amore è il racconto di Adam circa le reazioni dei genitori dopo la trasfusione di sangue e la prima guarigione. Adam si sente tradito da loro e si rivolge a Fiona come a una nuova e più credibile figura materna. A sua volta Fiona è attratta dal ragazzo fantasmatizzandolo inizialmente come sostituto del figlio che non ha avuto. Ma l’attrazione psichica non è esente da più ambigue pulsioni erotiche, come si evidenzia nel bacio d’addio finale, con cui Adam manifesta una malcelata proposta amorosa, e a cui Fiona si sottrae a fatica e dolorosamente. Vedi anche nel n. 132, p. 16. f.v.

per ragazzi ammalati. Da allora i due hanno costruito un’amicizia che continua. Rothemund ha fatto propria questa storia trasformandola in cinema ma mantenendo il quadro di fondo aderente alla realtà. Se si dovesse proporre il film a scuola si farà bene a non raccontare in anticipo quale sia il presente (cioè che il ragazzo è ancora in vita). Perché il film non risparmia i momenti di crisi e fa della precarietà dettata dalla malattia uno dei punti di forza della narrazione. Certo ci sono situazioni finalizzate al sorriso o alla tenerezza collocate al punto giusto ma si sente che al di là di esse staziona la vita vissuta con le sue preoccupazioni.Questo elemento emerge non tanto dal rapporto tra i due protagonisti che parte da un’iniziale reciproca diffidenza per sciogliersi e trasformarsi in complicità quanto piuttosto dalla figura della madre di David. Conta su di me è un film didattico nel senso positivo del termine, che andrebbe proposto nelle scuole per mostrare che c’è un’umanità che vive nel disagio e/o nella malattia, spesso vicino a noi. Trovare un po’ di tempo per ‘volontariarsi’ farebbe bene a tutti. Vedi anche nel n. 132, p. 26. g.za.

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DAI 12 ANNI

ANNUARIO 2019

Il coraggio della verità The Hate U Give

DAI 12 ANNI

Starr e il suo migliore amico Khalil, una sera di ritorno da una festa, vengono fermati dalla Polizia e, scambiando una spazzola per una pistola, un agente spara a Kahlil uccidendolo. Il padre di Starr, memore delle proprie esperienze, aveva spiegato come fare in caso di fermo: non parlare, non muoversi. L’uccisione di Khalil scatena una reazione durissima all’interno della comunità dei neri e crea un forte dissidio interiore in Starr: lei vorrebbe denunciare, ma i genitori le consigliano di non farlo. La ragazza, inoltre, frequenta una scuola per bianchi e un ragazzo occidentale. Difficile per Starr accettare la condizione di afroamericana, dato che da bambina aveva già assistito alla morte di un’altra amichetta, Natasha, per mano di un delinquente. Dopo un lungo percorso di formazione, la ragazza farà la sua scelta e sarà un manifesto, utile per provare a cambiare la deriva dell’umanità.

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ortando sullo schermo il racconto di Angie Thomas che vede protagonista Starr, una ragazza nera che vive nel quartiere popolare di Garden Heights - un sobborgo inventato, rappresentativo di qualsiasi periferia di qualsiasi metropoli - ma che frequenta la Williamson, una scuola riservata per lo più a studenti benestanti, il regista si rivolge in particolare ai giovani.

Cyrano mon amour Edmond 1895. Edmond Rostand è un poeta francese che si è trasferito a Parigi con la moglie e il figlio in cerca di affermazione. Scarseggiano i soldi, Edmond è costretto a mettersi a servizio dell’attore Coquelin, che conosce gli impresari, per proporre un’opera nuova. Rostand vorrebbe scrivere una tragedia, ma i gusti del pubblico gli impongono la ricerca di un soggetto brillante. Promette di aver già elaborato un’opera i cui singoli atti presenterà alla compagnia a poco a poco durante le prove. Il tempo scarseggia, gli imprevisti sono continui e Rostand, senza idee, trova due aiuti insperati: la cultura enciclopedica del nero Honoré e Jeanne, una giovane costumista, che, per un divertente equivoco, diventerà la sua musa. Tutto sembra andare male, ma alla fine la compagnia trionferà con l’immortale Cyrano de Bergerac. Divertente e arguta genesi di un capolavoro.

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r. George Tillman Jr. or. Usa 2018 distr. 20th Century Fox dur. 132’

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r. Alexis Michalik or. Francia 2018 distr. Officine UBU (2019) dur. 109’

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uesto film deriva dall’omonima pièce del giovane regista Michalik che la trasforma in un film dove tributa il suo affetto per l’autore del Cyrano de Bergerac Edmond Rostand. Si susseguono in una vorticosa girandola scene divertenti che pesano tutte sulle spalle del giovane autore, in cerca di ispirazione e messo alla prova da continui contrat-

Cresciuta con le regole e l’orgoglio dei black, tra bande criminali e amici altolocati, Starr resta in questo limbo fino alla sera che sconvolgerà la sua esistenza, portandole alla memoria anche un fatto tragico a cui aveva assistito quando era piccola. Ora, però, ha un altro livello di comprensione della realtà e di coscienza e i suoi pensieri iniziano a confondersi, oscillando tra l’omertà e la ricerca della verità. I genitori della ragazza sono lontani dagli stereotipi della famiglia “di colore”, ammettono i propri errori e cercano di tutelare i figli dai pericoli della strada, ma evidentemente questo non è sufficiente se a sbagliare sono proprio coloro che dovrebbero tutelare la comunità. C’è una distorsione in tutto questo: negli States (e non solo) la vita di un nero vale meno di quella di un bianco. Così come i poveri sono considerati cittadini di serie B. L’istruzione fa la differenza. Starr deciderà di far emergere la verità, superando la paura, per provare a ristabilire un equilibrio sociale, troppo spesso a favore di una sola parte; per fare in modo che altri, come lei, trovino il coraggio di esporsi per il Bene comune. Vedi anche nel n. 134, p 20. a.m.

tempi. Piano piano prende forma un canovaccio che Edmond scrive di notte, intessuto degli incontri rocamboleschi che gli capitano durante la giornata. La sua musa è una dolce costumista, innamorata del suo migliore amico attore, per conto del quale scrive magnifici versi poetici. È lui Cyrano o, meglio, è lui la mente fervida del moschettiere, capace di parlare in poesia, leale e brillante al tempo stesso. Da sempre al cinema interessa indagare la genesi dei capolavori, la fatica e la disperazione dei loro autori, uomini comuni sotto molti punti di vista, ma portati costantemente in un “altrove” dove tutti gli altri non possono seguirli. L’altrove può essere reale o metaforico: Rostand trova rifugio nel retrobottega del bistrot di Honoré, una fornita biblioteca segreta. Un atto d’amore verso il teatro, un microcosmo dove si ricreano le stesse dinamiche sociali e private, il tributo a un’opera cara a ogni Francese, il saluto a una fine di secolo ricca di promesse, un augurio di rinnovate e fertili contaminazioni artistiche, attori splendidi tutti perfetti nella parte. Vedi anche nel n. 135, p. 27. c.m.v.


DAI 16 ANNI

DAGLI 8 ANNI

ANNUARIO 2019

Dilili a Parigi Dilili à Paris Nella Parigi della Belle-Epoque spariscono le bambine, rapite dalla setta dai Maschi Maestri. Dilili, graziosa bambina, fa amicizia con il giovane corriere Orel. I due decidono di smascherare i rapitori. La loro avventura è anche la scoperta di Parigi e dell’arte dell’epoca: dove si incontrano gli artisti trovano indizi e suggerimenti per l’indagine. L’arresto di due appartenenti alla setta pone Dilili sotto il tiro della stessa. Viene affidata alle cure di Lebœf, autista di Emma Calvé, cantante lirica amica di Orel. L’emissario della Setta corrompe l’uomo e Dilili viene rapita. Nei sotterranei di Parigi sta prendendo corpo il loro piano: conquistare un potere che li porti a gestire il mondo attraverso l’affiliazione di personaggi che occupano cariche pubbliche e fermare l’emancipazione femminile educando le ragazze a essere schiave. Ma Lebœf si pente e torna dagli amici di Dilili per liberarla.

r. Michel Ocelot or. Belgio/Francia/ Germania 2018 distr. Bim dur. 95’

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arigi. Una folla elegante osserva la ricostruzione di un villaggio indigeno, così i borghesi parigini si sentono “evoluti” rispetto ai “primitivi”. Ma la civiltà del progresso nasconde un’anima nera che trama per conquistare il potere. Il film si snoda tra un mondo di sopra in cui dominano scienza, impegno sociale, arte e un mondo sotterraneo caratterizzato

La diseducazione di Cameron Post The Miseducation of Cameron Post Cameron (16 anni) festeggia la fine dell’anno scolastico. In macchina con Coley, sua migliore amica, vengono sorprese dai fidanzatini in atteggiamenti troppo affettuosi. La ritroviamo in un centro di rieducazione per lesbiche e gay dove l’ha accompagnata zia Ruth con cui vive dalla morte dei genitori. Il centro è gestito dalla dottoressa Marsh che, a suo dire, ha felicemente sperimentato una cura sul fratello gay, ora “guarito”. Questi, nelle vesti del reverendo Rick, la affianca nell’aiutare i ragazzi a lei affidati a scavare nel passato alla ricerca delle possibili cause della loro “malattia”. Cameron vacilla, ma per sua fortuna al centro vivono anche Jane e Adam che, seppure con storie e personalità diverse, non hanno alcuna voglia di farsi sopraffare e, insieme, metteranno in atto una forma di ribellione.

r. Desiree Akhavan or. Usa 2018 distr. Teodora Film dur. 91’

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e terapie riparative proposte nel film sono diffuse soprattutto negli Usa, dove, in quarantuno stati la Same Sex Attraction è considerata una malattia, e come tale va curata. Facendo vergognare i ragazzi di loro stessi con sedute psicologiche, una religiosità punitiva e castrante, ma anche con metodi che non escludono l’utilizzo dell’ipnosi e dell’elettroshock. Con il risultato di riconsegnare alla società ragazzi che odiano se stessi e scaricano

da rigore cupo e desolante. In questo scenario si muovono per salvare la civiltà: Dilili, bambina saggia, che ha il sapere antico della sua gente e l’istruzione impartitale da un’educatrice di cultura dell’occidente, e Orel, umile corriere, che conosce i grandi personaggi che animano l’epoca con le loro invenzioni e creazioni. Parigi non è solo uno sfondo, è messa in primo piano attraverso le foto scattate dal regista e utilizzate in modo da creare un effetto affascinante; la città appare al tempo stesso reale e trasfigurata, con i palazzi, le piazze, i ponti, i viali e gli stretti vicoli che risalgono le colline. Il realismo si fonde con la finzione animata e diventa spettacolo. Il mondo dell’arte, della ricerca, dell’impegno sociale fornisce i personaggi che aiutano i protagonisti. Il viaggio di Dilili e Orel tocca i luoghi dove gli artisti si incontrano. Il film esplora questi luoghi e ne mostra lo splendore, ma mostra anche un mondo di poveri che si tenta di ignorare. L’altra faccia oscura del mondo borghese. L’affresco termina con un finale spettacolare, che restituisce la fiducia in un mondo regolato dal rispetto e dalla “bellezza”. Vedi anche nel n. 135, pp. 10 e 11. l.z.

su capri espiatori un disagio che non sanno gestire, se non sono in grado di mettere in atto una sana disobbedienza. È ciò che capita a Cameron, Adam e a Jane che non riescono a far tacere l’anima e rispondono all’ambigua direttrice ciò che vuole sentirsi dire mettendo in atto una resistenza al dominio che altri vorrebbero avere su di loro. È lo sguardo di Cameron che ci racconta più di quanto non facciano le parole. Il non detto che emerge dai suoi occhi è per lo spettatore un tuffo nell’interiorità di quella ragazza, nella molteplicità dei suoi aspetti che comprendono sorpresa, interrogativi, paure e scoperte. Cameron a sedici anni deve sostenere un’ardua battaglia. Se non si hanno spalle abbastanza robuste, o ci si piega o ci si spezza. La ragazza ne esce temprata in quanto prende consapevolezza di sé. Il tema centrale del film, ambientato nel Montana nel 1993, riguarda comunque l’esistenza e il funzionamento dei centri nei quali si attua la Conversion Therapy, nonostante il 17 maggio del 1990 l’omosessualità sia stata cancellata dalla lista delle malattie. Vedi anche nel n. 132, p. 18. f.b. e t.c.

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DAI 14 ANNI

DAI 16 ANNI

ANNUARIO 2019

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Dolor y gloria Salvador Mallo, celebre regista madrileno, non gira più ed è abitato da un dolore tenace. Incensato nel suo Paese come altrove, non riesce a far fronte all’impasse creativa. Con l’estro sembra aver smarrito il senso della vita, su cui i ricordi si depositano come polvere, emergendo i dolori invecchiati e l’evidenza dei momenti più belli. Sospeso tra Madrid e la provincia, sfondo di un’assuefazione improvvisa e tardiva all’eroina, soffre di insostenibili emicranie e di melanconie profonde. Ma il restauro di un suo vecchio film diventa l’occasione per ritrovare trentadue anni dopo i suoi attori e i suoi amanti, di risalire un passato luminoso al centro del quale brilla la figura della madre e di rimettersi sul cammino della vita, riaccendendo la sua arte.

r. Pedro Almodóvar or. Spagna 2019 distr. Warner Bros dur. 113’

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olor y gloria evoca la crisi esistenziale e creativa di Pedro Almodóvar. L’idea è di offrire agli spettatori l’inventario delle sue sofferenze (meta)fisiche. Pochi artisti possono permettersi di informare sul proprio stato di salute, di confessare fino a che punto il cinema sia spossante. Il film trova la sua ambizione e bellezza nell’andare e venire tra le epoche e le rime che ne fanno qualcosa di più di una cronaca. Siamo davanti a un edificio elaborato fino

La donna elettrica Kona fer í stríð Halla è una donna di mezza età, indipendente ed energica. Dietro la tranquilla routine da direttrice del coro locale nasconde un’altra vita da appassionata ambientalista, pronta a ricorrere a ogni mezzo pur di sabotare gli impianti di un’industria di produzione dell’alluminio che deturpa la bellezza del paesaggio e ne inquina la purezza. Le azioni di Halla contro l’ecomostro si fanno sempre più coraggiose e la donna riesce persino a far saltare i negoziati tra il governo islandese e la corporation che vuole costruire una nuova fonderia. Mentre sta pianificando la sua operazione più ambiziosa e sfrontata, una lettera inattesa la porta a riconsiderare le proprie priorità, aprendo la sua vita a una possibilità, desiderata ma fino ad allora preclusa: diventare madre. Prima di dedicarsi anima e corpo al nuovo corso della sua esistenza, però, c’è tempo per sferrare un ultimo, poderoso colpo all’industria siderurgica.

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r. Benedikt Erlingsson or. Francia/Islanda/ Ucraina 2018 distr. Teodora Film dur. 101’

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utto il film ruota attorno alle avventure di questa eroica figura femminile, in cui convivono due istinti, quello materno e quello ambientalista, che sono facce dello stesso desiderio di donare amore e protezione a chi ne ha più bisogno, perché puro e indifeso. Sola - ma in realtà supportata, come nella tradizione favolistica, da un piccolo gruppo di aiutanti (la sorella, il poliziotto locale, il cugino) - contro

all’ultima immagine che rimette in prospettiva i fantasmi e la veracità del racconto. Tutto si rivela improvvisamente più complesso, spingendoci a indagare la dimensione autobiografica del film per provare a distinguere il falso dal vero. Salvador Mallo non è Pedro Almodóvar ma è dentro Almodóvar, proprio come ogni altro personaggio della sua filmografia. Salvador si mette a nudo, non ha più niente da nascondere, la verità è là, tutta intera. Dice tutto, o quasi, parla a tutti con la franchezza dell’età che ha fatto cadere le maschere e i falsi pudori. Barba grigia, capelli dritti, abiti pittoreschi, Antonio Banderas indossa da solo la quintessenza dell’universo almodovariano. L’attore non imita Pedro Almodóvar ma ne inventa uno probabile. Il risultato è un uomo a cui Banderas presta i tratti e Almodóvar le nevrosi. Un uomo che ritorna alla vita mettendosi in scena. I ricordi circolano da un corpo all’altro, la droga e i baci si scambiano, gli oggetti si trasmettono, le verità si dicono con una generosità raddoppiata, a immagine dello scambio miracoloso tra Banderas e Almodóvar. Vedi anche nel n. 135, pp. 4 e 5. m.gn.

un’industria siderurgica che rappresenta tutto ciò che sottrae al pianeta sostenibilità, vivibilità e bellezza naturale, Halla prende su di sé la responsabilità di dimostrare la persistenza di un’umanità che a tratti sembra destinata a soccombere alla tecnocrazia e all’egoismo. A infonderle coraggio, forza e buone idee (ma anche a ricordarle rischi e pericoli) c’è poi una schiera di musici che Erlingsson sceglie di mostrare in campo in diverse sequenze e usa in funzione di commento agli eventi filmici, a mo’ di coro greco, per sottolineare i momenti più segnanti e “muovere” l’animo della protagonista e del pubblico. Diegetizzati, questi ultimi, anche per ottenere - a detta del regista stesso - un effetto di straniamento, un momentaneo distaccamento dello spettatore dalla finzione. Attraverso lo straniamento, infatti, si riesce a limitare il coinvolgimento emotivo e a originare una tensione attiva verso l’analisi critica. A risultarne potenziato è il messaggio ecologista alla base del film e, con esso, la funzione sociale e civile dell’opera. Vedi anche nel n. 133, p. 16. d.s.


DAI 14 ANNI

DAI 16 ANNI

ANNUARIO 2019

La douleur Giugno 1944, la Francia è sotto l’occupazione della Germania. Lo scrittore Robert Antelme, figura di spicco della Resistenza, è stato arrestato e deportato. La moglie e scrittrice Marguerite, è combattuta dall’angoscia di non avere notizie del marito e per la relazione segreta con l’amico Dionys. Incontra un agente collaborazionista, Pierre Rabier e, pronta a tutto per sapere del marito, comincia a frequentarlo. Con la fine della guerra e il ritorno dai campi di concentramento dei prigionieri per Marguerite è l’inizio di una lunga attesa, una lenta agonia silenziosa in mezzo al caos della Liberazione di Parigi. Fino a quando giunge la notizia che Robert è stato ritrovato nel campo di Dachau, in gravissime condizioni. Grazie all’aiuto di Jacques Morland, alias François Mitterand, insieme a Dionys Mascolo, il marito fa ritorno a Parigi…

r. Emmanuel Finkiel or. Francia 2017 distr. Wanted dur. 126’

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rammenti di Storia si intrecciano con pagine di una vicenda personale, che emerge dalla raccolta Il dolore di Marguerite Duras (pubblicato tardivamente nel 1985). Pagine sull’assenza e l’attesa di un ritorno che prendono forma visiva nella nuova opera cinematografica firmata da Emmanuel Finkiel, temi che alimentano una filmografia non comune. Rispetto al romanzo Finkiel si concentra su due dei sei racconti, il primo e il secondo, inver-

Dove bisogna stare Lorena, Elena, Jessica e Georgia non si conoscono, vivono geograficamente lontane fra loro, eppure hanno in comune moltissimo. Georgia vive a Como e fa la segretaria. Un giorno si è imbattuta in un centinaio di migranti accampati in città, si è fermata a dare una mano e non ha più smesso. Jessica è di Cosenza e collabora alla gestione delle abitazioni abusive con il Centro Sociale Rialzo. Lorena è una psicoterapeuta che non riesce ad accontentarsi del suo essere pensionata perché sente forte l’urgenza di essere dove c’è bisogno di aiuto. Per finire Elena vive a Oulx, alta Val Susa, e quando incontra un giovane emigrato che ha i piedi seriamente congelati per aver camminato a lungo nella neve con scarpe di tela, le viene spontaneo ospitarlo a casa sua e offrirgli cura e assistenza. Queste quattro donne non sono supereroi. Se le loro scelte sembrano anomale è perché l’indifferenza sta diventando una nostra compagna di viaggio.

r. Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli or. Italia 2018 distr. Zalab Film dur. 98’

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ella nostra società complessa dove l’unico sentimento che coltiviamo con tenacia è la salvaguardia dei nostri privilegi, è confortante e stimolante conoscere la storia di queste quattro donne che non fanno finta di non vedere e si prendono cura di chi hanno vicino. Lo fanno senza giudicare, senza chiedere nulla, perché hanno chiaro dove devono stare. Quattro ritratti, quattro storie che si incrociano, si sovrappongono, perché

tendone l’ordine per seguirne cronologicamente gli accadimenti. Nel rileggere l’opera della Duras, Finkiel opta per un adattamento che mantenga la scrittura in prima persona. Non voleva fare un biopic, ma creare un personaggio che in primo luogo fosse assimilabile al ritratto di una donna comune nella sua interminabile attesa. Per tale ragione presta molta attenzione, come ha dichiarato, nel trovare un equilibrio all’interno del testo, in cui si sedimentano scritture diverse e convivono elementi più vicini al diario, tratti dalla realtà biografica della scrittrice e momenti di letteratura, di creazione letteraria tout court. Impresa non facile e ambiziosa, quella di adattare un romanzo di per sé così frammentato, stilisticamente mutevole come Il dolore. Resta il dubbio che il regista non sia riuscito del tutto a bilanciare le due parti e che sia rimasto come irretito dalle maglie di quella stessa struttura narrativa. Impeccabile la raffigurazione dello spazio urbano, Parigi è color antracite, tendente al nero, ha colori contrastati e saturi, che rimandano alle fotografie di guerra di André Zucca. Vedi anche nel n. 133, pp. 10 e 11. l.c.

è più forte ciò che le accomuna che ciò che le separa. Il docu-film, strutturato in capitoli, ci guida in questa commistione mischiando le storie e accavallando le voci delle protagoniste che invadono gli spazi scenici delle altre. Gaglianone non racconta i migranti, sceglie di mostrare noi, liberi cittadini, che non sempre abbiamo chiara la scala di valori su cui coniugare il nostro vivere quotidiano. Ci mostra anche che fare il volontario non è sempre gratificante. Ci sono crisi: le nostre e quelle delle persone di cui ci prendiamo cura. Il desiderio di fare del bene non sempre basta. Anche il migrante deve combattere con le proprie insicurezze, paure, resistenze. Questo film ci mostra l’urgenza di mettere al centro dignità e giustizia, di guardare l’uomo per ciò che ha in comune con l’altro uomo e fa piazza pulita della domanda “Ma io cosa posso fare per un problema così grande?”. Queste quattro donne, partendo dal pragmatismo, propongono un’altra via. Il desiderio di cambiare prospettiva non è una scelta politica, è antropologica. Vedi anche nel n. 133, p. 17. f.b e t.c.

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Dumbo Finita la prima guerra mondiale, l’ex star Holt Farrier torna a casa nel circo di Max Medici dove ad attenderlo ci sono tutti i compagni e i suoi due flgli Millie e Joe. Dopo aver perso la moglie, un braccio in guerra e il lavoro che lo vedeva protagonista di uno spettacolare numero con i cavalli, deve reinventarsi come addestratore di elefanti e si trova a far da balia a un curioso elefantino con le orecchie enormi che diventa lo zimbello del circo. Ma quando i suoi figli scoprono che Dumbo, se stuzzicato da una piuma, può volare, l’elefantino diviene una star e attira l’attenzione dell’imprenditore Vandevere e della sua trapezista Colette Marchant che non ci pensano due volte a mettere le mani sull’intero circo. Le diaboliche intenzioni di V.A. Vandevere si fanno evidenti e Farrier, supportato dai suoi coraggiosi figli e anche dalla bella Colette, farà di tutto per salvare Dumbo e i componenti del circo Medici da un tragico destino.

r. Tim Burton or. Usa 2019 distr. The Walt Disney Company Italia dur. 112’

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l rifacimento del film originale non riesce a librarsi in cielo con la stessa leggerezza del suo amato protagonista. Il Dumbo di Tim Burton risente di una narrazione un po’forzata, appesantita da personaggi sprovvisti di profondo spessore psicologico, segnata soprattutto da analogie tra il mondo degli esseri umani e quello degli animali. Strappato alla madre, solo e smarrito, come Milly e Joe, Dumbo trova nei ragazzi affetto e sostegno e le

La favorita The Favourite Inizio del XVIII secolo. La Regina Anna Stuart non sembra aggiornata sui fatti né preoccupata delle sorti del suo regno, da anni in guerra con la Francia; lascia prendere le decisioni più importanti del paese alla sua intima amica Lady Sarah, la quale, oltre a guidare il governo, si prende cura della cagionevole salute e del carattere volubile della sovrana. Un giorno si presenta a corte Abigail, lontana cugina di Sarah, che viene assunta come cameriera; lentamente il suo arrivo inizia a turbare gli equilibri tra la Regina e la donna. Lady Sarah, sempre più distratta e assorbita dalle questioni politiche, permette ad Abigail di trascorrere molto tempo con la Regina, entrando nelle sue grazie tanto da arrivare a prenderne il posto di consigliera. Vedendosi scalzata, Lady Sarah utilizzerà tutti i mezzi a disposizione, dalla seduzione al ricatto, per tornare nelle grazie della sovrana.

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r. Yorgos Lanthimos or. Irlanda/Gran Bretagna/Usa 2018 distr. 20th Century Fox dur. 120’

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nche nella rappresentazione di istanze feudali-aristocratiche, Yorgos Lanthimos esprime al meglio la forza simbolica del suo cinema, superando i vincoli dettati dagli avvenimenti storici e svelando il lato grottesco che si trova dietro la maschera esteriore di ognuno. Rachel Weisz, Emma Stone e Olivia Colman regalano allo spettatore delle performance inecce-

analogie tra i protagonisti (incompresi dagli adulti) riusciranno a far breccia nel cuore degli spettatori, ma non arriveranno a convincere chi, cresciuto con i film del regista, resterà un po’ deluso. L’animazione ricercata, le magiche e colorate atmosfere circensi non bastano a sollevare le sorti di un film che appare nel complesso un po’ abbozzato. La mano di Burton si muove sinuosa all’interno di una cornice dove tutto appare troppo calcolato, lo sguardo manca di quella gotica meraviglia alla quale ci ha abituato. Questo Dumbo, per quanto adorabile, è sprovvisto della fantasia tipica dei film d’animazione Disney, quelli dove tutto può succedere e dove si narrano gesta eroiche di grandi personaggi in grado di agganciare lo spettatore alla poltrona per poi prenderlo per mano e portarlo all’interno di mondi incantevoli, alla scoperta di storie incredibili e di universi indimenticabili. È comunque un film interessante e ben diretto, che si regge su un cast di grandi artisti - tra cui Eva Green e Colin Farrell - ma difficilmente riuscirà a scalfire la memoria del film d’animazione originale. m.n.

pibili rivestendo ruoli complessi e ricchi di sfumature, difficilmente identificabili all’inizio della storia: come un quadro che si dipana è incredibile assistere alla loro metamorfosi. Nei nuclei sociali tratteggiati dal regista greco non c’è mai posto per l’amore né per la passione. Non ci sono emozioni profonde, ma solo pulsioni ataviche; abbondano invece l’arrivismo, la vendetta, la seduzione opportunistica. Il film sovrasta la storia personale e regale di quel secolo, diviene un’alterazione psichica, una seduta ipnotica che risveglia i lati oscuri dell’umano. L’obiettivo grandangolare ragiona per deformazione, trasfigurando questa corsa dissennata in un’allucinazione. Come racchiusa in uno specchio convesso, la realtà si allunga, si enfatizza, ingigantisce alcuni dettagli, rendendo la visione più onirica, come se tutto fosse immerso in una bolla ingannevole dove viene dato il massimo valore a qualcosa di assai relativo. Lanthimos descrive ancora una volta un mondo illusorio, all’interno del quale non fa che emergere una volontà di potenza che impone il sacrificio della controparte. Vedi anche nel n. 133, pp. 12 e 13. a.s.


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ANNUARIO 2019

First Man

Il primo uomo First Man

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Neil Armstrong, ingegnere aereonautico e aviatore americano, conduce una vita bucolica e ritirata con la famiglia a cui ha ‘promesso’ la luna. La morte prematura della sua bambina lo spinge a partecipare al programma Gemini, il secondo programma di volo umano intrapreso dagli Stati Uniti il cui scopo era sviluppare le tecniche necessarie ad affrontare viaggi spaziali avanzati e successivamente impiegati nella missione Apollo. Selezionato e assoldato come comandante della missione Gemini 8, Neil è il primo civile a volare nello spazio ma sulla Terra le ripercussioni sono fatali. Tra incidenti tecnici e lutti in decollo e in atterraggio, tra la guerra in Vietnam e le tensioni sociali del 68, tra due figli da crescere e una moglie da ritrovare, Armstrong bucherà il silenzio del cosmo prendendosi la Luna.

r. Damien Chazelle or. Usa 2018 distr. Universal Pictures dur. 141’

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el 2016, Damien Chazelle presentava a Venezia una commedia musicale che dietro la leggerezza del genere dissimulava una riflessione sulle illusioni del mondo hollywoodiano. Due anni dopo ritorna con un’avventura spaziale che prende in contropiede il grande spettacolo per aggrapparsi al ritratto di un astronauta, Neil Armstrong, il primo uomo a posare il piede sulla luna. La Luna che manca (nel film) e che si fa spazio in cui tutto ri-

I Fratelli Sisters The Sisters Brother Eli e Charlie Sisters sono sicari che lavorano per un ricco dell’Oregon, il Commodoro. Devono trovare ed eliminare Hermann Warm, un chimico che a detta del Commodoro gli avrebbe sottratto qualcosa di importante. Eli, riflessivo e perspicace, non è convinto della veridicità del racconto e mette in dubbio le giustificazioni del capo, ma entrambi si mettono in cammino per portare a termine il compito assegnato. Allo stesso tempo Warm è tallonato da John Morris, altro complice del piano, incaricato di entrare in amicizia con il chimico, catturarlo e attendere i fratelli. In un primo momento Morris riesce nell’intento, ma per non consegnare un innocente a degli assassini lo libera e fugge con lui. Warm ha la formula di una sostanza in grado di segnalare la presenza di oro nei fiumi. Mentre lui e Morris si apprestano a utilizzarla in California, vengono raggiunti da Charlie e Eli, che dovranno scegliere da che parte stare…

r. Jacques Audiard or. Francia/Spagna/ Romania/Belgio/Usa 2018 distr. Universal dur. 122’

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regon, 1851. Sulla carta il plot de I Fratelli Sisters potrebbe far pensare che Audiard abbia semplicemente scelto di cimentarsi con l’ennesimo genere - il western, appunto - dopo essersi messo alla prova con il film carcerario, il noir (o meglio il polar) e il thriller. E per certi versi è così: dal genere americano per antonomasia il regista francese prende in prestito alcuni topoi, ambientazioni e personaggi.

nasce. Perché First Man - Il primo uomo è un melodramma lunare che resta coi piedi per terra, dosando brani di vita ordinaria e sequenze fantastiche che tramano il racconto con perizia e richiamano la maniera di Spielberg, produttore esecutivo del film. Una referenza che rileva più una condivisione di prospettiva e di sensibilità artistica che un’influenza. Chazelle sa come fare un film a modo suo. Non rivoluziona il genere ma lo (im)piega ancora una volta fino ad appropriarsene, fino a insinuarci un carico personale che ha visibilmente a cuore e che ritroviamo da un film all’altro. Raggiungere i propri scopi, concretizzare i propri sogni, diventare qualcuno, forse addirittura un eroe, ha un prezzo. Come Neil Armstrong, i personaggi di Whiplash e La La Land lo pagano. Racconto di resistenza, come vivere con desideri tanto grandi, come sopravvivere a perdite inesprimibili, First Man è una coreografia funebre che punta la Luna. Ma è sotto il cielo e sotto i nostri piedi che respira e vive il nuovo film di Chazelle sottoposto, come un test fisico per astronauti, allo sconquasso di esistere. Vedi anche nel n. 132, pp. 6 e 7. m.gn.

Ma la cornice di genere è, come sempre, un punto di partenza da rivedere e aggiornare, oltre che un espediente per portare avanti un discorso già ben avviato sin dai primi lavori. Che è quello sulla dialettica tra destino e libero arbitrio, tra fato e desiderio, tra la vita com’è stata predeterminata da un insieme di condizioni (famigliari, sociali, psicologiche) e quella che si brama realmente, intimamente. Audiard ha sempre mostrato interesse per le storie di emancipazione di personaggi dalle vite torbide, che vogliono uscire dal cerchio vizioso di criminalità e violenza in cui, per mille ragioni, si sono ritrovati. I fratelli Sisters sono questo: due bulli stanchi di esserlo. Mai come in quest’ultimo lavoro Audiard ha voluto mostrare lo spirito femmineo che coabita col maschile. Incarnandolo nell’odore dello scialle di una donna amata e perduta, nella gioia stupita della scoperta del primo, rudimentale spazzolino, in un’amicizia gentile tra uomini che sognano un mondo migliore, nella fratellanza-sorellanza (come suggerisce il titolo geniale), nel ritorno a casa, a una nuova infanzia maternamente accarezzata. Vedi anche nel n. 135, p. 28. d.s.

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La gabbianella e il gatto Amburgo. I gatti del porto guidati da Zorba assistono di nascosto a una cospirazione di topi di fogna. Nella stessa notte, durante una burrasca, una motovedetta si schianta contro una petroliera provocando un versamento. La pozza di petrolio è fatale per Kengah, una gabbiana con in grembo il primo uovo. Riesce a trascinarsi nel giardino della casa più vicina, quella di Zorba, cui strappa tre promesse: non mangiare l’uovo, averne cura finché non si schiuderà e insegnare al nascituro a volare. La gabbianella viene battezzata Fortunata dai gatti che vogliono onorare l’ultima promessa fatta alla madre: Zorba chiede aiuto alla siamese Bobulina e alla sua padroncina Nina, per portare Fortunata in cima al campanile di San Michele. Nina e Zorba aiutano Fortunata a superare ogni paura: l’affetto nelle parole del gatto le dà il coraggio di lanciarsi in picchiata, mentre i gatti la salutano commossi.

r. Enzo D’Alò or. Italia 1998 distr. Cecchi Gori Group dur. 76’

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marzo è stata riproposta per pochi giorni la proiezione del celebre cartone che piacque a molti bambini e che divenne presto un classico nelle scuole primarie, decretando il successo di Enzo D’Alò e rimanendo forse il suo capolavoro assoluto. L’abilità di D’Alò è stata quella di non farne un cliché o un cartone animato programmatico, ma di procedere con mano leggera dando delicate pennellate di un mondo

Girl Nata in un corpo maschile, Lara è in realtà una donna. A 16 anni intraprende una cura ormonale che dovrebbe modificare il suo corpo e prepararla alla delicata operazione che le permetterà di realizzare il cambio di sesso. Orfana di madre, Lara ha il completo appoggio del padre. Anche il fratellino di sei anni, di cui si occupa in sostituzione della figura materna, pare aver accettato la trasformazione di fatto, che ha cambiato il fratello in una sorella. Lara non si nasconde: veste abiti femminili, costringe il pene a scomparire sotto uno strato di nastro adesivo, sogna di diventare una ballerina ed entra in prova in una prestigiosa scuola di danza. Testardamente, forza l’anatomia dei suoi piedi maschili fino a farli sanguinare in estenuanti allenamenti. Lo specchio però è impietoso, le trasformazioni tardano, il seno non sboccia, l’impazienza adolescenziale diventa angosciosa sofferenza.

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r. Lukas Dhont or. Belgio 2018 distr. Teodora Film dur. 105’

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l regista ci porta in medias res nella vita di Lara già adolescente, nella sue giornate ripetitive, ci connette lentamente con le sue ragioni, scopriamo senza troppe spiegazioni quale sia il suo dramma, il suo contesto familiare e sociale. Avendo da tempo bruciato il disorientamento dell’interrogativo sul genere, tenta di assomigliare quanto più possibile all’idea di donna che ha in testa, agevolata da un pa-

in declino, dove gli uomini provocano danni ma restano sullo sfondo. I protagonisti sono gli animali, in antagonismo aperto tra gatti e topi. I topi, addestrati all’obbedienza cieca, tutti uguali e indistinguibili nelle loro folte schiere dove non esiste il dissenso; i gatti, caratterizzati da psicologie e sentimenti “umani, troppo umani”, tutti diversi, nelle pellicce e nelle voci, pronti a fare da padri a un uovo che in teoria dovrebbero mangiare. L’adozione di un cucciolo da altri gruppi, come Mowgli o Romolo e Remo provoca le inevitabili conseguenze comiche prima, drammatiche poi e di reinserimento necessario nel giusto contesto di appartenenza. Il regista e lo sceneggiatore privilegiano temi simbolici che hanno presa sicura sui bambini, senza sforzare il film in una cornice di comprensione totale, difetto di moltissimi cartoni animati televisivi che si muovono come elefanti su una presunta morale collettiva. Colori saturi, contorni marcati e una semplice, ma efficace poetica valsero al film un Nastro d’Argento e il premio speciale della giuria del Festival di Montréal. Vedi anche nel n. 134, p. 27. c.m.v.

dre comprensivo e amorevole. Nonostante ciò la presenza del pene per Lara è una provocazione insopportabile, una mostruosità incomprensibile a cui dichiarare guerra. Come un soldato sferra colpi dolorosi al nemico (il suo corpo), ne forza i limiti autolesionandosi per eccellere in una pratica, ballare sulle punte, inequivocabilmente femminile. Il desiderio di bruciare le tappe la infiamma, per questo Lara pretende dalle pastiglie di ormoni il miracolo di un corpo diverso in pochi giorni, come fosse un’obesa a cui una dieta spinta dovesse rendere una forma invidiabile. Se la tematica transgender non fosse centrale nel film, Girl sarebbe un piccolo trattato sul disorientamento adolescenziale di fronte alle trasformazioni psicofisiche, in lotta con il tempo che sembra non passare mai e che, indifferente, rinvia in eterno desideri e aspettative. La macchina da presa inquadra Lara rispettando l’intimità della sua vicenda personale, tenendo conto del punto di vista interno perché ogni fotogramma possa raccontare il momento più delicato di una vita umana: l’adolescenza. Vedi anche nel n. 130/131, pp. 12 e 13. a.l.


DAI 14 ANNI

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Il grande spirito In una periferia di Taranto degradata e in mano alla delinquenza, Tonino, deruba i complici del bottino della rapina e si dà alla fuga. Inseguito dagli spietati uomini della gang, si rifugia in un vecchio lavatoio semi abbandonato. Lì sul punto di essere scoperto dai banditi viene messo in salvo da Renato, insolito inquilino dello stabile che si fa chiamare Cervo Nero e crede di appartenere alla tribù dei Sioux. Lo stralunato Renato vede in Tonino “l’uomo del destino” che da tempo aspettava, la cui venuta gli era stata preannunciata dalla sua “guida invisibile”, il “grande spirito”. Tonino accetta l’ospitalità di Renato nell’attesa di guarire dalla ferita e rimettersi in fuga. Inizialmente Tonino vede in Renato solo qualcuno da sfruttare per i propri interessi: sopravvivere e recuperare il bottino. Tuttavia in seguito tra i due scatterà un sentimento di amicizia e di solidarietà destinato a cambiare per sempre le loro esistenze.

r. Sergio Rubini or. Italia 2019 distr. 01 Distribution dur. 113’

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l grande spirito è una commedia poetica con venature grottesche, arricchita da elementi di action e western. Nel film si scontrano due visoni della vita, da un lato terrena e concreta e dall’altro mistica, metafisica e onirica. Tonino, è un uomo abbruttito dall’alcol, incapace di sognare e condannato a un’esistenza fatta di miseria morale e abiezione. Tormentato dal ricordo di una rapina andata male, frustrato dai compagni

Green Book Bronx, 1962. Tony Vallelonga, detto Tony Lip per le bugie che racconta, è un buttafuori italoamericano che fatica ad arrivare a fine mese. La sua fama di uomo affidabile gli vale un incontro con il misterioso Don Shirley, virtuoso musicista nero in cerca di un accompagnatore per la sua tournée nel sud degli Stati Uniti. I due si mettono in marcia affrontando i concerti in programma seguendo le indicazioni della ‘Green Book’, la guida che segnala locali e luoghi pubblici aperti ai neri. Nei due mesi di viaggio Don e Tony hanno modo di conoscersi e di influenzarsi e così l’amicizia tra il rude e ignorante buttafuori e l’elegante, istruito, poliglotta pianista permette ai due di salvarsi dal cancro che corrode il sud, il razzismo che impedisce a un uomo di colore, seppur stimato artista, di sedersi al tavolo con i suoi ammiratori bianchi, di usare le loro toilette o, semplicemente, di percorrere le loro strade oltre un determinato orario.

r. Peter Farrelly or. Usa 2018 distr. Eagle Pictures, Leone Film Group dur. 130’

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uperata la soglia dei sessant’anni Peter Farrelly, ex ragazzaccio di Hollywood abbandona il fratello Bobby con cui aveva realizzato diversi film leggeri e “divertenti” per imbarcarsi in un progetto molto diverso da tutto quello che, dagli anni ottanta, l’ha visto protagonista. In questo film, infatti, il regista tratta il tema della discriminazione razziale at-

della gang dai quali è irriso, respinto dal figlio e tradito dall’amante, vive nei bassifondi della città. Poesia e amore sono assenti nella sua vita, conta solo la sopravvivenza. Renato al contrario di Tonino ama trascorrere le giornate all’aperto e vicino al cielo, dove può contare le stelle e osservare il volo degli uccelli. Lo sviluppo del rapporto tra i due sarà decisivo per il percorso di elevazione spirituale di Tonino che in Renato troverà l’ispirazione per guardare il mondo con occhi diversi. Ma Il grande spirito vuole essere anche un film di denuncia della violenza subita da Taranto a causa dell’Ilva. Rubini, cresciuto con l’amore per i film western e affascinato dalla filosofia e dai valori degli indiani d’America, attraverso la metafora del Far West, denuncia l’orrore dell’Ilva che l’antica città dei due mari ha subito nel corso degli anni. Come racconta Renato, quella che era una terra fertile è stata devastata dagli invasori Yankee a caccia di oro e ricchezze. L’Ilva è presenza angosciante e incombente. Minacciosa e inquietante, domina i giorni e le notti della città come un vulcano che erutta inesorabilmente il proprio veleno. Vedi anche nel n. 135, p. 21. f.p.

traverso gli occhi di due uomini agli antipodi che, come nella più classica tradizione cinematografica, riescono a giungere alla meta imparando l’uno dall’altro. In questo modo, Tony Lip (Viggo Mortensen) comprende grazie a Don Shirley (Mahershala Ali) che la sua condotta violenta e il suo linguaggio volgare stracolmo di ‘bullshit’ imprigionano quelli come lui allo strato sociale più basso; alla stessa maniera il pianista di colore amato dai bianchi, ma troppo nero per poter vivere tra loro e con uno stile di vita troppo da bianco per essere riconosciuto dalla sua comunità, capisce che è giunto il momento di ritrovare il suo posto nel mondo lottando insieme alla sua gente per quei diritti fondamentali che un uomo, bianco o nero che sia, merita. Così Green Book si è guadagnato la candidatura all’Oscar come miglior film, dando al suo regista la conferma che, nonostante il detto ‘chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che perde ma non sa quello che trova’, alle volte è bene buttarsi per scoprirsi capaci di percorrere nuovi e più impegnativi sentieri. Vedi anche nel n. 133, p. 25. f.vo.

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In guerra En guerre Ad Agen, i 1100 dipendenti della fabbrica Perrin, specializzata in apparecchiature automobilistiche, si preparano a una lunga battaglia sindacale, reduci da un accordo firmato due anni prima nel quale accettavano uno sforzo salariale considerevole pur di salvare l’azienda. Ma ora l’azienda annuncia di voler chiudere i battenti, così i lavoratori, guidati dal portavoce Eric Laurent, si organizzano per difendere il proprio lavoro e con esso i loro diritti. Il sindacalista Laurent Amédéo e i suoi colleghi sviluppano un’opposizione frontale per diversi mesi con l’occupazione della fabbrica, un’azione legale contro la legittimità del piano sociale, manifestazioni, un appello al presidente della Repubblica, incontri sindacali con la direzione francese del gruppo e con i proprietari tedeschi, al solo scopo di trovare un accordo favorevole.

r. Stéphane Brizé or. Francia 2018 distr. Academy Two dur. 113’

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hi combatte rischia di perdere, ma chi non combatte ha già perso”. Si apre con le parole di Bertolt Brecht In guerra, che si insinua fin da subito nella battaglia per i diritti dei lavoratori e non l’abbandonerà fino al triste epilogo. In guerra, analisi senza distrazioni sul mondo del lavoro oggi, è un film importante, sincero, radicale nella messinscena, che non si con-

Gli Incredibili 2 Incredibles 2 La battaglia sfortunata degli Incredibili contro il Minatore rinnova il problema legale dei supereroi, ufficialmente ancora fuorilegge. Winston Deavor, miliardario entusiasta che vuole riabilitare la categoria, propone a Elastigirl di filmare le sue imprese per poi trasmetterle in televisione, in modo da spingere le autorità a rivedere la legge. Lui fornirà copertura mediatica e mezzi, grazie alla sorella Evelyn, esperta di tecnologia. Con Helen impegnata sul campo, è Bob a dover badare alla famiglia, ai problemi d’amore di Violetta, all’irruenza di Flash e al manifestarsi dei primi poteri di JackJack. Nel frattempo si profila la minaccia dell’Ipnotizzaschermi, il nuovo supercattivo che riesce a condizionare le menti con le onde che diffonde nei canali televisivi. Un nemico il cui segreto è legato al passato dei Deavor e al legame della loro famiglia con la comunità dei supereroi.

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r. Brad Bird or. Usa 2018 distr. Walt Disney Pictures dur. 118’

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o spazio attorno ai personaggi risuona espressivamente della loro complessa gamma emotiva e sarà per questo che nel rimettere in scena le gesta degli Incredibili, Bird si diverte a esplorarne i caratteri capovolgendone i contesti. Elastigirl finisce così per strada, intenta a dare la caccia ai cattivi, mentre l’avventuroso Mr. Incredibile è costretto fra i

cede mai divagazioni. Stéphane Brizé segue da vicino le fasi della concitata trattativa, come fosse uno di loro, in un’opera che si fa più ricca e intensa grazie alla presenza di attori non professionisti, anzi, veri sindacalisti e operai la cui gestualità sembra guidare l’andamento e il ritmo del film. Al resto ci pensa Vincent Lindon, il suo procedere discontinuo, tra la collera e l’ascolto, l’enfasi e l’aggressione. Come un animale selvatico che si lascia guidare dall’istinto. L’attore, allora, si rispecchia nel personaggio che, a sua volta, attinge energia e verità da chi gli sta intorno. Il processo creativo innescato da Brizé è un continuo scambio tra la realtà vissuta dai lavoratori e la necessità di metterla in scena e organizzarla in un film. Cogliere la rabbia di ognuno e veicolarla nel modo giusto perché diventi collettiva e vada oltre il singolo caso di cui si parla. Il titolo, in questo senso, è più che mai calzante, perché quella a cui stiamo assistendo è una guerra per la sopravvivenza, filmata come si fa con le battaglie nelle zone dove si combatte davvero. Reportage di giorni intensi, che cambieranno la vita di tutti. Vedi anche nel n. 132, pp. 12 e 13. g.p.

fornelli e le faccende di casa. Il cambio di contesto serve loro per scendere maggiormente a patti con queste caratteristiche apparentemente meno esposte del loro carattere per completare la loro definizione in quanto esseri umani e non soltanto personaggi. Il conflitto tra le qualità espresse dai ruoli e la complessità emotiva dell’animo umano si rispecchia naturalmente nel confronto/scontro con una società dell’immagine che richiede schematismi quasi dogmatici. I supereroi devono dimostrare di essere socialmente utili e l’unico modo per farlo è attraverso una narrazione mediatica che ne ribadisca il valore. A opporsi non può che essere, altrettanto inevitabilmente, un supercattivo capace proprio di intromettersi nei meccanismi della trasmissione televisiva per raccontare un’altra storia che screditi la categoria in calzamaglia. In questo complesso sistema di dinamiche, Bird rilegge dunque il cambiamento di percezione del supereroe maturato nel pubblico odierno come elemento distintivo della sua analisi sui caratteri. Vedi anche nel n. 130/131, pp. 8 e 9. d.d.g.


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Gli Invisibili Die Unsichtbaren Berlino, maggio 1943. Terminate le deportazioni, i nazisti hanno dichiarato la capitale libera dagli Ebrei. Tuttavia, quattro ebrei berlinesi Hanni Lévy, Cioma Schönhaus, Ruth Gumpel e Eugen Friede, cercano di sfuggire alle persecuzioni rendendosi “invisibili” alla Gestapo, alle spie e ai numerosi delatori. Il coraggioso Cioma, grazie all’incontro con un oppositore del regime, Franz Kaufmann, falsifica segretamente passaporti per ebrei e dissidenti, contribuendo a salvare centinaia di vite. La malinconica Hanni si rifugia nella casa della bigliettaia di un cinema di Nollendorfplatz. L’orgoglioso Eugen aderisce a un gruppo della Resistenza e la graziosa Ruth riesce a farsi assumere come domestica nella casa di un ufficiale della Wehrmacht. Questi quattro giovani si salveranno grazie a fantasiosi stratagemmi ma anche grazie alla solidarietà di alcuni “eroi silenziosi”, che a rischio della propria vita, offrono loro un rifugio salvandoli dalla deportazione.

r. Claus Räfle or. Germania 2017 distr. Lucky Red dur. 110’

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l film di Claus Räfle, attraverso una tecnica ibrida e uno stile narrativo asciutto, alterna e sovrappone momenti di finzione accuratamente girati a interviste ai reali protagonisti delle vicende narrate insieme a un equilibrato uso di immagini d’epoca. L’ispirazione venne al regista tedesco mentre era impegnato nella realizzazione di Salon Kitty - Ein Nazibordell und seine Geschichte (2014), un documentario tele-

Land I Denetclaw sono una famiglia Dakota Sioux che vive nella riserva di Prairie Wolf. La compongono i tre fratelli Wesley, Raymond e Floyd e la loro anziana madre Mary. Wesley, alcolizzato, trascorre gran parte delle giornate seduto davanti al negozio di liquori situato appena oltre il confine della riserva. Gli fanno spesso compagnia Janie e l’adolescente Rosie. La proprietaria, Sally, vedova, manda avanti da sola l’attività, mentre il figlio e il fratello di Rosie sono ostili verso i nativi. Raymond, sposato con Bettie e padre di due figli, è il fratello maggiore e si è disintossicato dall’alcolismo. Un giorno l’esercito americano comunica che Floyd, il fratello più giovane, è morto in Afghanistan. A loro sarà riservata una misera somma di risarcimento. Al ritorno della salma, i Denetclaw impediscono che gli ufficiali americani entrino con la bara nel loro territorio. In seguito, Raymond porta il fratello in un centro di disintossicazione.

r. Babak Jalali or. Italia/Francia/Irlanda/ Messico/Qatar 2018 distr. Asmara Films dur. 111’

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and è un film nel segno della frontiera, dell’attesa, della sospensione degli accadimenti, di una (im)mobilità insita nei destini dei personaggi. La scritta Entering Prairie Wolf Indian Reservation indica il limite, altrimenti invisibile, fra la terra dove vivono i Denetclaw e gli spazi abitati dalla piccola comunità bianca. La strada ai margini del deserto scorre senza intoppi. La natura non conosce separazioni.

visivo su una leggendaria casa d’appuntamenti di Berlino, operativa durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli Invisibili documenta storie di quotidiana resistenza e di solidarietà. Räfle, attraverso una ricostruzione accurata a livello storico, ci ricorda come non tutti i tedeschi fossero convinti nazisti e che, persino nella Germania di Hitler, caratterizzata da un dominio assoluto dell’ideologia del partito sul singolo individuo e da una generale “anestesia” delle coscienze, ci fosse spazio per singoli atti di solidarietà, bontà ed eroismo. Notevole l’attenzione ai dettagli, dagli abiti di scena agli arredi degli interni. Perfette le scenografie di K.D. Gruber. Contribuisce alla sensazione di realismo del film la convincente prestazione degli attori che intrepretano la parte con passione. Particolarmente brillante l’interpretazione di Max Mauff (già presente in successi internazionali come l’Onda e il Ponte delle spie di Steven Spielberg) nel ruolo di Cioma. Poetica la fotografia curata da Jörg Widmer già collaboratore di Terence Malick in The Tree of Life (2011) e To The Wonder (2012). Vedi anche nel n. 133, p. 26. f.p.

Come non le conosce Rosie, ragazzina bianca che ama la musica dei nativi, che stringe un rapporto di solidarietà speciale con Wesley (non a caso malvisto dal fratello maggiore di lei), che si sposta su quei bordi appartenendo a entrambe le comunità. Babak Jalali si concentra sull’espressività dei volti, preferisce far parlare i personaggi con i loro silenzi, i loro sguardi densi di pensieri, dolori, conflitti. Land è un film fortemente politico, ma sempre con lo stile sobrio, classico, tipico del cinema di Jalali, nel rappresentare la fierezza di un popolo e l’ipocrisia dell’esercito americano riguardo alla morte in Afghanistan del più giovane dei Denectlaw. Jalali - che costruisce un film fatto di inquadrature frontali, ampie o ravvicinate, che accolgono tanto i corpi quanto gli spazi a indicare una relazione inestricabile fra essi - in una scena inserisce un gesto potente: il rifiuto della bandiera statunitense sulla bara di Floyd. Il drappo viene raccolto dai familiari e riconsegnato all’ufficiale. Senza enfasi, lavorando per sottrazione, il regista compone il ritratto di un paesaggio umano di rara intensità. Vedi anche nel n. 134, p. 13. g.g.

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Mia e il leone bianco Mia et le lion blanc

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La famiglia Owen si trasferisce per la seconda volta in Sudafrica, dopo una decina d’anni trascorsi a Londra, dove è nata e cresciuta Mia. Mal inserita a scuola, la ragazza si chiude a tutte le proposte di fraternizzare con la natura e con il lavoro del padre, allevatore di leoni. Non sta meglio Mick, il primogenito, periodicamente sconvolto da attacchi di panico. Il giorno di Natale nell’allevamento nasce Charlie, un cucciolo di leone bianco. Mia inaspettatamente si affeziona al leoncino che in pochi mesi raggiunge una taglia ragguardevole. Non potendo più tenerlo in casa, inizia una sfida tra Mia e i genitori, preoccupati dell’incolumità della figlia. Quando Mick si ferisce, dopo un tentativo della madre di tenere a bada l’animale, il padre decide di vendere Charlie al losco Dirk. Mia, scoperta la tratta dei leoni, fugge nella notte per salvare l’amico. Sarà un viaggio di coraggio e scoperta.

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r. Gilles de Maistre or. Francia/Sudafrica/ Germania 2018 distr. Eagle Pictures, Leone Film Group dur. 98’

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ostenuto dal Principato di Monaco e dalla Fondazione Louis Vuitton, Mia e il leone bianco è un film dall’intento didascalico contro la caccia dei leoni nelle riserve africane. Pratiche legali, di cui sono quasi sempre all’oscuro i turisti, favoriscono il commercio tra allevatori e guide di safari a uso e consumo dei bianchi. Lo aveva già narrato Ulrich Seidl in Safari,

Momenti di trascurabile felicità L’ingegner Paolo Federici vive a Palermo con moglie e due figli. Ama sfrecciare in moto all’incrocio in quel quarto di secondo in cui il semaforo passa da un colore all’altro e nelle quattro vie tutti sono fermi. Ma un giorno gli va storta: viene investito e si trova nel mondo di là, dove per meriti acquisiti con odiose pratiche salutari gli viene concesso di tornare sulla terra per un’ora e trentadue minuti, la durata del film. Constatata la banalità dei pensieri che invece di grandi idee sull’attimo estremo gli attraversano la mente, si trova a esclamare: “Avessi saputo prima che la vita è così breve!” Torna sulla terra intenzionato a impiegare il tempo nel migliore dei modi, al di là dei suggerimenti offerti dall’assistente che lo accompagna, e comincia a rivalutare prima confusamente e poi con maggior lucidità il senso della propria esistenza e dei rapporti umani.

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r. Daniele Luchetti or. Italia 2018 distr. 01 Distribution dur. 93’

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arabola moraleggiante su dissennatezza del rischio inutile, brevità della vita, valore delle piccole cose in cui è racchiusa la felicità, il film visualizza una riflessione soggettiva, immaginata dal protagonista in punto di morte. Egli utilizza il breve tempo a disposizione verificando la qualità delle sue relazioni, prima fra tutte quella con la moglie, la quale si stupisce del suo insolito interessamento, per cui al solito i due fi-

documentario che assumeva il punto di vista dei cacciatori europei e americani. Il film di Gilles de Maistre, invece, è un racconto d’avventura che sfrutta la buona idea dello sradicamento della protagonista paragonato a quello del suo compagno leone. Mia ci appare costantemente “in cattività”, pronta a graffiare, a litigare, a rispondere male, sia in famiglia, sia a scuola. Cresciuta a Londra, ha come tramite con i vecchi compagni solo Skype e non si adegua alla nuova realtà esotica e troppo calda. Così il leoncino di cui improvvisamente la ragazzina si fa custode diventa via via sempre più ingombrante e scomodo. Mia avverte la medesima intensità della crescita, della forza della natura di cui ormai è parte, grazie alla vicinanza con gli animali selvatici dell’allevamento. La libertà che vuole regalare a Charlie è la stessa che vuole far ritrovare a se stessa. Le sequenze veramente di valore del film risiedono in questo suo viaggio intenso in un paesaggio di straordinaria bellezza che percorre a piedi, incurante della fatica e della sete, verso la riserva di Timbavati. Vedi anche nel n. 133, p. 21. c.m.v.

niscono per litigare. Consapevole del poco tempo che gli resta, il protagonista riesce a gridarle di averla sempre amata; ma, chiedendosi se abbiano trascorso la vita con la persona migliore, passa in rassegna le varie donne frequentate. La figlia adolescente assume con lui un atteggiamento pedagogico, fatto di rimproveri, rivendicazioni, desideri frustrati. Alla fine i due si trovano a giocare insieme. Il figlio, dopo averne criticato la distratta presenza in famiglia, precisa di volergli bene, perché “è nella natura dei figli voler bene ai genitori”. Gli amici, sbalorditi dalla sua intenzione di non guardare la partita, vengono evocati nelle consuete modalità relazionali e con la moglie nel cordoglio per la sua morte. La riflessione su di sé nell’immaginario punto di morte dà a Paolo la consapevolezza della futilità dei propri interessi e rapporti, anche su indicazione del curioso mentore. Tratto da due libri di grande successo, il film riesce a trasferirne in immagini riflessioni e senso, con uno stile agile, in grado di coinvolgere lo spettatore su temi di notevole respiro. Vedi anche nel n. 135, p. 29. m.g.r.


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Le nostre battaglie Nos batailles Olivier è un padre di famiglia che lavora come caporeparto in un grande polo logistico per lo smistamento di merci (che potrebbe ricordare un magazzino di Amazon) dove i lavoratori vengono messi sotto pressione dai ritmi aziendali. L’impegno sindacale in difesa dei diritti dei colleghi erode il tempo libero dell’uomo, portandolo a trascurare spesso la moglie Laura e i loro due bambini, Elliot e Rose. La donna, già sull’orlo di una crisi, all’improvviso abbandona la famiglia senza lasciare tracce. Olivier si ritrova, così, ad affrontare la quotidianità del rapporto con i propri figli, dapprima considerandola una situazione provvisoria, nella speranza di ritrovare Laura, poi, a poco a poco, costruendo una nuova routine non priva di emergenze significative che affronta senza mai perdersi d’animo, mentre anche sul lavoro si delineano cambiamenti che lo pongono di fronte a quesiti etici rilevanti.

r. Guillaume Senez or. Belgio/Francia 2018 distr. Partthénos dur. 98’

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he cosa significa, oggi, essere genitore? Ecco il fulcro del secondo lungometraggio di Guillaume Senez. Un interrogativo sui nostri tempi. Le nostre battaglie punta, infatti, a esprimere con delicatezza ed efficacia “la madre di tutti i conflitti della contemporaneità”, ovvero il difficile equilibrio tra individui e mercato. È quest’ultimo, del resto, il protagonista invisibile del film, con le sue spie-

Opera senza autore Werk ohne Autor Nella Germania nazista Elizabeth e il nipotino Kurt visitano un museo in cui è esposta l’arte etichettata come ‘degenerata’ che, sebbene disprezzata dal regime, è molto apprezzata dalla ragazza. Dopo aver manifestato atteggiamenti stravaganti e poco convenzionali, Elizabeth viene visitata dal professor Carl Seeband che decide di internarla in un ospedale per farla sterilizzare, attenendosi alle direttive dell’abominevole piano Aktion T4 che - sulla scia dell’igiene razziale - prevede l’eutanasia delle persone che presentano tare genetiche. A guerra terminata, Kurt, ormai cresciuto, diventa uno studente d’arte e si innamora di Ellie, figlia del professor Seeband. Tra il ragazzo e il suocero s’instaura da subito un rapporto teso e ostile. Il professore promette di porre fine alla loro relazione, all’oscuro dell’orrendo crimine commesso decenni prima che continua a legare le loro vite.

r. Florian Henckel von Donnersmarck or. Germania/Italia 2018 distr. 01 Distribution dur. 188’

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nsolito è il modo in cui il regista affronta il capitolo del nazismo, a conferma del suo inequivocabile talento narrativo nell’orchestrare intrecci, conflitti e minacce esterne, raccogliendole in una straordinaria visione unitaria in cui tutti i pezzi disseminati tornano a comporre

tate dinamiche che si radicano nel quotidiano. Meccanismi che, vissuti da genitori, alzano il livello della lotta per la sopravvivenza, alimentando nelle menti adulte un dilemma etico: accettare lo status quo significa proporre ai propri figli questo modello di futuro. “Per crescere un bambino serve un intero villaggio”, dice un famoso proverbio africano. Il villaggio globale, tuttavia, pare adeguarsi ai tempi e sperare nel cambiamento, mentre agli estremi c’è chi esplode e chi implode. Accade a papà Olivier che in fabbrica non accetta la logica del profitto che sopprime i diritti dei lavoratori e a mamma Laura, commessa in un negozio, che arriva al tilt esistenziale vedendo scoppiare in lacrime clienti abituali divenuti i “nuovi poveri”. Laura getta la spugna, sparisce. Poco importa che sia una scelta plausibile o un escamotage narrativo, come dimostra Senez non costruendo il film come l’agiografia di un padre improvvisamente single alle prese con la gestione di due bambini, bensì come ritratto di un uomo che, pur impegnandosi, deve fare i conti con limiti e debolezze. Vedi anche nel n. 134, p. 17. p.f.

un dipinto perfetto. Nello stesso modo singolare in cui aveva ripercorso la dittatura della Stasi ne Le vite degli altri, il regista sorvola i temi del nazismo comunemente abusati, affrontando la questione del programma AktionT4. Il film ripercorre il sentiero tortuoso della costruzione dell’Io nei tentativi di trovare il corrispettivo artistico. Ognuno di noi è l’insieme di tante stratificazioni che riaffiorano a barlumi. Il modo di essere e di agire attinge da un sottosuolo fino ad allora inesplorato. Come un medium, Kurt riesce a dare forma a tracce ancestrali, consentendo ai contenuti individuali e collettivi di manifestarsi. La sua creazione esplode come risultante dell’inconscio collettivo. La composizione del quadro diventa un rito di ritrovamento e purificazione, sovrapponendo reminiscenze personali e sedimentazioni collettive. Nell’animo si ricompone una simmetria, un accordo perduto che accomuna tutto. L’opera si fa allora grandiosa perché perde il carattere dell’autore (da qui il titolo) e lascia erompere la voce insepolta di un popolo. Vedi anche nel n. 130/131, pp. 14 e 15. a.s.

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Oro Verde

C’era una volta in Colombia Páiaros de verano

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1968, Zaida, una giovane di etnia wayuu, è pronta a prendere marito. Si fa avanti Raphayet. La madre Ursula pretende una consistente dote, una sfida per Raphayet che con il socio Moises mette in piedi un business legato alla vendita di marijuana. Raphayet e Zaida si sposano ma donna Ursula non perde di vista quelli che sono gli interessi familiari. In poco tempo la ricchezza derivata dal narcotraffico modifica i rapporti sociali e Raphayet, dopo aver fatto fuori l’amico, colpevole della sommaria esecuzione di due gringos legati ai mercati statunitensi, si allea con una famiglia di lontani parenti ma concorrente sul territorio. Sul finire degli anni 70 un futile sgarro del figlio minore di Ursula innesca una terribile guerra fratricida. A nulla serviranno antiche tradizioni e codici d’onore di fronte a un mondo che si trasforma sulla spinta del capitalismo.

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uerra e Gallego adottano un approccio iniziale etnografico per raccontare la trasformazione da paradiso a inferno della Penisola della Guajira al confine con il Venezuela. Un solo decennio per distruggere retaggi che si pensavano intoccabili, potenti, intimamente radicati negli uomini; una cultura arcaica fatta di spiriti della Terra e del Cielo, di leggi ataviche e superstizioni che gover-

Papa Francesco Un uomo di parola Pope Francis. A Man of His Word Definito da Wenders “un viaggio personale con al centro le sue idee e il suo messaggio, il suo lavoro di riforma e le risposte alle domande globali di oggi”, il documentario ha come punto di partenza e di arrivo Assisi, capitale mondiale della pace e luogo d’incontro di ogni religione. Nel mezzo l’intervista del cineasta tedesco al Papa nel corso di quattro incontri in Vaticano, e le immagini di repertorio delle tappe più significative del suo pontificato: i viaggi pastorali nelle favelas boliviane e nelle Filippine devastate dal tifone, il memoriale della Shoah e la visita ad Auschwitz, il discorso di fronte al Congresso degli Stati Uniti. E ancora a Ground Zero, sulle rive del Giordano, al muro del Pianto a Gerusalemme, in un vero e proprio “viaggiare” con l’anima, il carisma e soprattutto le parole di Papa Francesco attraverso i grandi temi dell’attualità mondiale.

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r. Cristina Gallego, Ciro Guerra or. Messico/Colombia/Danimarca 2018 distr. Academy Two dur. 125’

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r. Wim Wenders or. Svizzera/Città del Vaticano/Italia 2018 distr. Universal Pictures International dur. 96’

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on c’è niente di rivelatorio nel documentario che Wenders ha presentato a Cannes; ma il tono colloquiale e intenso attraverso il quale il Papa esprime la sua missione, mentre sembra che guardi negli occhi il suo intervistatore è di tale forza che nessuno spettatore può uscire dalla sala senza esserne toccato. Il Papa è capace di parlare a ciascun interlocutore con il suo linguaggio: che

navano allo stesso modo gli elementi e le società tribali, di ruoli che definivano comportamenti femminili e maschili. Il racconto ci investe come fiume in piena, per lasciarci infine l’immagine di un popolo sconfitto e decimato, i cui superstiti annegano nell’amarezza, nel rimpianto, forse in una disperata nostalgia. I due registi compiono un capolavoro di sintesi nell’associare pulsioni contraddittorie, istanze che si negano le une alle altre, confondendo con vento e sabbia i confini aerei e terrestri di morali antiche e avidità moderne. I riti sono profanati, lo spettro di un nuovo, subdolo, colonialismo aleggia e si fa presagio di morte. Velocemente la religione del denaro soppianta il passato e lo seppellisce, nonostante le resistenze, soprattutto femminili. Donna Ursula, emblema di un matriarcato funzionale alla conservazione dell’identità culturale, viene gradualmente umiliata e spogliata dell’autorità. Tradimenti, vendette, cadute rovinose e ascese di volgari criminali senza radici né codici d’onore, scandiscono la cronaca di una sciagura che qui ha il colore dell’oro verde. Vedi anche nel n.135, pp. 8 e 9. a.l.

sia una bambina che gli chiede perché abbia rinunciato a vivere in un appartamento lussuoso e si muova a bordo di una piccola utilitaria, che siano i Capi di Stato riuniti all’Onu, che siano la Curia romana o i carcerati di Napoli o Philadelphia. La parola è certamente il filo conduttore, ma lo stupore di fronte alla capacità comunicativa di questo Papa è il vero cuore dell’opera di Wenders. Il regista tedesco onora senza dubbio l’incarico affidatogli dal Vaticano, realizzando una sorta di manifesto - ai limiti del promozionale - del Bergoglio pensiero, in cui emergono la lotta contro l’ingiustizia sociale, il ritorno ai valori fondativi del cristianesimo, la necessità di superare un sistema economico basato sullo sfruttamento, le colpe dell’umanità nei confronti della natura, la follia di una vita basata sulla velocità, il consumo e il profitto. Allo stesso tempo Wenders riesce a imprimere il suo tocco al film guardando a quest’uomo quasi come a una star che suscita un affetto e un’ammirazione tali da poter essere avvicinato alla fascinazione che i più grandi divi hanno generato e continuano a generare. Vedi anche nel n. 130/131, p. 27. f.s.


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La paranza dei bambini Il quindicenne Nicola vive con la madre e il fratello più piccolo nel rione Sanità di Napoli. La madre gestisce una lavanderia soggetta al pizzo di una famiglia camorrista. Una sera Nicola fa amicizia con Agostino, il figlio di un ex boss che, nonostante la perdita del controllo territoriale, nutre ancora il rispetto di abitanti e commercianti della zona. Con altri cinque coetanei Nicola prima si mette a servizio di Don Vittorio, in seguito, con l’aiuto di Agostino crea un clan autonomo. Armi alla mano, approfittando della sorpresa suscitata dalla loro intraprendenza, i giovani conquistano il mercato locale degli stupefacenti. Inizia a girare molto denaro, che permette loro di soddisfare vizi e desideri. Il momento di gloria però è effimero. Quando il fratello e i suoi piccoli amici trovano delle armi da fuoco incautamente incustodite, scatenano un gioco sanguinoso che avrà esiti drammatici.

r. Claudio Giovannesi or. Italia 2019 distr. Vision Distribution dur. 105’

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ratto da un testo di Saviano, La paranza dei bambini nasce dall’urgenza di portare in superficie un contesto malavitoso dove le storiche famiglie camorriste sono sostituite da giovani imprenditori del crimine. Lo scenario è quello dei quartieri partenopei dove è alta la dispersione scolastica, dove la legalità è un concetto estraneo e le attività lavorative devono spesso fare i conti con le estorsioni, dove il mercato degli stu-

Il primo re 753 a. C. I due fratelli pastori Romolo e Remo vengono travolti da una esondazione del Tevere, perdendo il loro bestiame e spiaggiando nel territorio di Alba Longa dove vive una spietata tribù che li schiavizza e li costringe a lottare nel fango insieme ad altri prigionieri. I due fratelli, con Romolo gravemente ferito, riescono a fuggire insieme a un gruppo di persone che erano state catturate, tra cui una sacerdotessa che custodisce il fuoco sacro, in modo da essere scortati e favoriti dagli dei. A Remo, autoproclamatosi re della nuova tribù, viene predetto che uno dei due fratelli fonderà un impero inimmaginabile per proporzioni, ma che per diventare tale dovrà sacrificare il suo consanguineo. Remo rifiuta un simile pronostico e sfidando la volontà degli dei - spegne il sacro fuoco. Ma Romolo, ormai guarito, riesce a riaccenderlo, rendendo inevitabile lo scontro decisivo con Remo.

r. Matteo Rovere or. Italia/Belgio 2018 distr. 01 Distribution dur. 127’

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ttorno a un nucleo con una manciata di elementi a disposizione Matteo Rovere riesce ad abitare un racconto leggendario, ricostruendo e rendendo credibile un mondo tribale di riti e segni divini, semplice come una fiaba eppure intrisa di simboli e significati come una pagina biblica. Il tempo immenso che ci divide dai protagonisti si fa vivo e lussureggiante come la natura prepotente nella quale vi-

pefacenti dilaga e, in coincidenza con un crescente tasso di disoccupazione, diventa una strada accattivante verso un veloce guadagno. I protagonisti sono figli della violenza e vittime di modelli massificati e omologati su pochi concetti (ma chiarissimi in mancanza di alternative), che sono alla base di miti che sbaglieremmo a definire nuovi, ma che attecchiscono oggi più che mai nella povertà culturale: denaro e fama a qualsiasi costo, essere riconosciuti anche in assenza di talenti e il lusso esibito come forma di potere. I ragazzini incoscienti di Giovannesi sono il frutto amaro degli angoli abbandonati della loro città e il regista li sorprende in fragranza di reato. E se l’adolescenza e i passaggi cruciali della formazione emotiva e affettiva che sono alla base dell’età adulta volano via precocemente, fa ancora più impressione lo sguardo del fratellino di Nicola su quel mondo sudicio, poiché coincide con la metamorfosi del suo immaginario, con la mistificazione del crimine e la deformazione della realtà compressa in un orizzonte di miseria. Vedi anche nel n. 134, pp. 8 e 9. a.l.

vono, quei nomi incisivi ritrovano un volto lurido di terra e fango; la leggenda diventa sensoriale, carnale, tangibile. Il richiamo ad Apocalypto per la scelta di recuperare una comunità primordiale e per l’uso del protolatino è inevitabile, come in più punti (nel cammino logorante, nell’attesa silenziosa tra la natura incontaminata, nell’intuizione di un destino sacrificale) si ravvisa l’ispirazione a Revenant. La lenta metamorfosi di Remo (interpretato da un Alessandro Borghi sempre più camaleontico e prodigioso) da fratello mansueto e protettivo a sanguinario impostore è il fil rouge seguito per la costruzione dell’impianto narrativo; la sua brama di potere degenererà nell’iconoclastia, rendendosi indegno alla costruzione di un’identità etnica e territoriale. Riecheggiano sia i temi biblici (il diluvio, Caino e Abele, la terra promessa) che tutto il mito classico con i deliri profetici e i sacrifici, ponendo quel dilemma primitivo che rimbalza da Agamennone ad Antigone, da Ifigenia a Edipo Re: la legge del sangue o la vocazione per un destino di cui non possediamo il controllo. Vedi anche nel n. 134, p. 22. a.s.

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La profezia dell’armadillo Zero, 27 anni, in attesa di essere assunto come grafico, impartisce ripetizioni di francese, disegnando locandine per concerti di gruppi rock e lavorando all’aeroporto. La sua vita scorre tra il lavoro, le visite alla madre e gli incontri con l’amico Stecco. Un giorno riceve via mail la notizia della morte di Camille, suo grande amore adolescenziale, trasferitasi in Francia, a cui non aveva mai trovato il coraggio di dichiararsi. L’evento provoca una tempesta nel ragazzo, ri-svegliando sentimenti, emozioni e ricordi. Zero condivide la notizia con Stecco e insieme decidono di cercare Greta, altra amica dell’adolescenza. Continui flash back ricostruiscono la storia del ragazzo, intrecciando i momenti di leggerezza dell’età in cui tutto sembrava possibile al presente. Sempre in campo l’armadillo, ricoperto da una spessa corazza, che s’insinua nella vita e nei pensieri di Zero come coscienza critica, sguardo sul mondo, guida e amico immaginario.

r. Emanuele Scaringi or. Italia 2018 distr. Fandago dur. 99’

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l film doveva essere diretto da Valerio Mastandrea che ha contribuito alla scrittura della sceneggiatura lasciando la firma della regia a Emanuele Scaringi che si è cimentato nella sua opera prima e forse in questo si può cogliere una certa debolezza autoriale. Efficaci le interpretazioni attoriali di Simone Liberati (Zero), Pietro Castellitto (Stecco) e di Valerio Aprea (Armadillo) che - in equilibrio tra momenti

La promessa dell’alba A Wilno, in Polonia, vive Nina Kacew, una giovane donna di origine ebrea che cresce da sola l’ unico figlio, Romain, confezionando nel suo atelier cappelli per le signore benestanti. Con l’arrivo dell’antisemitismo si trasferisce nel sud della Francia, a Nizza, dove con il denaro guadagnato rileva un hotel. Madre amorevole ma impositiva, spinge il giovane alla carriera letteraria, nonostante le difficoltà a scrivere di quest’ultimo. Caparbiamente convinta che il suo ragazzo sia promesso a un destino fuori dal comune, volge ogni azione a questa causa. Con il sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale, Romain entra nell’aviazione francese, continuando però a scrivere per realizzare le ambizioni materne. Dalla difficile infanzia in Polonia all’adolescenza a Nizza, a Parigi per l’Università, alla carriera di aviatore in Africa, il protagonista vive una vita straordinaria.

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r. Eric Barbier or. Francia/Belgio 2017 distr. Worner Pictures dur. 131’

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n affascinante viaggio attraverso la Storia: dalla Polonia degli anni Venti, da Nizza a Parigi passando per la Seconda Guerra Mondiale nel deserto africano, e nella Londra dei bombardamenti, il regista francese Eric Barbier racconta un’epopea spettacolare e intima che vede protagonisti inseparabili la volitiva e tenace Nina Kacew (un’intensa Charlotte Gainsbourg) e l’adorato figlio Romain (Pierre Niney).

drammatici e divertenti - riescono a narrare i volti della loro generazione e di quella dei genitori, ma anche a mettere in scena temi quali il significato dell’amicizia, la fatica che spesso accompagna chi si sente inadeguato al contesto, disadattato, incapace di comunicare. Forte è lo sguardo agrodolce e nostalgico sul passato, su quando - in equilibrio sul tetto di un museo di storia - i quattro inseparabili adolescenti, Zero, Stecco, Greta e Camille - disquisivano di mammuth e giocavano al “Sacro giuro” (giuro di non adeguarmi alle comodità, di combattere la legge del più forte…) per suggellare il rito della separazione da Camille e si lanciavano in salti rischiosi. Significative anche le riflessioni sull’assenza di certezze del presente, sulle fragilità, sulle stagioni della vita…E sull’opportunità di ‘avere un armadillo al proprio fianco’ per stare a galla e per trovare anche il coraggio di andare insieme a Stecco alla cerimonia funebre di Camille riuscendo in un profondo discorso sulla vita, sui limiti, sulla morte - a dichiararle tutto l’amore che non aveva saputo svelarle al momento giusto. Vedi anche nel n. 130/13, p. 29. p.c.

Adattare un libro è “un esercizio di lealtà”, afferma l’autore e in effetti il suo è un lavoro dove si percepisce la forte volontà di rispettare l’omonimo romanzo autobiografico di culto di Romain Gary, ebreo lituano di nome Roman Kacew morto suicida. Il film con una ricostruzione storica fedele, con inquadrature e immagini molto efficaci. risulta un’opera riuscita. Barbier ha l’enorme merito di aver realizzato un film d’avventura, una storia epica dove tragedia e speranza convivono in modo simbiotico. Una biografia romanzata, ma soprattutto una storia di formazione che non finisce mai, anche quando i debiti con la madre si sono saldati e i desideri realizzati. Come nel testo il dramma è alleggerito dall’ironia, ricorrente in numerose sequenze dove gli umori passano dalla tragedia alla commedia, dalla tenerezza alle lacrime. Un percorso pieno di ostacoli, drammatiche svolte, alla ricerca di un’identità, partendo dalle radici ebraiche della nonna russa. La promessa dell’alba è il racconto di un’epoca tragica in cui tutto si muove, anche Romain Gary con le sue ambizioni. Vedi anche nel n 135, p. 23. m.ma.


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Ralph spacca Internet Ralph Breaks the Internet Dopo anni spesi nel suo videogame Sugar Rush, Vannellope è annoiata e così Ralph cerca di creare per lei una nuova pista: nel provarla, però, Vannellope crea un conflitto con il giocatore reale, che causa la rottura del volante del cabinato. Poiché non esistono più ditte che producono i pezzi di ricambio, il proprietario della sala giochi decide perciò di disfarsi di Sugar Rush. L’unica speranza per Vanellope è comprare il prezioso rimpiazzo su ebay. Ralph non si perde d’animo e, grazie alla nuova connessione wifi della sala giochi, decide quindi di uscire dal suo mondo e di entrare in internet per effettuare l’acquisto. Vannellope lo accompagna, ma quando conosce il rude gioco di auto Slaughter Race decide di trasferirsi al suo interno. Per impedirlo, Ralph immette un virus nel gioco, ma questo evolverà mettendo a repentaglio l’esistenza stessa di internet!

r. Phil Johnston, Rich Moore or. Usa 2018 distr. Walt Disney Pictures dur. 118’

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l suo secondo capitolo, la saga Disney di Ralph Spaccatutto si conferma capace di esplorare il concetto di identità nella moderna industria dell’immaginario, a metà strada fra rivisitazione nostalgica e demistificazione. Il punto di fuga è attribuito al legame speciale che si è instaurato tra Ralph e Vannellope, tanto più straordinario quanto basato sugli opposti: l’uno un gigante

Remi Rémi sans famille La tempesta infuria attorno a una grande casa: l’anziano Remi raccoglie attorno a sé i piccoli ospiti e racconta la sua storia. Abbandonato dai genitori a Parigi, viveva in campagna con la madre adottiva, mentre il padre lavorava lontano. Perso il lavoro per un incidente, dovrà portare il piccolo in orfanotrofio. Disperato, Remi cerca di fuggire. Rifugiatosi in una taverna, viene venduto a Vitalis, un musicista di strada, che lo strapperà dal nido e lo salverà. Gli insegnerà la dura vita del saltimbanco in un viaggio lungo la Francia. Gli insegnerà a leggere, scrivere e, scoperto il suo tesoro, a cantare in pubblico. Numerosi saranno gli abbandoni che dovrà affrontare, due lupi affamati nella notte, poliziotti che rinchiudono Vitalis… Per ogni ostacolo ci sarà un nuovo inizio, Vitalis e Remi arriveranno in Inghilterra, dove il bimbo, perso anche il suo mentore, troverà le sue radici.

r. Antoine Blossier or. Francia 2018 distr. 01 Distribution dur. 105’

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orfanello giramondo ispirato a Senza famiglia di Hector Malot, 1878, viene riproposto come kolossal, alternando con misura commedia e dramma: “una grande storia popolare e universale rivolta alle famiglie”. Il regista rilegge la storia di Malot con una lente spielberghiana, tra epica e tragedia. Immerso nei paesaggi dell’Occitania, ci fa entrare in un mondo fantastico ricostruendo la realtà con un alone magico alla

rozzo e forzuto, l’altra uno scricciolo di energia, un glitch del programma che ricorda come questa sia innanzitutto una storia di reietti e personaggi “a latere”, che riescono però a salvare il mondo. La messa in discussione del rapporto tra i due diventa così il nucleo fondante di un racconto che pone la diversità dei protagonisti a confronto con la moltitudine degli stimoli di internet. In tal modo, il virus che Ralph inocula per “fermare” internet e riavere l’amicizia di Vannellope, non può che configurarsi come un moltiplicatore di identità virtuali, poiché tale è la capacità dispersiva della Rete, capace di allineare e appiattire le differenze in un indeterminato pastone. In un crescendo narrativo quasi di matrice psicanalitica, Ralph è quindi costretto ad affrontare tanti sé stesso, infine riuniti in un gigante da film di mostri che è la trasfigurazione simbolica del Donkey Kong già modello per la creazione del protagonista stesso. Perciò, nel divertimento generale, si istilla una traccia di profondità tutt’altro che superficiale. Vedi anche nel n. 133, p.27. d.d.g.

Disney. “Realismo, ma non naturalismo”, ossia un equilibrio ottenuto attraverso una cura estrema per luci, scenografia, costumi. E girando a volte con 800 comparse, in cinemascope in grandi spazi aperti. La realizzazione di se stessi affrontando il nuovo in solitudine, tra fiaba e avventura: sullo sfondo il quadro sociologico dell’infanzia a fine 800. Non sono lontane le atmosfere alla Charles Dickens, soprattutto nella parte della Londra vittoriana. Il confronto con molte infanzie dorate del nostro occidente potrebbe essere utile. Grandi attori anche nei ruoli secondari, un esordiente tredicenne adorabile, senza dimenticare gli animali che accompagnano il commovente peregrinare del ragazzino, che trova nel saltimbanco un padre che lo condurrà a scoprire le sue origini in un lietissimo fine. Film strappalacrime fuori tempo massimo? Riproponibile? Secondo il regista il punto di vista emotivo consente di superare ogni distanza storica. Narrazione chiara, azione dal buon ritmo senza concitazione, perfezione delle scelte tecniche coerenti con le intenzioni espressive. Vedi anche nel n. 134, p. 11. c.d.

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Il ritorno di Mary Poppins Mary Poppins Returns Londra - Anni 30. Michael Banks, vedovo da un anno e padre di tre figli lavora presso la Banca Risparmio e Sicurtà, ma deve far fronte a problemi economici che rischiano di portargli via la casa di famiglia. Sua sorella Jane lo aiuta con i figli, dividendo il tempo tra famiglia e impegno sociale. Sono gli anni della Grande Depressione, il denaro scarseggia. Quando a Michael viene notificato un atto di pignoramento della casa, sente di essere alle strette e cerca di risolvere i problemi. Il vento cambia riportando ai Banks Mary Poppins, la tata “praticamente perfetta”, che li aveva già salvati una volta. Con la sua aura di mistero, l’attenzione all’ordine e alle regole, quel pizzico di magia in grado di trasformare ogni situazione, Mary Poppins inviterà i Banks a rimettere ordine nelle loro vite, dimostrando ancora una volta come spesso la soluzione a un problema insormontabile sia in realtà sotto il naso di tutti.

r. Rob Marshall or. Usa 2018 distr. The Walt Disney Company dur. 130’

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ob Marshall ha saputo riproporre l’impianto narrativo del film originale rivisitandolo in chiave moderna. Il ritorno di Mary Poppins riesce a rapire i più piccoli e a incantare gli adulti in grado di raccogliere l’invito del regista a tornare bambini lasciandosi trascinare dalle magiche atmosfere di un nuovo film che è in realtà una lettera d’amore al capolavoro del 1964.

Roma Città del Messico, quartiere di Roma, 1970. Cleo, di etnia mixteca, lavora per la famiglia di Sofia, che viene ben presto abbandonata dal marito Antonio. Nel frattempo Cleo frequenta il giovane Fermin, che però l’abbandona quando scopre che è incinta. Per fortuna, Sofia l’aiuta a portare avanti la gravidanza. Un giorno, mentre si trova in città per acquistare una culla per il nascituro, Cleo resta invischiata nei disordini conseguenti quello che sarà poi noto come il massacro del Corpus Christi e assiste all’esecuzione di un oppositore da parte di Fermin. Lo shock le provoca la rottura delle acque, ma la bambina nasce morta. In mezzo a tanto dolore, c’è un evento lieto da cui ripartire: mentre si trova sulla spiaggia di Vera Cruz, Cleo salva la vita ai figli di Sofia, che hanno rischiato di annegare, per poi esplodere in un pianto liberatorio.

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r. Alfonso Cuarón or. Messico/Usa 2018 distr. Cineteca di Bologna dur. 135’

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ll’ottavo lungometraggio da regista, è ormai chiara la predilezione di Alfonso Cuarón per i luoghi ben identificati. L’intento è creare una risonanza tra spazi e personaggi, meglio ancora se inscritti in un contesto temporale ben caratterizzato. Nel caso specifico, il tempo dell’azione è l’inizio degli anni Settanta, durante l’infanzia dello stesso Cuarón. Roma as-

Ambientato nella grigia Londra degli anni 30, in un periodo di pesante crisi economica, il film spalanca di nuovo la porta di casa Banks per mostrarci due adulti demotivati e stanchi. I sogni sono naufragati, le avventure vissute durante l’infanzia frutto della fervida immaginazione di due bambini: le preoccupazioni sono all’ordine del giorno. A questo punto entra in scena la talentuosa e convincente Mary Poppins di Emily Blunt, in grado di trasmettere, attraverso le espressioni del volto e i movimenti del corpo, quel rigore e quell’eleganza che sono stati propri di Julie Andrews. Ed è qui che il gioco inizia e si ripete: un semplice bagno assume i contorni di un’avventura tra gli oceani; un vaso decorato diviene la location dove prende vita una sequenza animata, i lucernai prendono il posto degli spazzacamini, ma sono i protagonisti di un altrettanto magica sequenza di ballo, e non mancano la stravagante cugina Topsy cui presta il volto Meryl Streep, l’incredibile Dick Van Dyke che balla sui tavoli o la raffinata Angela Lansbury che chiude il cerchio cantando e distribuendo palloncini colorati. Vedi anche nel n. 133, p. 20. m.n.

sume così il ruolo di film-partitura, in cui le varie parti sono armonizzate da una direttrice comune: le disgrazie di Cléo si rispecchiano infatti nella disgregazione del nucleo familiare di Sofia e nei disordini che produrranno il massacro del Corpus Christi del 10 giugno 1971. Quest’ultimo si rivela l’evento di snodo per la storia del Messico e la vita stessa della protagonista. La scena del drammatico confronto tra Cleo e Farmin durante i disordini è perciò mostrata attraverso uno dei proverbiali piani sequenza dell’autore messicano, e introduce alla risoluzione della seconda parte, dove i traumi trovano la loro elaborazione. Se da un lato, la prima parte del film vede quindi i protagonisti prodursi in movimenti oppositivi rispetto a una vita di cui sono vittime, spesso negando o non riconoscendo i torti subiti, nel prosieguo arriverà una presa di coscienza propedeutica all’affermazione della propria verità. Il punto di vista al femminile, ribadisce poi l’interesse di Cuarón per un universo vivificatore, costretto suo malgrado a una solitudine che diventa chiave di lettura di un mondo disgregato e da rifondare. Vedi anche nel n. 132, p. 29. d.d.g.


DAI 16 ANNI

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Santiago, Italia Il documentario descrive le vicende seguite in Cile al breve governo socialista di Salvador Allende, dal cruento colpo di stato militare del 73, alla feroce repressione dei militanti dei partiti di sinistra, al rifugio nell’ambasciata d’Italia e all’accoglienza nel nostro Paese di molti di essi. La prima parte del film è illustrata in modo essenziale da materiali d’epoca, quali le riprese dell’attacco aereo al Palazzo della Moneda e l’ammassamento degli arrestati nello Stadio di Santiago. Successivamente il racconto è affidato alle testimonianze dei sopravvissuti (sia in Cile che in Italia) compresi due militari golpisti, soprattutto esuli cileni che trovarono solidarietà e lavoro in Italia. Oltre a quello di registi cileni (Patricio Guzmàn e Miguel Littìn), giornalisti e diplomatici allora giovani addetti all’ambasciata, Moretti raccoglie il commosso ricordo di artigiani e operai integrati ormai da decenni nel tessuto sociale italiano.

r. Nanni Moretti or. Italia 2018 distr. Academy Two dur. 80’

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egli anni 60 e 70 in America Latina c’è stata una serie di colpi di stato orditi dai militari, dall’Argentina (62 e 64) alla Bolivia, al Brasile, all’Uruguay. La dittatura militare in Cile, comandata dal generale Pinochet Ugarte durò a lungo, sino al 1988, sconfitta da un referendum che ripristinava alcune libertà costituzionali. Questi colpi di stato avevano una matrice comune nell’imperialismo economico

Sarah & Saleem

Là dove nulla è possibile The Reports on Sarah and Saleem Sarah, ebrea, vive a Gerusalemme con il marito David, ufficiale dell’esercito israeliano, e la figlia piccola Flora. Lavora in un caffè, di cui è proprietaria. Saleem, arabo, vive nella parte orientale della città con la moglie Bisan, incinta. Fa il panettiere e compie viaggi nella vicina Betlemme portando dei beni a palestinesi che non hanno il permesso di entrare a Gerusalemme, non sapendo di essere usato per altri scopi. Sarah e Saleem sono amanti. Si vedono nel furgone di Saleem. Ma Saleem viene arrestato dai servizi segreti palestinesi, che lo credono una spia, e poi rilasciato. Le cose, però, precipitano. In seguito a un’operazione israeliana a Betlemme, Saleem è di nuovo incarcerato. La relazione è scoperta. Solo Sarah, dicendo la verità, potrà rendere meno dura e lunga la prigionia di Saleem. Bisan farà chiedere al marito il divorzio. Sarah lascerà David, uomo senza scrupoli.

r. Myayd Alayan or. Palestina/Germania/ Olanda 2018 distr. Satine Film dur. 117’

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uayad Alayan, una delle voci più autorevoli e originali del nuovo cinema palestinese, descrive il quotidiano clima di tensione e sospetto, di follia, che si respira a Gerusalemme, luogo composto di molti luoghi che diventa un vero e proprio personaggio accanto a quelli raccontati con sobrietà e profondità in un crescendo di intrecci narrativi che sembrano non avere possibilità di sciogliersi.

statunitense e nella volontà delle classi borghesi di non perdere i privilegi. Più che a una ricostruzione storica degli avvenimenti Moretti si dedica all’aspetto umano degli stessi, lasciando parlare liberamente i testimoni. Indimenticabile l’emozione che blocca un esule mentre evoca la figura carismatica del Cardinale Henriquez, esponente della Teologia della Liberazione. Alcuni testimoni rivendicano la fedeltà a un’ideologia politica, che seppur sconfitta dalla storia, mantiene comunque la forza di un’idealità morale. L’umanità degli intervistati si manifesta altrove nella capacità di elaborare il trauma della prigionia e della tortura con l’arma dell’ironia: la scrittrice Marcia Scantlebury ricorda ad esempio il rapporto affettivo che si era instaurato con le proprie carceriere. Anche se non programmato, l’impatto socio-politico con la situazione italiana è affermato con forza da alcuni esuli. Un testimone lamenta i cambiamenti antropologici manifestatisi negli ultimi anni in Italia, ove a una cultura dell’accoglienza e della solidarietà si è sostituita un’animosità regressiva consumistica e individualista. Vedi anche nel n. 132, p. 28. f.v.

Gerusalemme è la città divisa in due: da una parte la zona occidentale israeliana, dall’altra quella orientale, palestinese, occupata da Israele dal 1967. In essa vivono, abitano, si muovono le donne e gli uomini di Sarah & Saleem, ognuno rinchiuso in una propria rete da cui è quasi, se non del tutto, impossibile sfuggire. Allo stesso modo, Alayan costruisce un film composto soprattutto di scene brevi, come fossero piccoli capitoli di un mosaico da intessere con precisione e che, alternandosi, talvolta in un ordine non cronologico, compongono il ritratto di una società concretamente percorsa dall’instabilità. Un’instabilità generata dal controllo pervasivo dell’esercito israeliano sulla popolazione palestinese umiliata e offesa, ferita e uccisa, e che si riversa fin nelle pieghe più intime dei sentimenti e dei rapporti. Ne sono consapevoli, e sempre più travolti, gli amanti impossibili Sarah e Saleem. La loro potrebbe essere una relazione extra-coniugale come tante, clandestina e soddisfacente, ma contiene un elemento di colpa che la rende, o prima o poi la renderà, impraticabile: Sarah è ebrea, Saleem è arabo. Vedi anche nel n. 135, pp. 12 e 13. g.g.

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Sembra mio figlio Ismail vive in Italia, ma è di origine afghana, di etnia hazara, minoranza perseguitata in patria. A nove anni, a causa della guerra, con un sacrificio immenso la madre ha imposto a lui e al fratello di fuggire in cerca di un luogo in cui vivere in pace e con dignità. Con Hassan, segnato dalle torture subìte per mano dei talebani, era arrivato in Europa dopo aver attraversato l’Iran, la Turchia e la Grecia. La loro madre, rimasta in Afghanistan, era stata sempre in attesa di notizie da parte dei figli. Ismail avverte dalla voce della donna al telefono che c’è qualcosa di strano perché non riconosce più il figlio. Decide di ricongiungersi con lei e affronta un viaggio duro e difficile perché ormai appartiene anche all’Occidente, la sua identità è divisa in due. Nel suo percorso esistenziale sarà fondamentale la donna di cui si sta innamorando in Italia. Ma il viaggio verso le proprie radici fugherà i dubbi e cambierà il suo destino.

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opera nasce da un precedente film sul tema degli immigrati in Italia. Il tema dello strappo dalle radici, che si fa universale tramite i volti e gli sguardi dei protagonisti della nuova pellicola. C’è coraggio nel raccontare una storia di migrazioni sul grande schermo in questi tempi di rigurgiti razzisti; nel proporre una storia sui sentimenti a lungo custoditi nel silenzio; nel se-

Senza lasciare traccia Leave No Trace Will e la figlia adolescente Tom vivono nei boschi di Forest Park, appena fuori Portland. Lui le ha impartito insegnamenti pratici e teorici, compreso tutto ciò che si apprende a scuola. Cucinano radici, funghi, tutto ciò che di commestibile offre la natura. Di tanto in tanto l’uomo si avventura in città per acquistare lo stretto necessario con la pensione di invalidità. Will è in fuga dagli incubi della guerra, è affetto da stress post-traumatico, per questo preferisce il silenzio dell’isolamento, mimetizzato fino a scomparire tra alberi secolari. Tom, dal canto suo, senza più la madre deceduta da tempo, ha sposato la causa del padre, comprendendone le ragioni. Tutto fila liscio fino a quando, scoperti dai guardia parco, vengono affidati ai servizi sociali e sistemati in un alloggio presso una fattoria in periferia. Quando Tom sembra essersi ambientata, Will decide di scappare nuovamente.

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r. Christian Duguay or. Francia/Canada/ Repubblica Ceca 2017 distr. Notorius Pictures dur. 110’

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r. Debra Granik or. Usa 2018 distr. Alder Entertainment dur. 108’

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ietro l’essenziale sceneggiatura in tre atti c’è il romanzo di Peter Rock My Abandonment, ispirato a una vicenda accaduta tempo fa in Oregon. Debra Granik trasforma Senza lasciare traccia nella cronaca di un sodalizio che a un certo punto viene minato dal tempo, quello della crescita (l’adolescenza di Tom) e quello stagnante che blocca in un eterno presente (i fantasmi di Will). Lontana dal

guire gli animi, oltre ai passi, dei protagonisti, prendendosi tutto il tempo necessario. È un coraggio richiesto anche allo spettatore, che si trova a immergersi in un altrove ed è costretto ad abbandonare le proprie certezze. Alcuni dialoghi sono rimasti in lingua farsi per restituire la verosimiglianza di una vicenda che, anche se raccontata attraverso la fiction, è vicina al reale. Trieste, città di confine, fa da sfondo al racconto in Italia. La cifra stilistica, nella prima parte, è segnata dal minimalismo, per entrare in punta di piedi nel cuore e nella testa di chi sembra tanto lontano da noi. Nella seconda parte cambia il ritmo, muta l’estetica quasi a voler ripercorrere la differenza anche tra i due fratelli: uno più dolce e riflessivo e l’altro più inquieto e intransigente. Il risultato è un buon equilibrio tra potenza e intensità dove le donne non rimangono affatto sullo sfondo. ll film parla di ricerca dell’identità, di ricongiungimenti familiari, di intercultura, di accoglienza. Accogliere non significa tollerare o adottare; significa accettare che dentro ognuno di noi c’è una parte dell’altro e viceversa. Vedi anche nel n. 130/13, p. 20. a.m.

declinare l’ennesimo conflitto generazionale, la regista riesce a raccontare con delicatezza due individui alle prese con istanze che a un certo punto non coincidono più: da una parte Will, incapace di uscire dalla clandestinità che gli garantisce (in apparenza) la sopravvivenza psicologica; dall’altra Tom, naturalmente portata alla scoperta della vita attraverso le relazioni. Privo di scene madri, il racconto procede sottovoce, lasciando ai piccoli gesti, agli sguardi, alla gentilezza di una motivazione ben espressa, il compito di segnare la progressiva ma inevitabile distanza tra i bisogni di padre e figlia, che come da insegnamenti paterni distingue tra le necessità primarie e ciò che è solo desiderio. Henry Thoreau è dietro l’angolo, ma non c’è mai in Senza lasciare traccia la corsa verso una coincidenza ideologica uomo-natura, neanche in senso politico. Il discorso è tutto sulla necessità, dove la natura, seppur minacciata dall’antropizzazione selvaggia, diventa, in un rapporto empatico e organico, unico riparo, e neanche così sicuro, dalle atrocità umane. Vedi anche nel n. 132, pp. 4 e 5. a.l.


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DAI 16 ANNI

ANNUARIO 2019

Sofia Sofia, vent’anni, vive a Casablanca con i genitori. È un po’ sgraziata e introversa, e fatica a confrontarsi con la personalità più forte della madre, della ricca zia Leila e della disinibita cugina Lena. Durante un pranzo in famiglia Sofia ha violenti crampi allo stomaco. Per Lena è presto chiaro che Sofia è incinta, e che ha ignorato i sintomi della gravidanza. Lena la porta all’ospedale dove la ragazza partorisce, ma fuori dal matrimonio, quindi illegalmente. Stanca e confusa, Sofia ha ventiquattro ore per sposarsi per non infrangere la legge e finire in prigione. Uscite dall’ospedale, dove non hanno diritto di restare, le due ragazze si recano in un quartiere popolare alla ricerca di Omar che Sofia indica come il padre. Per difendere l’onore di Sofia, bisogna trovare una soluzione che possa soddisfare tutti. Poco prima del matrimonio Sofia racconterà la verità e sarà così chiaro il sacrificio che ha scelto di accettare.

r. Meryem Benm’Barek or. Francia/ Marocco/Qatar 2018 distr. Cineclub Internazionale dur. 85’

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enm’Barek realizza un’opera equilibrata nei dettagli e nello sguardo. Nulla è lasciato al caso nella descrizione minuziosa dei personaggi, perché a essi è affidato il compito di veicolare l’analisi sociale di cui il film vuole farsi portavoce. Nonostante al centro ci siano due donne, Sofia non può, e non deve, essere visto soltanto come un film sull’arretratezza del pensiero sociale nei confronti delle

Spider-Man

Un nuovo universo Spider-Man: Into the Spider-Verse Miles Morales è un adolescente newyorkese che fatica a gestire le pressioni della famiglia, mentre nutre una smodata ammirazione per lo zio Aaron, con cui realizza di nascosto dei graffiti sui muri della metropolitana. Durante una di queste incursioni, viene però morso da un ragno radioattivo ed eredita i poteri del suo supereroe preferito, Spider-Man. Quest’ultimo, nel frattempo è alle prese con il supercriminale Kingpin, che vuole aprire un varco verso le realtà parallele con un acceleratore di particelle, per resuscitare la famiglia scomparsa. Nella battaglia, Spider-Man perde tragicamente la vita. Ispirato dal sacrificio del suo idolo, Miles cerca di percorrerne le tracce e si ritrova affiancato da altre versioni dell’eroe, provenienti dalle realtà parallele aperte dall’acceleratore di Kingpin. Tutti insieme, gli Spider-Men si coalizzeranno per ripristinare l’ordine fra i mondi.

r. Bob Persichetti, Peter Ramsey, Rodney Rothman or. Usa 2018 distr. Sony Pictures Entertainment dur. 117’

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’aspetto vincente del lavoro compiuto dagli autori sta nella capacità di modulare con scioltezza le pratiche narrative postmoderne, esaltando il divertimento ludico dell’operazione e riconducendo infine il tutto sempre a una matrice profondamente umana. Nel confronto con le varie versioni del suo eroe, infatti, Miles at-

donne. Il discorso abbraccia un più ampio contesto e mette in evidenza i meccanismi che rendono questa società immobile, indipendentemente dal sesso. Basta essere nati nel quartiere sbagliato per non avere prospettive di cambiamento. La regista scava a fondo e con sguardo obiettivo, indagando gli equilibri familiari in cui si ripetono i disequilibri sociali, in cui gli interessi economici prevalgono sui principi etici e portano a innescare comportamenti di ipocrisia e finzione, perché ciò che si vede ha più valore di ciò che accade nell’intimità. In Sofia c’è un’armonia sobria, il desiderio evidente di non salvare nessuno, né di condannare le azioni di chi asseconda la realtà. Nessuno esce vittorioso e tutti perdono qualcosa: l’innocenza di Sofia, l’ingenuità di Lena, la spensieratezza di Omar. Le prospettive si capovolgono più volte in un film che cambia pelle per mantenere la precisione del punto di vista. Benm’Barek sceglie con esattezza cosa mostrare e cosa lasciare nell’ombra. Ci sono personaggi che si intravedono, la cui importanza sarà determinante, e personaggi nascosti che giocano un ruolo di primo piano. Vedi anche nel n. 134, pp. 4 e 5. g.p.

traversa un arco narrativo che lo porta a interrogarsi sulle proprie azioni, sulle responsabilità connesse ai superpoteri, ma soprattutto a confrontarsi con gli affetti. Caratteristica, quest’ultima, che il personaggio condivide con tutti i comprimari, sia quelli positivi (che quasi sempre hanno alle spalle esperienze drammatiche o rimpianti), che gli stessi cattivi. La dinamica fra tradizione e nuove influenze è in fondo tutta qui: nell’articolazione di una storia dove il protagonista deve affrontare tanto i problemi scolastici, quanto il difficile rapporto con il padre, in un’escalation che lo porterà a dover salvare la struttura stessa dell’universo, messa in discussione dagli spregiudicati e iper tecnologici piani del cattivo di turno. Un mix che si ritrova nella sintesi fra un personaggio figlio di poliziotto, ma che si diverte a creare graffiti sui muri, di estrazione non elevatissima, ma capace di raggiungere ottime vette nel percorso scolastico: tutta la vicenda è un continuo unire i punti di realtà, luoghi, contesti e finalità altrimenti lontanissime sulla traccia portante condotta da un tappeto emotivo. Vedi anche nel n.133, pp. 4 e 5. d.d.g.

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La strega Rossella e Bastoncino La strega Rossella è gentile, sempre allegra e riconoscente verso chi è gentile con lei. Volando perde infatti oggetti importanti per lei. Per ringraziare il cagnolino, la rana e l’uccellino che glieli hanno riportati, li fa salire sulla sua scopa. Ma il peso eccessivo la spezza. Tutti precipitano. Rossella si trova di fronte un Drago pronto a mangiarla. Dallo stagno spunta un mostro a quattro teste che lo mette in fuga. E l’allegra compagnia si ricompone. Bastoncino vive felice con la sua Stick Lady e i tre figli in un albero cavo: festeggiano il Natale. Il tempo scorre. Durante una passeggiata un cane lo scambia per un legnetto, poi una bambina lo getta in acqua e arriva fino alle temibili onde del mare. Ma Bastoncino affronta ogni pericolo per tornare a casa dalla sua famiglia. Sarà proprio Babbo Natale a salvarlo dalle fiamme di un camino dove giaceva esausto, senza scampo.

r. Jean Lachauer, Max Lang, Jeroen Jaspert or. Gran Bretagna 2012 distr. Cineteca di Bologna dur. 52’

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a strega Rossella ha una scopa volante/che quando lei vuole decolla all’istante!” Due gioielli dell’animazione contemporanea regalano la magia del racconto in rima dei libri per l’infanzia di Julia Donaldson, illustrati da Alex Scheffler, trasformati in film per bambini rispettando lo stile visivo delle illustrazioni originali, l’ordine cronologico degli avvenimenti e le tematiche dei libri.

Styx Rike, tedesca di quarant’anni, è medico affermato con una passione per il mare ed è un’ esperta skipper. Un giorno la donna decide di partire dallo Stretto di Gibilterra, in solitaria, sulla sua barca a vela, Asia Gray, in direzione dell’Isola di Ascensione. Mentre il viaggio procede, sotto i raggi del sole, e della luna, arriva una tempesta dopo la quale la velista si ritroverà a pochi passi da un peschereccio alla deriva, carico di migranti in cerca di aiuto. Solo un africano di quattordici anni, nuotando disperatamente, riuscirà ad aggrapparsi alla sua barca, troppo piccola per accogliere tutti. La dottoressa si trova così ad affrontare uno dei dilemmi più profondi, se intervenire e salvare delle vite umane (tra l’altro fa parte del primo giuramento di Ippocrate a cui è sottoposto un medico ma è anche uno dei primi doveri come capitano di una nave) o rimanere indifferente. Che fare?

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r. Wolfgang Fischer or. Germania/Austria 2018 distr. Cineclub Internazionale dur. 94’

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tyx, lo Stige, il fiume della mitologia che ostacola, insieme alla sua palude, l’accesso all’Oltretomba dal mondo dei vivi. Il regista austriaco Wolfang Fisher costruisce una metafora amara sul tema dell’immigrazione, nell’incontro fra il mondo capitalistico occidentale, la sua ignavia di fronte alla morte in mare di migliaia di persone, molte delle quali bambini e adolescenti. Ma parla anche dell’impotenza

I due mediometraggi girati con tecnica mista, computer-graphic e stop motion sono due piccoli capolavori che mescolano avventura, divertimento e buoni sentimenti: altruismo, solidarietà, importanza degli affetti. Una strega pasticciona dal cuore d’oro ama la compagnia e le novità. Il cagnolino sognatore, l’uccellino verde escluso dallo stormo, la rana troppo pulita saranno i suoi compagni nella nuova famiglia degli amici. Perché gentilezza e generosità sono sempre ricambiate. Il Signor Bastoncino è un ottimo padre di famiglia che gli avvenimenti costringono a un epico viaggio per ricongiungersi ai suoi cari per il Natale. Quando tutto sembra perduto giunge in aiuto un amico inaspettato: Babbo Natale! Tocca paure profonde, ma è anche un invito a lottare per affermare la propria identità. Due stili grafici diversi, coloratissimo, semplice come la narrazione per blocchi che si ripetono con l’arrivo di nuovi personaggi per La strega Rossella. Mentre in Bastoncino il racconto è più articolato, drammatico. Identica l’immediata comunicatività e comprensibilità per i piccoli. Vedi anche nel n. 133, p. 28. c.d.

e del dolore di chi vorrebbe aiutare e non sa come fare, anche perché spesso gli viene impedito. La protagonista Rike (straordinaria Susanne Wolff,) si imbatte in persone disperate, in fuga dalle guerre e dalla fame e in balia delle onde, in attesa che qualcuno presti loro aiuto. Una riuscita reale sequenza di una violenta burrasca divide il film in due parti: la prima dove la protagonista si gode il viaggio tra letture, tuffi e nuotate, sole e riposo mentre Asia Gray scivola al soffio dei venti. La seconda parte si apre sul dramma di un’imbarcazione danneggiata in procinto di affondare, da cui la gente si butta verso morte sicura, e la crisi di coscienza della dottoressa. La pellicola ha un’impostazione “documentaristica” (campi totali e lunghi a sottolineare il distacco del regista) ma allo stesso tempo si presenta come una tragedia moderna che pone profondi quesiti etici sulla responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’altro essere umano. Lo stile è asciutto, con ellissi narrative, con solo le parole dei messaggi via radio e i brevi dialoghi tra Rike e Kingley il ragazzo salvato. Vedi anche nel n. 132, p. 24. m.ma.


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Sulla mia pelle Il 22 ottobre 2009 viene accertato il decesso di Stefano Cucchi nell’ospedale Sandro Pertini di Roma. La sera del 15 ottobre il ragazzo è fermato dai carabinieri con l’accusa di spaccio e detenzione di droga. Gli agenti perquisendolo trovano due decine di grammi di hashish, un po’ di cocaina e medicinali contro l’epilessia. Il ragazzo è trattenuto in custodia cautelare. Il giorno seguente viene processato con rito direttissimo: nella notte viene picchiato da agenti in borghese e durante il processo ha difficoltà a parlare e a muoversi. Ha lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso, agli occhi, due fratture alla colonna vertebrale. Il giudice stabilisce per lui una nuova udienza, confermando la custodia cautelare. Al processo assiste il padre di Stefano, che fa appena in tempo ad abbracciarlo. I famigliari cercano a più riprese di vedere Stefano, o almeno di conoscerne le condizioni fisiche, senza successo. Le avranno a decesso avvenuto.

r. Alessio Cremonini or. Italia 2018 distr. Lucky Red – Netflix dur. 107’

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er stendere la sceneggiatura Cremonini e Lisa Nur Sultan si sono avvalsi dei verbali dei processi e delle diverse fonti e testimonianze. Sulla mia pelle si sofferma sull’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, dal suo arresto per possesso di stupefacenti, mostrando nella consequenzialità dei fatti una verità che coincide con la tesi della famiglia Cucchi, ovvero che la sua morte sia stata causata dal pestaggio brutale da parte delle forze dell’ordine.

Torna a casa, Jimi! 10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro Smuggling Hendrix A Nicosia, divisa in due, Yiannis, rocchettaro greco-cipriota, ha deciso di trasferirsi. Deve sfuggire ai creditori e placare la proprietaria dell’appartamento dove vive a cui non paga da tempo l’affitto. Ha perso il cane che deve aver attraversato la zona cuscinetto dell’ONU e forse si trova nella parte turca. Il suo timore è confermato da una guardia del check point. Residente nella parte greca da quando l’isola è stata occupata, non ha più messo piede in quella turca. Superato il check point, cerca il soldato che gli sta tenendo Jimi. Ma esiste una legge secondo cui nessun animale, pianta o prodotto può essere trasferito dal settore greco di Cipro a quello turco e viceversa. Con l’aiuto del proprietario della casa dove aveva vissuto prima dell’esproprio, Yiannis farà di tutto per riportare a casa il cane.

r. Marios Piperides or. Cipro/Germania/ Grecia 2018 dist. Tucker Film dur. 93’

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on Torna a casa Jimi! 10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro, Marios Piperides realizza una parabola sul dialogo interculturale, sulla necessità di abbattere frontiere alimentate dal pregiudizio e dalla cultura dell’odio. La scommessa è quella di affrontare il tema della questione cipriota evitando di cadere nel didascalico. Merito di un buon lavoro di scrittura, che riesce a ren-

Cremonini adotta un registro per quanto possibile imparziale, che non formula accuse dirette e neppure omette certe contraddittorietà dello stesso Stefano. Riesce così a creare un film in qualche modo francescano, rigoroso, che concede poco al linguaggio cinematografico. La macchina da presa è molto fissa, si ritrae per consentire agli attori di calarsi efficacemente nei propri ruoli. Ed è nella successione apparentemente non urlata dei fatti, nel modo di procedere rigoroso, per sottrazione - come il non mostrare il momento in cui gli agenti picchiano il ragazzo - che Sulla mia pelle coglie nel segno e rende ancora più esplicita l’accusa e la sua esemplarità nel mettere a nudo le storture di un sistema. Ciò che emerge dal film è l’inaccettabilità, sotto ogni punto di vista - sociale, giuridico, civile - che una persona possa morire non per cause naturali, sotto la responsabilità degli organi di stato. Si può morire anche per chi ha fatto finta di niente è un altro dei temi che il film affronta: la non assunzione di responsabilità di ciascun individuo. Vedi anche nel n. 130/131, p. 21. l.c.

dere comprensibili alcuni nodi cruciali del Paese, col risultato di evidenziare contraddizioni e storture di leggi e divieti. Come quello di trasportare animali o oggetti da una zona a un’altra di Cipro, con cui il malcapitato protagonista di Torna a casa Jimi! deve fare i conti dopo che il proprio cane è finito in territorio turco. L’autore sceglie una struttura narrativa in cui l’affiorare delle dinamiche legate alla risoluzione di una situazione, che di per sé può suscitare un’ilarità spesso anche grottesca, proceda di pari passo con la contrapposizione di due punti di vista, con un problema identitario di non facile risoluzione, dove il dramma affiora anche nella battuta più lieve e carica di umorismo. “Quando passi dall’altra parte”, dichiara il regista, nato a Nicosia, il quale ha potuto attraversare l’isola soltanto nel 2003, all’apertura del checkpoint, “provi un sentimento strano: vedi chi è profugo nel proprio Paese. In fondo siamo le stesse persone e abbiamo le stesse facce: Cipro è una piccola isola, è inaccettabile che sia ancora divisa”. Vedi anche nel n. 135, p. 24. l.c.

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Toy Story 4 Primo giorno d’asilo: la piccola Bonnie costruisce con una vecchia forchetta di plastica un giocattolo, che ribattezza Forky e che diventa il suo preferito. Accolto tra gli altri giocattoli, Forky fatica a comprendere la sua missione e quando la famiglia parte in vacanza tocca a Woody accudirlo e insegnargli cosa significa essere il giocattolo preferito di un bambino. Finito in un negozio di antiquariato, Forky viene poi usato dalla perfida bambola Gabby Gabby per attrarre Woody e impossessarsi del suo riproduttore vocale. Aiutato dalla vecchia amica Bo Peep, da cui era stato separato anni prima, Woody si adopera per liberare Forky e, grazie a Bo Peep e ai suoi nuovi amici di avventura, comprende l’importanza di ritrovare la propria identità e di intraprendere un nuovo cammino, lasciando libera la piccola Bonnie di avere un nuovo giocattolo del cuore.

r. Josh Cooley or. Usa 2019 distr. Walt Disney Pictures dur. 100’

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a saga Pixar continua a ragionare sull’identità dei suoi giocattoli, ripartendo da una nuova proprietaria dopo la svolta conclusiva del terzo capitolo. Lo schema sembra dunque orientato a una reiterazione delle dinamiche più classiche, con Woody messo da parte e costretto a confrontarsi con l’ultimo (e predilet-

Il traditore Nei primi anni ‘80 è in corso una guerra tra i boss della mafia siciliana per il controllo del traffico di droga: da un lato la “vecchia” malavita palermitana, cui si contrappone il gruppo formato dagli agguerriti e “nuovi” corleonesi di Totò Riina. In questo scenario, Tommaso Buscetta, conosciuto come il “Boss dei due mondi”, fugge per nascondersi in Brasile e da lì assiste impotente all’uccisione di due figli e del fratello rimasti a Palermo. Ora lui potrebbe essere il prossimo sulla lista. Arrestato e estradato in Italia dalla polizia brasiliana, Buscetta prende quindi una decisione che cambierà tutto per la mafia: incontrare il giudice Giovanni Falcone e tradire l’eterno voto fatto a Cosa Nostra. Diventa così il testimone chiave del maxi-processo, dove continuerà a confrontare le sue verità con quelle portate avanti dagli amici di un tempo, che ora lo considerano un traditore.

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r. Marco Bellocchio or. Italia/Francia/ Germania/Brasile 2019 distr. 01 Distribution dur. 135’

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a dialettica che Bellocchio innesta sul corpo del racconto è tutta nel segno della visibilità e dell’immaginario: cosa si vede è importante tanto e più di quel che realmente succede. La mafia “di prima” è sintetizzata dalla festa iniziale che sembra allinearsi iconograficamente al matrimonio su cui si fondava il primo Padrino di Francis Ford Coppola: è un’organizzazio-

to) arrivato. Il fatto che stavolta Forky non sia però il giocattolo di nuova concezione alla Buzz Lightyear, ma una creatura sgraziata, creata con mezzi “poveri”, ispessisce i termini del confronto. Forky rappresenta infatti la creatività infantile applicata al concetto di giocattolo, sganciata dalla sua natura strettamente merceologica. Il suo stupirsi di essere “vivo” e non destinato unicamente alla spazzatura inizia così a provocare delle crepe all’interno di quel legame di reciproca dipendenza fra giocattoli e umani da sempre al centro della saga. Anche Woody può così iniziare a pensare al suo essere “vivo” al di là dei momenti in cui serve a un bambino, e a realizzarsi da sé. In fondo, la saga di Toy Story ha sempre prediletto proprio la rappresentazione dei momenti “altri”, in cui i giocattoli agiscono “dietro le quinte” e rivelano la propria mitologia interiore, intessendo relazioni, spesso sfuggendo all’abbraccio stritolante dei bambini più impetuosi. È l’approdo definitivo per la saga, che riflette la crescita del pubblico attraverso l’emancipazione dei suoi personaggi fittizi, cui è finalmente permesso creare storie da sé. d.d.g.

ne fatta di promesse e relazioni da intessere per formare legami, quelli che non a caso saranno i primi a essere travolti dal nuovo corso. Per questo motivo l’accento è posto sulle relazioni affettive di Buscetta, sulla sua famiglia, che molta parte giocherà nelle sue decisioni e su un modo di fare molto esteriore degli affiliati (iconografico appunto) che sarà poi ribaltato nella lunga sequenza del processo, dove i comportamenti più affettati faranno da contrappunto a uno scontro ideologico che scava direttamente nel vissuto e nella psicologia dei personaggi. Tutto il film è perciò caratterizzato da un’idea di proscenio su cui i personaggi si pongono, dove la verità spesso non coincide con ciò che si crede di vedere. L’operazione di Bellocchio, apparentemente fredda nell’impostazione, è invece molto teatrale nell’esasperazione dei caratteri che negano vicendevolmente la reciproca verità, rifiutando spesso gli appellativi di “mafioso”, dichiarando di non conoscersi in barba ai trascorsi reali e gesticolando con la consumata esperienza dei figuranti da commedia dell’arte. Vedi anche nel n. 135, pp. 6 e 7. d.d.g.


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Tre volti Three Faces L’immagine di una giovane donna in un video registrato con il cellulare: si chiama Marziyeh, vive in un villaggio e si sta appellando a un’attrice nota nel Paese perché convinca i genitori a permetterle di fare l’attrice, altrimenti si toglierà la vita. L’attrice Behnaz Jafari, ascoltato il messaggio, abbandonare le riprese di un film per verificare la veridicità del video. Inizia così un viaggio in macchina tra i villaggi dell’Iran profondo - alla guida c’è il regista Jafar Panahi,- durante il quale si intrecciano le vicende di altri personaggi, spesso femminili. Saranno infatti tre le donne protagoniste della storia, come tre sono i volti citati nel titolo. Ogni tappa rappresenta una riflessione sul tessuto politico-culturale del Paese. L’attrice è accolta bene dalla famiglia della ragazza e dalla comunità locale, ma a Marziyeh viene negata la possibilità di svolgere la sua professione. Questo è uno dei misteri del film.

r. Jafar Panahi or. Iran 2018 distr. Cinema di Valerio De Paolis dur. 100’

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bene ricordare che Panhai si trova agli arresti domiciliari a causa del regime liberticida che vige nel Paese, la sua arte riesce a sconfinare grazie alla tecnologia digitale e ai canali social. Tre volti inizia proprio con un video, girato con un cellulare, che veicola un messaggio inquietante: se Marzyeh non riuscirà a realizzare il sogno di diventare attrice si toglierà la

Troppa grazia Lucia, una geometra di 36 anni, disoccupata, vive sola con la figlia tra mille difficoltà, economiche e sentimentali. Il comune finalmente le affida le rilevazioni di un terreno sul quale sorgerà un centro commerciale. Si accorge subito che le misurazioni non coincidono con le mappe. Per paura di perdere il lavoro decide di non sollevare problemi. Mentre continua, viene interrotta da una donna che sembra una profuga. Le offre 5 euro e la ignora. Ma l’immagine torna la sera nella sua cucina e le dice: “Vai dagli uomini e dì loro di costruire una chiesa là dove ti sono apparsa”. Le apparizioni si ripetono, la donna si qualifica come “Madre di Dio”. Lucia, atea, si spaventa, chiede ospitalità a un’amica. La “profuga” diventa aggressiva … L’opinione pubblica, le autorità cominciano a temere; strani fatti accadono, il paese viene inondato, saranno solo le fogne? O …? Finale “esplosivo”.

r. Gianni Zanasi or. Italia/Grecia/Spagna 2018 distr. Bim dur. 110’

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n film sorprendente in cui la grazia non è mai troppa. Imperniato sulle apparizioni, sceglie la commedia, il divertimento per parlare di temi e problemi non banali, come il confronto tra la nostra realtà e un possibile soprannaturale. Mentre il sorriso aleggia anche nel dramma. Non è un film religioso, è uno sguardo ironico e surreale sulla realtà di oggi, situazioni paradossali per persone normali.

vita. Questo è il motore di un viaggio nell’interno dell’Iran, tra i villaggi dove la cultura e la tradizione sono più arretrate rispetto alla capitale. La riflessione di Panhai, come sempre negli ultimi film, non si ferma a sottolineare la differenza tra città e campagna, ma insiste sulla censura, a cui lui stesso è stato ed è sottoposto. Anche questo film infatti è stato considerato “illegale” perché, per le autorità, mina l’onorabilità dell’Iran e degli iraniani. Premiato a Cannes per la Migliore Sceneggiatura, rappresenta anche una riflessione sul cinema e sulla differenza tra finzione e realtà: il regista, e attore, osserva il video inviato da Marzyeh e si interroga sulla sua veridicità, non vedendo stacchi nel montaggio. Qui si annida il primo dubbio, ma anche il nucleo del discorso: qualsiasi forma di rappresentazione non può mai essere identica al Reale e, quindi, veritiera. Come si può, quindi, condannare un artista? Il tema fondamentale diventa quello della libertà di espressione. Ma anche quello della manipolazione delle immagini e delle parole per far propaganda, o comunque orientare l’opinione pubblica. Vedi anche nel n. 132, p. 20. a.m.

È la storia di Lucia, razionale e testarda, che, scoprendo possibili rischi geologici, soffoca la sua esigenza di chiarezza per “portare a casa la giornata”, come il lavoro precario impone. Ma ci sono le visioni. Cui nessuno crede, nemmeno lei, che si rifiuta apertamente di collaborare quando l’apparizione le intima di fermare i lavori. La Madonna insiste nel suo implacabile richiamo etico. E diventa dura, la strattona. Niente di più lontano dalla Santa Vergine del culto mariano. La Madonna del film è “il Mistero immobile e potente che sfiora il nostro confuso giorno per giorno” (Zanasi). E ci rende capaci di esprimere il nuovo e di migliorare il nostro mondo. Tutto è rappresentato con leggerezza. Si ride: attori strepitosi. Il regista cambia registro di continuo, commedia, realismo sociale, favola vagamente religiosa, dissemina gag impreviste. Lo spettatore non sa mai come si arriverà a sintesi. Finale esplosivo in cui non è più così importante scegliere tra soprannaturale e possibile messinscena di una lotta con la propria coscienza. A piacer nostro. Vedi anche n. 132, p. 21. c.d.

numero 136/137· luglio-ottobre 2019

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Unicorn Store Kit non è più una bambina, ha una trentina d’anni, ma vive rifugiata in un’infanzia coatta. Dopo aver fallito negli studi e come artista, ed essere stata sommersa dalle preoccupazioni dei genitori, decide di rivolgersi a un’agenzia interinale per trovare lavoro. Le viene offerto un impiego temporaneo in una compagnia pubblicitaria, dove non sembrano mancare le prospettive di fare carriera. Tuttavia la ragazza, per sfuggire alle insoddisfazioni della sua vita di adulta, desidera riuscire a realizzare i sogni di quando era una ragazzina. L’occasione arriva con l’invito a un fantomatico negozio, il The Store, dove uno strano commesso le offre la possibilità di procurarle un unicorno, quello che Kit ha sempre desiderato. Tuttavia la ragazza dovrà prima dimostrare di poter superare alcune prove, fondamentali per poter attestare di essere in grado di prendersi cura del leggendario animale.

B

rie Larson non si è lasciata sfuggire l’occasione di immergersi in un racconto che offre uno spaccato della generazione di cui lei stessa fa parte, riuscendo a ritagliarsi uno spazio singolare, ai margini della sue precedenti esperienze. Unicorn Store, infatti, sebbene sia distribuito da un colosso dello streaming on-line non ha niente a che vedere con le mega produzioni hollywoodiane che hanno dato grande popo-

L’uomo dal cuore di ferro The Man with the Iron Heart Reinhard Heydrich è un marinaio tedesco che serve con convinzione il suo paese. Accusato di un abuso sessuale proprio mentre intreccia una relazione con Lina, donna ambiziosa e promotrice del pensiero nazionalsocialista, viene espulso dal corpo militare. Dopo il matrimonio Lina lo presenta a Himmler. Tra i due nasce una reciproca stima, tanto che Heydrich verrà promosso a capo del servizio di spionaggio. I contrasti con i reparti delle SA sfociano nell’eliminazione degli oppositori interni al partito ne La notte dei lunghi coltelli. Mentre le SS diventano forza speciale, a Heydrich viene assegnato il compito di cancellare i resistenti di Praga. Ma il governo ceco in esilio a Londra invia due paracadutisti a supporto dei partigiani per uccidere il gerarca nella missione Operazione Antropoide. L’uccisione di Heydrich scatenerà rappresaglie.

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r. Brie Larson or. Usa distr. Netflix dur. 92’

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r. Cédric Jimenez or. Francia 2017 distr. Videa dur. 120’

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ratto dal premiatissimo romanzo storico di Laurent Binet HHhH (Himmlers Hirn heißt Heydrich), L’uomo dal cuore di ferro aggiunge un ulteriore tassello al racconto per immagini dell’ascesa e del perfezionamento della macchina nazionalsocialista. Ambientato per lo più nella capitale ceca, il film non ha struttura lineare. Cédric Jimenez costruisce un intreccio che

larità all’attrice, piuttosto è un film che nasce nel solco di quel cinema indipendente americano che gravita attorno all’immaginario veicolato dal Sundance. Personaggi strampalati, situazioni buffe e un racconto che cerca di affrontare la contemporaneità da una prospettiva più che singolare. Unicorn Store è una storia di formazione, un affresco sopra le righe di una generazione, quella dei trentenni, adolescenti fuori tempo massimo, incompresi e impossibilitati a esprimersi liberamente, ancora alle prese con la ricerca del modo giusto per stare al mondo. Quello generazionale è l’aspetto dell’opera che funziona meglio, perché riesce a svincolarsi con una certa agilità da generalizzazioni troppo marcate. Il grande concentrato di eccentricità che il film contiene, però, spinto fino all’esasperazione, probabilmente è sfuggito di mano in fase di scrittura. Le scelte e le direzioni che prendono i personaggi sembrano trovare una giustificazione solo nelle loro stravaganze, che appaiono insufficienti e forzate a poter mandar avanti una storia che già di per sé riesce a filare liscia senza particolari complicazioni. Vedi anche nel n. 135, p. 25. m.m.

gioca con la fabula, interrompendo il racconto dell’ascesa di Heydrich appena prima dell’agguato che gli costerà la vita. Siamo a poco più di un terzo di film, un’analessi ci riporta indietro: è un salto vertiginoso perché il regista mette letteralmente in pausa la sua storia per andare a pescarne un’altra. Si tratta della missione di due militari cechi in esilio a Londra lanciati nella campagna nei pressi di Praga e raccolti proprio dai membri della Resistenza che tramano contro il gerarca. Il regista, seguendo le fasi della preparazione dell’attentato di fatto sposta il fuoco narrativo sull’Operazione Antropoide. Heydrich c’è ma evocato, un demone terribile da sconfiggere in un’impresa memorabile che, giorno dopo giorno, prende corpo tra dubbi e incertezze. I due paracadutisti e le milizie armate solidarizzano. È tutta la parte centrale del film che culminerà proprio con la trappola che costerà la vita al gerarca, ma che aprirà a un finale violentissimo, scatenato dalla ricerca degli attentatori, da rastrellamenti casuali, da vendette altrettanto casuali su decine di abitanti incolpevoli, in perfetto stile SS. Vedi anche nel n. 133, p. 22. a.l.


DAI 16 ANNI

ANNUARIO 2018

Vice

L’uomo nell’ombra Vice

DAGLI 8 ANNI

Dick Cheney è un fannullone a cui piace alzare troppo il gomito. Lavora come operaio e viene anche arrestato per guida in stato di ebbrezza. Dick però ha un asso nella manica, la moglie Lynne, una donna estremamente ambiziosa. Non ha altra scelta che rimettersi sulla retta via. Grazie ad uno stage alla Casa Bianca, si introduce nei luoghi dove si decidono le sorti del Paese. Lì lavora con Donald Rumsfeld, suo mentore nella scalata verso ambìti incarichi di potere. Come rappresentante del Wyoming ha l’opportunità di tessere una rete di conoscenze e affari, ma i suoi problemi cardiaci lo fanno propendere per ritirarsi nel settore privato. A richiamarlo in politica è George W. Bush, che lo sceglie come candidato vicepresidente. Proprio durante l’amministrazione Bush, complice l’atteggiamento inadeguato del presidente, Cheney riesce ad acquisire un controllo assolutamente inedito.

r. Adam McKey or. Usa 2018 distr. Eagle Pictures dur. 132’

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on Vice- L’uomo nell’ombra, McKey continua a dedicarsi a narrazioni prese direttamente dall’attualità e dalla recente storia politica, senza abbandonare la sua cifra stilistica, ma allo stesso tempo sapendosi rinnovare ed evolvere verso un cinema che mette i personaggi e la loro dimensione umana davanti alla cronaca o ai fatti della storia. Il film non è solo il racconto di un vice qualsiasi, che prende il controllo di

Zanna Bianca Croc Blanc Nello Yukon cresce un piccolo lupo insieme a sua madre. La decisione di un giovane sceriffo di non sparare alla coppia di animali segna un primo contatto con il genere umano. In primavera, la lupa si spinge fino alla tribù di pellerossa di Castoro Grigio; egli riconosce nella lupa la precedente guida della sua muta di cani da slitta e addestra anche il cucciolo, dandogli il nome di Zanna Bianca. Ceduta la lupa a un cacciatore, Zanna Bianca diventa il nuovo capomuta. I cercatori d’oro della città, intanto, vogliono la terra dei pellerossa e Castoro Grigio vende guanti di pelle per riscattarla. Derubato, è costretto a vendere Zanna Bianca che viene addestrato come cane da combattimento. In un feroce duello, Zanna Bianca sembra soccombere, ma viene salvato dallo sceriffo che gli aveva risparmiato la vita. Curato e rifocillato, è lasciato libero di ricongiungersi ai boschi e alla madre.

r. Alexandre Espigares or. Francia/ Lussemburgo/Usa 2017 distr. Adler Entertainment dur. 90’

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ttavo adattamento cinematografico del celebre romanzo di Jack London, uno dei più prolifici e tradotti scrittori americani, vince il primo posto come unica versione in disegno animati. Piccola produzione franco-lussemburghese, ha un regista poco conosciuto, ma già vincitore di un premio Oscar per il cortometraggio, Mr. Hublot.

una nazione in uno dei momenti di crisi più difficili che ci siano mai stati (11 settembre 2001), ma la storia di un sodalizio coniugale improbabile ma efficacissimo nella scalata al potere. L’ascesa di Dick e Lynne è, infatti, il sogno americano nella declinazione più sfacciata e affaristica dell’espressione. McKey stravolge le regole del biopic abbattendo la quarta parete e contaminando la ricostruzione storica con l’inchiesta giornalistica, la satira e lo humor nero. I personaggi sono caricati quasi fino all’eccesso, in particolare il buffo Presidente George W. Bush e il vivace Sottosegretario alla difesa Donald Rumsfeld. Anche la signora Cheney, benché appaia più composta, ha dei tratti che ne fanno un personaggio di derivazione shakespeariana, una Lady Macbeth a stelle e strisce. Ne viene fuori la fotografia di un’America in cui sono le trame segrete a far muovere il Paese. A Cheney vengono anche mosse accuse molto gravi, come quella di aver favorito lo sviluppo delle energie fossili, o di aver creato Al-Zarqawi, ma senza mai fargli perdere i suoi tratti umani. Vedi anche nel n. 133, p. 24. m.m.

Si tratta di un film tutt’altro che scontato, che si distingue sia per l’accuratezza e il buon gusto di immagini e colonna sonora, sia per la scelta di riportare, attraverso la voce narrante, molti brani integrali del romanzo. Toni Servillo rende in modo magistrale la pagina di London, donando agli spettatori la misura dello spessore descrittivo di poderosi scenari naturali e di una precisione rara nelle descrizioni degli stati d’animo del cucciolo di lupo, del suo affacciarsi alla vita e al mondo circostante. Si avverte cioè di essere di fronte a un vero Autore, anche per coloro - come chi scrive - che non hanno letto il romanzo e si genera così un istintivo rispetto per il regista che ha voluto rendere omaggio a un libro amato da intere generazioni di ragazzi. Questo motiva la scelta di definire un destinatario spettatore non troppo al di sotto degli otto anni, aggiungendo il fatto che non vengono eliminate sfumature dolorose della vicenda, a volte crudeli. A differenza di quanto siamo abituati a vedere quando i protagonisti di un film sono animali, Zanna Bianca non opera nessuna semplificazione. Vedi anche nel n. 132, p. 30. c.m.v.

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FILM

Film e Serial europei della stagione

La rivista, trimestrale, recensisce i film

italiani ed europei che escono in Italia e le serie televisive, sempre italiane ed europee. Per ogni produzione riporta cast e credit. È uno strumento di lavoro utile per chi voglia avere un panorama della produzione cinematografica e televisiva nazionale e dell’Europa, una rivista di ricerca e approfondimento per cinefili e studiosi, per animatori culturali e insegnanti. Un archivio storico prezioso per Scuole, Università e Biblioteche. Il costo dell’abbonamento annuo è di €26,00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma - Tel/Fax 06.6382605 - email: info@cscinema.org Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org www.centrostudicinematografici.it

Bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola Anno XXXV, nuova serie, supplemento al n. 136/137 luglio-ottobre 2019 Rivista del Centro Studi Cinematografici 00165 Roma, Via Gregorio VII, 6 Tel. e fax: 06 6382605 info@cscinema.org · www.cscinema.org www.centrostudicinematografici.it © Centro Studi Cinematografici In collaborazione con Centro Studi per l’Educazione all’Immagine di Milano ISSN 1126-067X Un numero euro 6,00 Aut. Trib. di Bergamo n. 13 del 30 aprile 1999 Alla rivista si collabora solo su invito della redazione. Testi e immagini vanno inviati a: ragazzoselvaggio@gramma.it Progetto grafico e impaginazione jessica benucci - www.gramma.it

Direttore responsabile Maria Gamba Redazione Andrea Bettinelli, Massimo Causo, Luisa Ceretto, Davide Di Giorgio, Anna Fellegara, Silvio Grasselli, Alessandro Leone, Flavio Vergerio, Giancarlo Zappoli Collaborazione alle ricerche iconografiche Giuseppe Foroni Segreteria di redazione Cesare Frioni Stampa e confezione Tipostampa per conto di Joelle srl Città di Castello (PG) Finito di stampare: luglio 2019

Pubblicazione realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Rivista riconosciuta con il criterio di scientificità dall'ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione Universitaria e della Ricerca) per quanto riguarda la classe 11 (Scienze Storiche, Filosofiche, Pedagogiche e Psicologiche).

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Ricordiamo che, grazie alla Direttiva Ministeriale n. 70 del 17 giugno 2002, è operativa l’azione di rimborso per le spese di autoaggiornamento degli insegnanti. Tra le spese rimborsabili sono previste anche quelle relative ad abbonamenti a riviste specializzate.


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