Film n. 20 ottobre - dicembre 2021

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Anno XXVII (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

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CENTRO STUDI CINEMATOGRAFICI


Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: info@cscinema.org Aut. Tribunale di Roma n. 271/93

F I L M

Anno XXVII n. 20 ottobre-dicembre 2021 Trimestrale di cultura multimediale

Freaks Out Ultima notte a Soho Tutti per Uma Sibyl - Labirinti di donna Il mostro della cripta Scompartimento n. 6 - In viaggio con il destino Boys Tre piani Semina il vento Ariaferma Il silenzio grande France I am Zlatan Mondocane Il bambino nascosto Titane Sette donne e un mistero Con tutto il cuore 3/19 La casa in fondo al lago La persona peggiore del mondo Dreambuilders - La fabbrica dei sogni Ancora più bello Occhi blu Io sono Babbo Natale Illusioni perdute Jazz noir. Indagini sulla misteriosa morte del leggendario Chet Tigers Un anno con Salinger Madres paralelas Divorzio a Las Vegas La brava moglie La scelta di Anne. L’évenement Volami via Supereroi Annette Per tutta la vita

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SOMMARIO

Tutta colpa di Freud - La serie Anna Tribes of Europa Temple

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Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Silvio Grasselli Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Giulia Angelucci Gaia Antonini Veronica Barteri Elena Bartoni Alessio D’Angelo Giallorenzo Di Matteo Leonardo Magnante Fabrizio Moresco Flora Naso Andrea Trifoni

Pubblicazione realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema Ministero della Cultura

Stampa: Joelle s.r.l. Via Biturgense, n. 104 Città di Castello (PG)

In copertina In alto Freaks out di Gabriele Mainetti, Belgio, Italia 2021. Al centro Ultima notte a Soho di Edgar Wright, Gran Bretagna 2020. In basso Tutta colpa di Freud (serial) di Rolando Ravello, Italia 2021. Progetto grafico copertina a cura di Jessica Benucci (www.gramma.it)


di Gabriele Mainetti

FREAKS OUT

Origine: Belgio, Italia, 2021

Nella Roma sotto l’occupazione nazista, Israel è un mago ebreo che gestisce un circo ambulante, in cui si esibiscono: Fulvio, l’uomo lupo dalla forza straordinaria; Mario, il nano calamita; Cencio, capace di controllare gli insetti; Matilde, la ragazza elettrica. Dopo la distruzione del circo, Israel vuole fuggire in America per cominciare una nuova vita, sebbene Fulvio abbia paura che, senza lo spettacolo, finirebbero per essere solo dei freaks ma, al di là dei timori, tutti scelgono di seguirlo. Dopo la scomparsa di Israel, allontanatosi per acquistare i documenti necessari, il gruppo crede che sia fuggito con i loro soldi, mentre Matilde teme che sia stato arrestato. Fulvio propone di cercare lavoro al Zirkus Berlin, gestito dal folle nazista Franz, nato con dodici dita delle mani e capace di vedere il futuro, consapevole del crollo del Reich ma creduto solo dalla sua amata Irina. L’uomo è alla ricerca dei quattro individui straordinari delle sue visioni, unica possibilità per salvare la Germania, per cui tortura i freaks che si presentano da lui e li ucciderebbe se privi di abilità straordinarie. Fuggiti da un rastrellamento grazie ai loro poteri, Cencio accusa Matilde di essere una vigliacca per non essere intervenuta, incapace di controllare la sua elettricità. I tre uomini raggiungono il circo, dove vengono catturati e torturati; Matilde invece va alla ricerca di Israel e incontra un gruppo di partigiani capitanati dal Gobbo, desideroso di usare i poteri della giovane contro i tedeschi. I partigiani assaltano un camion diretto alla stazione Tiburtina per liberare i prigionieri, tra cui Israel, ma falliscono a causa di Matilde,

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non pronta a usare i suoi poteri, ancora in colpa per aver erroneamente ucciso suo padre. La giovane parla con il Guercio, l’unico a conoscere Franz, che le racconta che quest’ultimo, deriso per la sua deformità e per la sua follia, vuole tornare a Berlino con un gruppo di superuomini come regalo per Hitler. Matilde arriva al circo ma viene catturata da Franz che, avendo trovato i quattro delle sue visioni, li fa esibire durante il grande spettacolo ma viene deriso quando i protagonisti non danno prova dei loro poteri, per cui ordina di bruciarli vivi. Matilde usa la sua elettricità e fugge con i suoi amici, intenzionati a fermare il treno della morte diretto in Germania su cui si trova Israel, inseguiti dai soldati radunati da Franz, a conoscenza del loro piano grazie alle sue visioni. I protagonisti riescono a fermare il treno e a far scendere i prigionieri, ma vengono raggiunti dai tedeschi che aprono il fuoco. Israel rimane ferito per salvare Matilde ma riesce a portarla in salvo, mentre Fulvio, Mario e Cencio, aiutati dai partigiani, combattono contro l’esercito di Franz. Prima di morire, Israel incoraggia Matilde a non aver paura di sé, per cui la giovane controlla i suoi poteri e incenerisce i nemici. Franz sopravvive ma, di fronte alla morte di Irina e all’ineluttabile sconfitta della Germania, si uccide. Matilde, ormai in grado di controllare la sua elettricità, può abbracciare liberamente i suoi amici e baciare Cencio.

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Affidandosi al personaggio di Tirabassi in veste di portavoce diegetico di Mainetti, la funzione 1

Produzione: Andrea Occhipinti, Gabriele Mainetti per Goon Films, Lucky Red, Con Rai Cinema, in coproduzione con Gapfinders, in Associazione con Voo e Be TV Regia: Gabriele Mainetti Soggetto: Nicola Guaglianone Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti Interpreti: Claudio Santamaria (Fulvio), Aurora Giovinazzo (Matilde), Pietro Castellitto (Cencio), Giancarlo Martini (Mario), Giorgio Tirabassi (Israel), Max Mazzotta (Il Gobbo), Franz Rogowski (Franz) Durata: 141’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 28 ottobre 2021

enunciativa del prologo invita il pubblico ad affrancarsi momentaneamente dalla dimensione ordinaria per calasi nel regime del magico, esponendo i punti salienti dell’intera operazione dell’autore: la centralità dell’attrazione, la cura per la costruzione dello spettacolo visivo messa in atto da Israel/ Mainetti, la specifica caratterizzazione musicale di ogni personaggio, finanche la violenta irruzione del reale attraverso il bombardamento che pone fine allo spettacolo e alla vita di molti suoi spettatori. La componente immaginifica strutturata sulle coordinate della Storia è ormai consolidata nel fantastico internazionale (dal cinema di Del Toro al Suspiria di Guadagnino), già radicata in una certa tradizione neorealista che


l’autore omaggia costantemente, da cui la centralità simbolica del cavallo bianco di desichiana memoria, considerato da Lino Micciché come emblema dell’incursione fiabesca nel regime disumano del mondo adulto del celebre Sciuscià. Accostando il Rossellini di Roma città aperta (Matilde che insegue il furgone su cui è tenuto prigioniero Israel, rimandando alla celebre Anna Magnani) e di Paisà (i bambini sulle macerie) allo Spielberg di E.T., passando attraverso il Browning di Freaks e i tipici assalti al treno da film western, Freaks Out si imbizzarrisce concordemente al suo titolo davanti al maelström incontenibile di rimandi e omaggi su cui si struttura, coerente nel suo esporsi come pastiche manierista ma non didascalico, cinefilo ma non autoreferenziale. Considerando l’esorbitante budget alle sue spalle, non si può che lodare la spettacolarità estetica magistralmente diretta da Mainetti tanto nella gestione visiva quanto sonora, data la particolare attenzione nei confronti dell’accompagnamento musicale ereditata da suo zio Stefano (compositore

per registi come Fulci, D’Amato, Soavi...) e ispirata da Ennio Morricone per la caratterizzazione di ogni personaggio attraverso uno specifico strumento e tema. Al contempo, nonostante il talento del cast e un impianto metaforico che rinvia al programma nucleare tedesco, narrativamente il film sembra funzionare a intermittenza forse proprio perché funziona alla perfezione, graniticamente fedele al classico viaggio dell’eroe che non viene né messo in discussione né rielaborato, da cui l’incontro con gli aiutanti nella foresta, l’attendibile dipartita del mentore, la scarsa consapevolezza dei propri poteri e così via. Se la prima parte sembra affine alla crudezza tipica di un certo fantasy d’autore (penso alla violenza franchista de Il labirinto del fauno), non risparmiando al pubblico bambini feriti o la spietata esecuzione di un ragazzo affetto da sindrome di Down che tenta di sfuggire ai rastrellamenti, finanche torture, nudi integrali e allusioni erotiche, la seconda metà si lascia trainare da una deriva più mitigata e dalla facile risoluzione. L’impressione è quella di trovar-

di Edgar Wright

si di fronte alla strada narrativa più convenzionale e rassicurante, opposta per esempio alla graffiante e bizzarra deriva pulp del Tarantino di Bastardi senza gloria o allo straziante crescendo emotivo del Waititi di Jojo Rabbit, rinunciando a una rielaborazione più autoriale dell’impianto fiabesco tipica dei lavori di Matteo Garrone, capace di rendere anche il suo Pinocchio un film sottilmente politico, al di là del mero spettacolo visivo. Di conseguenza viene meno quell’approccio più personale apprezzato in Lo chiamavano Jeeg Robot a favore di un impianto narrativamente più consueto ma, nonostante ciò, è innegabile che Freaks Out rimanga un prodotto di intrattenimento di altissimo livello, uno spettacolo costruito specificatamente per la sala cinematografica nonostante l’ammiccamento delle piattaforme streaming, in grado di aprire uno spiraglio per il rinnovamento del nostro cinema di genere, da cui la volontà di Mainetti di esplorare, prima o poi, gli oscuri meandri dell’horror. Leonardo Magnante

ULTIMA NOTTE A SOHO

Origine: Gran Bretagna ,2020 Produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Nira PARK, Edgar Wright per Film4, Working Title, Focus Features Regia: Edgar Wright Soggetto: Edgar Wright Sceneggiatura: Edgar Wright, Krysty Wilson-Cairns Interpreti: Anya Taylor-Joy (Sandie), Thomasin McKenzie (Eloise), Matt Smith (Jack), Terence Stamp (Lindsay), Diana Rigg (Miss Collins), Rita Tushingham (Peggy Turner), Lisa McGrillis (Detective 1), Michael Ajao (Detective 2), Synnøve Karlsen (Jocasta) Durata: 118’ Distribuzione: Universal Pictures International Uscita: 4 novembre 2021

Ellie, amante degli anni ’60, vive in Cornovaglia con la nonna, dopo il suicidio della madre, che continua a vedere riflessa allo specchio. La giovane si trasferisce a Londra per studiare come fashion designer, sebbene la nonna tema che la vita metropolitana possa gravare sulla sua salute mentale. Non integrandosi con le sue colleghe, Ellie si trasferisce in un monolocale di proprietà dell’anziana Miss. Collins. Di notte, la giovane sogna di ritrovarsi nella Soho degli anni ’60,

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in cui osserva la vicenda della bellissima Sandie, una delle tante inquiline della sua stanza, aspirante cantante legata sentimentalmente a Jack, manager di giovani promesse. Folgorata dalla bellezza di Sandie, Ellie tenta di ricreare il suo vestito, cambia il colore dei capelli e l’outfit per assomigliarle, attirando l’attenzione di un misterioso anziano. Nei sogni, Ellie scopre che Sandie è stata ingannata da Jack, in realtà gestore di un nightclub in cui le ragazze sono costrette a prosti-


tuirsi; la protagonista si identifica con il dolore di Sandie, perdendo il contatto con la realtà e percependo la presenza spettrale dei suoi clienti. La sera di Halloween, mentre sta per fare sesso con il suo amico John, Ellie è interrotta dall’orribile visione di Sandie pugnalata a morte da Jack, per cui intende renderle giustizia denunciando l’omicidio alla polizia, credendo che il misterioso anziano sia l’assassino, ma ovviamente non viene creduta. Ellie svolge delle ricerche ma non trova alcun articolo inerente al delitto, per cui sceglie di affrontare l’anziano; quest’ultimo viene investito da un’auto e la giovane scopre che non è Jack, bensì un ex poliziotto che aveva proposto a Sandie di fuggire da quella vita. Ellie decide di lasciare Londra e, quando lo comunica a Miss. Collins, quest’ultima le fa presente che la polizia è passata a indagare. L’anziana in realtà è Sandie: la visione di Ellie era errata, essendo stata lei a uccidere Jack e tutti gli uomini che hanno abusato di lei. L’anziana tenta di uccidere anche Ellie ma, in una colluttazione, una sigaretta accende una scatola di vinili e dà fuoco alla casa. L’assassina ferisce John, accorso per salvare Ellie, a cui appaiono i fantasmi delle vittime per chiederle di vendicarli uccidendo Sandie, sebbene la protagonista si rifiuti. Trovandosi di fronte agli spettri, l’anziana confessa di non aver mai voluto quel sangue, nonostante meritassero di morire e, percependo le sirene in lontananza, permette a Ellie di fuggire con John, preferendo morire nell’incendio piuttosto che essere arrestata. Tempo dopo, Ellie cura una sfilata di successo, applaudita dai suoi cari. Dopo sua madre, la giovane osserva allo specchio il riflesso di Sandie, che le soffia un bacio.

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ne di Thomasin McKenzie, emerge quanto l’amore sia la forza strutturante l’intera vicenda. Nonostante diversi rimandi ad autori come Hitchcock, Satoshi Kon, Refn, il film costruisce le dinamiche tra le protagoniste attingendo prevalentemente all’erotismo del giallo all’italiana e, in particolare, a Dario Argento, grande narratore di desideri frustrati nonostante la sua poca incidenza su esplicite scene di sesso e seduzione rispetto ad altri registi del tempo. Determinando le dinamiche narrative e psicoanalitiche, Londra definisce le condizioni psicologiche richieste al soggetto urbano attraverso un’intensificazione della vita nervosa: tra luci al neon e traffico cittadino, il soggetto provinciale è costretto a trovare il suo posto nella macchina urbana senza sopperire a essa (le diverse volte in cui Ellie rischia di essere investita), né perdere il contatto con la realtà. L’arrivo a Soho ha la funzione di catalizzare il progressivo indebolimento psichico di Ellie attraverso quell’energia cittadina che il blasé descritto da Simmel evitava per non farsi coinvolgere sentimentalmente, da cui l’emersione di un vorticoso mondo interiore conseguente allo stato di vulnerabilità a cui la protagonista è esposta. A incarnare l’emblema di un’energia non più urbana ma libidica è la magnetica Anya Taylor-Joy: portatrice del cortocircuito tra diegetico e visivo tipico del giallo italiano, caratterizzato da sceneggiature dai deboli nessi causali a vantaggio dello sperimentalismo estetico, Sandie è il baricentro di un progetto visivo che conferma quanto, sebbene la narrazione tenda alla classica formazione della coppia Ellie-John, la messinscena non arrivi mai a esaltare quest’ultimo rispetto all’ammaliante femme fatale, attingendo a marche stilistiche Sin dall’esemplificativa del genere come la smerigliatura A world without love che del quadro, tipica di autori come accompagna l’apparizio- Lenzi o Carnimeo. 3

Wright mette in scena il lato minaccioso dell’innamoramento attraverso l’emersione di un ignoto mondo immaginale che per Carotenuto è sempre narrazione del sé attraverso l’altro, capace di stravolgere l’esperienza percettiva dell’innamorato, già distorta dall’energia urbana. Senza leziosaggini, l’amore si svela come oscuro desiderio di dipendenza e di fusione con l’altro, collocato al posto di un freudiano ideale dell’Io irraggiungibile, possessore di quella perfezione che il soggetto desidera (il cambiamento fisico di Ellie), pagando a caro prezzo il progressivo indebolimento dell’Io. Forse è proprio il canto di Downtown il catalizzatore definitivo dello squilibrio mentale di Ellie, canzone in cui si attende quell’incontro benefico che lo sguardo di Sandie ritrova in Jack piuttosto che nella protagonista, invisibile ai suoi occhi come durante la voyeuristica sequenza di sesso che interrompe il secondo sogno, di cui il terzo è diretta conseguenza attraverso la schiavizzazione feticistica dell’oggetto d’amore, affinché possa essere sottomesso e salvato idealisticamente dall’amante ignorata. Il plot twist finale coglie pienamente il nodo cruciale della poetica di Argento: la relazione tra vittima e carnefice come gioco erotico e amoroso mirato al mantenimento del segreto altrui (il mistero), che si cerca di svelare (la detection) pur nella manipolazione (in)volontaria del dettaglio risolutivo (la


falsa visione) affinché paradossalmente il mistero dell’altro rimanga tale per la salvaguardia del sentimento amoroso. E se la Legge (la polizia) rischia di svelare il mistero dell’altro, quest’ultimo non può che rivelarsi, nella speranza di un primo e ultimo coito mortale, ricercato attraverso il sensuale e sadico corteggiamento omicida sulle note della romantica You’re My World, cantata da Sandie mentre terrorizza Ellie con un coltello. Ma se

il gioco è minacciato dalla Legge e dal senso di colpa (i fantasmi), o si raggiunge il massimo godimento sadico nell’uccisione di Ellie, distruggendo per sempre tale meccanismo amoroso, o la si salva nel sacrificio del proprio desiderio, affinché, recuperando la propria identità grazie a tale gesto d’amore, Ellie possa permettere a Sandie di vivere in eterno attraverso i suoi abiti, non interrompendo mai questa romantica rincorsa.

di Susy Laude

Apprezzato da Dario e Asia Argento, il film di Wright è tra gli omaggi al genere più maturi, retto dal talento delle due protagoniste, capaci di portare sullo schermo due modelli di femminilità di grande spessore, erotiche ma mai volgari o caricaturali, valorizzate da un attento sguardo registico, abile nella definizione di un erotismo senza oggettivazione. Leonardo Magnante

TUTTI PER UMA

Origine: Italia, Austria, 2021 Produzione: Camaleo, Elly Film, Vision Distribution, in collaborazione con Sky e Prime Video Regia: Susy Laude Soggetto: Alessandro Bardani, Paola Pessot, Severino Iuliano Sceneggiatura: Sole Tonnini, Paola Pessot Interpreti: Pietro Sermonti (Ezio), Lillo Petrolo (Dante), Antonio Catania (Attila), Dino Abbrescia (Viktor), Laura Bilgeri (Uma), Gabriele Ansanelli (Francesco), Valerio Bartocci (Emanuele), Carolina Rey (Viola), Pujadevi Elisa Lepore (Contessa Coco), Nico Abbrescia (Jonas), Nico Di Renzo (Arturo), Fabrizio Nardi (Guido), Martina Galluccio (Aurora), Susy Laude (Moglie di Viktor), Heinz Arthur Boltuch (August Huber) Durata: 99’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 2 giugno 2021

I Ferliga sono una famiglia di viticoltori composta da cinque maschi: il protagonista e voce narrante Emanuele, il fratello Francesco che ha abbandonato il sogno

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di ballare quando la madre Fiore è morta, il papà Ezio, apicoltore e produttore di uno strano miele amaro, il nonno Attila, l’unico che ha sempre portato avanti l’azienda di famiglia, il fratello minore del nonno, Dante, scapolo ozioso e depresso, dedito solo ai suoi video, il cane Mimmo. Emanuele ha sette anni e tutti lo chiamano Nano. L’azienda vinicola è piena di debiti, l’avido banchiere Viktor propone ad Attila di ipotecare casa e azienda. Ma mentre Attila sta per firmare, si sente male. In ospedale l’uomo non riesce né a parlare, né a scrivere. A casa Ezio e Dante non sanno come fare: chi si occuperà ora dell’azienda? Dopo pochi giorni, Attila torna a casa: Ezio e Dante lo informano che hanno pensato che l’unica persona che può aiutarli è Viktor. Nel frattempo la casa si popola di strani personaggi, tra i quali la contessa Coco, da sempre innamorata del nonno. La donna cade e si infortuna alle braccia per colpa di Emanuele che viene mandato dal papà nella stanza del castigo. Ma proprio quella notte, in quella buia camera, irrompe una bella ragazza con un mantello verde; è una principessa austriaca, scappata dal suo regno dopo avere litigato col fidanzato. Emanuele e Fran4

cesco le propongono di restare lì con loro e decidono di ribattezzarla Uma, ispirandosi al poster con Uma Thurman che hanno appeso in camera. Il mattino dopo Francesco la presenta come ragazza alla pari mandata dalla scuola, è austriaca e insegnerà loro il tedesco. Gli uomini della famiglia accolgono Uma. Durante l’annuale festa della vendemmia, Attila riacquista l’uso della parola, prende atto che l’azienda è piena di debiti ma sostiene di non voler vendere ai cinesi, poi dice che Viktor lo ha costretto a firmare un’ipoteca. Viktor sorride pensando che presto sarà tutto suo. Nei giorni seguenti l’effetto della presenza di Uma si fa sentire. Francesco riacquista la fiducia nelle sue doti di ballerino e si iscrive a un talent di danza, ignorando i compagni che lo bullizzano. Attila fa autocritica sul suo operato, poi sprona Ezio e Dante a essere più collaborativi. Uma lega sempre di più con i Ferliga giocando una partita di pallone con loro mostrando tutto il suo talento calcistico. La ragazza riesce anche a stimolare Ezio a uscire dalla sua dimensione solitaria: forse il miele delle sue api è amaro da quan-


do non lo fa più insieme alla sua amata moglie. Lo invita a uscire con altre donne, ritrovare l’amore potrebbe far bene a lui e alle sue api. Ezio accetta il consiglio. La contessa scopre che Uma non è una tata ma una principessa austriaca. Poco dopo a casa Ferliga arrivano due guardie reali che stanno cercando la principessa, la sua presenza è richiesta a corte. I Ferliga accusano Uma di aver mentito; la ragazza è costretta ad andare via. Emanuele si nasconde nell’auto che sta riportando la giovane a corte. Dopo tanti incontri deludenti, Ezio trova un’intesa con Viola, la cameriera di una caffetteria. Nel frattempo, Viktor cerca di favorire il figlio Jonas nella finale del talent, pur consapevole che Francesco balla meglio di tutti. Viktor dice ad Attila che la sua banca si prenderà carico dei suoi debiti, lui diventerà socio di maggioranza, pur garantendogli che rimarrà presidente dell’azienda. In cambio gli chiede di convincere Francesco a non partecipare alla finale del talent per favorire suo figlio. Attila promette che fermerà Francesco. Dopo essere stata sollecitata dal padre a sposarsi con il principe, Uma torna a casa Ferliga con Emanuele. Tutta la famiglia va al talent di ballo mentre a casa Emanuele si trova faccia a faccia con il principe, venuto a cercare Uma. Dopo aver fatto addormentare il principe con un sonnifero, il bambino raggiunge la famiglia. Dopo l’esibizione di Jonas, Attila non riesce a fermare Francesco che sale sul palco strappando gli applausi. È lui il vincitore. Viktor minaccia Attila di rovinarlo. Poi, disperato, crolla e informa Attila che non ha mai firmato l’ipoteca. Jonas ammette la sconfitta e si complimenta con Francesco. Anche Dante riacquista la fiducia in se stesso dicendo che ha realizzato un bel video pubblicitario. A casa, Uma sveglia con un bacio il princi-

pe: ha vinto tutte le sue paure e ha capito che gli vuole bene. Uma va via col principe su un cavallo bianco che prende il volo sotto gli occhi di Emanuele. Una famiglia sgangherata ma simpatica, una principessa, un principe, un bambino voce narrante, una contessa, il cattivo e avido di turno. Come in tutte le favole che si rispettino, non manca nessuno. Ma qui c’è di più: c’è un vigneto gestito da un padre-padrone indebitato fino al collo, un apicoltore che produce miele amaro, un regno lontano e una principessa triste, ma anche un talent di ballo, i bulli di turno, il ragazzo talentuoso anche se un po’ sovrappeso, A metà strada tra il fantasy e la fiaba vera e propria (tanti sono i riferimenti, da Mary Poppins a La bella addormentata nel bosco qui sovvertito con la principessa che bacia il principe), il film resta un po’ indeciso sulla strada da prendere, rimanendo sospeso tra il film per bambini e la commedia capace di parlare anche ad un pubblico adulto. Restano alcune tematiche interessanti: la lotta al bullismo in testa a tutte, portata avanti dal personaggio del fratello del piccolo ‘Nano’ protagonista, un ragazzino dotato di grande talento nel ballo che dà vita a una delle scene più riuscite del film. La gara di ballo in cui due ragazzini rivali si sfidano a colpi di coreografie resta una delle scene più gradevoli. Il tema fiabesco è svolto dal personaggio di Uma, ragazza coraggiosa, fuggita da una corte dove il papà la vuole indurre a nozze con un principe. A lei è affidato il compito di ridare energia agli uomini della famiglia Ferliga. È grazie alla bella principessa 2.0 (con inaspettate doti calcistiche) che il nonno Attila fa autocritica sui suoi modi autoritari, ed è sempre

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grazie a lei che il fratello minore Dante, inconcludente videomaker, riuscirà ad acquistare fiducia in se stesso, ed Ezio riuscirà a uscire dalla sua dimensione solitaria (chiuso in una tuta in compagnia delle sue api). In questo senso il film ha il merito di rovesciare luoghi comuni ancora duri a morire come la danza è “roba da femmine” e “il calcio è uno sport per soli uomini”. Forse i troppi riferimenti, da film come Little Miss Sunshine, i Goonies e Jojo Rabbit, a una spruzzata di E.T., fino alle comiche di Stanlio e Ollio e ai musical Disney, indeboliscono il potenziale di questa stramba fiaba agreste ambientata tra il verde dei filari delle viti e il rosso dei tramonti. Vanno comunque encomiate le intenzioni e la ricchezza di spunti che Susy Laude, qui al suo esordio nella regia di un lungometraggio, riesce a mettere in campo. Grazie anche alle esperienze maturate nei corti, nei palchi di teatro per ragazzi e sul web, nei set di commedie e fiction, la regista costruisce un mondo visionario tutto al maschile nella prima parte in cui una giovane donna venuta da lontano piomba come ‘deus ex machina’ a salvare grandi e piccini. Ma chi è davvero Uma? (una ragazza austriaca dal nome impronunciabile ribattezzata, guarda caso, come l’attrice che interpreta l’eroina del Kill Bill tarantinano): una moderna Mary Poppins? Una fata del terzo millennio? Una principessa in crisi che si domanda perché debba sposare per forza il principe azzurro? Degna di nota l’attenzione alle musiche e ai costumi: dalle tute da ginnastica alla felpa con il cappuccio del piccolo protagonista. Indovinato il cast: da Antonio Catania nei panni del nonno Attila, a Pietro Sermonti nel ruolo di Ezio apicoltore triste, a Lillo Petrolo che incarna un perfetto zio videomaker stralunato e perdigiorno, fino a un


Dino Abbrescia (marito della regista) capace di infondere i giusti lampi mefistofelici all’avido banchiere Viktor. “La fantasia è un posto dove ci piove dentro”: non a caso la regista ha usato questa citazione da Calvino per ribadire la convinzione che la fantasia non è un cartone animato, né tantomeno una cosa finta. Già, quella poesia della fantasia, qui perfettamente rappresentata

dal castello austriaco da dove è fuggita la principessa Uma. Gli aspetti meno convincenti di un film che a tratti lascia la sensazione di assistere a una serie di sketch non supportati da una struttura solida, sono riscattati dal tema forte che lo tiene in piedi: il potere della fantasia e, perché no, dei sogni. Le corse in bicicletta del piccolo ‘Nano’ tra le viti con un cappuccio rosso ricordano per

di Justine Triet

certi versi quelle del protagonista di E.T., come il potere liberatorio del ballo messo in scena dall’altro giovanissimo interprete del film (il talentuoso Gabriele Ansanelli) come inno alla vita e alla libertà non fanno che ribadire un assunto mai scontato: quanto sia vitale la forza dei sogni per continuare a vivere. Elena Bartoni

SIBYL - LABIRINTI DI DONNA

Origine: Francia, Belgio, 2019 Produzione: David Thion, Philippe Martin per Les Films Pelléas, in coproduzione con France 2 Cinéma, Les Films De Pierre, Page 114, Auvergne-Rhône Alpes Cinéma, Scope Pictures Regia: Justine Triet Soggetto e Sceneggiatura: Justine Triet, Arthur Harari Interpreti: Virginie Efira (Sybil), Adèle Exarchopoulos (Margot), Gaspard Ulliel (Igor), Sandra Hüller (Mika), Niels Schneider (Gabriel), Paul Hamy (Etienne), Arthur Harar (Dott. Katz), Laure Calamy (Edith) Durata: 100’ Distribuzione: Valmyn V.M.: 14 Uscita: 2 settembre 2021

Sibyl, una psicologa ormai stanca del proprio lavoro, sente nuovamente il desiderio di tornare alla sua prima passione, la scrittura: dunque, la donna, senza ulteriori indugi, chiude quasi tutte le terapie in corso con i suoi pazienti più problematici per potersi dedicare totalmente alla stesura del suo romanzo. Ma ben presto, si rende conto di non riuscire a trovare l’ispirazione giusta come le accadeva un tempo e le ore dedicate alla scrittura diventano sempre più pesanti e improduttive. Fino a quando, un giorno Sibyl viene contattata telefonicamente da Margot, una giovane attrice emergente, che le chiede disperata di poterla aiutare: il problema

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è una relazione piena di contrasti con un suo collega, Igor, con il quale sta lavorando in un film come co-protagonista diretto da Mika, la moglie di quest’ultimo. Per motivi che nemmeno lei sa spiegarsi, Sibyl prende in cura questa unica e ultima paziente, e diventa per lei non solo fonte di ispirazione per il suo romanzo ma soprattutto un punto di riferimento imprescindibile per quanto riguarda il sostegno psicologico della giovane (convincendola anche a portare avanti la gravidanza); in seguito, la psicologa si identificherà ben presto in lei, in quanto ha avuto alle spalle una relazione problematica e un passato da alcolista. Affascinata da lei quasi fino all’ossessione, Sibyl finisce con l’essere sempre più coinvolta nella tumultuosa vita di Margot: si recherà fino a Stromboli per supportarla durante le riprese del suo film e andando a letto perfino con Igor, tradendo la fiducia sia della stessa Margot che di Mika. Ritornata a Parigi, Sibyl torna alla sua vecchia vita dedicandosi ai suoi pazienti e al compimento del suo romanzo, riuscendo infine a farlo pubblicare. Nonostante ciò, né la sorella né il suo compagno hanno letto il suo libro. Alla première del film di Mika, Sibyl cade in preda all’alcol e si 6

ubriaca fino a non riuscire a reggersi in piedi; in seguito, confesserà a Margot di essersi ispirata a lei per un personaggio del suo romanzo cosa che non darà fastidio alla giovane, ma anzi la lusingherà. Sibyl partecipa nuovamente alle riunioni degli alcolisti anonimi per far fronte a questo problema che la affligge da anni. In conclusione, Sibyl riferisce al pubblico che ha imparato dalla sua esperienza di tenere le distanze dalle persone e le comprende come personaggi di un romanzo. La sua vita è una finzione che riesce a plasmare a suo piacimento. A distanza di circa tre anni dal successo di pubblico e di critica con Tutti gli uomini di Victoria - nomination ai Premi César 2017 come miglior film, migliore attrice (Virginie Efira), migliore attore non protagonista (Vincent Lacoste e Melvil Poupaud) e migliore sceneggiatura originale - la regista neoquarantenne Justine Triet tenta di proseguire ancora una volta la sua esplorazione all’interno dell’universo femminile attraverso un ambizioso mélange tra dramma psicologico

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e commedia in cui si alternano tematiche e registri cinematografici differenti - dalla crisi d’identità al tema del doppio, dalla maternità alla passione, dalla rivalità femminile alle dinamiche di coppia - senza però riuscire ad approfondirne uno. Il risultato è un film stucchevole e fin troppo verboso che, nonostante le premesse iniziali, finisce per aggrovigliarsi su se stesso, attraverso un turbinio di dettagli, sottotesti, simbolismi e forzati intenti autoriali che non fanno altro che creare una confusione narrativa priva di una vera e propria risoluzione finale. Eppure l’idea della psicologa-scrittrice che cerca di ritornare alla sua prima passione, la scrittura, era un buon viatico, così come quella di far confluire il personaggio di Margot con quello di Sibyl mediante un affascinante gioco di specchi tra realtà e fantasia letteraria. Non a caso, il cinema della Triet fa leva soprattutto su questa ambiguità tra quello che accade realmente e i pensieri/desideri/incubi della protagonista. Quello che

succede - a cominciare dal rapporto con l’amante - potrebbe essere soltanto nella sua testa. Ma è troppo poco per riuscire a innalzare il valore complessivo di un’opera non particolarmente innovativa e coinvolgente. Sembra a tratti di assistere a qualcosa di già visto, o a qualcosa persino che punta troppo in alto, strizzando l’occhio al Godard ne Il disprezzo, per poi passare alle somiglianze con Un’altra donna di Allen o ai più recenti deliri metacinematografici di Polanski in Quello che non so di lei. Per quanto riguarda il cast, sono degne di nota le ottime prove della coppia di attrici formata da Virginie Efira (20 anni di meno) e Adèle Exarchopoulos (La vita di Adele) che da sole riescono a illuminare ogni scena del film grazie alla loro incantevole bellezza e bravura. Entrambe interpretano i ruoli di due donne tanto simili quanto diverse, accomunate dalla voglia di (ri)mettersi in gioco, andando incontro ai loro tormenti psicologici e drammi interiori, sebbene per motivi opposti: Sibyl per trovare

ispirazione e assomigliare alla giovane donna, Margot per riuscire a vincere il disagio di condividere il set con una regista e un attore che la odiano. Interessante infine, anche la scelta delle location, divise tra Parigi, Lione e l’isola di Stromboli. Presentato il 24 maggio 2019 alla 72esima edizione del Festival di Cannes, il terzo lungometraggio della cineasta francese è stato candidato per la Palma d’oro come miglior film. Rimasto inedito in Italia, è stato distribuito il 2 settembre 2021 da Valmyn (dopo più di due anni dalla sua prima uscita). Alessio D’Angelo

di Daniele Misischia

IL MOSTRO DELLA CRIPTA

Origine: Italia,2021

Roma, 1988. Un astronomo scopre un singolare fascio di luce tra le stelle e viene assassinato da uno strano individuo. Bobbio, 1988. In un paese che ha come unica particolarità un misterioso pilone di 20 m, Giò passa il tempo a girare film amatoriali insieme ai suoi amici mentre sogna Vanessa. Il ragazzo, come tutte le settimane, acquista il suo fumetto preferito Squadra 666 di Diego Busirivici e, proprio di fronte alla casa dei Valmont, la famiglia più

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inquietante del paese, nota in una pagina il pilone di Bobbio. Tornato a casa, il giovane riguarda il girato del giorno e nel frattempo viene sgridato dalla madre che, poi, gli comunica che sarà fuori il fine settimana per lavoro. Leggendo il fumetto, Giò si allerta e chiama Alberino: nella storia è presente una chiesa con cripta molto simile a quella del paese. Bisogna controllare. Entrati nell’edificio, i ragazzi vedono il prete e un Valmont uscire da una porta dietro l’organo, così aspettano nascosti che la via si liberi. Dietro trovano la stessa bara 7

Produzione: Antonio Manetti, Marco Manetti per Mompracem, Vision Distribution Regia: Daniele Misischia Soggetto e Sceneggiatura: Antonio Manetti, Marco Manetti, Paolo Logli, Alessandro Pondi, Cristiano Ciccotti, Daniele Misischia Interpreti: Lillo (Diego Busirivici), Tobia De Angelis (Giò Spada), Claudio Camilli (Commissario), Amanda Campana (Vanessa), Giovanni Calcagno (Vice Commissario Valmont), Chiara Caselli (Fabienne), Ludovico Girardello (Christian), Eleonora De Luca (Milva) Durata: 116’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 12 agosto 2021


del fumetto che, secondo la storia, dovrebbe contenere un mostro ma, aperta, quest’ultima si presenta vuota. Intanto Sara, una loro coetanea, viene rapita. Il giorno seguente Giò decide di andare al pilone. Lungo la strada, oltre a Vanessa che amoreggia con il nuovo ragazzo, vede delle impronte di artigli su un albero. Poi, arrivato a destinazione, trova Sara in fin di vita. Il giovane la libera ma in quel momento arriva Vanessa che lo crede un assassino e corre dalla polizia. In commissariato, in veste di ufficiale, c’è un Valmont, lo stesso che ha ucciso l’astronomo a Roma e che, raccolta la deposizione della ragazza, si reca sul posto insieme al collega che di lì a poco farà una brutta fine. I Valmont, a questo punto, iniziano una mattanza. Il poliziotto assassino va a casa di Vanessa ma la ragazza si accorge subito che qualcosa non va e riesce a scappare. Intanto Giò prende un bus verso Bologna e suona alla porta di Busirivici per sapere di più sul fumetto. Dopo un po’ di resistenza, lo strambo autore gli mostra un foglio antico preso al mercato al quale si è ispirato. Per il resto non sa altro: è solo finzione. Il giorno dopo Giò convince Diego ad accompagnarlo in paese ma il viaggio in auto è interrotto da un albero che blocca la strada. Arrivati a Bobbio, l’atmosfera è spettrale. Al commissariato trovano il Valmont che si rivela subito ostile ma non in grado di acciuffarli. I due raggiungono allora casa di Alberino e si rifugiano nel seminterrato. Tramite walkie-talkie

contattano Christian che cerca di raggiungerli ma, nel tragitto, viene fatto fuori. Giò vuole vendicarlo e Fabienne, ex componente dei Valmont, gli dà la soluzione: il libro delle rivelazioni che si trova a casa loro. Arrivati dai Valmont, Giò decide di entrare da solo ma viene scoperto dal capofamiglia mentre cerca di rubargli le chiavi. Fortunatamente interviene Fabienne che butta il vecchio nella vasca di acido, uccide anche la madre e poi muore trafitta. Il gruppo si riunisce e, aperta la porta, scopre il libro: un alieno, che i Valmont adorano e che si trova sulla terra, sta cercando di richiamare i suoi simili. Il poliziotto rientra in casa, vede i suoi genitori morti e tenta di uccidere gli intrusi ma questi riescono a fuggire, a dotarsi di armi e a uccidere l’inseguitore. Intanto Vanessa, che si era ricongiunta con il ragazzo ucciso poi da un Valmont, cerca rifugio nella miniera non sapendo che è proprio lì che si nasconde il mostro. La ragazza riesce ad allontanarsi e a ricongiungersi finalmente con il gruppo che è sopraggiunto nel luogo. Dopo aver attirato la creatura, Giò riesce a farla fuori e a salvare il mondo, conquistando finalmente la ragazza dei suoi sogni. Anni Ottanta, citazionismo e cliché, questi gli ingredienti che il regista Daniele Misischia ha utilizzato per realizzare il suo secondo lungometraggio, Il mostro della cripta. Prodotto dalla Mompracem, la società dei Manetti Bros., a partire da una loro vecchia sceneggiatura, il film è stato presentato fuori concorso al Locarno Film Festival. Una commedia horror condita da tematiche adolescenziali per un b-movie contemporaneo come non se ne vedevano da anni. Di fatto l’opera non parla di rela-

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zioni o di mostri ma parla di nostalgia, la nostalgia è il vero leitmotiv: il film si inserisce in quel filone di produzioni che fanno spesso parlare di una sorta di revival moderno degli anni ottanta, capitanato dalla serie Stranger Things. Tutto nella pellicola è anni ottanta: le auto, lo stile (compreso quello dei paninari e delle sfitinzie), l’atmosfera, i poster, i fumetti ma anche le ambizioni (fare un film era lo stesso sogno del regista). Ma trasuda di nostalgia anche la scelta di omaggiare un certo cinema di genere a basso budget che oggi non troverebbe mai spazio e che Misischia spinge al limite riproponendone tutti i cliché (sia narrativi che di messinscena) ed esasperandone le ingenuità: a questo proposito, dopo lo sbigottimento iniziale, diventa quasi piacevole trovarsi di fronte a scene splatter che mettono in mostra mani mozzate palesemente finte o notare un morto che respira in un inquadratura più che secondaria. Non c’è sospensione di incredulità perché, per buona parte del film, il piacere sta proprio lì: notare quello che, nelle produzioni a basso budget, un regista spera passi inosservato nel flusso complessivo, in un gioco inverso e postmoderno che riesce ad accontentare cinefili e nostalgici. Questo piacere postmoderno, però, si esprime anche dalla vasta quantità di citazioni di un certo cinema (anche d’autore) presenti nel film. La scelta è ampia e la ricerca sarebbe lunga: aldilà di quelle più manifeste e immediatamente visibili come i poster, le atmosfere alla Dario Argento, i film di Nanni Moretti o la riproposizione della celebre scena dell’accetta di Shining, c’è tutta una serie di rimandi più nascosti che vale la pena individuare e apprezzare (come il simpatico “Wendy sono a casa” riferito al cane del protagonista col medesimo nome).


Anche la scelta della location ha ragioni cinematografiche. Bobbio, infatti, è stato individuato, oltre che per ragioni produttive (è più semplice rendere anni ottanta un paesino rispetto a una città), perché paese di provenienza della famiglia di Marco Bellocchio (uno dei produttori di questo film

è il figlio, Pier Giorgio Bellocchio) nonché luogo in cui l’autore ha girato il suo primo lungometraggio, I pugni in tasca. Soluzioni improbabili, snodi narrativi poco credibili ed effetti speciali miseri (affidati a una star del settore come Sergio Stivaletti): una somma di elementi apparente-

mente negativi per un film piacevole e che nel suo piccolo è già un cult (sarà perché fa largo uso di altri film cult?). Aggiungeteci poi Lillo Petrolo come linea comica e il risultato non può che essere soddisfacente. Giallorenzo Di Matteo

di Juho Kuosmanen

SCOMPARTIMENTO N. 6 - IN VIAGGIO CON IL DESTINO Laura è una giovane donna che dalla Finlandia si è trasferita a Mosca per studiare antropologia all’università. A Mosca vive con Irina, professoressa di letteratura russa, con la quale condivide l’appartamento e una relazione amorosa caratterizzata da una forte subordinazione emotiva, Irina non è coinvolta sentimentalmente quanto lo è Laura. Nel corso di una festa di pseudo-intellettuali alla quale sono solite partecipare, Laura viene sottoposta ad una serie di domande che hanno l’intento di metterla in difficoltà e di valutare il suo grado di erudizione. Una situazione che mette profondamente a disagio Laura che non trova supporto in Irina, nemmeno quando decide di partire per Murmansk per approfondire una sua ricerca. Per raggiungere Murmansk Laura deve intraprendere un lungo viaggio in treno, da sola, lungo la Transiberiana fino alla piccola città portuale situata nella remota provincia dell’impero nell’estremo nord-ovest che ospita un sito archeologico dove si possono osservare i Petroglifi che sono delle incisioni rupestri tra le prime manifestazioni dell’arte creata dall’uomo. Salita sul treno, Laura si trova a dover condividere lo scomparti-

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mento con un ragazzo sconosciuto perché all’ultimo momento Irina ha deciso di non accompagnarla. Il ragazzo si chiama Ljoha è originario di Mosca ed è diretto a Murmansk per andare a lavorare in miniera. Burbero, irriverente, alcolista, Ljoha incarna tutto quello che Laura e chi insieme a lei frequentava i salotti moscoviti hanno sempre preso come bersaglio di scherno e deriso. Durante la prima parte del viaggio Laura inizia ad avere dei ripensamenti, non le piace condividere lo scompartimento con Ljoha e le manca terribilmente Irina. Così, alla stazione di Pietroburgo, decide di farle una chiamata per sentire la sua voce e dirle che le manca, ma da subito percepisce che la mancanza non è reciproca. Amareggiata, Laura risale sul trano e pian piano inizia a rassegnarsi all’idea che dovrà condividere questo lungo viaggio con questo ragazzo così diverso da lei ma con il quale si sta instaurando una certa empatia che sta prendendo il sopravvento sul pregiudizio. Un pregiudizio che viene del tutto abbattuto quando, ad una delle stazioni, sale nel loro scompartimento un ragazzo di origini finlandesi con la passione per la musica che dopo aver offerto a Laura una temporanea ma illusoria via di fuga dal compagno di cabina, pronuncia una frase sprezzan9

Origine: Finlandia, Germania, Estonia, Russia, 2021 Produzione: Jussi Rantamäki, Emilia Haukka per Aukka Film Company, in coproduzione con Achtung Panda!, Amrion Productions, CTB Film Company Regia: Juho Kuosmanen Soggetto: ispirato al romanzo “Scompartimento n.6” di Risa Liksom Sceneggiatura: Andris Feldmanis, Livia Ulman, Juho Kuosmanen Interpreti: Seidi Haarla (Laura), Yuriy Borisov (Ljoha), Dinara Droukarova (Irina), Julia Aug (Natalia Nemova, conduttrice del treno), Lidia Kostina (Madre adottiva di Ljoha), Tomi Alatalo (Saska, ragazzo con la chitarra), Viktor Chuprov (Cameriere del treno), Denis Pyanov (Umo alla cabina del telefono), Polina Aug (Impiegata hotel) Durata: 106’ Distribuzione: Bim Uscita: 2 dicembre 2021

te nei confronti di Ljoha che fa scattare in Laura qualcosa. Da questo momento Laura inizia a cambiare atteggiamento avviando un percorso di conoscenza, avvicinamento e accettazione della presenza di Ljoha.


Un percorso che si interrompe apparentemente quando il treno arriva a Murmansk e i due prendono strade diverse: Ljoha va a lavorare in miniera e Laura prende una camera in un hotel non lontano dal sito archeologico che, su consiglio delle receptionist dell’hotel, non potrà visitare in quanto la stagione invernale non lo permette. Dopo lunghe giornate passate in solitaria a riflettere sulla propria vita e dopo l’ennesima chiamata deludente fatta a Irina, Laura riceve un’inaspettata visita da parte di Ljoha che le promette di accompagnarla a vedere i Petroglifi. Nonostante le condizioni climatiche sfavorevoli, i due riescono a raggiungere il sito archeologico e Laura, pervasa da sensazioni di beatitudine e gratitudine si lascia andare ad intime e spontanee emozioni, anche nei confronti di Ljoha che ha iniziato a guardare con occhi diversi. Vincitore del Gran Premio della Giuria alla 74° edizione del Festival di Cannes e incoronato come miglior film dell’anno, Scompartimento n. 6 è la terza pellicola del regista finlandese Juno Kousmanen che, ispirato all’omonimo ro-

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manzo di Rosa Liksom, ci regala un delicatissimo e intimo road movie. Girato tra la Finlandia e la Russia, lo spettatore viene totalmente assorbito dall’ambientazione asettica e monotona del paesaggio invernale russo, dove a farla da padrone è il colore bianco candido della neve. Nonostante la scarsa presenza di paesaggi e di cambi di ambientazione tra una scena e un’altra, il film fa immergere lo spettatore nell’intimità e nei gesti dei personaggi. Girato interamente in pellicola e poi trasferito in digitale, Scompartimento n.6 racconta la storia di due giovani, Laura e Ljoha, che si trovano a condividere un lungo viaggio lungo i binari della storica Transiberiana. Dalle tonalità intense, tipiche del girato in pellicola e fortunatamente rimaste invariate con il passaggio al digitale, la storia si articola nel contesto della Russia anni ’90 e racconta la storia di due sconosciuti che non si sarebbero potuti incontrare se non per caso. Kousmanen usa la classica allegoria del viaggio per raccontare il percorso che ognuno di noi intraprende al fine di raggiungere un obbiettivo, che questo sia di crescita personale o di scoperta interiore. Lo fa utiliz-

di Davide Ferrario

zando il racconto dai ritmi lenti e dai primi piani intensi che riporta alla mente il cinema d’autore della Nouvelle Vague dove attraverso l’uso di primi piani si entrava nell’intimità del personaggio e dove la priorità era riuscire a “catturare lo splendore del vero” senza l’utilizzo di artifici. Un altro escamotage narrativo è dato dall’uso del significato allegorico dei Petroglifi: questi segni durevoli del nostro passato attraverso i quali la protagonista pensa di entrare in contatto con qualcosa di permanente ma al tempo stesso intangibile. Laura infatti, entrando in contatto con queste pietre fredde e immutabili nel tempo, si rende conto di quanto sia importante godersi il presente che è fatto anche di momenti fuggevoli e di come la ricerca dell’eterno spesso impedisca di assaporare la realtà che si sta vivendo nel presente. Scompartimento n.6 è il racconto romantico di due anime perdute che nonostante la diversità che li contraddistingue riescono a trovare un punto di contatto. Quel contatto che spesso si perde con se stessi e che richiede anche l’aiuto dell’altro per riuscire a ritrovarlo, a ritrovarsi. Flora Naso

BOYS

Origine: Italia, 2021 Produzione: Lionello Cerri, Cristiana Mainardi per Lumiére & Co., Rai Cinema

I The Boys, band famosa negli anni ’70, sembrano Regia: Davide Ferrario ormai essere caduti nel Soggetto e Sceneggiatura: Davide Ferrario dimenticatoio. I membri, Interpreti: Neri Marcorè (Giacomo), Marco invecchiati, non trovano Paolini (Joe), Giovanni Storti (Carlo) , più gli stimoli di un tempo. Uno Giorgio Tirabassi (Bobo), Paolo Giangrasso (Steve), Linda Messerklinger (Angela), Luca dei motivi è il suicidio in un fiume del loro frontman, Luca, sostituito De Stasio (JD), Zoe Tavarelli (Pamela), Giorgia Wurth (Federica) poi dal fratello Giacomo per volonDurata: 97’ tà del defunto. Nel frattempo tutDistribuzione: Adler Entertainment ti, negli anni ’80, avevano cercato di farsi una vita oltre la musica Uscita: 1 luglio 2021 per avere stabilità economica.

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A Joe, il tastierista, viene diagnosticato un piccolo tumore prostatico che comporta una serie di obblighi: niente sesso, incontinenza, eccetera. Bobo, il chitarrista, lavora in un network ed è sposato con Angela, un’aspirante cantante molto più giovane di lui, che vuole un figlio a tutti i costi ma non viene mai accontentata dall’uomo. Carlo invece fa il notaio, è già nonno ed è sempre più spesso babysit-


ter di suo nipote, dato che la figlia sta cercando una nuova orchestra in cui suonare. Steve, un giornalista stranamente attratto dalla band, scopre che JD, un noto trapper, vorrebbe incidere una cover di un loro pezzo, il che significherebbe nuova notorietà. Il gruppo allora incontra Federica, la zia e manager del giovane cantante, che spiega loro il progetto: rilevare i diritti di tutto il repertorio The Boys. Ricevuta l’offerta, tutti i membri sembrano perplessi, l’unico davvero deciso ad accettare quest’opportunità è Giacomo, convinto che anche Luca sarebbe stato della stessa idea. Carlo però individua un problema: l’ultimo lp era firmato anche da una vecchia vocalist, Anita, scomparsa senza dir niente. Per qualsiasi decisione serve anche la sua firma. Tra una serie di ginnastica perineale e l’altra, la band inizia la ricerca di Anita in rete. Joe propone di andare tutti insieme da lei, una volta trovata. Poi chiedono aiuto a Steve che, avendola già contattata, ottiene il consenso ad accompagnarli e a filmare il tutto: Anita si trova a Capracotta, in Molise. Il lungo viaggio a ritmo di musica del gruppo sta per iniziare e Carlo noleggia un vecchio pulmino anni ’70 per l’occasione. Durante una sosta in una stazione di servizio, mentre gli altri sono in bagno, Steve prepara uno spinello nel furgone. In quel momento arriva una pattuglia della polizia e il giornalista nasconde tutto nel portaoggetti. Al momento della consegna dei documenti, il più anziano degli ufficiali riconosce un pezzo dei The Boys e poi, uno a uno, anche i suoi membri. Così li lascia andare senza controllare nulla. Giunti a Capracotta, dopo essersi persi più volte, i cinque vengono raggiunti dalla figlia di Anita che li scorta fino alla loro abitazione. Arrivati, lasciano le cose nelle loro

camere e poi, dopo un brindisi, iniziano a raccontare delle proprie vite: la donna si è sposata con un veterinario del posto ma pochi anni fa lui l’ha lasciata. A sera, invece, discutono del contratto e Anita lascia carta bianca, poi accompagna la band in una sorgente d’acqua termale dove tutti fanno il bagno. In questa occasione, la donna rivela a Joe che, ai tempi, aveva una cotta per lui: i due passeranno la notte insieme. Il mattino seguente, riparte il viaggio verso casa. Il giorno seguente il gruppo ascolta in anteprima il pezzo di JD e Giacomo mette in ascolto anche Miriam, la sua compagna. La canzone è orribile e tutti i membri cominciano a ripensarci tranne il loro frontman che rivela agli altri il suo piano: è andato a letto con Federica solo per convincerla a firmare il contratto e risolvere i suoi problemi economici. Miriam, però, è ancora in ascolto, così l’uomo la raggiunge e promette di sistemare le cose. Il momento della presentazione del pezzo di JD arriva ma, alla firma del contratto, Giacomo decide di mandare tutto all’aria e l’evento, pieno di gente, si svuota. I The Boys suonano lo stesso con un pubblico ristrettissimo: Angela, Steve e poi Anita. Il concerto prosegue poi su un battello nel fiume in ricordo di Luca. Davide Ferrario è un autore eclettico: sceneggiatore, scrittore, critico e regista di opere diverse che spaziano tra il documentario e la finzione, quest’ultima abbandonata nel 2014, dopo La luna su Torino, e rispolverata nel 2021 con Boys. Boys è un film musicale a tutti gli effetti ma che fa largo uso di topos narrativi e rappresentativi da road movie ma anche da buddy movie corale, in quanto incentrato su un gruppo di amici che intra-

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prende un viaggio alla ricerca della propria musica. Di fatto ‘ricerca’ è una parola chiave per quest’opera, a più livelli: lo è esternamente per la ricerca estetica che il regista (insieme al direttore della fotografia) attua e che sembra a volte troppo raffinata per un film così ordinario; lo è internamente per il percorso di formazione che i personaggi, seppur più che sessantenni, intraprendono. Un percorso che passa dalle relazioni con l’altro sesso alla vecchiaia, dall’accettazione della malattia alla ginnastica perineale, per arrivare infine all’incontro/ scontro con le nuove generazioni. Perché, ormai, loro che un tempo erano i giovani propulsori della società, oggi sono dei semplici oggetti vintage. Vintage, così viene candidamente definita, come la musica firmata The Boys (realizzata appositamente per il film da Mauro Pagano della Premiata Forneria Marconi), quella che nei suoi anni era “musica per cambiare il mondo” e che oggi è oggetto di culto di pochi estimatori. Il tema generazionale viene qui affrontato dal punto di vista musicale e vede contrapporsi una musica naturale fatta per passione (quella dei The Boys) e una musica sintetica fatta per fama, soldi e visualizzazioni social (quella di JD), dando per scontata la rappresentatività di tali punti fermi (come se negli anni ’70 non fosse esistita musica mercificata e viceversa). La pellicola sembra a tutti gli effetti un’operazione nostalgica, un tentativo di rievocare (anche attraverso immagini di repertorio)


un periodo tanto caro alle vecchie generazioni, gli anni ’70. L’impressione, però, è che la visione di base di tutta l’opera sia relativamente ipermetrope: mette a fuoco un periodo musicale lontano ma non fa lo stesso con quello più vicino a sé, accettando giudizi semplici e pre-

confezionati (nonostante la breve parentesi di apertura della band verso JD). Ma la società (la stessa società che dà sfogo alla musica) è cambiata, generando gusti e richieste sempre in movimento, e continuare con la petulante e ripetitiva retorica del ‘si stava meglio

di Nanni Moretti

prima’ non è, di certo, la mossa giusta per comprendere le evoluzioni in atto nel vivere sociale e le conseguenti novità di una generazione musicale troppo distante da quella precedente. Giallorenzo Di Matteo

TRE PIANI

Origine: Italia, Francia, 2021 Produzione: Domenico Procacci per Fandango, Nanni Moretti, Jean Labadie per Sacher Film, con Rai Cinema, Le Pacte. Regia: Nanni Moretti Soggetto: dal romanzo omonimo di Eshkol Nevo Sceneggiatura: Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella Interpreti: Margherita Buy (Dora), Nanni Moretti (Vittorio), Alessandro Sperduti (Andrea), Riccardo Scamarcio (Lucio), Elena Lietti (Sara), Alba Rohrwacher (Monica), Adriano Giannini (Giorgio), Denise Tantucci (Charlotte), Anna Bonaiuto (Giovanna), Paolo Graziosi (Renato), Stefano Dionisi (Roberto), Tommaso Ragno (Luigi), Teco Celio (Saverio), Francesco Acquaroli (Psichiatra), Daria Deflorian (Madre Di Monica), Francesco Brandi (Matteo), Lorenzo Fantastichini (Tommaso), Chiara Abalsamo (Francesca a 7 anni), Giulia Coppari (Francesca a 12 anni), Gea Dall’Orto (Francesca a 17 anni), Alice Adamu (Beatrice a 5 anni), Letizia Arnò (Beatrice a 10 anni) Durata: 119’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 23 settembre 2021

Il film segue le storie di tre famiglie residenti in un palazzo romano: Vittorio e Dora sono alle prese con il figlio Andrea che, ubriaco, ha investito e ucciso una vicina; data la lontananza del marito Giorgio, Monica

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è costretta a crescere la figlia neonata Beatrice da sola, con il timore di perdere il contatto con la realtà come accaduto alla madre; Lucio e Sara lasciano spesso la figlia Francesca dai vicini Renato e Giovanna, ormai dei nonni per lei, nonostante la piccola faccia presente i recenti vuoti di memoria dell’anziano. Una sera, dopo essere scomparsi, Renato e Francesca sono ritrovati da Lucio in un parco. L’anziano viene ricoverato completamente disorientato e la bambina, nei giorni successivi, si chiude in se stessa; Lucio teme che il vicino abbia abusato di lei, tanto da aggredirlo in ospedale. La nipote di Renato e Giovanna, Charlotte, arriva in città e, da sempre attratta da Lucio, lo seduce. Monica riceve un regalo per la figlia dal cognato Roberto, sebbene Giorgio non apprezzi, avendo interrotto i rapporti con lui da tempo. Irato con i genitori che, nonostante giudici, non vogliono mettere una buona parola sul suo caso, Andrea non rispetta i domiciliari e viene arrestato, di nuovo ubriaco; Vittorio decide di non vederlo più, costringendo Dora a scegliere tra il marito o il figlio. Dopo la morte di Renato, Giovanna comunica a Lucio di stare per procedere con un’azione legale per aver abusato della nipote, minorenne. Cinque anni dopo, Dora cerca di rimediare per aver scelto suo marito ma Andrea, appena rilasciato, 12

si allontana dalla famiglia, accusandola per la rigida educazione. Monica scopre Roberto in casa sua di notte, latitante per aver truffato dei clienti, ma accetta comunque di nasconderlo. L’uomo le confessa di essere innamorato di lei, motivo della discussione con il fratello, il che risveglia il desiderio sessuale della donna. Giorgio torna a Roma per una sorpresa, per cui Monica gli confessa di Roberto ma, rincasati, scoprono che l’uomo è scomparso e che, probabilmente, la donna ha immaginato tutto, compreso il motivo della lite tra i due. Lucio viene assolto, dato che il rapporto con Charlotte è stato consenziente, ma Giovanna decide di procedere in appello. Cinque anni dopo, Dora è alla ricerca di Andrea. Sebbene la donna senta la mancanza del defunto marito, si rende conto di aver modellato la sua identità e le sue scelte in funzione sua, per cui decide di ricominciare. Monica e Giorgio hanno un secondo figlio ma, il giorno in cui l’uomo sta per partire di nuovo, la donna fugge di casa. Lucio non è stato convocato in appello grazie a Charlotte, che è stata capace di mettere fine alla faida familiare. Dora conosce un certo Luigi, il quale le comunica che sua figlia ha appena avuto un bambino da Andrea, divenuto apicoltore ma, sebbene la donna tenti di riavvicinarsi, il figlio decide di godersi i frutti della sua nuova vita senza


di lei. Dora scopre che Andrea ha inviato il suo miele al marito della donna che ha investito per chiedere perdono e che avrebbe desiderato un incontro se il vicino fosse stato pronto. Nel frattempo, Monica, ormai delirante, crede di essere in viaggio con la madre. Lucio chiede alla figlia se ricorda la fatidica notte al parco e Francesca lo tranquillizza, affermando di non aver subito alcun abuso, ricordando Renato con tenerezza. Mentre Giorgio sta per lasciare Roma con i suoi figli, Beatrice ha una visione della madre che torna a casa, speranza che non ha mai perso. Dora si dirige di nuovo dal figlio che, forse, è pronto per riappacificarsi con lei. Accolto con grande entusiasmo a Cannes, Tre piani sancisce il ritorno di Nanni Moretti al dramma familiare, adattamento dell’omonimo romanzo di Eshkol Nevo di cui, nonostante il cambio di ambientazione da Tal Aviv a Roma, mantiene salda la tripartizione psicoanalitica di stampo freudiano: il primo piano, in quanto Es, sede delle pulsioni più ataviche e degli istinti primordiali (la rabbia di Lucio), seguito dallo spazio di mezzo come Io che ricerca un dialogo tra i desideri e la realtà esterna (la mescolanza tra realtà e finizione di Monica), finanche lo sguardo giudicante di un Super-Io che richiama severamente all’ordine (la rigida educazione di Vittorio).

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Abbandonando l’intercessione di un unico personaggio, Moretti si affida alla coralità di una borghesia chiusa nei propri timori e nelle sue fragilità, definendo un’azione trasformativa in grado di attualizzare la paure latenti racchiuse nelle singole esistenze dei personaggi non con la semplice intenzione di descriverle, ma di coglierne il carattere transitorio attraverso la loro graduale metamorfosi nelle gesta e nelle identità soggettive messe in scena dall’autore. Di conseguenza, è il corvo che osserva il personaggio di Alba Rohrwacher a esemplificare tale mutevolezza, data la sua simbologia da sempre correlata al concetto alchemico di nigredo, un percorso di trasmutazione verso una ridefinizione della propria esistenza, una forza centripeta funzionale alla controparte centrifuga che prepara il ritorno alla vita su cui il film si conclude. Prima tappa di un percorso nel proprio inferno personale, il corvo catalizza la traiettoria di un soggetto completamente sconnesso e separato da sé (Dora), preda di dubbi incolmabili (Lucio) e popolato da incubi e stati depressivi (Monica), da cui la necessità di una morte simbolica che permetta una rinascita verso una piena unità del Sé. Di conseguenza, è necessario divenire la forma della propria paura per poterla esorcizzare dopo la catarsi nel maelström delle proprie colpe (Lucio), oppure morire a se stessi per abbattere un’identità nullificata e

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Leonardo Magnante

di Danilo Caputo

SEMINA IL VENTO Dopo tre anni di assenza, Nica, giovane studentessa di agraria, torna a casa nel suo paese in Puglia. Viene accolta dal padre e trova una situazione complicata. Gli uliveti di proprietà della famiglia

fittizia (Dora) o, in ultimo, attraversare le regioni ctonie dei propri fantasmi e desideri inespressi (l’incontro tra Monica e Roberto durante un significativo blackout) per trascendere la dimensione fenomenica e rinascere nella propria follia e nella definitiva scissione del Sé che, nella sua disfunzionalità, concede l’unica emancipazione dalla claustrofobica domesticità, spingendoci a chiedere al contempo quale sia il costo del ritorno alla vita dopo la traversata nel proprio inferno. Così come il paesaggio marittimo che concludeva La stanza del figlio armonizzava quell’equilibrio familiare spezzato dalla tragica dipartita del figlio, Tre piani va alla ricerca di una nuova unità individuale più che familiare e di una rinnovata spazialità, che siano zone di transito come l’aeroporto in cui Lucio e Sara salutano Francesca o la stazione in cui Monica vaga nella sua follia, finanche spazi bucolici e illimitati come la campagna in cui Dora ricerca l’approvazione di Andrea. Moretti ambisce a un incontro con l’esistente e a un ritrovato senso di collettività possibile solamente fuori dalla dimensione domestica, che accoglie i personaggi attraverso l’esemplificativa milonga che invade Roma, invitando ad abbracciare quella vita che, quasi profeticamente, è stata messa in stand by, relegandoci nei nostri ambienti domestici e fantasmi personali.

sono stati attaccati da un parassita, il padre li ha dati in gestione in cambio di denaro. La madre versa in uno stato di depressione, è chiusa in casa a causa della mancata apertura di un negozio che desiderava gestire. Nica però è fedele ai valori che le ha trasmesso sua 13

Origine: Italia, 2020 Produzione: JBA Production, OKTA Film con Rai Cinema, coproduzione Graal Films Regia: Danilo Caputo Soggetto e Sceneggiatura: Danilo Caputo, Milena Magnani Interpreti: Yle Vianello (Nica), Feliciana Sibilano (Paola), Caterina Valente (Rosa), Espedito Chionna (Demetrio) Durata: 91’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 3 settembre 2020


nonna e si porta a casa una gazza tenendola in una gabbia nella sua stanza. Forte è in lei l’attaccamento agli uliveti di famiglia, la ragazza li tocca, li vive, ne sente il respiro. Il padre è rassegnato: l’uliveto è morto, bisogna abbatterlo e chiedere il risarcimento, dice che hanno usato tutti i pesticidi possibili ma il pidocchio che li ha attaccati è resistente. Nica sostiene che la malattia sia sintomo di qualcosa di più grande. La ragazza è arrabbiata per ciò che si vede intorno: si accorge che qualcuno getta l’immondizia nell’uliveto. La mamma la invita a farsi gli affari suoi. La ragazza scopre chi è il colpevole e nottetempo riversa l’immondizia dentro alla villa del responsabile. Nica confida all’amica di aver individuato il pidocchio responsabile della malattia degli ulivi, è un parassita blu (Liothrips Olea): sta cercando l’insetto antagonista capace di mangiarlo ma non riesce a trovarlo. La ragazza è convinta che non sia normale: in natura ogni predatore diventa la preda di qualcun altro. Paola sostiene che lì non ci sia uno stato di natura, poi confessa a Nica che sta per lasciare il paese. La giovane agronoma continua i suoi esperimenti, ordinando delle larve. La ragazza si scontra con la mamma, accusandola di avere provocato la morte della nonna. Dopo qualche giorno, Nica mostra al padre al microscopio un insetto che mangia il pidocchio degli ulivi: la ragazza è convinta che possano costruire un vivaio. Il padre mostra scetticismo sostenendo che gli

servono soldi. Con l’aiuto di Paola, Nica costruisce delle gabbie di stoffa per far riprodurre gli insetti: il padre cerca di dissuaderla, vuole che lei torni all’università perché lui ha già dato in gestione le sue terre. Nica ribatte che quella gente sta buttando solo altri pesticidi. Il padre pensa che la situazione sia delicata e intima alla figlia di non metterci più piede. Nica ha fatto sviluppare le larve, le racchiude in un velo bianco e le pone nei tronchi degli ulivi. Ma gli antagonisti hanno bisogno di tempo per riprodursi. Nica cerca il padre, gli dice di aver visto che di notte qualcuno scava nell’uliveto. Nica e Paola seguono l’uomo di notte all’uliveto e lo scorgono che fa sversare qualcosa sulla terra. A casa, la ragazza chiede al padre quanti sversamenti deve fare ancora, l’uomo dice che quel camion era della ditta che stava versando concime nuovo, Nica sostiene che non si trattava di concime ma di qualcosa che veniva dalla fabbrica. Adirato, l’uomo picchia la figlia, la gazza ferisce l’uomo sul volto. Nica prepara le valigie, la mamma la invita a riflettere, poi le dice che è uguale a sua nonna: si occupa degli alberi e non le importa nulla delle persone. In paese sfila la processione di San Giuseppe. Paola invita Nica ad andare dalla polizia, poi serve il prosecco al padre di Nica. Con tono ironico l’uomo brinda a sua figlia che ha scoperto che gli insetti si mangiano tra di loro. La processione termina su uno spiazzo dove gli ulivi vanno a fuoco. Nica si avventa sul padre. L’ultima immagine mostra gli insetti antagonisti che si sono riprodotti e che mangiano i pidocchi.

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I parassiti, reali e metaforici, l’inquinamento delle terre e delle acque ma anche delle teste degli uomini, stato di natura e imperativi dell’economia: il disastro am14

bientale in nome di un presunto progresso. Quale scenario migliore per narrare una storia di inquinamento e di parassiti della zona del tarantino? Alberi secolari di ulivi contro il panorama delle fabbriche. La terra dell’Ilva e del virus killer che ha colpito gli ulivi secolari: è tutta cronaca recente il panorama entro cui si svolge il racconto di Semina il vento. Il regista Danilo Caputo, classe 1984, viene proprio da Taranto e ha sempre avuto davanti ai suoi occhi quel mostro chiamato una volta Ilva: quel panorama ha fatto crescere il lui “la sensazione di una folle ingiustizia ai danni della natura, di una ferita le cui tracce sono ancora visibili”. Una natura violentata, bistrattata, calpestata e le teste degli uomini di queste terre che hanno subito un pesante condizionamento. Come ha osservato il regista ci sono due forme di parassiti nel film (animali e umani) e due forme di inquinamento: l’inquinamento delle terre e delle acque e quello mentale. In questo contesto c’è Nica, la ragazza che studia agronomia lontano e che tornando a casa scopre un equilibrio naturale sovvertito. La giovane coraggiosa eredita qualcosa dal passato per costruire qualcosa di nuovo. Nica difende la natura che vede calpestata e uccisa (ma Caputo ci ha tenuto a precisare di aver scritto il suo film anni fa, prima che Greta Thunberg balzasse agli onori delle cronache), Nica vuole costruire per i giovani, forse, un futuro diverso. La protagonista del film è pervasa dall’amore per la sua terra, per i verdi ulivi, per gli uccelli: le foglie che si muovono al vento, i rami, i tronchi che sembrano far sentire il loro respiro. Forte è l’amore di Nica per l’uliveto malato che però continua a vivere, nonostante tutto. Semina il vento è un film di ru-


mori, suoni e sensazioni: visive, tattili, uditive. Il verde degli ulivi, il grigio delle ciminiere, il nero di una gazza, il bianco di un velo da sposa che diventa schermo di protezione per le larve degli insetti coltivate dalla protagonista. Presentato al Bari International Film Fest del 2020 e alla Berlinale dello stesso anno (nella sezione Panorama), il film è il secondo lungometraggio del regista pugliese dopo La mezza stagione. Per il ruolo di Nica Caputo ha voluto Yile Yara Vianello (giovane attrice che si era fatta notare nell’opera di Alice Rohrwacher Corpo celeste), capace di conferire la giusta misura a un personaggio combattivo e riflessivo, forte e fragile allo stesso tempo. Merito del regista è di aver costruito un film che, pur partendo da forti riferimenti alla realtà, non è un’opera di denuncia, quanto piuttosto una favola misteriosa e a tratti poetica. Dramma ambientale con evidenti derive allegoriche, sociali e antropologiche, Semina il vento si fa apprezzare soprattutto per

l’importante messaggio che veicola: la terra avvelenata, i parassiti di ogni specie, l’attaccamento e il rispetto per la natura che viene meno quando alla fatica per il lavoro della terra si è preferito il posto in fabbrica, tra quelle ciminiere che sputano veleno. Una sorta di strana magia e richiami a un tempo lontano pervadono il film: cigolii, suoni, vecchi saperi soprannaturali, una gazza che accompagna la protagonista durante le sue ricerche (l’uccello che secondo la madre è lo spirito della nonna, considerata una specie di “strega”). Nica prova a coniugare scienza e magia, razionale e irrazionale, studio e sentimento. Il regista indugia forse un po’ troppo in immagini e suoni evocativi, insistendo su alcune evidenti metafore ma coglie nel segno evitando un film che sia solo un ‘j’accuse’, facendo leva sulla parte misteriosa e fiabesca che ha il suo culmine nel finale. Vittime o carnefici, tutti i protagonisti si ritrovano nella sequenza della processione che celebra le radici dell’uomo con la propria terra,

diventando la funzione aggregante del rito arcaico. Sono i due volti contraddittori del sud descritto da Caputo; al limitare della campagna e degli uliveti, in lontananza, le ciminiere dell’industria che avvelenano (seminando il vento appunto). Ecco la peculiarità del sud extraurbano descritta dal regista tarantino (come già in pellicole di autori come Winspeare, Patierno o Frammartino) che sembra risiedere nella persistenza delle forme di celebrazione popolare della terra ancora vive accanto ai segni dello scempio ambientale. “In natura ogni predatore diventa la preda di qualcun altro. È un equilibrio, funziona così” dice Nica: anche l’uomo è predatore, in questo caso predatore di una terra che prima coltiva, semina e cura e su cui poi sversa veleni. Quella stessa terra che cerca nuova vita con l’aiuto di qualche spirito coraggioso che la ami, ne ascolti il respiro, la protegga e la salvi. Prima che sia troppo tardi. Elena Bartoni

di Leonardo Di Costanzo

ARIAFERMA

Origine: Italia, Svizzera, 2021

Le guardie giurate di Mortana stanno festeggiando la chiusura del carcere quando vengono contattati dalla direttrice, che comunica loro che dodici detenuti non possono essere accolti nella prigione a cui erano destinati. Mentre la direttrice potrà abbandonare il carcere per gestirne altri due, un gruppo di guardie, tra cui Gaetano, è costretto a rimanere a Mortana per sorvegliare i dodici, collocati in un’aula comune dove poterli controllare più facilmente nel periodo di attesa del trasferimento, in cui saranno interrotti i colloqui

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con i familiari e non potranno usufruire della mensa, sostituita da rifornimenti esterni. Ai detenuti si aggiunge anche Fantaccini, orfano accusato di aver scippato un anziano. I carcerati sono sempre più furiosi per non poter vedere i familiari e per il cibo schifoso, mentre le condizioni mentali di uno di loro, Arzano, peggiorano ogni giorno di più. In seguito al rifiuto collettivo del cibo, le guardie iniziano a temere una rivolta; di conseguenza, uno dei detenuti più pericolosi, Carmine Lagioia, si offre volontario per cucinare, avendo intuito la situazione precaria a 15

Produzione: Carlo Cresto-Dina per Tempesta con Rai Cinema, in coproduzione con Amka Films Productions, RSI Radiotelevisione Svizzera, in collaborazione con Vision Distribution Regia: Leonardo Di Costanzo Soggetto e Sceneggiatura: Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella Interpreti: Toni Servillo (Gaetano Gargiulo), Silvio Orlando (Carmine Lagioia), Fabrizio Ferracane (Franco Coletti), Salvatore Striano (Cacace), Roberto De Francesco (Buonocore), Pietro Giuliano (Fantaccini), Nicola Sechi (Arzano), Leonardo Capuano (Sanna), Antonio Buíl (Bertoni), Giovanni Vastarella (Mazzena), Francesca Ventriglia (Direttrice) Durata: 117’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 14 ottobre 2021


cui anche i sorveglianti sono costretti. Dal momento che Lagioia è giunto al termine della sua pena e, di conseguenza, non farebbe mai qualcosa che potrebbe inficiare sulla sua libertà, Gaetano acconsente in modo da placare gli animi dei carcerati, nonostante il disaccordo di alcuni colleghi, offrendosi come sorvegliante di Lagioia in mensa e coinvolgendo anche Fantaccini per distribuire il cibo. Nonostante Gaetano espliciti la sua superiorità morale rispetto a Lagioia, il detenuto fa presente la medesima prigionia in cui anche le guardie giurate si ritrovano. Un avvocato d’ufficio convoca Fantaccini e, dopo il colloquio, il detenuto è scoperto in lacrime e con un pezzo di vetro in mano: l’anziano che ha aggredito è in coma, il che complica la sua condanna. Di conseguenza, Gaetano fa trasferire un altro carcerato nella cella di Fantaccini per controllarlo durante la notte; l’unica persona che sembra interessarsi al detenuto è proprio Lagioia. Una sera, il maltempo provoca un blackout durante la cena. Gaetano accetta la richiesta dei detenuti di mangiare fuori dalle celle e in compagnia delle guardie; durante la cena Arzano vuole unirsi a loro, ma ciò crea delle tensioni nel gruppo, che non vuole condividere quel momento con un molestatore di bambine. Tornata la corrente, la cena si interrompe e i detenuti sono costretti a rientrare nelle celle. Fantaccini deve lasciare il carcere per essere sottoposto al pro-

cesso, andandosene tra la solidarietà dei suoi compagni. Gaetano continua a sorvegliare Lagioia mentre raccoglie delle erbe per il pranzo e, parlando dei rispettivi padri, il detenuto gli racconta che il suo non gli ha mai fatto visita per la vergogna. Presentato fuori concorso a Venezia 78, Ariaferma nasce in seguito alla visione di Leonardo Di Costanzo di uno spettacolo teatrale realizzato dalle donne di un carcere di alta sicurezza, in un momento di particolare riflessione sul concetto di colpa e di pena e, di conseguenza, sulle soluzioni che lo Stato e la società attuano per punire e riabilitare tali soggetti. A partire dal titolo, il motivo principale che sembra attraversare l’intera vicenda, nonché l’apparato formale abilmente curato dall’autore, è una staticità che si ripercuote su una temporalità ciclica, sempre identica a se stessa; tale eterno ritorno del medesimo si abbatte sulle esistenze tanto dei detenuti quanto dei sorveglianti, un tempo che si estende all’interno di un impianto diegetico dilatato, funzionale all’indagine dell’interiorità dei personaggi, più che delle loro azioni iterative, facendo percepire quello spreco di tempo che secondo Silvio Orlando rappresenta quanto di più angosciante possa esperire l’essere umano. L’autore procede verso una congeniale spazializzazione di questa temporalità ciclica e monotona attraverso la collocazione dei personaggi all’interno di un’ala circolare, che definisce materialmente l’idea di un’esistenza intrappolata nella monotonia di uno scorrere tautologico e irrimediabile, giostrato su una foucaultiana rete di sguardi che, al contempo, non ribadisce una vera e propria superiorità delle guardie sui detenuti, quanto la condivisione della me-

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desima realtà. Intrappolati nello stesso girone infernale, l’atmosfera che Di Costanzo costruisce tende a un clima sospeso, quasi da incubo, accentuato dalle inquadrature esterne sul carcere isolato e in rovina che, in una specifica sequenza del film, l’autore intensifica attraverso il ricorso al bianco e nero e a una musica tetra, che sembra prendere le distanze dalla mera estetica della sorveglianza per favorire un’atmosfera più da film dell’orrore. Denso di un immaginario cristologico che non ricade mai nel didascalico, l’apparato formale di Ariaferma compartecipa alla definizione di soggettività spogliate delle proprie differenze e accomunate dalla tediosa monotonia della realtà carceraria, elevando la luce a elemento determinante l’affinità dei detenuti con le loro guardie. Esemplificativo il blackout, intervento quasi divino che, gettando i personaggi nell’oscurità, permette ossimoricamente la possibilità di una vicinanza tra soggetti grazie alla mancata distinzione tra Io interiore e Io sociale, riscoprendosi come esseri umani, la cui coscienza è salvaguardata dall’assenza di quella luce che, una volta ricomparsa, non può che ribadire quelle colpe ineluttabili e la significativa ricostituzione di uno status quo granitico e inviolabile. L’abilità dell’autore sta nella capacità di affrontare la vita carceraria con grande rigore formale e narrativo, facendo percepire la sua esperienza documentaristica attraverso uno sguardo osservativo che evita qualsiasi forma di giudizio, senza manicheismi espliciti e retorici, nonché svolte narrative attendibili, per sospendere il tutto all’interno di un mondo sempre uguale a sé e dove si è tutti prigionieri della medesima alienazione. Leonardo Magnante


di Alessandro Gassmann

IL SILENZIO GRANDE

Origine: Italia, Polonia, 2021

Valerio Primic, celebre scrittore napoletano, è da troppo tempo rinchiuso nel suo studio, tra vecchi libri e il desiderio di tornare a scrivere, in costante conflitto con la pragmatica domestica Bettina. La moglie Rose è convinta che Valerio abbia ignorato la famiglia in nome del successo e lo incolpa di non aver proposto le sue storie all’industria cinematografica per arricchirsi ulteriormente ed evitare la loro decadenza, da cui la decisione di mettere in vendita la villa per pagare i debiti accumulati. Sebbene anche i figli Massimiliano e Adele siano favorevoli, Valerio non vuole vendere, tanto da nascondere l’atto di proprietà, sostenuto da Bettina, che non saprebbe dove andare. Nel frattempo, il cugino di Valerio, Luca, sta aiutando Rose con la vendita. Massimiliano si dirige nello studio del padre e confessa i suoi rancori, costretto a vivere nella sua ombra, cercando di essere perfetto per soddisfarlo ma sentendosi costantemente inferiore; egli confessa la sua omosessualità, legittimato dal fallimento del genitore. Di fronte al disorientamento di Valerio, Bettina crede che la sua colpa sia il silenzio che, come una malattia, da uno stadio iniziale è divenuto sempre più grande e irrimediabile. Anche Adele si dirige nello studio di Valerio, felice di essere stata sempre l’unica in famiglia a poter entrare durante i suoi periodi creativi. La giovane confessa di averlo idealizzato a tal punto da ricercarlo nei diversi amanti che ha frequentato, ritrovandolo solo in uomini di mezz’età, tanto da aspettare un figlio da un suo docente, sposato.

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Adele ruba l’atto di proprietà e lo consegna a Rose. Valerio non accetta le critiche dei familiari, affermando che la sua unica colpa è il successo, di cui però tutti si sono nutriti prima dei suoi fallimenti e riconosce che il silenzio lo accompagna sin dal rapporto con suo padre, con cui non ha mai potuto dialogare. Venduta la villa, Massimiliano sembra rinato e, nello studio di Valerio, confessa di aver conosciuto un tale Fideschi, ex attore teatrale, che vuole rilevare un teatro in centro, coinvolgendolo nel progetto; il giovane è convinto che l’uomo sia attratto da lui e spera che possa nascere una frequentazione assidua. Più tardi, Adele confessa di non avere intenzione di parlare del bambino al suo ex amante; dopo aver conosciuto Fideschi, desideroso di averla in squadra, la giovane lo ha sedotto in modo da fingere che il bambino sia suo, notizia che gli rivelerà solamente dopo la formalizzazione del contratto. Rose è l’ultima a fare visita allo studio di Valerio: la donna non riesce a trovare i segni della presenza del loro amore nella casa, edificio privo di identità all’infuori della stanza del marito. L’uomo si scusa per i suoi silenzi ed è preoccupato che Fideschi possa devastare il rapporto tra i figli, ma Rose sembra non ascoltarlo, confessando che da quando egli è morto non ha mai smesso di percepirlo, nonostante il tentativo di rifarsi una vita con Luca. In realtà, Valerio e Bettina sono dei fantasmi: la domestica ha sempre tentato di proteggere il protagonista dalla dura verità, sebbene ora sia giunto il momento di andare avanti. Prima di lasciare per sempre la 17

Produzione: Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per Paco Cinematografica, in coproduzione con Emiliano Caradonna e Alessandro Leone per Agresywna Banda, in collaborazione con Vision Distribution, Amazon Prime Video, Sky, Rai Cinema Regia: Alessandro Gassmann Soggetto: dall’omonima pièce teatrale di Maurizio De Giovanni Sceneggiatura: Maurizio De Giovanni, Alessandro Gassmann, Andrea Ozza, Alessandro Regaldo (collaborazione) Interpreti: Massimiliano Gallo (Valerio Primic), Margherita Buy (Rose Primic), Marina Confalone (Bettina), Antonia Fotaras (Adele Primic), Emanuele Linfatti (Massimiliano Primic), Roberto De Francesco (Luca) Durata: 107’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 16 settembre 2021

casa, la radio si accende e Valerio appare alla moglie per concederle un ultimo ballo, per poi proseguire verso l’aldilà. Presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 78, Il silenzio grande porta sul grande schermo l’omonima pièce scritta da Maurizio De Giovanni, già messa in scena da Alessandro Gassmann in teatro: l’intento è quello

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di trovare una nuova dimensione estetica per raccontare una storia di silenzi, declinata attraverso le potenzialità del linguaggio cinematografico, più adatto per Gassmann a restituire il senso profondo del testo e ad accentuare il senso di claustrofobia di Villa Primic e dei suoi non-luoghi rispetto al più limitato palcoscenico teatrale. D’altronde, sin dai tempi del silent cinema l’immagine filmica è stata capace di elevarsi al di sopra della parola parlata e di qualsiasi distinzione linguistica, esplicitando secondo un teorico come Paolo Bertetto un processo di semiosi in atto attraverso i propri codici specifici, in una riscrittura simulacrale del reale in grado di inaugurare un proprio linguaggio, come autori del calibro di Antonioni ci hanno insegnato attraverso storie di silenzi e alienazioni accentuate dal loro portato visivo, più che verbale.

Nel film di Gassmann, l’obiettivo di un’estetica del silenzio entra in profondo conflitto con l’inevitabile pervasività del testo letterario di partenza, da cui una maggior identità teatrale rispetto a una declinazione più cinematografica della vicenda, da cui un privilegio della parola parlata a svantaggio del, seppur curato, apparato estetico. L’esperienza che Gassmann racconta dell’opera di De Giovanni ha un sapore trasformativo e metamorfico tale da stimolare la sua capacità immaginale a tal punto da innestare nel testo dei momenti allucinatori e surreali inerenti alle visioni del protagonista, generando però un cortocircuito a causa di un’instabile inscrizione dell’onirico nella vicenda, ricadendo in un caricaturale leggermente stonante, incluso il breve cameo autoironico del regista nel ruolo di Fideschi. Nonostante ciò, il film non può

di Bruno Dumont

essere bollato in maniera tranchant come fallimentare, vantando un’attenzione piuttosto ragguardevole nella messinscena, in particolare della fotografia curata da Mike Stern Sterzynski, nonché un cast notevole in cui si distingue l’eccellente Massimiliano Gallo, in una delle sue performance più notevoli. Nota di merito è sicuramente la straordinaria partecipazione di Marina Confalone nel ruolo di Bettina, monumento del cinema e del teatro napoletano sin dalle sue collaborazioni con Edoardo e perfetta nel restituire la saggezza popolare di una donna poco acculturata ma capace di fare da guida esistenziale a un uomo colto ma disorientato dalla vita e dai rapporti umani, intrappolato in quel “silenzio grande” contraltare del pandemonio di voci e di parole su cui il film si costruisce. Leonardo Magnante

FRANCE

Origine: Francia, Germania, Italia, Belgio, 2021 Produzione: Jean Bréat, Muriel Merlin, Rachid Bouchareb per 3B Productions, in coproduzione con Red Balloon Film GMBH, Tea Time Film, Ascent Film, Scope Pictures, Arte France Cinema, Bayerischer Rundfunk, Rai Cinema Regia: Bruno Dumont Soggetto e Sceneggiatura: Bruno Dumont Interpreti: Léa Seydoux (France De Meurs), Blanche Gardin (Lou), Benjamin Biolay (Fred De Meurs), Emanuele Arioli (Charles Castro), Juliane Köhler (Mme Arpel), Gaëtan Amiel (Jo), Jawad Zemmar (Baptiste), Marc Bettinelli (Lolo) Durata: 133’ Distribuzione: Academy Two Uscita: 21 ottobre 2021

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France de Meurs è la giornalista di punta di una stazione televisiva francese dedicata alle no-

tizie a tutto campo. Giovane, bella, ricca, conduce i confronti tra gli uomini politici, approfondisce i dati che giungono in redazione minuto per minuto e, cosa per lei più importante, è inviata speciale in tutte le parti del mondo in cui ci siano guerre, rivoluzioni, catastrofi. La vediamo correre, elmetto in testa, da una parte all’altra con cameramen e interprete, intervistare ribelli e rivoluzionari, soldati al fronte e combattenti nei posti più sperduti della terra. Se la scena non viene bene la si ripete migliorando l’inquadratura con i suoi primi piani e posizionando soldati e combattenti in maniera diversa affinché la falsa ricostruzione sia più vera del vero. 18

La vita personale di France non può essere certo ricca di sentimenti e calore: ha un marito algido e lontano e un bambino viziato, capriccioso, privo di affetto e interesse verso i genitori. L’esposizione mediatica di France è enorme, la gente adora la sua ricostruzione scenica degli avvenimenti, la rincorre e le chiede autografi come a una star mentre i paparazzi ne vogliono carpire espressioni di forza o cedimento in una ubriacatura continua. Un’esistenza così pompata, perpetuamente di corsa e tenuta ai massimi dell’equilibrio psicofisico può barcollare da un momento all’altro, basta un niente.


Un giorno, per una distrazione in mezzo al traffico, France investe un motociclista tunisino a cui è riscontrata una piccola lussazione del ginocchio. Un po’ perché il ragazzo ne approfitta e i genitori consenzienti nascondono dietro la loro ingenuità di immigrati la contentezza per quanto sta accadendo, France crolla: ha di colpo la percezione della falsità del proprio mondo e regala ai tunisini comprensione, vicinanza, considerazione e, ovviamente, denaro. France decide così di mollare e sotto la spinta della sua assistente, la vera anima dannata del suo successo, si fa ricoverare in una clinica psichiatrica per ritrovare se stessa e un po’ di serenità. Lì accade un altro problema: un giornalista freelance che confeziona pezzi fortemente scandalistici per una testata tabloid si è fatto ricoverare nella stessa clinica per ghermire a France notizie e fatti che mostrino l’isterica bulimia di un giornalismo ipergonfiato. Purtroppo il colpo riesce anche se il giornalista nelle settimane successive dichiarerà a France più di una volta che di lei si è innamorato davvero. Il colpo peggiore però avviene poco dopo: il marito di France e il piccolo Jojo muoiono in un incidente nel quale la loro potente vettura precipita in una scarpata per lo scoppio di una gomma. Lei pare restare davvero fuori gioco ma pian piano riesce lo stesso a risalire la brutta caduta dedicandosi ad argomenti forti come l’intervista a una donna che ha vissuto trent’anni con un marito rivelatosi un violentatore e killer di bambine, senza accorgersi di nulla. Questa materia così scabrosa dove France supera ogni limite della riservatezza e del buon gusto la rilancia nuovamente nel firmamento della notizia esplosiva; la giornalista si ritrova an-

cora a cavalcare l’onda del suo universale successo anche se, è lei stessa a confessarlo, la sua vita non potrà essere più quella di prima.

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La “patacca” è fin dai primi fotogrammi: a una conferenza stampa con il Presidente Macron, France chiede subito la parola per rivolgergli una domanda piuttosto articolata e spiazzante: il Presidente risponde (ben utilizzato un pezzo vero e riorganizzato con il montaggio e doppiaggio ricostruito) con abilità seducente ed eloquio smarcante. L’assistente di France fa immediatamente vedere alla sua protetta l’accavallarsi esponenziale di followers sul cellulare che esprimono il plauso isterico per questo ennesimo, trionfale, coup de theatre della giornalista amatissima, incurante, ormai, di quello che è detto in conferenza visto che il suo obiettivo è stato centrato al primo colpo. Immediata conclusione: né al Presidente, né alla giornalista, né alla sua assistente e a nessuno interessa l’argomento sul terreno, bensì la padronanza della parola e della scena: convincono se stessi e gli spettatori del meeting di avere raggiunto il controllo (manipolato) di quel momento esistenziale, fatto non di materia ma di contraffazione sorniona, di governo seducente di cose e persone, di rielaborazione astratta di ciò di cui la gente crede di avere bisogno. Da qui parte una valanga di finzione, di banalità, di atteggiamenti mostruosi, di volgarità, di spazzatura, di artificiosità, in un tasso così forte che spinge a domandarsi increduli se davvero l’esistenza abbia assunto una connotazione così mistificatoria oltre il punto di non ritorno. Non c’è vita, non c’è calore, non ci sono sentimenti né relazioni; il figlio di France ha appreso da su19

bito l’inutilità di tutto questo, ma solo una continua falsificazione del vero, punteggiata da una lacrima che frequentemente bagna la fissità degli occhi della giornalista. C’è del dolore su questa terra? Ci sono avvenimenti reali? C’è uno scambio di umanità tra esseri umani? Parrebbe di no, oppure se c’è interessa maggiormente la loro alterazione che conduce a prendere l’impostura per realtà e l’inganno per abitudine. Straordinaria la realizzazione di questa montagna di spazzatura con il colore, dalla varietà di violenti rossetti che dipingono le labbra della protagonista, al fenomenale nero grafitato per la densa capigliatura del marito, al nero e rosso della sua abitazione, al giallo e verde dello studio televisivo, al rosso e rosa dei suoi abiti di scena. Insomma non ha avuto pietà il regista Bruno Dumont nel presentare questa volgarità nel modo più “pornografico” perché fosse chiara la distanza emotiva da porre tra la fiducia ancora esistente e l’intrattenimento pernicioso e sporco da cui lo spettatore viene imbrogliato tutti i giorni. Grande l’interpretazione della Seydoux che dilata la sua France De Meurs (che suona Francia dei costumi...) a una morbosità universale, a una tristezza glaciale e colorata di disumana perfezione. Fabrizio Moresco


di Jens Sjögren

I AM ZLATAN

Origine: Svezia, Danimarca, Olanda, 2021 Produzione: Frida Bargo, Fredrik Heinig, Mattias Nohrborg per B-Reel Films, in coproduzione con Keplerfilm Regia: Jens Sjögren Soggetto: dall’autobiografia “Io, Ibra” di Zlatan Ibrahimovic e David Lagercrantz Sceneggiatura: David Lagercrantz, Jakob Beckman Interpreti: Dominic Andersson Bajraktati (Zlatan/11-13 anni), Granit Rushiti (Zlatan/17-23 anni), Emmanuele Aita (Mino Raiola), Duccio Camerini (Luciano Moggi), Gedomir Glisovic (Sefik IbrahimoviČ), Merima DizdareviČ (Jurka GraviČ), Selma MesanoviČ (Sanela IbrahimoviČ), Linda Haziri (Sanela IbrahimoviČ), Håkan Bengtsson (Nils-Ake) Durata: 100’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 11 novembre 2021

2004. Zlatan Ibrahimovic non vive il suo miglior periodo con la squadra dell’Ajax, segna poco e viene discriminato in quanto immigrato. Il percorso per arrivare a quei livelli non è stato per nulla semplice. Da piccolo gioca a calcio nei campetti con i ragazzi più grandi. Un giorno, dopo essere stato sempre in porta, decide di calciare il pallone lontano in segno di sfida, poi per recuperarlo cade da un tetto e si ferisce. Tornato a casa non viene medicato ma solo sgridato. La scuola non è il suo forte e la famiglia viene spesso convocata dal preside: Zlatan avrà un’inse-

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gnante di sostegno. Nel frattempo gioca con la squadra del suo paese e spicca negli allenamenti, senza però avere l’appoggio della madre che, di lì a poco, avrà problemi con la polizia e costringerà il ragazzo a trasferirsi dal padre. 2004. Ibra incontra l’agente Mino Raiola che lo sprona a fare di più. Deve segnare se vuole diventare un nome. Da quel momento si allenerà sempre più intensamente. Da piccolo inizia a giocare per i Balcan dove si mette subito in mostra. A scuola, invece, si comporta sempre peggio. Un giorno, dopo aver discusso con l’insegnante di sostegno, la colpisce con un disco da hockey. Durante una partita, il piccolo Ibra viene sostituito perché poco altruista. Quel giorno è presente un osservatore del Malmö che ingaggia un suo amico e non lui. Il match successivo però Zlatan segna 8 gol da subentrato. La sera stessa il padre riceve una telefonata: anche suo figlio è richiesto dal Malmö. 2004. Ibra viene sostituito da Koeman e dà un calcio alla panchina. Tornato a casa c’è Raiola ad attenderlo: forse la Juve vorrebbe acquistarlo ma deve migliorare le prestazioni e il carattere. Da adolescente cresce guardando video di Ronaldo, ma oltre al calcio si dedica sempre più spesso ad atti vandalici e agli appuntamenti con le ragazze. In un allenamento, dopo aver subito ripetuti falli, Zlatan reagisce tirando una testata a un compagno. Lo spogliatoio si spezza. Quella sera poi andrà in ospedale a sincerarsi delle condizioni dell’amico ma, nonostante ciò, il giorno dopo subisce il rimprovero del mister: è un gran talento ma 20

deve migliorare caratterialmente se vuole sfondare. Da questo momento, il ragazzo cerca di mettersi in mostra negli allenamenti e intanto continua a segnare nelle partite ufficiali. Nonostante ciò, i compagni firmano una petizione per cacciarlo via. Negli allenamenti successivi l’allenatore comunica la squadra titolare per le finali giovanili: Zlatan è in panchina. Il Malmö vince il campionato senza Ibra in campo. 2004. Raiola e il suo assistito incontrano Moggi ma quest’ultimo si rifiuta categoricamente di trattare: la Juve non è più interessata. Da adolescente coltiva anche la passione per il taekwondo ma il calcio rimane il suo sport principale. Durante una partita il ragazzo parte con il piede sbagliato ma, dopo aver visto il padre sugli spalti, trova la forza e segna, portando la squadra alla vittoria. Il genitore, quel giorno, regala al figlio delle nuove scarpe da calcio. Poi, a cena, cerca di motivarlo ad ascoltare l’allenatore, continuando però a fare ciò che la sua testa gli dice. 2004. Ajax - NAC Breda. Tutti si chiedono se Ibrahimovic sia all’altezza. Dopo una partenza lenta, il calciatore segna il gol più bello della sua carriera e Moggi contatta Raiola. A seguito delle ultime prestazioni con le giovanili del Malmö, Zlatan viene finalmente convocato in prima squadra. Adesso deve mettere la testa a posto, ma, uscito dalla stanza, ruba una bici per andare al campetto a giocare con il fratellino e gli amici.

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Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2021, diretto dall’attore/regista


Jens Sjögren, I am Zlatan è una pellicola che racconta la storia di Ibrahimovic. Tratto da Io, Ibra, l’autobiografia scritta dallo stesso calciatore con il giornalista David Lagercrantz, il film ripercorre tre diversi momenti della vita di Zlatan: l’infanzia, l’adolescenza e la parte finale dell’esperienza all’Ajax. Conoscendo il personaggio, spesso presuntuoso e che non fa difficoltà a paragonarsi a un Dio sceso in terra, ci si aspetterebbe un’agiografia sopra le righe volta all’esaltazione del suo ego, già smisurato. Invece, per quanto la componente agiografica sia evidente, I am Zlatan non vuole ripercorrere i successi del campione svedese o i goal più belli della sua carriera (ad assolvere a questo compito ci pensano i titoli di coda in cui vengono montate in sequenza le sue più grandi giocate), ma attraverso il suo passato, condito da topoi da romanzo di formazione, esprime la volontà di veicolare un messaggio ben preciso: anche partendo dal nulla si può avere successo.

Un messaggio parecchio inflazionato in un certo tipo di cinematografia (soprattutto nei film sportivi). Ma la vita di Ibrahimovic, così come viene raccontata, si presta facilmente alla rappresentazione stereotipata del bambino indisciplinato che si salva dalla malavita grazie allo sport e all’impegno. Perché Ibrahimovic questo tipo di vita l’ha vissuta realmente sulla sua pelle. Magari non esattamente così come ci viene mostrata ma non c’è dubbio che di finzione nel film ci sia ben poco, anche perché lo stesso Zlatan ha partecipato attivamente alla fase di sceneggiatura. Certo è che la retorica del passato difficile, subìto e non provocato, fa parte dell’auto-narrazione che l’Ibra personaggio da di sé al pubblico. Infatti, se da un lato la componente agiografica viene sporcata dagli evidenti difetti caratteriali del ragazzo (lo vediamo rubare, lanciare petardi contro le case, reagire aggressivamente a falli di gioco), dall’altro vengono spesso omessi dettagli, causati

dal calciatore stesso, riguardanti alcune vicende chiave della sua carriera, come i comportamenti che causarono la rottura con l’Ajax. Seguendo questa traccia, l’intera opera non affonda mai il colpo e si staglia perlopiù in superficie. Non si approfondiscono rapporti umani (quelli con i genitori per esempio); il tema dell’immigrazione (Ibra è figlio di immigrati) viene citato en passant ma poi lasciato sullo sfondo. La macchina da presa è sempre sguardo distaccato, esterno e quasi mai interno alla scena (vedi le riprese spesso di spalle a seguire il protagonista). In conclusione, I am Zlatan rimane comunque un film godibile, capace di intrattenere il pubblico per tutta la sua durata nonostante si mostri molto convenzionale, molto semplice. Come semplice è il tipo di regia adottata: chiara, cristallina, senza grossi picchi (se non per le scene di gioco, curate nei minimi dettagli). Giallorenzo Di Matteo

di Alessandro Celli

MONDOCANE Origine: Italia, 2021

Produzione: Matteo Rovere per

In una Taranto contaminata e ridotta a città fantasma, due orfani di nome Pietro e Christian da quando si sono trovati, non si sono più lasciati. Christian soffre di crisi epilettiche e da sempre ha trovato in Pietro un amico fraterno e un supporto. Vivono su una barca nel molo di Taranto insieme a Fulmine, un vecchio pescatore che da quando li ha salvati dalla strada ne abusa e li tratta come schiavi. Pietro e Christian hanno un sogno: entrare nelle Formiche, una gang criminale che ha come leader Testacalda il quale, insieme ai suoi scagnozzi, lotta per il

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dominio del territorio e lo fa com- Groenlandia in coproduzione con Santo piendo atti criminosi e per questo Versace e Gianluca Curti per Minerva Pictures, con Rai Cinema è cercato dalla polizia. Un giorno Pietro decide di an- Regia: Alessandro Celli dare dalle Formiche all’insaputa Soggetto: Alessandro Celli di Christian per chiedere loro di Sceneggiatura: Alessandro Celli, Antonio Leotti entrare a far parte della gang, ma Interpreti: Dennis Protopapa (Mondocane), per entrare a farne parte deve su- Giuliano Soprano (Pisciasotto), Alessandro perare una prova che consiste nel Borghi (Testacalda), Barbara Ronchi (Katia), dare alle fiamme il negozio di ani- Ludovica Nasti (Sabrina), Federica Torchetti mali della città che porta il nome (Sanghe), Josafat Vagni (Tiradritto), di ‘Mondocane’. La prova viene Francesco Simon (Tarallo), Adriano Novelli (Bombino), Lavinia Novelli (Randagia) superata con successo e a Pietro, Durata: 110’ convocato da Testacalda, viene Distribuzione: 01 Distribution proposto di entrare a far parte delUscita: 3 settembre 2021 la gang. Prima di accettare Pietro pone una condizione: o entra anche Nel frattempo la polizia sta Christian a far parte delle Formiindagando sull’autore dell’atto che o lui è pronto a rinunciarvi. 21


incendiario, essendo questo di matrice dolosa, e insieme al proprietario iniziano a interrogare anche Sabrina, una giovane orfana che lavora nell’acciaieria della ‘vecchia’ Taranto e che era solita frequentare il negozio. Pietro e Christian intanto, vedendo la concreta possibilità di entrare nella gang, decidono di porre fine alla loro condizione caratterizzata da sfruttamento e abusi uccidendo il vecchio pescatore Fulmine. Dopo aver gettato la salma in mare, i due ragazzi decidono di andare dalle Formiche per dare il via al loro sogno. Quando i due ragazzi arrivano al cospetto di Testacalda, questi dà loro un compito che, se superato, permetterebbe loro di entrare a far parte a pieno titolo della gang. Il compito è quello di andare a rapinare una sontuosa villa situata nella Taranto “nuova”. La prova viene superata e i due diventano ufficialmente componenti della gang e come premio decidono di concedersi una gita nella Taranto “nuova” dove per caso fanno la conoscenza di Sabrina che esprime loro il desiderio di andare ai Tamburi, il cimitero, dove sono sepolti i suoi genitori. I giorni passano, le indagini della polizia vanno avanti e uno dei ragazzi delle Formiche viene catturato e sottoposto a cruenti interrogatori per estorcere informazioni sul formicaio e su Testacalda, ma senza risultati. Pietro e Christian, di nascosto dalla Formiche, continuano a frequentare il lido della Taranto ‘nuova’

e a interagire con Sabrina. Un giorno, tornati al formicaio, Christian ha una forte crisi epilettica alla quale assistono i componenti della gang e Testacalda. I giorni passano, le indagini della polizia vanno avanti e tra Pietro e Sabrina inizia ad instaurarsi una dolce amicizia mentre il rapporto tra i due ragazzi inizia ad incrinarsi perché, nonostante la malattia che lo affligge, Christian è quello che tra i due è risultato più coraggioso e ubbidiente agli ordini del loro leader. Testacalda infatti avendo capito che Pietro è l’anello debole tra i due, inizia a portare Christian dalla sua parte con lo scopo di farlo allontanare dal suo amico. Tant’è che un giorno tra i due scoppia una violenta lite che ha come oggetto la morte del compagno precedentemente arrestato e che si conclude con Christian che acconsente alla punizione che Testacalda ha pensato per Pietro: rinchiuderlo nel pozzo fino a quando non avrà capito di aver sbagliato e non dimostrerà la sua fedeltà alla gang. L’unico modo che ha Pietro di salvarsi è quello di uccidere la poliziotta che sta indagando sulla gang e che si pensa essere la causa della morte del loro compagno. Pietro stremato dalla sua condizione, accetta, ma giunti sul posto qualcosa va storto. Nella macchina, insieme alla poliziotta, c’è anche Sabrina e Pietro, accortosi di lei, invece di sparare alla poliziotta punta la pistola verso Testacalda ferendolo. Da questo momento ha inizio una sparatoria: a farne le spese è la poliziotta, mentre Sabrina e Pietro riescono a scappare. Testacalda, seppur ferito, ordina ai suoi di trovarli e portali da lui. La caccia finisce quando Pietro, dopo aver messo in salvo Sabrina, va nella vecchia fabbrica dove ad aspettarlo c’è Christian con il quale inizia una colluttazione che si conclude nel momento in cui quest’ultimo inizia ad avere 22

una nuova crisi. Approfittandone, Pietro trova un escamotage che gli permette di scappare, lasciando Testacalda e gli altri intrappolati nella fabbrica. Da questo momento per Pietro ha inizio una nuova vita, lontano da morte e distruzione. Mondocane prodotto da Groenlandia e Minerva Pictures e Rai Cinema e presentato alla XXXVI Settimana Internazionale della Critica a Venezia, è il film di esordio del regista Alessandro Celli, autore d’esperienza in Tv e in corti, ma per la prima volta autore di un lungometraggio. Celli ci racconta che siamo tutti soggetti a portarci dietro il peso della sofferenza e del sacrificio, come Christian che porta sulle spalle una croce di legno che nel contesto in cui è immerso non assume più alcun significato. Le uniche istanze che possono avere un significato in un contesto di distruzione e disperazione sono quelle che hanno a che fare con i legami: l’amore, l’amicizia, che aiutano i protagonisti del film ad avere una prospettiva ed una visione diversa da quella a cui sono abituati. Mondocane infatti non è solo il titolo del film e il nome del protagonista: è soprattutto un grido di rabbia verso una condizione esistenziale precaria, incerta e di un tempo che corre troppo veloce e che non permette ai più piccoli di vivere la loro spensieratezza. Il capo delle Formiche è interpretato da Alessandro Borghi che questi ruoli li veste sempre bene e che in questo caso assume un ruolo paradossalmente pedagogico per i ragazzi che fanno parte della gang. Il personaggio di Testacalda assume la figura di mentore ed educatore, li ha accolti quando erano soli e li educa alla sopravvivenza che implica fare delle scelte. La struttura narrativa del film è ben composta, lenta all’inizio per

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poi diventare un action movie che tiene lo spettatore incollato allo schermo. Le tematiche che vengono affrontate sono a sfondo sociale e ambientale. Infatti, come nella realtà, anche nel film viene raccontata una Taranto che combatte e che resiste. È In questo contesto

che emerge il motivo per il quale Testacalda compie, insieme alle Formiche, azioni poco nobili, in quanto lo scopo delle Formiche è quello di rubare ai ricchi della Taranto ‘nuova’ per poter aiutare i ‘resistenti’ a ricostruire la ‘vecchia’ Taranto.

La storia presenta una continua lotta tra bene e male, tra buoni e cattivi, proprio perché all’interno dello scenario distopico che viene presentato nel racconto molto spesso la linea di confine sfuma e scompare. Flora Naso

di Roberto Andò

IL BAMBINO NASCOSTO Origine: Italia, 2021

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Napoli, oggi. Gabriele Santoro è un professore di musica che insegna al conservatorio San Pietro a Majella. Silenzioso, solitario ha preferito vivere nel suo grande appartamento in un quartiere dalla cattiva fama, il Rione Sanità, lontano dalla sua famiglia d’origine, avulso da qualsiasi attività di cui è partecipe la gente comune. Solo la musica è la sua grande compagna unitamente alle poesie che impara a memoria per tenere in allenamento il cervello. Dà, saltuariamente, qualche lezione privata al pianoforte. Una mattina, durante un attimo di disattenzione per la consegna di un pacco, un bambino intorno ai dieci anni entra nel suo appartamento e vi si nasconde. Il maestro lo scopre presto e riconosce in lui Ciro, il figlio di una famiglia che abita nel suo stesso palazzo. Ciro e il suo amico Rosario hanno scippato la madre del camorrista De Vivo nei vicoli della città: la società criminale li vuole entrambi morti a lezione perpetua del comportamento da avere nei territori amministrati. Il professore, d’istinto, decide di nascondere il bambino e, man mano, viene a conoscenza, spiando dalla finestra, degli intrighi e delle violenze camorriste del quartiere; il bambino non ha altre strade che restare anche se si annoia moltissimo, in compagnia di questo vec-

chio gufo che, in fin dei conti, non sa come comportarsi con lui. Non solo, Ciro ha avuto un’educazione completamente anaffettiva e violenta e non lascia occasione per dimostrare al professore il suo scherno, soprattutto quando scopre il suo legame omosessuale con un amico che è venuto a trovarlo. È tempo, però, di agire: gli uomini della camorra sono sempre più pressanti nella sorveglianza del palazzo, soprattutto dopo che Rosario è stato scovato e gettato in un pozzo; Diego, un ex allievo del professore, ora al soldo dei De Vivo, va da lui con fare tra il controllato e il minaccioso, ostentando che qualcosa ha capito. Ciro e il professore fuggono di notte e si rifugiano da un accordatore di pianoforte amico di Gabriele che verrà presto ucciso dai camorristi sulle tracce dei fuggiaschi; poi in macchina varcano il confine francese verso destinazioni più lontane possibili. Mentre l’appartamento di Napoli è devastato e incendiato da Diego il professore scrive al fratello, magistrato di alto grado, che già all’inizio della storia gli aveva negato il suo aiuto, per dirgli che continuerà a nascondere Ciro fino a quando la legge italiana non troverà il modo di proteggerlo.

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Produzione: Angelo Barbagallo per Bibi Film TV con Rai Cinema Regia: Roberto Andò Soggetto: liberamente tratto dal romanzo omonimo scritto da Roberto Andò Sceneggiatura: Roberto Andò, Franco Marcoaldi Interpreti: Silvio Orlando (Gabriele Santoro), Giuseppe Pirozzi (Ciro Acerno), Lino Musella (Diego), Imma Villa (Angela Acerno), Salvatore Striano (Carmine Acerno), Tonino Taiuti (Nunzio), Martina Lampugnani (Allieva Luisa), Alfonso Postiglione (Alfonso De Vivo), Claudio Di Palma (Antonio Alajmo), Sergio Basili (Vincenzo Mezzera), Enzo Casertano (D. Alterio), Francesco Di Leva (Biagio), Gianfelice Imparato (Renato Santoro), Roberto Herlitzka (Massimo Santoro) Durata: 110’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 4 novembre 2021

lebrato il racconto di ciò che poteva essere e non era e contemporaneamente la compromissione identitaria tra colpevoli e innocenti (Una storia senza nome); oppure la manipolazione della realtà grazie allo scambio tra qualcuno che c’è e un suo “altro” che non è chiaro chi sia e se, alla fine, ci sia (Viva la libertà); oppure, ancora, la creazione di un’atmosfera metafisica in cui i personaggi possono solo smarrirsi (Le confessioni). Qui siamo di fronte, quasi, a un mito platonico: la realtà non è quella che si vede o si pensa che La drammaturgia di Ro- sia ma quella che si intuisce atberto Andò, scrittore, sce- traverso i vetri di una finestra nel neggiatore, regista ha ce- decodificare gli sguardi degli altri, 23


le posture, le poche parole spezzate e incomprensibili che giungono in alto; oppure attraverso lo spioncino della porta d’ingresso, perché la realtà spesso bussa alla casa del professore, attraverso personaggi che cercano d’intravedere qualcosa, che dicono e non dicono, piuttosto vorrebbero farsi dire quello che pensano già di sapere. Raramente abbiamo visto rappresentata una realtà criminale in modo più vischioso e compromettente; si ha paura di toccare i muri dei palazzi convinti di ritirare le mani sporche di unto; si ha pau-

ra, anche, di dire buongiorno perché non si sa come potrebbe essere interpretato un semplice saluto. Come un insulto? Una sfida? Una minaccia? Non si spara, non ci si scontra, gli uomini vanno e vengono, si guardano, si toccano e ogni tocco ha un significato, un lamento si sente dietro una porta, un rivolo di sangue sul volto dell’accordatore di pianoforti goccia alla fine come il timbro a una storia cui manca solo un pezzetto per chiudersi. Di fronte a tutto questo il professore si ribella, a suo modo, prende coscienza della propria inutile solitudine e si inventa quell’affettuosità che non ha mai avuto né voluto possedere per dare un senso a quella sorta di figlio che il destino ha messo sulla sua strada, come ultima ancora di dignità e amor proprio cui aggrapparsi prima della fine. Il bambino, a sua volta, sente questo calore che gli viene, anche se maldestramente, vicino e ca-

di Julia Ducournau

pisce che solo in questo modo potrà diventare un uomo diverso da quello cui era destinato. La camorra così si trova di fronte due avversari temibili e difficili da battere perché non giocano sul suo stesso terreno, non sparano, non uccidono: un bambino in debito d’amore e non di violenza e un professore antico, indifferente, invisibile, fiero della sua cocciutaggine conquistata per la liberazione di se stesso e in nome di un territorio perseguitato dai criminali. Bello il tocco di regia di Roberto Andò, misurato, attenuato, sensibile nel disegnare l’atmosfera della storia e pudico e prudente di fronte al rapporto tra i due protagonisti. Bravissimo Silvio Orlando, raccolto, concentrato nella sua umanità accantonata ma rivelatasi bruciante; così il piccolo Ciro (Giuseppe Pirozzi), disponibile, immediato nella sua ricerca inconsapevole di ordinaria pietà. Fabrizio Moresco

TITANE

Origine: Francia, 2021 Produzione: Jean-Christophe Reymond per Kazak Productions, in coproduzione con frakas Productions, Arte France Cinema, Voo Et Betv Regia: Julia Ducournau Soggetto e Sceneggiatura: Julia Ducournau Interpreti: Vincent Lindon (Vincent), Agathe Rousselle (Alexia), Garance Marillier (Justine), Laïs Salameh (Rayane), Dominique Frot, Théo Hellermann, Myriem Akheddiou, Nathalie Boyer Durata: 108’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 30 settembre 2021

La prima scena del film mostra una bambina, di nome Alexia, che infastidisce continuamente suo padre durante un viaggio in auto. In seguito però, mentre quest’ultimo si toglie la cintura

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di sicurezza per girarsi e rimproverare la figlia, distoglie gli occhi dalla strada provocando un terribile incidente. Tutto ciò causa una profonda ferita al cranio della bambina che i medici cureranno attraverso l’inserimento di una placca in titanio. Anni dopo, Alexia, oramai adulta e con una vistosa cicatrice sul lato destro della sua testa, lavora come ballerina sexy durante i motor show. Una sera, dopo la fine di un suo spettacolo, Alexia viene inseguita da un suo fan fino all’interno dalla sua auto. Costui prima le chiede un autografo e poi si dichiara perdutamente innamorato di lei; la donna però, lo uccide brutalmente con una forcina. Dopo essersi fatta la doccia, Alexia viene 24

improvvisamente attratta da strani rumori provenienti all’interno dello showroom che la porteranno a trovarsi di fronte a una Cadillac di fiammante bellezza; la donna quindi, eccitata, decide di addentrarsi nuda all’interno di essa: qui si sfregherà con la tappezzeria dell’auto fino a raggiungere l’orgasmo. Nei mesi successivi Alexia ucciderà uomini e donne divenendo in poco tempo una temuta e ricercata serial killer. Intanto, la donna vive ancora con i suoi genitori (con i quali non ha mai instaurato un forte rapporto affettivo) che sembrano ignari del suo legame con i crimini compiuti In seguito, Alexia si rende con-


to che in qualche modo è rimasta stranamente incinta. Quindi, cerca di abortire da sola utilizzando la sua forcina, ma fallisce. Successivamente, Alexia viene invitata ad una festa privata dove avrà un rapporto sessuale con Justine (una delle sue colleghe del motor show); prima uccide quest’ultima e poi anche gli altri ospiti. Tuttavia, una donna riesce a fuggire. Prima che la polizia possa braccarla, Alexia dà fuoco alla sua casa e vi chiude i suoi genitori all’interno della loro camera da letto affinché muoiano. Alexia raggiunge dunque una stazione con un autostop e scopre che il suo volto viene indicato su vari schermi come quello di una persona ricercata. Alexia nota però anche i volti invecchiati digitalmente di alcuni bambini scomparsi molti anni addietro: uno di loro, Adrien, le somiglia incredibilmente. La donna decide dunque di travestirsi da ragazzo, tagliandosi i capelli, rompendosi il naso, nascondendo seno e addome e di presentarsi alla polizia affermando di essere Adrien. Il padre di Adrien, Vincent, riconosce in Alexia il figlio creduto morto e si rifiuta di fare un test del DNA. Vincent, capitano dei vigili del fuoco, porta con sé Alexia alla caserma in cui vive e lavora e la presenta ai suoi uomini. I colleghi, perplessi dal suo mutismo, e dall’aspetto androgino e apparentemente traumatizzato, si astengono nel mettere in discussione il comportamento del loro capitano. Alexia diventa quindi apprendista alla caserma dei vigili del fuoco, sotto la supervisione di Vincent. Mentre quest’ultimo dà più responsabilità a suo “figlio” invece che agli altri colleghi più esperti, un pompiere si confronta con Vincent sull’identità di “Adrien”. Tuttavia, Vincent si rifiuta di ascoltarlo, obbligandolo a non parlare mai più di suo figlio.

Nonostante la sua apparente risolutezza, Vincent è un uomo afflitto che cerca in tutti i modi di preservare la sua forza iniettandosi steroidi per non mostrarsi debole agli occhi di tutti. Alexia invece, è gradualmente disturbata dalla sua possessività e pensa al modo di fuggire dalla caserma dei pompieri. Tuttavia, dopo che Vincent è andato quasi in overdose, lei sceglie di rimanere con lui. Intanto, l’ex moglie di Vincent, da tempo separata, fa visita a suo “figlio”, ma si imbatte in un’Alexia senza veli, vistosamente incinta e in preda alle doglie del parto; tuttavia mantiene il segreto per se stessa, non volendo interferire con l’illusione del suo ex marito. A un certo punto Vincent scopre accidentalmente il seno di Alexia dopo la doccia. Nonostante questo, la copre di nuovo promettendole di continuare a prendersi cura di lei. Poi però, all’improvviso il corpo di Alexia si sgretola lentamente mentre nella pelle del suo stomaco si rivelano nuove piastre metalliche e inizia a secernere quello che sembra essere olio per motori dai seni e dalla vagina. Quando finalmente la sua gravidanza giunge a termine, Alexia rivela il suo vero nome a Vincent. Alexia muore dopo che Vincent l’ha aiutata a partorire. L’uomo, in lacrime, tiene in braccio il bambino, la cui spina dorsale sembra essere composta in titanio. “È un lavoro molto personale, non un manifesto, rappresenta la mia visione della vita e della libertà, in tema di genere, amore, sessualità. Capisco possa spiazzare, non pretendo di piacere a tutti. [...] Per me Titane è un film d’amore. È difficile parlarne, non sappiamo più che cos’è. Per me è un’evoluzione, continua e sfuggente, qualcosa di mitologico. Le parole non bastano, io ho

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provato a dirlo con le immagini. Ognuno lo giudichi come vuole”. È così che la regista e sceneggiatrice francese Julia Ducournau afferma in un’intervista del Corriere della sera a proposito della sua pellicola Titane. In effetti, quello a cui assistiamo è un’opera affascinante, coraggiosa e controversa che non ha paura di scontrarsi contro il buon gusto e mero convenzionalismo logorante del cinema odierno mainstream. Proprio come la sua protagonista, il film supera ogni limite bypassando topoi e cliché per trasformarsi in qualcosa di “nuovo” e post-umano. Un corpo che la Ducournau ha voluto liminale, atipico, dalla bellezza androgina ma “cicatrizzato” che viene incastonato attraverso le forme della splendida e disinibita Agathe Rousselle. Non a caso, lo stesso titolo del film, Titane (“Titanio”) contiene forse l’essenza di tutta l’opera che - senza scomodare la poetica della nuova carne del maestro Cronenberg - è il nome non solo del metallo utilizzato per creare protesi, ma richiama la natura mutevole di una donna che deve affrontare il dramma di assistere al proprio cambiamento, opponendosi meccanicamente al mondo in cui la circonda attraverso il sesso e la violenza più efferata. Non esistono mezze misure. Nulla viene omesso e tutto viene scaraventato prepotentemente sullo schermo tra san-


gue, secrezioni, ferite e corpi martoriati. Ma Titane è molto di più. È un film che riflette il suo tempo affrontando tematiche quali identità di genere e fluidità sessuale servendosi di svariati registri cinematografici - che spaziano dal thriller, al cyberpunk o al body horror per poi convergere in un melodramma quasi surreale - frantumando inoltre, la mascolinità tossica in favore del riscatto femminile e del puro bisogno d’amore. Dal punto di vista tecnico, oltre all’ottima prova di regia della Ducournau (qui al suo secondo lungometraggio dopo Raw - Una

cruda verità), bisogna evidenziare la splendida fotografia dai toni psichedelici e laceranti di Ruben Impens (che ricorda l’estetica al neon, iconoclasta e stilizzata di Refn) così come l’ipnotica colonna sonora composta da Jim Williams che avvolge il film in un’atmosfera quasi futurista. Degno di nota anche l’inserimento di pezzi musicali eterogenei che vanno dall’indie rock (Future Islands, The Kills), al british rock anni Sessanta (The Zombies) o all’energico ultrapop della nostra Caterina Caselli con “Nessuno mi può giudicare”. Presentato in anteprima mondiale il 13 luglio 2021 alla 74esi-

di Alessandro Genovesi

ma edizione del Festival di Cannes, il secondo lungometraggio di Julia Ducournau si è aggiudicato a sorpresa la Palma d’oro come miglior film, divenendo inoltre la seconda pellicola diretta da una regista donna a vincere il primo premio dopo Lezioni di piano di Jane Campion nel 1993. Titane è stato distribuito nelle sale cinematografiche francesi da Diaphana Distribution a partire dal 14 luglio 2021 mentre in Italia nell’ottobre 2021 da I Wonder Picture con annesso divieto ai minori di 18 anni. Alessio D’Angelo

SETTE DONNE E UN MISTERO

Origine: Italia, 2021 Produzione: Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa per Wildsite, Warner Bros. Entertainment Italia Regia: Alessandro Genovesi Soggetto: dal film “8 donne e un mistero” di François Ozon (2002) Sceneggiatura: Alessandro Genovesi, Lisa Nur Sultan Interpreti: Margherita Buy (Margherita), Diana Del Bufalo (Susanna), Sabrina Impacciatore (Agostina), Benedetta Porcaroli (Caterina), Micaela Ramazzotti (Veronica), Luisa Ranieri (Maria), Ornella Vanoni (Rachele), Luca Pastorelli (Marcello), Marco Rossetti (Ispettore Giovanni Ripoldi) Durata: 83’ Distribuzione: Warner Bros. Pictures Uscita: 25 dicembre 2021

È la vigilia di Natale. La giovane Susanna torna da Milano nella casa dei genitori in mezzo alla campagna innevata. Ad attenderla ci sono la madre Margherita, la nonna Rachele, la sorella minore Caterina, la zia Agostina. In casa c’è una nuova avvenente domestica napoletana, Maria. Poco dopo l’arrivo della giovane, le donne scoprono che l’uomo di casa, Marcello, marito di Margherita e padre di Caterina e Susanna, è mor-

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to, trafitto da una coltellata alla schiena. Le donne si chiedono chi sia l’assassino: mentre nella casa irrompe Veronica, ex amante di Marcello Poco dopo, le donne scoprono di essere isolate da una tempesta di neve, il telefono ha i fili staccati, il cancello è chiuso dall’interno, la macchina non parte perché qualcuno ha manomesso il motore. L’assassina è quindi una di loro. Tutte sono sospettate perché ognuna aveva un movente valido per eliminare l’uomo: in primis Rachele, che teneva stretti i suoi titoli bancari pur sapendo delle difficoltà economiche di Marcello, e Margherita che ormai aveva solo un rapporto formale con il marito. Iniziano a uscire fuori diverse verità: Susanna era arrivata in realtà qualche ora prima, quella notte, perché voleva parlare col papà tranquillamente. La ragazza rivela di essere incinta. Maria serve il pranzo: alla fine del pasto la cameriera confessa di essere l’amante di Marcello. Bloccate dal cancello chiuso da un grosso catenaccio, le donne 26

iniziano a rivelare scomodi segreti. Viene fuori che la primogenita Susanna non è figlia di Marcello: Margherita confessa che aveva conosciuto l’uomo quando era già incinta al terzo mese. Agostina ammette la sua frustrazione per non essere mai riuscita a conquistare un uomo e di essere innamorata di Marcello che l’aveva sempre respinta. Mentre aumentano i sospetti e gli interrogativi, improvvisamente va via la luce. Tutte le donne escono per cercare aiuto. Margherita e Veronica restano sole. Margherita confessa che stava per lasciare il marito per un altro uomo: se ne sarebbe andata prima di Capodanno. Anche Veronica confessa di avere un nuovo amante. Entrambe scoprono che si tratta dello stesso uomo. Le due donne lottano e finiscono per baciarsi; in quel momento rientrano tutte le altre. La nonna rivela di aver capito tutto e si rivolge alla più piccola di casa, Caterina, dicendole che tocca a lei.


La ragazza racconta la sequenza della nottata: tutte e sette le donne erano entrate a turno nella camera di Marcello per dirgli diverse cose, fino a quando, a tarda notte, la figlia Susanna aveva comunicato al padre di aspettare un bambino. Caterina confessa che aveva voluto farla pagare a tutte loro: il papà era esausto, per questo aveva simulato la sua morte con una finta pugnalata. La cameriera Maria dice che Marcello non era morto perché potesse sentire come loro avrebbero reagito alla notizia della sua scomparsa. Quel giorno sarebbe dovuto andare dal notaio e voleva avere le idee chiare sul testamento, ma poi si era lanciato giù dalla finestra. Al poliziotto giunto presso la villa, le sette donne dicono che Marcello si era suicidato per le difficoltà economiche che stava attraversando. Agostina mette gli occhi sul poliziotto e gli fa delle avances, poi prende il suo numero e gli dice che lo chiamerà. Rimaste sole, le sette donne si chiedono cosa ne sarà di loro e di quella casa. Pensano di avere a disposizione una grande villa, soldi per andare avanti oltre ai titoli della nonna e decidono di vivere lì tutte insieme. L’unione tra donne fa la forza, sempre. Le otto donne e un mistero portate sul grande schermo nel 2002 da François Ozon (ispirate al testo teatrale Huit femmes scritto da Robert Thomas, messo in scena per la prima volta nel 1958) sono diventate sette nel remake italiano firmato da Alessandro Genovesi. Riscrivendo la sceneggiatura insieme a Lisa Nur Sultan, il regista italiano opta per lo spostamento temporale: dagli anni Cinquanta del film di Ozon qui si salta indietro agli anni Trenta. Inoltre vengono aboliti i siparietti musi-

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cali inseriti dal regista francese e si spinge di più sull’atmosfera da mystery con decise pennellate di commedia leggera. Il resto è immutato: la tempesta di neve, i fili del telefono tagliati, il cancello chiuso con un catenaccio, e quindi l’isolamento delle sette donne. Ed ecco il girotondo delle ipocrisie, delle bugie, delle rivelazioni improvvise. E ancora le frecciatine, i veleni, le liti, stemperate da battute ironiche affidate soprattutto all’anziana nonna (una inedita quanto convincente Ornella Vanoni sempre a caccia di qualche bicchierino di troppo). E così, ecco la padrona di casa divenuta ormai estranea per il marito, l’amante fatalona (nel film di Ozon questo personaggio era la sorella del protagonista), la figlia maggiore che vive in città, la figlia minore protettiva col papà, la sensuale cameriera del sud assunta da poco, la zia Agostina zitella ‘stagionata’ segretamente innamorata del marito della sorella e persa in sogni romantici, la suocera del defunto che gli ha sempre nascosto le sue ricchezze. Un gineceo che riunisce una serie di caratteri forti in cui l’unico uomo è ridotto al silenzio da una pugnalata sulla schiena, ma è la stessa figura maschile ad essere al centro dei dialoghi delle donne. Tutte e sette le signore si ritrovano a sospettare e ad essere oggetto di sospetti. Le prove convincenti delle attrici reggono un film di impianto fortemente teatrale che rispetta l’unità di tempo e di luogo. Su tutte spiccano le interpretazioni della matrona di casa Margherita Buy e della cameriera Luisa Ranieri mentre le occasionali parolacce della Vanoni strappano qualche sorriso. Tutte e sette le attrici hanno però l’agio, durante gli 82 minuti del film, di riuscire a conferire alle loro maschere, debolezze, punti di forza, vizi e virtù. 27

Il finale a sorpresa vira verso un senso di solidarietà femminile, con quel messaggio femminista che forse risulta un po’ fuori tempo se si pensa che la vicenda è ambientata negli anni Trenta. Ma è proprio questo stesso inno alla sorellanza che conferisce alla pellicola di Genovesi una sua identità. Pur molto distante dal film di Ozon, dai suoi toni torbidi e dal lavoro di fine cesellatura compiuto dal regista francese sulle personalità delle protagoniste (le cui caratteristiche erano modellate su attrici del calibro di Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle Huppert ed Emanuelle Béart, per citarne solo quattro), il film di Genovesi rimane un apprezzabile tentativo di realizzare un giallo con plot e atmosfere alla Agatha Christie, cosa rara per un regista italiano e con un cast tutto al femminile. Da segnalare le belle scenografie di Massimiliano Sturiale che collocano la vicenda in una grande villa barocca traboccante di oggetti, tappeti, mobili e un grande albero di Natale. Giallo d’atmosfera alleggerito da tocchi di ironia e battute al vetriolo, Sette donne e un mistero, allontanandosi dall’originale e planando progressivamente sempre di più sul terreno della commedia, resta un piacevole piccolo film che può intrattenere in un freddo pomeriggio d’inverno, con o senza neve fuori dalle finestre. Elena Bartoni


di Vincenzo Salemme

CON TUTTO IL CUORE

Origine: Italia, 2021 Produzione: Chi è di scena, Medusa Film Regia: Vincenzo Salemme Soggetto:dall’opera teatrale omonima di Vincenzo Salemme Sceneggiatura: Vincenzo Salemme, Gianluca Bomprezzi (collaborazione), Gianluca Ansanelli (collaborazione), Antonio Guerriero (collaborazione) Interpreti: Vincenzo Salemme (Ottavio Camaldoli), Serena Autieri (Clelia), Cristina Donadio (Donna Carmela), Maurizio Casagrande (Dr. Cuccurullo), Antonio Guerriero (Salvatore), Sergio D’Auria (Paolo), Andrea Di Maria (Archimede), Vincenzo Borrino (Gelsomino), Gennaro Guazzo (Gennaro), Ciro Capano (Don Ciro), Rodolfo Corsato (Carlo), Marcello Romolo (Preside), Gino Rivieccio (Dottore), Ludovica Nasti (Sara) Durata: 90’ Distribuzione: Medusa Film Uscita: 7 ottobre 2021

Una sera, per un regolamento di conti, Antonio Carannante, detto O Barbiere, per come era solito fare barba e capelli ai suoi nemici dopo averli uccisi, viene freddato davanti al suo ristorante. Il responsabile è O Mangiacarne, boss del clan rivale. Donna Carmela, la madre dell’assassinato, dispone subito che il cuore del figlio venga trapiantato. Il suo obiettivo è in realtà far continuare a vivere suo figlio e si convince che la persona a cui verrà trapiantato il cuore sarà anche quello che dovrà vendicare la sua morte. Il fatto è che, nonostante un tentativo di trapiantare il suo cuore ad un pugile quarantenne, il cuore per errore va a finire nel petto di Ottavio Camaldoli, professore di latino e greco al liceo, in lista d’attesa per il trapianto. Una persona noiosa e onesta, che vive da solo con il figlio, una brava persona, insomma “un fesso” per Donna Carmela e anche per tanti che vivono intorno a lui. Per i suoi vicini di casa e per la donna delle pulizie che gli mancano continua-

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mente di rispetto, per il figlio adolescente, per i suoi studenti, per il preside della scuola, per la sua ex e per chi gli passa davanti al bancone della salumeria. Intanto un video in cui Donna Carmela annuncia che il figlio è risorto diventa virale, e la gente comincia a vedere Ottavio in un altro modo. Una volta ripresosi dall’intervento Ottavio però dovrà pagare il suo debito e trasformarsi in killer e uccidere O Mangiacarne, come ordinato da Donna Carmela, la mattina di Natale. Ottavio inizia a fare sogni inquietanti e assapora brevemente il potere che potrebbe avere essendo riconosciuto come il nuovo “Barbiere” ( o “Escobar”, come gli dice il figlio), ed immaginando tutte le rivincite che potrebbe riprendersi. Ma è solo un sogno che, una volta sveglio, Ottavio però definisce un incubo. Con sua grande sorpresa ritorna a casa persino la sua ex compagna, che passa con lui la vigila di Natale. Ma durante la serata Ottavio è costretto ad assentarsi per portare a termine il terribile omicidio. L’uomo prova a mettersi d’accordo con la persona che deve uccidere (sbagliando però soggetto), perché non ha il coraggio di compiere l’efferato omicidio. Aiutato dall’infermiere Giovanni, che intanto avvisa il Commissariato, va al ristorante e trova O Mangiacarne già morto, ucciso dal fratello del vero Barbiere. Ad essere incolpato dell’omicidio però è lui e viene chiuso per tre mesi in un Centro di igiene mentale, in quanto creduto pazzo. Trascorso il periodo ritorna alla sua vita di sempre.

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Il nuovo film diretto e interpretato da Vincenzo Salemme Con tutto il cuore è la trasposizione cinematografica dell’omo28

nimo spettacolo teatrale dell’attore e regista napoletano. La commedia segna una svolta nel modo di fare cinema del regista, che esce dalle case popolari o borghesi per percorrere le strade della sua città, senza però renderle folcloristiche e dirigendo se stesso e i suoi compagni di set con una recitazione più naturale. C’è una grande ricerca di realismo, oltre al desiderio di demandare la risata agli altri, ritagliandosi il ruolo di un uomo serio e posato, un professore di liceo che fa parte della schiera dei cosiddetti inermi, di coloro che pagano le tasse, rispettano le leggi, ma che quando hanno l’ardire di protestare non vengono mai ascoltati. La premessa della pellicola è da commedia degli equivoci, perché succede che il cuore di un malavitoso finisca nel petto di un cinquantanovenne mite, che viene sollecitato dai familiari del delinquente a vendicare il suo assassinio. Il resto del film, però, non è un susseguirsi di battute e situazioni buffe. Pur affidandosi a dialoghi rapidissimi e spiritosi, Salemme suona la corda della malinconia e lo fa attraverso la disillusione del protagonista, affranto e disgustato da un mondo dove la cultura viene mortificata perché non serve a nulla. Si diverte persino a citare Amore a prima vista con il personaggio di un vecchietto che dice insistentemente “Voglio la pappa” e dove allo stesso modo un’operazione chirurgica cambia la vita del protagonista. La cosa più interessante è questa sorta di elogio verso le persone comuni e oneste. Ottavio Camaldoli è proprio questo, non un furbetto né tantomeno un disonesto. La forza di questo messaggio si vede dal contrasto tra il suo personaggio, che prova ad es-


sere fermo nel suo modo di essere e tutti quelli che ruotano intorno a lui. Chi salta la fila mentre fa la spesa, chi lascia l’auto in seconda fila, chi blocca il traffico per bere con calma un caffè, chi si ingozza al buffet, chi ottiene un posto di lavoro senza meritarlo. Il film di Salemme vuole provare allora ad essere la rivincita dei normali. C’è anche grande attenzione per la messa in scena e i costumi, con diverse scene ambientate nella pacchiana e inquietante residenza del clan del Barbiere, e si sfiora il tema della solitudine maschile e del complicato rapporto che può esserci fra un padre e un figlio. Alcuni giochi di parole e gag tutta-

via appesantiscono la storia. Nella prima parte, infatti, introduce nella storia elementi piuttosto inutili e allontana la vicenda dal suo centro. Come quello sulla badante indiana, che può funzionare in un certo tipo di teatro, ma al cinema risulta forzato e fuori luogo. Così come i cliché sulla napoletanità e le scene che ammiccano a Gomorra, sostenute ancor di più dalla presenza di Cristina Donadio, attrice napoletana divenuta celebre proprio grazie al suo ruolo interpretato nella famosa serie tv. Il punto forte del film è senz’altro la recitazione di un cast tutto proveniente dal teatro, che a volte trova difficoltà nel trasformare il

ritmo di commedia teatrale in cinematografico, perché laddove il ricamo nei dialoghi resta perfetto manca la spinta comica che, in un film, è data dall’agilità di un montaggio più dinamico. Nel cast anche Serena Autieri, Maurizio Casagrande e Antonio Guerriero. Veronica Barteri

di Silvio Soldini

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Origine: Italia, Svizzera, 2021

Milano, oggi. Camilla è un’avvocatessa di successo in uno studio legale d’affari; divorziata, vive in una splendida casa con la figlia Adele con cui ha rapporti scarni, superficiali di cui si lamentano entrambe; ha una relazione con un uomo del suo ambiente, sposato, con cui si vede in un pied-à-terre organizzato per lo scopo. Camilla ha anche un brutto carattere che le ha precluso, finora, la partecipazione allo studio come partner associata. Proprio questo è lo spunto di tutto: in macchina, una sera, al culmine di una discussione con il dirigente a lei più vicino, impone all’autista di fermare e scende. Avviandosi ad attraversare la strada, Camilla è investita da due ragazzi in moto e gettata sull’asfalto. Lei riporta la frattura di un braccio, uno dei due giovani (si scoprirà: due arabi, forse due immigrati clandestini) fugge in moto, l’altro resta al suolo e morirà poco dopo in ospedale.

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Da questo momento la vita di Camilla cambia: la parte affari, il suo lavoro legale così come la sua relazione (finirà poco dopo, priva di una base per continuare) subiscono degli scossoni e le interesseranno molto meno mentre la sua ossessione per scoprire l’identità del ragazzo morto sulla strada prende il sopravvento. Camilla va dalla polizia, conosce il direttore dell’obitorio, Bruno e insieme a lui cerca di risalire all’identità del giovane arabo, senza successo. Con la figlia, intanto, ha un chiarimento a suon di schiaffi: Adele se ne va e inizia una nuova vita con un ragazzo, dopo avere abbandonato i suoi studi di economia con zero esami dati. Bruno e Camilla finiscono a letto anche se lui il giorno dopo ammette al telefono che appartengono a mondi troppo diversi per potere continuare. Neanche la visita presso un’organizzazione di aiuti per immigrati dà esiti concreti tranne la conoscenza con un ragazzo marocchino 29

Produzione: Lionello Cerri, Cristiana Mainardi per Lumiére & CO., Vision Distribution, in coproduzione con Elda Guidinetti per Ventura Film e RSI Radiotelevisione Svizzera/SRG SSR, in collaborazione con SKY e Prime Video Regia: Silvio Soldini Soggetto e Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Davide Lantieri, Silvio Soldini Interpreti: Kasia Smutniak (Camilla), Francesco Colella (Bruno), Caterina Forza (Adele), Paolo Mazzarelli (Maurizio), Martina De Santis (Lisa), Antonio Zavatteri (Steve), Anna Ferzetti (Bea), Arianna Scommegna (Mara), Giuseppe Cederna (Direttore mensa) Durata: 120’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 11 novembre 2021

che, forse, ha conosciuto il morto. Il ragazzo condotto a casa da Camilla e lì lasciato per uno dei suoi impegni improrogabili le sfascia l’appartamento e fugge. È tempo di seppellire il giovane sconosciuto con il suo numero di obitorio (3/19) ma Camilla si rifiuta e, insieme alla figlia, con cui si sta ritrovando grazie alle reciproche confidenze, gira la Liguria per trovare un cimitero piccolo e di fronte al mare.


Il giorno della sepoltura Camilla e Bruno sono costretti a stare insieme per il compimento delle pratiche burocratiche, si sfiorano e si prendono per mano; forse per loro è iniziato un futuro. Il film è un’indagine su come sia possibile cambiare vita anche quando questa è articolata in un meccanismo incessante, senza soste. L’avvocatessa Camilla parte di colpo per un sentiero inaspettato, quello che le dovrebbe permettere di dare un nome al ragazzo morto

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sull’asfalto forse anche un po’ per colpa sua. E se, alla fine di questo gioco dell’oca, dove sembra sempre di ritornare al punto di partenza, una degna sepoltura è finalmente trovata per il giovane, si capisce che tutta la situazione è stata inconsapevolmente usata come uno schermo dalla protagonista. Camilla ha intuito che non è vero che il tempo corre veloce a tal punto da non dare spazio a chi vorrebbe utilizzarlo meglio; basta fermarsi, prendere coscienza di se stessi, dei propri bisogni primari e iniziare la strada della ricerca di ciò che possa fare stare bene. Ecco che questo cammino verso la verità ha, come prima tappa, la ricostruzione del rapporto con la figlia: le due donne capiscono di poter rispecchiare l’una nell’altra sofferenze e aspirazioni, difficoltà e progetti e, naturalmente, quel forte bisogno d’amore per entrambe, finora, negato. In una delle interviste rilasciate per il lancio del film Smutniak ha

di Alexandre Bustillo, Julien Maury

detto dell’accordo nato con il regista Soldini per indirizzare la macchina da presa in modo da seguire da vicino le azioni del personaggio. Questo ha permesso di comunicare al meglio il suo percorso e le sue conquiste: lo spettatore accoglie le ansie, le speranze, lo sconforto, i sorrisi di Camilla in una forte immedesimazione, in un intenso assorbimento dei sensi, a conferma che il mezzo cinema può agire nel profondo, con sensibilità e naturalezza, se sostenuto da registi e attori che sappiano dirigere e recitare. Silvio Soldini è un regista colto e raffinato, quasi aristocratico nel trattare i sentimenti e le storie di uomini e donne. Kasia Smutniak ha provato, come donna, forti gioie e grandi dolori: ne intuiamo la presenza ogni volta che l’attrice ci regala emozioni, coinvolgimenti, pensieri tenaci, desideri, passioni, tenerezze. Fabrizio Moresco

LA CASA IN FONDO AL LAGO

Origine: Francia, 2021 Produzione: Frédéric Fiore, Jean-Charles Levy, Clément Miserez, Eric Tavitian, Matthieu Warter, Natan Bogin, Louis Letterier, Cloé Garbay, Bastien Sirodot Regia: Alexandre Bustillo, Julien Maury Soggetto e Sceneggiatura: Alexandre Bustillo, Julien Maury, Julien David, Rachel Parker Interpreti: Camille Rowe (Tina), James Jagger (Ben), Éric Savin (Pierre), Carolina Massey (Sarah Montegnac) Durata: 85’ Distribuzione: Notorious Pictures Uscita: 5 agosto 2021

Ben e la fidanzata Tina sperano di fare successo postando online i video delle loro gite in luoghi abbandonati e maledetti. L’obiettivo della prossima avventura è un misterioso lago nel sud della

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Francia ma, arrivati sul posto, scoprono che in realtà è divenuto una località turistica, da cui la delusione di Ben e il desiderio di Tina di prendersi una vacanza. Un uomo del posto, Pierre, racconta loro che cinquant’anni prima la regione era stata devastata da delle alluvioni, il paese era stato evacuato e la vallata allagata di proposito, da cui la formazione del lago. L’uomo si offre di accompagnarli in un ramo del lago isolato, in cui è sepolta una casa ancora perfettamente conservata. Sperando di aumentare le visualizzazioni, la coppia si immerge e trova la villa dei Montégnac, in cui sono ancora appesi dei ritagli di giornale inerenti a dei bambini scomparsi. I due si rendono 30

conto che qualcosa di orribile è accaduto nell’edificio, timore confermato dalla scoperta di una stanza segreta in cui sono conservati due cadaveri incatenati sopra un simbolo satanico, con addosso delle maschere da tortura. Terrorizzati, i due cercano di fuggire ma scoprono che la finestra da cui sono entrati è stata murata, sebbene Tina creda che ci sia un passaggio nascosto dato che un pesce continua a entrare e a uscire dalla dimora. Improvvisamente, Tina ha un’allucinazione in cui, rimasta sola, viene aggredita dalle catene. Ben toglie le maschere dai cadaveri e scopre che sono i Montégnac, che si risvegliano e li inseguono.


Ben e Tina cercano di fuggire dal camino ma un improvviso terremoto li separa. Il ragazzo si risveglia in una stanza della casa, sulle cui pareti è disegnato l’albero genealogico della famiglia e scopre che Pierre è uno dei figli dei Montégnac. Sotto l’influsso malefico della casa, Ben accompagna Tina nel luogo in cui tutto è iniziato: una sala dove proietta su uno schermo cinematografico un filmato inerente ai Montégnac, che erano soliti sacrificare i bambini del posto, da cui la vendetta dei compaesani che avevano ucciso la famiglia, a parte Pierre che era riuscito a fuggire. Tornato in sé dopo aver tentato di assassinare la ragazza, Ben tenta di fuggire ma viene raggiunto dai mostri e ucciso. Tina riesce a uscire dalla casa e tenta di nuotare verso la superficie ma, esaurito l’ossigeno, muore annegata. Tempo dopo, Pierre conduce una coppia di ragazze sulle sponde del lago, pronto a offrire nuove vittime alla famiglia. Alexandre Bustillo e Julien Maury non hanno bisogno di presentazioni nel panorama del cinema horror internazionale, in cui si sono inseriti a pieno titolo con il loro celebre e scioccante À l’intérieur, uno dei massimi rappresentanti della New French Extremity, nonché di una certa ossessione per il corpo femminile e la sfera riproduttiva che Erin Harington ha nominato gynaehorror. Il binomio casa-famiglia definisce nuovamente l’immaginario del duo, spesso legato alla dimensione domestica al di là del celebre film del 2007, basti pensare a Leatherface, prequel dell’omonimo film di Hooper, finanche l’offerta di dirigere Halloween 2, poi affidato a Rob Zombie. Ma quali sono le forme che tale dimensione domestica assume in questo nuovo lavoro? A prima vi-

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sta, l’incidenza del simbolismo acquifero, capace di rendere la classica haunted house un luogo matericamente inospitale, sembrerebbe tendere verso una più immediata lettura psicanalitica di soggetti sprofondati nei meandri di uno pseudo-inconscio familiare. Al contempo, scomodare l’immaginario freudiano e intrauterino tipico di molti capisaldi del genere (si pensi al simbolismo materno del saiko-horaa nipponico) può risultare fuorviante, se non pretenzioso, dato che a mancare è una struttura psicologica forte a causa di personaggi esiguamente definiti. È lecito quindi chiedersi se davvero il focus sia nuovamente un ambiente domestico in quanto specchio di quell’obscenum che in À l’intérieur raggiungeva connotazioni politiche e sociologiche, oltre che psicoanalitiche. Se il film si conclude nella stanza in cui tutto è iniziato, ossia una sala cinematografica casalinga in quanto accesso fantasmatico (il fantasma che squarcia lo schermo) e fuga da una realtà fantasmagorica, una lettura metariflessiva appare più idonea e mirata alle origini del cinema stesso, del suo contesto spettrale e dell’estetica attrazionale che lo definiva: gli autori sembrano mettere in scena il meccanismo fantasmagorico del genere, fatto di apparizioni spettrali, voci e jump scares e, al contempo, rivelano l’impianto manieristico del loro cinema. Tra i lavori della coppia, La casa in fondo al lago assume una funzione simile a quella di Inferno nella filmografia del pluriomaggiato Dario Argento ma, attenzione, tale accostamento è ben lontano da una forviante associazione tra il mero esercizio di stile di Bustillo e Maury e il capolavoro argentiano, citato senza dubbio dagli autori per la celebre immersione di Irene Miracle nell’appartamento subacqueo na31

scosto nei meandri della dimora di Mater Tenebrarum. Inferno definiva i suoi personaggi come mera agentività, sottomessi a un dispositivo tanatologico nelle mani di un deus ex machina capace di determinare le azioni di un mondo narrativo artificioso, non sottostante alle logiche causali della diegesi classica, spingendo Argento a osservare le forze strutturanti il suo universo orrorifico. Bustillo e Maury sembrano ambire a un progetto estetico più o meno simile, immergendosi nel loro immaginario fatto di famiglie omicide, spazi domestici violati e stregoneria, ma senza essere mossi dalla stessa follia creativa del regista nostrano, riscoprendo nient’altro che un didascalico campionario di cliché rimediati dagli autori omaggiati. Rispetto a molti giovani registi contemporanei, il manierismo del duo non raggiunge né quell’intellettualismo sotteso per esempio ai lavori sul genere compiuti da Cattet e Forzani, né una metariflessione sull’immagine in grado di trascendere il mero citazionismo, come accadeva nello schermo squarciato dagli zombie del bizzarro Die Kinder der Toten di Copper e Liska. Questo nuovo film osserva il contesto immaginifico dei propri autori ma mantenendolo acritico e meramente autoreferenziale, più funzionale alla definizione di un’esperienza da mockumentary che, nel guardare a celebri horror come The Blair Witch Project o Rec., ricade in un anacronismo ormai superato, nonché tedioso e prevedibile. Leonardo Magnante


di Joachim Trier

LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO

Origine: Francia, Norvegia, Svezia, Danimarca, 2019 Produzione: Thomas Robsahm, Andrea Berentsen Ottmar per Oslo Pictures MK Productions, Film i Väst, Snowglobe, B-Reel, in coproduzione con Arte France Cinéma, in associazione con Memento Distribution, MK2 Films, Arte France Regia: Joachim Trier Soggetto e Sceneggiatura: Eskil Vogt, Joachim Trier Interpreti: Renate Reinsve (Julie), Anders Danielsen Lie (Aksel), Herbert Nordrum (Elvind), Hans Olav Brenner (Ole Magnus), Helene Bjørneby (Karianne), Vidar Sandem (Per Harald), Maria Grazia de Meo (Sunniva), Anna Dworak (Kathrine), Eia Skjønsberg (Synne), Sofia Schandy Bloch (Nathalie), Karen Røise Kielland (Tone), Rebekka Jynge (Marthe Refstad), Marianne Krogh (Eva), Savannah Marie Schei (Eva), Karla Nitteberg Aspelin (Anna), Lasse Gretland (Kristoffer), Deniz Kaya (Adil), Tumi Løvik Jakobson (Martin), August Wilhelm Méd Brenner (William), Thea Stabell (Åse) Durata: 127’ Distribuzione: Teodora Film Uscita: 18 novembre 2021

Prologo: Oslo, giorni nostri. Julie, una donna prossima ai trent’anni, non ha ancora deciso cosa fare nella vita né quale percorso professionale intraprendere passando dalla medicina alla psicologia fino ad arrivare alla fotografia. Un giorno però, la sua caotica esistenza prende il via quando incontra un acclamato autore di fumetti di quindici anni più grande di lei. Nonostante la loro differenza di età, i due hanno un buon feeling e iniziano a frequentarsi. Capitolo 1: Aksel e Julie, ormai fidanzati, decidono di trascorrere il weekend insieme a casa dei genitori di lui. Qui Aksel propone a Julie i suoi progetti per il futuro e di mettere su famiglia, ma quest’ultima, è contraria in quanto afferma di non sentirsi pronta né sicura per tale passo. Capitolo 2: Mentre torna a casa da un evento editoriale per Aksel, Julie decide di imbucarsi in una

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festa. Lì conosce Eivind, un affascinante barman. Malgrado siano entrambi impegnati nelle loro rispettive relazioni, trascorrono l’intera notte insieme. Capitolo 3: Julie decide di scrivere un saggio intitolato “Sesso orale nell’epoca del #MeToo”e Aksel, impressionato da ciò, la incoraggia a pubblicarlo in rete. Capitolo 4: Julie festeggia il suo trentesimo compleanno a casa della madre divorziata insieme ad Aksel e sua nonna; il padre invece, non partecipa, sostenendo di essersi ferito alla schiena. Qualche giorno dopo, Julie e Aksel fanno visita a quest’ultimo, scoprendo che si è risposato e ha una figlia adolescente. Successivamente, sulla strada di ritorno a casa, Aksel ribadisce a Julie il desiderio di crearsi una famiglia. Capitolo 5: Un giorno, mentre è in una libreria dove lavora, Julie incontra Eivind e sua moglie Sunniva. Aksel invece, durante la cena con il fratello e la cognata, si lamenta dell’adattamento cinematografico che sta subendo la sua serie a fumetti Bobcat (celebre per la sua natura “politically-incorrect”) trasformata in un film di Natale per famiglie. Julie, disillusa, decide di uscire con Eivind e si innamora di lui. Quando torna a casa la mattina seguente, rompe con Aksel, ma fanno sesso un’ultima volta prima che lei lasci il suo appartamento, anche se lei implica che potrebbero tornare insieme ad un certo punto. Capitolo 6: Qui viene mostrata la storia della relazione tra Eivind e Sunniva. Durante un viaggio in campeggio, Sunniva viene invogliata a ricercare la sua ascendenza, scoprendo infine che è al 3% di origine Sami. Questo la porta a diventare un’appassionata attivista per il cambiamento climatico mentre persegue attività come lo yoga. Eivind 32

inizia a essere esausto per il loro stile di vita restrittivo condiviso fino a quando non incontra Julie. Capitolo 7: Julie ed Eivind vanno a vivere insieme. Anche se da allora ha rotto con Sunniva, la segue ancora su Instagram, cosa a cui Julie acconsente. Capitolo 8: Durante una festa con gli amici di Eivind, uno di loro scopre la sua scorta di funghi psichedelici. Dopo averli ingeriti, Julie immagina se stessa mentre lancia con rabbia il suo assorbente insanguinato a suo padre mentre affronta anche le sue paure di avere figli. La notte seguente, confida a Eivind che può sentirsi se stessa intorno a lui. Capitolo 9: Mentre si allena in palestra, Julie guarda un’intervista televisiva con Aksel sull’adattamento cinematografico di Bobcat. Quando l’ospite accusa i suoi fumetti di essere sessisti, Aksel si lancia in una feroce difesa del suo lavoro, cosa che sembra impressionare Julie. Capitolo 10: Il fratello di Aksel fa visita a Julie al lavoro, dove le comunica che Aksel ha contratto un cancro al pancreas ed è diventato inoperabile. Qualche tempo dopo, Eivind si imbatte in un racconto che Julie ha scritto e che crede che abbia scritto su se stessa e la sua famiglia. Julie nega con rabbia questo, e nella sua rabbia, lo sminuisce per aver continuato a lavorare come barman. Capitolo 11: Julie scopre di essere incinta e, poiché Eivind non vuole figli, non glielo dice. Va in ospedale per far visita ad Aksel, dove ognuno di loro si aggiorna sulle vite dell’altro. Aksel confida di essere devastato dalla prospettiva di non avere più un futuro e Julie gli ammette di essere incinta. Nonostante le sue affermazioni che sarebbe una buona madre, non è sicura di volerlo tenere o


meno. Tornata a casa, Julie dice finalmente a Eivind della sua gravidanza, e decidono di separarsi mentre lei non sa ancora se vuole tenere il bambino o no. Capitolo 12: Aksel porta Julie nel luogo dove è cresciuto e in cui è stato ispirato a diventare un artista. Qui confessa che vorrebbe poter continuare a stare con lei ed evitare di diventare solo un ricordo. In seguito però, Julie riceve un messaggio vocale dal fratello di Aksel, che dice che le sue condizioni sono peggiorate e che probabilmente non ce la farà a superare la notte. La mattina seguente, Julie abortisce. Epilogo: Qualche tempo dopo, mentre Julie sta lavorando come fotografa su un set cinematografico, incontra Eivind, che ora è sposato con una delle attrici del film e con cui hanno avuto un figlio.

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Ogni momento della nostra vita è segnato da scelte che in un modo o nell’altro cambieranno per sempre la nostra esistenza. Ed è impossibile negare l’accumulo di stress e ansia che ci assale quando si arriva alla soglia dei trent’anni senza essere riusciti a trovare la propria strada nel mondo. Questo è quello che accade a Julie, donna dall’animo perennemente inquieto e contraddittorio alle prese con i tanti problemi che affliggono la sua generazione, tra aspettative sociali e precarietà affettive in cui l’incertezza regna sovrana. Eppure, il film di Joachim Trier,

oltre ad esser letto come una delle riflessioni più interessanti e mature sulla società odierna - in cui le relazioni, intese come quelle di coppia ma anche in senso più allargato, si stanno lacerando sempre di più - ha il pregio di sapersi discostare dalle solite commedie coming age coeve dipingendo invece un ritratto amaramente ironico sulla caducità del tempo e le sue conseguenze. Suddiviso in dodici capitoli - con tanto di prologo ed epilogo - vengono narrati quattro anni nella vita di Julie attraverso gli umori e gli stati d’animo che l’hanno portata a intraprendere il suo tormentato percorso di crescita alla ricerca e alla scoperta di sé stessa. Ogni capitolo, accompagnato da una voce femminile fuori campo che ne riassume gli eventi (come nelle commedie di Woody Allen o Wes Anderson), diviene un vero è proprio spaccato sociale in cui si affrontano tematiche delicate come il rapporto di coppia, le relazioni familiari, la maternità (imposta e rimandata), la morte e il tradimento. E Trier conferma di sapersi destreggiare all’interno dei codici di genere - come aveva già fatto con l’horror sovrannaturale nel precedente Thelma - fondendo la commedia nordica con il dramma e mostrando la realtà dei fatti così com’è, senza edulcorare nulla. Questa ricerca di felicità e realizzazione personale porterà Julie a rimandare alcune scelte, e le permetterà di realizzare nella sua solitudine, di non essere né peggiore né migliore, ma una donna che ha

vissuto nel bene e nel male la sua storia. Forse non sarà “la persona peggiore del mondo” del titolo, ma di sicuro è quella che più di ogni altra riflette il suo tempo e non ha paura di mostrarlo. Dal punto di vista tecnico, oltre all’ottima prova di regia di Joachim Trier, bisogna evidenziare la splendida fotografia di Kasper Tuxen (Il professore e il pazzo, Riders of Justice) che ritrae la città di Oslo, sfondo etereo e avvolgente delle azioni della protagonista, così come la scelta di una ricca colonna sonora, che spazia da “The way you look tonight” di Billie Holiday a “Naked Eye” degli Amulet fino ad arrivare a “Waters Of March” di Art Garfunkel. Presentato in anteprima mondiale l’8 luglio in concorso alla 74esima edizione del Festival di Cannes - dove la protagonista Renate Reinsve ha vinto il Prix d’interprétation féminine come miglior attrice - La persona peggiore del mondo è stato selezionato come rappresentante della Norvegia agli Oscar 2022 come miglior film internazionale. Alessio D’Angelo

di Kim Hagen Jensen

DREAMBUILDERS - LA FABBRICA DEI SOGNI Minna vive in una casa di campagna con il papà ed il criceto Viggo. Da quando la mamma è andata via di casa (lei era ancora piccola) padre e figlia formano un duo assai affiatato, entrambi sono appassionati di scacchi e amano

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la campagna. Un giorno il papà entusiasta comunica a Minna la sua decisione di creare un’unica grande famiglia: qualche tempo prima infatti l’uomo ha conosciuto un’altra donna, anche lei separata con una figlia adolescente e pensa che sia arrivato finalmente il momento di vivere tutti assie33

Origine: Danimarca, 2020 Produzione: Nynne Selin Eidnes, Kim Hagen Jensen per First Lady Film Regia: Kim Hagen Jensen Soggetto e Sceneggiatura: Søren Grinderslev Hansen, Kim Hagen Jensen Durata: 81’ Distribuzione: Bim Distribuziione Uscita: 10 settembre 2020


me. E così l’indomani la compagna Helene e Jenny si trasferiscono in casa loro. Jenny è una ragazza completamente diversa da Minna, sempre attaccata al suo cellulare, molto attiva sui social, schizzinosa per il cibo; tutto l’opposto di Minna che, come risposta alla grande ospitalità offerta, si vede ben presto usurpare il proprio letto dalla nuova coinquilina. Durante la notte Minna sogna di volare sopra una scacchiera spezzata che si libra nel cielo fino a quando questa si scontra con una parete, come se il cielo improvvisamente finisse. La ragazza si trova ancora nel pieno del suo sogno quando scopre che aldilà della fessura che si è creata con l’urto esiste un mondo straordinario, una vera e propria fabbrica dei sogni; così fa la conoscenza di un personaggio buffo e simpatico, dipendente di questa “azienda”, Gaff; il suo capo è il severo Morfeo, preoccupatissimo del fatto che un umano sia venuto a conoscenza del loro mondo. Nessuno o meglio quasi nessuno ha mai raggiunto questa realtà aldilà del sogno; si tratta di un luogo proibito, il cui accesso è solitamente vietato agli umani e che dovrebbe interrompersi nel momento in cui la persona che sta sognando si sveglia. Minna è piena di stupore nel vedere che dietro la fessura di quel finto cielo si nasconde una vera e propria industria, uno spazio immenso in cui sono sospesi i set dei sogni di ogni persona e dove lavorano tanti piccoli esserini blu. La ragazza scopre poi che ci sono dei pupazzi attori che interpretano i protagonisti dei sogni e altri lavoratori che preparano le scenogra-

fie, come in qualsiasi società cinematografica che si rispetti. Minna assiste per un momento al sogno del padre. La giovane decide di intervenire nel sogno. L’amico Gaff avverte la ragazza che vige una norma importante: se la persona non sogna spesso, rimane per tanto tempo distante dal proprio set e fa spegnere automaticamente la propria scenografia che precipita nella discarica. Minna presto fa la conoscenza di un altro personaggio che si chiama Milo; era lui a gestire le varie scenografie dei sogni fino alla degradazione al ruolo di spazzino; e questo perché, proprio come Gaff, ha consentito l’accesso a un umano nel loro mondo, disubbidendo a Morfeo. Questa dimensione infatti deve rimanere segreta e quando qualche “sognatore” si accorge dell’esistenza della fabbrica viene fatto svegliare repentinamente azionando una leva per eliminarne il ricordo. Così Gaff chiede a Minna di promettergli una cosa: lei non dovrà più tornare. La giovane non ha solo la separazione dei genitori alle spalle da dover superare. La prima paura è che Jenny voglia far cacciare Viggo da casa loro. La ragazza ospite infatti non sopporta gli animali domestici, soprattutto i criceti. Minna non rispetta la promessa fatta a Gaff, approfitta della simpatia che l’esserino blu nutre per lei e di lì a breve torna nella fabbrica e capisce presto come sabotare i sogni di Jenny. La sua idea è di farle sognare di partecipare ad una serata di gala dove lei è la star, adulata e paparazzata da tutti; ad un certo punto le fa apparire Viggo in versione gigante che balla con lei, cosa che la fa apprezzare dai fan ancora di più. Da quel momento il criceto diventa il mito della sorellastra. Jenny è perfida con Minna: la prende in giro facendole foto con il cellulare, per poi mandarle alle sue amiche e dimostrare che non veste alla moda. Così lei, stanca di 34

essere bullizzata, progetta di farle sognare un negozio alla moda dove vendono soltanto pullover uguali al suo. In questo secondo sogno Minna e Gaff vengono aiutati da Milo. È lui ad avvistare Morfeo in avvicinamento e li avvisa. Gaff e Milo, con un trucco, riescono a far scappare in tempo la ragazza. Intanto la convivenza per le ragazze diventa ogni giorno più faticosa e così Helena parla in maniera sofferta con il compagno; i due capiscono che non si può continuare in quel modo e decidono che lei e la figlia devono andare via. Jenny sta raccogliendo le sue cose, quando trova tra gli oggetti personali della sorellastra il libro con il piano di Minna. Così Jenny decide di vendicarsi e cerca di cambiare atteggiamento per continuare a restare in quella casa:. Minna ormai è esasperata e decide di spaventare la sorellastra con un incubo. La giovane fa costruire un set di una camera buia dove Jenny si troverà circondata da tantissimi ragni. Nel bel mezzo dell’incubo Minna entra alla guida di un ragno gigante meccanico che ad un tratto ha un corto circuito e prende vita da solo. Questo robot comincia così a distruggere tutto, facendo cadere di sotto nel vuoto Jenny. Minna deve trovare allora il modo di salvarla. Gaff e Morfeo vedono lì la ragazza che sta per avventurarsi nel buio della discarica e l’avvisano che nessuno è mai tornato indietro da quel luogo. Minna riesce nella missione. Le due ragazze parlano, si rappacificano. Minna interrompe il sogno e torna nella sua realtà, ma si accorge che invece la sorellastra non si sveglia più. Tutta la famiglia è preoccupata e Minna promette al papà che risolverà il problema che ha creato. Così torna nel mondo di Gaff e gli altri., ritrova Jenny e ricostruisce il set della sorellastra insieme a Gaff e Morfeo. Quando le ragazze si risvegliano tutto sembra essersi risolto.


A metà tra Monsters & Co. e Inside out, Dreambuilders - La fabbrica dei sogni è stato realizzzato con il supporto finanziario di Danish Film Institute, Dr, Nordisk Film and Tv Fond, Sola media e Sf Studios Og Creative Europe. I riferimenti a questi due recenti grandi successi li rintracciamo nella comune tematica del sogno e nel condividere alcune scene specifiche molto simili. Un cartone animato, questo di Jensen, dal taglio molto onirico e psicologico già dalla prima sequenza che richiama alla memoria i quadri di Escher e Chagall. La pellicola cerca di parlare ai più piccoli ma non solo. Si concentra infatti su un passaggio fondamentale ma per niente semplice nella vita di ciascun essere umano, adulto o bambino che sia: in

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generale l’elaborazione di un lutto ma prima di tutto di un ricordo negativo. Da alcune interviste risulta che il regista abbia fatto un sogno simile a quello di Minna che avrebbe acceso in lui la miccia di questa storia. Il sogno è vita, sembra volerci dire il regista. Spesso la settima arte viene definita come la fabbrica dei sogni, qui la fabbrica dei sogni, intesa in senso letterale, è un immenso set cinematografico. Cinema e dimensione onirica hanno quindi un legame molto stretto e anche qui, come nei due blockbuster disneyani, si intrecciano in maniera fluida senza perdere però mai il realismo e l’aderenza alla realtà. Unico punto di debolezza è che i personaggi nel corso della narrazione indossano sempre gli stessi vestiti. Per il cineasta nordico Kim Hagen Jensen Dreambuilders - La fabbrica dei

sogni costituisce il suo debutto alla regia come lungometraggio. Fino a questa pellicola Jensen infatti, con alle spalle una vasta esperienza nel campo dello storyboarding e nel reparto animazione di cortometraggi e serie tv, aveva diretto solo cortometraggi. Diverse le idee originali nella sceneggiatura tra cui la simpatica idea del cappello della felicità, simbolo di amore padre - figlia. Il cappello ha un valore altamente educativo per i ragazzi (come nella scuola di Hogwarts di Harry Potter); in questo caso specifico in esso vi è infatti anche un modo per insegnare agli adolescenti la tolleranza in casa. Dreambuilders - La fabbrica dei sogni ci racconta non solo la magia dei sogni ma anche come grazie ai sogni possono cambiare le persone. Giulia Angelucci

di Claudio Norza

ANCORA PIÙ BELLO La storia tra Arturo e Marta è finita e a un anno di distanza la giovane protagonista ha un nuovo amore: Gabriele. I due stanno insieme da tre mesi quando al ragazzo viene proposto uno stage a Parigi come aiuto scenografo e, incoraggiato da Marta stessa, accetta l’offerta e si trasferisce. Nonostante messaggi e videochiamate, le difficoltà della relazione a distanza presto si fanno sentire ma Marta è sostenuta dagli amici di sempre, Jacopo e Federica che vivono a loro volta avventure lavorative e sentimentali: la prima viene assunta da un azienda di comunicazione digitale mentre Jacopo è alla ricerca di un nuovo compagno e si lancia nel mondo delle app di incontri. Contemporaneamente la cugina di Federica, Rebecca, per non perdere i suoi followers, tenta di tenere nascosto il

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flirt avuto con un nerd dall’aspetto fisico poco appetibile, ma alla fine decide di dichiarargli il suo amore pubblicamente, noncurante delle conseguenze nel mondo dei social. Federica riesce a ottenere il rispetto che desidera in azienda, sbugiardando il viscido superiore che vorrebbe approfittarsi di lei; Jacopo abbandona le ricerche online e si innamora del ragazzo delle consegne che però sembra essere interessato a Marta. Gabriele, sempre più diffidente, si ingelosisce e riesce a entrare sui profili social di Marta e fraintendendo il contenuto di alcune chat sospetta un tradimento: i due si parlano al telefono e lei chiude la loro storia. Poco dopo viene contattata dall’ospedale che le annuncia l’imminente trapianto di polmoni: la ragazza ha un crollo emotivo ma viene tranquillizzata dal nuovo e giovane dottore che dopo i primi attriti sembra essersi addolcito. 35

Origine: Italia, 2021 Produzione: Roberto Proia per Eagle Pictures Regia: Claudio Norza Soggetto: Roberto Proia Sceneggiatura: Roberto Proia, Michela Straniero Interpreti: Ludovica Francesconi (Marta), Jozef Gjura (Jacopo), Gaja Masciale (Federica), Riccardo Niceforo (Rocco), Giancarlo Commare (Gabriele), Jenny De Nucci (Rebecca), Giuseppe Futia (Tommaso), Diego Giangrasso (Diego) Durata: 112’ Distribuzione: Eagle Pictures Uscita: 16 settembre 2021

Gabriele, contattato da Jacopo e Federica, fa di tutto per tornare a Torino prima dell’intervento ma arriva troppo tardi: Marta sta per entrare in sala operatoria.

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L’incipit - con i titoli di testa che, come una sigla introduttiva, ripropongono sinteticamente gli eventi del film precedente e la voce


fuori campo della protagonista che descrive una nuova situazione di partenza - sono in linea con lo stile delle produzioni televisive del regista Claudio Norza. Infatti, questa pellicola rappresenta il suo debutto alla regia cinematografica: un prodotto forte della buona riuscita del primo capitolo che, pur conservando personaggi e caratterizzazioni, non si dilunga in dinamiche già viste, non si ripete sul fronte tematico e propone una chiara direzione narrativa. In questo secondo capitolo, la parabola evolutiva della giovane protagonista viene ulteriormente sviluppata e portata avanti senza perdere la componente di credibilità, essenziale per una partecipazione emozionale efficace. Infatti, Marta rimane la ragazza ironica ed estroversa che ormai il pubblico conosce e che ora assume connotazioni più adulte: come ci tiene a far

sapere a tutti “è stata lei a lasciare Arturo”, è lei a chiudere la storia con Gabriele ed è sempre lei che decide di bloccarlo per non sentirlo più. Consapevole delle sue emozioni, dei suoi sentimenti, oltre che della sua difficile situazione clinica, è in grado di abbracciare coraggiosamente il dolore e la paura, mostrandosi fragile e bisognosa di aiuto ma non per questo debole o remissiva. Con un ruolo da protagonista solido e strutturato, Ludovica Francesconi riesce da sola a sostenere il peso di una pellicola che vive dell’apporto di tanti altri personaggi ben costruiti e ricca di tematiche di grande attualità. Dunque, se Marta è il cuore dell’intera vicenda, Jacopo e Francesca sono funzionali a innescare nuovi discorsi sul mondo del lavoro (mobbing e disparità di genere) e delle relazioni in una società umana indissolubilmente legata al mondo della tecnologia digitale. Il cibo viene continuamente consegnato a domicilio dopo la prenotazione online; irretito dalle numerose conversazioni virtuali intrattenute, Jacopo rischia di perdere intere giornate incollato al cellulare; la verità sull’abuso di potere del capo di Federica viene rivelata grazie a file audio e video

di Michela Cescon

usati come prove e anche il tradimento avviene attraverso lo schermo, poiché il non rispetto della privacy coincide con la violazione della fiducia. Foto su Instagram e schermate di telefono con chat e messaggi che si sovrappongono alle immagini della vita reale divenendone parte integrante rientrano nello stile eclettico di una commedia romantica che, anche grazie a un’estetica vivace e alla giusta frivolezza dei toni, non dimentica i propri intenti comunicativi seri. È forse questo l’elemento di realismo più interessante: ormai non esiste un aspetto della esistenza umana che non venga filtrato, influenzato se non addirittura distorto dalla lente dei social network e di Internet. I temi sono tanti e ambiziosi così come numerosi sono i fili narrativi collaterali che rendono l’operazione adatta al pubblico adolescenziale, abituato alle narrazioni seriali complesse (non a caso il finale aperto “to Be Continued”), e carica di implicazioni non scontate per gli adulti, stimolati alla riflessione su questioni presenti e accompagnati alla ricerca di rinnovate modalità comunicative per entrare in contatto con le nuove generazioni. Andrea Trifoni

OCCHI BLU

Origine: Italia, Francia, 2020 Produzione: Tempesta e Palomar con Rai Cinema in coproduzione con Tu Vas Voir

ria, criminale che ha già commesso più di trenta rapine in banche Regia: Michela Cescon e gioiellerie della città senza che Soggetto e Sceneggiatura: Michela Cescon, Marco Lodoli, Heidrun Schleef nessuno riesca a fermarla. Interpreti: Valeria Golino (Valeria), JeanIl commissario Murena non sa Hugues Anglade (Il francese), Ivano De che pesci prendere e chiede l’aiuto Matteo (Murena), Matteo Olivetti (Marco), di un amico francese, ex poliziotto Ludovica Skofic , Teresa Romagnoli che tanti casi ha risolto in passato Durata: 86’ e può aiutarlo nell’individuare il Distribuzione: I Wonder Pictures misterioso rapinatore che svanisce Uscita: 8 luglio 2021 nel nulla. Anche il francese, però, Una moto sfreccia per nonostante il suo intuito di valore, Roma con a bordo una mi- soffre la sconfitta per un evento steriosa centaura: è Vale- terribile non ancora metabolizza-

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to: ha perduto una figlia, uccisa da un motociclista che percorreva la sua strada ad alta velocità; da allora ritorna periodicamente dalla Francia per continuare le ricerche, ritrovare la pace perduta e ricongiungersi alla moglie che non vuole vederlo fino a che lui non abbia trovato l’assassino. La storia si sviluppa così su due piani e almeno uno avrà la sua conclusione: l’assassino della figlia del francese è proprio Marco,


il giovane e abilissimo meccanico che trucca le moto per permettere a Valeria di sfuggire alla polizia. Il francese riesce, finalmente, a scovarlo, lo uccide e mostra il cadavere alla moglie. Valeria continuerà, imprendibile, a sfrecciare per le strade di Roma. Alcuni hanno parlato di “polar” per questo film cioè di quel genere cinematografico di conio francese (anche se ispirato al cinema americano degli anni’40) che unisce gli intrighi e le atmosfere notturne del noir con l’azione spettacolare, pistola alla mano, del poliziesco di genere. Non abbiamo visto né intrighi né azioni in questo film. Alcuni hanno anche parlato di pura “art house” cioè un film fatto privilegiando l’alta qualità e non il progetto di successo commerciale. Siamo d’accordo con la seconda parte della

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definizione anche se non capiamo perché un film di alta qualità non debba essere premiato da buoni incassi. Preferiamo pensare che Michela Cescon, attrice seria e versatile del nostro teatro e del nostro cinema, abbia peccato di un eccesso di vanità per formulare una personalizzazione assoluta del suo cinema che ha prodotto un lavoro poco credibile. La sceneggiatura, in fin dei conti, è ampiamente lacunosa e i dialoghi non sono certo la parte preponderante di una storia sotto tutti i punti di vista carente. Tutto, anche la recitazione degli attori è stato sostituito dall’uso, anzi dalla proiezione di colori a cominciare dal blu degli occhi della protagonista che si spalma su case, quartieri, strade, stazioni metro nella costruzione delle cosiddette “particolari atmosfere”. Queste trovano realizzazione nella mescolanza di colori che sostituiscono sentimenti ed emozioni in una Roma deserta dove solo le luci e le ombre hanno

vita secondo la struttura imposta dalla scelta dell’illuminotecnica. Noi siamo convinti che la costruzione di atmosfere cinematografiche parta dall’ispirazione sensoriale, sentimentale, culturale, onirica, mnemonica del regista, degli attori, del direttore della fotografia e del direttore delle musiche; la proiezione di colori, luci e ombre, invenzioni prospettiche o altro viene dopo a supporto dello slancio primario dell’ispirazione. Attendiamo con grande fiducia il prossimo “primo film” di Michela Cescon. Fabrizio Moresco

di Edoardo Falcone

IO SONO BABBO NATALE

Origine: Italia, 2020

Un bambino scrive la lettera a Babbo Natale, molto risentito con lui per non aver mai ricevuto nemmeno un regalo. Crescendo, Ettore, continua a provare risentimento, ma stavolta per la sua vita, fatta di rapine e attività a delinquere, che gli hanno fatto abbandonare la compagna Laura e la piccola Alice, sua figlia, a causa della sua detenzione nella casa circondariale del Regina Coeli, dove trascorre sei lunghi anni. Una volta uscito di prigione Ettore riprende la sua vita da delinquente, finché nel corso del suo peregrinare alla ricerca di un tetto dove passa-

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re la notte non si imbatte in un anziano signore molto gentile, Nicola Natalizi, che lo ospita in casa sua credendo nelle sue buone intenzioni. Presto però si ricrede, perché Ettore lo lega per derubarlo. Così Nicola è costretto a rivelare la sua vera identità: è Babbo Natale. È un uomo comune, che quando non è impegnato a leggere letterine, calarsi nei camini o sorvolare le città di mezzo mondo, va a fare la spesa al mercato, dà da mangiare ai piccioni e si diletta in lunghe passeggiate. L’età e gli acciacchi lo hanno portato a trasferirsi dalla Lapponia a Roma, dove a parte il caos, lo smog, il traffico e il trasporto pubblico, si trova bene. Inizia 37

Produzione: Andrea Occhipinti per Lucky Red, 3 Marys Entertainment, con Rai Cinema Regia: Edoardo Falcone Soggetto e Sceneggiatura: Edoardo Falcone Interpreti: Marco Giallini (Ettore Magni), Gigi Proietti (Nicola Natalizi), Barbara Ronchi (Laura), Antonio Gerardi (Mauro), Simone Colombari (Walter), Daniele Pecci (Luciano), Alice Adamu (Alice), Lorenzo Gioielli (Direttore carcere), Fabrizio Giannini (Pablo), Giorgia Salari (Stefania), Tiziano Carnevale (Bradipo), Sergio Gorga (Merlo), Massimo Vanni (Nanni), Lorenzo Salpini (Ettore a 6 anni), Laura Squillaci (Giornalista), Lucia Batassa (Madre di Luciano), Gianni Franco (Padre di Luciano), Stefano Scandaletti (Ortopedico), Natalia Magni (Infermiera triage 19) Durata: 95’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 3 novembre 2021


così una convivenza strana e sgangherata con il turbolento Ettore, che nel frattempo prova a cercare un lavoro, anche grazie a Laura, che lavora nell’ufficio di collocamento. Così ha modo di rivedere sua figlia, che non sa neanche della sua esistenza, in quanto cresciuta dal nuovo marito della madre. Ma le cattive abitudini sono dure a morire e l’obiettivo di Ettore è fregare anche il buon Nicola, scucirgli un malloppo, anche se fatto di sacchi rossi pieni di regali da rivendere, pronti a essere inviati ai bambini di tutto il mondo. Una volta che ha scoperto il segreto del vestito e del cappello di Babbo Natale che rende invisibili il ladruncolo comincia a commettere una serie di furti e ad accumulare la refurtiva in casa di Nicola. Ettore trova modo di vendicarsi anche nei confronti del boss che aveva protetto. Così gli ruba sotto il naso un portavalori pieno di soldi. La sciatica e i reumatismi però costringono Nicola ad una pausa forzata durante la quale tocca al nuovo arrivato fare da sostituto durante le sue scorribande notturne natalizie, seppur con non poche problematiche e difficoltà. Ettore inizialmente è titubante, poi accetta questo ruolo, cercando allo stesso tempo di redimersi e di ottenere nuovamente fiducia dalla sua ex compagna e da sua figlia. Con l’intervento di Nicola e degli aiutanti elfi riconsegnerà tutta la refurtiva rubata, sven-

tando la rapina del boss ed affidando i ladruncoli alla giustizia. Per il bene di sua figlia farà anche in modo che Laura si riconcili con il marito. Nicola va in pensione e lascia l’attività in eredità ad Ettore. Presentato alla Festa del cinema di Roma 2021, Io sono Babbo Natale è una commedia scritta e diretta da Edoardo Falcone. Ci sono tutti gli elementi di un classico film natalizio: musiche, atmosfere, scenografie e luoghi, perfettamente in linea con quelli che possono essere elementi stereotipati da film di Natale, dalle luci calde, alle colonne sonore natalizie. A tutto questo si aggiunge una spolverata di contemporaneità: una slitta volante più simile ad una Batmobile, un Babbo Natale che distribuisce doni a velocità supersonica e può attraversare i muri diventando invisibile, un assistente dalla dubbia moralità e gli elfi, instancabili aiutanti. Gli ingredienti sono quelli di una favola per famiglie, ma senza alcuni degli elementi classici come il cattivo di turno, e con una spruzzata di romanità che non disdegna il fantasy, con tanto di effetti speciali. La particolarità del film sta nel fatto che all’atmosfera prettamente natalizia e quasi ovattata del film possiamo vedere alternati momenti in cui prevalgono scene d’azione e inseguimenti degni del classico dei più classici film di delinquenza all’italiana. La pellicola richiama le atmosfere di quei film tv oltreoceano che riempiono le piattaforme streaming, una fotografia calorosa e ben calibrata, che fa risaltare quegli effetti speciali che rendono magica una slitta che vola tra i cieli di Roma, Parigi e Londra. Indubbiamente Io sono Babbo Natale è un prodotto nato in quest’epoca

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e l’amato babbo che ci viene presentato è un po’ anomalo, proprio come conseguenza del periodo storico in cui viviamo e nel quale è stato prodotto il film. Abbiamo, infatti, un Santa Claus anziano ma moderno, con un indirizzo email, una slitta iper veloce e tecnologica senza le classiche renne, che si è trasferito dalla Lapponia in una Roma caotica, che malgrado tutto gli piace. Quello che, però, colpisce di più, sono i siparietti “alla romana” che si creano tra i due attori protagonisti, Marco Giallini e Gigi Proietti. Il primo, già diretto da Falcone nel suo film d’esordio Se Dio vuole, è davvero ai suoi massimi livelli nei panni di un romano disilluso, cinico e un po’ coatto, dai modi rudi, ma in fondo ancora bambino. Proietti, (da vero Babbo Natale) ci regala un’interpretazione splendida, profondamente umana e commovente per la sua tenerezza e il suo spirito fanciullesco. La vera ragione, però, per la quale verrà ricordata la pellicola è la commovente presenza di Proietti. Infatti il film, a lui dedicato, è l’ultimo in cui possiamo vedere l’amatissimo attore recitare. L’aria natalizia, già malinconica di per sé, viene fortemente accentuata ogni volta che il pensiero viene rivolto al fatto che questa sia stata l’ultima interpretazione del maestro e questa sensazione di mancanza fa affezionare fortemente lo spettatore al film, che verrà senza ombra di dubbio ricordato per questa motivazione. Nell’epilogo leggiamo la lettera lasciata da Nicola: “Caro Ettore sei solo un adulto rimasto bambino. A questo punto me ne posso andare in pensione, magari in Portogallo, dove c’è il mare e si pagano anche meno tasse”. E ci piace immaginare che sia andata proprio così. Veronica Barteri


di Xavier Giannoli

ILLUSIONI PERDUTE

Origine: Francia, 2021

Siamo ad Angouléme, provincia del centro sud della Francia nell’epoca della restaurazione borbonica dopo Waterloo. Lucien, ragazzo di campagna con la passione per la scrittura e la poesia, sogna la vita e gli ambienti della grande capitale dove crede di potere realizzare le sue aspirazioni. È l’amante di una nobildonna sposata, Louise, che per lui ha davvero perso la testa ed è incurante del conformismo e delle regole di condotta del tempo che stigmatizzavano ogni trasgressione che poteva essere oggetto di pettegolezzi feroci. Louise decide di fuggire a Parigi con Lucien per sostenerlo nei suoi progetti di diventare uno scrittore affermato. Purtroppo tutto questo rimane un bel sogno perché gli ambienti aristocratici della capitale si chiudono a riccio non permettendo l’invasione di elementi di così scarso rango e fanno il gelo intorno ai due amanti che sono costretti a lasciarsi. Lucien deve, comunque, lavorare e con l’aiuto di Etienne Lousteau, giornalista disponibile a ogni corruzione, conosciuto in una bettola, entra in uno dei giornali d’opposizione: la missione di questi, ben pagata, è quella di criticare pesantemente i potenti dell’alta società, gli esponenti in vista della politica e le amanti di questo e di quello, una mattanza a colpi di penna. Un giornalismo caricaturale e demolitivo che non ha nulla a che fare con la comunicazione di fatti e notizie ma con la maldicenza e le stroncature di spettacoli e avvenimenti che appartengano alla parte avversa. Al culmine della sua scalata agli ambienti che contano e nel-

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lo sperpero di una montagna di denaro in sesso e bagordi, Lucien conosce Coralie, una bella ragazza del popolo che ha anche lei un sogno, quello di recitare, e se ne innamora. Questo costituisce l’inizio della rovina perché Lucien riesce con le sue relazioni a fare accettare Coralie come protagonista di Berenice, la potente opera di Racine, il poeta nazionale insieme a Moliére. I nemici del giovane arrampicatore sono in agguato: lo spettacolo è demolito in maniera vergognosa alla prima da una violenta claque contraria e pagata profumatamente da chi vuole il giovane provinciale fuori dai giochi che contano. Coralie, già ammalata di tisi muore poco tempo dopo. A Lucien non resta altro che tornare, sconfitto e senza un soldo, al suo paese d’origine. Lungo la strada si spoglia e si immerge in un lago, con proponimenti, forse, che non hanno ritorno. La storia è tratta dal romanzo omonimo di Balzac, culmine narrativo della più vasta opera La commedia umana e ha suscitato l’interesse del regista Xavier Nolan per la sua riconducibilità al mondo di oggi. La Francia di quel periodo voleva liberarsi in fretta delle scorie della rivoluzione e della meteora napoleonica; era avida di piaceri e guadagni, d’incontri libertari e di salite spregiudicate; per questo era disposta a ogni cinismo e a ogni crudeltà pur di addomesticare il vivere secondo le proprie ambizioni e la propria rapacità. Dopo duecento anni nulla pare cambiato e il giornalista Balzac continua a dirci che cosa sia in realtà l’uso dei mass media, i rapporti di

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Produzione: Olivier Delbosc, Sidonie Dumas per Gaumont, France 3 Cinéma, Pictanovo, Gabriel Inc., Umedia Regia: Xavier Giannoli Soggetto: dal romanzo “Le illusioni perdute” di Honoré de Balzac Sceneggiatura: Jacques Fieschi, Xavier Giannoli Interpreti: Banjamin Voisin (Lucien De Rubempré), Cécile de France (Louise), Vincent Lacoste (Étienne Lousteau), Xavier Dolan (Raoul Nathan), Salomé Dewaels (Coralie), Jeanne Balibar (Marchesa d’Espard), Gérard Depardieu (Dauriat), André Marcon (Barone du Châtelet), Louis-Do de Lencquesaing (Finot) Durata: 144’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 30 dicembre 2021

forza intrattenuti con i poteri che contano e la disponibilità a corrompere e farsi corrompere, allora come oggi. Tutto questo è portato sullo schermo con grande sfarzo nella ricostruzione ambientale, nella scelta accurata fin dei più insignificanti (apparentemente) soprammobili o dei quadri alle pareti. Alla messa in scena così sontuosa (Dupire-Clement ha un ricco passato di decoratore, pittore e incisore con esposizione delle sue opere nelle importanti halles parigine) si uniscono i costumi di Pierre-Jean Larroque (già vincitore di due Cesar nel 2016 e nel


2019), frutto di una grande attenzione nella ricerca storica e di una inesauribile fantasia nella composizione di ogni singolo costume. Il risultato complessivo non rispecchia però questa ricchezza di intenti e di mezzi (costo di circa venti milioni di euro) e il ritratto di questo mondo frenetico, spie-

di Rolf van Eijk Origine: Olanda, 2018 Produzione: Joost De Wolf per Vpro, Iris Otten, Sander Van Meurs, Pieter Kuijpers peer Pupkin Film Regia: Rolf van Eijk Soggetto e Sceneggiatura: Rolf van Eijk, Roelof Jan Minneboo Interpreti: Steve Wall (Chet Baker), Gijs Naber (Detective Lucas), Raymond Thiry (Simon), Arjan Ederveen (Dottor Feelgood), Lynsey Beauchamp (Sarah), Paloma Aguilera Valdebenito (Valdebenito Loïs), Tibo Vandenborre (Peter), Medina Schuurman (Wilma), Antony Acheampong (Mendo), Luca Simonelli (Giovane Chet Baker), Ko van den Bosch (Commissario di Polizia Mayer), Bart Harder (Langeveld) Durata: 83’ Distribuzione: Wanted Cinema Uscita: 22 novembre 2021

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Amsterdam, 13 Maggio 1988. Chet Baker, leggendario trombettista della musica jazz, giace sull’asfalto, caduto dalla finestra della sua stanza d’albergo. Il caso è affidato all’investigatore Lucas che cerca di ricostruire l’ultimo pezzo

tato e affascinante mostra in più di un momento il respiro pesante, scontando, forse, l’eccessiva lunghezza (due ore e venticinque) non mitigata dai tagli di montaggio. Ottimi tutti gli attori, soprattutto i giovani, l’ultima nidiata (di provenienza anche dal Conservatoire Nationale) del cinema fran-

cese. Splende, naturalmente, in distacco da tutti la gemma di Cécile de France, sempre più profonda e seducente nell’esprimere passioni e delusione, sofferenze e smarrimenti che ne fanno una magica interprete di ogni racconto cinematografico. Fabrizio Moresco

JAZZ NOIR – INDAGINE SULLA MISTERIOSA MORTE DEL LEGGENDARIO CHET di vita dell’artista per capire se la caduta sia stata accidentale, procurata da qualcuno o un suicidio. L’inizio è già misterioso perché Lucas, nel voltarsi verso una finestra dell’albergo mentre sta esaminando il cadavere, nota una figura che si accorge di essere osservata e fugge. Gli elementi che l’investigatore scopre, a parte la conferma che l’eroina e altre droghe erano diventate le padrone della vita di Baker e il combustibile per fargli produrre la sua musica straordinaria, sono scarni e pressoché conosciuti, come i personaggi principali di quel periodo. Il manager di Chet che gli perdonava tutto e lo assisteva nelle crisi più violente per permettergli di suonare e rendere il pubblico felice; Simon, silenzioso e affascinato ammiratore dell’artista che lo aveva sistemato in un ambiente vicino al proprio appartamento insieme a Sarah, il grande amore della sua vita. Ecco, Lucas capisce subito quanto l’amore folle e disperato per Sarah sia stato il cardine della vita di Chet; gli abbandoni di lei frequenti, impossibili da evitare, fino all’ultimo, definitivo, perché la donna non ce la faceva più a sopportare la sua violenza, le sue crisi, una vita che scivolava sempre più in basso. 40

Anche il Dr. Feelgood è un personaggio che Lucas interroga con interesse: è sempre stato innamorato di Chet, gli ha iniettato eroina quando non ce la faceva più, ha cercato di aiutarlo, dominandone, in qualche modo, gli eccessi ma senza risultato. Quello che affascina l’investigatore è il parallelismo tra la vita di Chet Baker e la propria: gli interrogativi, la disperazione, la violenza verso la propria donna, Lois, sono gli stessi; il male di vivere sembra unire i due personaggi in una unica, devastante comunanza. A tal punto che Lucas, quando va a ispezionare la stanza dove viveva Chet si rende conto di stare scrutando se stesso giù in strada; di colpo si ritrae, è quindi proprio lui la figura dell’inizio su cui si accingeva a investigare o una sua proiezione causata dai suoi demoni interiori?

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Il film non è un biopic né la storia di una leggenda, ma l’analisi di un percorso umano angoscioso, triste, senza spe-

ranza. È possibile che il genio, pare domandarsi il regista del film, l’olandese Van Eijk, debba per forza basarsi su un senso di autodistru-


zione così forte e così disperato da diventare l’unico significato dell’esistenza? E che quanto più spietato diventava per Baker lo sconforto verso di sé più il suo pubblico pareva comprenderne il senso di morte per andare in delirio come se l’ascoltare la sua musica fosse l’unica azione vitale della propria esistenza. “Il blues pervade tutti noi” diceva Chet Baker” abbiamo bisogno del blues perché quando sei stanco del blues non hai più niente su cui contare”. Sicuramente questa

è stata la frase che ha spinto Van Eijk a innamorarsi di Baker e ad approfondire la vita dell’artista: ne ha scoperto il fascino musicale vulnerabile sul palcoscenico e l’egoismo che lo divorava nei suoi rapporti personali con uomini e donne sempre sporcati, sempre feriti in un desiderio di dissoluzione senza fine. Il protagonista Steve Wall ha assecondato la discesa all’inferno del suo personaggio facendone un lento ritratto d’incanto e di dolore; lo ha accompagnato nei tratti, nei

modi, nelle pieghe di sofferenza del suo volto e dei suoi interrogativi. Il finale pare ricongiungere il personaggio, l’attore che lo interpreta e l’investigatore in una chiusura del cerchio da cui non può uscire nessuno: si può solo restare padroni della propria sofferenza nell’esaltazione della propria solitudine, schiacciato sull’asfalto di una sporca strada di Amsterdam. Fabrizio Moresco

di Ronnie Sandahl

TIGERS

Origine: Italia, Svezia, Danimarca, 2020

Martin Bengtsson è un giovane calciatore svedese che all’età di 16 anni viene acquistato dall’Inter per giocare nella squadra Primavera. È il sogno che aveva dall’età di tre anni quando con suo padre, che si è fatto una nuova famiglia, vedeva le partite del campionato italiano. Ma la vita con i compagni di squadra e lo spaesamento causato dal non conoscere una parola di italiano lo fanno progressivamente entrare in una depressione da cui fatica a trovare una via d’uscita. Sembrano essere tutti coalizzati, con un’eccezione, contro di lui e pronti ad umiliarlo e non passargli la palla tutte le volte che è possibile. L’allenatore e lo staff tecnico non sembrano accorgersi di nulla. La situazione viene un po’ edulcorata grazie alla figura di Galli, il dirigente che sembra avere più chiari gli obiettivi, ma per il resto viene rappresentata la Primavera come una gabbia in cui i compagni di squadra si trasformano progressivamente in tigri pronte a sbranarsi, capaci magari di qualche sporadica so-

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lidarietà verso chi perde il controllo, salvo poi abbandonarlo al suo destino. Durante una delle serate nei locali a base di alcol e droghe, Martin conosce Vibeke, una ragazza di Stoccolma. La ragazza fa la modella, ma non ha mai sognato di diventarlo e non sa cosa vuole fare della sua vita. Lei è vivace, impulsiva, spensierata mentre Martin è metodico, freddo, calcolatore. Tra loro inizia una tenera relazione e la ragazza diventa per Martin una inammissibile deviazione dal percorso su cui sta viaggiando, come se questo fosse segnato da dei binari. Martin, dopo essere stato retrocesso agli under diciassette, viene promosso e convocato per giocare la prima vera partita con la Sampdoria. È il suo debutto, la tensione sale al massimo, la dedizione deve essere totale. Tuttavia il prezzo per seguire i binari è troppo alto per Martin, che è costretto ad allontanarsi da Vibeke e comincia a deragliare. L’ambiente attorno a lui lo consuma e la pressione e il sacrificio si trasformano in estrema solitudine, divorandolo. La sua salute mentale vacilla nel vorti41

Produzione: Piodor Gustafsson, Lucia Nicolai, Marcello Paolillo, Birgitte Skov per Black Spark Film & TV AB Regia: Ronnie Sandahl Soggetto: libro autobiografico “Nell’ombra di San Siro” di Martin Bengtsson Sceneggiatura: Ronnie Sandahl Interpreti: Erik Enge (Martin Bengtsson), Alfred Enoch (Ryan), Frida Gustavsson (Vibeke), Maurizio Lombardi (Galli), Lino Musella (Luca), Alberto Basaluzzo (Allenatore Panelli), Gianluca Di Gennaro (Tonolli), Daniele La Leggia (Dario), Antonio Bannò (Walter), Antonio Zavatteri (Medico sociale), Liv Mjönes (Karin), Johannes Kuhnke (Peter), Henrik Rafaelsen (Padre di Martin) Durata: 116’ Distribuzione: Adler Enteretainment Uscita: 22 luglio 2021

ce ossessivo in cui entra, fino ad arrivare ad attacchi di panico e di autolesionismo, per cui arriva a staccarsi da solo l’apparecchio per i denti. Fuggito di notte dal dormitorio viene investito da un camion. Quasi miracolato, se la cava con tre costole rotte e qualche ferita non grave. Per giustificare l’accaduto però la dirigenza della squadra farà in modo che da alcuni indagini mediche risulti che il ragazzo abbia avuto una crisi epilettica. Martin, dopo


aver parlato con la madre, come se avesse finalmente preso coscienza, scappa dall’ospedale, va al dormitorio a riprendere le sue cose e torna a casa. Dai titoli di coda sapremo che Martin diventerà uno scrittore. Ronnie Sandahl, regista e sceneggiatore svedese di Tigers si è imbattuto per caso nella storia del calciatore svedese Martin Bengtsson, promessa del calcio europeo ingaggiato dall’Inter a soli 16 anni. Il regista attingendo dalla stessa autobiografia di Martin Bengtsson, All’ombra di San Siro, ha subito intravisto in quella storia il potenziale per una trasposizione cinematografica, che approfondisse un tema a lui caro: la crudeltà dell’ambiente agonistico gonfiato da incassi stratosferici e caratterizzato da un clima ferocemente competitivo. Tigers non è un film sul calcio, ma un film con il calcio. Al centro c’è la vicenda umana e vera di un ragazzo e la sua solitudine lontano da casa, per inseguire ossessivamente il suo sogno. Un sogno che

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per essere realizzato non richiede solo delle rinunce, ma un vero e proprio sacrificio. Il film cerca di mostrare cosa vuol dire essere triturati in un meccanismo nel quale si è scelto volontariamente di entrare, come maiali che si presentano davanti alle porte del macello. La pellicola si apre con le immagini del corpo di Martin, giovane calciatore in procinto di trasferirsi all’Inter. Le visite mediche e gli allenamenti pongono l’accento sul suo fisico gracile, ma stimolato dalla ferrea determinazione, che ha come obiettivo il raggiungimento del sogno. Nel calcio però, come in qualsiasi ambito sportivo, alla componente fisica si aggiunge la compresenza, ancor più importante, dell’aspetto mentale, governato da sottili equilibri molto più difficili da allenare. Il ticchettio del timer utilizzato da Martin fa da sottofondo nei primi minuti agli esercizi fisici svolti in casa. È una presenza sonora che si ripete sinistramente nel corso del film e che se da una parte sottolinea la cadenza ritmica del sacrificio, dall’altra avvicina inevitabilmente ad un limite, ad una scadenza. Un suono presago, acuito dal senso claustrofobico delle immagini. Quella mitologia del successo così a lungo narrata nel cinema, coniugata soprattutto nell’American Dream, viene in Tigers ribaltata, allineando l’ascesa al sogno con la discesa verso l’incubo. Eppure Martin giunge alle porte della massima realizzazione e lo fa tramite le rinunce, sia in termini fisici, allenandosi svariate ore al giorno sin da quando aveva otto anni, sia in termini affettivi e personali. Quello in cui si ritrova Martin è un ambiente colmo di aggressività e dalla scarsa umanità. Domina la freddezza, per cui chiunque ha un prezzo, in base ad esso viene giudicato e può essere venduto in ogni momento. A questa mercificazione si aggiunge un 42

forte individualismo, proprio del sistema capitalistico, che stride con il collettivismo che dovrebbe essere alla base di uno sport come questo. “Dimenticati della squadra. Non è una partita, è solo un’audizione”, gli dice un compagno più esperto. Tramite il racconto personale di Martin Bengtsson dunque, Sandahl veicola l’immagine più industriale e cinica del calcio che spesso rimane nell’ombra, così come le conseguenze sulla mente di giovani ragazzi, ma potremmo allargare il tema anche allo spettacolo, ritraendo le immense ombre che lo avvolgono e mostrando quello che può accadere dietro ai luoghi comuni su ricchezza e celebrità che dominano troppo spesso l’opinione pubblica. I cancelli dorati che si aprono davanti a Martin si richiudono alle sue spalle diventando una prigione, un’immagine simbolicamente ricorrente nel film e corrodendolo interiormente. Nel suo caso il sacrificio muta in estremo disagio e nella perdita dell’orizzonte psichico, fino a portarlo sul limitare del baratro, costretto anche ad allontanarsi dalla ragazza che per lui rappresentava una delle poche àncore salvifiche. Proprio questa ossessività è al centro della scrittura, fatta di dettagli incessanti e primissimi piani. Sandahl vuole rimanere vicino al suo protagonista, seguirne la vicenda in maniera minuziosa. Come nella metafora della tigre nella gabbia di uno zoo cinese, mansueta per vent’anni e che un giorno ha attaccato l’uomo che le stava dando da mangiare, che dà il titolo al film. Ad interpretare Martin un giovane attore svedese, Erik Enge, che attraverso il suo sguardo intenso ha saputo sfruttare un’apparente fragilità fisica per rappresentarne quella mentale. Veronica Barteri


di Philippe Falardeau

UN ANNO CON SALINGER

Origine: Canada, Italia, 2020

come Rachel Cursk o con i dirigenti dell’agenzia. Quando l’editore Clifford scrive direttamente a Salinger per chiedergli di poter pubblicare un suo vecchio racconto “Hapworth 16, 1924”, Joanna trova quindi l’occasione per mettersi in mostra per far andare avanti la faccenda nonostante lo scetticismo iniziale di Margaret. Mentre Salinger cerca di incontrare l’editore Clifford in pubblico alla Georgetown University per parlare della pubblicazione del suo lavoro, Margaret non è entusiasta, poiché in realtà va contro la politica dell’agenzia di proteggere i suoi clienti chiave. Quindi Joanna si offre come intermediario dell’agenzia sul posto. Margaret acconsente e la giovane prende il bus per Washington con il romanzo di Don appena finito. Dopo che Salinger ha accettato il contratto con Clifford, Joanna incontra Karl, il suo ex fidanzato. Poco tempo dopo, Margaret inizia a fidarsi sempre di più di Joanna e le fa leggere alcuni manoscritti e articoli. Successivamente, dopo essere stati invitati al matrimonio del migliore amico di Don, Joanna decide di lasciarlo e continuare per la sua strada. La giovane vende il suo primo libro per l’agenzia e le viene offerto un ruolo più prestigioso all’interno di essa. Tuttavia, Joanna decide che vuole perseguire il suo sogno di diventare una scrittrice e se ne va.

Anni Novanta. L’aspirante scrittrice californiana Joanna abbandona l’università di Berkeley per trasferirsi a New York e cercare di emergere nel mondo letterario. Qui la ragazza riesce a ottenere un lavoro come assistente di Margaret, un’intransigente agente letteraria old style che vanta tra i suoi autori, di curare gli interessi del leggendario J. D. Salinger (l’uomo vive oramai volutamente da recluso e lontano dalle scene). Nel suo periodo in agenzia, Joanna ha il compito di rispondere alle migliaia di lettere che riceve ogni giorno Salinger dai suoi fan. La risposta consiste in un modello standard, totalmente impersonale, che di volta in volta la giovane deve adattare con il nome dell’ammiratore di turno, utilizzando inoltre, per volere di Margaret, una macchina da scrivere. In seguito però, leggendo l’emozione e la stima che le persone trasmettono con le loro parole, la ragazza diventa sempre più riluttante ad adottare la risposta imposta dall’agenzia e di nascosto, inizia a rispondere ai lettori in modo più originale e personale. Intanto, Joanna instaura una relazione con Don, un giovane che lavora part-time in una libreria con il sogno di diventare scrittore. Condividono le stesse passioni e vivono in un appartamento di Brooklyn. In seguito, Joanna si rende In una lucente New York conto di ambire a più di un posto di metà anni Novanta, come segretaria di Margaret e una giovane brillante dedesidererebbe avere incarichi più cide di abbandonare una prestigiosi. Il suo capo però, non comoda carriera univerpermette che Joanna abbia troppi sitaria per inseguire il suo sogno contatti privati ​​con i suoi clienti di diventare scrittrice. Ma è ben

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Produzione: Luc Déri e Kim McCraw per Micro_Scope, Parallel Film Productions Regia: Philippe Falardeau Soggetto: dal romanzo omonimo di Joanna Rakoff Sceneggiatura: Philippe Falardeau Interpreti: Margaret Qualley (Joanna), Sigourney Weaver (Matgaret), Douglas Booth (Don), Seána Kerslake (Jenny), Brían F. O’Byrne (Hugh), Colm Feore (Daniel), Yanic Truesdale (Max), Hamza Haq (Karl), Leni Parker (Pam), Tim Post (J.D. Salinger), Gavin Drea (Mark), Matt Holland (Clifford Bradbury) Durata: 101’ Distribuzione: Academy Two Uscita: 11 novembre 2021

consapevole che adeguare le proprie aspirazioni con la realtà non sarà affatto semplice. È da queste prime battute che prende le mosse Un anno con Salinger, pellicola tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Joanna Rakoff (qui anche in veste di produttore esecutivo) che - con irriverenza e una buona dose di ironia - narra i primi anni professionali dell’autrice all’interno della più prestigiosa agenzia letteraria che curava gli interessi del leggendario J. D. Salinger. In effetti, quello a cui assistiamo è la più classica delle coming-of-age story in cui la figura dello “scrittore” diviene un elemento chiave, seppur a distanza, nel percorso formativo della protago-


nista mentre si fa strada nel mondo del lavoro e dell’età adulta. Infatti, l’autore de “Il giovane Holden”, che già nell’anno in cui viene ambientata la vicenda aveva deciso di ritirarsi dalle scene, diviene simbolo contraddittorio di un’epoca nostalgica che doveva fare i conti con le leggi del mercato e del business a discapito della pura espressione artistica, evidenziata dalla scelta allegorico-narrativa di non “mostrarlo” quasi mai - o addirittura nominarlo (tanto che in ufficio viene chiamato confidenzialmente “Jerry”) - se non giocando con la sua assenza/presenza all’interno del film: viene inquadrato di spalle mentre si allontana, udendo la sua voce per telefono o tramite una foto incorniciata alla parete. Non siamo troppo lontani dalle dinamiche già affrontate ne Il diavolo veste Prada con cui il film del regista canadese Philippe Falardeau (candidato all’Oscar nel 2012 come miglior film straniero per Monsieur Lazhar) condivide soprattutto la contrapposizione tra la giovane impiegata ambiziosa ma insicura, dall’animo puro e innocente, e la più matura e cinica donna in carriera, ma si differenzia in realtà nei toni adottati, molto più leggeri e disincantati. Nonostante il risultato finale sia piuttosto convenzionale e prevedi-

bile, Un anno con Salinger riesce a pigiare le corde giuste sul lato emozionale, divenendo un vero atto d’amore verso il potere della scrittura, e di come essa riesca a far commuovere il pubblico, facendolo appassionare, riflettere e identificare con i personaggi di carta di cui leggono le avventure: un aspetto questo, evidenziato con l’espediente di mostrare i fan dello scrittore che prendono corpo, leggendo loro stessi le proprie lettere: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira” (J.D. Salinger, “Il giovane Holden”). Sullo sfondo una Grande Mela (ricostruita in realtà a Montreal) baciata spesso da luci calde e autunnali che donano alla città un aspetto quasi fiabesco, come se la protagonista si trovasse nel suo personale “Over the Rainbow” all’interno del suo mondo magnifico, costellato da edifici art déco e appartamenti fatiscenti, luoghi ricchi di fermento intellettuale e culturale; l’atmosfera rétro è accentuata anche dall’avversione di Margaret per le nuove tecnologie, per cui si guarda con sospetto ai computer (volutamente di colore nero per sottolinearne l’estranei-

di Pedro Almodóvar

tà) in favore delle vecchie e rassicuranti macchine da scrivere, e da una colonna sonora firmata dal compositore e musicista Martin Léon (qui alla sua terza collaborazione con Falardeau) che alterna brani jazz e musica classica. Menzione a parte merita l’ottima prova della giovane e promettente Margaret Qualley (portata al successo internazionale da Quentin Tarantino in C’era una volta a… Hollywood) che - oltre a infondere un’incantevole dolcezza e autenticità al proprio personaggio - riesce nell’impresa di tener testa ad un’istrionica ed algida Sigourney Weaver senza mai sfigurare. Non a caso, gli scambi di battute tra le due attrici sono tra i momenti più riusciti di tutto il film. Presentato in anteprima mondiale alla 70esima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino nella sezione Berlinale Special il 20 febbraio 2020, Un anno con Salinger ha ottenuto una nomination al La Roche-sur-Yon International Film Festival per il Grand Prix du Jury come miglior film. Coprodotto da Micro_Scope e Parallel Films che gestisce i diritti internazionali, in Italia viene distribuito in sala da Academy Two l’11 novembre 2021. Alessio D’Angelo

MADRES PARALELAS

Origine: Spagna, 2021 Produzione: Agustín Almodódovar, Eshter García per Remotamente Films A.I.E., El Deseo D.A., S.L.U.

In seguito al taglio delle sovvenzioni per la salvaRegia: Pedro Almodóvar guardia della Memoria Soggetto e Sceneggiatura: Pedro storica, Janis, fotografa Almodóvar professionista, non sa a Interpreti: Penélope Cruz (Janis), Milena Smit (Ana), Israel Elejalde (Arturo), Aitana chi rivolgersi per avviare gli scavi Sánchez-Gijón (Teresa), Julieta Serrano (Zia di un terreno nel suo paese d’origiBrígida), Rossy de Palma (Elena) ne in cui, secondo le testimonianDurata: 120’ ze di un sopravvissuto alla guerra Distribuzione: Warner Bros. civile, sono sepolti i cadaveri di Uscita: 28 ottobre 2021 diversi desaparecidos, compreso il

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suo bisnonno, a cui le compaesane intendono garantire una degna sepoltura. La donna incontra Arturo, antropologo forense che accetta di occuparsi del progetto e, sebbene sposato, i due intraprendono una relazione. Tempo dopo, Janis è in attesa di partorire e in ospedale fa amicizia con Ana, neomamma single


e minorenne in conflitto con la madre Teresa, attrice teatrale che, ottenuto il ruolo che sognava, parte in tournée piuttosto che prendersi cura della figlia. Per non rinunciare all’opportunità di diventare madre a quarant’anni, Janis ha preferito troncare con Arturo, non entusiasta all’idea di avere una figlia. Ora però l’uomo desidera conoscere la piccola Cecilia ma, notandone i tratti venezuelani, propone di sottoporla a un test di paternità. Non essendo stata con altri uomini e credendo che la piccola abbia ereditato i tratti del nonno materno, Janis si rifiuta ma, al contempo, procede segretamente con un test di maternità e scopre che Cecilia non è sua figlia, probabilmente scambiata in ospedale con la bambina di Ana ma, in preda al panico, non ha il coraggio di contattare quest’ultima. Tempo dopo, Janis incontra Ana, ormai maggiorenne, fuggita di casa dopo la morte della figlia per SIDS e il disinteresse dei genitori nel prendersi cura di lei. Janis l’accoglie a casa sua per assumerla come baby-sitter e, fingendo delle analisi di routine, le preleva un campione di saliva, ricevendo la conferma che la giovane è la madre biologica di Cecilia. Teresa vuole riappacificarsi con la figlia e si presenta da Janis, a cui racconta la sua storia: si era sposata per fuggire dalla famiglia, sebbene non abbia mai desiderato essere moglie e madre per dedicarsi alla carriera, da cui l’annullamento del matrimonio e la faida con l’ex marito, che le aveva impedito di vedere Ana, liberandosi della figlia una volta incinta. Janis e Ana si innamorano e iniziano a convivere come una coppia. Ana racconta di essere rimasta incinta in seguito agli abusi subiti da alcuni suoi amici che, minacciando di postare online un video che la immortalava a letto con un ragazzo, l’avevano costret-

ta a fare sesso con loro, ma suo padre aveva deciso di non denunciarli per evitare uno scandalo. Ana mostra una foto di questi ragazzi e Janis nota che uno di loro è venezuelano. Arturo comunica a Janis che ha ricevuto i permessi per gli scavi e che sta divorziando; Ana è sempre più gelosa e non capisce la necessità del progetto, cresciuta in una famiglia apolitica che aveva preferito ignorare gli orrori del franchismo rispetto alla salvaguardia della memoria per cui si battono Janis e le altre compaesane. Non riuscendo più a convivere con il suo segreto, la protagonista confessa ad Ana la verità su Cecilia, per cui la giovane torna da Teresa, portando la bambina con sé; devastata, Janis trova conforto in Arturo, che decide di prendersi cura di lei in questo tragico momento. Ana chiama la protagonista per scusarsi, consentendole di vedere Cecilia, ma la donna decide di allontanarsi per metabolizzare il distacco. Più avanti, Janis e Arturo sono di nuovo una coppia e si dirigono nel paese della donna per raccogliere informazioni sulle famiglie delle vittime prima dell’inizio dei lavori. Mesi dopo, Janis è nuovamente incinta di Arturo, per cui Ana, riappacificatasi con lei, è felice che presto Cecilia avrà un fratellino o una sorellina. Rinvenuti dei resti umani nello scavo, i personaggi e i compaesani si recano sul sito per rendere omaggio alle vittime. Non esiste una storia muta, come recitano le emblematiche parole di Eduardo Galeano che concludono il meraviglioso film di Almodóvar: che sia individuale o collettiva, la storia umana non riesce a tacere, anche laddove i suoi protagonisti tentino di relegarla all’oblio o alla falsificazione. Parlare o ignorare?

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Su questo interrogativo, Almodóvar definisce la forza trainante dell’intera vicenda, che trova di nuovo nel femminile e nel materno l’orizzonte a cui l’autore consegna le redini di un mondo alla continua ricerca delle proprie radici, attento al “presente del passato”, citando Sant’Agostino, per garantire la salvaguardia di un futuro minacciato dalle politiche occultiste e revisioniste di una Nazione incapace di metabolizzare la memoria incompiuta di una delle pagine più oscure della sua storia. Non è la prima volta che il cinema di Almodóvar si fa politico, sebbene a cambiare siano le strategie attraverso cui definisce la sua politicità; se gli esordi vantavano una rabbia graffiante e cinica accostabile alle dissacranti invettive di un John Waters, oggi l’autore rinuncia al gesto spregiudicato per un ritratto più diretto e poetico del proprio contesto storico e culturale, necessario di fronte a una Spagna non esente dalle esaltazioni nostalgiche del regime franchista da parte dell’estrema destra o fiera dell’assenza di finanziamenti per il mantenimento della Memoria storica. Se l’Antonio Banderas di Dolor y Gloria si poneva come interces-


sore della nostalgia intimista di un autore che si interrogava sulla sua identità privata e professionale, Madres Paralelas inflette su quelle regioni natali e materne tipiche della filmografia almodóvariana, indagando però un’identità nazionale ferita e conflittuale che passa attraverso il ruolo sineddotico della straordinaria Penélope Cruz, vincitrice della Coppa Volpi a Venezia 78 per uno dei suoi ruoli più intensi. Se nel suo piccolo Janis lotta contro uno Stato che non garantisce una memoria storica ai suoi figli, quanto è lecito occultare le radici della propria figlia pur di garantire la salvaguardia del proprio statuto di madre attraverso un silenzio ingannevole, che mira a quei pre-

supposti di veridicità professati e ricercati per sé e per la collettività? Conflittuale e struggente, il dilemma morale di Janis si colloca in un’atmosfera in cui, nonostante la tensione emotiva abilmente costruita dall’autore, sembrano acquietarsi quelle tempeste passionali tipiche del suo cinema e delle sue donne “sull’orlo di una crisi di nervi” a causa delle meschinità del maschile. Anche nei momenti più conflittuali, a strutturare il rapporto tra i personaggi è un’armonia intrinseca che non riconosce alcuna violenza, rancore o nevrosi, per tendere verso un genuino incontro con l’altro, privato da qualsiasi necessità di etichettare il tipo di relazione umana, sentimentale

di Umberto Carteni

o sessuale intrapresa, come confermato dal finale: Janis è tornata con Arturo o con Ana? Magari con entrambi? Non importa. Fatto sta che, di fronte alla ferita della Storia collettiva e personale, i personaggi rimediano attraverso la formazione di una nuova dimensione familiare “allargata”, priva di etichette e che, di fronte al riflesso del Male, si erge come risultato benefico di un amore non retorico o banale, né istituzionale, che avrebbe trovato di sicuro la morte di fronte ai responsabili di quelle barbarie, liberato dai tanti pregiudizi che ancora oggi, non solo in Spagna, rischiano di limitarne l’espressione. Leonardo Magnante

DIVORZIO A LAS VEGAS

Origine: Italia, 2020 Produzione: Marco Poccioni, Marco Valsania per Rodeo Drive con Rai Cinema Regia: Umberto Carteni Soggetto e Sceneggiatura: Alessandro Pondi, Paolo Logli, Riccardo Irrera, Mauro Graiani Interpreti: Giampaolo Morelli (Lorenzo), Andrea Delogu (Elena), Ricky Memphis (Lucio), Grazia Schiavo (Sara), Vincent Riotta (Giudice), Gian Marco Tognazzi (Giannandrea), Luca Vecchi (Tullio) Durata: 90’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 8 ottobre 2020

La storia inizia quando Lorenzo ed Elena, insieme ad amici, vanno in vacanza a Las Vegas. Sono solo dei giovani in viaggio, per di più sotto effetto di peyote, una pianta usata come allucinogeno; in maniera del tutto incosciente, i due si fanno un tatuaggio e si sposano in una cappellina a Las Vegas. Vent’anni dopo Lorenzo ed Elena sono ormai adulti e vivono due realtà e contesti

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completamente differenti. Elena Martini Goodman lavora all’Enel, è una donna in carriera e sta lavorando ad un progetto molto importante, contendendosi il posto da dirigente con una collega; questa, competitiva e invidiosa, vuole rubarle le idee. Quando inavvertitamente Elena lascia nella fotocopiatrice le stampe di alcuni dettagli del suo lavoro, la collega gliele ruba. Elena è in procinto di sposarsi con Giannandrea Bertolini, un grande imprenditore. Lorenzo invece si guadagna da vivere facendo il ghost writer, lavora in maniera discontinua e condivide l’appartamento con l’amico Lucio che è stato da poco lasciato dalla moglie. Lucio però non ha ancora elaborato la separazione, è ancora innamorato tanto da seguire la moglie per riconquistarla. I due coinquilini hanno molte spese da sostenere tra le quali anche le cause intentate che Lucio deve pagare all’avvocato della ormai 46

ex moglie. Elena ha una collega di nome Sara, suo avvocato che, in occasione dell’annuncio di fidanzamento con Giannandrea, le ricorda che lei è già sposata civilmente. La donna quindi sarà costretta di lì a breve a tornare a Las Vegas con Lorenzo per firmare le carte di divorzio. L’indomani Sara si reca a casa di Lorenzo ma ad aprirgli la porta è Lucio, il quale crede si tratti dell’ennesimo avvocato mandato dalla ex moglie: disperato, cerca di muoverla a compassione rimanendo in mutande davanti a lei. Chiarito l’equivoco, Sara spiega a Lorenzo cosa dovrà fare per aiutare Elena a sciogliere il contratto e dopo varie resistenze, per convincerlo, gli offre una bella somma di denaro. Ovviamente Elena non ha detto nulla a Giannandrea e a sua insaputa i due “sposini”, che non si sono visti per 20 anni, si ritrovano così all’imbarco accompagnati rispettiva-


mente da Sara e Lucio. All’uscita dell’aeroporto e nel prendere il taxi, Sara perde il suo cellulare che verrà ritrovato da Lucio. Nei giorni in cui i rispettivi amici non ci sono, Lucio prova a sedurre Sara, bella donna sfortunata con gli uomini. La va a trovare in ufficio, le regala un modem e le riporta il cellulare dopo averle fatto da segretario nei giorni in cui Sara non aveva il suo telefono. Poi Lucio si intrufola in azienda prima della chiusura per poterla vedere; lei è per la seconda volta infastidita dalla sua invadenza e lo riaccompagna verso l’ascensore. I due però, per un guasto elettrico, rimangono chiusi in ascensore tutta la notte e lì scatta la scintilla. Intanto i due divorziandi stanno viaggiando in aereo, lei in business e lui in economy. Durante il viaggio Elena ha un uomo seduto accanto, un certo Tullio, persona molesta che si invaghisce di lei, corteggiandola spudoratamente. Appena arrivati a destinazione, Lorenzo viene messo in prigione per non aver pagato le spese sanitarie di vent’anni prima. Elena paga la cauzione e lo fa uscire di prigione. I due noleggiano una macchina per raggiungere il tribunale. Prima di recarsi dal giudice per la sospirata pratica, i due passano nella cappellina dove si erano sposati 20 anni prima e trovano una loro foto. Una volta arrivati in tribunale il giudice confessa di non essere convinto delle loro reali intenzioni. Usciti dal colloquio vedono il carro attrezzi portare loro via la macchina e si fanno accompagnare dal giudice che continua nel tentativo di convincerli a ponderare bene questa scelta. Dopo poco Elena riceve una chiamata del capo infuriato perché si è ritrovato il suo progetto uguale a quello della collega concorrente; il dirigente vorrebbe sospenderla da questo incarico ma, con una frase sugge-

ritale da Lorenzo, Elena convince il superiore a darle un’altra possibilità. Lorenzo in fondo prova ancora qualcosa di forte per la “moglie” e ne ha più consapevolezza di lei. Così si fa coraggio e le chiede come ultimo regalo quello di andare a cena insieme. Così porta Elena in un ristorante elegante dove incontrano di nuovo il giudice con la moglie. Elena e Lorenzo ballano insieme e una volta usciti si baciano; è proprio durante questa effusione che Lorenzo si accorge che in quelle ore qualcosa è cambiato in Elena. Il giudice in compagnia della moglie, dopo averli incontrati nuovamente anche fuori il locale, chiede loro di non tornare subito in albergo ma di andare insieme a divertirsi al casinò. Elena non vuole, Lorenzo invece insiste e alla fine si ritrovano tutti e quattro a trascorrere una notte brava tra alcol, spogliarelliste e gioco d’azzardo. L’indomani si ritrovano nudi tutti e quattro nello stesso appartamento tra bambole gonfiabili e boa colorati: derubati da una coppia di ladri che li ha avvicinati la notte appena trascorsa. Lorenzo ed Elena si alzano di corsa e sconvolti si preparano per andare a firmare le carte del divorzio quando piomba in albergo Giannandrea, che ha voluto fare una sorpresa alla fidanzata. Elena lo vede arrivare e riordina tutto l’appartamento dell’albergo; spiega così al fidanzato cosa è andata realmente a fare lì e con Lorenzo si recano dal giudice dove firmano tutto. Giannandrea però prende in simpatia l’ex della moglie e gli vuole offrire il viaggio di ritorno. Elena rientra in ufficio e il capo intende premiarla facendole fare una importante presentazione del suo progetto davanti a personalità di rilievo. Intanto Lorenzo si confida con la nuova coppia formata dal suo coinquilino Lucio e Sara. Sarà proprio in questa occasione, mentre Elena 47

mostra il suo prezioso lavoro anche davanti al fidanzato, che Lorenzo si dichiara. D’altronde con le parole lui ci sa proprio fare. e così di lì a poco i due tornano a Las Vegas, si risposano e questa volta ci sono anche Lucio e Sara. Dopo Diverso da chi? e Studio Illegale, ecco la terza opera di Umberto Riccioni Carteni. Divorzio a Las Vegas strizza l’occhio alla trilogia Una notte da leoni, mantenendo al tempo stesso una sua identità; citando questo titolo all’interno del film, il regista sembra infatti considerarlo un modello di riferimento ma al tempo stesso un oggetto di ironia. Oltre a questa, tantissime le citazioni, esplicite e non: da Harry ti presento Sally ad Indiana Jones, da Tutta colpa dell’amore a Fandango. Buona la sceneggiatura di Alessandro Pondi, Paolo Logli, Riccardo Irrera e Mauro Graiani. Lo stesso regista nasce come sceneggiatore e da questo il pubblico può comprendere e apprezzare le origini della cura e l’importanza dei dialoghi. Divorzio a Las Vegas è infatti un film in cui in tutti i modi viene sottolineata la forza delle parole. Il film è un omaggio all’America senza stereotipi, ad eccezione del personaggio un po’ caricaturale del giudice italo americano ed una storia romantica che ricorda quelle raccontate da Nora Ephron. Molto curate la fotografia e la descrizione degli

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scenari statunitensi. Molto bravi i protagonisti: Andrea Delogu, qui alla sua quinta prova da attrice sul grande schermo, tiene testa al protagonista maschile, Giampaolo Morelli, che ha qualche film interpretato in più alle spalle. Al loro fianco un Ricky Memphis sempre in grandissi-

ma forma e Grazia Schiavo, che avevamo conosciuto in altre pellicole italiane come Poli opposti e Al posto tuo e in serie televisive come La squadra. Da annoverare poi Gian Marco Tognazzi, il simpatico Vincent Riotta nei panni del giudice italo americano e poi due divertenti partecipazioni/

di Martin Provost

cammei, una nostrana e l’altra internazionale: Luca Vecchi del gruppo comico The Pills, e poi i venditori Corey e Rick Harrison, protagonisti di Affari di famiglia, reality di grande successo in molti paesi nel mondo. Giulia Angelucci

LA BRAVA MOGLIE

Origine: Francia, Belgio, 2019 Produzione: François Kraus e Denis Pineau-Valencienne per Les Films Du Kiosque, in coproduzione con France 3 Cinéma, Orange Studio, Umedia Regia: Martin Provost Soggetto e Sceneggiatura: Martin Provost Interpreti: Juliette Binoche (Paulette Van Der Beck), Yolande Moreau (Gilberte Van Der Beck), Noémie Lvovsky (Suor MarieThérèse), Édouard Baer (André Grunvald), François Berléand (Robert Van Der Beck), Marie Zabukovec (Annie Fuchs), Anamaria Vartolomei (Albane Des-Deux-Ponts), Lily Taieb (Yvette Ziegler), Pauline Briand (Corinne Schwartz), Armelle (Christiane Rougemont) Durata: 109’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 24 giugno 2021

Fino alla fine degli anni Sessanta esistevano in Francia più di mille scuole per formare “le brave mogli”. Qui si racconta la storia dell’istituto Van der Beck, dal nome del proprietario Robert. La storia si svolge alla vigilia degli eventi del maggio 1968: da questa data un vento di sana follia inizierà a soffiare in tutta la Francia e arriverà fino in Alsazia a Boersch dove si trova l’istituto, un paese famoso per i suoi vigneti e per il celebre strudel. La scuola, diretta da Paulette Van der Beck, moglie del proprietario, si fonda sui sette pilastri che mirano a trasformare le al-

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lieve in casalinghe sublimi. Tra questi spicca l’obbligo di essere comprensive con il proprio marito con totale abnegazione senza mai anteporre le proprie esigenze a quelle della famiglia. E così ha fatto Paulette, assolvendo ai suoi doveri coniugali e chiudendo un occhio sui vizi del marito. Inizia un nuovo anno scolastico e Paulette illustra alle allieve i principi della brava moglie, coadiuvata dalla cognata Gilberte e dalla suora Marie Thérèse. Le tre notano che tra le nuove allieve c’è una ragazza con i capelli rossi e si chiedono se ciò significherà che sarà un anno maledetto. Durante una cena, Richard soffoca con un osso del coniglio cucinato dalla sorella Gilberte e muore. Richard era responsabile delle finanze della scuola e sua moglie è costretta a prenderne in mano le redini. Dopo aver trovato degli atti giudiziari e una messa in mora, Paulette si accorge che l’istituto è sull’orlo della bancarotta. Insieme a Gilberte, la donna si reca all’Istituto di Credito Alsaziano dal direttore André Grunvald. L’uomo le informa che Richard era caduto nella rete del gioco d’azzardo, parlando della difficile situazione propone a Paulette di aprire un nuovo conto a suo nome. Mandata via Gilberte, Andrè trattiene Paulette: i due già avevano 48

avuto una relazione finita tanti anni prima. Rientrata in istituto, la donna è turbata. Poco dopo riceve una telefonata da André. I due si incontrano in campagna: l’uomo la bacia, deciso a non rinunciare a lei. I due si erano persi dopo la fine della guerra: lui le aveva scritto una lettera che non le era mai arrivata, lei lo aveva aspettato a lungo ma poi aveva sposato Robert. Paulette, turbata, scappa. È il 22 marzo 1968, l’università di Nanterre viene occupata, quella stessa notte Gilberte scrive una lettera d’amore ad André, mentre alcune allieve iniziano a vivere momenti di libertà sessuale. Paulette mostra a Gilberte il primo paio di pantaloni acquistati. In quel momento Suor Marie Thérèse spara un colpo di fucile dopo aver sorpreso l’allieva Fucs con un ragazzo. Furiosa con la suora, la direttrice si fa restituire l’arma. Paulette parla con Fucs che confessa di voler essere libera di amare chi vuole, poi le rinfaccia di voler fare di loro delle schiave lavapiatti. Il giorno dopo Paulette pranza con André che le chiede di sposarlo, i due fanno l’amore. Una troupe televisiva fa un servizio presso l’istituto che è stato estratto per un concorso


come migliore scuola di economia domestica a Parigi. Poco dopo, l’allieva Yvette, per opporsi a un matrimonio combinato, tenta il suicidio impiccandosi. Dopo averla salvata, Paulette ha una crisi, crede di aver sbagliato tutto, la “brava sposa” è finita, non vuole più far credere alle ragazze che la cosa migliore è essere schiave di un uomo, non vuole più andare al salone delle arti domestiche. Nel frattempo André vuole salire in camera sua e si arrampica su una tubatura elencando tutto ciò che sa fare in casa. Paulette gli chiede la ricetta dello strudel mentre gli tende la mano. La donna cambia idea: andranno a Parigi. Gilberte vede dal buco della serratura Paulette con André e si dispera. Il mattino dopo le allieve sono sul pulmino pronte per partire per Parigi, Gilberte reagisce e si presenta con un nuovo look. Durante il viaggio, la radio trasmette la notizia che nella capitale ci sarà uno sciopero generale. Una lunga coda di auto rende l’ingresso a Parigi impossibile. Paulette annuncia che loro faranno la rivoluzione: le allieve capitanate dalla direttrice, Gilberte e Suor Marie Thérèse camminano insieme. Paulette proclama i nuovi sette pilastri della donna libera. In tailleur rosa e filo di perle, una composta Juliette Binoche (vestita alla maniera di Jackie Kennedy) illustra alle allieve della scuola di economia domestica di cui è direttrice i sette pilastri che nel 1967 si pensava fossero essenziali per far diventare ogni ragazza una “brava moglie”. Ebbene si, prima degli eventi della primavera del 1968, per ogni giovane donna di Francia il massimo traguardo nella vita era fare un buon matrimonio ed essere una moglie docile e comprensiva (per non dire

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sottomessa) nei confronti del marito. Settimo lungometraggio del regista Martin Provost, La brava moglie racconta la storia di uno dei tanti istituti di economia domestica (in questo caso di quello di Boersch in Alsazia). Esperto nel dipingere storie di emancipazione femminile (Séraphine, Violette, Quello che so di lei), Provost confeziona un film che a un primo sguardo sembra un pastiche di generi: commedia di costume, melodramma amoroso di due amanti ritrovati, musical liberatorio. Merito principale della sceneggiatura (scritta da Provost con Séverine Werba) è quello di dipingere una colorata galleria di ritratti femminili. Non solo la protagonista Paulette che, da ex moglie paziente e insegnante di economia domestica diventa artefice del proprio destino prendendo in mano le redini dell’istituto fondato da suo marito, ma anche le sue due collaboratrici: l’inflessibile Suor Marie Thèrése (Noèmie Lvovsky) e la zitella romanticona Gilberte (Yolande Moreau) insegnante di cucina capace di sognare sulle note di “Tombe la neige” di Adamo. E poi c’è la galleria delle fanciulle in fiore destinate a diventare delle brave mogli: c’è chi non si vuole arrendere a un matrimonio combinato e tenta il suicidio, chi vuol vivere liberamente la propria sessualità e chi scopre la sua omosessualità. Comune denominatore di tutte queste donne è il fatto di covare dentro di sé lo spirito del Sessantotto. Quello che stava accadendo nelle università, nelle strade e nelle piazze della capitale francese inizia a echeggiare all’interno di un istituto dove il tempo sembra essersi fermato: le ragazze chiuse dentro questa specie di collegio per futuri “angeli del focolare”, per il momento si 49

limitano a prendersi a cuscinate (forse un preludio a una ribellione alle rigide regole di stampo medievale?). Ma poi la grande storia irrompe nella piccola storia. Il passaggio dalla Francia degaulliana alla rivoluzione del maggio 1968 accompagna il cambiamento della composta direttrice in tailleur rosa in donna fiera di gridare la propria libertà. Il percorso di Paulette van der Beck, che si ritrova a gestire un disastro finanziario lasciato da un marito defunto, a tratti può ricordare quello che accade alla protagonista di Potiche - La bella statuina di Ozon, anche se di quella pellicola qui mancano il gioco dei colori e una certa teatralità che sono cifre stilistiche tipiche del cineasta parigino. Come Potiche (di cui si ricordano deliziosi siparietti musicali) anche il film di Provost sfocia in un finale liberatorio da musical. Cantando la loro voglia di libertà ed elencando nomi illustri di paladine dei diritti femminili come Simone de Beauvoir, Frida Kahlo, Virginia Wolf, il colorato corteo corre verso un futuro migliore. Ed ecco che i sette pilastri della brava moglie elencati in apertura (mostrare abnegazione, comprensione e buonumore al proprio marito, svolgere le faccende domestiche senza mai lamentarsi, essere garante dello “spirito di famiglia”, vietare il consumo di alcool ma mostrarsi conciliante se il proprio marito si abbandona a que-


sta cattiva inclinazione) vengono rovesciati nei sette pilastri della donna libera. In questo senso, La brava moglie si inserisce in quel filone cinematografico dedicato alle conquiste per l’emancipazione dalle donne (Suffragette e Il concorso per citarne solo due): in questo caso a essere infrante sono le abitudini, le convinzioni, le barriere socio-culturali di un’epoca non

lontanissima (una cinquantina d’anni or sono). Ciò che funziona meglio e strappa il sorriso sono i momenti in cui gli ostacoli e i pregiudizi da superare appaiono a noi, cittadini del terzo millennio, cose ovvie e scontate. Ma ciò che resta davvero di questo film è il messaggio di fondo: perché le donne, da quel lontano 1968 in cui le si vedeva so-

di Audrey Diwan

prattutto come casalinghe dedite a mariti e figli, hanno conquistato libertà e possibilità di carriere anche importanti ma di strada, sul fronte delle vere libertà, ce n’è ancora da fare. Perché di donne costrette a vivere in contesti socio-politici che educano alla sottomissione ce ne sono ancora troppe nel mondo. Elena Bartoni

LA SCELTA DI ANNE. L’ÉVENEMENT

Origine: Francia, 2021 Produzione: Edouard Weil, Alice Girard per Rectangle Productions, in coproduzione con France 3 Cinéma, Wild Bunch, Srab Films Regia: Audrey Diwan Soggetto: dal romanzo autobiografico “L’evento” di Annie Ernaux Sceneggiatura: Audrey Diwan, Marcia Romano Interpreti: Anamaria Vartolomei (Anne), Kacey Mottet-Klein (Jean), Luàna Bajrami (Hélène), Louise Orry-Diquéro (Brigitte), Louise Chevillotte (Olivia), Pio Marmaï (Professor Bornec), Sandrine Bonnaire (Gabrielle), Anna Mouglalis (Rivière), Leonor Oberson (Claire), Fabrizio Rongione (Dottor Ravinsky), Cyril Metzger (Gaspard), Éric Verdin (Jacques) Durata: 100’ Distribuzione: Europictures Uscita: 4 novembre 2021

Provincia francese, 1963. Anne frequenta con grande profitto la facoltà di lettere, ha chiari gli argomenti più complessi come le pagine di Sartre e di Camus che, ovviamente, la pongono al centro dell’invidia delle sue amiche e colleghe cui fa rabbia il suo consolidato progetto futuro come l’insegnamento e la scrittura. Il suo desiderio di scelte libere e indipendenti la connotano come una ragazza diversa, non omologata dall’ambiente bigotto

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di quegli anni, messo in allarme anche da quanto sia desiderata dagli uomini che le girano intorno e da lei tenuti a bada senza eccessi, con la padronanza di chi sa di piacere. Un giorno questa sua indipendenza pare andare in frantumi perché si scopre incinta di un giovane di Bordeaux, venuto un paio di giorni in trasferta per trovare dei parenti e da lei conosciuto in una libreria e frequentato per una notte. La prima risposta che ha la sua richiesta di aiuto è la chiusura: dai ginecologi (la legge di allora non fa sconti e manda in prigione i colpevoli di aborto procurato), dalle amiche, dai ragazzi con cui si confida che pensano, data la sua situazione, sia ora una preda più facile. Un ginecologo integralista le prescrive, addirittura, con l’inganno delle iniezioni che rafforzano qualsiasi debolezza del feto mentre altri rimedi non ortodossi non approdano a nulla. La sua volontà ferrea nel proseguire gli studi per continuare a essere se stessa la convincono, tramite l’unico amico che vuole aiutarla, a rivolgersi a una mestierante del posto che ha già 50

aiutato altre ragazze in cambio di denaro. Il primo tentativo va a vuoto; il secondo, più invasivo e a prezzo di un dolore indicibile, la libera ma la prostra in una emorragia che sta per ucciderla. Una sua compagna di università capisce la situazione e chiama i soccorsi. È salva; il ginecologo sottoscrive si sia trattato di aborto spontaneo. Anne può riprendere i suoi amatissimi studi con la finalità di diventare scrittrice. È un film che racconta il disagio, l’incomprensione del prossimo che resta invisibile nei momenti più duri, quando maggiormente si ha bisogno di sostegno; la classe medica ostile, bigotta e truffatrice per rendere ancora più difficili situazioni già tremendamente difficili; la fascia degli adulti, insegnanti e genitori, che non capiscono e poi il dolore. Il dolore per la propria superficiale disattenzione, per la mancanza d’amore di cui invece la protagonista avrebbe bisogno che la sua vita traboccasse; il dolore per la propria vita, i propri pensieri, i propri sogni e progetti che stanno per polveriz-

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zarsi, il dolore per la propria solitudine. Infine il dolore per queste carni strappate, violentate, colpite, perforate, il tutto più e più volte, punteggiato solo da un lamento o da una smorfia che sa di disprezzo verso tutti ma non verso se stessa. Anne vuole essere forte, sa di esserlo e si ostina a vincere la sua battaglia che celebra la fine del dolore e l’inizio di una nuova vita con un lavacro di sangue. Il sangue che scorre da Anne, la imbratta e l’avvolge diventa universale, trasforma la scena della stanza universitaria in una tinta di rosso, mobili e pareti rosse, corridoi rossi e spazza via il calvario, lascia la persona e gli ultimi suoi mesi di vita terribile. Il bianco abbagliante dell’ospedale che si sostituisce a tanto rosso è una luce sul futuro che accoglie presto la calma di Anne che ricomincia a studiare, pensare, scrivere: il gracchiare della sua stilografica sulla carta è l’unico

suono che si sente a chiusura del film. Da tante parti si sono levate critiche forti o, quantomeno, considerazioni aspre sul modo usato dalla regista Audrey Diwan per raccontare questa storia degli anni ’60 in Francia (ma che riguarda tutti i Paesi a cominciare dal nostro): troppa violenza, troppa crudezza, troppo sangue, quasi una storia d’aborto trasformata in horror. Ma l’aborto è proprio un horror, fisico, spirituale, psicologico, morale che le donne subivano, con la legislazione d’allora, sui loro corpi. È questo che la regista ha voluto dirci, è proprio questo il modo voluto per puntualizzare la correttezza, la precisione dell’argomento che l’hanno portata a meritare il Leone d’Oro a Venezia 2021. Non c’era scelta allora: soffrire, morire oppure dichiarare irrimediabilmente sconfitta la propria esistenza.

Perfetta la protagonista Anamaria Vartolomei attrice rumena naturalizzata francese, sulla scena fin da bambina, non solo e non più una promessa ma una presenza forte, versatile, intelligente del cinema di oggi. Fabrizio Moresco

di Christophe Barratier

VOLAMI VIA

Origine: Francia, 2020 Produzione: Dimitri Rassam, Alexandre

Thomas è un giovane privo di aspirazioni, protagonista di una vita fuori dalle righe a spese del padre Henri, un ricco chirurgo che non sa più come gestirlo, soprattutto dopo che il figlio ha “parcheggiato” la sua auto nella piscina. Marcus, invece, è un dodicenne nato con una malformazione cardiaca che lo costringe in una vita di sacrifici che non lo soddisfa. A fine serata, Thomas si accorge che le sue carte sono state bloccate e raggiunge il padre in ospedale. L’uomo porta il figlio da Marcus e, dopo avergli spiegato le difficoltà che vive, chiede lui

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di far provare nuove esperienze De La Patelliére, Matthieu Delaporte per Chapter 2, France 2 Cinéma, LDPR II, a quel ragazzino. Se rifiuta verrà Palomar cacciato di casa. Regia: Christophe Barratier Il giorno seguente, Thomas rag- Soggetto e Sceneggiatura: Matthieu giunge Marcus al centro per disa- Delaporte, Alexandre de La Patellière, bili e lo accompagna a casa. I due Anthony Marciano, Christophe Barratier iniziano a studiarsi e il giovane Interpreti: Victor Belmondo (Thomas), Gérard Lanvin (Dott. Reinhard), Yoann inizia a comprendere da subito i Eloundou (Marcus), Andranic Manet privilegi di una vita normale. Pri- (Caharles), Ornella Fleury (Julie), Mariema di lasciarlo andare via e rima- Sohna Condé (Maïssa), Lili Aupetit (Léa), François Bureloup (Sig. Rouvier), Daphné nere solo con la madre, Marcus da De Quatrebarbes (Zia di Léa/Sandrine) appuntamento al suo nuovo assi- Durata: 93’ stente alle 11 del giorno seguente Distribuzione: I Wonder Pictures il che lo costringe a svegliarsi mol- Uscita: 19 agosto 2021 to prima del solito. Notte brava e Thomas si presenta all’appuntamento in ritardo. Prima di uscire, la madre di zioni forti e, fondamentale, bomMarcus si raccomanda: no scher- bola d’ossigeno sempre a portata. mi, no zuccheri, no sport, no emo- Thomas accompagna il ragazzi51


no, controvoglia, a uno spettacolo teatrale per bambini dove, però, incontra e si innamora di Léa, la nipote della proprietaria del teatro, venuta da Parigi per le vacanze. Altra nottata in discoteca e altro giorno di attività: stavolta Champs Elysees. In un bar, Thomas fa scrivere al ragazzo quali sono i suoi desideri prima di morire, in modo da esaudirli. Per prima cosa un nuovo cellulare, poi dritti al PSG Store in cui Marcus può indossare una maglia col suo nome e fare un giro sopra al Parco dei Principi grazie a un dispositivo di realtà virtuale. L’emozione è troppa e il ragazzino va in insufficienza respiratoria: serve l’ossigeno ma Thomas non lo trova. Fortunatamente, c’è un medico nei paraggi. Al rientro a casa i due litigano e le strade sembrano dividersi. Quella sera in discoteca Thomas è pensieroso ma riesce comunque a portare una ragazza a casa. Il padre però ha cambiato la serratura: l’accordo era di non mollare Marcus e lui non l’ha rispettato. Fuori casa e al freddo, dopo aver dormito un po’ in ospedale, Thomas si fa prestare un auto sportiva da un amico per andare da Marcus. Dopo aver fatto uno scherzo al

vicino che non crede nella disabilità del bambino, i due vanno a fare un giro in auto e il giovane guida per la prima volta. Il giorno successivo, Thomas organizza una serata al cinema con Léa e sua zia. Prima di andare, Marcus finge una crisi respiratoria per testare i riflessi del suo assistente. All’appuntamento, il ragazzino fa il timido ma si scioglie subito, mentre Thomas deve lottare per respingere le avance della zia di Léa. La sera i due esaudiscono un altro desiderio: cantare in pubblico la canzone “Volami via”. Giorno di esami all’ospedale per Marcus che però non ne può più di farsi infilare aghi ovunque. Thomas ha conquistato la sua fiducia e riesce a convincerlo facilmente. I risultati delle analisi danno qualche risultato positivo, così per festeggiare Thomas invita Marcus a dormire a casa sua. Con l’occasione viene tirata fuori l’auto dalla piscina dopo giorni. A seguito di un operazione, il ragazzino è costretto a una lunga riabilitazione che lo terrà in centro per molto. La buona notizia è che uscirà in tempo per i suoi 13 anni. La lista dei desideri di Marcus deve essere ancora completata e il suo fidato assistente, conclusa la convalescenza, organizza per lui una vacanza in un hotel di lusso. Rendere felice la madre: fatto. Ultimo desiderio, innamorarsi. Thomas ha già previsto tutto: Léa si trova lì e Marcus alla sua vista non riesce a trattenere la felicità. Questa relazione ha effetti positivi anche per il superficiale Thomas: dopo averla mollata tempo addietro, si re-iscrive a medicina nonostante l’età.

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aveva convinto tutti, pubblico, critica (aggiudicandosi due candidature agli Oscar) e botteghino (soprattutto in Francia). Le aspettative per il secondo lungometraggio del regista erano alte, ma questa volta vengono, in parte, disattese. Volami Via è un opera non originale. Si tratta di un remake di una pellicola tedesca del 2017, Conta su di me di Marc Rothemund, a sua volta adattamento del romanzo Dieses bescheuerte Herz: Über den Mut zu träumen, uscito nel 2013, che racconta in prima persona la vera storia di Lars Amend e Daniel Meyer. Si tratta, questa, di una pellicola che riflette sulle disparità sociali (ma anche fisiche), sui privilegi di alcuni e le difficoltà di altri. Sull’incapacità di Thomas di far fruttare la propria condizione di rampollo contro la grande volontà di Marcus di superare i limiti imposti da una situazione impossibile da sanare (una malformazione cardiaca). Di fatto è un film che parla di aspirazioni, quelle troncate sul nascere del giovane e quelle inesistenti del suo assistente. Ovviamente, entrambi i protagonisti hanno qualcosa da imparare l’uno dall’altro: la tenacia di Marcus e la noncuranza (a piccole dosi) di Thomas. Il primo può riscoprire l’entusiasmo per la vita, che lo esorta a lottare ogni giorno con la malattia; il secondo può ritrovare l’empatia e può ricominciare a sentire il peso (benevolo) dell’ambizione. Volendo inquadrare l’opera di Barratier nell’ambito dei generi possiamo inserirla nel filone del dramedy, drammi con forti incursioni da commedia, ma anche in quello della sick literature, storie con protagonisti affetti da Con Les Choristes - I qualche grave malattia. Un inragazzi del coro (2005), quadramento simile fa inevitaChristophe Barratier bilmente pensare a un altro film, 52


fortuna della cinematografia francese degli ultimi tempi: Quasi Amici (2011) di Olivier Nakache e Éric Toledano. Nonostante qui vengano trattati eventi basati su una storia vera (che però hanno subito modifiche ingenti ai fini della narrazione), il debito è evidente e fa pensare all’ennesima operazione di svecchiamento della pellicola del 2011 che, ormai siamo in grado di dirlo, non sembra es-

sere necessaria: nonostante gli oltre 10 anni dall’uscita, la sua potenza (che ne ha fatto la fortuna) non è ancora scemata. Non necessario, men che meno sufficiente a donare un’identità propria al film, è mischiare le carte in tavola ribaltando specularmente i “ruoli” dei protagonisti: il malato è un bambino povero di colore (nella realtà non lo è) e il suo assistente è un adulto bianco pieno di soldi.

Insomma, un’opera che fa riflettere, fa emozionare in alcune scene e ridere in altre ma che non sembra camminare con le proprie gambe: guardandola è impossibile non individuare similitudini con il film di Nakache e Toledano, e quando il termine di paragone è un film così riuscito e apprezzato, diventa difficile per tutti uscirne illesi. Giallorenzo Di Matteo

di Paolo Genovese

SUPEREROI

Origine: Italia, 2021

Anna e Marco si incontrano per caso sotto i portici di una piazza milanese, mentre un artista di strada suona il violoncello accompagnato dalla pioggia battente. Le possibilità di rincontrarsi? Così basse da essere irrilevanti. E invece Marco e Anna si rivedono, fanno l’amore e si innamorano. In realtà Marco già ha una compagna, Pilar, che sta studiando medicina, con cui ha preso un appartamento per andare a vivere insieme. Tuttavia l’incontro con Anna, seppure così diversa da lui, gli cambia irrimediabilmente la vita. Anna e Marco sono una coppia meravigliosamente male assortita. L’incastro è perfetto per via dell’irrimediabile diversità di attitudini, di approccio alla vita, di temperamento. Lei è una fumettista irrequieta e scrive strisce sulle scatole dei corn flakes. Ha una madre attrice molto egocentrica e distante, un’amica, Tullia, con cui vive da tempo e con cui condivide tutto e un capo apparentemente burbero, ma che in realtà la asseconda sempre. Quello che le manca è una chiara prospettiva

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di vita sentimentale, e il coraggio di lasciarsi andare per più di una notte. Marco è un professore di fisica, e la sua illusione è di ricondurre ogni cosa ad una legge che aspetti solo il momento giusto per essere scoperta. Anche lui ha un amico, Vittorio, che vive nell’attesa della fatidica scelta sbagliata che gli rovini la vita una volta per tutte, consentendogli di vivere di rimorsi. Dopo aver lasciato Pilar i due iniziano a frequentarsi e tutto sembra andare per il meglio, fino a quando Marco chiede a Anna di trasferirsi da lui. Anna non ce la fa e i due si allontanano. Marco si trasferisce a Copenaghen per lavoro e Anna nel frattempo inizia a pubblicare strisce di fumetti sempre più autobiografiche e ad avere successo. Dopo anni si incontrano di nuovo e ricomincia una relazione molto più matura, fatta di convivenza e complicità. Nel frattempo Anna ha iniziato a pubblicare una serie di fumetti, chiamata Supereroi, ispirata al suo rapporto con Marco, che rappresentano i problemi di una coppia. Marco ha un attacco al cuore e viene operato a sua insaputa proprio dalla ex, che nel frattempo è diventata cardiologa. 53

Produzione: Marco Belardi per Lotus Production, Leone Film Group, Medusa Film Regia: Paolo Genovese Soggetto: ispirato al romanzo omonimo di Paolo Genovese Sceneggiatura: Paolo Costella, Rolando Ravello, Paolo Genovese Interpreti: Jasmine Trinca (Anna), Alessandro Borghi (Marco), Greta Scarano (Pilkar), Elena Sofia Ricci (Elena), Vinicio Marchioni (Vittorio), Linda Caridi (Tullia), Gwendolyn Gourvenec (Laurene), Flavio Parenti (Gigi), Beppe Severgnini (Se stesso) Durata: 120’ Distribuzione: Medusa Uscita: 23 dicembre 2021

Ma ecco che nel loro rapporto arriva anche la crisi: inizia la routine, l’abitudine e i silenzi. Anna si consola con un collega di lavoro e Marco sta per tradire Anna con Pilar, incontrata per caso. Ma Anna facendo delle analisi scopre di avere un tumore al cervello e senza dire nulla a Marco gli propone di fare un figlio. Nonostante la cura Anna riuscirà a mettere alla luce il bambino. Marco e il figlio ormai grande parlano della mamma che non c’è più, che nell’immaginario del bambino è come la supereroina dei suoi fumetti.


Ci vogliono dei superpoteri per amarsi una vita intera, perché una coppia è tale se dura, altrimenti sono solo due persone che stanno insieme. Il regista di Perfetti Sconosciuti torna sul microcosmo delle relazioni di coppia, accostandolo questa volta a quello dei supereroi e lo spunto è il suo romanzo omonimo. Supereroi è infatti il secondo romanzo di Paolo Genovese ad arrivare sul grande schermo dopo Tutta colpa di Freud e per adattarlo il regista si unisce a Rolando Ravello e Paolo Costella. Supereroi non è una commedia e i toni sono tutt’altro che leggeri: siamo dalle parti del dramma sentimentale, dove a fare da guida è un montaggio serrato che va avanti e indietro nel tempo, attraverso i venti anni di storia tra i due protagonisti. Una spolverata di immagini animate, un po’ di fantasy che

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irrompe nel reale, una serie di formule alla ricerca dell’amore eterno e del modo migliore per resistere al tempo che passa: il risultato è una pellicola che si rivela coinvolgente. La vita di una coppia diventa fumetto a livello diegetico, grazie al lavoro di fumettista della donna, che delle avventure e delle missioni dell’essere una coppia ne ha fatto parole e disegni per le sue raccolte. E quelle sfide, quei momenti di estasi e quegli inciampi rovinosi, vengono alternati tra la pagina stampata e la concretezza di una realtà, che Genovese propone in maniera sfaccettata, spezzettandola a livello temporale, mischiando passato e presente per mettere a confronto cosa si era e cosa si è diventati. Una formula spesso usata per raccontare pezzi di vita che, se li riconduciamo alla nostra memoria, non sempre sappiamo ricostruirli a livello cronologico e che rappresentano così un flusso equivalente allo stesso dell’esistenza. La storia si presta bene a questo continuo gioco temporale, dove a susseguirsi sono scene e sequenze che aiutano a far distinguere come si sentivano i protagonisti all’inizio e come sta proseguendo la loro relazione nel corso di vent’anni. La necessità, però, è quella di non far sembrare questo procedimento una prassi banale. Sono affrontate tutte

di Léos Carax

le tappe caratteristiche di una storia d’amore così importante e duratura: dalla gravidanza rischiata a quella effettiva, dalla questione figli alla gelosia, al tradimento e alle complessità di comunicazione. Il tutto in primo piano, nel momento in cui accade, con una colonna sonora ben presente a sottolinearne le tappe. Un rapporto di coppia in cui il punto di equilibrio è forse una chimera, in cui c’è “sempre qualcuno che subisce”. Trovare il modo di stare insieme è il superpotere più grande di tutti e questa è la morale della favola. I supereroi del titolo sono quelli che ce la fanno, le coppie che restano in piedi nonostante l’usura, la noia, i tradimenti veri o presunti, l’amore e il dolore. C’è un’istintiva ricerca di una strana magia, tra realtà e fumetto, ci sono varie citazioni, tra cui la più evidente è quella a Love Actually, come dichiarato esempio di possibili coincidenze di come poteva andare la vita dei protagonisti. Nel cast la coppia Alessandro Borghi e Jasmine Trinca funziona molto bene, entrambi molto intensi e dentro i personaggi. Anche Greta Scarano convince nel ruolo di Pilar. Tra gli altri Vinicio Marchioni, Linda Caridi ed Elena Sofia Ricci nei panni della madre di Anna. Veronica Barteri

ANNETTE

Origine: Svizzera, Belgio, Giappone, Francia, Messico, Stai Uniti, 2021 Produzione: Charles Gillibert, Paul-Dominique Vacharasinthu, Adam Driver per CG Cinéma International, Tribus P. Films, in Associazione con Amazon Studios, Arte et Canal +

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Leos Carax e il suo cast sono pronti a iniziare il loro film, invitando lo Regia: Léos Carax spettatore a non fare bacSoggetto e Sceneggiatura: Ron Mael, cano e a non respirare durante la Russell Mael proiezione. Interpreti: Adam Driver (Henry), Marion Cotillard (Ann), Simon Helberg (Conduttore), Il controverso comico Henry Rebecca Dyson-Smith (Jane Smith) McHenry si è appena fidanzato Durata: 139’ con il celebre soprano Ann DeDistribuzione: I Wonder Pictures sfranoux: se il primo considera la Uscita: 18 novembre 2021 comicità un modo per annientare 54

il suo pubblico, la seconda vede nella sua arte un modo per salvarlo attraverso la sua voce e la morte dei suoi personaggi. L’idillio è accompagnato dalla canzone We Love Each Other So Much, che i due si dedicano reciprocamente, sebbene Ann percepisca l’inquietudine di un sentimen-


to che è destinato a deragliare. Dopo il matrimonio, la donna si rende conto di non conoscere del tutto l’uomo che ha sposato, percependo qualcosa di sbagliato nel loro rapporto; al contempo, Henry è sempre più preda del suo abisso, ossessionato dalla morte della moglie sul palco. Neanche la nascita della piccola Annette (neonata dalle sembianze di una marionetta) mette fine alla crisi matrimoniale, dato che Ann è all’apice del suo successo mentre Henry sta perdendo la sua popolarità, soprattutto dopo uno spettacolo in cui finge di aver assassinato la moglie. Per recuperare il loro rapporto, i due partono con Annette su uno yacht ma si ritrovano nel bel mezzo di una tempesta; ubriaco, Henry costringe Ann a ballare sotto la pioggia, per cui la donna scivola in mare ma il marito sceglie di non salvarla, lasciandola annegare. Henry e Annette finiscono su un’isola e, mentre l’uomo è privo di sensi, il fantasma di Ann emerge dalle acque, cantando la sua trasformazione da Amore in Vendetta, maledicendo l’avvenire del marito e promettendo di tormentarlo attraverso la figlia, a cui consegna il dono della sua voce. Tempo dopo, Henry scopre che Annette ha ereditato la voce della madre nonostante la sua età. Rimasto senza soldi, l’uomo contatta l’ex pianista accompagnatore della moglie, ora direttore d’orchestra (soprannominato Direttore) per proporgli di sfruttare il dono della bambina per organizzare degli spettacoli pubblici. Nel corso del tempo, gli show di Baby Annette hanno successo in tutto il mondo, così da permettere a Henry di recuperare la fama perduta, ma il rapporto con il Direttore si incrina quando quest’ultimo insegna alla piccola We Love Each Other So Much: in realtà, il Di-

rettore è il vero autore della canzone, scritta per Ann durante la loro relazione poco prima che lei si innamorasse di Henry. Geloso e sospettoso che Annette possa non essere sua figlia, Henry uccide il Direttore e sotterra il cadavere. Durante l’ultima esibizione pubblica di Annette, la bambina si rifiuta di cantare e confessa gli omicidi del padre; durante il processo, Henry si sente in colpa per non aver sacrificato la sua gelosia in nome dell’amore per Ann, che gli appare come spirito vendicativo. Qualche anno dopo, Henry riceve la visita di Annette, divenuta umana. La bambina odia profondamente i suoi genitori, sfruttata dal padre per il suo tornaconto economico e dalla madre per portare a termine la sua vendetta dall’aldilà. Cambiando le parole di We Love Each Other So Much, Annette rende consapevole il padre che, ormai, non gli rimane più nessuno da amare. Spaventato dall’odio che divora la figlia, Henry la invita a non guardare mai nel suo abisso. Il regista e il cast ringraziano il pubblico e lo invitano a consigliare il film ad altri eventuali spettatori. Pierre Klossowski definisce la favola come qualcosa che esiste solamente nel suo racconto, specificando quanto il mondo sia qualcosa che si racconta e che è dunque interpretazione. Come ormai noto, il cinema stesso si inserisce perfettamente tra i meccanismi ermeneutici più calzanti per interpretare la nostra realtà attraverso immagini che, per loro natura, la riconfigurano attraverso la vicinanza a un modello che di per sé non esiste, ergendosi come simulacri, tanto somiglianti quanto differenti dal mondo stesso, come direbbe Bertetto. Ma

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come poter riconfigurare qualcosa di talmente ineffabile come l’amore? Come “favola” e “fato”, Klossowski riconosce in “fama” la stessa derivazione etimologica dal latino fari che, come evidenziato anche da Mario Perniola, è intesa come dissoluzione identitaria nel primato della propria reputazione. Nel nuovo film di Carax, l’immaginario lirico e favolistico (da Biancaneve a Pinocchio, passando per La bella e la bestia), il volere inesorabile di un fato avverso e la bramosia della fama si attraversano vicendevolmente in un mondo che non cela la sua natura artificiale, dichiarata in apertura dallo stesso Carax, che si mette in scena durante la sua collaborazione con gli Sparks per la registrazione della colonna sonora del film, nonché dal brano So May We Start intonato dal cast prima del loro passaggio repentino da persone a personaggi, nella piena continuità della sequenza. Non mettendo in scena i presupposti e gli antecedenti della storia d’amore tra un artista che ambisce alla distruzione e una controparte che mira al proprio sacrificio cristologico, il film sembra costantemente ripiegarsi su se stesso, ossessivamente conchiuso nelle sue logiche iterative, nel tentativo di dare una risoluzione, tanto concettuale quanto formale, al mistero dell’amore e della sua dissoluzione. Perché amare quando si è destinati al deragliamento? Perché amare quando lo sguardo dell’altro trasmette unicamente incertezza e sgomento? Perché amare completamente anche quando si è consapevoli che è sbagliato? Perché amare quando non si sa amare? D’altronde tra sé e l’altro non esiste che discontinuità come sottolineato da Bataille, un abisso che è sperimentabile nella vertiginosa attrazione verso la morte, verso quell’alone


tanatologico che accompagna la coppia anche nell’idillio di un sentimento scandito unicamente da un alone mortifero, che sia il potere sacrificale di Ann o l’ossessione di Henry per la morte della moglie. E se qualcosa nell’amore spaventa e sfugge, entrambi gli

amanti attraversano il simulacro della loro realtà ossessionati da questo negativo ontologico, dal tentativo di verbalizzarlo attraverso l’iterazione, il ribadimento del banale e del falso, di cui è emblema la ripetitiva We Love Each Other So Much che, scritta in realtà per un’altra coppia, esemplifica quel vuoto semantico che intercorre tra i due protagonisti, attenuato da una spasmodica dichiarazione d’amore tanto automatica quanto autoreferenziale di chi non sa definire il proprio sentimento verso l’altro. L’amore in Annette non è altro che desiderio dell’immagine (auto) costruita e ideale esibita sotto i riflettori, menzognera tanto quanto

di Paolo Costella

il frutto del proprio sentimento malsano, che può finalmente essere e vivere solo nell’estirpazione di chi l’ha generato nella promessa d’amore ma sfruttato solo per opportunismo o per vendetta. Se “fato”, “favola” e “fama” discendono dallo stesso verbo, trovano nel film la propria convergenza in un amore nato quasi fatalmente, che esiste solo nel proprio racconto e nell’opportunistica reinterpretazione favolistica di un dissolvimento identitario nel tracotante richiamo del successo, scandito dai tanti telegiornali che attraversano le tappe salienti del suo svolgersi. Leonardo Magnante

PER TUTTA LA VITA

Origine: Italia, 2021 Produzione: Marco Belardi per Lotus Production con Rai Cinema Regia: Paolo Costella Soggetto e Sceneggiatura: Paolo Costella, Paolo Genovese, Antonella Lattanzi Interpreti: Ambra Angiolini (Sara), Luca Bizzarri (Edo), Carolina Crescentini (Giada), Claudia Gerini (Viola), Paolo Kessisoglu (Mark), Filippo Nigro (Andrea), Claudia Pandolfi (Paola), Fabio Volo (Vito), Euridice Axen (Delia), Edoardo Brandi (Giulio), Ivana Monti (Ippolita, madre di Andrea), Renato Scarpa (Emilio, padre di Andrea), Pamela Villoresi (Angela, madre di Paola), Gianluca Vannucci (Brunelli) Durata: 101’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 11 novembre 2021

Andrea e Paola sono innamoratissimi, ma coltivano sogni diversi: lei è un brillante architetto e aspira ad un trasferimento di lavoro a Copenhagen, mentre lui è uno speaker radiofonico e vorrebbe un figlio. Paola

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finge di non prendere più la pillola per accontentare il marito, ma in realtà avere un figlio non è quello che vuole. Vito e Sara sono ex coniugi molto arrabbiati l’uno con l’altra, con grande dispiacere del figlio Giulio. Mentre Vito si è rifatto una vita con una giovane ragazza che lavora in una gelateria, Sara vive per il figlio e per mantenerlo fa tanti sacrifici. Edo e Marco sono migliori amici e fanno tutto in quattro, insieme alle rispettive mogli, Giada e Viola. Tuttavia Marco e Giada non sanno che Edo e Viola sono amanti dal giorno delle rispettive nozze. Quando viene dato l’annuncio che il matrimonio delle varie coppie sposate da un falso prete verrà annullato dalla Sacra Rota, ad ognuno viene data la possibilità di rivalutare la promessa reciproca e confermare o annullare la promessa fatta in chiesa. Quando Edo, interior designer chiede quasi sovrappensiero alla moglie se non 56

sia meglio non celebrare di nuovo il rito per riassaporare il brio di essere fidanzati, Giada comincia a storcere il naso. In realtà vorrebbe risposarsi con Viola, da cui è molto preso. La donna invece, un avvocato in carriera, sembra stare a suo agio nella situazione in cui vive e sostiene di essere innamorata del marito Marco, uomo di una moralità apparentemente immacolata. A Sara, poiché il matrimonio viene annullato vengono sospesi persino gli assegni di mantenimento che Vito le versava ogni mese. Adesso si trova davvero in difficoltà. A tenerli uniti al di là del rancore che ormai ha preso il sopravvento su tutto anche sui bei ricordi, è l’amore per il figlio Giulio, un bambino sveglio a cui non piacciono i cartoni animati e che in alcuni casi sa essere più adulto dei suoi genitori. Paola è


costretta a fingersi incinta per far contenta la suocera, ma la farsa dura poco e i due coniugi si allontanano drammaticamente. Marco confessa ad Edo un piccolo tradimento, mentre Edo rivela all’amico di essere innamorato della moglie da anni. Intanto scopre che la moglie è incinta e questo gli fa cambiare tutta la prospettiva, ma ormai è tardi, infatti Giada lo caccia di casa. Vito invece si riavvicina a Sara e al figlio e decide di trascorrere del tempo con loro. In un lungo flash back scorrono poi le immagini felici del matrimonio di tutte le coppie. “Gli inizi sono sempre belli...ma non potremo mai più essere belli come quella volta” recita sul finale una delle battute del film, mentre sullo schermo scorrono vecchie immagini di spose commosse, sorrisi compiaciuti, lacrime di gioia e lanci di bouquet.

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Scritta dal consolidato duo composto da Paolo Genovese e Paolo Costella, Per tutta la vita, diretto dallo stesso Costella, parte da quell’interrogativo che si pongono quasi tutte le coppie sposate da anni, sullo scegliersi ancora giorno dopo giorno. Sin dal titolo la commedia infatti denuncia la materia della narrazione: siamo nel terreno fuggevole dei sentimenti, degli affetti, delle dinamiche di coppia, dei non detti che la coppia di registi conosce bene, come ci hanno dimostrato nelle loro frequenti incursioni nei rapporti umani da Perfetti sconosciuti a Tutta colpa di Freud. Ad anticiparlo ulteriormente è una scena di apertura, ispirata al Bunraku, il tradizionale teatro giapponese con burattini e musica, una sorta di prologo che dà il via alla vicenda, partendo da un interrogativo: cosa succederebbe se all’improvviso il vostro matri-

monio risultasse nullo? La struttura è quella di un’opera corale, che ricorda da vicino anche quella di Immaturi, con storie che si sfiorano, senza mai incontrarsi. Quello che è interessante è che, all’interno della classica modalità da dramedy all’italiana con il solito cast di volti noti al grande pubblico, si inseriscono tematiche più controverse e un livello di ambiguità maggiore. Proprio nel momento in cui la trama sembra prendere una piega conservativa infatti arrivano piccole svolte che tengono conto di come il sentire comune, soprattutto quello che riguarda il femminile, stia cambiando. Questo fa sì che non tutte le storie trovino un’adeguata conclusione e mostrino piuttosto un finale sospeso, che ha il sapore della fuga da una posizione morale definita, nonché della facile scappatoia dalla necessità di trovare una soluzione narrativa al conflitto innescato. Fra le tematiche portate in superficie c’è il conflitto maternità-lavoro, ma ci sono anche il problema degli alimenti insufficienti per le ex mogli e del bisogno patologico di alcune persone di avere continue conferme del proprio potere seduttivo, a rischio della stabilità degli affetti. I coniugi futuri e passati diventano confessori e sorveglianti l’uno dell’altro, svelando spiacevoli verità, cercando di modellarsi a vicenda come pezzi di un puzzle da far combaciare. Il fascino del film va cercato negli atteggiamenti allarmanti di alcuni protagonisti, ad esempio la remissività di Giada, che ha sempre paura di sbagliare, o l’ansia di essere una madre perfetta di Sara o l’altalena fra maternità e carriera di Paola. Allo stesso modo, nella commedia umana che il regista ci presenta, spiccano e commuovono le lacrime di Andrea e la voglia di Vito di non essere solo un geni57

tore, ma un padre. Le dinamiche di coppia si mescolano in modo vertiginoso, non solo a livello metaforico e simbolico, ma soprattutto a livello estetico, permettendo uno sviluppo filmico fluido e scorrevole. Per tutta la vita è costruito interamente per supportare il lavoro degli attori, che sono il fulcro dei momenti commoventi, delle piccole punte di erotismo e della scorrevolezza che rappresentano i punti forti della pellicola. Il cast funziona, soprattutto nel legame fraterno fra Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, ma ad emergere sono Claudia Gerini, bella e seducente e Claudia Pandolfi, in un’interpretazione molto intensa. Pandolfi interpreta una donna che a costo di sentirsi sbagliata impara a difendere il suo non desiderio di maternità. È forse uno dei momenti più autentici del film. Molto credibile anche il piccolo Edoardo Brandi, nei panni di Giulio e Pamela Villoresi e Ivana Monti in quelli rispettivamente della madre e della suocera di Paola. Veronica Barteri


di Rolando Ravello

TUTTA COLPA DI FREUD - LA SERIE

Origine: Italia, 2021 Produzione: RTI, Lotus Production, Prime Video Regia: Rolando Ravello Sceneggiatura: Paolo Genovese, Chiara Laudani e Carlo Mazzotta Soggetto: la serie è ispirata all’omonimo film di Paolo Genovese del 2014 Interpreti: Claudio Bisio (Francesco Taramelli), Caterina Shulha (Sara Taramelli), Marta Gastini (Marta Taramelli), Demetra Bellina (Emma Taramelli), Luca Bizzarri (Claudio Malesci), Lana Vladi (Niki), Valerio Morigi (Filippo), Luca Angeletti (Ettore), Magdalena Grochowska (Angelica), Stefania Rocca (Chiara), Claudia Pandolfi (Anna), Max Tortora (Matteo), Giuseppe Spata (Riccardo) Distribuzione: disponibile dal 26 febbraio su Amazon Prime Video; sarà trasmessa su Canale 5 nell’autunno 2021. Durata: 8 episodi di 45-50 minuti l’uno Uscita: 26 febbraio 2021

STAGIONE 1 EPISODIO 1 Lo psicanalista Francesco Taramelli è il padre di Sara, Marta e Emma ed ora vive solo nella casa di famiglia (anche la figlia minore se n’è andata di casa). Sara è la figlia di mezzo, a breve si sposerà con Filippo. Marta, la sorella maggiore, lavora come ricercatrice archeologica all’università e ha una relazione con Ettore (il titolare della sua cattedra, uomo sposato e con figli). Emma è la sorellina minore ed è in partenza per l’Inghilterra, vorrebbe diventare un’influencer.

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Francesco sta guardando una fotografia di famiglia, gli viene un mancamento e sviene. Crede di avere un infarto ma, all’ospedale, la psichiatra (Anna) gli comunica che in realtà è stato un attacco di panico e gli dà degli ansiolitici. Francesco però non crede alla diagnosi della dottoressa e si autoconvince di aver avuto un infarto. Emma, all’aeroporto, ruba la carta d’imbarco di un altro passeggero prima del check-in. La ragazza entra nella sala d’aspetto della business class con il biglietto rubato, Claudio Malesci (il proprietario del biglietto) la trova e i due iniziano a chiacchierare: Claudio ha un’agenzia di marketing per influencer e le propone di passare in ufficio da lui a Milano per parlare del suo futuro. In università Marta sta aspettando che le vengano assegnati i fondi per la sua ricerca ma Ettore li consegna a un altro ricercatore. La ragazza si arrabbia e si reca subito nel suo appartamento, ad aspettarla c’è la moglie di Ettore (la proprietaria di casa, Marta non sapeva di pagare l’affitto proprio a lei) che le consegna le sue valige e la caccia, dopo averle tirato uno schiaffo. Sara e Filippo sono all’atelier per gli ultimi preparativi del matrimonio, Niki (la ragazza che si occupa del loro ricevimento) inizia a filtrare con Sara (che già in passato ha avuto delle esperienze omosessuali). Filippo le lascia sole per andare a lavorare e le due si baciano. Matteo, il migliore amico di Francesco, si reca all’ospedale per recuperare l’amico: i due abitano l’uno di fronte all’altro a Milano. Francesco entra in casa e ripensa a sua moglie, flashback: molto tempo prima, la donna ha lascia58

to la sua famiglia per lavorare per una ONG. Emma e Marta, che pensano che la casa di famiglia sia vuota (credono il padre alle terme con Matteo), vanno lì per passare la notte. Sara ha avuto la stessa idea, ma si dirige lì per trascorrere la serata con Niki, le due sorelle le vedono in procinto di fare sesso e, spaventato dalle urla, anche Francesco, che stava dormendo nel suo studio al piano di sotto, le scopre. EPISODIO 2 Le tre sorelle hanno deciso di trasferirsi momentaneamente a casa del padre. Emma si sta preparando per andare all’appuntamento di lavoro all’agenzia di Claudio. Arrivata all’ufficio, la ragazza viene assunta per delle collaborazioni sporadiche. Marta raggiunge Ettore con l’intenzione di lasciarlo ma, sul momento, si fa persuadere e non riesce a farlo. Sara, invece, incontra Filippo per gli ultimi preparativi prima del matrimonio, la ragazza non rivela nulla della sua notte precedente ma gli dice che rimarrà a casa di suo padre fino alle nozze. Matteo fa l’NCC di lavoro e sta trascorrendo il suo giorno libero a leggere in un bar, una donna (Chiara) lo convince (a fatica) ad accompagnarla ad un appuntamento in macchina. Chiara lo assume come autista personale per sei mesi. Filippo è all’atelier e invita Niki al suo matrimonio per ringraziarla dell’aiuto che le sta dando. Emma, invece, scopre che Claudio terrà uno speech sul self marketing in un posto molto esclusivo di Milano, l’evento è al completo ma riesce comunque a recuperare un pass per entrare. Finito il discor-


so, Emma convince il suo capo ad assumerla a tempo pieno. Marta realizza tutte le bugie dette da Ettore e decide di lasciarlo definitivamente. Intanto, Sara manda un messaggio a sua madre (che non vede e non sente da anni) per dirle che si sta per sposare e per invitarla al suo matrimonio. Francesco ritorna all’ospedale, dopo aver avuto un altro attacco di panico, e chiede ad Anna di dargli altri ansiolitici, inoltre le chiede di prenderlo come paziente. EPISODIO 3 Francesco è in studio con Riccardo: un bugiardo patologico, che continua a mentire a tutti rispetto al suo lavoro. Il ragazzo esce dallo studio e si scontra con Marta facendole cadere la spesa. Arrivata a casa, Marta scopre che Sara ha invitato la madre al matrimonio ed è preoccupata per la reazione di Emma. Francesco chiede a sua figlia Marta di andare a fare una commissione per lui (in realtà è solo una scusa per farla uscire di casa: è da quando ha lasciato Ettore che esce a malapena di casa, suo padre sta cercando di spronarla). Marta entra in una cartoleria e incontra casualmente Riccardo: i due iniziano a parlare e la ragazza rivela di aver bisogno di un avvocato per intentare una causa contro Ettore per la paternità della sua ricerca e Riccardo mente dicendo di essere un avvocato e, quindi, di poterla aiutare. Francesco si reca al primo appuntamento dalla psicoterapista Anna. La dottoressa gli fa approfondire i problemi del suo passato con Angelica (sua moglie). Sara è al lavoro e scopriamo che fa la receptionist nell’hotel dei genitori di Filippo. Matteo e Francesco vanno nell’ex appartamento di Marta per recuperare tutti i suoi libri e vestiti che aveva lasciato lì. In casa c’è Ettore, che chiede al padre se Mar-

ta potrà mai perdonarlo, il padre è furioso e gli diagnostica di soffrire di un grave disturbo narcisistico. Emma ha organizzato l’addio al nubilato di Sara e porta le due sorelle alle terme di Milano dove una troupe sta girando il video musicale di un cantante. Emma coglie l’occasione per fa indossare a Sara e Marta dei costumi che l’azienda di Claudio avrebbe dovuto lanciare, l’accordo con lo sponsor è però saltato perché l’idea non era piaciuta. Emma, riprendendo le sorelle ballare e divertirsi, riesce a far recuperare il lavoro a Claudio. Sara dice ad Emma di aver invitato la madre, Emma, sul momento, si offende ma subito dopo capisce le motivazioni della sorella. Matteo e Francesco si sono imbucati a una festa organizzata da Chiara (Matteo avrebbe solo dovuto fare l’autista per gli ospiti). Matteo è interessato alla sua cliente mentre Francesco intravede Anna tra gli invitati (della quale sta iniziando ad innamorarsi). Subito dopo averla vista, gli viene un attacco di panico e Anna lo cerca di tranquillizzare. I due amici devono abbandonare la festa per andare a recuperare le sorelle (che sono rimaste alle terme con la batteria della macchina scarica). Arrivate a casa, Marta si prepara per incontrare Riccardo, i due devono parlare della causa ma finiscono per baciarsi. EPISODIO 4 È il giorno del matrimonio e Matteo e Francesco stanno andando dall’orafo per ritirare le fedi, l’orafo però è chiuso per lutto. Allora Matteo porta l’amico in un posto piuttosto losco per comprare illegalmente delle fedi da un suo amico romano. Recuperati gli anelli, Francesco si reca nello studio di Anna per la sua terapia. A casa Taramelli si stanno tutti preparando per il grande giorno. Sara è molto agitata. Arrivati fuori dalla chiesa, Francesco si accor59

ge di aver dimenticato le fedi nello studio di Anna ma, fortunatamente, anche lei se n’è accorta e arriva con gli anelli. Anna rimane per assistere alla cerimonia di nozze. Ad Ettore arriva finalmente la diffida e, per festeggiare, Riccardo raggiunge Marta al matrimonio di nascosto (il ragazzo ha capito che lei è la figlia del suo analista). I due ragazzi fanno sesso in macchina, intanto Francesco esce per prendere una boccata d’aria. Il padre sta parlando con un cameriere che gli offre un po’ di marijuana, lui l’accetta e, subito dopo, vede Riccardo e Marta uscire insieme dalla macchina. Francesco, sotto gli effetti dell’erba, fa un discorso in onore degli sposi. Sara si allontana dalla festa per rilassarsi sola un attimo: si reca in una stanza vuota e lì incontra Niki. Le due ragazze si baciano e Filippo le vede, Sara cerca di spiegarsi ma lui se ne va. EPISODIO 5 Francesco sogna di avere un rapporto sessuale con Anna, il rapporto però viene interrotto dalle continue chiamate delle sue tre figlie. L’indomani, l’uomo lo racconta alla psichiatra ma omette la sua presenza anzi, dice di non ricordarsi il volto della donna in questione. Matteo sta accompagnando Chiara al lavoro in macchina, lei gli consiglia di reinventarsi lavorativamente e gli dà appuntamento la sera stessa per parlare del suo profilo lavorativo (Chiara è una cacciatrice di teste). Sara, in-


vece, ha passato la notte da Niki, si sveglia ed esce di casa per raggiungere i genitori di Filippo in hotel sperando che le permettano di continuare a lavorare per loro, ma i suoi suoceri la licenziano. Francesco scopre che Anna è impegnata sentimentalmente con un altro uomo. Marta, invece, incontra Riccardo per discutere della causa: il ragazzo le dice che sono necessarie più prove per certificare la paternità della sua ricerca, la ragazza allora va in università per rubare i documenti che l’attestano. Emma è in ufficio e accompagna Claudio dalla figlia, la quale ha rubato della merce in un negozio. Emma capisce che non è stata la ragazza a rubare ma che è stata vittima di bullismo: delle sue compagne di classe l’hanno obbligata a prendere la merce e scappare. Claudio accompagna Emma a casa e i due si baciano, Francesco lo scopre e si arrabbia con la figlia (l’uomo ha 48 anni, lei 19). Sara riceve un messaggio da Filippo (che è da solo in luna di miele): vuole la separazione. Flashback: Angelica voleva il divorzio da Francesco ma lui non ha mai firmato per concederglielo, i due sono tutt’ora sposati nonostante siano anni che non si vedono. Ora però Francesco è deciso a cominciare le pratiche per chiederlo. Emma è uscita a cena con Claudio e l’uomo le comunica la sua decisione: preferirebbe se restassero amici per non compromettere il rapporto di lavoro. Intanto, Matteo va a casa di Chiara, Chiara però non vuole parlare di lavoro: vuole fare sesso con lui ma Matteo non riesce. Francesco, invece, rag-

Matteo porta Francesco in un logiunge Anna fuori dall’ospedale per dirle che era proprio lei la don- cale ma presto quest’ultimo scopre che è stato portato lì perché si esina oggetto del suo sogno erotico. bisce la sua paziente: nello sketch EPISODIO 6 della serata parla proprio del suo Francesco ha in analisi una pa- sogno erotico con l’analista. Al ziente che gli confessa di avere locale, Francesco vede Anna (che fatto un sogno erotico nel quale fa- incuriosita dal suo racconto voleva ceva sesso proprio con lui. La don- vedere la donna dal vivo) e capisce na è una comica piuttosto celebre, che anche da parte sua c’è dell’inFrancesco lo confessa a Matteo e teresse. l’amico lo incita ad invitarla ad uscire: Francesco rifiuta categori- EPISODIO 7 camente. Alla sua seduta psichiaL’indomani Emma comunica a trica, rivela ad Anna della strana suo padre di essersi convinta ad coincidenza della sua paziente. iscriversi all’università. Francesco All’agenzia di Claudio è arrivato riceve la lettera dell’avvocato di un influencer al quale è stato affi- Angelica per cominciare le pratidato un progetto. Emma pensava che per il divorzio. Invece, Sara si che sarebbe stata lei ad affiancarlo fa accompagnare da Marta all’apper la realizzazione (l’idea è sua) puntamento con Filippo per iniziama il suo capo non vuole che se re le procedure per la separazione, ne occupi lei. La ragazza, per ri- le due scoprono che anche il suo bellarsi, accompagna l’influencer quasi ex-marito sta con un’altra a uno shooting fotografico. Alla una donna. sera, il ragazzo la riporta in uffiFrancesco riceve Riccardo in cio e Emma si fa portare a casa da studio e la verità viene finalmente Claudio. Emma prova a baciarlo a galla, l’analista interrompe la teancora ma lui rifiuta. rapia per evitare complicanze sul Filippo incontra Sara per darle piano privato. l’elenco degli oggetti da dividersi Un flashback ci mostra come prima della separazione. Filippo Franceso e Matteo si siano conole chiede di mandargli una lettera sciuti: Matteo, anni prima, si è di dimissioni per l’albergo ma non trasferito da Roma nel condominio prima che lei abbia trovato una di fronte a quello dei Taramelli. nuova occupazione. Il loro rapporto inizia con un breMatteo, a causa del problema ve litigio: Matteo aveva lasciato con Chiara della notte preceden- il furgone del trasloco davanti al te, si reca dall’andrologo per fare portone della casa di Francesco, un controllo ed è molto spaventa- l’uomo inizia a giocare con Emma to perché è la sua prima volta ma e da allora tutti e cinque divennefortunatamente non ha nessun ro inseparabili. problema. Emma va in ufficio per licenziarMarta, a casa da sola, invita lì si ed interrompere i rapporti con Riccardo per passare insieme la se- Claudio ma l’uomo, pentito delrata. Il ragazzo evita ogni contatto le sue scelte, la bacia. I due sono fisico perché il suo analista (che è ora una coppia, Emma ha deciso a conoscenza della loro relazione) di continuare a lavorare per lui e, gli ha consigliato di non avere rap- contemporaneamente, iniziare la porti con la ragazza della quale lui facoltà di scienze della comunicagli ha parlato (Riccardo non sa che zione. Francesco sa). Riccardo dice tutta Marta vede Riccardo per festegla verità a Marta ma senza accor- giare la vittoria del caso. Riccardo, gersi che lei stesse dormendo e che in panico perché non riesce a dirle quindi non ha sentito nulla. la verità, le mente ulteriormente 60


dicendole che dovrà trasferirsi a Colonia per seguire un caso giuridico. Sara scopre di essere incinta e dice a suo padre di avere intenzione di tenere il bambino. Intanto, Matteo esce a cena con Chiara ma quando lei gli chiede di salire in casa sua, lui si sottrae e con una scusa se ne va. EPISODIO 8 Francesco incontra Anna, prende coraggio e la invita a cena, chiaramente ora il rapporto medico-paziente si è spezzato e i due decidono di interrompere le sedute. Francesco riceve una chiamata inaspettata da parte di Angelica: è a Milano e lo vuole incontrare. Marta si reca allo studio legale di Riccardo perché crede che quella di Colonia sia una scusa per lasciarla, allo studio trova sua zia (l’avvocatessa che si è realmente occupata della causa) che le racconta tutta la verità: Riccardo lavora lì come assistente legale, non deve partire, mente sul suo lavoro per cercare di essere all’altezza dei suoi genitori e, da quando ha conosciuto Marta, ha iniziato a riprendere gli studi di legge. La zia le dà il suo indirizzo di casa e la convince ad andare da lui. La ragazza raggiunge Riccardo e le racconta tutto quello che ha scoperto su di lui, il ragazzo finalmente le dice di essere stato in analisi da suo padre. Marta sul momento non ci crede e se ne va. Più tardi Marta si arrabbia con suo padre per averle mentito riguardo al suo rapporto con Riccardo. Sara chiama Filippo per comunicargli la notizia. Subito dopo va da Niki e lo dice anche a lei. Niki più tardi la raggiunge a casa per proporle di andare a vivere da lei e di crescere il bambino insieme, Sara non prende subito una decisione. Francesco incontra Angelica e la donna gli confessa che vorrebbe avere una seconda possibilità con le loro figlie, vorrebbe recuperare il rapporto.

Filippo raggiunge Sara e le propone di rincominciare da capo, per crescere loro figlio insieme, come una famiglia. Intanto, Matteo va a casa di Chiara per cercare di farsi perdonare per il suo comportamento e le dice di essersi innamorato di lei. Marta riceve una telefonata da Riccardo e lo perdona. La sera le tre sorelle, Francesco e Matteo sono riuniti per festeggiare il compleanno di quest’ultimo. Durante i festeggiamenti Sara rivela di aver deciso di voler crescere suo figlio sola nella casa del padre. Francesco riceve una telefonata dall’ospedale proprio poco prima di dover raggiungere Anna per l’appuntamento. La famiglia al completo si dirige al pronto soccorso, dove si trova Angelica in coma (ha sbattuto contro un tram). Angelica finalmente si sveglia ma, e così termina la prima stagione, al suo risveglio non riconosce né le sue figlie né Francesco. Tutta colpa di Freud è una serie, co-prodotta da Amazon Prime e Mediaset, liberamente ispirata all’omonimo film diretto da Paolo Genovese nel 2014. Il regista della pellicola ha partecipato alla scrittura di questo prodotto. Gli otto episodi raccontano delle vicende della famiglia Taramelli, composta dal padre psicologo e dalle sue tre figlie. Al contrario dal soggetto da cui prede ispirazione, la serie si articola molto più attentamente sulle dinamiche sentimentali delle tre sorelle. I personaggi hanno gli stessi nomi ma le loro vite sono assai diverse: Marta qui si innamora di un bugiardo patologico (nel film di un sordomuto); Sara da eterosessuale, prova attrazione per una donna (nel film, a causa di una sfortunata relazione con una ragazza, Sara cerca l’amore in un uomo); mentre Emma si innamora del suo capo (nel film, di un uomo altrettanto maturo, ma che non ha legami

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diretti con il suo lavoro). La serie è sicuramente molto divertente: è una commedia brillante, ben riuscita e carica di nuovi e freschi volti, accompagnati da veterani della comicità italiana (Bisio, Tortora, Bizzarri). Tutta colpa di Freud è un prodotto semplice, leggero, adatto a qualsiasi tipo di pubblico. La narrazione si catapulta, sin dal primissimo istante, nelle caotiche vite dei componenti della famiglia Taramelli e consente, fin da subito, la creazione del rapporto empatico spettatore-personaggio. Non si parla di psicanalisi, si parla piuttosto di come questa, esercitata dal lavoro del padre di famiglia, sia la causa di tutti gli imprevisti e i fraintendimenti (di natura soprattutto sentimentale) che attraversano le vite dei protagonisti (si pensi alla relazione inizialmente burrascosa tra Marta e Riccardo, per esempio). Tutta colpa di Freud è un racconto al femminile: le tre sorelle sono al centro della trama e nei pensieri di tutti i personaggi che girano attorno a loro; sono ragazze in gamba, cresciute senza una madre ma con un padre che le ha accompagnate in ogni passo della vita e che, anche se sono ormai cresciute, per loro rimane una presenza fondamentale (tant’è che tutte e tre ritornano a vivere con lui nonostante le due figlie maggiori vivessero fuori casa già da anni). Le dinamiche costruite dai personaggi donano a questa piacevole commedia familiare un tono classico (sfruttandone tutti gli espedienti per la buona riuscita di un prodotto comico che ben si possa


adattare ad un ampio pubblico) e un tocco di contemporaneità che potrebbe renderla più vicina alle nuove generazioni, pubblico solitamente allontanato da tutte quelle serie tv “all’italiana” troppo demodé e fuori dal tempo (Emma che sogna di fare l’influencer; Sara e il suo orientamento bisessuale accettato e ampiamente discusso in famiglia senza pregiudizi e senza rendere il personaggio una macchietta).

L’accoppiata Bisio-Tortora (Milano-Roma) è sicuramente ben riuscita e molto divertente; funziona un po’ meno il trio delle sorelle che spesso sembra un po’ troppo costruito e quasi forzato (questo è sicuramente dovuto dalla recitazione non eccellete di Demetra Bellina e Marta Gastini). I personaggi più marginali, invece, funzionano bene in questo universo strampalato che racconta le vite impreviste (e per questo spesso molto verosimili) dei suoi protagonisti: in particolare Giuseppa Spata (Riccardo) e Claudia Pandolfi (Anna) sono perfetti nei loro ruoli secondari che, nonostante le poche battute a disposizione, riescono a lasciare un’impronta nei ricordi dello spettatore. Tutta colpa di Freud è un racconto (leggero ma non per questo superficiale) al centro del quale c’è l’amore, ci sono i sentimenti, la so-

di Niccolò Ammaniti

rellanza, la bellezza e l’importanza della famiglia, che utilizza la psicanalisi come espediente comico e risorsa per la nascita di simpaticissime gag. La serie andrà in onda su Canale 5 quando scadrà il diritto di esclusività da parte di Amazon (nel 2024), per questo motivo le puntate durano circa tre quarti d’ora l’una. Il rischio è che, nel momento in cui la serie verrà proposta al grande pubblico generalista, la narrazione potrà risultare un po’ invecchiata. Anche solo il fatto che un tema molto importante sia quello dei social network (e di Instagram in particolare), porta a pensare ad un azzardo: non sappiamo se tra tre anni Instagram sarà ancora la principale piattaforma social utilizzata dai giovani (già ora TikTok sta prendendo il sopravvento) ma staremo a vedere. Gaia Antonini

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Origine: Italia, 2020 Produzione: Sky Studios, Wildside, Arte France, Fremantle, Kwai, The New Life Company.

EPISODIO 1 “IL BOSCO CI PROTEGGE” In un futuro distopico, tutti gli adulti sono morti, Regia: Niccolò Ammaniti solo i bambini vivono ma Sceneggiatura: Niccolò Ammaniti e Francesca Manieri solo fino all’età dello sviluppo, dopo di che anche Soggetto: ispirato dal romanzo Anna di Niccolò Ammaniti loro moriranno. Due fratelli, Anna Interpreti: Giulia Dragotto (Anna Salemi), Salemi (14 anni circa) e Astor (6 Alessandro Pecorella (Astor), Elena Lietti anni), vivono insieme nella loro (Maria Grazia), Roberta Mattei (Katia/Piccasa in mezzo al bosco. Anna sta ciridduna), Giovanni Mavilla (Pietro), Clara raccontando al suo fratellino miTramontano (Angelica), Viviana Mocciaro (Anna piccola), Nicola Mangano (Astor nore i pericoli del mondo esterno, piccolo), Miriam Dalmazio (Ginevra), Matilde la loro casa è recintata e le pezze Fazio (Angelica piccola), Ludovico Colnago di tessuto delimitano il confine (Pietro piccolo), Nicola Nocella (Saverio). tra il mondo buono (casa loro) e Distribuzione: Sky e Now tv il mondo cattivo (che il bambino Durata: 6 episodi di circa un’ora l’uno pensa pieno di mostri). Anna esce Uscita: la serie è uscita il 23 aprile 2021. per procurarsi il cibo per sopravvivere e, in una chiesa abbandonata, incontra Pietro (un ragazzo della sua età) e insieme recuperano un vecchio pezzo di pancetta. Improvvisamente, un esercito di bambini, i Blu (che si dice abbiano un adulto incatenato), a piedi e a cavallo,

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arrivano nel posto e iniziano ad inseguirli per catturarli ma i due ragazzi riescono a scappare. Astor ha deciso di uscire dal confine del bosco per recuperare un vasetto di cibo, per farlo però si è protetto coprendosi con un grosso sacchetto di plastica. Una volta preso il vasetto, il bambino si dirige in quella che era la camera di sua mamma (lo scheletro della donna è adagiato sul letto ed è ricoperto di perline e gioielli) e recupera un quaderno. Il quaderno è una guida scritta dalla madre con dei consigli per la sopravvivenza dei ragazzi, Astor legge il capitolo dedicato alle scadenze dei cibi e decide di mangiare quello che ha trovato. Flashback: Anna ha circa 6 anni ed è a casa di suo padre (Marco), in centro a Palermo. I suoi genito-


ri sono divorziati, entrambi hanno dei nuovi compagni, e la bambina è dal padre per trascorrere il weekend. Improvvisamente arriva la mamma di Anna (Maria Grazia) per portarla via: in Italia, e in tutto il mondo, sta dilagando un misterioso virus, la mamma la porta via per allontanarla dalla città (più rischiosa, per l’esposizione al virus, della campagna). Astor è figlio di Maria Grazia e il suo nuovo compagno, Anna vorrebbe vivere con suo padre. Qualche giorno dopo il padre arriva alla casa di campagna per vedere Anna ma Maria Grazia non lo fa entrare perché capisce che Marco è contagiato, l’uomo torna in macchina e lì muore. Successivamente anche la mamma dei bambini si ammala, si raccomanda con Anna di proteggere Astor, di insegnargli a leggere e di consultare il “Libro delle cose importanti” nel quale è spiegato cosa succederà loro una volta diventati grandi: quando il corpo inizia a cambiare, esso si riempie di macchie rosse, si inizia a tossire e si fa fatica a respirare, poi si muore. Il virus non permette di fare figli, i bambini lo chiamano “la Rossa”. L’episodio si conclude con la visione di un personaggio (probabilmente un grande) tenuto incatenato dai bambini. EPISODIO 2 “TU DEVI FARE IL GELATO” Flashback: Anna e Astor sono a scuola, tutti i genitori vengono chiamati per potare via i loro figli perché un professore è appena morto, ma Maria Grazia non risponde. La maestra dei ragazzi li vuole riportare a casa, ma i due non sanno la strada per tornare. La madre non risponde perché sta facendo sesso con Damiano al quale però vede spuntare le prime macchie rosse. La maestra si è persa in una zona della città senza campo, entra in un negozio ma una donna la vede e la uccide, dopo aver ammazzato anche il pro-

prietario del posto. Anna vede assiste alla scena, prende per mano Astor, riesce a non fargli vedere i cadaveri, e i due si incamminano verso casa. Nel mondo dei bambini ci vengono presentati due nuovi personaggi: due gemelli (Mario e Paolo), proprietari di un grande negozio di alimentari e prodotti vari. I due collaborano con gli altri bambini barattando il cibo con altri oggetti. A Paolo è venuta la Rossa, mentre il fratello non si è ancora ammalato. Paolo fa promettere a Mario di fare il gelato al cioccolato in suo onore quando sarà morto ma non hanno né frigo né freezer, Paolo suggerisce al fratello di scavare una cantina per tenere il gelato al fresco. Anna esce dal bosco per raggiungere Pietro alla sua roulotte sul lago, vicino a un canneto. Il ragazzo le fa provare una droga allucinogena, i due si addormentano e Anna tarda il rientro a casa dal fratello. Astor è a casa e decide di dare fuoco ad alcuni suoi giocattoli. Intanto, una parte dell’esercito dei bambini Blu, passa lì vicino e si accorge del fumo. La tribù raggiunge la casa di Astor, distrugge parte dei mobili e lo scheletro della madre, ruba molti giocattoli e insegue il bambino per portarlo con sé. Astor cerca di fuggire arrampicandosi sugli alberi ma cade da un ramo fuori dal recinto, la sua immaginazione gli fa vedere i mostri che Anna gli aveva descritto e sviene. Il bambino viene catturato. Anna torna a casa e trova la vernice blu sul muro, si reca subito da Pietro chiedendogli di accompagnarla nel territorio dei Blu per poter recuperare il fratello, Pietro non vuole andare perché crede che sia pericoloso e impossibile liberare un bambino dalla loro tribù. Le dice però di recuperare una mappa dai gemelli per capire dove andare (i Blu sono nella zona di Bagaria). La ragazza arriva al negozio e Ma63

rio (Paolo è morto) le apre per fare lo scambio. Il ragazzo la inganna facendola entrare per mostrarle un bambino Blu che lui dice di tenere prigioniero. Il gemello apre una porta, Anna si avvicina per vedere cosa vi sia dietro e Mario la spinge per terra dove rimane incollata (il pavimento è coperto di colla), il bambino chiude la porta e la lascia lì. EPISODIO 3 “RIDONO LE IENE” Mario ha rinchiuso Anna in una gabbia per animali, vicino a lei c’è un altro bambino imprigionato (è un Blu), Anna cerca di comunicare con lui ma il bambino non parla. Mario inizia a torturare i due ragazzi trattandoli come degli animali, cibandoli con le crocchette per cani, prendendoli costantemente in giro e costringendoli a scavare la fossa per poter fare il gelato. Anna comincia a comportarsi come una cane e a sottomettersi al gemello. Mario porta Anna a vedere la tomba di Paolo, intanto bussano alla porta del negozio ma il ragazzo non vuole aprire, la ragazza prova ad aggredirlo ma non ci riesce e viene incatenata a testa in giù. Mario decide di aprire la porta e vi trova Pietro, che sta cercando Anna. Chiede al gemello se la ragazza sia passata di lì ma lui nega tutto. Anna intanto, rinchiusa ed appesa nella stanza accanto cerca di liberarsi e di fare rumore perché ha sentito una voce familiare, riesce a raggiungere un tavolo e ad accendere lo stereo. Pietro sente dei rumori sospetti e cerca di entrare


nella stanza ma il gemello ingoia la chiave pur di non fargli scoprire chi tiene dentro. Anna, sulle note di Minuetto, riesce a liberarsi e ad aggredire Mario (gli stacca un orecchio a morsi). Anna libera l’altro ragazzino prigioniero pregandolo di portarla dai blu ma il bambino scappa. Pietro continua a cercare di convincere la ragazza a non andare a recuperare il fratello, Anna allora inizia il suo viaggio sola. Intanto, al quartier generale dei Blu si stanno svolgendo i riti di iniziazione dei nuovi bambini reclutati, tra cui Astor, per poter far parte della tribù (i bambini vengono immersi nella vernice blu sotto sorveglianza della loro regina). In un flashback ci viene mostrata la regina dei Blu (Angelica) da piccola, prima del virus. La bambina stava giocando con altre ragazzine: facevano finta di essere all’interno di un talent show culinario e lei rivestiva la parte del giudice. Mentre stavano giocando arriva una nuova bambina che vorrebbe giocare con loro, Angelica le dice che per entrare nel loro gruppo la ragazzina deve sottoporsi a una prova, un pressure test: saltare da un’alta piattaforma e afferrare una corda. La bambina viene convinta a saltare ma la corda non era legata a nulla, il salto è nel vuoto, la bambina muore. Pochi giorni dopo, Angelica e la sua famiglia stanno andando al funerale della ragazzina, Angelica continua ad essere convinta della sua innocenza. Poco tempo dopo il funerale della bambina, la Rossa ha colpito i grandi e Angelica è sola in casa

sua, insieme al cadavere di sua sorella maggiore. Arrivano i ragazzini che erano presenta al funerale e le versano addosso della vernice blu. Anna è arrivata nel territorio dei Blu e sta cercando di entrare nella loro grande villa, dove tutti i bambini vivono. La ragazza riesce ad entrare perché sa cantare. Anna viene vestita e sistemata per andare ad incontrare la regina dei Blu e farle sentire come canta e, proprio come in un talent show, Angelica giudica la performance e decide che Anna canta abbastanza bene per poter essere ammessa nella sua tribù. Il giorno seguente, Anna vede finalmente Astor ma i piccoli e grandi vivono due vite separate all’interno della villa e la ragazza non riesce a frasi vedere dal fratello. La sera inizia lo spettacolo: dai Blu viene messo in scena un vero e proprio talent show con un pubblico formato da tutti i bambini della zona che pagano un biglietto di ingresso con la modalità del baratto. Nello spettacolo viene finalmente mostrata la Picciridduna, una donna adulta loro prigioniera, il volto però è coperto. EPISODIO 4 “IL CINGHIALE INVISIBILE” Nella parte della villa dove i bambini più grandi dormono, Anna, mentre Angelica la pensa addormentata, vede la regina grattarsi delle macchie rosse sulla pelle: ha preso la Rossa. Anna si allontana dal dormitorio e si dirige nella parte del palazzo in cui vivono i piccoli, tra cui Astor. I due fratelli si rincontrano e Anna cerca di portarlo via con sé ma il bambino è arrabbiato con la sorella perché gli ha raccontato molte bugie sul mondo esterno e ora vuole rimanere lì con i suoi amici. Angelica cattura Anna e, quando la ragazza le tira un pugno in faccia, la regina la fa ricorrere dall’esercito dei bambini (se la riescono a prendere Anna verrà bruciata viva insieme alla Picciridduna, che uccideran64

no per mangiarne le ceneri e continuare a vivere). Anna riesce a nascondersi ma quando un serpente la morde è costretta a farsi aiutare per non morire avvelenata. Flashback: la sorella di Angelica (Ginevra) va dalla sarta del paese (Katia) per ringraziarla del lavoro fatto sui suoi vestiti. Ginevra è convinta del grande talento della ragazza e le commissiona l’abito per il suo matrimonio. Capiamo che Katia è innamorata di Ginevra. Anna, intanto, si è svegliata in un letto della villa dei Blu. Al suo risveglio vede tre bambine vestite da principesse che sono incaricate di curarla. Anna chiede delle medicine per far passare il dolore al braccio dato dal morso e le bambine la costringono a bere un intruglio di acqua e terra. Dopo poche ore Anna si sveglia legata al letto, Angelica arriva in camera sua per tagliarle il braccio avvelenato. Anna si sveglia dall’anestesia senza un braccio, assistita dalle stesse tre bambine di prima che continuano a volerla curare come se fosse una bambola (le fanno spesso del male fisico). Anna è stata messa sola in una camera mentre aspetta la sua guarigione. Flashback: i genitori di Katia muoiono perché infetti dal virus. La ragazza si reca a casa di Ginevra per consegnarle l’abito da sposa terminato ma la trova morta sul letto. Angelica, l’unica viva della famiglia, Anna conosce la Picciridduna, che è Katia, anche lei tenuta prigioniera da Angelica. Intanto, Angelica fa provare ad Anna l’abito da sposa che doveva essere destinato a sua sorella prima dell’arrivo del virus: Anna lo dovrà indossare la notte del fuoco per sposarsi con Angelica ed eliminare la Rossa. Anna rivela a Katia il piano di Angelica (di bruciarla durante la notte del fuoco) e le consiglia di scappare. Astor cerca di raggiungere la so-


rella ma viene inseguito dalle tre bambine che si stanno “prendendo cura” di Anna. I due fratelli riescono a ricongiungersi, Anna chiede al fratello di scappare verso casa e di trovare il lago dove vive Pietro, il bambino inizia il suo viaggio. Katia chiede ad Angelica, orami quasi divorata dalla Rossa, di non bruciarla viva. Tutti dovrebbero mangiare le sue ceneri ma, ovviamente, questo non servirà a non farli morire. Angelica vuole che Katia muoia perché anche lei morirà. Nel passato Katia, nella sua casa, cammina nuda liberamente per la prima volta e svela quello che aveva nascosto anche ai suoi genitori: è un’ermafrodita, per questo il virus non la colpisce. EPISODIO 5 “I GATTI SONO SUPERIORI” Angelica si sta preparando per la notte del fuoco, una volta pronta la ragazza entra nella stanza di Katia e la trova morta nella vasca, subito arriva Anna che le mostra cuore della Picciridduna. Angelica pensando che Anna sia l’assassina la inizia a strozzare. Katia esce dalla vasca e insieme ad Anna la uccide soffocandola. Anna comincia ad incamminarsi verso casa di Pietro sperando di trovare suo fratello. Astor non c’è e trova l’amico con i primi sintomi della Rossa. Insieme a Pietro, Anna si reca a casa sua ma nemmeno lì trova il bambino. I due lo cercano nel bosco e dopo numerose ricerche fallimentari, Anna decide di accompagnare l’amico sull’Etna. Flashback: Pietro piccolo chiede a un signore del suo condominio aiuto perché sua mamma ha preso il virus. Il bambino e l’uomo (Saverio) cominciano a fare amicizia, Saverio gli rivela che l’unico modo per aiutare la madre è quello di farla smettere di soffrire. Chiede a Pietro di stendersi sopra alla donna così che l’anima, una volta lasciato il corpo, possa passare attraverso il corpo del bambino come

una dolce carezza, mentre Saverio la soffoca con due buste di plastica. L’uomo dice di aver visto l’anima della madre lasciare il corpo e volare via grazie ai suoi speciali occhiali da sole, inoltre gli racconta che tutte le anime dei morti volano verso l’Etna per passare attraverso il cratere per raggiungere una dimensione migliore. Intanto, Saverio si convince di essere stato il prescelto di Dio e quindi di essere stato salvato dal virus. L’uomo e Pietro iniziano a recarsi in tutte le case del quartiere per far smettere di soffrire le persone in preda ai dolori del virus Intanto, i due ragazzi sono in viaggio per raggiungere l’Etna, cala la notte e si fermano per riposare. Anna e Pietro si baciano. I due ragazzi riescono a raggiungere il vulcano ma la strada per salirvi è sorvegliata da Nucci e i suoi scagnozzi. Nucci dà il permesso di passaggio ad Anna ma non a Pietro, il ragazzo sceglie lo stesso di passare ma i proprietari del terreno lo catturano e gli saldano un secchiello di ferro in testa, impossibile da rimuovere. I due iniziano a scalare per giungere sulla cima del vulcano. La salita non è per niente facile: Pietro vede poco dal secchiello e respira male. Astor è alla ricerca di Pietro, lungo la sua strada incontra un ragazzino della sua età di nome Ndraveche. I due bambini fanno amicizia. Ndraveche porta Astor nel suo luogo segreto e prepara per lui uno spettacolo teatrale con le marionette. Intanto, nel passato, sul corpo di Saverio iniziano a comparire le prime macchie. L’uomo dà di matto, cerca di allontanare Pietro e suicidarsi ma non riesce a fare nessuna delle due cose. Saverio abbandona il bambino e si allontana con l’obiettivo di schiantarsi con la macchina. Poco dopo, il bambino trova la macchina schiantata all’interno della quale il suo amico è ancora vivo, Pietro prende i suoi 65

occhiali speciali. Saverio gli chiede di ucciderlo soffocandolo con due buste. Finalmente Pietro e Anna riescono a raggiungere la cima del vulcano, il ragazzo chiede ad Anna di indossare gli occhiali che appartenevano a Saverio per vedere le anime volare sopra al cratere. Anna, per compiacerlo, gli dice che quelle anime ci sono e che assomigliano a delle “meduse luminose”. I due ragazzi decidono di passare la notte lì, Anna si sveglia all’alba e vede l’Italia in lontananza. Poco dopo si accorge che Pietro non c’è: si è buttato giù dalla montagna, la ragazza lo raggiunge di corsa. Pietro è ancora vivo e, buttandosi, è riuscito a rompere il secchiello che aveva sulla testa. Pietro riprende conoscenza e chiede ad Anna di soffocarlo con una busta che ha nel suo zaino. Anna fa quello che le è stato richiesto e lo sotterra sotto ad alcuni sassi. EPISODIO 6 “COSE DA FARE QUANDO LA MAMMA MUORE” Astor sta dormendo nel luogo segreto di Ndraveche, il bambino viene svegliato da una visione di sua mamma sotto forma di marionetta, la quale gli consiglia di tornare a casa per raggiungere Anna e stare insieme a lei. Anche Anna è tornata a casa, i due fratelli finalmente si rincontrano. Anna dice ad Astor che devono partire, devono lasciare la Sicilia e raggiungere l’Italia per cercare degli adulti con delle medicine. I due fratelli cominciano il loro viaggio verso il mare. Arrivati sulla spiaggia, i


due vedono un bellissimo elefante e cominciano a cercare un mezzo per attraversare il mare: trovano un pedalò che, faticosamente, riescono a trascinare in acqua. Flashback: la mamma dei due fratelli sta morendo, fa giurare ad Anna di proteggere Astor, di prendersi cura di lui e di insegnargli a leggere. La madre muore e Anna inizia a leggere il quaderno con le istruzioni su come comportarsi una volta che lei non ci sarà più. Anna e Astor iniziano a dormire in macchina perché in casa c’è troppo puzza, i due potranno rientrare e portare via lo scheletro della madre solo una volta passati 100 giorni. Anna inizia a prendersi cura del fratello, passati i 100 giorni la bambina vede la madre vestita da astronauta salutarla prima di andarsene definitivamente. Anna entra nella stanza della mamma e trascina via il suo scheletro e la seppellisce nel bosco sotto ad alcuni sassi. Dopo alcuni giorni la bambina riesuma lo scheletro, lo pulisce e lo sistema nella stanza che gli appartiene. I due fratelli stanno pedalando verso l’Italia, si fermano in mezzo al mare per la notte e Astor, una volta sveglio, fa cadere accidentalmente il quaderno della madre nel mare. Si tuffa per cercare di recuperarlo, Anna lo riporta sul pedalò, rassicurandolo che non è successo nulla. Passa un altro giorno e i due ragazzi si addormentano nuovamente, vengono svegliati dopo aver colpito qualcosa: sono ai piedi di un enorme nave da carico. Emozionati, i due vi salgono e

trovano un’enorme scorta di cibo e di acqua. Sulla barca anche la corrente è funzionante. Anna e Astor cominciano ad esplorare e trovano quattro persone adulte e un bambino appena nato pronti ad accoglierli. Anna è una serie televisiva molto disturbante, cruda e violenta ma assolutamente capace di mostrarci il mondo attraverso gli occhi di una bambina, fin troppo adulta per la sua età, in un universo distopico popolato e governato da bambini, degradato e senza regole. Qui la vita si sviluppa a stenti, nella sporcizia, senza amore, senza pietà. Un misterioso virus ha ucciso brutalmente tutti gli adulti e i bambini rimasti seguiranno presto a questo tragico destino. Certo, è molto inquietante vedere oggi una storia narrante una pandemia globale e fatale ma Anna è molto di più: non è una semplice serie da guardare perché pare ambientata ai giorni nostri, è piuttosto un prodotto ben fatto, poetico, in grado di trasportarci in una realtà che (purtroppo) sembra più vicina di quanto vorremmo. La serie televisiva, più si avvicina alla fine, più si fa emozionante. La storia dell’amore fraterno tra Anna e Astor è uno degli elementi più toccanti dell’intera narrazione: il piccolo Astor non si ricorda più niente, non ricorda nemmeno il volto di sua madre, ma sa che Anna è il suo porto sicuro, la sua salvezza, una figura materna che lo ha cresciuto, educato, che gli ha insegnato a leggere ma, soprattutto, ad immaginare. L’immaginazione è l’unica cosa che può salvare i bambini dalla devastazione nella quale vivono, la capacità di inventarsi o credere a delle favole li spinge a pensare che, in fondo, non tutto è perduto: si pensi a Ndraveche e al suo teatrino di marionette; a Pietro e alle parole di Saverio riguardo le anime dei morti che volano verso l’Etna; o ancora ad

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Angelica e alla sua autoconvinzione che solo mangiando le ceneri della Picciridduna potrà guadagnarsi la guarigione. Le storie sono quello che, nella buona e nella cattiva sorte, hanno permesso a questi bambini di continuare a sperare che il mondo non sia realmente finito in questa brutale maniera, che ci sia qualcosa di più, da qualche parte. L’aspetto più disturbante di questo prodotto è sicuramente la cattiveria dei bambini: in un mondo senza regole, senza adulti, senza istituzioni, sono i bambini stessi a scegliere se legarsi a qualcuno più grande e forte di loro, a scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Nel mondo di Anna le leggi etiche non funzionano perché non vi è il terreno adatto per farle funzionare. Angelica è cattiva, la peggiore, ma deve esserlo per raccontare a se stessa che questo è l’unico modo per sopravvivere a una (breve) vita di stenti, di paura di morire ed è per questo che anche lei si inventa delle storie: pensa che la vita dei sui “sudditi” sia un gigantesco talent show del quale lei è la unica ed indiscussa giudice, dove se sbagli muori ma tanto a nessuno importa realmente perché tutti moriranno e saranno lasciati a loro stessi. Oltre ad Astor e Anna, l’unico vero legame che si crea in questa realtà distorta è quello tra Anna e Pietro: i due scoprono di essere innamorati ma la Rossa arriva e distrugge il ragazzo. È strano vedere una storia tanto dolorosa passare attraverso gli occhi dei bambini (che sono tutt’altro che innocenti) ma l’intensità del dolore è la stessa, se non maggiore perché in una vita così breve e crudele ogni sentimento risulta amplificato. Questi ragazzi, forse, rispetto agli adulti hanno una maggiore consapevolezza del tempo e della morte: sanno che vivranno per circa 14 anni, sanno che le persone accanto a loro moriranno, sanno che dovranno essere violenti per sopravvivere, sanno che il loro destino è inevitabile.


La narrazione di Anna è costruita attraverso la continua alternanza tra il tempo presente e il tempo passato (pre-virus), le immagini nei ricordi della ragazzina sono poetiche, la nostalgia è un sentimento molto presente all’interno della narrazione, soprattutto nelle memorie dei più grandi (coloro che effettivamente si ricordano qualcosa della loro vita precedente). Anna è un prodotto coinvolgente, maturo, toccante, capace di trasmettere a pieno la sua carica narrativa. La musica, a questo proposito, svolge un ruolo fondamentale: la colonna sonora ci fa immergere pienamente nel mondo e nelle sensazioni di quei ragazzini cresciuti troppo in fretta. La sigla che precede ogni episodio, Settembre di Cristina Donà fa il suo dovere: accompagnata da alcune sequenze di vecchi filmini, la canzone riesce a trasmettere quel senso di malinconia ed inquietudine che l’intera serie vuole far emergere. Anna è senza dubbio uno dei migliori prodotti usciti quest’anno, tutto è curato nei minimi dettagli: dalla colonna sonora evocativa; allo stile registico attento e poetico, capace di immergere lo spettatore in un

mondo esteticamente distante dal suo; alla fotografia spesso cupa nel presente ma quasi sfocata nei flashback. I bambini sfoggiano delle ottime performance attoriali, tranne Pietro grande che, a volte, risulta un po’ troppo rigido e impostato. La vera sorpresa di Anna è Astor: Alessandro Pecorella, 9 anni, è impeccabile nel ruolo del fratellino un po’ ingenuo ma spesso anche molto buffo e dallo sguardo sempre sognante. La storia è coinvolgente, emozionante, diversa e coraggiosa. Coraggiosa perché non tutti avrebbero avuto il fegato di mettere in scena dei bambini violenti, che si uccidono a vicenda, capaci di amputare un braccio a sangue freddo, capaci di ignorare un corpo morto o il dolore di un coetaneo. Tutto ciò è stato sicuramente possibile grazie alla sceneggiatura di Nicolò Ammanniti, l’autore del romanzo omonimo al quale la serie è ispirata, che ha contribuito a rendere visivamente, nella maniera più fedele, quel mondo distopico e crudele che lui stesso si era immaginato. Nulla sembra vero eppure tutto pare così vivido e giustificabile. Immagini grottesche si affiancano a una narrazione poetica che

le rende ordinarie nell’universo di Anna: corpi morenti in putrefazione, omicidi, amputazioni. Anna non è solo una storia di violenza e crudeltà, è piuttosto una rappresentazione di quello che sarebbe il mondo senza gli adulti, in cui non manca un barlume di speranza e di umanità (si prendano qui ad esempio gli ultimi minuti dell’ultimo episodio). I tre protagonisti della serie (Anna, Astor e Pietro) sono ragazzi intelligenti, che feriscono il prossimo per pura sopravvivenza e mai per mero sadismo, sempre capaci di mostrare la loro bontà d’animo in un mondo che raramente è stato clemente con loro. Anna è un prodotto grottesco, spaventoso, non di facile visione, ma dal quale lo spettatore ricaverà una grande dose di soddisfazione. Gaia Antonini

di Mark O’Rowe

TEMPLE EPISODIO 1 Il chirurgo Daniel Milton si reca di notte in un ospedale, entra con la scusa di aver dimenticato un’agenda e ruba del materiale. Un gruppo di giovani ragazzi si stanno preparando per organizzare un furto da milioni di sterline, arrivati sul luogo della rapina, il ragazzo che aveva il compito di fare da palo (Jamie Harris), fa scattare accidentalmente l’allarme e scappa con una delle borse piene di denaro, lasciando lì i suoi

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compagni. Jamie, subito brucia il furgone con il quale aveva trasportato la banda. Due poliziotti sono di guardia in una tranquilla strada di Londra. Jamie, che intanto ha recuperato la sua macchina, viene fermato: uno dei due poliziotti gli chiede la patente ma il ragazzo non la ha con sé, entra nel panico e scappa mentre l’altro agente gli spara attraverso la macchina e lui, inavvertitamente, lo investe. Jamie, ferito gravemente, chiama un amico (Lee Simmons) e gli chiede aiuto. Lee raggiunge il ragazzo nel 67

Origine: Regno Unito, 2019 Produzione: Hera Pictures Regia: Mark O’Rowe Sceneggiatura: Mark O’Rowe Soggetto: ispirato alla serie televisiva norvegese Valkyrien Interpreti: Mark Strong (Daniel Milton), Daniel Mays (Lee Simmons), Carice van Houten (Anna), Catherine McCormack (Beth), Lily Newmark (Eve Milton), Tobi King Bakare (Kamie Harris), Wunmi Mosaku (Mercy), Craig Parkinson (Keith), Siena Kelly (Michelle). Distribuzione: Sky Durata: 8 episodi di 50 minuti circa l’uno Uscita: 13 settembre 2019 nel Regno Unito, 9 luglio 2021 in Italia


suo nascondiglio e lo porta via con sé. Daniel si reca in chiesa per partecipare alla cerimonia di commemorazione in onore di sua moglie (Beth), durante il discorso che il marito espone davanti a tutti i presenti capiamo che Beth si è suicidata, probabilmente a seguito di una malattia difficilmente curabile. Terminata la commemorazione, Lee chiama Daniel e gli dice di star portando il ragazzo gravemente ferito “alla clinica” e che ha assolutamente bisogno del suo aiuto per salvarlo. Daniel si allontana dalla chiesa e si reca alla clinica: un luogo sotterraneo, tutt’altro che simile ad un ospedale. Il chirurgo opera il ragazzo e lo salva. Daniel si arrabbia con Lee per aver portato lì Jamie: il luogo deve rimanere il più possibile segreto ma Lee lo assicura di potersi fidare. Flashback: Beth lavora all’ospedale, nell’ambito della ricerca, e insieme alla sua collega Anna stanno cercando di trovare una cura alla malattia letale della Lancaster. Poco dopo Beth sviene improvvisamente. Daniel si reca all’ospedale in cui sua moglie è stata portata e la dottoressa gli comunica che la donna è malata di Lancaster da almeno un anno ma che aveva tenuto tutti all’oscuro. Beth non ha detto nulla perché voleva trovare una cura in autonomia ed evitare, nel caso l’avesse trovata, di allarmare i suoi cari. Intanto, nella clinica sotterranea, Jamie si risveglia dopo l’operazione e chiede a Lee di andare a recuperare i soldi che aveva nascosto dopo essere scappato. Lee recupera la borsa con il denaro e

la nasconde nella clinica. Intanto, Jamie, solo nel sotterraneo, si alza dal suo letto ma scivola e, cadendo, sviene e inizia a perdere molto sangue dalla ferita da poco curata. Daniel ha bisogno di sangue 0 negativo (non sa il gruppo sanguineo del ragazzo) per evitare che Jamie muoia, allora chiama Anna perché appartenente a quel gruppo universale. Anna arriva alla stazione metropolitana di Temple e viene accompagnata da Lee nei sotterranei. La donna, sconvolta dalla visione della clinica segreta, si rifiuta di sottoporsi alla trasfusione, allora i due le fanno perdere conoscenza e le prelevano il sangue necessario. Flashback: Anna e Daniel, dopo essere venuti a conoscenza della malattia di Beth, decidono di interrompere la loro relazione (erano segretamente amanti da molto tempo). Daniel, intanto, cerca di recuperare i rapporti con sua figlia Eve, persi dopo la morte della madre e la conseguente nascita della clinica segreta: si scopre, infatti, che l’uomo vi tiene Beth in stato comatoso.

Daniel di lasciarla andare nel caso lei dovesse finire in coma dopo la somministrazione delle medicine. L’uomo inetta il cocktail di farmaci alla moglie ma, dopo poche ore, Beth finisce in coma. La donna ha lasciato una lettera al marito nella quale c’è scritto di far sparire il suo corpo e gettarlo nel mare per far passare la sua morte come un suicidio, altrimenti facendo l’autopsia il tutto ricondurrebbe a lui e all’utilizzo di sostanze illegali. Daniel si reca in mare per fare quanto richiesto ma, una volta arrivato all’largo, ci ripensa e torna indietro con il corpo della donna. Michelle Wilson, la fidanzata incinta di Jamie, viene contattata da due ispettori della polizia: i due vorrebbero sapere dove si trova il ragazzo, ma Michelle non lo sa. Gli ispettori sanno che il ragazzo è stato ferito dal poliziotto e lo comunicano alla sua ragazza. Intanto, alla clinica, dopo che Lee ha mostrato a Jamie il nascondiglio con i suoi soldi, il ragazzo decide di scappare con il denaro. Lee riesce a raggiungerlo e il ragazzo torna nella clinica perché per lui uscire sarebbe troppo rischioso: il poliziotto che ha investito è in terapia intensiva. Anna riappare e chiede a Daniel qual è il motivo di quella strana clinica: la clinica è un luogo adibito a tutti coloro che non vogliono passare per il sistema, a coloro che vogliono mantenere l’anonimato senza dover obbligatoriamente rendere conto all’istituzione ospedaliera. Daniel convince Anna a tornare nella clinica per mostrarle il reale motivo del suo cambiamento di vita (l’uomo, infatti, ha smesso di lavorare all’ospedale da quando la moglie è morta). Daniel mostra ad Anna la stanza in cui tiene Beth in coma.

EPISODIO 2 Anna si è risvegliata dopo il prelievo di sangue e, senza farsi vedere da nessuno, esce dalla clinica. Daniel comincia a cercarla e a chiamarla, ma la donna non si fa trovare. Flashback: Daniel e Beth stanno cercando di convincere la direttrice della sezione ricerche dell’ospedale di avviare una cura sperimentale per la Lancaster ma i protocolli e i costi proibitivi non lo permettono. Daniel vuole comunque trovare una soluzione e provare questi farmaci sperimentali, a qualsiasi condizione. I due coniugi dicono ad Eve di volere andare in vacanza soli per qualche giorno. EPISODIO 3 In realtà, si recano in una casa Flashback: Daniel sta pranzansul mare per provare ad utilizzare do nella mensa dell’ospedale, viequei farmaci. Beth fa promettere a ne raggiunto da un paziente guari68


to da poco: Lee. Il ragazzo propone al dottore di eseguire un’operazione su un suo conoscente che vorrebbe evitare i canali medici tradizionali, Lee avrebbe il luogo e l’attrezzatura necessaria per farlo ma Daniel declina la proposta perché illegale. Anna ha un’idea per aiutare Daniel nella sperimentazione dei farmaci su Beth. Intanto Lee, che lavora nella manutenzione delle reti ferroviarie, viene redarguito dal suo capo per essere sempre in ritardo alle riunioni. Uscito dall’ufficio raggiunge il prossimo cliente della clinica segreta: Cormac, un ragazzo con una grande ferita in volto. Una donna si reca in prigione per andare a trovare Sebastian, il ragazzo che è stato incarcerato a causa della fuga di Jamie nel primo episodio. La donna, sua madre (Mercy), si fa comunicare tutti i possibili conoscenti del fuggitivo e poco dopo chiama un amico (Keith) per farsi aiutare nella ricerca. Anna si prende qualche giorno di pausa dal lavoro per potersi dedicare interamente alla ricerca per Beth. Flashback: Daniel chiama Lee per accettare l’offerta propostagli mesi prima e per approfittare del luogo segreto a sua disposizione così da lasciarvi sua moglie mentre cerca di curarla. I poliziotti sulle tracce di Jamie decidono di tenere d’occhio Michelle: nel caso il ragazzo dovesse riapparire andrebbe subito dalla fidanzata. Intanto, alla clinica, Cormac si sveglia dall’anestesia post-operazione e si trova legato al letto; Lee lo slega subito ma il ragazzo, furioso, inizia a mettere sottosopra la clinica; Daniel arriva e riesce a far perdere i sensi al paziente e abbandonarlo fuori dal luogo segreto. Intanto, Keith e Mercy si recano dal primo nome della lista e lo torturano per estorcergli informazioni riguardo al possibile nascondiglio di Jamie.

EPISODIO 4 Mercy e Keith stanno cercando Lee, si sono recati a casa sua ma non lo hanno trovato. Anna, alla clinica, sta facendo progressi rispetto alla ricerca sui farmaci. Daniel incontra una nuova paziente: un’alcolista che vorrebbe smettere di bere ma che non riesce e che, a causa della sua condizione, non vede più la figlia da anni. La donna chiede al medico di procurarle un farmaco lettone che provoca forte dolore ogni volta che viene ingerito dell’alcol. Lee, intanto, si reca in un grande magazzino per comprare del materiale necessario alla clinica e incontra una sua vecchia conoscenza, Celine, che gli chiede di incontrarsi più tardi per un caffè. I due escono insieme e passano una bella serata: decidono di rivedersi. Daniel ha portato una provetta del sangue di Beth a Simon (un amico che lo aiuta segretamente con le analisi da laboratorio) e scopre che la donna sta affrontando una grave insufficienza renale. Lee rivela a Jamie che il poliziotto che aveva investito giorni prima è morto. I due poliziotti stanno sorvegliando, a sua insaputa, Michelle, che lavora in un negozio di abiti da sposa. Lee entra nel posto per rassicurarla sulla salute di Jamie e per darle un cellulare attraverso il quale lui la contatterà. I poliziotti cercano di inseguire il ragazzo ma non ci riescono. Daniel chiede a Simon un contatto per poter recuperare illegalmente un rene per la moglie, Simon però non gli garantisce l’affidabilità delle persone con le quali avrà a che fare. Lee torna a casa, il campanello suona, il ragazzo apre la porta e trova davanti a sé Keith e Mercy che iniziano a torturarlo per avere delle informazioni su Jamie. Il ragazzo cede e gli rivela il luogo di lavoro di Michelle ma non dice niente riguardo all’ubicazione di Jamie. 69

EPISODIO 5 Eve studia lettere all’università, tornado a lezione dopo la morte della madre, si scontra con i compagni di corso rispetto a un’interpretazione di un testo. Dopo aver tirato un pugno a una sua collega, la professoressa richiede un colloquio con il padre. Daniel, intanto, incontra il contatto che deve recuperargli il rene, il quale gli comunica che il prezzo è raddoppiato. L’uomo comincia quindi a chiedere ai suoi conoscenti un prestito in denaro (fingendo di dover pagare un debito causato dal gioco d’azzardo), ma nessuno riesce ad aiutarlo. Daniel torna all’ospedale per pranzare con un ex collega, all’uscita viene fermato dalla cassiera della mensa (Susanna) la quale gli chiede di visitarla privatamente senza appoggiarsi all’ospedale perché non vorrebbe rendere pubbliche certe informazioni private, Daniel decide di aiutarla. Intanto, Anna sta cercando la formula giusta per il farmaco da somministrare a Beth ma i topi adibiti a cavia per testarlo continuano a morire. Mercy, fingendo di essere una cliente del negozio in cui lavora Michelle, chiede alla ragazza fino a che ora la potrà trovare lì. Michelle torna a casa, Lee la chiama per avvisarla di non tornare al negozio per qualche giorno ma Mercy e Keith la seguono fino a casa, entrano cominciando a fare domande rispetto a dove potrebbe trovarsi Jamie. I poliziotti, che stanno segretamente seguendo ogni mossa di Michelle, entrano in casa e ri-


escono a salvare la situazione. A Michelle le si rompono le acque e viene portata in ospedale. Intanto Daniel è giunto sul luogo dello scambio del rene con i soldi rubati da Jamie alla rapina del primo episodio. Una volta avvenuto, Daniel viene abbandonato in mezzo al nulla da quelli che lo avevano accompagnato e inizia il suo viaggio verso la clinica sotterranea: prende un bus ma si ferma in mezzo alla strada; il taxi incontra traffico; scende dal taxi di fretta e un ciclista gli fa cadere la scatola refrigerata con dentro l’organo; una macchina passa sopra al rene e lo distrugge. Lee e Celine sono fuori a cena, il ragazzo le racconta della sua adesione al movimento del survaivalismo e, dopo averle spiegato in cosa consiste e cosa comporta, la donna sparisce. Intanto, alla clinica, Anna ha finalmente trovato la combinazione giusta per la guarigione di Beth, ma Daniel le comunica che ormai è tutto vano: il trapianto non si farà più. I venditori del fegato si recano in un losco negozio di elettronica e consegnano i soldi guadagnati al proprietario. EPISODIO 6 L’episodio comincia con Daniel che, preso dalla disperazione, si opera in autonomia per togliersi un rene così da poterlo dare alla moglie. L’operazione, però, non è mai avvenuta, il medico stava sognando. Daniel è divorato dai sensi di colpa perché Beth gli ha sempre chiesto di lasciarla andare nel caso dovesse finire in coma.

Daniel si reca a casa di Susanna per visitarla segretamente come avevano accordato, le fa un prelievo del sangue per sottoporlo ad alcune analisi. Lee, invece, è molto preoccupato perché Celine non risponde alle sue chiamate. I sensi di colpa di Daniel continuano ad aumentare a causa del discorso di Eve: la figlia si è sentita tradita dalla madre che lei crede suicidata, Eve non ha avuto l’opportunità di salutarla o di parlarle un’ultima volta. Intanto Lee si reca nel negozio di Michelle per capire cosa sta succedendo (la ragazza non risponde ai messaggi di Jamie da molti giorni) e scopre che è in ospedale perché ha appena partorito. I due poliziotti si recano al losco negozio di tecnologia e interrogano il proprietario. La mamma di Michelle torna a casa dall’ospedale, portando con sé i vestiti che la figlia aveva addosso durante la rottura delle acque. La donna vede il cellulare e scopre i messaggi con Jamie. La poliziotta raggiunge la madre per ricordarle che ogni eventuale complicità con Jamie potrebbe mettere a rischio l’affidamento del bambino sia a lei che a Michelle così la donna si convince a darle il cellulare. Dopo qualche giorno Celine si fa viva e chiede a Lee di non chiamarla più, il ragazzo è incredulo di fronte a queste parole e si reca sul posto di lavoro della ragazza per capire meglio la situazione ma non c’è nulla da fare, Celine vuole chiudere la loro relazione immediatamente. Lee è furioso e se la prende con Daniel (che il giorno prima si è dimenticato di avere un paziente da curare nella clinica segreta). Daniel gli dice che, dato che sua moglie sta per morire, se ne andrà; Lee gli dà solo due giorni di tempo per sgomberare il posto. Daniel riceve da Simon le analisi del sangue di Susanna e scopre che il suo rene è compatibile con Beth. 70

EPISODIO 7 Il marito di Anna si reca sul suo luogo di lavoro per farle una sorpresa ma non la trova (la donna è segretamente in ferie per occuparsi della ricerca per Beth). L’uomo cerca delle spiegazioni ma Anna è irremovibile, si rifiuta di raccontargli dei suoi ultimi mesi e decide di divorziare. I due poliziotti, ora in possesso del cellulare di Michelle, si spacciano per lei e iniziano a scrivere a Jamie. Daniel, intanto, chiede a Lee qualche giorno in più di permanenza nella clinica. Lee viene licenziato dal suo lavoro ufficiale perché ultimamente arrivava in ufficio svogliato, in ritardo, spesso aggressivo con i colleghi e ciò significa dover definitivamente rinunciare alla clinica. Keith procura una pistola per sé e per Mercy, i due si recano nel negozio di elettronica (Sebastian ha saputo che in quel negozio sono stati utilizzati i soldi della rapina per pagare qualcosa). Il proprietario del negozio manda la coppia dalle persone che gli hanno dato i soldi, coloro che hanno venduto il rene a Daniel. Keith e Mercy li torturano e capiscono che l’uomo a cui hanno venduto il rene conosce Lee. Susanna, invece, viene contattata da Daniel per la sua operazione (deve rimuoverle la milza) e viene portata nella clinica sotterranea. Daniel la sta operando, dopo aver rimosso la milza decide di rimuoverle, senza il suo consenso, anche un rene perché compatibile con quello di Beth. Daniel trapianta il rene alla moglie. EPISODIO 8 Daniel si reca a casa del marito di Anna per cercare di recuperare la provetta con il farmaco per Beth, che si trova nel frigorifero. Una volta entrato, l’uomo inizia a sfogarsi con lui ma presto capisce che c’è qualcosa sotto e che Daniel e Anna sono stati amanti, Daniel


non riesce a recuperare la provetta. Anna torna a casa del marito per recuperare la medicina e la dà a Daniel, che la inetta finalmente nel corpo di Beth. Intanto, i due poliziotti, che si stanno fingendo Michelle, convincono Jamie ad uscire di nascosto per andare in ospedale a trovare suo figlio. Anna e Lee scoprono che Daniel ha tolto, senza il suo consenso, un rene a Susanna. Tutti sono impauriti e delusi dal comportamento del medico. Lee sta tornando a casa sua e, prima di varcare la porta, viene catturato da Keith. Mercy e Keith iniziano a torturarlo ma il ragazzo non cede e non dice dove si trova Jamie, allora la madre di Sebastian gli spara ad un piede. In preda al dolore, Lee è costretto a dire loro del sotterraneo e ad accompagnarli. Jamie arriva all’ospedale e Michelle, nello stesso momento, si reca nella sala d’aspetto per prendere un caffè. Lì ci sono i due poliziotti che, non vedendola, continuano a messaggiare con il suo fidanzato e parlarne tra di loro. La ragazza sente tutto, capisce che la madre ha consegnato il telefono alla polizia e, ricordandosi del numero di quel cellulare, chiama Jamie e lo avvisa di essere stato ingannato. Il ragazzo allora inizia a scappare inseguito dai poliziotti ma riesce a rientrare nella clinica sotterranea senza farsi vedere. Lee arriva con Keith e Mercy nella clinica, lì ci sono anche Anna e Daniel. Daniel dice loro che Jamie ha con sé un cellulare, si fa accompagnare nel laboratorio da Mercy per recuperare il suo per chiamarlo e, senza farsi vedere, prende un bisturi. Anna, intanto, si fa accompagnare da Keith in un’altra ala del sotterraneo per recuperare un antidolorifico per Lee. Lee ne approfitta per prendere una pistola che aveva nascosto lì vicino. Nel mentre, Jamie arriva alla clinica

e i due vendicatori gli stanno per sparare ma, prontamente, Daniel punta il bisturi al collo di Mercy e costringe Keith a buttare la sua pistola a terra ma Mercy dà un pugno a Daniel e riesce a liberarsi. Lee spara a Mercy e la uccide, Keith sta per uccidere Daniel ma Anna gli spara e muore anche lui. contemporanei: per esempio Beth, Beth si sveglia dal coma. la donna malata, piuttosto che staTemple è una serie te- re attaccata a una macchina in stalevisiva originale Sky to comatoso per chissà quanto temcreata da Mark O’Rowe po chiede al marito di gettarla in e basata sulla norvegese mezzo al mare (qualora le terapie Valkyrien. La storia racconta di non dovessero funzionare). Beth va un uomo disperato che, sentendosi in coma ma Daniel è sicuro di poin colpa per aver tradito a lungo la terla salvare e fa l’opposto di quanmoglie, farebbe di tutto pur di sal- to richiesto dalla moglie. Le riflesvarla da una malattia incurabile. sioni sui temi dell’eutanasia; dello I tentativi di guarigione avvengo- scontro morale tra il desiderio di no con fatica e non pochi imprevi- una persona che più non può opsti, in un luogo ubicato al di sotto porsi e la smania di potere, i sensi della metropolitana londinese, tra di colpa, di un uomo che crede ancora di poter redimersi salvando la criminali e pratiche illegali. I presupposti per creare una se- vita di una donna che non ha amarie avvincente e originale ci sono to abbastanza, alla quale ha mentutti, data la trama particolare e tito per troppo; del fino a che punto ricca di spunti di riflessione, ma sono giustificabili azioni che non purtroppo il risultato è mediocre. lo sono se in questione vi è la vita La sceneggiatura non trasporta la di una persona a noi cara, sono visione, che appare lenta, priva di tutti enormi spunti di riflessioni, colpi di scena, prevedibile sin dal argomenti importanti, pesanti, di primo episodio. I personaggi non difficile soluzione, che non vengono sono costruiti in maniera comple- trattati se non superficialmente a ta, non sono approfonditi dal pun- favore di una trama scarna ed into di vista psicologico: sono piatti. sipida. Temple vorrebbe essere una Sicuramente l’obiettivo era quello serie televisiva crime, un thriller in di mostrare il cambiamento di un grado di tenere sulle spine il suo uomo per bene e di un chirurgo ri- spettatore fino all’ultimo episodio e spettato, come Daniel, rendendolo, stupirlo inaspettatamente ma, anepisodio dopo episodio, sempre più che in questo caso, i risultati sono immorale, cattivo, senza limiti o fallimentari. Temple non dà nulla scrupoli, un po’ à la Breaking Bad al suo fruitore: non dona punti di ma (chiaramente) con scarsissimi vista originali (sarebbe stato molrisultati. Temple, a tratti, cerca di to interessante, a questo proposito, inserire nei dialoghi qualche bril- approfondire la scelta di adesione lante battuta per alleggerire un da parte di Lee al survaivalismo, po’ la pesantezza dei temi trattati, argomento che la serie continua a cercando di strappare un sorriso citare e dare per scontato ma che allo spettatore ma, anche in questo mai spiega nel dettaglio), non procura ansia, eccitazione, sorpresa, caso, non riesce. La serie poteva avere grande po- non è emozionante, non c’è immetenziale, analizzando approfondi- desimazione o empatia con nessutamente molti aspetti complicati e no dei personaggi.

T

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La fotografia è ben curata: riesce a trasmettere la cupezza della clinica sotterranea e il modo freddo e luttuoso che si trova al di sopra della metropolitana. La fotografia forse riesce a trasmettere più emozioni dei personaggi e della nar-

razione, che spesso pare ridicola e sconclusionata. La maggior parte dei flashback, che sistematicamente si inseriscono nel flusso narrativo, sono inutili ai fini della trama e rendono il concatenarsi degli eventi ancora più lento e noioso. Nonostante il risultato deludente, il finale di questa prima stagione lascia ben sperare a dei risvolti molto più interessanti per la seconda (già confermata). Temple termina infatti con la sparatoria che vede Keith e Mercy uccisi nella clinica e con il risveglio di Beth. Sa-

di Philip Koch e Florian Baxmeyer

rebbe interessante giocare la trama della continuazione della storia sui problemi che la riapparizione della donna potrebbero comportare (come comunicare al mondo che non è mai realmente morta, né tantomeno suicidata, per esempio). I presupposti per un riscatto ci sono e sono anche promettenti, si spera che vengano accolti per la creazione di una stagione più avvincente, come la trama ci suggerisce che potrebbe essere. Gaia Antonini

TRIBES OF EUROPA

Origine: Germania, 2021 Produzione: W&B Television Regia: Philip Koch e Florian Baxmeyer Sceneggiatura e Soggetto: Philip Koch, Jana Burbach, Benjamin Seiler Interpreti: Henriette Confurius (Liv), Emilio Sakraya (Kiano), David Ali Rashed (Elja), Melika Foroutan (Varvara), Oliver Masucci (Moses), Robert Finster (David), Benjamin Sadler (Jakob), Ana Ularu (Grieta), Jeanette Hain (Amena), James Faulkner (Padre), Johann Myers (Brecker), Jannik Schumann (Dewiat) Distribuzione: Netflix Durata: 6 episodio di circa 45 minuti l’uno Uscita: 19 febbraio 2021

EPISODIO 1 “CAPITOLO 1” “Nel 2029, un misterioso blackout mondiale portò a decenni di caos e anarchia. I vecchi Paesi scomparvero. Emersero numerosi micro-stati con proprie credenze e identità culturali. Sono le Tribù.” La serie si apre

“N

nel 2074, tre ragazzi appartenenti alla tribù degli Origine sono insieme nel bosco per cacciare il loro pranzo. Improvvisamente uno strano aereo perde il controllo e si schianta lì vicino. Elja e Kiano vorrebbero andare ad indagare ma Liv li convince a tronare al Rifugio per stare al sicuro. Liv comunica al capo della tribù quanto appena visto, anche lui crede sia meglio non approfondire (gli Origine vivono in armonia con la natura e la loro filosofia è quella di non impicciarsi negli affari a loro esterni, infatti pochissime tribù sanno della loro esistenza). Lord Varvara, appartenente alla malvagia tribù dei Corvi, si reca dal suo Capitano per comunicargli della caduta dell’oggetto volante nei pressi del territorio del sud, tale mezzo viene da loro riconosciuto come un hoverjet atlantideo. A Varvara viene promessa una posizione di High Lord nel caso riesca a recuperare il contenuto dell’hoverjet. I tre ragazzi della tribù Origine stanno discutendo sul fatto di andare o meno verso l’aereo schiantato: Kiano spera di poter trovare delle risposte riguardo al 72

Dicembre Nero (quando il vecchio mondo civilizzato finì improvvisamente). La sera stessa Elja, il più piccolo del trio, viene iniziato per entrare nella cerchia degli adulti degli Origine (il rito si conclude con l’incisione del simbolo della tribù sul suo braccio). Gli Origine, creati dalla madre di Liv (ora defunta), sono un popolo che ha sempre cercato di estraniarsi dalle faccende egemoniche del nuovo mondo ma ora, anche il loro attuale capo (Jakob), decide che è arrivato il momento di esporsi maggiormente. L’indomani Jakob e i ragazzi si avvicinano all’oggetto volante, Elja vede in lontananza uno strano cubo e lo prende con sé, subito dopo si allontana di nascosto per cercarne il proprietario. Il ragazzo entra in un edificio abbandonato e lì vi trova il pilota dell’hoverjet, ferito gravemente. Elja subito torna al Rifugio per procurarsi delle medicine, Liv lo scopre e insieme decidono di portare l’uomo al loro villaggio per operarlo. Intanto, Jakob e un altro membro anziano della tribù raggiungono una parte della foresta protetta


dalla tribù dei Crimson. Il luogo è però inabitato, tutti i suoi membri sono stati uccisi. Solo uno di loro è in vita e l’unica cosa che riesce a dire loro, prima di esalare il suo ultimo respiro, è che sono stati i Corvi ad ucciderli perché cercavano il pilota atlantideo. Elja consegna all’atlantideo il suo cubo, l’uomo dice di essergli grato: gli spiega che quell’oggetto è molto importante per il futuro del mondo, in quanto sta giungendo una minaccia dall’est, e consegnarlo al suo popolo è fondamentale per la salvezza dell’umanità. Il pilota prega il ragazzo di aiutarlo nella sua impresa. Dopo pochi minuti i Corvi (capitanati da Lord Varvara) si presentano al Rifugio. Prima di attaccare gli Origine, questi respirano una strana droga per fortificarsi. La battaglia comincia: Elja si dirige subito dall’atlantideo, il quale gli consegna il Cubo e gli fa promettere di consegnarlo al suo popolo (il pilota fa accoppiare il Cubo al ragazzo); Elja scappa nella foresta, sotto consiglio di Kiano; Liv cade nel torrente dopo essere stato accoltellata al ventre, la ragazza perde i sensi; Lord Varvara cattura Jakob, Kiano e altri membri della tribù. Gli Origine catturati vengono sottoposti a un crudele interrogatorio da parte dei Corvi: vogliono sapere dov’è il Cubo che l’atlantideo aveva con sé ma nessuno dei catturati sa nulla. L’obiettivo della tribù dei Corvi è quello di conquistare l’Europa e conquistare l’egemonia assoluta sull’intero continente. L’episodio termina con la ripresa di coscienza da parte di Liv. EPISODIO 2 “CAPITOLO 2” I Corvi hanno fatto schiavi i loro prigionieri (Jakob e Kiano inclusi) e li stanno portando nel loro territorio. Intanto Liv, gravemente ferita, si automedica e si dirige verso il Rifugio. Sente delle voci avvicinarsi, si arma e ferisce una ragazza dei Corvi che stava cercando il

Cubo. Liv le punta un coltello alla gola e la costringe a dirle dov’è finita la sua famiglia: i sopravvissuti sono a Brahtok. Improvvisamente arriva l’esercito dei Crimson che prega Liv di non ammazzare la Corva. Il ragazzo a capo del gruppo (David) fa perdere coscienza a Liv e la porta al campo Ahrenberg (i Crimson sono una grande tribù che si professa Repubblica, sono l’opposto dei Corvi: il loro obiettivo è quello di riunire pacificamente l’Europa rispettando le differenze culturali di ogni popolo). Liv si risveglia dopo essere stata curata e subito comunica a David di voler entrare a Brahtok per liberare la sua famiglia. Brahtok è una fortezza invalicabile e invulnerabile nella quale i Crimson tentano di introdursi da anni, si colloca dove un tempo vi era Berlino: l’unico modo per riuscire ad entrare è da schiavo o da Corvo. Elja si accorge di aver rotto il Cubo, si reca in un edificio abbandonato per cercare degli attrezzi con il quale aggiustarlo. Nell’edificio c’è un’altra persona (Moses) che si presenta come aggiustatore e rivenditore di oggetti elettronici. Il ragazzo gli mostra il Cubo, l’uomo riesce a rubarglielo e a scappare, Elja prova ad inseguirlo ma nulla da fare. Arriva un Corvo a cavallo che lo abbatte ma Moses riesce a tornare indietro e a salvare il ragazzo da una morte certa, lo carica a bordo del suo furgone per scappare dagli altri Corvi che stanno arrivando. Moses riesce a seminare i nemici e riconsegna il Cubo a Elja, con la condizione di venderlo e spartirsi i profitti una volta aggiustato. Il ragazzo accetta la sua proposta e i due iniziano a dirigersi verso l’unica persona in grado di poter aggiustare quell’oggetto. Al campo Ahrenberg, Liv sta cercando di convincere i Crimson a farla parlare con Grieta (la Corva che stava per uccidere, ora loro prigioniera) per avere informazio73

ni sull’entrata a Brahtok. Grieta è una Bozie (una guerriera Corvo del più alto grado possibile). Liv riesce a convincere David a parlare con la prigioniera, la quale le dice che la sua famiglia probabilmente sopravvivrà tre mesi al massimo (nella fabbrica dove lavorano come schiavi sono a contatto dei gas velenosi). Liv le dice che sarà proprio lei a portarla nell’impenetrabile città in cambio della sua libertà. Intanto, a Brahtok Kiano viene separato da Jakob e dagli altri Origine. Il ragazzo viene portato nella fabbrica-prigione. EPISODIO 3 “CAPITOLO 3” Elja e Mores sono in viaggio per riparare il Cubo. Il ragazzo chiede spiegazioni riguardo il Dicembre Nero: Mores gli spiega che vi fu un blackout mondiale della tecnologia, secondo lui la fine del vecchio mondo fu causata dagli Atlantidei (gli unici che dispongono della tecnologia come prima, il Cubo infatti appartiene a loro). Kiano è nella fabbrica per lavorare e fa amicizia con un ragazzo (Linus) che è lì da tempo, il quale gli spiega di essere stato fortunato ad essere stato collocato in quella parte di edificio (lì gli schiavi non lavorano a contatto con i gas velenosi). Kiano vuole andarsene e chiede a Linus se vi sia una via d’uscita: l’unico modo è quello di ottenere un Boj, un duello mortale tra schiavi per la libertà, il vincitore diventerà un Corvo (i Boj sono decisi e organizzati da Lord Varvara).


ne andò promettendole di tornare presto ma sono passati oltre due anni dalla sua partenza e la donna è furiosa. Alina accetta di aiutarli intenerita dal ragazzo. Il Cubo non sembra funzionare ma quando Elja lo prende tra le mani, questo gli scannerizza gli occhi, inizia improvvisamente a volare e mostra uno strano spetA Liv viene assegnato il compi- tacolo olografico. to sorvegliare la cella di Grieta e subito le comunica di volerla pre- EPISODIO 4 “CAPITOLO 4” sto liberare per andare insieme a Dopo lo spettacolo del Cubo, liberare la sua famiglia. I Crimson Amena lo analizza e capisce che temono che i Corvi abbiano il Cubo l’oggetto ha bisogno di un nuovo e decidono di organizzare la spedi- modulo di fusione, l’unico che può zione per Brahtok il prima possi- aiutarli è Bracker (un collezionista bile, Liv deve convincere la Corva di tecnologie sopravvissute al Dia parlare per scoprire il modo più cembre Nero). Moses è riluttante a sicuro per entrare nella fortezza. raggiungere l’uomo, al quale deve La ragazza dice a David che l’u- dei soldi, e propone di venderlo nico modo per avere delle infor- rotto, Elja si arrabbia perché il mazioni dalla prigioniera è quello loro accordo non prevedeva di vedi andare da lei insieme: arrivati dere il Cubo una volta riparato. davanti alla sua cella, Liv picchia Moses allora, intenerito dalla reae ammanetta il ragazzo per ave- zione del ragazzo, decide di affronre la fiducia della Corva; la libera tare Bracker. e le due iniziano a scappare nei Kiano, a Brahtok, sta per esboschi verso Barhtok. In mezzo sere giustiziato per aver accusaal bosco, Liv accende un razzo di to un Bozie. Lord Varvara trova soccorso subito dopo aver ottenuto però il Wolk rubato nell’intestino le informazioni che le servivano: i del ragazzo morto; chiede al Bozie Crimson, già in postazione, cattu- coinvolto chi altri centrassero con rano nuovamente Grieta. Tornati la faccenda; il Bozie indica un colal quartier generale, David e Liv pevole e Linus; Varvara li impicca si baciano. entrambi e costringe il Bozie a suiKiano nota due ragazzi del suo cidarsi. Kiano viene portato alla dipartimento rubare il Wolk (la reggia di Varvara. sostanza che gli stessi prigionieri Liv diventa, fino a quando non preparano) per darlo a uno dei Bo- raggiungerà il suo obiettivo di libezie, vuole approfondire la faccen- rare la sua famiglia, una soldatesda: usando quella sua conoscenza sa Crimson. David sta spiegando potrebbe ottenere un Boj. Il ragaz- a lei e a tutti gli altri soldati come zo chiede a Linus di aiutarlo, i due riuscire ad entrare nella fabbrica si recano dallo spacciatore: Kiano e distruggerla: l’obiettivo è liberalotta con il ragazzo e lo uccide. re gli Origine e indebolire l’appaDopo essere stato scoperto, Lord rato economico dei Corvi. Tutto è Varvara lo interroga: lui indica il pronto per la spedizione e i soldati Bozie che collabora in questo giro stanno per partire ma immediatamente li raggiunge il comandante di spaccio. Intanto, Elja e Mores arriva- dei Crimson, il Padre, il quale gli no da Amena (l’unica persona in ordina loro di non partire, accusa grado di riparare il Cubo), i due David di tradimento, lo fa arrestaavevano una relazione: Mores se re, lo dimette dalla sua posizione 74

di potere e ordina che tutti i soldati del campo Ahrenberg vengano riportati nella Capitale (dove si trova tutto l’esercito Crimson). La missione venne sospesa dal Padre perché non in linea con i principi della loro Repubblica: non era una spedizione pacifica, avrebbe provocato la morte di molte persone. Kiano giunge alla reggia e capisce presto di non essere stato portato lì per il Boj da lui sperato. Nel luogo ci sono altri ragazzi, i Lubovnik, degli schiavi sessuali di Varvara. Anche Kiano è diventato uno di loro. Alla sera gli schiavi cenano insieme alla loro padrona e, nel momento in cui deve scegliere con chi passare la notte, non sceglie Dewiat (il suo favorito), ma il nuovo arrivato. Nella camera da letto di Varvara, sorvegliata da molti Bozie, a Kiano viene ordinato di spogliarsi e di fare sesso con la donna. Mores e Elja sono in viaggio per raggiungere Bracker, sulla strada incontrano una famiglia in fuga proveniente dall’Est. I fuggitivi confessano di star scappando dagli Sciami Neri: una pericolosa minaccia in arrivo in Europa che farà morire tutti al loro arrivo. Arrivati da Bracker, quest’ultimo capisce che vista la loro necessità di un modulo di fusione, sicuramente i due saranno in possesso di un Cubo Atlantideo. L’uomo ruba il Cubo a Elja. Intanto, a Brahtok i Lubovnik sono ad una festa in discoteca con Varvara. Kiano intravede Jakob con il Capitano dei Corvi: è diventato il suo schiavo personale. Tornato dalla festa, Kiano passa nuovamente la notte con la sua Lord, la quale gli dice di sapere che Jakob è diventato lo schiavo del Capitano. Varvara ordina ai suoi Bozie di lasciarla da sola con il ragazzo. EPISODIO 5 “CAPITOLO 5” David è nella prigione del campo in attesa di essere portato alla


Capitale e giustiziato. Liv gli porta la sua razione di cibo, il ragazzo le chiede di uccidere il Padre per evitare che il piano di tregua pacifica con i Corvi venga realizzato. Un soldato alleato di David le consegna il veleno da mettere nel bicchiere del Padre quella stessa sera, per eliminarlo senza sospetti. Liv raggiunge il Padre nel suo ufficio per parlare dell’imminente spedizione pacifica nel territorio dei Corvi, la ragazza è quasi sul punto di avvelenarlo ma le sue parole la convincono a non farlo e a partire con lui per la missione: consegneranno la loro prigioniera Corva in cambio della liberazione degli Origine. Liv comunica a David la sua decisione. Kiano, intanto, chiede a Lord Varvara come ottenere un Boj e diventare Corvo, la donna è offesa dalla sua richiesta perché il ragazzo è di sua proprietà. Gli propone un duello con lei e lo mette a terra in pochi minuti. Moses e Elja sono stati sbattuti fuori dall’ufficio di Bracker, Moses riesce a distrarre le guardie insultandole così da far entrare il ragazzo per ritirare il Cubo. Moses viene portato da Bracker e il ragazzino, per mettere le loro vite in salvo, racconta all’uomo tutta la verità intorno al Cubo: come mai lo aveva lui e che promessa aveva fatto al suo precedente proprietario (cosa che non aveva ancora confidato al suo compagno di viaggio). Elja mostra a Bracker che quello che dice è la verità attivando il Cubo e mostrandogli lo spaventoso spettacolo olografico. L’uomo è impaurito, gli consegna il pezzo necessario per il funzionamento dell’oggetto e libera la coppia. I due stanno per riprendere il loro viaggio ma improvvisamente arriva un gruppo di Corvi. Intanto, a Brahtok Lord Varvara viene invitata, insieme ai suoi Lubovnik, a cena dal Capitano. La donna spera di ottenere lo statuto di High Lord. Al palazzo c’è anche

Jakob e, con la scusa di dover andare in bagno, riesce ad incontrarsi con Kiano, ma Dewiat li vede. Il Capitano comunica a Varvara di aver deciso di dare il titolo che lei si aspettava ad un altro Lord, il Capitano è molto deluso da lei perché i suoi Bozie non sono ancora riusciti a recuperare il Cubo. Varvara decide di passare la notte con Dewiat, Kiano viene chiamato dopo poche ore dai Bozie, che gli mostrano il cadavere del ragazzo (fatto fuori dalla donna probabilmente per dimostrare il suo potere). La sua padrona obbliga Kiano ad uccidersi a sua volta, perché a conoscenza del suo incontro con Jakob. Il ragazzo spinge violentemente il pugnale contro il suo petto e, appena prima di morire, Varvara lo ferma dicendogli che ora è pronto per ottenere il Boj.

A Brathtok, Kiano si sta preparando per il suo Boj ma, una volta entrato nell’arena, vede il suo avversario: Jakob. Kiano non vuole combattere, il Capitano gli dice che se uno dei due non verrà ucciso, entrambi verranno impiccati. Jakob gli dice di ucciderlo ma Kiano non ha le forze per farlo, allora Jakob si dirige da solo il pugnale del ragazzo sul suo petto e muore. Varvara gli dice che ha organizzato questo duello per liberarlo dal suo passato. Ora è il momento della sua iniziazione, Kiano è diventato un Bozie sotto il controllo di Lord Varvara. Intanto Moses e Elja sono vicinissimi all’Arca ma, poche centinaia di metri prima di arrivare, il Cubo si spegne smettendo di fargli da navigatore. I due provano a guardarsi intorno ma non vedono segni di vita nei pressi della spiaggia dove il Cubo li ha diretti. Elja è furioso perché pensa che l’Atlantideo gli abbia mentito, quindi lancia il Cubo nel mare per liberarsene ma, non appena l’oggetto si avvicina all’acqua, questo inizia a fluttuare. Appare improvvisamente una sorta di ascensore (anch’esso a forma di Cubo) che probabilmente porta alla città sottomarina degli Atlantidei, Moses e Elja salgono, l’ascensore si chiude.

EPISODIO 6 “CAPITOLO 6” I Corvi hanno catturato Moses, Elja riesce a trasformare il Cubo in arma e ucciderne alcuni. I due riescono a scappare facendosi guidare dal Cubo, che però è quasi scarico, in direzione Arca (la terra degli Atlantidei). Moses si convince ad aiutare il ragazzo e a non vendere l’oggetto. Liv prima di partire per la spedizione pacifica consegna ai soldati di David il pass per poterlo liberare di prigione. Liv e i Crimson sono Tribes of Europa è una in viaggio verso Brahtok insieme a serie tedesca distopica/ Grieta. Giunti al luogo, una schieapocalittica che rientra ra di Corvi li aspettano per opporin quell’insieme di nuosi al loro ingresso. Il Padre chiede vi prodotti seriali germanici che che portino lì il Capitano per negoziare una tregua, prima che arrivi stanno avendo molto successo inizia una sparatoria proveniente dalle case abbandonate intorno alle porte di Brahtok. I Corvi e il Padre vengono uccisi; Liv riesce a nascondersi insieme a Grieta (che però viene colpita al ventre). Liv scopre che è stato David ad organizzare la sparatoria, il ragazzo la trova nel nascondiglio e le propone di andare con lui, ma lei rifiuta. Grieta muore dissanguata.

T

75


dopo la fortunata Dark (la serie in questione vede in gioco, infatti, gli stessi produttori). Purtroppo, però, nonostante i produttori siano gli stessi, Tribes of Europa risulta essere un prodotto al quale manca quella maturità e originalità che resero Dark una delle serie, tuttora, più in voga sulla piattaforma Netflix. Ambientata in un futuro distopico, non troppo lontano, causato da un blackout totale del mondo tecnologico, Tribes of Europa si vorrebbe porre come una serie televisiva in grado di spiegare le conseguenze che potrebbero generare da una catastrofe che realmente ci rovinerebbe la vita, ma non lo fa: piuttosto si limita a rendere questo nuovo mondo surreale, fantascientifico, poco credibile. La tecnologia, o meglio, la sua assenza improvvisa, portò alla fine del mondo come noi lo conoscevamo ma, nonostante sia stata proprio la tecnologia a causare questo nuovo ordine mondiale, ancora la si cerca, ancora è simbolo di potenza per chiunque ne sia in possesso (da qui la battaglia alla conquista del Cubo, l’unico oggetto tecnologico funzionante nel mondo). La serie cerca anche di farsi paladina dell’importanza dell’unione dell’Europa (all’indomani della

Brexit) ma il tutto sembra fin troppo pregno di retorica dal momento in cui le tribù sono estremizzate tra bene e male: i Corvi sono i cattivi che vogliono l’egemonia e le ambientazioni delle fabbriche, dove tengono i loro schiavi, sono dei veri e propri campi di concentramento; i Crimson sono i buoni, coloro che vorrebbero unire il continente sotto la loro Repubblica ma che, alla prima occasione di conquista di Brahtok, si trasformano anche loro in un esercito violento (arrivando ad uccidere il loro Padre, dall’animo pacificatore). In un periodo come quello a noi contemporaneo, in cui sono in molti a riflettere su questo dilemma (se sia bene o meno fare parte dell’UE), Tribes of Europa poteva essere senza problemi un prodotto ideologicamente schierato dalla parte degli europeisti, ma l’esasperazione di questo aspetto rende le sue intenzioni piuttosto banali e ridicole (si pensi al discorso che il Padre fa a Liv prima di entrare nel territorio dei Corvi) trasformando i suoi personaggi, dalle azioni fin troppo ovvie e piuttosto esasperate, in scontati esponenti di una o dell’altra fazione. Un prodotto come questo avrebbe potuto unire questi due aspetti (gli ipotetici disastri causati dall’assenza improvvisa della tecnologia e gli ipotetici disastri causati dal disgregamento dell’Unione Europea) in maniera poetica e razionale, ma non lo fa: propone piuttosto una trama insensata in cui tutto vale (visto che siamo in un futuro distopico completamente inventato) e in cui si pensa ancora a recuperare prima di tutto la tecnologia, al posto dell’arte, della ricostruzione delle città o delle istituzioni. Anche le tribù “buone” non pensano alla creazione di una società mondiale a partire dalle sue componenti basilari: anche loro vogliono la tecnologia per dimostrare la propria potenza e riuscire a sconfiggere i “cattivi” (ancora non 76

si sa però quali siano le effettive capacità del Cubo e quali benefici potrebbe portare). Un altro carattere poco piacevole della serie appartiene all’aspetto visivo. Tribes of Europa manca di originalità e questo lo si vede nel miscuglio di elementi provenienti da altri prodotti molto popolari, e quindi facilmente individuabili: si pensi all’abbigliamento e al trucco dei Corvi (ma anche alla droga che inalano prima dei combattimenti), identico a quello dei Figli di Guerra di Mad Max; oppure alla figura di Lord Varvara, chiaramente copiata dalla Lady Gaga di Bad Romance; o ancora a Liv, che pare una brutta copia di Katniss, Hunger Games. Questi elementi, purtroppo, non sembrano inseriti a mo’ di citazioni, se mai sottolineano l’evidente mancanza di ispirazione per la creazione di questo mondo distopico costruito frettolosamente. I personaggi sono stereotipati, mossi o dalla smania di potere o dalla ricerca della propria famiglia. L’unica coppia che si salva e porta avanti la parte della trama più divertente e interessante, è quella composta da Moses e Elja: i due rivesto anche i ruoli più importanti all’interno della narrazione ma, per il resto, nonostante il genere dovrebbe invogliare lo spettatore a seguire con molta curiosità la storia, il tutto risulta molto noioso e di un’assurdità poco giustificata. La serie termina con molti misteri irrisolti e quindi una seconda stagione verrà sicuramente finanziata da Netflix, si spera in un riscatto almeno dal punto di vista narrativo. Tribes of Europa potenzialmente potrebbe essere vista da molte persone: la trama, infatti, nella sua essenzialità, risulta molto interessante ma purtroppo le aspettative non vengono assolutamente soddisfatte. Gaia Antonini


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FILM

Film e Serial europei della stagione

La rivista, trimestrale, recensisce i film

italiani ed europei che escono in Italia e le serie televisive, sempre italiane ed europee.

Per ogni produzione riporta cast e credit. Il Ragazzo Selvaggio È uno strumento di lavoro utile per chi

Pubblicato a cura del Centro Studi dell’Europa, rivista di ricerca e Cinematografici è un bimestrale di una cinema, approfondimento per cinefili e studiosi, per televisione e linguaggi multimediali nella animatori culturali e insegnanti. Un storico per Scuole, scuola con più di trent’anni diarchivio vita. Siprezioso rivolge Università e Biblioteche. agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi Dal cuore alla mente! con la fruizione di film (serie televisive, Quaranta film appassionanti (che fanno riflettere) per imparare a parlare di cinema immagini in genere), recensioni di libri, dvd Uninternet. viaggio attraverso alcuni grandi film che e proposte veicolate da hanno fatto la storia del Cinema. Dai Il costo dell’abbonamento annuale capolavori del neorealismo italiano ai grandi classici americani del secondo dopoguerra fino è di euro 35.00 ad alcuni film dei giorni d’oggi. Le 43 schede critiche che compongono il Per abbonamenti: Centro Studi volume procedono - come suggerisce il titolo Cinematografici dal cuore alla mente, ossia dall’impatto emotivo che normalmente Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma la visione suscita nello spettatore all’analisi delle tecniche Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org compositive e creative di cui il regista si è Il costo dell’abbonamento annuo è di €26,00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma - Tel/Fax 06.6382605 email: info@cscinema.org Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org www.centrostudicinematografici.it

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Venezia, Vienna, Pordenone, Lisbona, Taranto, Lecce, Doha… Cronaca familiare, Rashomon Giulietta, Romeo e le tenebre Les enfants du Paradis

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