Film - 18 aprile-giugno 2021

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Anno XXVII (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

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CENTRO STUDI CINEMATOGRAFICI


Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: info@cscinema.org Aut. Tribunale di Roma n. 271/93

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Anno XXVII n. 18 aprile-giugno 2021 Trimestrale di cultura multimediale

Rifkin’s Festival La donna dello smartphone Le sorelle Macaluso Ötzi e il mistero del tempo Una intima convinzione Vulnerabili Easy Living - La vita facile Un altro giro Stay still Roubaix - Una luce nell’ombra Siberia Il cattivo poeta Ballo ballo Paradise - Una nuova vita I predatori Cosa sarà Volevo nascondermi Undine - Un amore per sempre Guida romantica a posti perduti Il grande passo Sul più bello Assandira Medium Lasciami andare Burraco fatale Si vive una volta sola Trash - La leggenda della piramide magica Il concorso Fellinopolis

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S E R I A L

SOMMARIO

La Cattedrale del Mar Mare fuori

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Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Silvio Grasselli Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Andrea Cardelli Jleana Cervai Alessio D’Angelo Marianna Dell’Aquila Giallorenzo Di Matteo Leonardo Magnante Fabrizio Moresco Giorgio Federico Mosco Flora Naso Sergio Scavio Giancarlo Zappoli

Pubblicazione realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema Ministero della Cultura

Stampa: Joelle s.r.l. Via Biturgense, n. 104 Città di Castello (PG)

In copertina In alto Rifkin’s Festival di Woody Allen, Usa, Spagna, Italia 2020. Al centro La Cattedrale del Mar (serial) di Jordi Frades, Salvador García Ruiz, Spagna 2018. In basso Le sorelle Macaluso di Emma Dante, Italia 2020. Progetto grafico copertina a cura di Jessica Benucci (www.gramma.it)


di Woody Allen

RIFKIN’S FESTIVAL Mort Rifkin, un ex insegnante di cinema, racconta all’analista la sua esperienza al Festival di San Sebastiàn. Arrivato all’hotel insieme a sua moglie Sue, assiste all’intervista di Philippe, un giovane regista osannato dalla critica che punta a risolvere la disputa israelo-palestinese con il suo nuovo film. L’uomo sospetta che tra quest’ultimo e la sua donna, che ne è l’agente, ci sia del tenero e per questo si mostra ostile. Tale situazione lo porta a fare sogni strani, ricalcati sui classici del cinema di tutti i tempi. Quella notte s’immagina da piccolo, in profondità di campo fuori dalla finestra, dentro Quarto potere. Al mattino Mort, lasciato solo da Sue che deve dedicarsi a Philippe, inizia a girare per la città. In testa ha sempre i grandi autori come Fellini e si identifica in 8 1/2, condividendo con il protagonista l’incapacità di concludere la propria opera, in questo caso un romanzo. Girovagando incontra Thomas, un produttore, che dice di aver visto Sue in spiaggia con Philippe. Mort gli confessa di avere uno strano dolore al petto da quando ha lasciato New York e si fa consigliare un dottore. A sera, Sue invita Philippe a cenare insieme a loro e i due iniziano a flirtare di fronte a Mort che viene a malapena calcolato. In camera, dopo un litigio, l’uomo sogna la possibilità di un ménage a trois in stile Jules et Jim. Il giorno seguente si reca dal dottore che in realtà è un’affascinante donna di nome Jo Rojas, della quale Mort si infatua. Mentre cerca in tutti i modi di fare colpo, scopre di avere molte cose in comune con lei e inizia a sperare di avere esami sballati per essere richiamato e rimanere in contatto.

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Dopo qualche giorno, triste per le impeccabili analisi, Mort sogna ad occhi aperti una relazione con Jo come in Un uomo, una donna, poi inizia a inventarsi dolori al solo scopo di rivederla. In poco tempo, riesce a ottenere un appuntamento per il giorno stesso ma, tornato in hotel per una doccia, viene intercettato da Sue che lo costringe a seguirla alla proiezione di Fino all’ultimo respiro con Philippe. Durante la visione si immedesima e immagina di coprirsi con le lenzuola fino alla testa come i protagonisti mentre parla con Sue di cose “a tre”. Durante l’ennesima visita in ambulatorio, Mort assiste a un violento litigio telefonico tra Jo e il marito e per questo decide di invitare la donna a bere qualcosa per sfogare la rabbia. Dopo aver discusso dei rispettivi matrimoni di fronte a un drink, i due si danno appuntamento al giorno seguente per visitare la città. Quella notte, dopo aver partecipato a un noioso cocktail party con Sue e Philippe, Mort sogna un confronto tra le ormai due donne della propria vita, che si trasforma in un elenco dei suoi difetti, per metà in svedese, come in Persona. La giornata successiva, mentre Sue è impegnata tutto il giorno con Philippe, Mort la trascorre in città con Jo. Durante il picnic pomeridiano, mentre discutono delle rispettive scelte in amore, la donna si addormenta e Mort inizia a vagare da solo nel bosco dove favoleggia di origliare il fratello e la moglie Doris che lo scherniscono per i suoi fallimenti a seguito di una cena in famiglia, come ne Il posto delle fragole. A fine giornata, Jo riaccompagna l’uomo ma durante il tragitto sono costretti a fare autostop a causa di una ruota bucata. Giunti a casa della donna per cambiare 1

Origine: Usa, Spagna, Italia, 2020 Produzione: Helen Robin, Letty Aronson, Erika Aronson, Jaume Roures per The Mediapro Studio, Gravier Productions, Wildside Regia: Woody Allen Soggetto e Sceneggiatura: Woody Allen Interpreti: Wallace Shawn (Mort Rifkin), Gina Gershon (Sue), Louis Garrel (Philippe), Elena Anaya (Jo Rojas), Sergi López (Paco), Christoph Waltz (Death), Steve Guttenberg (Jake) Durata: 92’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 6 maggio 2021

auto, beccano il marito a letto con un’amante. Rientrato in hotel, Mort scopre che Sue aveva mentito sulla giornata e, dopo aver sentito le sue menzogne e aver mentito a sua volta, va a letto e sogna una cena elegante dalla quale però non riesce a fuggire nonostante la volontà, come ne L’angelo sterminatore. In piena notte viene svegliato dalla moglie che, ubriaca, chiede il divorzio, confessando di essere stata a letto con Philippe. Il festival è finito e Mort decide di chiamare Jo per passare queste ultime ore insieme ma lei rifiuta. Avvilito, fa due passi in spiaggia dove immagina una partita a scacchi con la morte, la quale gli assicura di non essere ancora il suo momen-


to, come ne Il settimo sigillo. Dalla conversazione, però, Mort prende coscienza e capisce di dover tornare a insegnare cinema abbandonando il progetto del romanzo perché non sarà mai ai livelli di Dostoevskij. Alla fine di questo racconto, Mort chiede all’analista come interpreta ciò che gli ha appena detto. Dopo la tempesta mediatica che lo ha travolto, Woody Allen non è più visto di buon occhio dal pubblico e dai distributori degli Stati Uniti. Nonostante tutto, a 85 anni compiuti, non ha abbandonato né la penna né la macchina da presa e ha cercato “appoggio” oltreoceano, in particolare, in questo caso, in Europa. Rifkin’s Festival (una co-produzione Spagna, USA, Italia) è esattamente quello che si può definire un film “alla Woody Allen”: storie d’amore, tradimenti, situazioni dettate dal caso, forte introspezione; il tutto in una cornice comica e su sfondo urbano. Non siamo a New York (città che lui stesso ha plasmato cinematograficamente) ma ne sentiamo l’eco. Siamo invece a San Sebastiàn, cornice di un festival cinematografico, un luogo altro che crea l’occasione per il protagonista di riflettere sulla sua vita (altro grande tema alleniano) e sulla sua carriera. L’analitica ricerca interiore, cardine della poetica di Allen, qui viene resa evidente: il film si apre infatti nello studio di uno psicologo in cui Mort, alter-ego del regista in-

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terpretato da Wallace Shawn, è in terapia. Questo incipit, oltre a ciò, mette da subito in chiaro anche la natura dell’opera: un lungo racconto successivo ai fatti e, soprattutto, soggettivo (dunque probabilmente mediato dalla memoria). Se è vero che un regista mette sempre sé stesso in una pellicola, qui Allen, attraverso il suo protagonista, inserisce (con ogni probabilità) anche qualche riferimento alla sua situazione privata: il fatto che Mort inizi a provare dolore al petto dopo aver lasciato New York sembrerebbe riferirsi al quasi-esilio (attuale) del regista dal mercato americano. Dolore che trova poi “consolazione” nella dottoressa Jo, una donna spagnola che, allegoricamente, potrebbe richiamare l’Europa e il suo mercato, dove l’autore ha trovato spazio. Seppure quella americana sia una piazza più florida, Allen, per bocca di Mort, rifiuta la sua propensione per un cinema ultra-politicizzato col solo scopo di sbancare al botteghino e ricevere apprezzamenti dalla critica (un film può risolvere la disputa israelo-palestinese?). Per questo strizza l’occhio al vecchio continente (forse anche in modo funambolico) e ai suoi maestri che maggiormente rispetto a quelli americani hanno influenzato il suo cinema. Di fatto, attraverso l’inconscio di Mort, Allen cuce un ode ai classici della settima arte e ne ripropone le scene più iconiche deformate dalla sua personale lente comica, ma la-

di Fabio Del Greco

sciandone invariati i grandi temi (quelli che lui stesso giudica davvero importanti, al contrario della politica) da questi recuperati. Quarto Potere, 8 1/2, Jules et Jim, Un uomo, una donna, Fino all’ultimo respiro, Persona, Il posto delle fragole, L’angelo sterminatore e Il settimo sigillo, ognuno a rievocare un sentimento che merita di essere sviscerato. Allen si mostra in debito con queste pellicole: tutte quelle domande che da sempre rincorre e che caratterizzano la sua filmografia erano state già poste (magari sotto una luce diversa). Ciò che restava da fare era renderlo evidente, così come Mort che, a seguito di una partita a scacchi con la morte (stranamente interessata alla vita e dispensatrice di consigli su una sana dieta), prende coscienza della sua insignificanza nei confronti dei giganti della letteratura ai quali, con poca umiltà, tendeva ad affiancarsi: Mort come Sisifo, il romanzo come la sua fatica. Un’opera superficialmente e apparentemente esile che però si configura come una sorta di film-testamento (o film-confessione) in cui le parole di Mort al suo analista corrispondono a quelle di Allen verso il suo pubblico (meccanismo palesato attraverso la soggettiva-oggettiva finale). Una seduta collettiva che non poteva che concludersi con un ulteriore interrogativo: “Ha (avete) niente da dirmi dopo quello che le (vi) ho raccontato?” Giallorenzo Di Matteo

LA DONNA DELLO SMARTPHONE

Origine: Italia, 2020 Produzione: Fabio Del Greco

Un vecchio vedovo ansima a letto, scrive una letSoggetto e Sceneggiatura: Fabio Del Greco tera di proprio pugno in Interpreti: Chiara Pavoni (Miltred), Silvana uno studio. È nostalgico e Porreca (Silvana), Maria Grazia Casagrande (Colleague), Hanad Sheik (William) tormentato. È tarda sera, Durata: 87’ esce di casa accompagnato dal maDistribuzione: Monitore Film lessere, per le vie di Roma. Vicino Uscita: 5 marzo 2020 ad un ponte, che guarda con tropRegia: Fabio Del Greco

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po interesse, trova uno smartphone. È di una donna. Torna a casa, controlla il contenuto del dispositivo. Passa in rassegna foto e video. La stessa donna dello smartphone riprende scene di violenza su un vagone della metropolitana,


seguite da immagini di paese, forse il suo, una scampagnata. Poi arriva in città, a Roma, con un pullman, mangia in osteria, scene all’apparenza riprese spontaneamente con un cellulare. Assiste alla ricostruzione di una scena militare dell’antica Roma al Circo Massimo. La vita della donna prosegue con una passeggiata in un paese di mare, che si scoprirà essere Ostia, dove la donna - un’insegnante di scuola elementare - intervista qualche abitante del luogo. Silvana prende ruolo nella nuova scuola in cui è trasferita, tra giochi con i bambini e consigli di classe, inizia a litigare con alcuni colleghi, parla con una macchina da presa, si scoprirà successivamente diretta dal fidanzato, che appare in scena mentre la donna chiama i carabinieri per denunciare i soprusi subiti dalla collega. Silvana, il nome della nostra eroina, dorme male, tormentata dall’ansia. Cammina per un bosco, una pineta, finché non trova dei legionari - è un sogno. In una casa color pastello innaffia le piante, poi va al mare. Una tizia avanti con gli anni e volgarotta si fa fotografare in pose provocanti da un fotografo anglofono. Finito il triste rituale del set fotografico, la modella chiama la nostra protagonista per uscire, cosa che avviene, sul lungomare. Parlano di Fabio, il fidanzato di Silvana; l’amica arzilla invita la nostra ad una chat per fare sesso con uomini ricchi. Continua la serata, le amiche sono alla Festa del Cinema di Roma, parlano con un artista ciarlatano, che si rivela essere un gigolò, l’accompagnatore di una donna anziana e ricca. Una successione di eventi: l’uscita da una proiezione di un film, il bar dell’auditorium; nel frattempo il casanova da strapazzo sembra ubriaco, espansivo, ciarliero - è ripreso dallo smartphone della donna.

È ormai notte fonda, il movimento nei luoghi del festival finisce e i tre, maliziosi, si infilano dentro un hotel elegante. Il gigolò si addormenta, sbronzo. Ed ecco una festa, l’inaugurazione di una mostra, altro giro per locali, happening queer, poi una festa con lo stesso gruppo di marginali. Arriva la mattina - è lo stesso giorno? - le due amiche sono sempre in giro, infine alla presentazione di una manifestazione nei luoghi del roseto della Domus Augustea: Silvana lì conosce il figlio del Ministro della Pubblica Istruzione. Il furbo la invita a casa del padre; entrano ma il ministro, senza mostrarsi, non li accoglie. Il figlio però porta la sprovveduta in un salottino e le fa delle avances, che lei rifiuta. Lui si agita, beve, si taglia con il bicchiere. Lei, andando via di fretta, vede il ministro fumare, da solo. Continua la rassegna dei video del cellulare ritrovato da parte dell’anziano. La situazione di scontro di Silvana con la collega ostile continua, lei si lamenta con il fidanzato dell’ansia che l’assale, delle vessazioni al lavoro, non ce la fa più. Il fidanzato prepara un piano misterioso che ha come ingrediente l’arsenico. Prende la macchina, è davanti ad una villetta, da cui esce un piccolo fuoristrada, che lui decide di seguire. Alla guida la collega odiata da Silvana. La donna si è fermata a fare esercizi con degli strumenti disposti lì, in mezzo alla pineta. Anche lui si esercita, per dissimulare il pedinamento. Silvana fa la spesa e poi, al ritorno in macchina, chiama una collega per chiedere come fare un trasferimento. Va davanti alla scuola suggerita dall’amica per la nuova collocazione, che pare però molto degradata. Un ragazzo, William, incontra sul lungomare due altri tizi; Silvana prega poco lontano da lì. Poi appare William davanti a 3

lei, i due discutono. Lei continua a filmare scene di Ostia con lo smartphone, musica sulle panchine, nei parchi. Alla TV danno immagini di sommosse cittadine. Silvana passeggia sul lungomare, poi va a mangiare con William in un’osteria. Sono accompagnati da altri beoni, tutti eccitati, fumano mariJoana. William viene chiamato da un amico, deve andare subito: si scopre che deve ai due tizi del denaro per della droga. Lo minacciano con una pistola. Silvana visita una chiesa diroccata. Sente delle voci, compresa la sua, che parlano del disfacimento del suo paese. In un appartamento, quello di Silvana, squilla un telefono: lei dorme e non risponde. Un funerale, quello della mamma di Silvana. Fanno visita al cimitero, poi di nuovo in chiesa. Silvana è di nuovo a casa, legge un biglietto della mamma scritto per il suo diciottesimo compleanno. Una strada araba vuota, Silvana ci cammina sopra, è Istanbul. Moschee, monaci sufi, dervisci. Una fiaccolata dentro una chiesa. Silvana è da sola a Piazza Navona, di notte. Un tizio le offre un abbraccio, lei lo accetta. Lui le recita una poesia. È giorno, una festa di simil eleganza cafona in cui danza l’amica vista all’inizio del film. Silvana è sempre sola, va via, non risponde alla telefonata dell’amica che non l’ha trovata. Silvana il giorno dopo è sulla spiaggia, vede un legionario che la insegue, scappa. Ora il fidanzato è in un bagno, ha del veleno che mette dentro uno


spruzzino per i detergenti. Dorme poco, la notte si risveglia e mette il contenuto dello spruzzino in una bottiglietta d’acqua. Nel frattempo William viene chiamato da uno dei ragazzi che lo minaccia per un credito che William non risolve. Questi va in chiesa, poi al mare. Infine, recupera un pacco nascosto sotto un muro. Il fidanzato, in macchina, insegue di nuovo il piccolo fuoristrada dove sta la collega odiata da Silvana, che torna al parco per allenarsi. Lui sostituisce la bottiglietta della donna con la propria, piena di veleno. Lei beve l’acqua avvelenata, l’avvelenatore va via. William raggiunge il tizio che lo minaccia con una pistola: gli spara e lo uccide. Silvana si aggira tra i ruderi romani, sente delle voci, è agitata - è un sogno anche questo. Vede video di gattini, sorride. Di fronte a casa, dalla finestra vede un legionario, è impaurita. Il soldato prova ad entrare in casa, lei chiama disperata qualcuno, il telefono non funziona. Chiede aiuto dal terrazzo. Il legionario riesce ad entrare in casa, in-

fine in terrazzo. Vede Silvana, che è nascosta, terrorizzata sotto un tavolo. Il legionario le dice qualcosa in latino e le dona un bracciale con la testa di un leone. La donna che al pomeriggio aveva bevuto l’acqua con il veleno in piena notte si alza con dolori, beve dell’acqua. Silvana si sposa in barca con il fidanzato. Nella stessa barca fanno festa. Passa del tempo, Silvana dice al marito che la collega è tre giorni che non va al lavoro. Nel frattempo, la nostra protagonista va a correre in un parco e vede la collega bere dalla bottiglietta: è solo la sua immaginazione. Una sera cammina su un ponte e perde il telefono cellulare. Sfilate e manifestazioni non meglio definite. L’anziano chiama dal cellulare il numero del fidanzato, dicendo a Silvana di aver trovato il cellulare. Lei va a recuperare il telefono a casa del signore, a letto malandato. Entra a casa del vecchio, si guardano. La voce fuori campo dell’anziano recita la morale del film.

di Emma Dante

La precedente lunga e pedante sinossi ha la pretesa di essere anche una raffigurazione critica del film: una fatica, quella di raccogliere ogni snodo del film, fatta per render conto della velenosa polpetta che spetta da digerire allo spettatore che incappi in questa visione. Un ammasso di elementi narrativi slegati tra loro, senza avere cittadinanza in nessuna formula sperimentale o avanguardistica, stanno dietro il sonoro insuccesso di critica e di pubblico subito dal simpatico Fabio Del Greco, in questa occasione anche attore. C’è da dire che tale dilettantismo, quello irrimediabile e della peggior specie, al quinto lungometraggio indica una certa impermeabilità alla qualità, caratteristica quantomai inquietante. Il film viene salvato da qualche momento di comicità involontaria, e da una idea iniziale interessante: mescolare video personali e domestici ad una messa in scena di finzione, idea non inedita ma con del potenziale. Purtroppo l’imperizia ha condotto a un inevitabile tracollo.

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Sergio Scavio

LE SORELLE MACALUSO

Origine: Italia, 2020 Produzione: Rosamont, Minimum Fax Media, con Rai Cinema Regia: Emma Dante Soggetto: dalla pièce teatrale omonima di Emma Dante Sceneggiatura: Emma Dante, Elena Stancanelli, Giorgio Vasta Interpreti: Alissa Maria Orlando (Katia giovane), Laura Giordani (Katia adulta), Rosalba Bologna (Katia anziana), Susanna Piraino (Lia giovane), Serena Barone (Lia adulta), Maria Rosaria Alati (Lia anziana), Anita Pomario (Pinuccia giovane), Donatella Finocchiaro (Pinuccia adulta), Ileana Rigano (Pinuccia anziana), Eleonora De Luca (Maria giovane), Simona Malato (Maria adulta), Viola Pusateri (Antonella) Durata: 89’ Distribuzione: Teodora Film Uscita: 10 settembre 2020

Rimaste probabilmente orfane, le cinque sorelle Macaluso vivono affittando colombi per i matrimoni grazie a un allevamento spontaneo formatosi nella loro casa. Quella mattina il loro socio ne chiede ottanta e, una volta accontentato, le giovani iniziano a vestirsi per andare al mare. Antonella, la più piccola, osserva le sorelle con ammirazione mentre si preparano e chiede a Pinuccia, che si sta truccando, di metterle un po’ di rossetto. Nel frattempo Lia legge e fa dispetti e Katia si preoccupa di non rimare a digiuno.

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Nel tragitto per il mare, Maria mostra la sua passione per la danza e Antonella si lascia trasportare. Qui si imbattono in una sorta di parco pieno di dinosauri in cartapesta che decidono di esplorare e dal quale Katia e Lia rubano un uovo. Arrivate al Charleston, uno stabilimento balneare esclusivo, dopo aver scavalcato perché non autorizzate, si buttano in acqua senza svestirsi e iniziano a schizzarsi a vicenda. Maria ripropone il suo balletto e tutte la imitano. Una volta concluso, si allontana dal


gruppo e raggiunge il cinema all’aperto dove lavora la sua ragazza. Nel frattempo le altre sorelle tentano di salire su una scala sotto un pontile per raggiungere lo stabilimento ed entrare furtivamente. Pinuccia non crede sia una buona idea e si allontana; Antonella invece si lascia trasportare da Lia. Quando Maria torna allo stabilimento, la tragedia è già avvenuta. Molti anni dopo, Lia e Pinuccia vivono ancora insieme in quella casa/voliera, anche se il loro rapporto non è dei migliori. Katia intanto le sta raggiungendo in macchina, accompagnata dal marito che si mostra parecchio petulante sulla necessità di vendere l’immobile al più presto. Maria fa lo stesso dopo aver concluso il turno di lavoro. La rimpatriata è stata organizzata da quest’ultima che ha un annuncio da fare. Intanto Lia legge, Maria si abbandona a una danza e Pinuccia si trucca. In quel momento appare la piccola Antonella che le chiede del rossetto. Di nuovo insieme in quella casa iniziano a preparare la tavola con il corredo buono ma Katia rompe un piatto. Mentre tutte si chiedono il motivo della cena, Maria, che sembra debole, va a farsi un bagno. A fine cena la vediamo vomitare nel cestino e poi tentare di incollare pezzo per pezzo il piatto rotto. Purtroppo non può essere ricomposto interamente perché manca un piccolo frammento. Servito il dolce inizia una discussione tra Lia e Pinuccia che diventa molto violenta e costringe Katia e Maria a separarle. Ma i litigi continuano incessantemente. Tutto questo rancore alla fine ritorna al passato e capiamo essere scaturito da quel giorno al mare, giorno in cui la piccola Antonella perse la vita. Maria allora va in camera, indossa un tutù, torna in cucina e dice a tutte di avere un cancro, poi si abbuffa dei dolci avanzati. Tempo dopo, Lia, ormai anzia-

na, libera l’armadio dai vestiti, toglie i quadri dal muro e i libri dalla libreria; poi rompe i vetri con i quali la voliera al piano di sopra era stata chiusa, aprendo la strada al ritorno dei colombi e intanto ripensa alla morte di Antonella. Dopo si fa un bagno, ricuce il vestito buono e immagina Maria, morta anch’essa, che le legge un libro come in passato. Poco tempo dopo Katia raggiunge Pinuccia: Lia è morta. Contemporaneamente, le due sorelle rimaste, sembrano aver trovato un acquirente per la casa, che manda gli operai a rimuovere i mobili il giorno stesso del funerale. Quel maledetto ricordo però è ancora vivido. Dopo essere salita sulla scala, Antonella si spaventa alla vista di un bagnino che la sgrida e la fa scivolare causando la sua morte. Le sorelle Macaluso è l’adattamento cinematografico dell’omonimo spettacolo teatrale che ha portato la regista (di entrambe le produzioni) Emma Dante, alla vittoria nel 2014 di quello che è considerato il riconoscimento più importante in Italia in questo ambito, il premio Ubu. Come adattamento, il film perde le storie accessorie e conserva solo lo scheletro centrale, addolcito narrativamente grazie alla collaborazione in fase di sceneggiatura di Elena Stancanelli e Giorgio Vasta. Ma con ciò la regista non rinuncia ai tratti fondamentali della sua poetica: la descrizione e la comunicazione dell’universo culturale siciliano (siamo a Palermo, anche suo luogo di nascita), l’uso del dialetto (un po’ alleggerito per il grande schermo), lo studio dei corpi (ripresi spesso senza veli, in posizioni contorte o da angolazioni particolari), il tono spesso leggero ma intriso perennemente di drammaticità (in questo caso è esemplare l’utilizzo della musica extradie-

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getica in una scena in particolare, quella in cui le sorelle si recano spensierate in spiaggia, d’estate, commentata dalla canzone Inverno di Fabrizio De André, cantata da Franco Battiato), eccetera. La pellicola, secondo la regista, parla anche del tempo che passa inesorabile e per questo è suddivisa in tre atti, distinti da tre età anagrafiche differenti: gioventù, vita adulta e anzianità. Questo eterno scorrere colpisce evidentemente chi vive mentre chi non c’è più, seppur ancora presente, appare cristallizzato nella memoria (altro grande tema) e nel ricordo. Per questo motivo Antonella sarà sempre la bambina che era il giorno della sua morte. Proprio dalla memoria scaturisce il rancore che genera i conflitti in età adulta tra le sorelle. La responsabilità sull’accaduto è la scintilla che accende un fuoco di problemi psicologici derivati. Risentimenti che non possono e non riescono a essere colmati o risolti, identicamente a un piatto che si rompe: può essere incollato ma se manca anche solo un piccolo frammento, esso non tornerà mai come era prima. Persino quando la situazione sembra poco conflittuale


la ferita non si rimargina, nonostante si faccia ogni giorno più lontana. Lo scorrere del tempo spesso allevia il dolore ma non cancella i segni; un quadro rimosso dopo anni dalla parete vi lascia sempre un contorno più chiaro. Grande importanza viene data alla casa. Lunghe inquadrature la descrivono, la raccontano. Anch’essa subisce i contraccolpi de-

gli eventi: viva e vissuta nel primo atto, spoglia e grigia nell’ultimo; sovrappopolata nel primo da persone e colombi, vuota nell’ultimo (o meglio, abitata da anime in attesa della morte). Non a caso, in un’intervista, Emma Dante la definisce come “la sesta sorella”, quella che simultaneamente ami e odi ma che non puoi lasciare andare, neanche dopo tanto tempo.

di Gabriele Pignotta

Una tragedia familiare tutta al femminile, estremamente intima e delicata, con una regia composta ed efficace, spesso allusiva e velata, valsa il premio Pasinetti per il miglior film e per miglior attrice all’intero cast femminile durante la 77ª edizione del Festival del Cinema di Venezia. Giallorenzo Di Matteo

ÖTZI E IL MISTERO DEL TEMPO

Origine: Italia, 2018 Produzione: Manuela Cacciamani per One More Pictures con Rai Cinema Regia: Gabriele Pignotta Soggetto: Manuela Cacciamani, Carlo Longo Sceneggiatura: Carlo Longo, Giacomo Martelli, Davide Orsini Interpreti: Michael Smiley (Ötzi), Diego Delpiano (Kip), Alessandra Mastronardi (Gelica), Amelia Bradley (Anna), Judah Cousin (Elmer), Deirdre Mullins (Helena), Claire Cage (Marta Maier), Katja Lechthaler (Dottor Birke), Martin Thaler (Ispettore capo), Peter Schorn (Franz Maier), Hannes Perkmann (Julius), Simon Chin (Pasang), Vinicio Marchioni (Carl) Durata: 90’ Distribuzione: One More Pictures Uscita: 8 novembre 2018

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Kip, Anna e Elmer sono tre inseparabili bambini che passano il tempo nel loro quartier generale divertendosi con il gioco della caccia al tesoro. Alla morte della madre di Kip, importante studiosa della mum-

mia Ötzi, il padre, Carlo, decide di lasciare l’Alto Adige per trasferirsi a Dublino in vista di un nuovo lavoro. A Kip restano pochi giorni da passare con i suoi amici e, in uno di questi, decide di coinvolgerli nel suo desiderio di vedere nuovamente lo sciamano Ötzi al museo di Bolzano, come ultimo saluto in ricordo della madre. Nel frattempo, la malvagia strega Gelica trama qualcosa per ottenere i poteri delle mummie (che permettono di controllare il tempo) e spezzare un sacrilegio imposto da una di quest’ultime che la porta a invecchiare di un mese ogni giorno che passa. Giunti al museo a orario di chiusura, Kip prova una strana sensazione, presagio di ciò che sta per succedere: il ‘reperto archeologico’ si sta risvegliando e lo dimostra bloccando il tempo. Un infiltrato di Gelica al museo nota tutto, caccia i bambini e nella notte ruba Ötzi sostituendolo con un falso. Ötzi ormai sveglio, riacquisite le sembianze umane, viene portato nel covo della strega dove viene interrogato. Nonostante ciò riesce in qualche modo a mettersi in contatto con Kip che, colto il collegamento diretto con la (ormai ex) mummia, decide di aiutarlo, non senza coinvolgere i due amici. Arrivati nel covo, i bambini rie6

scono a liberare Ötzi e a inoltrarsi nei boschi. Nella fuga vengono però raggiunti e accerchiati dagli scagnozzi di Gelica. Perse le speranze di salvarsi, Ötzi mostra i suoi poteri fermando il tempo in modo tale da agevolare la fuga e rifugiarsi al quartier generale. Qui l’uomo dei ghiacci sfrutta le sue doti sciamaniche per imparare a leggere e parlare così da poter comunicare a Kip le sue origini: Kip è discendente di famiglia sciamana e, dunque, in grado di utilizzare i poteri connessi. Ma per poter padroneggiare al meglio la sua magia, Kip deve raggiungere la caverna magica con Ötzi. Quest’ultimo però non ricorda la sua storia e chiede di essere accompagnato al museo per ricostruirla. Entrati furtivamente (grazie alla magia) di notte, Ötzi ricorda ma sviene alla visione del falso della sua mummia. Non potendo più contare sui suoi poteri, i quattro vengono scoperti ma Kip riesce a fermare il tempo e a salvare tutti. Il giorno dopo il viaggio verso la caverna magica comincia. Nel frattempo al museo scoprono il furto della mummia e iniziano le indagini della polizia. Ad aiutarli c’è anche Carlo che scopre il collegamento tra la scomparsa di Ötzi e i bambini insospettito dalla visita della strega Gelica che, trave-


stitasi da curatrice del museo, lo aveva interrogato su suo figlio. Passata la notte, Kip perde la testa dopo aver scoperto che Ötzi sta tornando a essere una mummia, così si allontana condannando tutti alla cattura da parte di Gelica che li porta nel suo covo e li immobilizza. Qui il bambino racconta tutto alla strega che si farà immediatamente accompagnare da Ötzi nella caverna. Lasciati incustoditi, i bambini riescono a slegarsi e, complice la contemporanea retata della polizia (che ha scoperto la posizione del covo grazie alle mappe trovate al quartier generale), a salvarsi. Ma Kip deve salvare anche Ötzi. Insieme al padre si recano nei pressi della caverna magica e riescono a intercettare la strega. Kip usa i suoi poteri per liberare Ötzi che si scontra a colpi di magia contro Gelica, riuscendo a sconfiggerla. Nel finale, Kip è sottoposto a un rito di iniziazione nella caverna magica che fa riaffiorare in lui il ricordo della madre e lo rende sciamano a tutti gli effetti. Concluso il rito Ötzi è costretto ad abbandonarli perché il suo tempo sta per finire. Ma ormai Kip è perfettamente in grado di controllare il tempo, anche per evitare ritardi a scuola.

Volto noto del teatro, Gabriele Pignotta torna a dedicarsi alla regia cinematografica con questo piccolo gioiellino, premiato come miglior film nella categoria +6 al Giffoni Film Festival 2018. Ötzi e il mistero del tempo si inserisce alla perfezione nel filone del film per ragazzi e fa egregiamente il suo dovere: mostrare la - se non educare alla - ‘magia’ della Storia, dell’archeologia e dell’antropologia a un pubblico che è sempre troppo poco sensibilizzato a queste tematiche. Nell’ottica del target di riferimento, la narrazione (con sceneggiatura firmata da Carlo Longo, Davide Orsini e Giacomo Martelli) è semplice e standardizzata in modo da essere facilmente riconoscibile dai più piccoli, che possono godere di una storia fatta di amicizia, lotta contro il male (egoistico e fine a se stesso) e fantasia. Infatti il film sfrutta appieno il connubio tra realtà (la vicenda famosa in tutta Europa di quest’uomo proveniente dall’Età del rame, mummificato tra i ghiacci delle Alpi) e fantasia (il suo ritorno in vita e l’utilizzo di poteri ultraterreni) come metafora magica di un reale fantastico, ricco di cose da scoprire e con un passato da esplorare. Passato che, con una buona dose di immagina-

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zione, risulta attraente non solo per gli adulti. Anche gli spazi museali ne escono a testa alta. Il museo non è un semplice luogo austero e polveroso, ma ambiente in cui provare nuove sensazioni e nuove - seppur legate al passato - esperienze. Ambiente nel quale ogni artefatto, ogni pezzo, ha una propria storia che diventa presente nella mente delle persone (qui è piuttosto evidente l’eredità lasciata dalla saga Una notte al museo). Magia che è colonna portante di tutta la messinscena e che è rappresentata con effetti speciali degni di nota dato il budget inevitabilmente contenuto. A fare da cornice un cast internazionale nel quale, tra tutti, spiccano il protagonista Kip interpretato da Diego Delpiano, giovanissimo che ha già collezionato numerose esperienze di set, che mostra di avere un ottimo potenziale e Alessandra Mastronardi nei panni del villain, la strega Gelica, un personaggio pressoché piatto ma che riesce a incutere timore agli occhi di chi guarda. Seppur non privo di difetti (che spesso passano in secondo piano) il film è sicuramente da lodare sia per la realizzazione che per gli intenti. Giallorenzo Di Matteo

di Antoine Raimbault

UNA INTIMA CONVINZIONE

Origine: Francia, 2019

Il 27 febbraio 2000 Suzanne Viguier, madre di tre figli, scompare improvvisamente senza lasciare traccia. Subito Jacques Viguier, suo marito, viene sospettato di averla uccisa. Nove anni dopo, compare davanti alla corte d’assise e viene assolto dall’accusa di omicidio. Ma per Jacques non è finita: ci

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sarà un altro processo nel 2010 perché il PM della corte d’appello di Tolosa presenta ricorso. Nora, madre di Félix e di professione chef, che conosce Viguier perché la figlia dà ripetizioni a suo figlio, prende a cuore la causa e va a cercare l’avvocato Dupont-Moretti. La donna chiede al legale di occuparsi del caso Viguier in appello ad Albi. Di fronte alla riluttanza dell’uomo, la donna insiste 7

Produzione: Caroline Adrian Regia: Antoine Raimbault Soggetto e Sceneggiatura: Karim Dridi, Isabelle Lazard Interpreti: Marina Foïs (Nora), Olivier Gourmet (Maître Eric Dupond-Moretti), Laurent Lucas (Jacques Viguier), Philippe Uchan (Olivier Durandet), Jean Benguigui Durata: 110’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 30 luglio 2020


dicendo che non è neanche sicuro che Suzanne Viguier sia morta: non c’è un cadavere, non ci sono prove e neppure un movente. Lei gli vuole dare un dossier in cui è analizzata ogni singola parola del processo; è convinta che si tratti di un errore giudiziario. L’avvocato non ne vuole sapere. Qualche giorno dopo Dupont-Moretti convoca Nora per un incontro a Bordeaux. Lei racconta all’avvocato che la figlia di Viguier, Clémence, insegna matematica a suo figlio. Il legale le dice che il presidente della corte di Albi, Richiardi, gli ha fornito 250 ore di registrazioni telefoniche. L’avvocato le chiede di ascoltarle e annotare le cose interessanti. Ci sono anche le telefonate della donna con l’amante, Olivier Durandet. Quest’ultimo è convinto della colpevolezza di Viguier. Nora inizia ad ascoltare le registrazioni e si rende conto che Durandet aveva costruito un vero impianto accusatorio trovando fin troppi testimoni senza prove. Il processo d’appello inizia in salita. Il giudice Richiardi chiede a Viguier perché abbia aspettato dieci giorni prima di dire ad amici e colleghi che la moglie era scomparsa. L’avvocato non è soddisfatto del lavoro di Nora, ha bisogno che lei trovi nelle registrazioni qualcosa di grosso. Se Durandet dovesse parlare, sarebbero sconfitti. Nora si rimette al lavoro. Poco dopo, Dupont Moretti viene a sapere che Nora era una dei giurati del precedente processo di Tolosa. L’uomo si arrabbia e le dice di dimenticarsi di lui. Alla ripresa del processo

la testimonianza di Viguier sulla mattina in cui la donna era scomparsa è confusa e contraddittoria. Intanto Nora continua a esaminare possibili indizi. Riferisce all’avvocato che Durandet, la mattina successiva alla notte della scomparsa di Suzie, si era affrettato a convincere tutti che la donna era rientrata a casa quella notte. Nora si precipita da Dupont- Moretti e gli dice che Durandet si è tradito con la babysitter. Quest’ultima viene chiamata a deporre al processo ed emergono delle falle nella sua deposizione, Durandet era entrato nella casa dei Viguier con lei. L’avvocato le chiede se abbia mai pensato che le sue dichiarazioni potessero danneggiare il signor Viguier e che quell’uomo potrebbe essere condannato. Quelle dichiarazioni potrebbero privare i tre figli del loro padre. La donna crolla e ammette di aver nascosto dei dettagli importanti. Durante l’interruzione del processo, inizia a circolare la notizia che la deposizione della babysitter ha instillato dubbi nei giurati. Il processo riprende con l’interrogatorio del commissario di polizia che indagò sul caso. Ma una svolta alle indagini di Nora la dà la decoratrice di Suzie Viguier. La donna sostiene che la signora sia stata uccisa dall’amante Durandet e che si tratti quindi di un delitto passionale. Durandet viene interrogato. Mentre Nora cerca indizi validi per la difesa, si distrae perché riceve una telefonata dal figlio e viene investita. Se la cava con nulla di grave e torna dall’avvocato. In tribunale la pubblica accusa fa il suo discorso mentre Nora va a trovare nuovamente la decoratrice che le riferisce la sua convinzione che Durandet abbia ucciso Suzie e abbia voluto incastrare il marito. La donna e il suo amante dovevano mettersi in affari insieme, il movente sarebbero dunque i soldi. Ma l’avvocato respinge queste ipotesi perché non ci sono prove. Il giorno del verdetto 8

l’avvocato si appella alla giuria: se un giurato condanna in totale assenza di prove, avrà giudicato ma non avrà reso giustizia. Vigiuer prende la parola e chiede alla giuria di rendergli la sua dignità di uomo. La giuria si ritira e rientra per il verdetto di non colpevolezza. La morte di Suzanne Viguier non è mai stata confermata. È doveroso iniziare con un dato impressionante, riportato in chiusura nel film: in Francia più di 40.000 persone scompaiono ogni anno; di queste, 10.000 non vengono considerate. La vicenda raccontata dal film diretto da Antoine Raimbault (qui al suo primo lungometraggio) è ispirata a una storia vera, il caso 3436 che divise la Francia e diventò un fenomeno mediatico, cui sono stati aggiunti numerosi elementi di fantasia: in primis, la figura di Nora e la sua “intima convinzione”. Una decina di anni fa Jacques Viguier, professore di diritto a Tolosa appassionato cinefilo, fu assolto dall’accusa di aver ucciso la moglie Suzanne, scomparsa all’improvviso senza lasciare traccia lasciando marito e tre figli. La signora non fu più ritrovata. L’amante della donna si impegnò a far ricadere tutti i sospetti sul marito. Il film inizia quando l’accusa ricorre in appello a questa sentenza, aprendo di fatto un nuovo processo. Dieci anni dopo i fatti, l’imputato ritorna davanti a un giudice. Una donna coraggiosa e determinata, Nora, che scopriremo essere stata giurata nel primo processo, è convinta dell’innocenza dell’uomo e fa di tutto affinché il principe del foro Dupont-Moretti assuma la difesa nel processo d’appello. L’intera vicenda viene mostrata attraverso gli occhi di Nora, a lei l’avvocato affida una mole di registrazioni telefoniche da esaminare minuziosamente al fine di trovare

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qualche elemento utile a dimostrare l’innocenza dell’imputato. Una intima convinzione è un ‘legal drama’ particolare, teso e asciutto da una parte, intimamente coinvolgente dall’altra. Raimbault si appropria di un caso noto all’opinione pubblica francese e lo rielabora componendo un’opera arricchita di richiami cinefili (Hitchcock in primo luogo, con capolavori come La signora scompare e Il ladro). Un vero lavoro di cesello è stato fatto per le psicologie dei personaggi: Nora, chef e mamma, la cui ‘intima convinzione’ porterà a trascurare il lavoro, il figlio e l’amante solo per seguire un caso che rischia di trasformarsi in ossessione, l’avvocato di grido Dupont-Moretti severo e ruvido, l’imputato Viguier silenzioso per quasi tutto il film (le sue poche parole pronunciate nell’appello finale alla giuria sono però come pietre che spiazzano per misura e incisività). Il vero punto di forza del film sta in quel titolo, Una intima convinzione, un concetto che in Italia è “il libero convincimento del giudice”. Nella pellicola di Raimbault

si fa leva sul fatto che la passione umana delle persone, il senso di giustizia, l’intima convinzione sia insomma una leva importante che conduce verso una giustizia più vera. Sono proprio i singoli giurati che devono arrivare a quella convinzione di colpevolezza o innocenza che si traduce poi in giudizio. Come dice l’avvocato nella sua arringa finale “la giustizia è prima di tutto una decisione individuale prima di essere una decisione collettiva”. In tribunale si cerca non una verità assoluta ma una possibile verità che deve diventare poi quella approvata dalla collettività. Nora è convinta sostenitrice della ‘intima convinzione’ che dovrebbe guidare il giudizio, per questo scandaglia, ascolta e riascolta le intercettazioni telefoniche, cerca di analizzare ogni sfumatura delle voci. Più che un thriller o ‘legal drama’, il film segue un percorso non sempre lineare e accidentato verso la ricerca della verità. E proprio con l’affascinante tema della ricerca della verità il cinema ha giocato più volte, questa volta aggiungen-

do un capitolo nuovo. Mettendo insieme tante piccole tessere di un mosaico, il film poggia su una buona scrittura e un buon ritmo, tenuto insieme dalle eccellenti prove degli interpreti. Primi fra tutti Marina Foïs misurata e allo stesso tempo appassionata nei difficili panni di Nora e Olivier Gourmet che nel ruolo dell’avvocato Dupont- Moretti strappa gli applausi. Raimbault dirige con mano abile e reinventa un genere innestando degli elementi di novità che fanno del film uno dei prodotti più originali e riusciti dell’ultimo disastrato anno al cinema. Al di là del verdetto finale della giuria, rimane infine un uomo solo con i suoi tre figli e la scomparsa di una donna alla quale nessuno davvero sa dare risposta. Resta una di quelle 40.000 persone scomparse in Francia ogni anno, restano tante persone che hanno perso un marito, una moglie, una sorella, un figlio. Una città invisibile che cresce incessantemente e condanna all’attesa migliaia di famiglie. Elena Bartoni

di Gilles Bourdos

VULNERABILI

Origine: Francia, Belgio, 2017

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Durante la prima notte di nozze, Tomasz è più interessato a prendersi gioco della moglie Joséphine, consapevole dell’astio dei suoceri nei suoi confronti e sospettoso che la donna sia in contatto con il suo ex. Un anno dopo, la giovane Mélanie aspetta un figlio dal suo insegnante Yann, che sta per sposare nonostante sia molto più grande di suo padre Vincent, incapace di accettare il suo futuro genero. Nel frattempo, Joséphine ha tagliato i rapporti con suo padre Joseph e sua madre Edith a causa di To-

masz. Intanto, il giovane Anthony è costretto a interrompere la sua tesi per prendersi cura di sua madre, ricoverata in una clinica psichiatrica dopo l’abbandono del marito, fuggito con una ragazza più giovane. Venuti a conoscenza degli abusi subiti da Joséphine, Edith e Joseph denunciano il genero, ma la polizia non può intervenire senza la conferma delle violenze da parte della giovane. Nonostante la ragazza gli chieda di non immischiarsi, Joseph comunica a Tomasz di essere a conoscenza degli abusi ma il ragazzo promette di smettere, per poi tornare a 9

Produzione: Les Films Du Lendemain, Les Films Du Fleuve Regia: Gilles Bourdos Soggetto: Tratto dai racconti di Richard Bausch Sceneggiatura: Michel Spinosa, Gilles Bourdos Interpreti: Alice Isaaz (Joséphine Kaufman), Vincent Rottiers (Tomasz), Grégory Gadebois (Joseph Kaufman), Suzanne Clément (Edith Kaufman), Éric Elmosnino (Vincent Lamblin), Alice de Lencquesaing (Mélanie Lamblin), Carlo Brandt (Yann Petersen), Agathe Dronne (Marie Lamblin), Damien Chapelle (Anthony Gardet), Brigitte Catillon (Nicole Gardet), Pauline Étienne (Anna), Frédéric Pierrot (Laurent Gardet) Durata: 105’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 9 luglio 2020


e lo uccide, per poi fuggire sotto shock. Mesi dopo, Vincent va a trovare Mélanie che, nonostante le dimenticanze che iniziano ad affliggere il marito, è felice della sua vita e di come Yann si stia prendendo cura del figlio. Joséphine ha ripreso a lavorare e sta per diventare mamma.

casa e aggredire la moglie, in una lite violenta a cui assiste Vincent, trasferitosi nell’appartamento accanto dopo essersi lasciato con la moglie Marie. Nel frattempo, Anthony, sempre più solo, invita Anna, la donna delle pulizie, a uscire, ma la ragazza, dopo aver chiesto un anticipo, sparisce dalla circolazione. Vincent avvicina Joséphine e le consiglia di contattare Marie, che lavora in un’associazione che garantisce alloggi anonimi alle donne vittime di abusi domestici. Mentre Tomasz dorme, la moglie fugge di nascosto con la sua auto per incontrare Marie, a cui racconta la sua situazione e l’obbligo di abbandonare la famiglia e il lavoro per compiacere il marito, da cui è completamente dipendente. Tomasz, furioso, chiama la moglie e la obbliga a rientrare; in preda al panico, Joséphine abbandona il colloquio e ha un tamponamento con Anthony. Mentre Tomasz si dirige da Anthony per distruggergli l’auto, Joseph raggiunge la figlia e la trova con il volto tumefatto dalle percosse e, sebbene voglia portarla via, la ragazza lo caccia. Comprendendo la frustrazione del figlio, la madre di Anthony sceglie di fuggire insieme a lui dalla clinica, per andarsene altrove e ricominciare. Intanto, Edith incolpa il marito per aver permesso alla figlia di sposare Tomasz, accusandolo di non aver mai avuto il coraggio di imporsi, per cui, ormai stufo, l’uomo si dirige dal genero

La sceneggiatura di Vulnerabili è ben consapevole dei codici narrativi caratterizzanti una serie di film corali, strutturati su un incastro preciso e minuzioso di più linee narrative che convergono in un fine prestabilito, che sembra controllato da un’entità demiurgica, il cui scopo è un effetto domino che permette la risoluzione di ogni arco narrativo grazie all’intervento, apparentemente casuale, degli altri personaggi. Tale schema, noto per film come 21 Grammi di Iñárritu, Mother and Child di García, Crash di Cronenberg o il recente Seules les bêtes di Moll, sembra, da un lato, adottato da Bourdos ma al contempo smentito, favorendo una casualità meno interessata a una risoluzione finalistica, privilegiando la vicenda di Joséphine e relegando le vite di Vincent e Anthony a meri satelliti incapaci di una qualsivoglia funzione riparatrice, come dimostrato dall’incontro con Marie, che, disorientando lo spettatore, non sarà di nessun aiuto alla protagonista, salvata dall’intervento estremo di suo padre. A rivelare questa strategia è proprio il tamponamento con Anthony, evento circostanziale confinato a uno dei tanti della vita di Joséphine, senza svolte inaspettate; ciò che la narrazione sembra dirci è che dietro il ragazzo incrociato casualmente o il vicino interessato ad aiutarci, ci sono ulteriori vite devastate e identità vulnerabili, ma queste rimangono lì, sullo sfondo, senza intervenire strutturalmente nella nostra esi-

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stenza, ignote e anonime come i tanti volti che ci passano accanto ogni giorno. La centralità della storia di Joséphine è segnata dall’intenso prologo, probabilmente il momento migliore del film; se durante la vicenda non assisteremo mai alla tesa situazione familiare della giovane, lasciata in fuori campo, sullo sfondo o come voice over, rivelandosi nei lividi sul suo corpo, la sequenza iniziale ci offre esplicitamente la costrizione a cui la protagonista sarà relegata. Con una scrittura e una messa in scena non banali, la sequenza si apre con la corsa spensierata dei personaggi verso l’albergo, passando dagli esterni urbani agli interni della camera ospitante la loro prima notte di nozze, i cui colori rossastri non solo richiamano le sfumature cromatiche delle strade ma un erotismo che sembra dominato dalla donna, desiderosa di uno striptease del marito. Inspiegabilmente, la sequenza procede con l’assurda necessità di Tomasz di evitare il sesso per un ambiguo gioco di mimi, apparentemente un bizzarro rituale di corteggiamento, rivelandosi gradualmente una strategia costrittiva per ingabbiare la moglie, umiliare la sua famiglia e sottomettere il suo desiderio al proprio, ristabilendo la gerarchia patriarcale dei ruoli sancita dall’emblematica inquadratura finale sui due, riflessi allo specchio, in cui, mentre Tomasz incolpa la moglie per averlo distratto dal suo gioco, uno zoom isola il pianto soffocante di Joséphine. Ecco che un alone di violenza sostituisce l’erotismo dei caldi cromatismi, una follia minacciosa rimpiazza la giocosità bizzarra di Tomasz e la presunta sicurezza di Joséphine lascia il posto alle lacrime di chi ha presagito la crudeltà che il film non tarderà a mostrare. Leonardo Magnante


di Orso Miyakawal, Peter Miyakawa

EASY LIVING - LA VITA FACILE Ci troviamo a Ventimiglia, nota anche come la porta occidentale d’Italia perché situata sul confine con la Francia. Camilla e Brando sono due fratellastri, Brando abita a Milano ma la madre decide di lasciarlo momentaneamente in custodia alla sorella che vive a Ventimiglia. Brando è un ragazzo di quattordici anni molto sveglio e con lo sguardo curioso sul mondo, Camilla è una studentessa universitaria che per guadagnarsi da vivere contrabbanda farmaci, sigarette e alcool dall’Italia alla Francia. Una mattina Brando e Camilla, una volta usciti dal negozio che fornisce a quest’ultima i medicinali da contrabbandare, incontrano Elvis, una conoscenza di Camilla. Elvis è giovane migrante che è rimasto bloccato a Ventimiglia mentre la moglie, incinta di otto mesi, è riuscita ad oltrepassare il confine e a raggiungere Parigi. Camilla aiuta Elvis come può, qualche volta gli dà le sigarette, a volte qualcosa da mangiare, ma vorrebbe fare di più per lui. Dopo aver incontrato Elvis, i due fratelli si dirigono al circolo del tennis per una questione di “affari”. In questa occasione conoscono Don, un bizzarro ragazzo americano che fa l’insegnate di tennis al circolo col sogno di diventare un giorno un pittore. Agli occhi dei due fratellastri Don appare un personaggio molto strano ma simpatico, tant’è che decidono di accettare il suo invito a cena e di estenderlo anche ad Elvis all’insaputa di Don. Quella sera a cena, a casa di Don, i quattro ragazzi iniziano a conoscersi meglio, parlano delle loro vite, dei loro sogni e, venendo a conoscenza della drammatica

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storia di Elvis, decidono insieme di provare ad aiutarlo a passare la frontiera. Nei giorni a seguire Don propone ad Elvis di andare a vivere da lui per colmare il senso di solitudine che li accomuna. Camilla inizia a pensare a come poter riuscire a passare la frontiera senza essere fermati dalla polizia della dogana, ma i tentativi sono vani e non vanno a buon fine. Don, che nel frattempo si è molto legato ai tre ragazzi, ha un’idea: sfruttare il torneo di tennis per attraversare il confine. Elvis dovrà far finta di essere un giocatore francese e Don, il suo fittizio allenatore, dovrà portarlo da Ventimiglia in Francia. Il giorno del torneo è arrivato e i ragazzi sono pronti a mettere in atto il loro piano. Prima però Camilla accompagna Brando alla stazione onde evitare che rischi anche lui di essere arrestato qualora il piano non andasse come dovrebbe. Così Elvis, Don e Camilla salgono sul furgone chiesto in prestito al circolo, e si mettono in viaggio. Giunti alla dogana, tra i ragazzi aleggia un forte clima di tensione e la paura di non riuscire a passare è molto forte. Ma la tensione rallenta quando finalmente riescono a passare la frontiere e a giungere in Francia. Lì si concedono un momento di pace sulla spiaggia oltre confine, con lo sguardo perso verso il futuro e la soddisfazione di aver portato a termine il loro obiettivo.

Origine: Italia, 2019 Produzione: Antonio Miyakawa, Francesco Melzi D’Eril, Stella Rossa Savino per Wise Pictures Regia: Orso Miyakawal, Peter Miyakawa Soggetto e Sceneggiatura: Orso Miyakawal, Peter Miyakawa Interpreti: Manoel Hudec (Don), Camilla Semino Favro (Camilla), Alberto Boubakar Malanchino (Elvis), James Miyakawa (Brando), Giorgio Serra (Farmacista), Brando Facente (Eric il barista), Francesco Sala (Fioraio), Alessandro Bonsignori (Party animal), Giovanna Luraschi (Signora in spiaggia), Paola Luraschi (Signora in spiaggia), Caterina Molino (Sig.ra Lucia), Maddalena Corrarati (Sig.ra Sandra) Durata: 93’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 24 settembre 2020

manere incantati dal fascino naturale della costa ligure e dei suoi strapiombi, che si scontrano con il sistema strutturale e burocratico posto al confine con la Francia. Ventimiglia è conosciuta, infatti, come un luogo di passaggio per chi migra e giunge in Italia con l’intenzione di andare oltralpe; ma c’è chi riesce a passare il confine e chi, invece, ne rimane prigioniero. Il film all’inizio fa fatica a decollare, la struttura narrativa appare lenta ma il focus sui personaggi è molto centrato, forse troppo, al limite del grottesco. Questo fa si che ci si concentri molto sui protagonisti e poco sulla storia che si vuole raccontare. La pellicola al primo Easy Living - La vita impatto appare tecnicamente mofacile è l’opera prima dei fratelli Orso e Peter Miyakawa, prodotto da I Wonder Pictures e presentato nell’edizione del Torino Film Festival (2019) nella sezione ‘Festa mobile/ Film Commission’, dove è stato ben accolto dalla critica. La pellicola è stata girata in Italia, a Ventimiglia, ed è difficile non ri-

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desta, specie per ritmi e tempi scenici caratterizzati da una comicità quasi sottotono. Nella seconda parte, quando i protagonisti decidono di aiutare Elvis, la pellicola inizia ad assumere un tono crescente, la componente narrativa ha una svolta più dinamica e il film comincia a prendere forma. Infatti è proprio in questa parte del film che la ‘mission’ dei ragazzi si tramuta da mera idea in concreto obiettivo da raggiungere. Anche se alla loro prima opera i fratelli Miyakawa sono stati mol-

to coraggiosi nell’affrontare temi così importanti come il fenomeno della migrazione, la condizione di chi vive ai margini e l’inclusione. Scelgono coraggiosamente di declinare in una chiave leggera e con un tocco di speranza un dramma di fondo che sembra non avere fine. L’approccio alla trattazione della tematica risulta limpido e frizzante come il ruolo dei personaggi al limite del macchiettistico, suscitano nello spettatore comprensione e non compassione. Soffermandoci sulla struttura

di Thomas Vinterberg

filmica, bisogna riconoscere alcune lacune dal punto di vista stilistico e narrativo. A partire dalla recitazione a tratti legnosa dei protagonisti, penalizzata oltretutto da un montaggio poco fluido e un po’ meccanico, il quale evidenzia i punti morti della scrittura del film. In più il finale aperto lascia intendere che qualcosa accade, ma lascia lo spettatore con un senso di incompiutezza, come se si fosse interrotto proprio sul più bello. Flora Naso

UN ALTRO GIRO

Origine: Danimarca, 2020 Produzione: Kasper Dissing, Sisse Graum Jørgensen per Zentropa Entertainments Regia: Thomas Vinterberg Soggetto e Sceneggiatura: Thomas Vinterberg, Tobias Lindholm Interpreti: Mads Mikkelsen (Martin), Thomas Bo Larsen (Tommy), Magnus Millang (Nikolaj), Lars Ranthe (Peter), Maria Bonnevie (Trine), Helene Reingaard Neumann (Amalie), Susse Wold (Preside), Magnus Sjørup (Jonas), Silas Cornelius Van (Kasper), Albert Rudbeck Lindhardt (Sebastian), Martin Greis-Rosenthal (Capocameriere), Frederik W. Rasmussen (Malthe), Aksel Vedsegaard (Jason), Aya Grann (Josephine), Gustav Sigurth Jeppesen (Rasmus), Freja Bella Lindahl (Caro), Mercedes Claro Schelin (Laura), Cassius Browning (Sander), Maria Ovi (Sigrid), Clara Phillipson (Nicola), Lucas Helt (Fjonk), Dorte Højsted (Bartender Karin) Durata: 115’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 20 maggio 2021

Martin, professore di storia, vive un profondo malessere esistenziale e una sfiducia in sé che lo allontanano sempre di più da sua moglie Anika, dai suoi figli e dai suoi studenti, spingendo i genitori a richiedere un colloquio per lamentarsi dei suoi scadenti metodi di insegnamento, che rischierebbero di influire sulla preparazione degli studenti agli esami.

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Nikolaj, Tommy e Peter, amici nonché colleghi, non lo riconoscono più e ricordano quanto, un tempo, fosse uno dei migliori docenti della scuola, sebbene avesse accettato la cattedra per mantenere la famiglia, senza proseguire nel mondo della ricerca. Nikolaj espone ai suoi amici la teoria dello psichiatra Finn Skårderud, secondo cui l’essere umano sarebbe nato con un deficit di alcol di circa lo 0, 05%, e che, mantenendo costante tale percentuale, vivrebbe più rilassato e migliorerebbe le sue relazioni interpersonali; di conseguenza, propone di inaugurare uno studio scientifico sugli effetti professionali e sociali di questa teoria, bevendo unicamente sul posto di lavoro e mai dopo le 20 o nei giorni di riposo. Grazie all’assunzione giornaliera delle dosi di alcol richieste, i quattro riescono a migliorare le loro lezioni, soprattutto Martin, che inizia a riavvicinarsi a sua moglie, sebbene nel magazzino della palestra della scuola vengano rinvenute delle bottiglie che insospettiscono la preside. I quattro vogliono aumentare il tasso alcolico per la loro ricerca segreta. Nel frattempo, Peter consiglia a Sebastian, un suo studente bocciato l’anno precedente e 12

angosciato per gli esami, di bere una dose minima di alcol prima delle prove. Nikolaj prosegue le ricerche e propone di andare ancora oltre, verso il livello alcolico massimo; sebbene Martin sia inizialmente riluttante, alla fine accetta e i quattro passano una giornata completamente ubriachi, tornando a casa in condizioni pietose. La moglie di Nikolaj se ne va con i figli, mentre Anika confessa al marito di sentirsi tenuta a distanza da anni e di aver avuto una storia extraconiugale. Per far fronte ai propri fallimenti personali, i quattro continuano a bere e a stare sempre peggio, fino alla decisione di interrompere lo studio, rischiando l’alcolismo, sebbene si rendano conto che Tommy ormai sia completamente dipendente. Martin incontra Anika, intenta a separarsi, dal momento che non ricambia il suo amore, nonostante le sue scuse. Sebastian supera i suoi esami grazie ai consigli di Peter e, mentre gli studenti festeggiano il diploma, i protagonisti vengono a conoscenza della morte di Tommy in mare. Nikolaj si riappacifica con la moglie, Peter inizia a frequentare una collega e Anika confida a Mar-


tin di sentire la sua mancanza; mentre sono a pranzo per ricordare il loro amico, i tre osservano i diplomati festeggiare al molo con dell’alcol e si uniscono ai festeggiamenti, bevendo e ballando.

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Un dolore lancinante, profondo, esistenziale accompagna l’intera vicenda del nuovo film di Thomas Vinterberg, premiato agli Oscar come miglior film internazionale e dedicato alla figlia prematuramente scomparsa. Nonostante queste strazianti ferite dell’anima che dilaniano il personaggio di Martin, la grandezza tanto della narrazione quanto dell’apparato formale sta nel non trasformarle mai in mera retorica del pianto o della sofferenza, dipanandole attraverso la ragguardevole interpretazione dell’attore protagonista. In uno dei suoi ruoli migliori, Mads Mikkelsen affronta la vasta gamma di emozioni del suo personaggio senza ricadere in un furbo pietismo melò tipico di narrazioni di questo tipo, da cui il suo stile recitativo rifugge nella riscoperta del particolare fisionomico, dell’emozione soffocata ma devastante, di un sentimento di sconfitta che ricerca una propria redenzione sebbene rimanga vittima dell’ansia, del fallimento esistenziale, di un taedium vitae soffocante, il tutto espresso

dai suoi sguardi di sottile ma intenso malessere: si pensi al bellissimo passaggio dall’apatica rassegnazione al vuoto fino al tentativo di soffocare le lacrime silenziose delle proprie umiliazioni e sconfitte, professionali e matrimoniali, con cui Mikkelsen regge dignitosamente l’intera sequenza della cena iniziale con gli amici. Devastati dall’ordinarietà della vita e dallo scorrere inesorabile del tempo, l’oscillazione dei personaggi tra il loro desiderio di tornare a esistere e le conseguenze devastanti del loro agire è restituito da uno scenario esistenziale che guarda esplicitamente all’ansia di Kierkegaard, identificante quella difficoltà del soggetto di stare nelle possibilità della propria condizione umana, in cui è chiamato a scegliere tra più alternative, accogliendone una per negarne l’altra, accettando le conseguenze degli esiti di questa semplice ma esorbitante chiamata all’azione, confrontandosi con una fallibilità tesa alla disperazione, a una mancata accettazione di un Io nei confronti dei propri limiti e che trova nel dolore apparentemente apatico di Mikkelsen l’espressione più notevole. Un film sull’incapacità di stare nell’esistente non può che terminare in una fusione estatica con il Tutto garantita dal bellissimo

finale sul molo, accentuato dai dinamici movimenti di macchina a mano, tipici dell’autore a partire dalla sua iniziale adesione al Dogma 95, conclusione perfetta che naviga nelle medesime ambiguità dell’intera narrazione: inno alla vita e a un nuovo inizio o prologo alla deflagrazione definitiva? Ripartenza o catastrofe? Stare realmente nella vita o necessità di un rapporto distorto con le sue strutture? Ambiguo nella sua malinconica gioiosità, il finale oscilla tra la dynamis e il suo definitivo annullamento nel fermo immagine finale, un ricorso alla natura statica, immobile e mortifera dell’immagine filmica, rottura brusca e sottilmente profetica verso il destino di Martin, bloccato nel suo tuffo in mare, istante pregnante che restituisce la sua condizione esistenziale, tra il volo, la redenzione, la nuova ripartenza e il crollo, la caduta e l’avvento di una nuova catastrofe. Leonardo Magnante

di Elisa Mishto

STAY STILL Julie è una venticinquenne poco equilibrata che, alla morte di entrambi i genitori, ha deciso di vivere la propria vita all’insegna della nullafacenza, forte anche di un’eredità corposa. La sua è una protesta contro la società, paragonata a un formicaio, in cui ogni membro è caratterizzato da operosità per sentirsi gratificati.

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In un supermercato, in cui si è recata per fare scorta di guanti in gomma (perennemente indossati per sembrare pazza e non essere disturbata), incontra un ragazzo con il quale fa sesso e che liquida dando fuoco alla sua auto. Compiuto il gesto, avverte il dottor Herrmann che sta per tornare nella sua clinica psichiatrica (ormai diventata una sorta di routine della sua vita). 13

Origine: Germania, Italia, 2020 Produzione: Andrea Srtucovitz Regia: Elisa Mishto Soggetto e Sceneggiatura: Elisa Mishto Interpreti: Katharina Schüttler (Katrin), Luisa-Celine Gaffron (Agnes), Martin Wuttke (Dr. Hermann), Jürgen Vogel (Her Vogel), Giuseppe Battiston (Rainer), Natalia Belitski (Julie) Durata: 90’ Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà Uscita: 9 luglio 2020


Alla clinica viene presa quasi a modello dagli altri malati, soprattutto da Rainer, un grande uomo che non parla, che decide di seguirla e imitarla. Qui Julie viene sottoposta alla supervisione di Agnes, un’infermiera poco socievole, insoddisfatta della propria vita e incapace di comportarsi da madre con la propria figlia di tre anni che non le parla e che si comporta male alla scuola materna. Già dai primi incontri si nota come Julie tenti di influenzarla e come Agnes, fragile, sia effettivamente attratta dalla sua paziente. Durante una seduta di ginnastica nel bosco, Julie si allontana dal gruppo. Agnes è costretta a rincorrerla e, non riuscendo a fermarla, la seguirà nelle sue azioni per tenere sempre gli occhi su di lei. Rubata un’auto, le due si recano nell’enorme casa della madre di Julie che dev’essere venduta a causa dei debiti contratti. Julie convince Agnes a passare la notte lì tra alcol e racconti di vita passata in cui scopriamo che la madre di Julie si è suicidata. In una piscina vuota, riempita dalle loro aspirazioni, le due consumano una notte d’amore. Al mattino Julie da fuoco alla casa all’insaputa di Agnes che chiama la polizia. Rientrate in clinica, Agnes viene sospesa dalla supervisione di Julie, che nel frattempo viene sedata per la troppa eccitazione. Ma Agnes ormai è distratta, Julie le ha aperto gli occhi al punto da dimenticarsi la propria figlia alla scuola materna e subire un rimprovero dal marito. In clinica la situazione è tesa. Un nuovo disordine viene gene-

rato da un’altra paziente, Katrin, che, dopo la visita della madre con la quale non ha un rapporto positivo, vive uno stato di sovreccitazione che culmina nell’esasperata voglia di tagliarsi i capelli. Agnes, che si occupa di queste evenienze, la rimprovera, così Katrin inizia a girare la clinica in cerca di approvazione e, dopo aver parlato con Julie, vive una sorta di crisi isterica nel salone in cerca di forbici. L’altra infermiera, la severa Caroline, cerca di calmarla e nel frattempo chiama Agnes, invano perché quest’ultima è trattenuta da Julie all’interno della dispensa. Non vedendo arrivare Agnes, Katrin compie il gesto estremo di darsi fuoco ai capelli. A questo punto al dottor Hermann non resta che licenziare Agnes e cercare di aiutare Julie chiedendo il suo trasferimento in una clinica specializzata, all’interno della quale dovrà rimanere qualche anno senza possibilità di uscire. Alla notizia Julie decide di togliersi la vita nel bagno. Mentre sta per soffocare ci ripensa e viene salvata da Rainer che, nel seguirla, ha assistito a tutta la scena. Agnes scopre l’accaduto e inizia un litigio tra le due che viene interrotto da Rainer che per la prima volta parla e sussurra all’orecchio di Julie. I tre si spostano in cucina per mangiare qualcosa e vengono raggiunti da Caroline che si unisce a loro e manda Julie a preparare le proprie cose perché sta per essere trasferita. Rimaste sole Caroline e Agnes, la prima inizia a parlare dei problemi di Julie ma viene mandata a quel paese dalla seconda che raggiunge Julie e Rainer e li aiuta a fuggire dandogli le chiavi della propria auto. Prima di partire Agnes chiede a Julie di fare qualcosa. Richiesta che sembra essere accolta nel momento in cui, alla guida, Julie si toglie per la prima volta i guanti. 14

Opera prima di fiction della già documentarista Elisa Mishto, Stay still è un film che medita sulla società in cui viviamo attraverso il disagio mentale. O meglio, attraverso ciò che socialmente è ritenuto disagio mentale. D’altronde questa tematica risulta estremamente cara alla regista che già nel 2007 l’aveva trattata nel documentario States of Mind. Il film si inserisce nella tradizione di pellicole, ambientate in cliniche psichiatriche, che trattano e indagano la sottile linea che separa la normalità dalla pazzia. Su tutte, Qualcuno volò sul nido del cuculo di Miloš Forman (1975) è quella che, evidentemente, ha influenzato di più la regista. Di questo film ritroviamo Julie che è quasi un calco al femminile del ruolo interpretato da Jack Nicholson e l’ambiguo Rainer (interpretato da Giuseppe Battiston, perfettamente in parte) che invece segue la figura di Bromden, che dal mutismo iniziale ritrova la parola grazie all’influenza della protagonista. L’opera riflette attraverso Julie, magistralmente interpretata da Natalia Belitski, sui ruoli sociali, sulle aspettative che si trasformano in gratificazioni da parte degli altri o in delusioni che spingono a sentirsi inadeguati. Ma adeguato non è altro che sinonimo di conforme. In una società-formicaio in cui le persone-formiche svolgono un preciso ruolo e in cui ognuno si adegua alle convenzioni, ecco che essere non conforme diventa sinonimo di pazzia. Questa condizione va a genio a Julie che da reietta ostenta questa sua apparente (o quasi) malattia per essere lasciata in pace e continuare a vivere secondo i propri istinti, con brevi parentesi passate in clinica. Mentre diversa è la situazione della seconda protagonista femminile, Agnes (Luisa-Céline Gaffron), che per certi versi è l’esatto alter ego di Julie, che ha sempre

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indossato la maschera (in senso pirandelliano) socialmente imposta di madre e lavoratrice ma che al di sotto di essa mostra sconforto, frustrazione e delusione che possono essere alleviati solo assumendo atteggiamenti non conformi.

A questo punto la domanda sorge spontanea: chi è il folle? Colui che non si adegua alla società e alle sue imposizioni o colui che finge di essere confacente morendo dentro ogni giorno di più? Del resto lo stesso Freud diceva:

“Comincerete a prendere in seria considerazione la follia quando per la prima volta vi aiuterà a risolvere i vostri problemi da persone normali”. Giallorenzo Di Matteo

di Arnaud Desplechin

ROUBAIX - UNA LUCE NELL’OMBRA

Origine: Francia, 2019

La notte di Natale il commissario Daoud segnala una vettura a fuoco lungo la strada e prende servizio alla centrale di Roubaix. Louis, nuova recluta fresca di diploma, sonda il nuovo territorio e osserva con ammirazione il suo commissario, un uomo carismatico e pieno di umanità che conosce perfettamente il suo mestiere e la sua città. Si susseguono alcuni crimini che si intrecciano, passiamo da un accoltellamento durante una cena di Natale ad un uomo che finge di essere attaccato da un immigrato con una fiamma ossidrica, fino alla scomparsa di una ragazza di diciassette anni in disaccordo con i genitori. Un uomo si reca poi al commissariato per denunciare l’incendio della propria macchina, mentre una ragazzina viene violentata nella metropolitana. Intanto conosciamo meglio il protagonista, un uomo tranquillo, paziente e sobrio, decisamente in contrasto con una comunità pregna di tensioni sociali e politiche. Ma anche Daoud ha i suoi scheletri nell’armadio, tra ricordi e situazioni familiari particolarmente delicate. Nella seconda parte del film l’attenzione è incentrata su un terribile omicidio di una signora anziana. Quello che sembrava un più banale caso di incendio di una palazzina fa scoprire un crimine ben più grave. Claude e Marie, le due vicine di casa della signora, una giovane coppia di ragazze

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indigenti e tossicodipendenti, sono le prime indagate per l’assassinio. Daoud e Louis le interrogano, decisi a venire a capo del delitto. Negli interrogatori, che sono svolti prima separatamente e poi insieme, si mescolano lacrime, rimorsi e preoccupazioni per il futuro. Le versioni sono diverse, tra bugie e molto altro, compreso un figlio, a cui vanno tutti i pensieri ed i timori di Claude, che pur di salvarsi dall’accusa di omicidio confessa di non aver preso parte allo strangolamento della donna. Marie invece sostiene che l’atto è stato compiuto da entrambe. Le dinamiche ci vengono mostrate attraverso la ricostruzione giudiziaria del commissario, che obbliga Claude e Marie a mostrar loro cosa è accaduto la notte dell’omicidio, mentre i poliziotti fanno da spettatori; le luci illuminano la scena e le indagate ricostruiscono i movimenti fatti. Attraverso questa messinscena teatrale la verità finisce per venire fuori e le due donne vengono arrestate.

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L’ultimo film di Arnaud Desplechin Roubaix Una luce nell’ombra, presentato in concorso al Festival di Cannes 2019, è un polar al femminile. La storia è ispirata al documentario televisivo del 2008 Roubaix, commissariat central, affaires courantes, diretto da Mosco Levi Boucault, che narra un caso di cronaca nera avvenuto a Roubaix, la città natale 15

Produzione: Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat per Why Not Productions, Arte France Cinéma Regia: Arnaud Desplechin Soggetto: Tratto dal documentario “Roubaix, commissariat central” di Mosco Boucault Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Léa Mysius Interpreti: Roschdy Zem (Commissario Daoud), Léa Seydoux (Claude), Sara Forestier (Marie), Antoine Reinartz (Louis), Chloé Simoneau (Judith), Betty Catroux (De Kayser), Jérémy Brunet (Aubin), Stéphane Duquenoy (Benoît), Philippe Duquesne (Dos Santos), Anthony Salamone (Kovalki), Ilyes Bensalem (Farid), Abdellatif Sedegui (Signor Hami, il padre), Sylvie Moreaux (Signora Duhamel, la madre), Diya Chalaoui (Fatia Belkacem), Bouzid Bouhdida (Alaouane, lo zio), Maïssa Taleb (Soufia Duhamel-Hami) Durata: 119’ Distribuzione: No.Mads Entertainment Uscita: 1 ottobre 2020

del regista, nel 2002. Il rapporto verità-finzione, che caratterizza la genesi stessa del film, sembra rappresentare il fil rouge dell’intera pellicola. Il contrasto tra verità immaginata, dedotta e supposta e la verità reale in qualche modo può essere una delle caratteristiche principali di un’indagine, che nel film evolve gradualmente esplodendo nella seconda parte. Nella prima ora infatti ci si focalizza su tutta la città in senso lato: è come se vagassimo tra le strade, le case e la varia umanità della città, accompagnati da un distaccato e serafico commissario e da un giovane e più sofferto tenente,


ognuno portatore di due diverse prospettive interiori da cui osservare la realtà. Poi la pellicola si trasforma quasi in noir da camera dall’atmosfera asfissiante, chiuso tra le mura delle celle e delle stanze in cui avvengono gli interrogatori delle due ragazze. Desplechin infatti racconta gli interrogatori attraverso lunghe sequenze. La macchina da presa si sofferma su dettagli e particolari, strizzando l’occhio ad Alfred Hitchcock, per la capacità di fare arrivare allo spettatore i sentimenti dell’interrogato, il suo sentirsi braccato e senza via di fuga. Si sondano le ambiguità e

gli smarrimenti interiori delle protagoniste e veniamo inchiodati ai volti, agli stati d’animo, alle ricostruzioni e alle percezioni delle due ragazze sospettate. Sequenza dopo sequenza tratteggia il graduale e doloroso svelamento della verità, con un climax crescente, caricando il film di una tensione sempre più implacabile. Anche in termini di inquadrature nelle quali a prevalere sono i luoghi stretti e i primi piani. La messinscena dell’interrogatorio attraverso la ricostruzione teatrale appare come una riflessione sul cinema. Ad un certo punto a Daoud viene chiesto quale sia la maniera in cui capisce se le persone mentano o dicono la verità e lui risponde che basta mettersi nella parte dei suoi interlocutori. Il fatto che nella realtà sia il commissario a dirigere la scena e dunque ad aiutare le donne a mimare le loro azioni e che lui come il regista sia nato a Roubaix è un’ identificazione tra il regista e il suo protagonista. A fare da collante tra la prima parte e la seconda è appunto

di Abel Ferrara

il personaggio del commissario, un uomo solo, quasi al di sopra delle parti, con una famiglia di origine ormai lontana. Eppure ci sono un’umanità e solidarietà che resistono ancora; un commissariato di polizia che diventa quasi una locanda dove persone allo sbando, dimenticate da tutti vengono a sfogarsi, a trovare un ascolto o un supporto psicologico. Accanto al navigato commissario trova spazio anche il giovane tenente Louis, alle prime indagini importanti, che proprio non riesce ad ambientarsi e che la sera scrive al padre confidandogli tutto il suo senso di solitudine. Nell’ottimo cast spiccano le interpretazioni di Roschdy Zem (premiato come miglior attore ai Cesar) e le grandi prove di Léa Seydous e Sara Forestier, nei ruoli di Claude e Marie. La fotografia ben accompagna l’atmosfera noir della pellicola, così come la ricca colonna sonora orchestrale, onnipresente nella prima parte del film. Veronica Barteri

SIBERIA

Origine: Italia, Germania, Messico, 2020 Produzione: Marta Donzelli e Gregorio Paonessa, Philipp Kreuzer, Jörg Schulze, Julio Chavezmontes, Diana Phillips per Vivo Film, Rai Cinema, Paze Pictures e Piano Regia: Abel Ferrara Soggetto e Sceneggiatura: Abel Ferrara, Christ Zois Interpreti: Willem Dafoe (Clint), Dounia Sichov (Ex moglie), Simon McBurney (Mago), Cristina Chiriac (Donna russa), Valentina Rozumenko (Madre russa), Daniel Giménez Cacho (Maestro), Phil Neilson (Boscaiolo), Fabio Pagano (Monaco), Anna Ferrara (Figlio di Clint), Laurentino Arnatsiaq (Inuit), Ulrike Willenbacher (Madre di Clint) Durata: 92’ V.M.: 14 Distribuzione: Nexo Digital Uscita: 20 agosto 2020

Clint gestisce una locanda tra le montagne della Siberia, dando ristoro a clienti saltuari, unico suo contatto con il mondo esterno. Un giorno riceve la visita di una giovane ragazza russa incinta che, spinta da sua nonna, seduce il protagonista. In un clima sempre più onirico, Clint si ritrova improvvisamente in un paesaggio roccioso dove dialoga con il proprio riflesso, che gli rimprovera che, ormai isolato dal mondo, non riesce a vedere il proprio egoismo, la propria ignoranza e arroganza, chiedendogli se davvero creda di essere in grado di

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recuperare la propria anima; in più, lo rimprovera di criticare suo padre, nonostante lui abbia colpe molto più gravi da espiare rispetto al genitore, pure per niente affettuoso nei confronti dei figli. Clint si allontana dalla locanda con una slitta trainata dai suoi husky e, dopo aver attraversato una landa nevosa in cui dei soldati stanno giustiziando dei prigionieri, raggiunge una grotta che lo conduce a un girone infernale, dove incontra suo padre, che sembra non ricordare la sua morte ed è convinto di essere in procinto di andare a pesca con i suoi figli.


Clint si ritrova improvvisamente nel deserto, dove, in una tenda, osserva suo padre durante un intervento chirurgico, mentre un uomo racconta a un pubblico di uditori l’importanza di restare svegli e trovare almeno dieci verità ogni giorno, per evitare che il corpo vada alla ricerca di esse durante la notte. Continuando il suo percorso, Clint raggiunge un bosco in cui incontra un uomo che scambia per un mago e gli comunica il suo interesse per le arti oscure, chiedendogli come abbia fatto ad aiutare persone malate e abbandonate; il misterioso individuo gli risponde che non c’è nulla di magico da imparare e di aver contato solo sulla propria compassione. Il problema che viene imputato a Clint è il peso della sua ragione, senza la quale egli non riesce a vivere. Il protagonista entra nella casa accanto e incontra la sua ex moglie ed entrambi si accusano vicendevolmente di essersi rovinati la vita; Clint la accusa di averlo trascurato e che la sua colpa è quella di amare eccessivamente lei e il loro figlio. L’uomo inizia a fare sesso con una donna che si trasforma nelle tante amanti che ha avuto, fino a diventare la sua ex, che se ne va dopo averlo graffiato violentemente. All’improvviso compare la madre del protagonista che si scusa per non essere mai andata a prenderlo a scuola. Clint è raggiunto da un uomo misterioso, che egli considera un discepolo delle arti oscure, il quale mette in evidenza quanto il protagonista non sia altro che un comune mortale, spingendolo a divertirsi, a sbagliare e a ballare. Clint si lascia andare e si sfoga danzando. In seguito, assiste alla scena in cui un gruppo di ragazzi prende a calci una scatola dalla quale fuoriesce un se stesso bambino. Tornato alla locanda, Clint trova l’edificio distrutto. Viene raggiunto da un indiano che gli regala dei pesci appena pescati da cucinare;

la mattina seguente, al posto della lisca, il pesce è tornato in vita e sussurra delle parole nietzschiane in tedesco.

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Sempre più interessato a indagare le regioni ctonie della propria psiche e della propria anima, Abel Ferrara mette in scena un tortuoso viaggio mentale che affligge l’autore sin dai tempi di Pasolini, prendendo le distanze dalla stesura di una sceneggiatura definita, lasciandosi guidare da una carrellata di immagini oniriche e personali che, a detta dello stesso Ferrara, si strutturano attorno a un topos avventuroso, esplicitamente omaggiante il celebre Zanna Bianca di Jack London, verso zone remote, distanti dalla modernità e dalla civiltà. Scavando nel cristallo di tempo deleuziano, scardinando qualsivoglia logicità e causalità e favorendo una relazione immersiva ed esperienziale che decostruisce un racconto meramente autobiografico, il film mette in scena lo stream of consciousness di un Io contorto e colpevole, riflesso dell’autoanalisi compiuta dall’autore stesso. Il suo sguardo innesta nelle inquadrature un regime immaginifico che scava in un’iconografia culturale, letteraria e cinematografica piuttosto ampia, spaziando dalla meditazione buddista alla filosofia nietzschiana, con incursioni nella psicoanalisi freudiana e junghiana, fino alla messa in scena di ambientazioni molteplici che vanno dalla rievocazione del celebre inferno dantesco- che non può non riportare alla memoria la sequenza finale di La casa di Jack di Von Trier o le creature grottesche delle catacombe infernali di La terza madre di Argento - a scenari isolati, specchio dell’anima dei personaggi, sospesi nel tempo e nello spazio, da Stalker di Tarkovskij a Un Lac di Grandrieux. Willem Defoe, volto ormai noto del cinema di Ferrara, diven17

ta emblema dell’innesto immaginifico dell’autore, forma fisica delle regioni oscure (e cinefile) del suo animo, come specificato dall’attore stesso, che considera inappropriata la definizione di Clint come semplice alter ego del regista, bensì vera e propria creatura visionaria, manipolata e costruita alla stregua del suo campionario di immagini allucinatorie. Accolto in maniera contrastante alla scorsa berlinale, Siberia ha sicuramente il pregio di favorire un approccio totalmente personale al cinema, sebbene incontri dei limiti laddove non sembra riproporre delle meditazioni innovative attorno a temi ormai divenuti dei leitmotiv di molte trattazioni cinematografiche, non solo ferrariane, a partire dalla coesistenza di bene e male al senso di colpa, fino ad attendibili rapporti conflittuali con figure genitoriali e matrimoni falliti, con tanto di tradimenti extraconiugali e trascuratezze sessuali. Ne emerge un’esperienza ossimorica, leggermente pretenziosa, in cui, al di sotto del campionario di immagini di un’indubbia bellezza sublime, è difficile scorgere una riflessione che vada oltre affermazioni tautologiche o retoriche, nonostante i notevoli punti di riferimento culturali. Leonardo Magnante


di Gianluca Jodice

IL CATTIVO POETA

Origine: Italia, Francia, 2020 Produzione: Matteo Rovere, Andrea Paris, in coproduzione con Nicolas Anthomé per Ascent Film, Bathishere, con Rai Cinema Regia: Gianluca Jodice Soggetto e Sceneggiatura: Gianluca Jodice Interpreti: Sergio Castellitto (Gabriele d’Annunzio), Francesco Patanè (Giovanni Comini), Tommaso Ragno (Giancarlo Maroni), Clotilde Courau (Amélie Mazoyer), Fausto Russo Alesi (Achille Starace), Massimiliano Rossi (Commissario Rizzo), Elena Bucci (Luisa Baccara), Lidiya Liberman (Lina), Janina Rudenska (Emy), Lino Musella (Carletto), Marcello Romolo (Giuseppe Cobolli Gigli), Paolo Graziosi Durata: 106’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 20 maggio 2021

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1936: Achille Starace, segretario del Partito nazionale fascista, ha appena nominato un suo protetto, il giovanissimo Giovanni Comini, Federale di Brescia, e gli affida una missione molto delicata: entrare al Vittoriale, penetrare nella corte gelosa e ristretta di Gabriele D’Annunzio per sorvegliarne le mosse. Ormai, infatti, quella brezza guerresca che pervade il partito e la nazione sta diventando un vento forte: Starace, cioè il Partito, cioè Mussolini, non vogliono che gli ultimi avventurosi colpi di testa della retorica dannunziana possano infiammare gli animi e mettere a rischio l’alleanza con i

tedeschi e la guerra che tutti sono convinti sia prossima. Comini fa la spola tra Brescia, dove ha il suo quartier generale, la famiglia, il padre e la madre e il Vittoriale dove trova una situazione particolarmente composita, tragica e grottesca insieme: il poeta è davvero vecchio e stanco, privo di illusioni, paranoico e preda del suo stesso antico fascino e della capacità fantasiosa di utilizzare la lingua italiana in tutte le sue forme; in più è praticamente guardato a vista in una surreale prigionia da una serie di donne, un po’ amanti, un po’ cameriere, consigliere, infermiere, capitanate da Luisa Baccara, l’ultima, autentica musa del poeta, fino dalla orgiastica creatività dell’impresa di Fiume. Il tutto in mezzo a farmaci e cocaina che minano la salute e la padronanza intellettuale di D’Annunzio che ha iniziato in questo modo una discesa senza ritorno. Succede tra i due protagonisti una strana osmosi: D’annunzio, pur disilluso e disincantato ma sempre eternamente ribelle, intravede nel giovane federale quella coscienza viva che lo porterà presto al dubbio sulla ideologia fascista. Comini resta affascinato dall’eccentricità del poeta, dai suoi ricordi fatti di frenesia di vita mondana e di potente desiderio di innovazione culturale. D’annunzio attinge forza dal giovane, questo apre gli occhi sulla realtà che lo circonda, vedendo, finalmente, la degenerazione di un regime che consolida il suo credo nella tortura e nell’oppressione. Comini s’innamora di Lina, ragazza intelligente, con una personalità e una capacità di giudizio ben preciso che le permettono di capire che la falsa gloria millanta18

ta dal regime serve a nascondere gli orrori: suo fratello è arrestato dalle brigate, torturato e trasferito verso morte sicura, lei s’impicca, non ha più nulla da capire. Ormai la storia corre verso l’epilogo, verso il baratro. Mussolini torna dalla Germania dove ha incontrato Hitler e si ferma a Verona: D’annunzio vi si reca con l’idea di dissuaderlo da questo abbraccio mortale ma è impotente, non apre bocca, fa la figura di un inutile fantoccio. Il ritorno al Vittoriale è mestissimo e presto il poeta muore. Il percorso morale di Comini è ormai compiuto, presto sarà espulso dal partito.

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Dimentichiamo il D’annunzio che conosciamo, o pensiamo di conoscere fin dai banchi di scuola, come innovatore della storia della nostra letteratura, come personaggio che ha fatto dell’eccentricità il filtro della sua azione politica, dell’incontro con le donne, i debiti, la cocaina. Gianluca Jodice, per il suo primo lungometraggio, dopo una lunga esperienza nella sceneggiatura e in tanti corti pluripremiati, ha scelto un taglio particolare, imprevisto: l’incontro tra due persone in antitesi, cioè il vecchio sostenitore del fascismo trasformatosi in violento denigratore delle “camicie sordide” e un giovanissimo sognatore dell’ideologia nera. Quello, però, che è singolare in questo film è il taglio di narrazione fatto dal regista: i due protagonisti, pur essendo, naturalmente, al centro della scena, in qualche modo spariscono. Il racconto, infatti, mette in risalto il quadro in cui sono inseriti i due personaggi,


politico, ideologico, umano, sociale, per cui l’azione di D’annunzio e Comini sembra essere di supporto. Ecco alla ribalta, straordinari i palazzi dell’architettura razionalista (uno studio di duecento metri quadri per una persona sola) e gli ambienti piccolo borghesi che mostrano un gran lavoro storico e filologico (profondo è stato lo studio dei diari e dei documenti di D’annunzio) nel raccontare cosa sia stato il fascismo, cosa fossero i rapporti di allora tra le persone, le loro illusioni e la dolorosa e im-

provvisa presa di coscienza della realtà. Colpisce la cura usata nel girare al Vittoriale, dove stanze, mobili, suppellettili, tendaggi, lampade, vasi e porcellane ci hanno restituito in maniera affascinante la vita di un’epoca e dei suoi protagonisti. La sceneggiatura (dello stesso Jodice), la fotografia di Daniele Ciprì, la scenografia di Tonino Zera, si uniscono per darci un unicum storico, dove letteratura e ambiente, politica e sentimenti si fondono secondo lo sguardo di

oggi che riflette lo struggimento, la malinconia, il rimpianto di quegli ultimi anni al Vittoriale. Sergio Castellitto si tiene ben lontano dalle facili imitazioni agiografico/scolastiche per costruire una concentrazione potente su un uomo e la sua epoca. La vera rivelazione è Francesco Patanè che conferisce all’incontro della sua vita quello smarrimento, incredulità, ironia e fermezza capaci di farlo diventare finalmente adulto. Fabrizio Moresco

di Nacho Álvarez

BALLO BALLO

Origine: Spagna, Italia, 2020

Madrid, 1973. Tre mesi dopo essere fuggita da Roma nel giorno del suo matrimonio, Maria lavora all’aeroporto di Madrid, convive con la sua collega e amica Amparo e sogna di ballare come “rosellina” nel celebre programma televisivo Le sere di Rosa. Nel riconsegnare il bagaglio perduto dal giovane Pablo, Maria scopre che il ragazzo lavora negli studi del programma come assistente del padre Celedonio, rigido capo della censura; nell’assistere alle prove, la protagonista balla dietro le quinte e viene notata dal regista Chimo. Maria e Pablo iniziano a frequentarsi, così come Amparo e Luca, cameraman dello show. In vista del pensionamento, Celedonio vuole nominare il figlio responsabile della censura al posto di Chimo, donnaiolo che renderebbe la televisione immorale; per ora, Pablo deve lavorare nell’ombra, per evitare accuse di nepotismo e non può comunicare la notizia a Maria, assunta da Chimo come nuova rosellina, né far scoprire la loro relazione, non ammessa sul posto di lavoro. Maria è chiamata come possibile riserva, fino al giorno in cui può

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finalmente esibirsi grazie all’abbandono di una rosellina incinta; le movenze di Maria appaiono troppo spinte per Celedonio, che convince Pablo a censurare gran parte dell’esibizione. Nel frattempo, Amparo rompe con Luca, innamorato di un uomo. Alla riunione del consiglio d’amministrazione, Celedonio nomina Pablo come suo successore, di cui sarà il consigliere personale, minacciando di contattare il generale Franco di fronte all’intenzione del consiglio di alleggerire le norme censorie, compromettendo la moralità cristiana della Spagna. Invidioso del posto che gli spettava, Chimo, dopo aver scoperto la relazione tra Maria e Pablo, fa in modo di rivelare alla giovane che il censore delle sua esibizione non è Celedonio ma il suo fidanzato; dopo aver rotto con lui, Maria è consolata da Rosa, la diva dello show, che le racconta la sua continua lotta contro la censura e le sue piccole conquiste, come il poter mostrare la caviglia, incitandola a combattere. Maria è raggiunta dal suo ex Massimiliano, che la perdona per averlo abbandonato sull’altare, scusandosi dal momento che neanche lui era convinto del matri19

Produzione: Mariela Besuiesvky, Gerardo Herrero, Javier Lopez Blanco, Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori per Indigo Film con Rai Cinema, Tornasol S.L, El Sustituto Producciones Aie, in Coproduzione con RTVE, in collaborazione con Amazon Prime Video Regia: Nacho Álvarez Soggetto e Sceneggiatura: Eduardo Navarro, David Esteban Cubero, Nacho Álvarez Interpreti: Ingrid García-Jonsson (María), Verónica Echegui (Amparo), Fernando Guallar (Pablo), Giuseppe Maggio (Massimiliano), Fernando Tejero (Chimo), Pedro Casablanc (Celedonio), Carlos Hipólito (Ismael), Natalia Millán (Rosa), Fran Morcillo (Lucas) Durata: 110’ Distribuzione: Amazon Prime Video Uscita: 25 gennaio 2021

monio; attratta da lui, Amparo lo invita a rimanere da loro. La puntata di capodanno viene trasmessa in diretta, per cui Maria si scatena e Chimo si oppone ai tentativi di Celedonio di interrompere la trasmissione, per cui quest’ultimo corrompe una rosellina per strappare il vestito della giovane, lasciandola a seno nudo. Umiliata, Maria abbandona il programma e la polizia arresta Chimo, accusato di immoralità. Innamorato della giovane, Pablo licenzia il padre e decide di rinnovare i codici televisivi.


Sull’aereo, prima di partire per Roma con Massimiliano, Maria legge un’intervista a Pablo, che dichiara la fine dell’era censoria del padre, per cui sceglie di rimanere per inseguire il suo sogno. Nel frattempo, Pablo cerca di raggiungerla con l’aiuto di Amparo; mentre i due protagonisti si riconciliano, la loro amica fugge in Italia. Tempo dopo, Amparo è finalmente felice con Massimiliano a Roma, mentre a Madrid gli altri personaggi festeggiano la nuova era della televisione spagnola. Il regista e sceneggiatore uruguaiano Nacho Álvarez ha costantemente ribadito la fortuna di noi italiani di poter vantare tra le proprie stelle un’artista come Raffaella Carrà, icona della televisione nostrana a cui il regista dedica un musical sfavillante, eccentrico, in linea con il personaggio omaggiato, presente in un iconico cameo di fronte al Colosseo, in uno sgargiante vestito rosso. Celebre ancora oggi per l’audacia

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dei suoi testi e per il suo abbigliamento sfrontato agli occhi delle rigide norme morali della Rai ai tempi della Democrazia Cristiana, lo spirito eversivo della signora della televisione italiana è celebrato in un film sulla libertà d’espressione, che urla al cambiamento nella Spagna franchista attraverso le note dei suoi successi più noti, da Tanti auguri al Tuca Tuca, da A far l’amore comincia tu a Caliente Caliente. L’intelligenza alla base dell’eccesso del film sta nella consapevolezza metariflessiva della propria artificialità, in accordo con il meccanismo ricorsivo e cristallizzato del mondo televisivo, esemplificato dall’abbandono di una delle roselline, dopo un scontro con Celedonio, nel momento in cui Maria arriva negli studi, incarnando un perfetto doppelgänger non solo caratteriale ma fisico. L’estrema somiglianza tra Maria e l’ignota ballerina delinea l’abbandono e l’arrivo di un medesimo personaggio all’interno della macchinosità di un congegno tautologico, che torna al punto di partenza di una storia che si ripete da tempo sempre uguale a sé, in cui anche la stessa Rosa è ingabbiata, e che rischia di riconfermarsi con la rassegnazione di Maria, fino al provvidenziale mutamento capace di scardinare l’impasse, sancito

di Davide Del Degan

dalle note di Festa. Lo stile di Álvarez delinea l’atmosfera artefatta di tale mondo, espressa mediante escamotage visivi che condensano la realtà e l’artificio, come nella fusione tra il cielo romano e la sua trasformazione in un manifesto pubblicitario, oppure nella carrellata di scenografie teatrali che circondano Amparo nella cabina in cui canta 5353456. Alla ricerca dell’eccesso e dello stucchevole, la vicenda si struttura volontariamente come una tipica telenovela latina del tempo, con le sue esagerazioni narrative e uno stile esacerbante e kitsch che eccede di esplosioni cromatiche e musicali volutamente leziose, sintomatiche di una libertà espressiva purtroppo non accolta dal pubblico e dalla critica. Lungi dal coraggio e dall’anticonformismo dell’estetica camp di un musical come The Rocky Horror Picture Show, Ballo Ballo si confronta con l’eccentricità e l’estro della Carrà attraverso le enfasi dei codici del proprio contesto televisivo, in un divertissement non privo di un certo acume, la cui visione è però consigliabile rigorosamente in lingua a causa del pessimo doppiaggio fuori sincrono delle esibizioni canore. Leonardo Magnante

PARADISE - UNA NUOVA VITA

Origine: Slovenia, Italia, 2019 Produzione: Andrea Magnani, Giampaolo Smiraglia, Stefano Basso, Branislav Srdiç per Pilgrim, A Atalanta, con Rai Cinema Regia: Davide Del Degan Soggetto e Sceneggiatura: Andrea Magnani Interpreti: Vincenzo Nemolato (Calogero), Giovanni Calcagno (Killer), Katarina Cas (Klaudia), Branko Zavrsan (Padre Georg), Selene Caramazza (Lucia), Andrea Pennacchi (Mair), Claudio Castrogiovanni (Sicario), Domenico Centamore (Sicario), Lorenzo Acquaviva Durata: 83’ Distribuzione: Fandango Uscita: 8 ottobre 2020

Alfio vive in Sicilia e fa il venditore di granite nel paesino in cui abita. Un giorno, mentre sta lavorando, assiste personalmente all’omicidio, per mano mafiosa, di un uomo e vede in faccia il killer. L’accaduto preoccupa l’uomo tanto da spingerlo a temere per la propria incolumità e per quella della moglie incinta e della loro prima figlia. Così decide di andare in commissariato a sporgere denuncia. Essendo un omicidio

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di mafia, Alfio viene inserito nel programma protezione testimoni e gli viene dato il nome di Calogero. Calogero viene trasferito a Sauris, un paesino sperduto del Friuli Venezia Giulia, . Ovviamente il paesaggio che gli si presenta davanti è completamente diverso dalla calda e soleggiata Sicilia, fa freddo e c’è molta neve. A Sauris Calogero vive da solo in un appartamento del residence ‘Paradise’, in quanto la moglie


non ha voluto seguirlo, impedendogli così di veder nascere la loro figlia. Tra i monti i giorni passano e Calogero, pur essendo una persona molto timida e riservata, inizia a familiarizzare con il posto e la gente che lo abita. Conosce i proprietari del pub del paese e il parroco della chiesa che insegna lo schuhplattler, un tipico ballo tirolese per soli uomini che consiste in movimenti veloci, con battute di mani e sulle suole delle scarpe, saltando, girando e tirandosi schiaffi. A Calogero mancano la moglie e la nascitura figlia e della Sicilia gli è rimasto solo un puzzle attaccato alla parete della sua stanza che con il passare del tempo perde pezzi. La vita a Sauris, per il povero Calogero, è segnata dalla voglia di ricominciare ma anche dalla noia e dalla paura di essere riconosciuto dall’uomo che ha visto sparare e che ha denunciato, situazione che lo fa entrare in un loop paranoico. Prova, così, a camuffare il suo aspetto tingendosi i capelli, coprendosi il più possibile e rimanendo spesso nella camera del ‘Paradise’. L’apparente quiete raggiunta da Calogero, viene bruscamente disturbata dall’arrivo al residence di un nuovo inquilino. È il killer contro cui lui ha testimoniato che è diventato a sua volta un collaboratore di giustizia e che, per un errore amministrativo, è stato trasferito anche lui nella stessa località e con lo stesso falso nome. Calogero è convinto che il killer sia lì per ucciderlo, ma con il passare del tempo si accorge che anche lui vive questa cesura col proprio passato come un’opportunità per ricominciare da capo. Tra i due non sarà però la vendetta ad instaurarsi, ma una relazione di amicizia bizzarra e inattesa. Un giorno si viene a scoprire che loschi individui si aggirano nelle vicinanze di Sauris, sono i

sicari che stanno cercando l’altro Calogero, il killer, per ucciderlo, vogliono vendicarsi di lui perché entrato nel programma di protezione testimoni. Accade un fatto: Calogero (Alfio) riceve una chiamata dal commissario che ha preso a cuore la sua causa e che si è occupato di lui in questi mesi, dicendogli che ha la possibilità di rivedere sua moglie e di conoscere sua figlia. Calogero è entusiasta, prepara le sue cose, saluta gli abitanti del posto e anche l’altro Calogero con il quale ormai ha stretto amicizia. Calogero si allontana da Sauris con un po’ di malinconia, si stava abituando alla sua nuova vita. Arrivato in famiglia, quando rivede la moglie e la figlia è pervaso da un senso di felicità e allo stesso tempo di mancanza, si sente in colpa per aver lasciato solo l’altro Calogero e teme per la sua vita. Infatti nella notte decide di lasciare il residence dove ha rincontrato la sua famiglia per tornare a Sauris e aiutare il suo amico in difficoltà. Una volta tornato a Sauris, i due Calogero, ormai diventati soci, si sbarazzano dei due sicari che li stavano cercando. Portata a termine la missione, tornano al residence dove si trova la famiglia di Alfio, il quale non sentendosi più compreso dalla moglie, decide di prendere sua figlia e di allontanarsi con lei in braccio verso una destinazione sconosciuta. Paradise - Una nuova vita è una coproduzione Italo-Slovena ed è stato presentato al trentasettesimo Torino Film Fest (2019) nella sezione ‘After Hours’. Esordio nel cinema di fiction per il triestino Davide del Dagan, la pellicola presenta da subito un carattere poliedrico nella struttura narrativa, tant’è che non si riesce ad inquadrarlo in un genere ben preciso. Segue infatti lo stile della black comedy e ha sapien-

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temente unito i caratteri del noir, del thriller e della commedia all’italiana con toni da gangster movie e da dramma romantico. Una storia fatta di malintesi, cambi radicali, ove si alternano momenti di tensione a quelli comici e cinici, ove si costruisce una narrazione sospesa tra favola e realtà data anche dalla bellezza dei paesaggi friulani e dalla fotografia che ha saputo valorizzarli. Tutti questi elementi fanno sì che la pellicola strizzi l’occhio alle black comedy americane, su tutte quelle dei fratelli Cohen, con riferimento speciale a Fargo. Il film è di ottima fattura sia per la struttura narrativa, sia per la resa tecnica: un’ottima fotografia e un montaggio certosino lo rendono fluido e immersivo. Il registro è inquietante e grottesco, sostenuto dal portato surreale e al contempo realista dei volti irregolari dei protagonisti, si muove in funzione di un tipo di umorismo funzionale al clima ovattato e alla tensione montante. Paradise non è un film che parla di mafia, anzi il tema è in realtà un espediente narrativo che diviene motore per una storia che poi viaggia su binari molto distanti attraverso l’ esplorazione dell’interiorità dei protagonisti. Del Dagan firma un film di cambiamenti, di rivincite personali e di seconde possibilità. Flora Naso


di Pietro Castellitto

I PREDATORI

Origine: Italia, 2019 Produzione: Domenico Procacci, Laura Paolucci, Fandango con Rai Cinema Regia: Pietro Castellitto Soggetto e Sceneggiatura: Pietro Castellitto Interpreti: Massimo Popolizio (Pierpaolo Pavone), Manuela Mandracchia (Ludovica Pensa), Giorgio Montanini (Claudio Vismara), Pietro Castellitto (Federico Pavone), Dario Cassini (Bruno), Anita Caprioli (Gaia), Marzia Ubaldi (Signora Ines), Nando Paone (Nicola Fiorillo), Antonio Gerardi (Flavio Vismara), Vinicio Marchioni (Venditore di orologi), Giulia Petrini (Teresa), Liliana Fiorelli (Paola), Claudio Camilli (Carlo Vismara) Durata: 109’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 22 ottobre 2020

Ines Vismara è un’anziana signora di Ostia. Un giorno riceve la visita di un misterioso venditore (Vinicio Marchioni) che, spacciandosi per amico del figlio, riesce ad ingannarla e a venderle un orologio per mille euro. Claudio, il figlio di Ines va su tutte le furie e promette di vendicarsi. Intanto Ines viene investita da Piepaolo Pavone un medico con due figli (Federico e Maria) e una moglie (Ludovica), che fa la regista ed è occupata nelle riprese di un film intitolato La lenta guerra. La famiglia dei Pavone è benestante e intellettuale, ma nessuno riesce ad avere un vero dialogo con gli altri e a comprendere i sentimenti altrui. Al centro della storia c’è Federico, un dottorando di 25 anni appassionato di Nietzsche che va su tutte le furie quando il suo professore, Nicola Fiorillo, gli dice che non può unirsi al gruppo che si recherà in Germania per la riesumazione del corpo del filosofo. I Vismara invece sono una famiglia popolare, fascista nella quale i legami parentali stabiliscono un codice comportamentale indissolubile.

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Un giorno Federico si trova nello studio del padre e qui ascolta involontariamente Claudio Vismara che si è recato presso il dottore per ringraziarlo di aver salvato la vita alla madre Ines. Claudio, che fa il venditore di armi insieme allo zio Flavio, offre al medico tutta la sua disponibilità. Federico riesce a contattarlo segretamente e ad acquistare da lui una bomba con l’obiettivo di distruggere la tomba di Nietzsche in modo da impedire al gruppo del suo professore di svolgere le ricerche in cui non è stato coinvolto. Intanto si scopre che Pierpaolo ha una relazione con Gaia (Anita Caprioli), la giovane fidanzata del suo collega e amico Bruno Parise. Federico riesce a portare a termine la sua missione, ma resta ferito e viene arrestato. Questo fatto causa molto malumore nello zio di Claudio, preoccupato del fatto che il ragazzo dovrà dire dove e come si è procurato la bomba, mettendo così in pericolo le attività (legali e illegali) della famiglia Vismara. Grazie alla posizione sociale della sua famiglia, Federico non viene incarcerato, ma lo zio ordina a Claudio di uccidere il venticinquenne. Claudio però scopre che Federico è il figlio del medico che ha salvato sua madre e nei confronti del quale nutre ancora molta riverenza e gratitudine. Per questo motivo non riesce a portare a termine la missione, ma trova però un’altra inaspettata soluzione. Quando Claudio si reca all’incontro con Flavio al quale deve spiegare le motivazioni che lo hanno spinto a non uccidere Federico, si porta dietro il figlio dodicenne Cesare al quale ha insegnato ad essere un ottimo cecchino. Cesa22

re uccide Flavio e Claudio viene incarcerato. Intanto Bruno muore per un tumore al cervello diagnosticato proprio da Pierpaolo. La storia tra i due amanti finisce, ma poco tempo dopo, durante i festeggiamenti per il successo del film di Ludovica, Gaia si presenta con un nuovo fidanzato che ha proprio l’aspetto del misterioso venditore di orologi. I predatori è il primo lungometraggio firmato come regista da Pietro Castellitto. Classe 1991, Pietro è un figlio d’arte che ha esordito all’età di soli 13 anni come attore in Non ti muovere, la pellicola diretta nel 2004 dal padre Sergio, e tratta dall’omonimo romanzo scritto dalla madre Margaret Mazzantini. Prodotto dalla Fandango e da Rai Cinema, I predatori è stato presentato alla Settantasettesima Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia (2020) dove ha conquistato il Premio Orizzonti per la Miglior Sceneggiatura. Molto apprezzato dalla critica, il film è stato definito uno dei migliori esordi del cinema italiano per la freschezza e l’originalità della scrittura che, chiaramente, prevalgono sulla regia nonostante alcuni spunti estetici e visivi che possono essere definiti originali e coraggiosi per un regista ai suoi esordi. Il film, nato dopo un momento di crisi di Pietro Castellitto come attore, è il frutto di un lungo lavoro di scrittura in cui non mancano molti elementi autobiografici. La trama infatti mette allo stesso tempo in connessione e contrapposizione due famiglie molto diverse. La famiglia dei Pavone (nome non casuale) è

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benestante e intellettuale, Federico ne fa parte ma con il suo comportamento mostra quanto nella sua famiglia manchi la capacità di comunicare, di comprendersi e di esprimere i propri sentimenti. I Vismara invece sono una famiglia di Ostia, dichiaratamente fascista in cui però l’attaccamento ai legami parentali è esageratamente manifesto, tanto da diventare causa e motore di alcune azioni compiute dai suoi componenti. Tra le due famiglie, si muove Federico interpretato da Pietro Castellitto, un giovane dottorando alla Facoltà di Filosofia, appassionato (ma forse sarebbe meglio dire, ossessionato) di Friedrich Nietzsche, che spera ogni giorno inutilmente di ottenere una borsa di studio per le sue ricerche. I predatori è un film ironico che a tratti usa i toni del grottesco e della satira per descrivere alcuni spaccati della realtà: le scene del film sono infatti delle fotogra-

fie fatte non solo di immagini, ma anche di parole che riescono (nei limiti della giovane età e dell’inesperienza del regista) a descrivere, a raccontare alcuni spaccati della società. La trama non è di per sé molto originale visto che sia il cinema che la televisione hanno proposto svariate volte racconti sul conflitto tra classi sociali e culturali. Bisogna aggiungere inoltre che dal punto di vista puramente registico il film è ancora privo di una certa eleganza e raffinatezza che sicuramente sarebbero stati aggiunti da una maggior consapevolezza (e forse coraggio) nell’utilizzo di più movimenti di macchina. Invece la regia risulta un po’ acerba e statica, ma questo gioca sicuramente a favore della scrittura che risulta fresca, originale e delicatamente libera soprattutto lì distaccato vs fascista popolare e dove si rischia di scadere negli ste- folkloristico. reotipi caratteriali e culturali dei Marianna Dell’Aquila personaggi: intellettuale freddo e

di Francesco Bruni

COSA SARÀ

Origine: Italia, 2020

Bruno Salvati è un regista di commedie che non fanno ridere, i suoi film non hanno successo e il suo produttore è restio a realizzare il suo prossimo progetto. Anche la sua vita privata non va certo a gonfie vele: Bruno si è appena separato dalla moglie Anna e non riesce ad essere un padre presente per i figli Adele e Tito. Un giorno, dopo un urto banale, Bruno si accorge che il suo naso non smette di sanguinare. L’uomo si affida all’ematologa Paola Bonetti. Dopo una serie di analisi, scopre di essere affetto da una mielodisplasia, ossia un tumore del sangue. Per la sua sopravvivenza dovrà sottoporsi a un trapianto di midollo: per fare ciò occorre trovare un donatore oppure affidarsi a

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una banca dati. Oltretutto non v’è certezza della riuscita del trapianto. La narrazione procede tra salti in avanti e indietro nel tempo, tra presente in ospedale in attesa dell’intervento e i mesi passati trascorsi alla ricerca del donatore. La figlia Adele, giudiziosa e sensibile, confessa di essere pronta a donare il suo midollo nel caso in cui fosse compatibile. Il figlio minore Tito, più immaturo e timoroso, è preso da un attacco di panico prima di sottoporsi alle analisi. Purtroppo, pur essendo in parte compatibili per la donazione del midollo, i figli sono entrambi fortemente allergici: la donazione per loro può essere molto pericolosa. Occorre trovare un altro donatore. Durante una conversazione col padre, Bruno viene 23

Produzione: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra per Palomar, Vision Distribution, in collaborazione con Sky e Amazon Prime Video Regia: Francesco Bruni Soggetto: Francesco Bruni Sceneggiatura: Francesco Bruni, Kim Rossi Stuart (collaborazione) Interpreti: Kim Rossi Stuart (Bruno), Lorenza Indovina (Anna), Barbara Ronchi (Fiorella), Giuseppe Pambieri (Umberto), Raffaella Lebboroni (Paola Bonetti), Fotiní Peluso (Adele), Tancredi Galli (Tito), Nicola Nocella (Nicola), Elettra Mallaby (Madre di Bruno), Stefano Rossi Giordani (Umberto da giovane), Ninni Bruschetta (Produttore) Durata: 101’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 27 marzo 2021

a sapere di avere una sorellastra di cui ignorava l’esistenza, frutto di una relazione extraconiugale del genitore. La donna si chiama


Fiorella e vive a Livorno. Bruno si reca nella città toscana con il padre e i figli e rintraccia Fiorella che lavora in un’agenzia immobiliare. Bruno si reca da lei fingendo di cercare un appartamento. Col passare dei giorni, tra i due nasce un rapporto di confidenza, Fiorella racconta che la mamma è morta e di non avere né fratelli né sorelle. Mentre passeggiano sul lungomare, Bruno le dice di essere suo fratello e gli racconta la verità sulla sua famiglia. La donna va su tutte le furie e se ne va. Tornato a Roma, Bruno confessa alla dottoressa che con la sorella non è andata bene. Il medico gli dice che non sono ancora riusciti a trovare un donatore, ne avevano rintracciato uno ma è deceduto. Ormai l’uomo è pessimista sulla possibilità di avere un trapianto. Quella notte riceve una telefonata dal padre che gli chiede di affacciarsi dalla finestra: il genitore è in compagnia di Fiorella. Il giorno dopo la dottoressa sottopone la donna ai test: la sorella è compatibile al 50% con lui. Il prelievo e il trapianto sono programmati una settimana più tardi. Bruno deve iniziare subito la chemioterapia. L’uomo si ricovera, la moglie Anna è accanto a lui. Bruno inizia ad avere delle visioni della sua infanzia con la mamma, poi riceve la visita di Fiorella che si è sottoposta al prelievo di midollo. La sorella gli dice che deve stare bene presto. La dottoressa lo va a trovare subito dopo l’intervento e lo informa che il trapianto ha

attecchito: tra qualche giorno andrà a casa. La Bonetti lo invita a prendere parte a una gita in barca che lei fa ogni anno con i suoi pazienti trapiantati. Bruno scoppia a piangere. Qualche mese dopo, in estate, Bruno si presenta all’appuntamento per la gita. Prima di salire in barca, si avvicina ad Anna e le chiede di tornare insieme. La dottoressa accoglie i suoi pazienti e il gruppo prende il largo. La fragilità, la paura, le debolezze dell’essere umano di fronte alla vita ma soprattutto di fronte alla malattia. Cosa sarà (la stessa domanda se la poneva una nota canzone del duo Lucio Dalla e Francesco De Gregori) è la quarta fatica da regista di Francesco Bruni che ha chiuso la Festa del Cinema di Roma 2020. Il film sarebbe dovuto uscire subito dopo in sala ma è stato bloccato dalla serrata dei cinema. Cosa sarà? Ce lo chiediamo quando nella vita irrompe l’imprevisto con il suo carico di paure e incertezze, quando si apre un abisso che non si era calcolato, mentre si è impegnati a vivere la vita nella sua pienezza. Il regista Francesco Bruni, dopo Scialla, Noi 4 e Tutto quello che vuoi, sceglie di raccontare una storia che ricorda l’esperienza in parte vissuta in prima persona. E lo fa scegliendo come alter-ego un Kim Rossi Stuart in particolare forma, protagonista di una storia di formazione del dolore. Un regista quarantenne scopre per caso di essere affetto da un linfoma che lo mette a rischio e per il quale si deve sottoporre a un trapianto di midollo. Vicino a lui la famiglia: una moglie dalla quale si sta separando, due figli diversissimi, un padre distante per anni. Ma poi ecco una rivelazione improvvisa e decisiva. Il punto di forza del film è la

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capacità di trasmettere ‘a pelle’ sentimenti forti. Diretta, come un pugno nella pancia (ma sferrato senza violenza) la pellicola ha la capacità di trasmettere la paura della malattia e della morte con disarmante efficacia. Cosa sarà è la pura e semplice rappresentazione dei pensieri più intimi e nascosti di Bruno: un uomo ancora giovane, chiuso in una stanza d’ospedale e prigioniero del suo dolore, assistito da un infermiere che è un po’ un angelo custode, pronto ad accorrere se dalle telecamere a circuito chiuso vede qualcosa che non va. Il film vive di alternanze: interno-esterno, vita-morte, salute-malattia, presente-passato. Mentre dentro la stanza d’ospedale c’è la lotta, la paura, il dolore, fuori c’è il mondo, la famiglia, gli affetti (vecchi e nuovi), in una parola la vita. E poi c’è l’acqua: simbolo forte di rinascita, speranza, vita. È in una città di mare (Livorno) che Bruno Salvati rintraccia la sua possibile salvatrice, una sorella di cui ignorava l’esistenza, ed è su una barca che prende il largo che ricomincia la nuova vita di Bruno, ‘Salvato’ dal trapianto. E la vita vince sulla morte, sulla paura, sul dolore. Il film vive letteralmente sulla pelle del suo protagonista Kim Rossi Stuart (che ha anche collaborato con Bruni alla sceneggiatura), bravissimo nel dar corpo alla rabbia, al dolore, alla paura del protagonista. Accanto a lui spicca un poker di presenze femminili: Raffaella Lebboroni nel ruolo dell’ematologa capace, sincera, dura e insieme empatica, (ce ne fossero così nei nostri ospedali!); Lorenza Indovina nei panni della moglie quasi ex, docile e forte allo stesso tempo; Fotinì Peluso, che offre il volto alla matura e posata figlia Adele e Barbara Ronchi, la sorella ritrovata e salvatrice.


Ben congegnato e ben recitato, Cosa sarà ruota su un perfetto meccanismo di balzi temporali. Attraverso una serie di flashback (la mamma, il Ciccio Bello e le macchinette dell’infanzia) che il protago-

nista ha durante il suo ricovero in la sua forza, l’identità di se stesso, ospedale, il film restituisce a pieno sono racchiusi nella sua memoria. Importante la dedica a Mattia titolo il senso e il peso della memoria, proprio quando si percepisce la Torre. propria vita appesa a un filo. Elena Bartoni Perché il senso di un individuo,

di Giorgio Diritti

VOLEVO NASCONDERMI Origine: Italia, 2020

Apre il film l’immagine di un uomo nascosto sotto una coperta, impaurito come un bambino, mentre viene interrogato da un medico. Poi un improvviso flashback mostra i ricordi angoscianti dell’infanzia e adolescenza dell’uomo, maltrattato, deriso, umiliato, considerato vittima di demoni insinuatisi nell’anima. Toni non è un bambino come gli altri, è di sangue italiano, ma è in Svizzera fin dalla nascita, avvenuta a Zurigo a fine Ottocento. Fin da piccolo, malato di gozzo e rachitismo, è affidato ad una famiglia di contadini svizzeri tedeschi, che lui considera come i suoi veri genitori. A neanche vent’anni viene espulso dalla Svizzera e costretto a rifugiarsi in Italia, in un paese che per lui è assolutamente straniero e di cui non parla la lingua. Giunto a Gualtieri, località emiliana sulle sponde del Po, di cui è originario il marito della madre biologica, Bonfiglio Laccabue, il giovane Antonio patisce freddo, fame e soprattutto una grande solitudine. Per riempire i suoi vuoti esistenziali, tra un impiego saltuario e l’altro, Ligabue scopre l’arte. L’incontro con Renato Marino Mazzacurati, che lo accoglie a casa sua, è l’occasione per avvicinarsi alla pittura, unico tramite per costruire la sua identità e per farsi riconoscere e amare dal mondo. Deriso ed umiliato dalla gente, Antonio entra ed esce dal manicomio, rifugiandosi

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sempre più nel suo mondo fantastico di tigri, gorilla e giaguari. Ma la sua rimane soprattutto un’esclusione dall’amore. È questo che Toni cerca furiosamente, nell’aia rincorrendo le galline, abbracciando le sue tigri immaginarie, o nel tinello di una casa contadina mentre osserva pudicamente Cesarina, la figlia della massaia di cui è innamorato. L’amore è il tabù, il paradiso per sempre interdetto, per cui il suo desiderio erotico viene simultaneamente liberato tramite il travestimento con abiti da donna. Anche quando, grazie all’amico, Ligabue diventa famoso e celebrato per i suoi quadri, si sente sempre fuori posto. All’apice del successo, a Roma per l’inaugurazione della sua prima personale, fugge dalla stanza dei quadri per immergersi tra le strade notturne della capitale, attratto da un senzatetto accasciato a terra. Osserva gli animali e li imita, li accarezza, li abbraccia sentendosi apprezzato solo da quelle anime pure e dai bambini. La sua disperazione quando muore una bambina di Gualtieri è straziante e rivela tutta la sua tenerezza ed umanità. Dopo essere stato colpito da un’emiparesi che gli immobilizza un braccio, Antonio deperisce sempre più e finisce i suoi giorni spegnendosi in uno spartano ricovero del paese.

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Fresco di ben undici premi, dal Festival di Berlino ai sette David di Donatello, passando per l’Europe25

Produzione: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra per Palomar e Rai Cinema Regia: Giorgio Diritti Soggetto e Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Tania Pedroni, Fredo Valla Interpreti: Elio Germano (Antonio Ligabue), Oliver Ewy (Antonio Ligabue Adolescente), Paola Lavini (Pina), Gianni Fantoni (Antonini), Maurizio Pagliari (Sassi), Pietro Traldi (Renato Marino Mazzacurati), Leonardo Carrozzo (Antonio Ligabue bambino), Orietta Notari (La Madre Di Mazzacurati), Fabrizio Careddu (Ivo), Mario Perrotta (Raffaele Andreassi), Valentina Vanini (Cantante lirica), Denis Campitelli (Nerone) Durata: 120’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 27 febbraio 2020

an Film Awards, Volevo nascondermi rappresenta una bella sfida per il regista bolognese Giorgio Diritti, che si cimenta con la biografia di un artista complesso da decifrare come Antonio Ligabue. Soprattutto per il confronto nella memoria collettiva con lo sceneggiato televisivo del 1977 dedicato all’artista, diretto da Salvatore Nocita. Diritti sceglie invece una messa in scena elegante e veritiera per il suo biopic d’epoca, ritratto di un uomo che si fa penetrante, minuzioso nel dipingere l’unicità spirituale dell’artista, ma sufficientemente aperto per ambire ad una significato universale. Un film dove la tessitura del racconto è libera perché bianca, senza bordi né limiti, un foglio dove disegnare la propria partitura. Il ricordo personale doloroso, drammatico del protagonista non può che essere


sconnesso, discontinuo, frammentario. Dall’infanzia in Svizzera con una famiglia adottiva e senza amore, ai primi ricoveri in manicomio, fino all’arrivo nella pianura emiliana, poco più che un barbone, Ligabue è escluso da tutti e lo sarà per sempre. Nessuno lo vuole, nessuno lo capisce, tutti lo isolano, lo provocano e sbeffeggiano. Con cinismo e lucidità, la pellicola indugia però sull’instabilità di Toni, incapace di accettare un rifiuto, insofferente alla tensione e portato all’autodistruzione. In mezzo a tanto non detto Volevo nascondermi riesce però a lanciare un importante messaggio di normalizzazione della malattia mentale, rappresentata sempre con dolorosa limpidezza e mai in modo caricaturale. Ad emergere è il fragile equilibrio fra i dolori dell’anima di Ligabue, perennemente in fuga dagli altri

e da se stesso, e la sua arte solo apparentemente sullo sfondo, ma in realtà amato nascondiglio in cui ritrovarsi. In mezzo a tanta solitudine, povertà e tristezza, ci sono infatti anche sprazzi di irrefrenabile bellezza. Per questo l’approccio formale impressionista, i campi lunghi sul Po e sulla natura circostante, i lampi di luce e le linee d’ombra che attraversano lo spazio battuto e vissuto da Ligabue, sembrano la voce naturale di questa opera cupa ma gentile, di questo ritratto rispettoso ed umanizzante dell’artista. Un uomo che prima di dipingere galli, oche, cani, tigri, ghepardi, sente dentro di sé la loro profonda animalità, la introietta, la mima, la percepisce interiormente, trasformandola in pittura. Perché “siamo tutti animali” grida il protagonista ed è ad essi che Ligabue riserva il suo affetto terreno. La messa in scena della società contadina emiliana di epoca fascista, con i suoi volti che sembrano usciti da un film di Olmi, alterna ambienti claustrofobici, come il manicomio, ad ambienti esterni all’aria aperta, l’ esibizione con le galline e con i bambini, le corse in moto sotto i portici. Notevole e puntuale appare il lavoro sul realismo delle lingue parlate, fra tedesco svizzero, dialetto emiliano e la

di Christian Petzold

lingua di Toni, che rappresenta un misto di entrambe. Il vero elemento portante della pellicola è però l’interpretazione di Elio Germano, uno tra i migliori attori del cinema italiano odierno, che va oltre il trucco e convince con una prova furibonda ma precisissima, mai puramente imitatoria, debordante senza essere mai sopra le righe. Per “tutti gli storti, tutti gli sbagliati, tutti gli emarginati, tutti i fuori casta” del mondo, è la dedica di Germano in occasione dell’Orso d’Argento come migliore attore alla Berlinale 2020, seguito anche dal David. L’attore si è calato alla perfezione nel personaggio, studiandone con minuzia le caratteristiche fisiche ed artistiche. Impressiona nella potente scena di preparazione alla pittura: la metamorfosi del corpo che libera il suo spirito animale e sfida la tela bianca in un confronto fisico. È nell’ambito di questo trasporto, corporale ed emotivo, che il film accetta di prendersi i suoi rischi maggiori. Anche se qualche scivolone c’è, come la scena onirica poco prima del finale, voluta a tutti costi, in cui sul letto di morte l’amico Mazzacurati immagina di realizzare un busto di Ligabue. Veronica Barteri

UNDINE - UN AMORE PER SEMPRE

Origine: Francia, Germania, 2020 Produzione: Florian Klerner Von Gustorf, Michael Weber, Schramm Film Koeerner & Weber, coprodotto Les Films du Losange

Nel bar di fronte al museo in cui lavora, Undine chiede a Johannes di Regia: Christian Petzold dimostrare il suo amore Soggetto e Sceneggiatura: Christian aspettandola di ritorno Petzold dopo la prima pausa al lavoro. In Interpreti: Paula Beer (Undine Wibeau), Franz Rogowski (Christoph), Maryam Zaree caso contrario, dice, si troverebbe (Monika), Jacob Matschenz (Johannes), costretta ad ucciderlo. La donna, Anne Ratte-Polle (Anna) una storica, lavora come guida in Durata: 90’ un museo che ripercorre le trasforDistribuzione: Europictures mazioni della città di Berlino. Alla Uscita: 24 settembre 2020 pausa, torna al bar ma l’uomo non

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c’è. Qui viene raggiunta da Christoph, un subacqueo industriale, che era rimasto colpito dalla sua presentazione e che maldestramente fa cadere l’acquario che si trova all’interno del locale. Tra i due, dopo essere stati travolti dall’acqua, sboccia un amore a prima vista. Undine raggiunge in treno Christoph, che aveva appena avuto un


incontro ravvicinato con un pesce gatto di due metri. I due consumano l’amore in stanza e a sera decidono di immergersi nel lago con le mute da sub. L’uomo guida la donna sott’acqua fino a un muro che reca una scritta: “Undine”. Ma in quel momento lei si allontana spogliandosi dell’attrezzatura. Christoph la cerca e la vede passare “a bordo” del pesce gatto, poi la raggiunge e la trova ormai priva di sensi. A riva opera una rianimazione a ritmo di Stayin’ Alive dei Bei Gees. La donna si riprende ma chiede di essere rianimata nuovamente. Prima che riparta, Christoph le regala un sommozzatore in miniatura, lo stesso dell’acquario rotto. Tornata a lavoro, Undine riceve un incarico extra che la impegnerà il giorno successivo e la costringerà a studiare tutta la notte. Nel frattempo fa cadere il sommozzatore che perde una gamba, riattaccata successivamente con la colla. A sera viene raggiunta da Christoph che le chiede di tenere il suo discorso per poterla ascoltare. Il mattino seguente la donna accompagna l’uomo alla stazione dei treni e nel tragitto incrocia Johannes con la nuova fidanzata. Poi, lungo la strada per il lavoro viene raggiunta da quest’ultimo che le dice di essere ancora innamorato di lei e che la aspetterà al solito bar durante la pausa. Questa volta la aspetta davvero e le chiede di fuggire insieme. Tornata nel suo appartamento, Undine riceve una telefonata da Christoph che a quanto pare ha scoperto l’incontro al bar e, nonostante i tentativi di spiegazioni, sembra non voler ascoltare. Il giorno seguente la donna raggiunge il luogo di lavoro del fidanzato che però è transennato dalla polizia. L’uomo ha avuto un incidente: oltre ad avere danni a una gamba sembra essere cerebralmente morto. Arrivata in ospedale, Undine racconta della telefonata della sera

precedente ma le viene detto che l’uomo è in quello stato da più di un giorno. Scioccata dalla notizia, prende il treno e invece di tornare a casa sua, raggiunge quella di Johannes e lo affoga nella piscina. Poi raggiunge il lago e si immerge. In quello stesso istante Christoph si risveglia dal coma. Dopo la convalescenza, l’uomo si mette alla ricerca della donna. Suona al suo campanello ma la casa è abitata da due sconosciuti. Poi chiede informazioni a una collega del museo che però dice di non vederla da mesi. Due anni dopo l’incidente Christoph decide di immergersi nuovamente, nonostante la sua attuale fidanzata non sia completamente d’accordo. Mentre ripara una tubatura Undine gli tocca una mano e poi si dilegua. Turbato dalla visione, riemerge e va subito a controllare la telecamera ma della donna non trova traccia. Quella stessa notte l’uomo esce di nascosto per andare al lago e chiamare Undine. La fidanzata lo segue e lo guarda da un ponte, spaventata, mentre si immerge. Christoph, dopo essere riuscito a rivedere e toccare Undine, riemerge stringendo tra le mani il sommozzatore dell’acquario. Christian Petzold, uno dei più acclamati esponenti della Scuola di Berlino, scrive e dirige Undine - Un amore per sempre, un’opera all’apparenza minimalista, con una storia ridotta all’osso e dialoghi all’essenziale (dove si gioca spesso sul non detto), ma che nasconde una cura al dettaglio e al simbolismo tale da rasentare il poetico. Anche in essa il regista inserisce delle costanti della sua cinematografia: il protagonismo femminile, con l’interpretazione magnetica di Paula Beer valsa l’Orso d’Argento al Festival di Berlino come miglior attrice, e l’attenzione alla Storia

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e all’architettura. Undine è una storica che racconta ai visitatori del Märkisches Museum la storia urbanistica della città attraverso dei plastici che sono parecchio “attenzionati” dalla macchina da presa (interessante è l’espediente degli zoom su zone del plastico che si trasformano, in montaggio, nelle zone reali della città e che ricorda vagamente la tecnica corrispondente utilizzata per Shining e il suo labirinto). L’acqua è il leitmotiv e l’immagine più forte della pellicola: è simbolo di vita e di inizio, dando origine alla storia tra Undine e Christoph (e di fatto anche al film), ma è anche simbolo di chiusura, della storia tra i due (e del film), e di morte, quella di Johannes. Ma l’acqua come elemento ha ripercussioni anche sul piano del discorso, non solo in quello prettamente narrativo: la sua influenza è tale che per la stragrande maggioranza del film sembra di sentire in sottofondo il fruscio delle onde e a volte una sorta di sgocciolio; inoltre i due personaggi principali vivono e convivono con e grazie ad essa e tutto ciò che interessa la loro vita sembra accadere in acqua. Christoph è un palombaro che, in quanto tale, passa più tempo immerso nell’acqua che nell’aria; Undine, come suggerisce il nome, è invece l’incarnazione del folklore tedesco, con particolare riguardo al mito delle ondine. Queste ultime sono creature (che troviamo nelle opere sull’alchimia di Paracelso) assimilabili alle ninfe; la tradi-


zione vuole che esse siano prive di anima ma che possano ottenerla innamorandosi di un essere mortale (di fatto la scena della rianimazione è estremamente loquace da questo punto di vista). Petzold reinterpreta il mito e lo inserisce in una cornice contemporanea: non a caso sceglie Berlino che, come viene spiegato dalla stessa Undine nel film, fu fondata dal-

la bonifica di una zona paludosa e stagnante, habitat prediletto da queste creature che tanto ricordano le sirene. L’intera opera è circondata da un alone di mistero (amplificato da una recitazione sommessa, al limite dell’apatia) che non conduce verso un finale risolutivo univoco. Quando Christoph riemerge dal lago con la miniatura del sommoz-

di Giorgia Farina

zatore sembra essersi riappropriato della sua anima (la statuina pare rappresentare proprio questo, dato che quando si rompe ha ripercussioni anche nella realtà) ma la messa in scena e il trascorso fanno inevitabilmente pensare ad altro: l’amore eterno ha sempre un prezzo da pagare. Giallorenzo Di Matteo

GUIDA ROMANTICA A POSTI PERDUTI

Origine: Italia, 2020 Produzione: Anastasia Michelagnoli e Rita Rognoni per Oplon Film con Rai Cinema, in Associazione con Lucky Red e IBC Movie Regia: Giorgia Farina Soggetto: Giorgia Farina, Carlo Salsa Sceneggiatura: Giorgia Farina, Carlo Salsa, Heidrun Schleef (collaborazione) Interpreti: Clive Owen (Benno), Jasmine Trinca (Allegra), Irène Jacob (Brigitte), Andrea Carpenzano (Michele), Teco Celio (Concierge), Edoardo Gabbriellini (Cristian) Durata: 106’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 24 settembre 2020

Lunedì. Allegra è una giovane blogger di viaggi, soffre di attacchi di panico, sta per partire per la Norvegia. Benno è un giornalista alcolizzato, nell’anticamera della cirrosi. Una sera Allegra si accorge che Benno, che abita nel suo stesso palazzo al piano di sopra, sta cercando di aprire la sua porta perché ubriaco. Presa da un attacco di panico la ragazza chiama il 113. Entrambi vengono portati al pronto soccorso. Seccata con l’uomo, Allegra se ne va. Benno ha un confronto con la moglie Brigitte che lo fa dimettere dall’ospedale. Tornata a casa, Allegra trova Michele, il suo ragazzo, con il quale ha una discussione. Il giovane va via. Benno torna a casa e bussa da Allegra per chiederle scusa. Guardando il cellulare dell’uomo, la ra-

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gazza nota che ha viaggiato molto, poi lo accusa di averle fatto perdere il ragazzo che per colpa sua ha scoperto che non era partita. Benno va via. Poco dopo, Allegra gli chiede di accompagnarla in un viaggio. Martedì. Allegra scrive a Michele che sta per partire e gli chiede di raggiungerla. Benno e Allegra partono. Tappa n.1. La Chiesa di San Vittorino, una chiesa sprofondata nella sorgente sottostante. Quella sera si fermano in un hotel. Il mattino seguente Allegra si accorge che Benno è andato via senza pagare la stanza. Tornato in hotel, Benno trova la ragazza chiusa in bagno preda di un attacco di panico. Lei gli dice che non si fida di lui, non le aveva chiesto neanche il suo numero di telefono. Poco dopo i due ripartono. Tappa n. 2. La città-fabbrica di Crespi d’Adda. La ragazza confessa a Benno il suo problema con gli attacchi di panico, poi si fermano in un autogrill. Quella notte Allegra bussa alla porta di Benno ma non lo trova: la stanza è piena di bottiglie di whisky vuote. La ragazza lo trova al bar ubriaco che parla con alcune persone. Il mattino dopo Benno si sveglia in un campo. L’uomo ritrova il suo cane e la sua auto finita contro un albero. Allegra prende un taxi e si fa portare in un parco acquatico. 28

Tappa n. 3. Il parco acquatico abbandonato. Allegra si sdraia sul fondo di una piscina. Benno la raggiunge, lei gli dice che dovrebbe andare in una clinica a disintossicarsi. I due prendono l’auto e si dirigono verso nord. Tappa n. 4. Il castello abbandonato di Chateau Thierry. I due vanno a cena in un bel ristorante, Benno ordina dello champagne. Il mattino dopo, l’uomo si risveglia in prigione, firma per uscire. Poi si reca in un canile a cercare il suo cane. Allegra sale su un traghetto, lui la raggiunge, lei si meraviglia che non abbia più la sua macchina. Arrivati nel Regno Unito, Allegra noleggia un’auto. Tappa n. 5. La città disabitata di Standford, divenuta un campo d’addestramento militare. Allegra ritrova Michele e gli presenta Benno. I tre vanno a sentire dei canti in una chiesa. Mentre sono in auto, Benno rivede la sua macchina per strada e ritrova la moglie. Benno e Brigitte parlano in un bar, l’uomo va in bagno a vomitare. Brigitte va via. Benno raggiunge Michele e Allegra e li porta alla sua vecchia casa. Il mattino dopo Benno, ubriaco, mette un disco, Allegra balla con lui. I due si lanciano uno sguardo d’intesa.


Un road movie atipico, per meglio dire un falso road movie. Perché Guida romantica a posti perduti ha solo la cornice del viaggio ma non l’anima. La chiesa abbandonata di San Vittorino, la città fabbrica di Crespi d’Adda, un parco acquatico in disuso, il castello di Chateau-Thierry, la città fatiscente di Standford: sono i luoghi attraversati da due anime in pena (una blogger di viaggi che non viaggia e un giornalista alcolizzato perso) piuttosto distrattamente. Il road movie sembra essere solo il pretesto per altro in questo terzo lungometraggio diretto da Giorgia Farina (dopo Amiche da morire e Ho ucciso Napoleone). Ma per cos’altro? Forse per cercare il senso di vite difettose, fallate, fragili o addirittura autodistruttive. Quelle dei due protagonisti sono due esistenze che camminano con difficoltà su una fune sottile, il loro è un barcollare, come quello di Benno perennemente ubriaco. La cosa che la regista fa funzionare meglio è la corrispondenza tra i posti perduti e le due vite allo sbando. E questo vagabondare straniato in posti desolati, lasciati

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all’incuria e allo scorrere del tempo, ha il suo fascino. I luoghi abbandonati sono in effetti una scelta indovinata e in alcuni casi possono esserci interessanti rimandi. La prima tappa è forse la più rivelatrice: la chiesa di San Vittorino, nota anche come “la chiesa sommersa” o “la chiesa che sprofonda” il cui interno è allagato da una sorgente sotterranea che sgorga dal pavimento. La “chiesa nell’acqua” è un luogo evocativo per i due viaggiatori: due anime che sprofondano sempre di più, inondate da qualcosa di più forte e circondate dalle macerie delle loro vite. Un uomo perennemente intossicato e una viaggiatrice virtuale e bugiarda sembrano trovare uno strano incastro tra scontri e riavvicinamenti, perché, in fondo, forse ognuno ha bisogno dell’altro. Il loro viaggio li porterà dall’Italia al Regno Unito, il luogo di origine di Benno dove l’uomo ritroverà la sua vecchia casa e le sue radici. E lì la loro strana unione troverà sfogo in un ballo liberatorio, scomposto e disarticolato sulle note del brano “Pretty Vacant” dei Sex Pistols. Perché bisogna continuare a vivere e non soccombere alla paura e all’angoscia.

Ma in questa Guida romantica a posti perduti non c’è nulla di romantico: c’è semmai posto solo per tenerezza e piccole fragilità che tengono vicini i due protagonisti. I due interpreti, Clive Owen e Jasmine Trinca, sono i primi a non essere troppo convinti del loro spaesamento: parlano due lingue diverse (per davvero, il film è recitato in inglese e in italiano), una incarna la voce narrante, l’altro barcolla offuscato. Si tenta di creare un’atmosfera sospesa e poetica ma la narrazione ha un incedere stanco e confuso come i due protagonisti. Restano solo alcuni luoghi poco conosciuti, certamente belli e dalle atmosfere stranianti, e un finale aperto sulla speranza di un domani diverso. Elena Bartoni

di Antonio Padovan

IL GRANDE PASSO

Origine: Italia, 2019

Mario, umile ferramenta romano, riceve una telefonata da un certo avvocato Piovesan, che lo incita a raggiungere Quattrotronchi, nel nord Italia, dal momento che il fratellastro Dario è stato denunciato per aver incendiato il campo del vicino; abbandonato anche lui dal loro padre, Dario non ha nessuno che si possa occupare di lui, di conseguenza il comune ha disposto un TSO presso l’istituto Bruscolotti. Per evitare la reclu-

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sione del fratello, Mario contatta Svetlana, una badante russa che, però, viene intimidita da Dario tanto da fuggire, costringendo il protagonista a rimanere, dato che il genitore non intende prendersi cura di lui neanche in una situazione del genere, sebbene Dario creda che si trovi in America. Mario si rende conto della precaria salute mentale del fratello, costantemente rinchiuso nel suo capanno a lavorare a un progetto segreto, convinto che delle spie americane lo stiano pedinando. Nel 29

Produzione: Ipotesi Cinema, Stemal Entertainment, Rai Cinema Regia: Antonio Padovan Soggetto e Sceneggiatura: Antonio Padovan, Marco Pettenello Interpreti: Giuseppe Battiston (Mario), Stefano Fresi (Dario), Camilla Filippi (Carlotta), Flavio Bucci (Umberto Cavalieri), Roberto Citran (Avvocato Piovesan), Teco Celio (Adamo), Vitaliano Trevisan (Tipo strano), Ludovica Modugno (Teresa), Teresa De Santis (Direttrice Clinica) Durata: 96’ Distribuzione: Tucker Film Parthenos Uscita: 20 agosto 2020


ricordare l’unico giorno in cui i due si conobbero da bambini, durante un compleanno del padre in cui quest’ultimo non si presentò, Mario comprende che il fratello continua a negare a se stesso la verità sul genitore, giustificandolo per le sue azioni. Dario gli confida che, da più di trent’anni, sta costruendo nel capannone un razzo capace di sfruttare la nebbia per generare energia sufficiente per avventurarsi nello spazio e raggiungere la luna, passione nata nel giorno dell’allunaggio del 1969, guardato in televisione in compagnia del padre, che lo stimolò a non smettere mai di sognare. Per un errore di calcolo, quando ha tentato di partire, il razzo ha ceduto e ha bruciato il campo del vicino. Su richiesta di Mario, Piovesan convince il suo cliente, il marito di Carlotta, unica amica di Dario, a ritirare la denuncia solo se egli si discolperà per l’incendio; dopo essersi scusato, Dario va su tutte le furie quando l’uomo appare saccente nei confronti di Carlotta, per cui gli distrugge il finestrino della macchina per poi fuggire. In paese, Dario ha una rissa al bar quando un cliente nega la veridicità dell’allunaggio di Armstrong e dà del fallito al protagonista per aver rinunciato ai suoi studi di ingegneria aerospaziale. Stufo del carattere burrascoso del fratello, Mario cerca di farlo ragionare sulla possibilità di un arresto definitivo e lo spinge ad affrontare la realtà, portandolo dal padre a Vercelli. Come prevedibile, il genitore si dimostra disinteressato nei loro confronti, cosicché, distrutto,

Dario abbandona il suo progetto e chiede di essere ricoverato al Bruscolotti ma, mentre sta per firmare il certificato di ricovero, di fronte alla derisione di Piovesan che lo paragona al padre, torna ai suoi intenti di fuggire nuovamente sulla luna, per cui viene internato con la forza. Mario sta per tornare a Roma quando l’istituto lo contatta per comunicargli che Dario è fuggito. L’uomo, armato, si è barricato nel capanno, circondato dalla polizia; Mario riesce a raggiungerlo, per cui il fratello gli chiede di indossare la muta spaziale per uscire e distrarre gli agenti, mentre lui si appresta al lancio. Mentre i poliziotti inseguono Mario, scambiandolo per Dario, quest’ultimo riesce a partire per lo spazio, mentre i compaesani osservano stupefatti, comprese le presunte spie che, nascoste tra la folla, documentano il tutto.

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Presentato alla trentasettesima edizione del Torino Film Festival e vincitore del premio alla miglior interpretazione maschile, assegnato a Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, Il grande passo è una commedia che ricalca un certo atteggiamento di riscoperta del fantastico, innestato su scenari e immaginari tipicamente italiani, in cui si dipana un racconto che, però, pecca di un certo lassismo creativo tipico di molte commedie italiane contemporanee, conchiuse all’interno di stereotipi piuttosto granitici. A un’assenza di originalità di fondo, che non fa altro che riproporre la classica intercessione provvidenziale nei confronti di un familiare sconosciuto ma accomunato dalla medesima infanzia fatta di abbandoni da parte di una figura genitoriale irresponsabile, si affianca la difficoltà di prendere le distanze da una certa retorica del “non smettere mai di credere nei propri sogni”; ormai leitmotiv piuttosto mainstre30

am, tale formula risulta incapace di distinguere un progetto che non è in grado da sé di trascendere l’anonimato per una propria marca distintiva, narrativa ed estetica. La scelta ricade ovviamente sull’accentuazione artefatta di una retorica del pietismo come motore alla base del percorso del protagonista, deciso a prendersi cura del fratello grazie all’artificiosa visione di un padre intento a fare i compiti con suo figlio in un bar, accentuata da una leziosa musica empatica, sintomatica di un racconto che non solo rende i suoi personaggi poco credibili, ma forza in maniera macchinosa le loro azioni verso una vicinanza piuttosto attendibile e melensa, esternata dalla risatina finale di Fresi, ricalcata su quella infantile di Battiston, segnale moraleggiante di una riuscita, per quanto scontata, alleanza tra i due. In un film sull’importanza dell’immaginazione, l’eccessivo didascalismo - che fa della Terra un mero magnete che impedisce le fantasticherie del soggetto - dovrebbe lasciare il posto a un coraggio di fantasticare maturo e creativo, alla stregua di una pellicola italiana poco nota come Guarda in alto di Fulvio Risuleo, capace di sfruttare notevolmente i limiti della propria produzione per rompere con una visione standardizzata e permettere al fanciullino pascoliniano di meravigliarsi dell’ordinario e accogliere il fantastico, ritornando alle radici stesse del cinema e delle sue attrazioni. A mancare nel film di Padovan è proprio l’audacia di questo sguardo immaginifico, ripiegandosi su un sistema ben congegnato che promuove un fantasticare dilettantesco, più alla ricerca del facile (e furbo) appiglio con il pubblico che allo scardinamento delle logiche stesse di quella realtà che tanto assalta teoricamente per poi riconfermare praticamente. Leonardo Magnante


di Alice Filippi

SUL PIÙ BELLO Origine: Italia, 2020

Marta ha 19 anni, è orfana di entrambi i genitori e soffre di una rara e pericolosa malattia respiratoria. Sogna di sposare gli uomini più belli del mondo, ma le sue condizioni di salute e il suo aspetto fisico non le consentono di mirare veramente così in alto. Tuttavia Marta ha un grande senso dell’ironia ed è abbastanza intelligente da capire che non può lasciarsi abbattere dalle sue condizioni. I suoi migliori amici Federica e Jacopo sono anche la sua famiglia e con loro condivide l’appartamento torinese ereditato dai genitori. Marta lavora come annunciatrice di offerte in un supermercato: tanto il suo aspetto è poco attraente, quanto invece è sensuale la sua voce. Ad una festa incontra Arturo e se ne innamora a prima vista. Arturo studia all’università, è un campione di canottaggio ed è uno dei ragazzi più desiderati della città. Per Marta è un vero proprio colpo di fulmine e decide che, da quel momento, vorrà sapere tutto di lui. Incomincia a seguirlo ovunque per studiare i suoi movimenti, conoscere i suoi gusti e portargli via qualche oggetto come ricordo. Arturo però sa di essere seguito da Marta e un giorno, mentre sta facendo jogging al parco, la ferma e le chiede perché lo segue insistentemente. Lei non sa cosa rispondergli, ma nonostante questo riesce a strappargli la promessa di una cena insieme. Quando Marta si presenta a casa di Arturo, scopre però che l’invito era in realtà per una cena con tutta la famiglia di lui: una famiglia di persone snob e altolocate. Marta reagisce raccontando gli aneddo-

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ti più strani e imbarazzanti della sua vita, evitando però di parlare della malattia. Dopo la serata così disastrosa, Arturo decide di farsi perdonare e la invita nuovamente a cena, ma quello che doveva essere un incontro galante in un ristorante di lusso si trasforma invece in un pic-nic nei reparti del supermercato in cui lavora Marta. Tra i due ragazzi incomincia a nascere un sentimento vero e spontaneo, ma una sera durante un giro in gondola Marta si sente male e scappa via senza dire ad Arturo cosa ha realmente. Durante i giorni del ricovero accanto a lei ci sono solo i suoi due amici di sempre Jacopo e Federica e nel frattempo riappare l’ombra dell’ex fidanzata di Arturo, Beatrice. Marta viene dimessa dall’ospedale con la consapevolezza che non le resti molto da vivere. Ritrova Arturo davanti casa, ma pur di allontanarlo gli dice di non essere innamorata di lui. Deluso dal suo comportamento, il ragazzo si riavvicina a Beatrice e un video di loro due insieme finisce sui social network. Tuttavia le cose non sono come sembrano e Arturo, ancora innamorato di Marta, non riesce a trascorrere la notte con Beatrice. Il giorno dopo Beatrice incontra Marta all’uscita del reparto di Pneumologia dell’ospedale e capisce che la ragazza ha seri problemi di salute, così decide di confessarle che tra lei e Arturo non c’è nulla. Marta decide allora di raggiungere il ragazzo di cui è innamorata e di raccontargli tutta la verità sulla sua malattia. Arturo è innamorato di lei e non solo incomincia a fare ricerche sulle possibile cure per allungare le aspettative di vita di Marta, ma le propone di sposarsi 31

Produzione: Roberto Proia per Eagle Pictures, in collaborazione con Weekend Films Regia: Alice Filippi Soggetto: Roberto Proia Sceneggiatura: Roberto Proia, Michela Straniero Interpreti: Ludovica Francesconi (Marta), Giuseppe Maggio (Arturo), Gaja Masciale (Federica), Jozef Gjura (Jacopo), Eleonora Gaggero (Beatrice), Matteo Sintucci (Vittorio) Durata: 87’ Distribuzione: Eagle Pictures Uscita: 21 ottobre 2020

alla presenza di tutte le persone che sono accanto a loro. Sul più bello è il primo lungometraggio firmato come regista da Alice Filippi e ha segnato l’esordio sul grande schermo dei giovanissimi Ludovica Francesconi, Gaja Masciale e Josef Gjura . Presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2020, è uscito nelle sale e poi sulle piattaforme streaming nel novembre dello stesso anno. Dopo anni al fianco di registi italiani come Carlo Verdone e Giovanni Veronesi

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con il ruolo di aiuto-regista, Alice Filippi ha girato una teen comedy romantica adatta sia ai più giovani che agli adulti. Sul più bello è tratto dall’omonimo romanzo della giovanissima autrice e attrice Eleonora Gaggero e contiene tutti gli ingredienti di una commedia leggera, sentimentale, ma con un finale non scontato: trionfa l’amore, ma non ci viene detto quanto esso durerà a causa delle condizioni di salute della protagonista Marta. Il film è ricco di suggestioni che chiaramente vengono dal cinema dei suoi maestri e si nota soprattutto nella sceneggiatura, ma guarda anche alle mode del momento e

all’attualità riproponendo, sia attraverso l’aspetto visivo del film che quello della scrittura, riferimenti fortemente iconici per le nuove generazioni. Sono molto chiari, ad esempio, i riferimenti ad uno dei personaggi più conosciuti del cinema europeo degli ultimi 20 anni: Amélie Poulin, la protagonista del film Il favoloso mondo di Amélie (2001) di Jean-Pierre Jeunet. Con i suoi capelli a caschetto e i grandi occhi scuri, Marta è infatti una Amélie italiana, ma meno ingenua e sognatrice. I riferimenti alla pellicola francese però emergono anche nella fotografia, nella scenografia in cui prevalgono le tonalità accese

di Salvatore Mereu

e calde -, nei costumi. Sul più bello manifesta anche la volontà della sua regista di rendere omaggio ai grandi registi internazionali come Wes Anderson, Michel Gondry e a pellicole come Juno. Il tutto mescolato con toni e visioni dal gusto pop che attinge anche un po’ al mondo dei social network (peraltro chiaramente citati). L’esordio di Filippi, pur nella nella sua semplicità, non scade mai nel sentimentalismo: tutto ciò che rischierebbe di diventare banale e noioso viene ben bilanciato dai toni ironici dei personaggi e dall’autoironia della protagonista. Marianna Dell’Aquila

ASSANDIRA

Origine: Italia, 2020 Produzione: Elisabetta Soddu, Salvatore Mereu per Viacolvento, con Rai Cinema Regia: Salvatore Mereu Soggetto: liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Guilio Angioni Sceneggiatura: Salvatore Mereu Interpreti: Gavino Ledda (Costantino Saru), Anna König (Grete), Marco Zucca (Mario), Corrado Giannetti (Giudice Pestis), Samuele Mei (Peppe Bellu) Durata: 128’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 9 settembre 2020

Sardegna, fine anni Novanta. Il settantenne Costantino Saru, pastore sardo, ha appena perso suo figlio Mario nell’incendio del loro agriturismo Assandira, mentre Grete, la nuora di origine tedesca, è in ospedale. Il magistrato inquirente interroga Costantino, dato il sospetto di dolosità dell’incendio, per scoprire se la famiglia avesse dei nemici, visto il successo della loro attività. Costantino ricorda il giorno del ritorno definitivo di Mario e Grete in Sardegna, dopo un lungo periodo vissuto in Germania. Il loro progetto è quello di sfruttare un

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rudere e il terreno limitrofo, di proprietà di Costantino, per renderlo un agriturismo e accrescere il turismo in un contesto piuttosto circoscritto e sconosciuto, mostrando ai turisti stranieri l’antico stile di vita dei pastori del posto, da cui la volontà di includere il protagonista nella loro attività, sebbene restio nei confronti del progetto, intimorito che la modernizzazione incarnata dalla coppia possa dissacrare le tradizioni del posto. Nonostante ciò, Costantino non riesce a imporsi sul figlio e l’attività viene inaugurata con successo: Mario intende rivelare ai turisti le antiche tradizioni della pastorizia apprese dal genitore, organizzando delle vere e proprie guide turistiche tenute da Grete, rispetto a Costantino, che continua a isolarsi dai visitatori. Nonostante il suo astio nei confronti di Assandira, il protagonista si adegua ai desideri del figlio e della nuora, chiedendo solamente di non permettere di scattare fotografie, richiesta che non viene accolta, lasciando piena libertà ai visitatori, finanche la possibilità di immortalare l’accoppiamento di due cavalli che manda 32

su tutte le furie Costantino, inorridito dalla dissacrazione bislacca della fauna del posto. I sospetti del magistrato ricadono su Peppe Bellu, dipendente costantemente in tensione con Mario per il suo desiderio di primeggiare e comandare, nonostante estraneo alle tradizioni del posto per aver deciso di trasferirsi all’esterno. Costantino ricostruisce la sera dell’incendio: partiti con un gruppo di turisti per Cagliari, Mario e Grete si accorgono del fumo provenire dall’agriturismo, che li spinge a tornare indietro. Per salvare il bestiame, Mario entra nella stalla ma rimane intrappolato. I ricordi di Costantino tentano di ripercorrere le cause dell’incendio, tornando indietro con il racconto, nei momenti in cui l’idea di Assandira inizia a rivelarsi non solo sbagliata e inquinante, ma anche carica di una certa dose di perversione. L’apice della vergogna per il protagonista è raggiunta quando, vista la sterilità di Mario, accetta la richiesta di Grete di accompagnarli in Germania per donare il suo seme per la feconda-


zione in vitro, nonostante la donna si dimostri alquanto ambigua, tentando di sedurlo sessualmente. Di conseguenza, Costantino non riesce a confessare al magistrato che il figlio atteso da Grete, e perduto in seguito all’incendio, fosse il suo, in quanto considerato incestuoso. La sera prima dell’incendio, dopo una delle tante feste organizzate nell’agriturismo, Costantino scopre che, a notte fonda, i turisti vengono guidati da Mario e Grete in una grotta nei dintorni per organizzare delle orge collettive, perversione praticata dalla coppia già da tempo e considerata da Grete come un gioco, come tutto il resto. Di fronte allo squallore di una terra dissacrata, Costantino sceglie di dare fuoco all’agriturismo mentre il figlio è fuori, sentendosi ora in colpa per non aver atteso che il furgone oltrepassasse la collina per non permettere loro di tonare indietro. Il protagonista confessa al magistrato di essere colpevole, ma, in preda alla vergogna, decide di tenere il movente per sé. Tratto dall’omonimo romanzo di Giulio Angioni e candidato tra le sceneggiature non originali ai David di Donatello 2021, il film di Salvatore Mereu riconfigura l’estremo realismo della messa in scena all’interno di un apparato narrativo e formale in cui il ricordo, la menzogna, il senso di colpa ristrutturano l’apparente rapporto

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mimetico delle immagini con l’umile contesto pastorale e contadino del protagonista. Nonostante la sua (apparente) dipendenza estrema dal reale attraverso un’estetica che fa ampio utilizzo del suono in presa diretta, di un’ambientazione popolare, della camera a mano e dell’ausilio del dialetto, l’immagine di Mereu ri-figura il contesto sardo di fine XX e inizio XXI secolo all’interno di un regime misterioso, capace di restituire le contraddizioni della natura umana, favorite maggiormente dallo sguardo dell’autore e cristallizzate nell’ambiguo racconto di Costantino, resoconto autobiografico che incontra l’ambivalenza perversa dei personaggi che lo abitano, raggiungendo il suo apice nella surreale e kubrickiana orgia in costume nella grotta. Sebbene privilegiante il soggetto rispetto al contesto, il racconto priva i personaggi di identità rigidamente definite, così come la macchina da presa favorisce un maggior contatto con i corpi rispetto all’ambiente bucolico e arcaico circostante, osservando i soggetti nelle loro enigmaticità, tanto vittime quanto carnefici, mossi da una fascinazione verso il primitivo e il folkloristico, ma da una prospettiva tanto feticistica quanto capitalistica, ossimoriche rispetto al saluto al sole di cui il nome dell’agriturismo, che dà il titolo al film, si fa portatore. Nonostante il rapporto con la modernità (l’inseminazione artificiale, l’attestazione fotografica

pre-selfie dell’esperienza…), Assandira sembra costituire una realtà che rifugge dalla civiltà e dalle imposizioni morali e punitrici per la salvaguardia degli impulsi primordiali dell’essere umano, fuori dalla Legge, per rigenerare perversamente il soggetto prima del suo ritorno in società, nella riscoperta di un arcaismo non tanto del luogo ma dell’individuo, della propria sessualità animalesca, nella dissacrazione del contesto e dei suoi rituali, sancendo il predominio della natura umana rispetto alla natura del posto e delle sue tradizioni. Leonardo Magnante

di Laura Cini

MEDIUM Origine: Italia, 2019

Fuori piove, una sagoma distesa su un letto, una voce off sembra guidarla in un risveglio sicuro. In una sala d’aspetto un uomo, Sirio, e due donne, tra cui Nadia, confrontano i referti delle sedute.

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Stanze vuote di un appartamento, Sirio mangia in cucina, su una lavagnetta campeggia la scritta “Pulcina dolce ti amo”. Tramite un flashback lo ritroviamo da Tarika, una medium, attraverso la quale cerca di riconnettersi con Betty, la moglie scomparsa. 33

Produzione: Massimo Arvat e Francesca Portalupi con Takira Di Maggio, Nadia Angilella e Sirio Zabberoni per Zenit Arti Audiovisive e Rai Cinema Con il contributo di Piemonte Doc Film Fund Regia: Laura Cini Soggetto e Sceneggiatura: Laura Cini Durata: 83’ Distribuzione: Zenit Distribution Uscita: 2 novembre 2019


Nadia canta con le amiche, poi racconta della seduta riguardante sua madre. Sempre in flashback grazie a Tarika scopre alcuni lati nascosti materni. Il cane festeggia il rientro a casa di Tarika, che sul balcone riflette tra tetti di Firenze. In un incontro collettivo, la sensitiva tratteggia la fisiognomia delle persone oggetto delle meditazioni dei pazienti, parallelamente grazie a Lucia, un’illustratrice, prendono forma dei ritratti su carta. Sirio si reca con un amico dopo molto tempo sulla tomba di Betty. Nadia cercando tra i ricordi ritrova l’unica foto di sua madre e con Laura, sua figlia, confronta i percorsi esistenziali accomunati dal biasimo per la troppa indipendenza. Tarika passeggia sulle rive dell’Arno col cane, ogni tanto la voce di Betty le fa visita, la stessa che sembra abitare la casa di Sirio. La medium racconta all’uomo la richiesta di comprensione della moglie per il proprio suicidio. Da sola ascolta e scrive le suppliche di Betty che chiedono di andare oltre il coinvolgimento di Sirio nella vicenda. Si alternano foto della gioventù di Tarika. Con la sorella rammenta le notti insonni, l’incontro con gli spiriti e la propria formazione. Sirio chiede consiglio a Nadia per vendere i mobili scelti con la moglie. Attraverso le indicazioni di Tarika, in una sorta di indovinello,

Lucia dipinge il ritratto dello spirito. Nadia legge con la figlia il diario di quando era in collegio: carattere ribelle in conflitto con le suore, quasi rinnegata dal padre. Sirio svuota i mobili tra le istanze di Betty che sembrano cadere nel nulla. In occasione di una mostra Lucia e Tarika ricordano le personalità e gli aneddoti legati ai ritratti, che sembrano emanare suoni, colori e parole. La disegnatrice vorrebbe più prove e la facoltà di sensitiva propri della medium. Nadia si reca all’ufficio anagrafico per avere notizie del padre, qui scopre che è morto da tempo. In una seduta con Tarika chiede conto al genitore del loro rapporto conflittuale: lei subiva le conseguenze derivate dal comportamento materno. In sala di aspetto Sirio lascia sfogare Nadia prima di entrare a sua volta. Vecchie foto e stanze vuote accompagnano le parole di Betty. Tarika guida il dialogo tra i due, la moglie sente la mancanza di un riconoscimento per l’amore che ha dato, il marito prova a distaccarsi dalla sua visione centripeta e ad assecondarla. Nadia mostra alla figlia le foto del padre al suo matrimonio. Sirio osserva gli operai portare via i mobili, dopodiché pulisce casa. Il filmino del matrimonio ritrae una coppia felice, il bacio fuori dalla chiesa, la voce di Betty, tramite Tarika, chiede un abbraccio. Nadia e Laura visitano il cimitero dove è sepolto l’avo, un piccolo loculo senza fotografia, le parole del padre ringraziano la figlia per la visita. È notte, Tarika si addormenta. Una sua foto da ragazza la ritrae addormentata, la sua voce si fa carico del ringraziamento di coloro che stanno al di là. La luce azzurrina del mattino filtra, lei si sveglia e apre le tende. 34

Giunta al terzo lungometraggio, Laura Cini prosegue la personale ricerca sul soprannaturale con Medium. Scartando l’ipotesi del biopic la regista si indirizza ad un esplorazione del lavoro di Tarika, sensitiva fiorentina e delle storie che coinvolgono gli avventori del suo studio. Senza preclusioni e tentazioni giudicanti, il documentario mostra l’attività della medium come un processo che rivela affinità con lo psicodramma e la seduta psichiatrica. Per raggiungere questi esiti le vicende ed i ruoli di Nadia e Sirio assumono la rilevanza di testimonianze e coprotagonisti. Tutto questo è favorito da una sceneggiatura che pone le due storie in parallelo con una struttura narrativa forte e, almeno all’inizio, schematica. Questo modello facilita interferenze e rimandi dando unità all’opera. In filigrana è possibile scorgere temi ricorrenti che assumono significati particolari, nella vicenda di Sirio e Betty assistiamo ad una decostruzione di un rapporto e la conseguente messa in discussione del proprio ego, che si materializza nelle stanze vuote, nelle foto e filmati della moglie, nella scritta che feticisticamente campeggia in cucina e che si risolve nella vendita nei mobili, forse una trasfigurazione della liberazione di Betty e di un cambiamento del marito. La storia di Nadia si struttura come una ricerca famigliare sulle figure sbiadite della madre e successivamente del padre, con i documenti scritti a fungere da guida. Scritture che assumono connotazioni diverse a seconda della tipologia e che instaurano un percorso significativo, il diario adolescenziale vergato di propria mano da Nadia, la grafia interpretante di Tarika che sfocia nel disegno, la fredda stampa ufficiale che attesta la morte del padre.

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Le poche foto nei passaggi chiave testimoniano l’assenza genitoriale. Il documentario si caratterizza per un’essenzialità stilistica che a tratti cede il passo ad atmosfere più sfumate nelle scene che coinvolgono Tarika (durante le sedute,

il finale, la sequenza in apertura...) attraverso un montaggio audiovisivo che procede per tagli asincroni tra suono e immagine o tramite la voce off, quella della sensitiva che si fa carico del messaggio dei defunti e accompagna i protagonisti. Il risultato è un opera evocativa

e misurata, che invita ad addentrarsi nelle vicende. Lasciando il significato in sospeso, permette allo spettatore un orientamento autonomo e mostra il percorso interiore dei protagonisti. Andrea Cardelli

di Stefano Mordini

LASCIAMI ANDARE Origine: Italia, 2020

Marco, Clara e il piccolo Leo acquistano una casa a Venezia che in passato si diceva infestata in quanto, in una stanza, secondo il principio della camera oscura, si proiettano immagini dell’esterno. Otto anni dopo, Marco, che di mestiere fa l’ingegnere e vive ora con Anita, inizia a ricevere delle telefonate mentre è in cantiere. In pausa pranzo, viene raggiunto da una certa Perla Gallo che dice di vivere nella sua vecchia casa. La donna si mostra invadente chiedendo della morte di Leo: lui non l’ascolta e va via. Qualche giorno dopo Perla raggiunge Marco al lavoro: il figlio Giacomo avverte la presenza del bambino nella sua camera. Una mattina l’ormai ex moglie Clara, infuriata, bussa alla porta di Marco per dirgli che Perla le ha raccontato tutto e che ha intenzione di andare fino in fondo. Infatti, nel pomeriggio si reca nella sua vecchia casa e avverte anch’ella la presenza del figlio. Così l’uomo chiede spiegazioni al padre, studioso di culture orientali, che gli consiglia, oltre a un libro da leggere, di recarsi da un suo amico, il professore di fisica Luca Zanardelli. Il giorno dopo Marco, dopo aver mentito ad Anita, torna con Clara nella loro ex casa. Il piccolo Giacomo sembra molto credibile e i due salgono nella stanza: l’uomo

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non riesce a sopportare l’impatto e fugge via. Intanto il trauma della perdita del figlio è ancora grande e, nei giorni seguenti, continuerà a frequentare un gruppo di terapia: i membri sono gli unici che conoscono la vera storia di quel giorno. Qualche tempo dopo, in un sopralluogo di lavoro, Marco rinviene il vecchio peluche di Leo, dato in beneficenza dopo la sua morte. Non sapendo più in cosa credere, assieme a Clara si reca dal professor Zanardelli, il quale attraverso tesi scientifiche non conferma né smentisce alcuna possibilità, alimentando ulteriormente i dubbi. Quella sera l’ingegnere fa visita a Perla per riconsegnare il peluche al figlio ma si dimentica di Anita al lavoro, la quale, il giorno dopo, chiede una pausa di riflessione. Marco e Clara consultano un sensitivo per avere conferme. Quest’ultimo mette in contatto Leo con il padre: il piccolo, tramite il medium, lo ringrazia per il peluche e lo scagiona da quanto è accaduto quel giorno. Ancora una volta, Marco non regge ed esce fuori a prendere aria, poi racconta all’ex moglie di sentirsi in colpa per aver sgridato e messo il figlio in castigo, fattore che secondo lui avrebbe portato il piccolo a buttarsi dalle scale. Il mattino seguente Perla raggiunge l’ingegnere a lavoro e dice di aver parlato con Clara riguardo la sua volontà di riacquistare casa, mettendo anche una certa fretta. 35

Produzione: Roberto Sessa per Warner Bros. Entertainment Italia, Picomedia Regia: Stefano Mordini Soggetto: dal romanzo “You Came Back” di Christopher Coake Sceneggiatura: Stefano Mordini, Francesca Marciano, Luca Infascelli Interpreti: Stefano Accorsi (Marco), Valeria Golino (Perla), Maya Sansa (Clara), Serena Rossi (Anita), Antonia Truppo (Gloria), Lino Musella (Simone), Elio De Capitani (Carlo) Durata: 98’ Distribuzione: Warner Bros. Pictures Uscita: 8 ottobre 2020

Un collega, dopo aver incrociato la donna, dice a Marco che la stessa gli aveva chiesto di falsificare una perizia su una casa inagibile. L’uomo, insospettito dalla notizia, inizia a fare delle ricerche e scopre che molte delle cose dette da Perla sono false. Così decide di andare fino in fondo avvicinando il piccolo Giacomo ma le sue teorie vengono confermate, per puro caso, duran-


te una seduta del circolo: Gloria, una ex alcolista con difficoltà economiche, dice di essere in partenza per il Marocco. Da ciò Marco capisce che è stata lei a dare tutte le informazioni a Perla, la quale aveva il solo scopo di rivendergli la casa, invendibile altrimenti. Scoperto l’inganno, l’uomo affronta la truffatrice e la accusa di fronte a tutti, minacciando di denunciarla. La donna ammette di avere difficoltà economiche ma non si pente di ciò che ha fatto e dice di aver visto davvero Leo. Alla luce di tutto ciò, Clara non riesce a spiegarsi come abbia fatto il sensitivo a sapere tutte quelle cose. Un anno dopo Anita e Marco sono tornati insieme ma lui non ha dimenticato. Nonostante sia passato del tempo, torna dal sensitivo per chiedere chiarimenti. Il medium non era a conoscenza della truffa e glielo dimostra mettendolo di nuovo in contatto col figlio. Nello stesso momento, Clara è tornata in quella casa e vede Leo nel riflesso sul muro.

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Stefano Mordini ha ampiamente dimostrato di essere un regista poco conforme ai canoni della cinematografia italiana attuale e torna a farlo con Lasciami andare, un thriller che si tinge di paranor-

male e che conferma la sua vicinanza al genere, già sperimentata con Il testimone invisibile. Tratto dal romanzo You came back (2012) dell’americano Christopher Coake, il film si concentra sull’analisi dell’esperienza traumatica di perdere un figlio di cinque anni, i sensi di colpa e la successiva elaborazione del lutto, per una coppia che, a causa di ciò, riesce a stento a parlarsi. Marco e Clara rappresentano i due estremi della reazione: il primo razionalmente cerca di lasciarsi l’accaduto alle spalle, la seconda invece si aggrappa a qualsiasi spiraglio pur di non abbandonare il passato. Un passato che si fa presente con l’arrivo di Perla che distrugge le certezze dei due, rendendoli incapaci di distinguere la realtà dall’illusione. Difficoltà che giustifica la presenza del personaggio del professor Zanardelli al quale è dedicata un’unica scena in cui viene spiegata la relazione tra spazio e tempo (e in particolare che quest’ultimo non viaggi in modo lineare ma a salti, rendendo effimera la distinzione tra passato e futuro) dal punto di vista della meccanica quantistica. Una scena lunga (e faticosa) che funziona quasi da “spiegone” e che, probabilmente, poteva essere risparmiata, evitando di rallentare ulteriormente un ritmo già lento.

di Giuliana Gamba

Nella pratica dell’adattamento dal testo iniziale, Mordini (che scrive con Francesca Marciano e Luca Infascelli) muove il racconto dall’America all’Italia e ricolloca gli eventi a Venezia. Una scelta non casuale che risulta vincente grazie all’ampio folklore della città, avvezzo a credenze paranormali. Ma oltre al ruolo di sfondo, essa ne svolge uno importante a livello narrativo, quello di alter-ego del protagonista: la sua immagine monumentale ma decadente e precaria (anche a causa dell’acqua alta del 2019, periodo in cui è stato girato il film) si rispecchia in Marco, un ingegnere che “cerca di tenere a galla una città che sta affondando” ma che a malapena riesce a tenere a galla se stesso. Presentato fuori concorso alla Biennale Cinema di Venezia 2020, il film riesce a creare un’atmosfera cupa e oscura, pregna di suspense e degna della drammaticità della trama e dell’etichetta di thriller che gli viene assegnata (anche grazie a una fotografia ben curata da Luigi Martinucci), ma forse pecca nella progressione narrativa che arranca e procede in modo monotono fino al plot twist finale che non riesce a soddisfare, da solo, le aspettative precedentemente generate. Giallorenzo Di Matteo

BURRACO FATALE

Origine: Italia, Francia, 2017 Produzione: Fenix Entertainment, Rai Cinema, Morocco Movie Group Regia: Giuliana Gamba Soggetto e Sceneggiatura: Francesco Ranieri Martinotti, Giuliana Gamba Interpreti: Claudia Gerini (Irma), Angela Finocchiaro (Eugenia), Paola Minaccioni (Rina), Caterina Guzzanti (Miranda), Mohamed Zouaoui (Kalid), Loretta Goggi (Sibilla), Pino Quartullo (Marco) Durata: 90’ Distribuzione: Koch Media Uscita: 12 febbraio 2021

Irma, insegnante di violoncello, sta aspettando suo marito Mario dopo un concerto, sebbene l’uomo, totalmente disinteressato, si trovi in compagnia della sua giovane amante, Ava. Dopo una caduta, la donna viene soccorsa da Nabil, pescatore marocchino attratto da lei. Ogni settimana, Irma si incontra con le sue amiche per le loro

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usuali partite a burraco: Miranda, giovane vedova ossessionata dal gioco, vive malvolentieri con la ricca suocera Sibilla, mentre sua figlia è fuori per studio; Rina, figlia di un prefetto, lavora come notaia, nota per essere una ladra e una bugiarda; Eugenia è una casalinga intrappolata in un matrimonio infelice, succube di suo marito. Scoperti i tradimenti di Mario, Irma


torna al porto per cercare Nabil; dopo essersi baciati, i due iniziano a frequentarsi di nascosto, ma Irma sente il bisogno di confessare la sua storia a Miranda, raccontandole la proposta del compagno di partire per qualche giorno insieme. Nel frattempo, Rina ed Eugenia scoprono che Ava ha postato sui suoi canali social dei video in cui la ritraggono mentre amoreggia con Mario, da cui la decisione della moglie di partire senza dire nulla al marito e senza sentirsi in colpa. Nabil non è un semplice pescatore, ma appartiene a una delle tribù più antiche del Marocco, tanto da accompagnare Irma nella sua patria con il suo aereo personale, accogliendola nella sua ricca dimora; mentre i due sono in viaggio, Mario va alla ricerca di Irma da Miranda, per cui Sibilla si inventa una lettera fittizia della donna per comunicargli la sua decisione di divorziare definitivamente. In Marocco, Irma vive la sua idilliaca vacanza, mentre in Italia Eugenia inizia a preoccuparsi per la sua scomparsa improvvisa; Miranda è costretta a svelare la sua fuga romantica, per cui le tre decidono di chiamarla a sorpresa ma, a rispondere, è un bambino marocchino, da cui i timori di Eugenia che l’amica sia stata rapita. Nella villa di Nabil, Irma scopre che le cugine che vivono con lui sono in realtà le sue due mogli, per cui, sconvolta, decide di tornare in Italia, nonostante l’uomo tenti di spiegarle che è stato costretto a sposarle sebbene non sia innamorato di loro. Rientrata ad Anzio e rimproverata dalle sue amiche per la sua fuga con uno sconosciuto, la donna divorzia e cade in depressione; nel frattempo, in quanto vincitrici del torneo regionale, le quattro amiche vengono ammesse al torneo nazionale di burraco, ma Irma non vuol partecipare, di qui la decisione delle tre di obbligarla a partire con loro.

Durante le partite, Irma è distratta, pregiudicando la vittoria della loro squadra, il che genera tensioni all’interno del gruppo, più interessato a vincere che alla situazione emotiva dell’amica. Anche Eugenia cerca di affrancarsi dal suo triste matrimonio attraverso l’incontro con Guido, ex compagno di liceo, prima che egli le presenti suo marito. Rina viene contattata dalle mogli di Nabil, che le comunicano che l’uomo è in preda alla disperazione, per cui chiedono aiuto per far tornare la sua amata. Irma inizia a rinsavire, la squadra arriva in finale. La sera prima della partita conclusiva, le tre drogano Irma e partono per il Marocco per incontrare Nabil, il quale racconta loro di non aver mai amato nessuna come lei. Il giorno dopo, tornate in Italia, le protagoniste sono pronte per il round finale tra la squadra del Lazio, capitanata da Irma e Miranda, contro la Campania; prima di giocare la carta finale che decreterebbe la loro vittoria, Irma intravede Nabil tra la folla, per cui fugge in camera, interrompendo la partita e decretando la loro sconfitta. La donna è furiosa con le amiche, ma il giovane la riconquista dicendo di non poter rinunciare a lei. Tempo dopo, Irma si è trasferita da Nabil e dalle sue mogli; in compagnia delle sue amiche, la donna porta il burraco in Marocco.

Guzzanti, senza raggiungere però quell’ironia tagliente e spietata tipica degli esegeti della nostra commedia. Rileggendo un impianto fiabesco alla Biancaneve e Cenerentola nell’immaginario di un Aladdin, lo stereotipo di un femminile passivo, incapace di raggiungere una propria indipendenza emotiva e sentimentale, il film incontra la riproposizione di un mito dell’esotismo che vede il Medio Oriente come territorio favolistico, paradisiaco, capace di donare un’esistenza al limite del sogno: luogo dell’incanto, in cui il ricco principe azzurro salva la principessa raggiungendola con il suo fedele cammello, consentendole di ritrovare la sua fragile identità tra gioia e balli mostrati inopportunamente in ralenti, permettendo una fuga da un immancabile marito fedifrago, sostituito non solo da una mascolinità più adeguata, ma da un nuovo status economico sicuramente più allettante. Lo sguardo dell’autrice definisce quattro modelli di femminilità differenti ma, al contempo, in quanto imbevuto da luoghi comuni, determina più o meno volontariamente un atteggiamento più favorevole verso la coppia vittimistica Gerini-Finocchiaro: centrale la figura della donna nevrotica e necessitante di un compagno da amare, al limite del lezioso (Gerini), infelice e succube del marito (Finocchiaro) accanto a personalità più autonome e indipendenti, Commedia femminile, ma ritratte come false, ipocrite e idillicamente estenuan- poco di buono (Minaccioni) o opte, Burraco fatale non portuniste e ignoranti (Guzzanti). è capace di emanciparsi da stereotipi inabili a restituire una comicità dissacrante in grado di osservare i vizi e i vezzi del nostro Paese, riproposti fugacemente attraverso la retorica populista del “ce li abbiamo dentro casa” oppure “le tasse le paghiamo noi” incarnata dai personaggi di Minaccioni e

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La sceneggiatura piuttosto prevedibile non riesce a sfruttare al meglio la qualità del suo cast, al quale si aggiunge Loretta Goggi,

finendo per annullare pesante- soprattutto per un pubblico del mente le identità delle sue prota- “Tremila”, citando Guzzanti. goniste in nome di uno sguardo Leonardo Magnante tra lo stucchevole e l’anacronismo,

di Carlo Verdone

SI VIVE UNA SOLA VOLTA

Origine: Italia, 2020 Produzione: Aurelio De Laurentiis e Luigi De Laurentiis per Filmauro Regia: Carlo Verdone Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Verdone, Giovanni Veronesi, Pasquale Plastino Interpreti: Carlo Verdone (Professor Umberto Gastaldi), Rocco Papaleo (Amedeo Lasalandra), Anna Foglietta (Lucia Santilli), Max Tortora (Corrado Pezzella), Mariana Falace (Tina Gastaldi), Sergio Múñiz (Xabier), Livia Luppattelli (Elena Pezzella), Azzurra Martino (Vera Spampinato), Giuseppe Nardone (Facchino) Durata: 105’ Distribuzione: Filmauro Uscita: 28 aprile 2021

Umberto è un famoso chirurgo romano che lavora a stretto contatto con i suoi colleghi più fidati, nonché amici: il chirurgo Corrado, la strumentista Lucia e l’anestesista Amedeo, vittima dei beceri scherzi dei suoi amici, tali da rendergli la vita un inferno. Umberto non riesce a stabilire un rapporto comunicativo con sua figlia Tina, sirenetta in un programma televisivo in cui è nota per mettere in mostra le sue forme, a cui prende parte grazie alle relazioni intraprese con uomini potenti; la giovane non perdona al padre di non esserci mai stato durante la sua infanzia. A Roma arriva Xabier, il fidanzato spagnolo di Lucia, conosciuto durante le loro missioni umanitarie; desiderosa di stabilità, la donna gli chiede di rimanere in Italia con lei. Gli scherzi verso Amedeo diventano sempre più pesanti, di qui la sua decisione di allontanarsi dai suoi amici.

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Gianluca, collega di Umberto, gli comunica che Amedeo ha svolto dei controlli di routine e che gli è stato diagnosticato un tumore cerebrale, con metastasi diffuse e pochi mesi di vita, sebbene lui non lo sappia ancora. I tre amici non hanno il coraggio di comunicare la triste notizia ad Amedeo, il quale è in procinto di partire per la Puglia per una vacanza: viene così la scelta di Umberto di accompagnarlo insieme a Corrado e Lucia, come loro ospite, sperando di poter trovare il momento adatto per parlargli. Lucia vuole rimanere a Roma con Xabier ma, scoperti i suoi tradimenti, fugge nel meridione con gli amici. Nell’esaudire i desideri di Amedeo, la vacanza si trasforma in un incubo. Cacciati da una spiaggia di proprietà di un ricco onorevole, i quattro si vendicano fingendosi la protezione civile e presentandosi alla sua villa per comunicare che l’abitazione sarà adibita all’accoglienza di migranti in arrivo, ma scoprono che l’uomo è in compagnia di Tina, sua amante. Rivelata la farsa, l’onorevole caccia la giovane, furiosa con il padre dato che stava per prendere parte a un famoso reality. Amedeo è desideroso di uno scambio di verità segrete con i suoi amici, per cui confida a Corrado che i tanti viaggi della moglie a Norcia sono una copertura per la sua relazione con Gianluca, storia della quale tutti sono a conoscenza; in seguito, confessa il suo amore per Lucia e i due fanno sesso, sebbene la donna si penta, 38

giustificando l’accaduto con la sua fragile emotività per la rottura con Xabier e per la condizione di salute dell’amico. La donna ruba il cellulare di Umberto per scrivere un messaggio a Tina, permettendo una loro riappacificazione. I tre parlano con Amedeo, che inizialmente crede che la malattia sia un ulteriore scherzo; disperato, l’uomo passa un’altra notte di sesso con Lucia. La mattina seguente, i protagonisti scoprono che Amedeo è scomparso e che è stato visto dirigersi verso gli scogli; giunti sul posto, trovano i suoi vestiti, finendo per temere il peggio. Improvvisamente, Amedeo compare su un’imbarcazione per turisti e si prende gioco dei tre, umiliandoli e comunicando loro di aver progettato lo scherzo della sua malattia con Gianluca, vendicandosi dei tanti soprusi e sperando di poter ricominciare da zero la loro amicizia. Tempo dopo, i quattro devono operare Gianluca e si vendicano comunicandogli all’ultimo momento che il suo chirurgo sarà Corrado e non Umberto. Dopo più di un anno di rinvii a causa delle difficoltà distributive dovute al contenimento della pandemia di COVID-19, approda su Amazon Prime l’ultimo attesissimo film di Carlo Verdone, affiancato da volti noti della comicità italiana contemporanea come Anna Foglietta, Rocco Papaleo e Max Tortora, un ritorno a un

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cast corale che l’autore ha messo tra parentesi dopo Posti in piedi in paradiso per narrazioni circoscritte a coppie di interpreti, come Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Ilenia Pastorelli. Verdone torna nuovamente al genere che lo ha consacrato come uno dei volti più esemplari della commedia italiana, nel desiderio di smuovere una riflessione in merito all’usura di un’amicizia dovuta a una costante frequentazione che rischia di ledere un legame divenuto ordinario e usuale, finanche svelare la dialettica tra l’affermazione professionale e lo smarrimento nella vita privata che, a detta dello stesso autore, accade non di rado alle persone di successo. Sicuramente il cast risulta l’aspetto più notevole grazie alle differenti comicità incarnate dai diversi interpreti, sebbene la narrazione non sia priva di aspetti discutibili, in particolar modo sul piano della relazione di genere tra i personaggi, scandita da stereotipi che inte-

ressano tanto le identità maschili quanto un femminile piuttosto svilito, nonostante l’esilarante interpretazione della Foglietta, che si conferma come una delle attrici italiane più talentuose del momento, tanto nella commedia quanto nel dramma, scelta dal regista per la sua versatilità. La diegesi non eccelle nel riproporre le classiche e iterative situazioni alla Verdone, a partire dall’immancabile rapporto conflittuale tra genitori e figli fino ai tradimenti extraconiugali vari, mancando di originalità anche nel prevedibile plot twist vendicativo di Papaleo, già pienamente intuibile dal trailer e non privo di qualche criticità, a partire dal livello di umiliazione progettato nei confronti dei tre che, se nel caso dei personaggi maschili è giocato più sul piano professionale e familiare, nei confronti del femminile non può che scadere nell’inevitabile derisione (e oggettivazione) sessuale. Purtroppo, come accaduto anche negli ultimi lavori di Verdone, il

TRASH - LA LEGGENDA DELLA PIRAMIDE MAGICA

Slim, una vecchia scatola di cartone, e Bubbles, una malridotta bottiglia di plastica, vivono insieme ad altri rifiuti all’interno di un mercato. Lo scopo di tutti è quello di scoprire di più sulla piramide magica, anche se Slim sembra ormai rassegnato. L’arrivo del giovane Spark, una scatolina blu, smuove gli equilibri: sul suo retro è stampato il simbolo della piramide (quello del riciclo). Mentre Bubbles spiega a Slim i suoi bizzarri piani per fuggire, il mercato viene invaso da un risucchiatore (un veicolo per lo spazzamento rifiuti) e i due, per salvare Spark, si infilano in un tombino. Non potendo più risa-

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Leonardo Magnante

di Luca Della Grotta, Francesco Dafano

lire, proseguono per le fogne e sbucano in strada dove il piccolo nota un cartellone che lo ritrae. Bubbles gli promette di accompagnarlo a casa mentre Slim gli chiede di rassegnarsi alla vita da spazzatura. Qui si imbattono in Smag, una sorta di mini-cassettiera, che sta fuggendo dai predatori, malvagi barattoli di alluminio che intendono portare tutti a marcire in discarica. Durante l’inseguimento, questi ultimi notano Spark che diventa il loro obiettivo principale. Una volta seminati, il gruppo segue Smag che, dopo averli cacciati in ulteriori guai, li conduce al Vicolo del Tramonto, un paradiso dove sicuramente troveranno notizie utili sul giovane. Nel frattempo i predatori tornano in di39

film sembra attualizzare la minaccia dell’omologazione del genere prevista da Alberto Sordi durante un dialogo personale con l’autore, portando a film sempre più prevedibili, nella difficoltà di riuscire a stupire il proprio pubblico attraverso una scrittura dell’ironia di qualche spessore, senza ombra di dubbio tra le più complesse e mutevoli, specchio dei propri tempi e dell’evoluzione stessa dei valori, dei vizi e delle ambiguità dell’essere umano, quando sapientemente sfruttata.

Origine: Italia, 2019 Produzione: Al-One SRL Regia: Luca Della Grotta, Francesco Dafano Soggetto e Sceneggiatura: Andrea Nobile, Francesco Dafano, Billy Frolick (dialoghi addizionali) Durata: 88’ Distribuzione: Notorious Pictures Uscita: 16 ottobre 2020

scarica e comunicano al loro capo, Kudo, di aver trovato ciò che gli serve. Mentre Slim cerca informazioni, Bubbles e il piccolo decidono di assistere ai vari spettacoli, tra i quali quello di Bliss, un’attraente bottiglia di vetro che si innamora a prima vista del suo corrispondente di plastica. Intanto tra la folla conoscono Jet, un piccolo ba-


rattolo di marmellata che si offre di aiutarli. A sorpresa, i predatori giungono al vicolo distruggendo tutto ciò che trovano. Il gruppo riesce a fuggire in un cunicolo segreto grazie all’aiuto di Bliss. Jet, li accompagna dal Guaritore che, oltre a curare le ferite di Slim, fa notare agli altri che Spark è un portatore ancora pieno e che quindi, per lui, non è ancora il momento di cercare la piramide magica. Così, seguiti i consigli del vecchio, il gruppo si rimette in moto lungo il fiume ma Bubbles decide di tornare indietro per salvare Bliss. Grazie a un altro cartello trovano la strada ma nel tragitto si imbattono di nuovo nei predatori che riducono in fin di vita Jet e riescono a catturare Spark. Intanto Bubbles trova Bliss e la conduce dal Guaritore. Slim, seguendo le tracce, raggiunge la discarica ma viene catturato. Qui Kudo, che ha le sembianze di un case di un computer, rende schiavi i rifiuti e li costringe a lavorare per lui, illudendoli di avere un nuovo scopo. Quest’ultimo ha bisogno di Spark in quanto portatore di batterie solari e dunque di energia infinita. A salvare la situazione interviene Pat, un secchio di vernice membro dei predatori che non vuole più fare del male: grazie al suo aiuto i due prigionieri riescono a fuggire, anche se per poco. Presto, Kudo e i suoi scagnozzi li raggiungono, costringendoli a

uno scontro all’ultimo sangue. Fortunatamente, Slim e Spark riescono, non senza difficoltà, a sbarazzarsi di loro. Recuperate le forze, i due si rimettono in viaggio. Dopo esser stati raggiunti da Bubbles, Bliss e Jet, arrivano a destinazione: la vetrina di un negozio. Non resta che aspettare il giorno in modo che qualcuno possa trovare Spark e farlo entrare. Nel frattempo Bubbles nota il simbolo della piramide magica stampato su di una postazione per la raccolta differenziata simile a un portale luminoso: quello è il loro destino. I due innamorati, essendo di materiale diverso, sono costretti a separarsi mentre Slim, essendo una scatola, deve essere schiacciato per passare dalla fessura. Ma un risucchiatore incombe sulla piazza minacciando la loro vita, fortunatamente senza ripercussioni. Slim, ormai tornato portatore all’interno di un negozio, una sera, esce in strada per cercare Spark: il piccolo è riuscito a entrare nella vetrina. Quale modo migliore per incuriosire i più giovani riguardo tematiche importanti se non attraverso un film di animazione? Probabilmente anche i due registi, Francesco Dafano e Luca Della Grotta (autore degli effetti visivi di Lo chiamavano Jeeg Robot), sono partiti da quest’assunto nell’immaginare Trash - La leggenda della piramide magica. Il film è di certo figlio di un progetto ambizioso: già di per sé si tratta di un outsider nel panorama del cinema italiano, che sempre meno frequentemente (perlomeno nei circuiti principali) sonda territori di genere o metodi di produzione atipici come, in questo caso, l’animazione. Il film mostra la sua natura già dai titoli di testa: riprese dal vivo che vengono animate ‘in tempo reale’ ci suggeriscono che quelle

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che vedremo di lì a poco saranno immagini ibride. È, infatti, sullo sfondo di inquadrature dal vero, in anonimi luoghi di Roma, che si muovono i piccoli personaggi in CGI che tanto ricordano immaginari Pixar. Presentato alla Festa del Cinema di Roma, prodotto dalla Al-One (al loro primo lungometraggio) e distribuito nelle sale dalla Notorious Picture, l’opera tratta il delicato (e sempre attuale) tema della raccolta differenziata dal punto di vista dei rifiuti. Esseri che di notte si personificano in cerca del proprio posto nel mondo, ma soprattutto in cerca di una seconda possibilità. D’altronde riciclare significa proprio questo: dare nuova vita alle cose. Ma, oltre che alla mission pedagogica (che di certo ne è fulcro), il film manda un messaggio ancora più ampio e universale al suo target: non smettere mai di cercare la propria identità, la propria collocazione e il proprio ruolo, anche dopo un fallimento. Perché ognuno merita una seconda chance. A livello estetico le immagini sono estremamente curate e, grazie a ciò, potenzialmente attrattive anche per i più grandi, ma è evidente che lo spettatore a cui ci si rivolge è il giovanissimo: per l’adulto il messaggio ecologico di fondo potrebbe sembrare banale e superficiale oltre che scontato (probabilmente anche perché, nella percezione comune, la questione sembra già vecchia, anche se tutt’altro che superata o risolta). In realtà, l’intento del film non è quello di insegnare, in modo didascalico, il corretto smistamento dei rifiuti (allo scopo è stato creato Trash Game, un’app educativa derivata) ma quello di stimolare la curiosità riguardo un argomento che è bene conoscere per ridurre gli sprechi e iniziare, da subito, a fare la propria parte. Giallorenzo Di Matteo


di Philippa Lowthorpe

IL CONCORSO Londra, 1970. Sally Alexander, giovane accademica e attivista per i diritti delle donne, sta svolgendo un importante colloquio conoscitivo presso la prestigiosa University College London, durante la quale, si scontrerà con i pareri discordanti dell’intera commissione sulla sua adeguata preparazione e maturità. Nonostante ciò, pochi mesi più tardi, la donna verrà ammessa all’università e inizierà a seguire con interesse i primi dibattiti in aula magna del nascente Movimento di Liberazione delle Donne (Women’s Liberation Movement) che ha come scopo quello di condannare ogni manifestazione che contribuisca alla diffusione di una visione popolare e denigratoria nei confronti del genere femminile e alla mercificazione del suo corpo; una delle loro battaglie è certamente la nuova edizione di Miss Mondo, in cui Sally e il suo gruppo di attiviste disapprovano e cercano in tutti i modi di ostacolare attraverso picchetti, cortei, manifesti e proteste di vario genere. Intanto, Eric Morley, l’organizzatore e fondatore di Miss Mondo, ingaggia il celebre comico Bob Hope come presentatore dell’evento, tenendo però all’oscuro i giornalisti sulle candidate di questa edizione. Infatti, dopo le lamentele di un rappresentate del movimento anti-apartheid (Black Consciousness Movement) sulla mancata partecipazione di una ragazza nera del Sud Africa (nonostante il paese sia costituito per ben l’80% da popolazione di colore), l’uomo per evitare ogni forma di polemica razziale, incarica subito il suo assistente di trovarne una, scegliendo infine la bella Jennifer Hosten, rappresentante del Grenada.

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Nel frattempo il primo ministro di Grenada, sir Eric Gairy, si propone come uno dei giudici del concorso al fine di rappresentare tutte le persone di colore di tutti i paesi; Sally invece, continua la sua lotta contro il concorso comparendo perfino in una diretta TV in cui accusa la manifestazione di sessismo e sfruttamento della figura femminile, quasi come se fosse un mercato del bestiame. In seguito però, il gruppo di attiviste escogita un piano per fare in modo di addentrarsi - senza destare sospetti - all’interno della Royal Albert Hall, sede dell’evento: acquisteranno i biglietti d’ingresso della sala e si mimetizzeranno in mezzo al pubblico. Inizia finalmente Miss Mondo 1970 e Bob Hope si appresta a presentare le varie candidate quando, all’improvviso una dozzina di donne salta dalle loro poltrone, disturbando la quiete dello spettacolo con sonagli, striscioni, lanciando sacchetti di vernice sul palco e gridando all’unisono: “Vergogna!”, “Vergogna, Bob Hope!”. Poco dopo però, interviene la polizia e le manifestanti vengono portate via e arrestate, causando l’interruzione della diretta televisiva. Dopo aver ristabilito l’ordine in sala, interviene Eric Morley che tranquillizza il pubblico annunciando la continuazione dello spettacolo e Bob Hope riprende nuovamente il suo posto da presentatore. Quindi, arrivati al momento fatidico della serata, vengono proclamate le finaliste della competizione, nell’ordine: terzo posto per Miss Israele, secondo posto Miss Africa del Sud. Al primo posto, a sorpresa di tutti i presenti, vince Miss Grenada, divenendo la prima ragazza di colore a vincere Miss Mondo. Sally e le altre componenti del gruppo sono state giudicate colpe41

Origine: Finlandia, Gran Bretagna, 2020 Produzione: Suzanne Mackie, Sarah-Jane Wheale per Left Bank Pictures, Pathé, BBC Films, Ingenious Media, British Film Institute Regia: Philippa Lowthorpe Soggetto: Rebecca Frayn Sceneggiatura: Rebecca Frayn, Gaby Chiappe Interpreti: Keira Knightley (Sally Alexander), Gugu Mbatha-Raw (Jennifer Hosten - Miss Grenada), Jessie Buckley (Jo Robinson), Keeley Hawes (Julia Morley), Phyllis Logan (Evelyn Alexander), Lesley Manville (Dolores Hope), Rhys Ifans (Eric Morley), Greg Kinnear (Bob Hope), John Hefferman (Gareth), Suki Waterhouse (Sandra Anne Wolsfeld - Miss Stati Uniti), Clara Rosager (Maj Christel Johansson - Miss Svezia), Loreece Harrison (Pearl Jansen - Miss Africa del Sud), Emma Corrin (Jillian Jessup - Miss Sud Africa) Durata: 102’ Distribuzione: Bim Distribuzione Uscita: 25 dicembre 2020

voli di disturbo della quiete pubblica e lancio di oggetti pericolosi; ma ancora oggi, il loro gesto di ribellione è ritenuto manifesto di tutti i movimenti per la liberazione delle donne e delle lotte contro ogni forma di discriminazione sessista.

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Mentre una giovane accademica si appresta a svolgere un importante colloquio presso la prestigiosa University College London, dall’altra parte del mondo, in Vietnam, il celebre comico Bob Hope, presenta, davanti ad un infervorato pubblico di soldati americani, la vincitrice di Miss Mondo 1969. È così che prende le mosse l’incipit de Il concorso, pellicola dall’anima orgogliosa-


mente femminile diretta da Philippa Lowthorpe (The Crown) e co-sceneggiata da Gaby Chiappe (L’ora più bella) e Rebecca Frayn (The Lady - L’amore per la libertà) che, attraverso un approccio semplice e didascalico, ripercorre un pezzo di storia del femminismo inglese attraverso gli eventi che portarono al sabotaggio della ventesima edizione di Miss Mondo 1970. Un evento di fondamentale importanza non solo per la nascita del #MeToo, ma anche per l’annosa questione della discriminazione razziale che, fino a quel momento, escludeva qualsiasi donna di diversa provenienza etnica dai concorsi di bellezza. Nel film infatti, è possibile evidenziare due storyline parallele che si ritroveranno a convergere nella stessa traiettoria: se da un lato viene affrontato il tema dell’emancipazione femminile e delle lotte che si sono susseguite, dall’altra viene mostrato il punto di vista delle donne di colore in gara, con Miss Grenada, che ai tempi è stata la prima donna di colore a vincere la competizione, e Miss Africa del Sud, arrivata seconda. Quello che viene fuori

è l’interessante scontro/incontro tra questi due “mondi” (le femministe e le modelle che partecipano al concorso), le motivazioni di ciascuna e la forza anche politica di toccare temi razziali efficacemente collegati a quelli dei diritti delle donne. Non a caso la regista è stata abile a mostrare i fatti in maniera oggettiva, dimostrando quindi un rifiuto per estremismi di sorta. Mentre invece vengono condannati personaggi come quello di Bob Hope, emblema della Hollywood più retrograda e maschilista, incapace di apprezzare il vero valore delle donne se non quello di mero oggetto. Nonostante i buoni propositi, il film però non ha la forza necessaria di elevarsi a semplice commedia per un pubblico young adult. Le cause sono riscontrabili a partire da una sceneggiatura poco accurata e da una regia fin troppo televisiva che - unita ad una scarsa caratterizzazione dei personaggi e delle dinamiche del momento storico ricostruito - evidenziano i limiti di una pellicola poco appassionante. Riesce a stupire invece l’elegan-

di Silvia Giulietti

te comparto scenografico (Cristina Casali) e la ricchezza dei costumi (Charlotte Walter) - con quest’ultimi premiati al British Independent Film Awards 2021 - che restituiscono alla perfezione il fascino ribelle dell’epoca. Gran cast d’attori: oltre all’accoppiata Keira Knightley (Orgoglio e pregiudizio) e Gugu Mbatha-Raw (La ragazza del dipinto), con quest’ultima - una delle attrici britanniche più in ascesa, negli ultimi anni, sono degne di nota anche le partecipazioni di Rhys Ifans (Notting Hill), Greg Kinnear (The Last Song) e della promettente attrice irlandese Jessie Buckley (A proposito di Rose). Il concorso è stato presentato in anteprima nazionale all’undicesima edizione del Bari International Film Festival 2020 ma, a causa della pandemia di COVID-19 il suo passaggio in sala è stato interrotto anzitempo per poi essere distribuito in Italia a partire dal 2 gennaio 2021 su Premium Video on Demand su Sky Primafila, iTunes, GPlay, Rakuten TV, TIMVISION, Chili e Infinity. Alessio D’Angelo

FELLINOPOLIS

FELLINOPOLIS Origine: Italia, 2020 Produzione: Iframe SRL, in collaborazione con Libera Università del Cinema Regia: Silvia Giulietti Soggetto e Sceneggiatura: Silvia Giulietti Interpreti: Lina Wertmüller (Se stessa), Nicola Piovani (Se stesso), Dante Ferretti (Se stesso), Maurizio Millenotti (Se stesso), Ferruccio Castronuovo (se stesso), Norma Giacchero (Se stessa) Distribuzione: Officine Ubu Durata: 80’ Uscita: 10 giugno 2021

Dal nero, scorrono immagini dei set di alcuni film diretti da Federico Fellini. Il regista riminese impartisce ordini attraverso il megafono, dirige gli attori, coor-

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dina le figurazioni. Una musica incalzante accompagna la sequenza di montaggio. Poi, il titolo del film. Roma, oggi. Immagini degli studi cinematografici di Cinecittà svelano il Teatro 5, all’interno del quale vennero girati molti dei film di Fellini. Altre sequenze tratte dalla lavorazione di alcuni film, soprattutto E la nave va, La città delle donne e Ginger e Fred. A narrare le immagini e il privilegio di averle potute cogliere è Ferruccio Castronuovo, regista e autore che si occupò, nel decennio 1976-86, del backstage dei lavori di Fellini. L’uomo, in inquadratura frontale, narra il primo incontro con il regista cinque volte premio Oscar 42

e la magia di poter assistere alla costruzione del mondo felliniano sul set. Come lui, altri collaboratori, all’epoca poco più che giovani addetti ai lavori, raccontano, in inquadratura frontale, il loro primo incontro con Fellini e l’inizio del loro rapporto artistico, umano e lavorativo. Tra gli altri, la regista Lina Wertmuller (aiuto regia in vari film di Fellini), il compositore Nicola Piovani (autore delle musiche degli ultimi tre film di Fellini), il costumista Maurizio Millenotti, la segretaria di edizione Norma Giacchero e lo scenografo Dante Ferretti. Artisti, ognuno col proprio bagaglio di competenze rico-


nosciute da Fellini, al servizio del Maestro per aiutare a fare ordine tra suggestioni, fantasie, sogni e incubi tipiche del suo peculiare universo. Si sussegue poi un lungo montaggio di dettagli e particolari scenografici con protagonisti attrezzisti, macchinisti ed elettricisti intenti a organizzare il caos del set, tra binari, stativi, e trucchi artigianali vari utilizzati per raccontare la grande bugia del cinema. È l’universo di Fellini, ordinatamente caleidoscopico, gerarchicamente anarchico, serissimamente ludico. Gli storici collaboratori approfondiscono poi il metodo di lavoro del regista riminese: la scelta minuziosa e al contempo improvvisata di volti scovati, spesso per caso, tra le strade di Roma o Napoli, l’atmosfera sul set, sempre a metà tra il ginnasiale e il tirannico e ancora il lavoro di traduzione della sceneggiatura da mero testo a vera e propria costruzione (ir)reale di fronte alla macchina da presa. Nello specifico, vengono analizzati gli ultimi tre lavori di Fellini, definiti da Piovani “di ricerca”, nel costante tentativo, da parte del regista riminese, di smarcare se stesso, di rifiutare l’autocompiacimento, di non cedere alla tentazione della facile citazione. Le sequenze montate delle immagini di Castronuovo vengono alternate a interventi di Mastroianni, Cardinale e altri attori sul set, così come accompagnate dalla voce fuori campo dello stesso Fellini. I blocchi tematici sono invece introdotti o spezzati dalle animazioni a cura di Luca Siano. La parte finale del documentario mette a fuoco gli ultimi anni del regista: la difficoltà nel lavorare, i rifiuti dei produttori e, infine, la malattia. I vari collaboratori raccontano poi il loro ultimo incontro con Fellini, che si spegnerà la mattina del 31 ottobre 1993. Scorrono le immagini della camera ardente allestita, non a caso, proprio all’interno del Teatro 5 degli studi cinematografici di Cinecittà.

Dopo Gli angeli nascosti di Luchino Visconti (2007) Silvia Giulietti prosegue, con Fellinopolis, la sua indagine attorno al genio cinematografico visto e raccontato attraverso lo sguardo dei collaboratori, avvalendosi, in questo caso, della mano e degli occhi di un collega, il regista Ferruccio Castronuovo, testimone diretto del modus operandi di Fellini sul set. A lui solo fu infatti concesso, nel decennio 1976-86, di presenziare, munito di macchina da presa, tra gli incredibili allestimenti scenografici coniati da Dante Ferretti per Fellini, con lo scopo di raccontare, se mai fosse possibile, la tecnica registica di uno degli artisti più misteriosi, sfuggenti, criptici della storia del cinema nazionale e internazionale. Silvia Giulietti plasma, attraverso il montaggio curato assieme ad Antonello Basso, l’incredibile repertorio di Castronuovo, non limitandosi a mostrare contraddizioni, smorfie e sfumature di un artista già ampiamente analizzato come Federico Fellini, ma ponendo il fuoco sul cinema come mestiere, nello specifico all’interno degli studi cinematografici di Cinecittà durante il loro ultimo periodo di gloria ed eccellenza. Particolare rilievo meritano quindi le immagini degli addetti ai lavori tutti, dall’ultimo macchinista fino al caporeparto, ognuno impegnato, quasi come durante la messa in scena di uno spettacolo liceale, a fare il proprio, vuoi girando una manovella, vuoi ondeggiando una bandiera, vuoi maneggiando una macchina del fumo. Nella stortura della verità felliniana, la purezza passa per la bugia, la realtà per la verosimiglianza, ed è così che il mare di plastica de La nave va sembra mare ancor più del mare, malinconico e luccicante. È il Fellini del tramonto, della ricerca, della verità raccontata a capriole, poiché tutto è già stato detto, inda-

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gato, raggiunto. Notevole emerge la capacità di un maestro del cinema già premiato, celebrato e riconosciuto in tutto il mondo come era il Fellini del decennio raccontato, di saper riconoscere la capacità altrui, di valorizzare, responsabilizzare, coinvolgere talenti, all’epoca ancora acerbi, come Dante Ferretti, Lina Wertmuller, Nicola Piovani, Maurizio Milenotti, Norma Giacchero e lo stesso Ferruccio Castronuovo. Fellini si affidò loro, durante la lavorazione dei suoi ultimi tre film, per sperimentare, ricercare, approfondire ancora, sfiorando il linguaggio televisivo, storcendo l’immagine, aggiungendo per arrivare alla sottrazione finale del silenzio assoluto raggiunto ne La voce della luna. Il buon lavoro di Silvia Giulietti trova dunque il suo spazio tra la miriade di documentari riguardanti il regista riminese prodotti negli ultimi decenni, facendo luce non tanto su aspetti biografici già ampiamente affrontati da altri (il rapporto con le donne, con la moglie o con il paranormale) ma riportando il cinema, il fare cinema, di Federico Fellini e dei suoi collaboratori al centro del discorso. “Fellini era un mondo”, dichiara Lina Wertmuller alla macchina da presa. Grazie a Fellinopolis, quel mondo è ora un po’ meno sconosciuto. Presentato alla Festa del cinema di Roma 2020 in occasione del centenario della nascita di Federico Fellini, il documentario di Silvia Giulietti, prodotto da iFrame, è uscito nelle sale italiane il 10 giugno 2021, distribuito da Officine Ubu. Giorgio Federico Mosco


di Diagonal TV

LA CATTEDRALE DEL MAR

Origine: Spagna 2018 Produzione: Diagonal TV Regia: Jordi Frades, Salvador García Ruiz Soggetto: dall’omonimo romanzo di Ildefonso Falcones Sceneggiatura: Ildefonso Falcones, Rodolf Sirera, Sergio Barrejón, Antonio Onetti Interpreti: Aitor Luna (Arnau Estanyol), Pablo Derqui (Joan Estanyol), Michelle Jenner (Mar Estanyol), Josep Maria Pou (Sahat), Silvia Abascal (Elionor), Nathalie Poza (Francesca Esteve), Andrea Duro (Aledis Segura), Crispulo (Grau Puig) Durata: 8 episodi di 55 minuti Uscita: Canale 5 dal 19 maggio al 9 giugno 2020

EPISODIO 1 FUGGITIVI Nel corso del XIV secolo i contadini dovevano sottostare ai signori feudali senza alcuna legge che li difendesse. La loro dignità veniva costantemente calpestata e potevano raggiungere la libertà solo fuggendo nelle città, avverse al potere della nobiltà come Barcellona La nascente borghesia stabili delle istituzioni per mettere a freno i soprusi dei reali e dei nobili e per costruire edifici che sono rimasti nel corso dei secoli. La chiesa di Santa Maria del Mar

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non venne costruita dai Vescovi bensì dal popolo. La vicenda si apre, dopo la morte del padre di Bernat Estanyol nel 1320, con le nozze di quest’ultimo con Francesca Esteve/Ribes: al banchetto, nella masseria Estanyol nei pressi di Navarcles, sono invitati tutti i contadini della zona e l’atmosfera è festosa fino all’irruzione a cavallo del conte locale, il quale reclama il diritto feudale dello ius primae noctis: esige ed ottiene di giacere per primo con la moglie del servo pretendendo poi che Bernat si accoppi subito dopo con lei per non ritrovarsi con richieste per un figlio bastardo. Francesca rimane incinta ma il figlio, appena nato, presenta un neo, identico a quello di Bernat e del padre di lui. Questo neo diventa un po’ motivo di beffa e offesa alla virilità del conte che da sempre si era vantato dei suoi numerosi figli illegittimi. Proprio per questo, non pago di aver rovinato sul nascere la vita coniugale della giovane coppia, il conte obbliga Francesca a trasferirsi a palazzo insieme al figlioletto Arnau per far da nutrice ai suoi rampolli. Bernat, colmo di rabbia, si reca al forno del castello e rapisce il figlio (uccidendo anche un giovane garzone), ma non può far nulla per Francesca, che si vedrà costretta a vivere subendo quotidianamente le violenze della soldataglia. Bernat fugge col figlio in montagna dove trova protezione e sostentamento per un certo tempo. In seguito, col sopraggiungere dell’inverno, si dirige a Barcellona, dove vive sua sorella. Lì una legge consente, dopo un anno ed un giorno di permanenza in città, di ottenere la cittadinanza e quindi lo scioglimento del vincolo di servo della gleba. Si rifugiano quindi in casa di sua sorella Guia44

mona, dove Bernat può lavorare per il cognato Grau Puig, un ricco mercante e artigiano che ha fatto fortuna con la sua grande bottega di vasaio ed è desideroso di entrare a far parte della piccola nobiltà catalana. Arnau viene allevato da Guiamona ma Grau Puig tratta Bernat come uno schiavo al quale però verrà data, con il tempo, la responsabilità di stabilire quali vasi sono da considerarsi perfetti. Ora Arnau ha dieci anni ed è vittima dei capricci della figlia di Grau Puig Margarida la quale sfida lui e il fratello minore ad andare con lei sulla spiaggia di sera mentre in famiglia c’è un ricevimento che segna l’ingresso del mercante nell’ambito dell’alta borghesia. Il fratellino, costretto a nascondersi in acqua per sfuggire a dei tipi poco raccomandabili, si ammala gravemente e muore. Margarida attribuisce tutta la colpa ad Arnau. Grau Puig, pur consapevole della sua menzogna, accusa il bambino e frusta fino alla morte davanti a tutti la nutrice che avrebbe dovuto sorvegliarli. EPISODIO 2 FRATELLI Arnau e il padre cercano di ripulire il sangue dal pavimento ma interviene un operaio che dice di non farlo. Suo padre Bernat decide di andare direttamente dal cognato comunicandogli che vuole lasciare quel suo lavoro da schiavo. Grau Puig gli ricorda che in città non potrà avere altre opportunità e gli offre la possibilità di diventare operaio specializzato al che però lui chiede che il figlio possa invece diventare apprendista e che questa promessa gli venga messa per iscritto. Il cognato accetta. Intanto Arnau guarda i giochi della cugi-


netta senza poterla avvicinare e si trova su un albero. Un bambino invece lo avvicina e gli dice di non avere anche lui una mamma o perlomeno di averla ma di non poterla incontrare. Arnau non ci crede e lo accompagna nel luogo dove il bambino dice che si trovi la mamma. La donna si trova rinchiusa in uno spazio da cui non può neanche guardare fuori; può fare uscire solo la mano per accarezzare il figlio che si chiama Joanette. La mamma lo invita ad essere amico per sempre di Arnau. Da quando il bambino è nato la donna è stata rinchiusa lì è il padre ha disconosciuto il figlio. Arnau si interroga su questa situazione e Bernat gli spiega che se una donna ha un rapporto con un altro uomo il marito ha il diritto di rinchiuderla per tutta la vita punendola perché così prevede la legge. Arnau però vuole sapere di sua madre. Bernat gli dice che la mamma è morta nel darlo alla luce e che ora ha un’altra mamma che sta in cielo. Gliel’ha mandata il Signore ed è la Madonna. Potrà parlare con lei attraverso gli uccellini ai quali chiederà di mandarle dei messaggi e la potrà incontrare quando andrà in chiesa. Arnau e il suo nuovo amico Joan si trovano davanti ai lavori di una grande chiesa e gli viene detto che è dedicata a Nostra Signora del mare, cioè alla Vergine Maria la cui statua per il momento sta in una chiesa molto piccola e poi verrà trasferita in questa che sarà la chiesa più grande del mondo. Il monaco della chiesa più piccola permette ai due ragazzini di vedere la statua della Madonna prendendoli per fratelli. Arnau, che sa pregare, dice l’Ave Maria. All’uscita conoscono i bastaixos che sarebbero gli scaricatori di porto che non potendo dare denaro offrono la loro opera nel trasporto delle pietre che servono per la costruzione. Arnau è colpito dalla loro

presenza e vorrebbe diventare uno di loro lavorando. Arnau vorrebbe andare ad aiutare trasportando le pietre ma il padre gli spiega che sono troppo pesanti ma che può essere d’aiuto portando acqua fresca ai bastaixos che lavorano e questo fanno sia lui sia Joanette ottenendo la riconoscenza di alcuni e un po’ di prepotenza da qualcun altro. Grau Puig cerca di convincere la moglie a rialzarsi dal letto e pensare agli altri figli e non solo al figlio morto ma lei non vuole e chiede di vedere il fratello. Dice a Bernat che se lei dovesse morire il marito dovrà tenere conto che ha potuto portare avanti la sua attività grazie all’eredità di Bernat che è passata a lei e gli dice anche che il marito poi non è in fondo cattivo e che sicuramente darà un lavoro anche a suo figlio. Al marito viene prospettato che se la moglie morisse ci sarà sempre un nobile che sta andando in rovina che avrà bisogno di offrirgli la propria figlia per risalire la china e lui risponde che quel nobile in rovina potrebbe essere proprio il suo interlocutore. Tutta la popolazione di Barcellona si mobilita per andare a recuperare degli armenti che sono stati sottratti da un nobile perché quella è carne che spetta alle persone di Barcellona e attorno al fuoco nella notte, mentre raggiungono il luogo, viene ricordato quello che è successo in passato a un altro nobile che pretendeva di derubare i cittadini di Barcellona e vide i suoi soldati sconfitti e lui decapitato. In questo caso invece il popolo vince perché il nobile fugge. Al ritorno però c’è una brutta notizia per Bernat: la sorella è morta. Passiamo ora a un anno dopo: giugno 1330 il matrimonio con Isabel la figlia del nobile, una donna pretenziosa e arrogante, è avvenuto. Ora Grau è diventato Barone e deve abbandonare tutta la sua attività di ceramista vendendo gli schiavi e facendo per45

dere l’occupazione a chi lavorava per lui. Solo Bernat e Arnau potranno seguirlo diventando l’uno stalliere e l’altro aiutante. Bernat si considera un uomo libero e non vuole accettare ma il cognato gli ricorda che lui è arrivato lì dopo aver ucciso un uomo e pertanto avrebbe molto da perdere se questo si venisse a sapere. Ora padre e figlio devono cercare casa ma Joan rimarrebbe solo. Quindi Bernat lo accetta come figlio. Il ragazzo va a salutare per l’ultima volta la madre che soffre tantissimo e che conosciamo perché ci viene inquadrato l’interno della casupola dove è rinchiusa. Intanto Isabel scopre, grazie alle rivelazioni della figlia di Puig, che i due sono dei fuggitivi e che Bernat è anche un assassino e vuole che vengano mandati via ma il marito risponde che non andrà via perché l’ha promesso alla moglie. Lei non dovrà dire niente a nessuno perché sennò tutta la nobiltà di Barcellona verrebbe a sapere che vive con due fuggitivi. Joanette, visto che la madre non gli risponde, entra nel tugurio dove la donna vive e la scopre morta. Joanette, che ora si può far chiamare Joan, viene recuperato da Bernat (che ha una discussione con il marito della donna che non lo considera suo figlio) e viene affidato alla Vergine Maria. La statua della Vergine viene portata con una processione notturna dalla chiesa antica alla cattedrale in costruzione ed è lì che il bambino va a parlare con la statua. Il priore pensa che potrebbe


fare il monaco della cattedrale e dice a Bernat che può essere preso in custodia dalla Chiesa imparare a leggere a scrivere e a fare anche nel futuro, se lo vorrà, una carriera ecclesiastica. Può continuare però ancora a frequentare il suo amico Arnau. Lo stalliere maltratta Arnau e Bernat interviene dicendogli che se lo tocca un’altra volta lo uccide. Lo stalliere si vendica: manomette una sella, cade il figlio della coppia e Arnau viene incolpato Isabel vuole che si cacci il bambino e tenere invece Bernat al lavoro e vuole che comunque vengano entrambi umiliati. Lavoro in giro non ce n’è perché è un periodo di crisi e Grau ha ben chiaro il fatto che i nobili sono quelli che hanno con il loro egoismo peggiorato la situazione mentre i mercanti avevano ragionato in altra maniera. Arnau però si accorge che il padre non riesce a trovare un altro lavoro, un po’ perché sono state messe in giro voci su di lui un po’ perché di lavoro davvero non ce n’è e decide di umiliarsi. Viene costretto quindi a chiedere perdono e a baciare i piedi di tutti e quattro i componenti della famiglia di Grau Puig. EPISODIO 3 DESIDERIO Al mercato non ci sono più cibi e c’è chi fa aggiotaggio. Bernat manda via Arnau per andare a cercare del grano ma vede che viene sottratto per darlo alla famiglia di Puig. Ruba un sacco ma viene aggredito e riesce a portare a casa solo pochi granelli. Chiede

ad Arnau di conservare quel pochissimo denaro che hanno perché potrebbe capitare qualcosa. Il giorno dopo praticamente si mette a capo della rivolta dei poveri contro i nobili che nascondono il grano. Prima rubano i sacchi e poi riescono a far fuggire le guardie e quindi Bernat si mette a capo della rivolta per raggiungere il palazzo del Vicario gridando che loro sono cittadini e non schiavi e inneggiando alla libertà. Joan e Arnau vengono avvisati che Bernat è stato arrestato e riescono ad arrivare sulla piazza dopo che lui è stato impiccato. La nuova moglie di Puig coi figli insulta Bernat morto e Arnau giura vendetta nei suoi confronti dichiarando che la vedrà morta. Nel frattempo vuole togliere il cadavere del padre dalla presenza davanti a tutti per tutta la notte come il Vicario ha ordinato. Dopo essersi mimetizzato con una tintura e con un mantello nero riesce a raggiungere il corpo del padre esposto alla folla e a dargli fuoco; poi scappa e si rifugia nella cattedrale e scopre che c’è un uomo che sta rubando il denaro che i bastaixos usano per seppellire i loro morti. Cerca di fermarlo ma viene colpito e viene ritrovato svenuto e con in mano i suoi soldi, cioè quel poco che gli era rimasto di ciò che gli aveva dato suo padre e viene accusato di aver tentato di rubare. Padre Alberto, il priore della cattedrale, dice che comunque qualora fosse colpevole deve essere giudicato e condannato dal tribunale del vescovo e accetta di parlare con lui in privato perché il bambino dichiara di non essere stato il ladro ma semmai quello che aveva cercato di fermarlo. Padre Alberto lo difende e chiede che vengano contati i denari che aveva nella borsa rispetto a quanto dovrebbe esserci nella cassa e può dimostrare che lui non è stato il ladro perché erano molti meno quelli che lui aveva nella borsa 46

ma nel frattempo viene trovato il vero ladro che viene anche malmenato e i bastaxios propongono ad Arnau di andare a lavorare con loro anche se è ancora un bambino. Viene fatta la vestizione, gli viene dato il copricapo e gli viene detto che portare le pietre provocherà perdita di sangue ma che poi si formerà un callo e non avvertirà più dolore. Ogni volta che uno di loro porta una pietra dice di farlo per la Vergine e lui aggiunge: “Anche per te padre”. Passiamo alla primavera del 1339 Ormai Arnau è un giovane uomo e nella povera casa dove lui e Joan vengono ospitati e dove pagano una modesta pigione, i padroni devono alloggiare dei nuovi inquilini che hanno anche due figlie una delle quali colpisce subito lo sguardo di Arnau che condivide il poco spazio che c’è dormendo per terra insieme a Joan. Entrambi decidono di rimanere lì per continuare a dare un piccolo contributo alla povera famiglia. Il nuovo ospite è uno dei più bravi conciatori di Barcellona e il suo padrone garantisce per lui anche se si trova in un momento di difficoltà. La figlia maggiore Aledis è attratta da Arnau che vede però come troppo timido e decide in qualche modo di provocarlo spingendolo ad avvicinarsi a lei mentre la sorella minore li osserva perché c’era stata una sorta di scommessa. Un giorno Aledis decide di andare al mercato con la sorella facendosi accompagnare dal fratello maggiore per poter incontrare di nascosto Arnau. Lo incontra e gli offre un’arancia però il fratello li scopre e la denuncia al padre. Il conciatore vorrebbe che venissero cacciati sia lui che Joan dalla casa. Il proprietario chiede che abbia pietà perché Arnau non saprebbe dove andare e l’uomo comunque lo minaccia dicendogli che se si avvicinerà ancora una volta a sua figlia lo farà


cacciare veramente. Nonostante queste minacce un mattino lei va a lavarsi il viso nella tinozza nella stanza dove Joan e Arnau dormono e i due si baciano. Joan dice ad Arnau che le donne sono maliziose e che pertanto per vincere quella malizia bisogna sposarne una. Lui si sente però troppo giovane e va a chiedere consiglio innanzitutto alla Madonna pregandola come una madre come faceva quando era bambino e poi parla con padre Alberto che lo accompagna dal conciatore e, in presenza della figlia, lui la chiede in sposa. Il padre disprezza la sua situazione e dice che la figlia non sarà mai sua sposa perché è già stata promessa al suo vecchio maestro di concia il quale sopraggiunge e dice che le insegnerà lui come si fa ad obbedire. Arnau non solo rifiuta il denaro che il conciatore gli dà perché vada a mangiare da un’altra parte e non sia presente al pranzo ufficiale lì nella casa ma gli dice di disprezzarlo. Aledis viene data in sposa al capo dei conciatori e Joan dice ad Arnau di dimenticarla. Tre anni dopo abbiamo la visita di Don Pedro re d’Aragona di Valencia e Conte di Barcellona. È presente anche la moglie di Puig ed Arnau dice a Joan che non è intenzionato a perdonare quella famiglia. I due vanno entrambi a una rappresentazione di piazza che ricorda un avvenimento in cui erano coinvolti i catalani e Arnau viene chiamato ad interpretare uno dei personaggi che deve fidanzarsi con una donna dell’epoca. A sostenere quella parte viene chiamata Aledis. Il conciatore sopporta per pochi minuti e dopodiché la trascina via picchiandola per aver guardato di nuovo Arnau il quale viene invitato a una cena dove si annuncia che Joan diventerà francescano. I due si chiamano fratelli da sempre e Joan dice che può farlo ma prima deve vederlo accasato perché non se la sente di lasciarlo

da solo. Ad Arnau viene proposta in sposa una quindicenne che si chiama Maria e lui la guarda senza dire nulla. Nella notte piovosa Arnau è sotto la casa dove vive Aledis che è a letto col maestro conciatore e sta piangendo disperata. Lui però non fa nulla e torna al suo giaciglio. Il giorno dopo la ragazza lo attende mentre lui sta andando a prendere le pietre e i due fanno l’amore. Poco dopo viene convocata la confraternita dei bastaixos che hanno come regola che nessuno di loro possa giacere con una donna al di fuori del matrimonio e si è invece saputo che qualcuno di loro è stato con una donna per di più già sposata. Arnau pensa che la condanna sia per lui invece è per un altro che viene costretto a lasciare la confraternita. Arnau osserva a terra la veste e il pugnale che l’altro ha dovuto lasciare. EPISODIO 4 PENTIRSI Aledis minaccia Arnau di rivelare a tutti il loro rapporto per spingerlo a lasciare Barcellona ma lui deve sposarsi. Coloro presso cui abitava gli regalano una culla. Arnau si sposa. La prima notte è tormentato ma lei è dolce e gli bacia le ferite. Lui pur sposato a Maria che lo ama ma soffre per la mancanza di un figlio, continua la relazione e chiede perdono alla Vergine. Intanto ai bastaixos viene chiesto di costruire un ponte di legno coperto per premettere al re di Maiorca di giungere a terra in sicurezza visto che teme di essere ucciso se sbarcasse senza protezione. Joan, che è stato sulla nave del re di Maiorca per confessare la regina, chiede di vedere il re Pedro. Bwerenger de Montagut, capo dei bastaixos, favorisce l’incontro. Joan ha saputo in confessione dalla regina, che è sorella di Pedro, che il ponte è lo strumento per sequestrare Pedro senza che altri possano vederlo. Re Pedro decide di fidarsi e promette a Joan che, se il suo avvertimen47

to si rivelerà fondato, potrà chiedergli qualsiasi cosa e la otterrà. Aledis va a cercare in casa Arnau il quale le confessa di non aver avuto alcun rapporto sessuale con Maria. Lei gli chiede nuovamente di fuggire insieme e al suo diniego lo minaccia nuovamente di raccontare a tutti della loro relazione. Arnau chiede aiuto alla Vergine quando sopraggiunge Joan che ha ottenuto dal re di andare a Bologna a studiare all’università dai domenicani. Arnau, che stava per parlargli di Aledis, rinuncia. Scoppia la guerra con il re di Maiorca e Arnau decide di partecipare anche se Maria lo implora di non andare. Intanto Aledis viene scoperta dal padre e dal marito e chiusa in una cassa in attesa del processo. Lei chiede alla sorella di aiutarla a suicidarsi ma si trova una soluzione migliore. La sorella finge di essere stata aggredita e lei fugge con il suo mantello. Derubata dei suoi pochi averi cerca di raggiungere Arnau per comunicargli che è incinta. 1243 nei pressi del Rosellon. Arnau ammette di non saper usare le armi ma trova la simpatia di un capitano. L’assedio alla fortezza del re di Maiorca attende l’arrivo degli Ammogavari, temibili combattenti. La fortezza viene espugnata e Arnau salva la vita a un componente della famiglia di Puig che aveva perseguitato lui e suo padre. Intanto Aledis raggiunge un accampamento di prostitute comandato da una di loro che le fa rivelare di non essere incinta e che alla descrizione di Arnau si


commuove: è Francesca, sua madre. Decide di aiutarla a cercarlo. Francesca assiste non vista alla sua nomina di scudiero per l’eroismo mostrato in battaglia. Lui la vede e le parla non potendo riconoscerla ma lei si allontana. Dice ad Aledis di aver scoperto la sua menzogna e le racconta la sua storia. Mente a sua volta dicendo ad Aledis che Arnau è morto durante l’assalto. Cinque anni dopo. Arnau torna a Barcellona in cui si è diffusa la peste causata, secondo la credenza popolare, dai giudei. Anche Maria, come tutti i suoi familiari e amici. è in procinto di morire poco dopo il suo arrivo. Nella cattedrale si prega e lo fa anche Arnau per Maria che muore mentre lui si sente in colpa. EPISODIO 5 NON SIAMO COME LORO Anche se padre Alberto della cattedrale si appella alla bolla di Clemente VI che dice che la pestilenza è una punizione di Dio per i cristiani la folla si precipita verso le case degli ebrei. Arnau difende un uomo che protegge dei bambini dalla furia della folla che pensa che gli ebrei abbiano avvelenato i

pozzi. Conduce i bambini in una cripta. Rachele, la ragazzina che è tra i salvati, gli dice che è un uomo buono. Arnau però nel difenderli è stato ferito. Saranno gli ebrei a curarlo nonostante la contrarietà del medico. Si pensa però che la sua morte sia vicina ma Rachele gli dice, anche se lui non può sentire, di essere andata a pregare la sua Vergine perché si salvi. Non è vero ma pensa che questo possa aiutarlo. La peste finisce e Hasdai, il padre di due dei salvati, si dichiara per sempre riconoscente ad Arnau che è in via di guarigione. L’uomo ordina al suo amministratore di acquistare in Sicilia 500 schiavi perché con tutte le morti che si sono verificate c’è bisogno di forza lavoro. Arnau vuole tornare al lavoro ma Hasdai si sente ancora in debito nei suoi confronti e gli propone anche un titolo nobiliare dato che metà dai nobili è indebitata con gli ebrei. Arnau respinge ogni proposta di nobiltà visto ciò che i nobili gli hanno fatto e confessa di essere andato in guerra per sfuggire alle proprie colpe. Ora si sente solo ma non si sente degno dell’aiuto. Deve però accettare i regali dei figli dell’ebreo. A Rachele in cambio consiglia di non concedersi mai ad un uomo che non sia degno di lei. Arnau vorrebbe diventare un cambista. Sahat, l’uomo che proteggeva i ragazzi, decide di convertirsi al cristianesimo per riconoscenza aiutandolo così nella nuova professione grazie anche al denaro iniziale che Hasdai gli offre. Una bambina dice ad Arnau che il fratello minore di Maria aveva previsto che lui sarebbe tornato vivo e che avrebbe avuto dei figli. Ora deve imparare i segreti del cambio di valuta tra i vari stati ed ha una donna che pensa alla casa da cui però non vuole essere chiamato padrone. Ha però paura degli indebitamenti che, nei casi più estremi, possono portare alla de48

capitazione. Chiede alla Vergine di essere liberato dai fantasmi del peccato e in cambio promette assoluta castità. Il suo nuovo lavoro però lo spinge a non concedere crediti anche a persone che conosce se non ci sono sufficienti garanzie .Decide però, anche se con il parere contrario di Sahat, di adottare una bambina orfana presentatagli dall’abate della Cattedrale padre Alberto. Sahat dichiara di proteggerlo ma è rimasto in affari con Hasdai il quale continua a trafficare in schiavi. Arnau va a dirgli di non voler guadagnare sul traffico ma Hasdai gli dice di aver capito che lui vuole diventare cambista per vendicarsi dei nobili che lo hanno umiliato. Arnau comunque insiste. Ora Sahat gli nasconde dei documenti. Arnau decide di adottare la bambina e di dare il prestito che aveva negato. La bambina, particolarmente vivace e intelligente, diventa l’anima della casa. Quando viene sorpresa da Sahat a giocare con la fede nuziale di Maria viene rimproverata ma Arnau lascia che lei ci giochi. Un giorno, mentre dà da mangiare a bambini più sfortunati di lei, l’anello le viene rubato. La bambina lo ritrova, viene picchiata ma riesce a riconsegnarlo anche se chiede a Sahat di attribuirsi il ritrovamento. 1356 ora Mar dalla bambina è diventata una ragazza e vorrebbe andare con Arnau al palazzo del re dove lui è stato invitato e dove il Consiglio dei 100 vorrebbe che lui andasse per perorare la causa del popolo. Arnau però non ha alcuna fiducia nei nobili che spendono il denaro dei commercianti per finanziare le loro guerre. Lui ha comprato un galeone per trainare in rada le navi più leggere e favorire così l’attività dei marinai di cui il re e i nobili si disinteressano. Accetta però di portare la ragazza alla festa ricordandole però che non sono come loro. Gli viene presentata donna Elio-


nor la pupilla del re e alla festa ci sono Puig e la sua famiglia. Arnau dice la sua sul costo delle guerre e il re Pedro apprezza la sua sincerità mentre Elionor diffida di lui. Intanto Margherita della famiglia Puig gli si offre ma lui la respinge. Contemporaneamente un cavaliere del re cerca di molestare Mar e lei lo schiaffeggia. Arnau trova Sahat che prega come un musulmano e gli chiede di non fingere ma di indagare su Puig su cui vuole sapere tutto il possibile. Nella stessa notte, mentre sta per accettare il traino di una nave in difficoltà, Sahat lo informa che Puig è pieno di debiti e che sul carico di quella nave ha investito ciò che gli rimaneva. Arnau ora ha modo di vendicarsi e rifiuta il traino con la scusa del maltempo. Arnau fa comprare a Sahat tutti i debiti di Grau Puig in modo da averlo nelle sue mani. Gli fa confiscare il palazzo ed obbliga lui e la sua famiglia a scambiarsi d’abito con gli schiavi che vengono liberati e ad andare a vivere in una masseria. Il palazzo verrà chiuso per sempre. L’anno successivo troviamo Mar che rifiuta l’ennesimo pretendente con l’aiuto di Sahat che racconta che lei ha fatto voto di verginità. In realtà è innamorata di Arnau anche se Sahat le dice che per lui (anzi per loro) è una figlia e che quindi Arnau non la vedrà mai come una donna. EPISODIO 6 SEGRETI Il re di Castiglia assedia dal mare all’improvviso Barcellona. Arnau riesce a prendere tempo bloccando con la sua nave l’accesso al porto e anche se da riva pensano che stia agendo per il suo jnteresse salva la città e il re Pedro gli e riconoscente. Gli impone il matrimonio con Elionor e lo nomina barone Dopo aver cercato di sapere qual è stata la sorte di Aledis

che gli viene detto che è morta di peste come il marito conciatore, in chiesa trova Mar che sta chiedendo alla Madonna di punire lei per i pensieri che ha avuto di poter sposare Anau ma di lasciare lui in pace. Lui le dice di averla illusa facendola sentire libera mentre invece sono solo degli schiavi arricchiti ma se ora diverrà barone tutti i suoi averi diverranno della ragazza perché non ha intenzione di avere figli da Elionor, Così Arnau, che in un primo momento aveva pensato di abbandonare Barcellona, si sposa; promette però a Mar che non verrà mai abbandonata e nel frattempo Aledis scopre che lui è ancora vivo e che la madre di Arnau aveva mentito. Francesca le dice che loro due non possono pensare di avvicinarsi alla sua condizione. Devono dimenticarlo. Siamo al castello di Montjuic Buy il castellano che deve cedere la sua abitazione la cede alla Baronessa e non a lui che non ritiene degno del titolo che gli è stato attribuito. Joan, che è diventato monaco e che ha celebrato il matrimonio, lo avverte che quella è un’offesa In realtà i due vivranno in camere separate e anche a tavola lei non perderà occasione per provocarlo. Inoltre minaccia la ragazza dicendole che per ordine del re lei deve sopportare Arnau ma non è tenuta a sopportare anche lei. Arnau non può pensare di poter ritornare in città abbandonando la Baronia e deve parlare con i proprietari terrieri lì intorno. Arnau andrà a parlare ma non con i proprietari. Arnau alla riunione convocata dalla moglie con i nobili non viene da loro omaggiato in quanto figlio di un servo. Impone pero, loro l’abolizione di tutti i soprusi e libera i servi. È certo che il re non si opporrà perché sa quanto gli deve in denaro. Propone alla moglie un patto: rientreranno a Barcellona e 49

lei vivrà nel lusso ma lontano da lui. Barcellona estate 1360. Arnau, nonostante la sua incertezza, viene eletto Console del mare cioè difensore dei cittadini. Ritrova gli amici ebrei che ad Elionor non piacciono. La donna consulta un avvocato che la informa che se Arnau morisse lei resterebbe senza niente. Solo se avesse un figlio la situazione cambierebbe cosi lei cerca di convincere Arnau a giacere con lei ma senza esito. Promette di vendicarsi. Nella prima seduta Arnau è costretto ad emettere una sentenza che sente come ingiusta e vuole porvi rimedio. La morte di padre Alberto colpisce Arnau e Joan che gli promettono di completare la costruzione della Cattedrale. Mar finalmente gli si dichiara ma lui la bacia sulla fronte EPISODIO 7 VENDETTA Elionor si reca da Joan e gli dice che non solo Arnau non ha consumato il matrimonio ma che è attratto da Mar. Joan va da lui e gli chiede di mandarla in convento. Ottenuto un rifiuto e un diniego sul desiderio nei confronti di Elionor lui si consulta, dopo essersi fustigato, con un anziano frate che gli parla del demonio. Accetta allora di stare al gioco di Elionor che lo conduce dal cavaliere che già aveva importunato Mar a pa-


lazzo. Elionor gli dice che Arnau vuole togliergli ogni avere per i debiti contratti ma che se lui rapirà e stuprerà Mar otterrà i suoi favori con il consenso di Joan. Un esercito di volontari, saputo del rapimento, affianca Arnau. Anche Elionor finge di essere dalla sua parte e tutti si recano dal cavaliere. Costui si dichiara colpevole e disposto a sppsarla ma ci vuole il consenso di Arnau. Mentre Sahat lo vuole dissuadere Joan lo invita ad acconsentire per il bene della reputazione della ragazza. Arnau accetta ma quando la vede tumefatta e ferita si rende conto di ciò che ha fatto. Anche Joan si tormenta ed Elionor abbassa lo sguardo. Sahat decide di andarsene e parte. Joan viene nominato inquisitore e si allontana. Elionor resta ma per Arnau è una sofferenza. Nel paese in cui Joan giunge in montagna convoca gli abitanti durante una nevicata di notte e li minaccia: chi confesserà i propri peccati potrà sperare nella misericordia, chi invece non li ammetterà verrà punito esemplarmente. 1365 Puig soffre in povertà dopo la morte della moglie. Ora Elionor si allea con la figlia di Puig. Nel castello di Navarcles il figlio di Puig vuole incitare alla rivolta mentre in città si dà la caccia agli ebrei per un sacrilegio. Arnau entra nel ghetto e convince il Vicario, parlando di denaro, a lasciarlo an-

dare a parlare con gli ebrei. Dopo una trattativa al rialzo perche il Vicario vuole giustiziare alcuni ebrei, costui accetta di parlare con il rabbino; il prezzo per la clemenza: 40.000 libbre e 3 colpevoli scelti da loro. Una delle vittime è uno degli amici di Arnau e si sacrifica. A comunicarglielo è la figlia che Arnau abbraccia. Elionor, visto l’abbraccio, lo fa arrestare per eresia. Joan viene informato e si precipita a Barcellona mentre Puig si allea con il figlio dello stupratore della madre di Arnau ed è convinto di essere vittima di una maledizione. Ora la fa cercare per denunciarla come strega. Joan ottiene dal capo dell’Inquisizione di vedere Arnau. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fargli confessare le colpe per ottenere una riduzione della pena. Arnau è vicino alla morte e chiede a Joan di fargli rivedere Mar per ottenere il suo perdono. Il cavaliere che l’aveva stuprata e sposata è morto in battaglia. Joan cerca di spiegare al capo dell’Inquisizione che Elionor ha denunciato Arnau perché lo odia. La madre di Arnau viene imprigionata e Joan chiede di parlare ad Elionor che non lo riceve. 8 EPISODIO CONDANNATO Puig e il nobile che aveva stuprato sua madre ricostruiscono il passato di Arnau all’inquisitore presentandolo come un servo di Satana e un sobillatore dei poveri. Aledis è stata arrestata insieme alla madre di Arnau ma viene liberata e cacciata. La madre viene messa in una cella dove può vedere il figlio. Joan incontra Mar e le confessa di essere lui l’origine dei suoi mali. Lei chiede perché Arnau non l’avrebbe mai ceduta al cavaliere. Lui non risponde e lei lo fa rinchiudere nella torre del castello in cui vive. Sahat viene informato dagli ebrei di quanto sta accadendo ad Arnau e vende tutto per 50

tornare ad aiutarlo. Torturato, finalmente Joan rivela a Mar che Arnau l’ha sempre amata. Aledis, corrompendo le guardie carcerarie, riesce a parlare con la madre di Arnau alla quale promette di non dire la verità anche se vorrebbe avvicinarlo. Joan intanto ha portato Mar in città tentando per l’ultima volta di convincere l’inquisitore dell’innocenza del fratello. Aledis si fa riconoscere da lui e ha un colloquio con Mar a cui rivela il suo passato. Tornata in carcere accettando anche la violenza del carceriere, parla con Arnau dicendogli che Mar è in città ma non rivelandogli nulla della madre e di sé. Joan sa che l’inquisizione gli impedirà di difendersi e al processo lo si accusa di non aver voluto avere rapporti con lei perché soddisfaceva i suoi istinti con le ebree il cui popolo difende dicendo che sono uguali ai cristiani. Mar cerca di parlare con Elionor ma viene bloccata da Sahat che ha altri piani. Il re Pedro (e di conseguenza suo figlio) sono in forte debito nei confronti di Arnau e non sanno come ripararlo dopo le numerose guerre avviate. Se lui venisse condannato e ucciso i suoi crediti passerebbero nella mani della Chiesa che terrebbe così in pugno il re. Avrà così gioco facile per convincerlo ad attuare il suo piano. Mar parla ai bastaixos ricordando quanto Arnau ha fatto per la costruzione della cattedrale. Come può essere un eretico? Il popolo così si muove per andare al palazzo dell’Inquisizione mentre all’interno viene fatta portare la madre di Arnau accusata di stregoneria. La donna nega di essere sua madre. All’esterno con la Vergine in processione il popolo preme. Arriva il Vicario con le guardie reali e comunica all’inquisitore che il re non può opporsi alle richieste del popolo e gli chiede la consegna di Arnau. L’inquistore tenta di opporsi senza esito.


Arnau viene liberato e sua madre non gli rivela la verità. Mentre lui riabbraccia Mara Joan si dà fuoco e abbraccia Elionor portandola con sé alla morte. Sahat riparte lasciando del denaro alla madre di Arnau ed Aledis perché vivano dignitosamente. Arnau ora può sposare Mar. Sahat va a Pisa dispiaciuto di non aver salvato Joan e dice ad Arnau di non aver incontrato sua madre. Gli ricorda che lui è un uomo onesto e coraggioso. Gli lascia un anello per il matrimonio. Il 15 agosto 1354 la cattedrale viene inaugurata alla presenza di Arnau, di Mar e del loro figlio.

V

Vincitore del “Global Spotlight Award” per l’innovazione a Cannes nonché del premio Iris 2018 per la migliore produzione questo è l’adattamento per la televisione del romanzo omonimo di Ildefonso Falcones edito nel 2006 con una tiratura di più di sei milioni di copie e una distribuzione in più di 40 Paesi. Con 2,7 milioni di spettatori a puntata in Spagna (17,5%) e con la più alta audience in replica per la televisione spagnola (515.000 spettatori per

episodio) si presenta come un prodotto significativo per il pubblico iberico ma anche con caratteristiche che lo hanno reso interessante all’estero. Non essendo privo di quegli elementi che rendono popolare una fiction televisiva (intrighi, passione, vendetta) ha, a differenza di tanti altri, dei pregi che vanno evidenziati. Innanzitutto (anche se il titolo è in castigliano) riesce con efficacia a far comprendere anche a chi non abbia seguito le vicende dell’indipendentismo catalano quali siano le profonde radici identitarie di questo popolo. Lo fa attraverso quanto di più tradizionalista sembrerebbe poterci essere (la costruzione di una cattedrale) ricordandoci che la sua edificazione avvenne per volontà del popolo e non dei potenti dell’epoca. Attraverso la figura del protagonista e di chi lo affianca veniamo chiamati a leggere un’epoca con i suoi conflitti sociali e con una stratificazione di classi mal sopportata da chi stava in basso. Ma c’è di più perché mentre si attesta la profonda fede cattolica della popolazione si denunciano sia il ruolo dell’Inquisizione che la persecuzione degli ebrei. Tutto ciò grazie alla scelta

di una varietà di location (quasi l’80% all’aperto) che hanno coinvolto non solo la Catalogna ma molte regioni della Spagna. Ciò che però più colpisce (e anche in qualche misura stupisce) è la decisione di girare la maggior parte delle scene con tonalità che vanno dal grigio al bluastro costruendo così un clima di oppressione che però non respinge lo spettatore ma contribuisce a fargli comprendere meglio la vicenda. Niente colori sfavillanti o armature lucide neanche quando sono i nobili a dominare la scena. Su tutto prevale un’estetica che si fa elemento fondamentale della narrazione. Cosa che non sempre accade ad esempio nelle fiction di nostra produzione. Giancarlo Zappoli

di Carmine Elia

MARE FUORI

EPISODIO 1 - VITE SPEZZATE «Questa è una risposta che non sta scritta da nessuna parte»: così il comandante Massimo risponde alla nuova direttrice dell’IPM, carcere minorile di Napoli, Paola Vinci, che gli domanda come mai tanti giovani scelgano di prendere esempio dai criminali e non dai poliziotti come lui. Ma questa forse è la risposta anche ad altri

interrogativi che si faranno strada già nell’arco della prima puntata, nel progressivo snodarsi della vicenda. Quanto può essere sottile la distanza fra colpevolezza e innocenza, responsabilità e fatalità, crimine e legittima difesa? Mare fuori ci pone con spietata naturalezza davanti a queste riflessioni, raccontandoci a ritroso la storia dei suoi protagonisti, appartenenti a realtà fra loro molto distanti, ma accomunati da un destino parimenti difficile. 51

Origine: Italia 2020 Produzione: Raifiction, Picomedia Regia: Carmine Elia Soggetto: Cristiana Farina Sceneggiatura: Cristiana Farina, Maurizio Careddu Interpreti: Carolina Crescentini (Paola Vinci), Carmine Recano (Massimo Valenti), Valentina Romani (Naditza), Nicolas Maupas (Filippo Ferrari), Massimiliano Calazzo (Carmine Di Salvo), Giacomo Giorgio (Ciro Ricci), Artem Tkachuk (Pino ‘o pazzo), Domenico Cuomo (Gianni Cardiotrap), Durata: 12 episodi da 50’/55’ Messa in onda: dal 23 settembre 2020 su Rai 2


Le scene d’apertura mostrano la conclusione di una gita in barca a vela, in una bella giornata di sole, per una decina di ragazzi e i loro due accompagnatori. I giovani vengono quindi ricondotti all’interno dell’istituto di pena, a picco sul mare, dal quale provengono. La quiete delle prime immagini è ben presto bruscamente interrotta dalla rissa che si accende durante una partita di calcio, nel corso della quale un ragazzo che aveva quasi finito di scontare la sua pena accoltella un altro detenuto. Milano, “un giorno prima dell’arresto”: Filippo Ferrari, un diciassettenne di ottima famiglia e di belle speranze, suona il pianoforte davanti a una platea di un certo riguardo e al termine della sua esecuzione si prospetta per lui la speranza di una promettente carriera con un maestro di fama. Napoli, “un giorno prima dell’arresto”: Carmine Di Salvo porta un cognome scomodo ed è la pecora nera della famiglia, l’unico a voler svolgere un lavoro onesto, il lavoro di parrucchiere (da cui il soprannome di ‘o Piecoro). Il fratello maggiore, spacciatore, lo deride per i suoi scarsi guadagni e sua mamma e sua nonna parteggiano decisamente per quest’ultimo. Carmine non si lascia intimidire dalla prepotenza del fratello e si reca al lavoro in un salone da parrucchiere; quando sta per percorrere una strada un vecchio lo sconsiglia, ricordandogli che quella “non è zona loro”

e rischia di esser preso a botte. Pochi attimi dopo infatti due “ragazzi dell’arco” (così soprannominati dal quartiere dove erano soliti stare) sopraggiungono in moto e lo picchiano. Quando fa ritorno a casa il fratello capisce immediatamente l’accaduto e lo porta con sé in scooter in cerca di vendetta. Raggiungono i ragazzi dell’arco seduti ai tavolini di un bar e scatta l’inseguimento in motorino. Approfittando del vantaggio dato dalla caduta di uno dei ragazzi a causa dell’acqua presente sull’asfalto, il fratello di Carmine lo esorta a sparargli ma lui si rifiuta e corre via. Quando Carmine, poco dopo, si presenta sul posto di lavoro, il proprietario del salone, don Leo, lo licenzia senza ammettere repliche; il ragazzo se ne va e Nina, una lavorante che capiamo essere la sua ragazza, lo raggiunge in scooter. Vanno al mare e sulla spiaggia, respirando quella libertà che la famiglia gli nega, il ragazzo disegna con la sua immaginazione il salone da parrucchiere che un giorno vorrebbe aprire senza più essere alle dipendenze di nessuno; Nina lo ascolta rapita e in lei Carmine trova quell’affetto e quella comprensione che a casa sua sembrano non esistere. Ma ben presto arrivano tre ragazzi dell’arco con evidenti intenti di vendetta: li minacciano e se la prendono con la ragazza tentando di violentarla. A quel punto Carmine agisce d’istinto, prende un coltello e senza nemmeno rendersene conto uccide uno dei tre, Nazario Valletta. Da questo istante la sua vita non sarà più quella di prima. Nel frattempo a Napoli è arrivato anche Filippo che ha lasciato Milano in compagnia di tre amici. Nei corridoi della metropolitana l’attenzione del ragazzo viene catturata da una giovane intenta a suonare il piano; lui cade facilmente nella sua trappola, seden52

dosi di fianco a lei per suonare mentre la ragazza, una zingara, in combutta con un suo amico, gli sfila con maestria il portafoglio e si lancia in una corsa sfrenata. Filippo allora la insegue e la raggiunge e vedendo avvicinarsi un controllore la giovane, di nome Naditza, gli restituisce il maltolto e lo bacia appassionatamente per poi tagliare la corda, questa volta portandosi via il suo orologio da polso. A sera Filippo e gli amici vanno in un locale-discoteca vicino al mare e due ragazze del posto si fanno pagare da loro i biglietti d’ingresso; un amico di Filippo è in vena di divertimento sfrenato e propone agli altri di prendere della droga ma lui rifiuta. Non molto dopo però una delle due scaltre ragazze si butta addosso a Filippo e gli fa provare la droga che ha preso lei, mentre lui si ritrova un po’ disorientato e si lascia trascinare nel ballo e nell’atmosfera del locale. Qualche tempo dopo i quattro amici escono e salgono in cima a una struttura molto alta, di forma circolare, a cielo aperto. Guardano la riva opposta che risalta con le sue luci nell’oscurità circostante. A un tratto Greg, l’amico che aveva esortato gli altri a provare lo sballo della droga, propone a Filippo un’acrobazia da riprendere con il telefonino per postare il video da qualche parte e fare colpo. Filippo rifiuta ma Greg non desiste, anzi lo provoca accusandolo di vigliaccheria finché il ragazzo accetta. L’acrobazia consiste nello sdraiarsi supini e abbandonarsi completamente nel vuoto con la parte superiore del corpo, facendosi tenere solo per le caviglie dagli altri. Dimostrato il suo coraggio nel mettere la propria vita letteralmente nelle mani degli amici, mentre uno di loro riprendeva col telefono, Filippo invita quindi Greg, che aveva avuto l’iniziativa, a fare l’acro-


bazia. Quest’ultimo, contro ogni nosciuto, che ritengono un “figlio previsione, vuole improvvisa- di papà” estraneo alla realtà della mente tirarsi indietro ma Filippo loro Napoli. se la prende e insiste, ritenendola una questione di lealtà. L’amico EPISODIO 2 - EDUCAZIONE CRIMINALE Durante il colloquio con Filipallora, benché visibilmente spaventato, si sottopone alla prova po la direttrice del carcere Paola e accade l’irreparabile. Nel giro Vinci si mostra decisamente sedi pochi istanti gli amici che lo vera e mentre lui sottolinea che tenevano per le caviglie perdono si è trattato di un incidente lei il controllo della situazione e se evidenzia la sua responsabilità lo sentono scivolare sotto le mani nell’aver assunto della droga e fino a vederlo precipitare nel vuo- nell’aver scelto di fare quel folto e nel buio senza avere il tempo le gioco. Il comandante Massimo di fare nulla. Lo schianto a ter- avrebbe sistemato volentieri Fira risuona come uno schiaffo che lippo in una cella singola ma la cancella ogni traccia di euforia, direttrice si oppone, dichiarando alcool, gioco. Resta solo la luci- che non ci devono essere trattada presa di coscienza che quella menti di favore. Allora Massimo tragica caduta nel vuoto è realtà suggerisce di metterlo in cella sotto i loro occhi, e non immagi- con Carmine, descritto come un nazione. E non esiste possibilità ragazzo buono dalla relazione dei servizi sociali. La Vinci si mostra di ritorno. Al commissariato di polizia, scettica sull’attendibilità di quequando ormai è notte inoltrata, ste relazioni e Massimo, sottoliFilippo sta seduto in corridoio ad neando la sua lunga esperienza aspettare il suo turno di inter- in merito, replica con convinzione rogatorio. Appena vede uscire i di ritenerle affidabili. L’educatore suoi due amici domanda loro se Beppe accompagna Filippo a cohanno detto che si è trattato di noscere alcuni detenuti e in mezun incidente oppure no; questi, zo agli sguardi minacciosi di vari in preda alla paura e all’agitazio- ragazzi il giovane conosce Pino ne, accusano il ragazzo dicendo (‘o pazzo) e Gianni cardiotrap. Il ai poliziotti presenti che si è trat- primo si dimostra un tipo lunatitato di una sua idea, che fa sem- co, benevolo prima nel mostrargli pre di testa sua, che il colpevole la sua cella e le sue distrazioni, e è lui. Nell’ufficio del commissario collerico dopo nell’apprendere che Filippo fornisce i suoi dati per- Filippo non ha pasticche o simili sonali, scosso ma controllato nei da potergli dare. Il secondo semmodi, e in preda al senso di colpa bra essere un ragazzo più buono aggiunge solo che si è trattato di e tranquillo, che cerca di rassicuun incidente. Viene condotto in rare Filippo, a disagio anche per una cella, la stessa in cui si trova la difficoltà nel capire il napoletaCarmine. L’indomani entrambi no stretto, dicendogli che se non vengono portati con un pulmino andrà in cerca di guai il carcere nell’istituto di pena minorile e al sarà per lui una specie di collegio loro arrivo dei ragazzi in cortile, in cui si mangia, si studia, si gionemici dei Di Salvo, a conoscen- ca a pallone. Gennaro, il veterano za del fatto che è stato Carmine a degli agenti, accompagna Filippo uccidere il loro amico Nazario, lo nella cella che condividerà con guardano minacciosamente, apo- Carmine. Quest’ultimo capisce strofandolo “walking dead”; agli subito che Filippo non è pratico di occhi di questi Filippo è invece faccende domestiche e gli insegna qualcuno di assolutamente sco- a rifarsi il letto, con aria amiche53

vole e autoritaria al tempo stesso. Poco dopo in cortile la direttrice incontra tutti i detenuti, maschi e femmine, per presentarsi e vederli di persona. Il suo discorso è breve ma incisivo: afferma l’importanza del rispetto delle regole, dice che non sarà tollerata alcuna forma di violenza, si dice sempre disponibile per dei colloqui, avverte che in caso di mancato rispetto delle regole non esiterà a ordinare trasferimenti in altri istituti. Infine prende un bastone e fa ritorno al suo ufficio, con una camminata vistosamente zoppicante che la fa soprannominare “punto e virgola”. In seguito Massimo mostra a Beppe il fascicolo di Carmine per fargli sapere che il ragazzo che ha ucciso, Nazario, era figlio di Antonio Valletta, assassino detenuto a Poggioreale di cui il comandante teme la vendetta che ritiene praticamente certa. Appena sedutosi a mensa al tavolino con Carmine, Filippo viene avvertito da un educatore dell’arrivo dei suoi genitori da Milano. Il papà lo abbraccia, mentre la mamma, di nome Anna, resta seduta e piange; con loro c’è l’avvocato di famiglia, Liguori. Ai genitori Filippo dice immediatamente che si è trattato di un incidente durante un gioco, la madre gli domanda se si rende conto di quello che ha fatto e il padre cer-


ca di rassicurarlo, dicendogli che presto torneranno insieme a casa. Filippo risponde che deve tornare a Milano per parlare coi genitori di Greg e per assistere al funerale. La mamma non risponde e si dirige verso l’uscita, il padre allora gli spiega che è sconvolta e gli promette che farà il possibile per tirarlo fuori da lì. Contemporaneamente Massimo è al cimitero ad assistere da lontano alla sepoltura di Nazario; vede arrivare un’auto della polizia con Antonio Valletta, cui vengono tolte le manette per il tempo di abbracciare la moglie. Segue un flashback: Massimo e Antonio, da ragazzi, girano in scooter per le strade di Napoli. Si torna al presente: Antonio si sente osservato e si volta in direzione di Massimo che, con le lacrime agli occhi, se ne va. In cortile i ragazzi si sfogano giocando una partita di calcio, cui Carmine e Filippo non prendono parte. Carmine suggerisce a Filippo di non stare sempre vicino alle guardie altrimenti gli altri capiranno la sua paura, poi viene raggiunto da alcuni amici di Nazario che gli chiedono di raccontare come sono andate le cose. Carmine risponde che Nazario non era una persona di valore e aveva messo le mani addosso alla sua ragazza. Uno di loro ribatte: «E tu chi sei? La pecora che tutti conoscono o uno degno del cognome che porta?». A sera, nei bagni, vari ragazzi circondano Filippo schernendolo e umiliandolo; al ritorno in cella uno di loro prende a pugni Carmi-

ne, quindi Filippo istintivamente chiama le guardie. Queste arrivano e fra loro c’è l’attempato Gennaro; i ragazzi minimizzano dicendo che si è trattato di uno scherzo che Filippo non può capire perché è del Nord. Gennaro li rimanda tutti in cella e Pino va da Filippo costringendolo a seguirlo nella cella di Ciro e intimando a Carmine di stare zitto. Ciro si atteggia da boss, ruolo destinatogli dalla famiglia, e soprannomina Filippo “’o chiattillo”, nonostante la sua contrarietà. Si comprendono subito i rapporti di forza fra alcuni dei giovani: Ciro infatti è in cella con un suo servitore, Tano (‘o Pirucchio), e tratta con aria di grande superiorità Filippo. Gli offre del fumo, che lui rifiuta, gli dice che è un bravo ragazzo e come tale va educato e non punito, altrimenti avrebbe già fatto una brutta fine. Saputo che è un pianista, gli dice che deve farsi perdonare e che è assunto, per cui dall’indomani dovrà pulire le celle e rifare i letti. Filippo, impaurito ma orgoglioso, ribatte con fermezza di chiamarsi Filippo Ferrari e di non essere un servo. Ciro e Filippo si alzano in piedi e si fronteggiano come due animali feroci che studiano reciprocamente le loro mosse. Infine Filippo viene riaccompagnato da un altro ragazzo nella sua cella. Un anno prima. Ciro, “ventiquattro ore prima dell’arresto”. Durante la festa per il diciottesimo compleanno del fratello Pietro, sulla terrazza all’ultimo piano di un palazzo, Ciro viene chiamato da suo padre che gli affida il compito di uccidere “un infame” e gli consegna una pistola. Si torna al presente. Mentre Massimo è in giro in macchina, Naditza lo vede e lo saluta allegra, quasi euforica. Sale in auto e gli chiede un passaggio che lui rifiuta per non dare impressioni ambigue. Si vede una certa amicizia fra i due e il comandante è divertito 54

dalla sfacciata stravaganza di lei, che gli dice di salutare tutti in carcere, lo bacia all’improvviso e corre via. Nella sua cella Ciro vede che i letti non sono stati rifatti e ordina a Pino di andare a chiamare Filippo, per lui chiattillo. Segue un lungo flashback in cui vediamo Ciro in collina, sotto un pergolato. Viene raggiunto dall’amico Francesco e si scambiano poche battute. Ciro lo accusa in modo allusivo, affermando che secondo alcune voci la famiglia di Francesco rivenderebbe la droga comprata da altri e gestirebbe gli affari a modo suo. Il ragazzo nega ma Ciro risponde di averlo saputo da persone fidate, da un amico come lui. Nel giro di pochi istanti scorre negli occhi dei due giovani il loro passato, un’amicizia probabilmente fraterna e di antica data, e contemporaneamente si percepisce il brivido del reciproco sospetto. Il primo a prendere in mano un’arma è Francesco, ma si tratta di una trappola architettata da Ciro: la pistola è scarica, a differenza di quella con cui Ciro poco dopo gli spara uccidendolo. Ciro gli s’inginocchia vicino e lo abbraccia piangendo, come se ad ucciderlo fosse stato “un altro se stesso”. Si torna al presente: alla conclusione della visita medica il dottor Gaetano dice a Filippo che nonostante la situazione psicologicamente difficile gode di un buonissimo stato di salute e su richiesta del ragazzo gli prescrive delle pillole per il sonno. Di nascosto Filippo ruba l’intero flacone. Poi lo ritroviamo seduto in prima fila con Carmine durante una lezione di italiano, in cui ai ragazzi viene assegnato l’esercizio di scrivere di getto i loro pensieri e i loro sentimenti. Pino si siede dietro a Filippo e gli sconsiglia di mettersi contro Ciro che l’ha già graziato una volta. Filippo gli dà il flacone di pillole e Pino apprezza molto.


Nel frattempo la direttrice chiede a Massimo se Pino ha aggredito Carmine e lui risponde che è normale questa dinamica di assestamento. Lei replica che forse le stanno nascondendo qualcosa, ma il comandante le dice in modo risoluto che punire Pino equivarrebbe a dichiarare Filippo colpevole di aver chiamato le guardie, cosa che avrebbe sicuramente delle ripercussioni. Con aria inflessibile la Vinci replica che è compito del comandante mantenere la disciplina. Nella sala della ricreazione gli amici di Ciro giocano una partita di calcetto mentre Carmine se ne sta in disparte a un tavolino; quando arriva Filippo, Ciro lo prende in disparte e gli ordina di mantenere la parola e di rifare i letti entro sera. Il comandante intanto dice a Pino che per tre giorni non potrà prendere parte a uscite né a partite di pallone, ricordandogli che deve passare ancora parecchi anni lì dentro e che le guardie si accorgono di tante cose anche solo osservando. Quando Filippo torna in cella, Pino lo ferma con fare aggressivo e gli chiede se ha parlato con la direttrice, poi si placa nel momento in cui il ragazzo gli dà altre pillole, e anche lui gli ricorda di sistemare la cella di Ciro. Allora Filippo gli domanda perché sia quest’ultimo a comandare e Pino spiega che è lì da più tempo di loro e ha dimostrato grande coraggio quando ha saputo uccidere una persona a sangue freddo. A sua volta Pino chiede a Filippo che cosa abbia commesso e lui risponde di aver ucciso uno che lo ha tradito: Pino lo guarda con ammirazione e gli dice che con l’istruzione che ha potrebbe diventare uno dei fedelissimi di Ciro. Filippo risponde semplicemente che l’indomani uscirà di prigione. In mensa, a ora di pranzo, Carmine va a sedersi al tavolo di Ciro che gli dice che lì non c’è posto per

i deboli ma solo per i lupi. Carmine ribatte che vuole rimanere quello che è e aggiunge che secondo lui «ci vuole più coraggio a essere una pecora fra i lupi, che lupo solamente». Poi deve dimostrare coi fatti una sorta di sottomissione a Ciro e non si tira indietro, bevendo l’acqua in cui quest’ultimo ha sputato. Infine Ciro gli dice di andarsene. Poi in cortile il comandante raggiunge Ciro e in disparte gli dice che ora che hanno dato il benvenuto ai nuovi potrà ignorare Filippo e considerarlo un fantasma lì solo di passaggio. Il ragazzo risponde che non fa patti con le guardie, Massimo gli dice di non dimenticare le sue parole. In cella per Filippo e Carmine c’è un po’ di pace, una tregua dagli attacchi degli altri. Carmine vede il ragazzo fingere di suonare a occhi chiusi un pianoforte immaginario e gli dice che è sicuro che potrà tornare a suonare. Parlano del tragico incidente di Greg e Carmine dice di non poter comprendere la situazione perché non ha mai avuto un amico. Poi in mensa Filippo cade per via di uno sgambetto di Pino, fra le risa degli amici di Ciro, e questa volta reagisce gridando contro di loro e buttando a terra quanto avevano sul tavolo. Una guardia interviene e in breve ristabilisce l’ordine. Il giorno successivo Carmine e Filippo si vestono con i loro abiti migliori, esagerando forse in eleganza, speranzosi di ricevere qualche buona notizia per il loro futuro. Si scambiano il numero di cellulare e si abbracciano pronti a un addio nel caso le loro strade si dovessero separare e Filippo potesse ritornare a Milano. È il giorno dell’interrogatorio. L’avvocato di Filippo punta agli arresti domiciliari, il padre del ragazzo lo abbraccia mentre la mamma rimane in disparte e la direttrice avverte i genitori che dovranno aspettare qualche ora per sapere la decisio55

ne. Al termine Filippo torna in cella, da cui si vede luccicare il mare fra le sbarre, e inizia a preparare la borsa con i suoi indumenti mentre è il turno dell’interrogatorio di Carmine. Poi, per entrambi, inizia il tempo sospeso dell’attesa, fin quando Beppe li va a prendere e li conduce nell’ufficio della direttrice. Per Carmine, viste la gravità del reato e la sua provenienza famigliare, non sono stati concessi né gli arresti domiciliari né la messa in prova. Per Filippo il magistrato si è espresso negativamente, anche lui dovrà aspettare lì il processo. EPISODIO 3 - OGNI FAMIGLIA HA LE SUE REGOLE Naditza, “dodici ore prima dell’arresto”. Con un vistoso abito rosso e accessori abbinati un po’ alla rinfusa, bella di una bellezza istintiva come il lirismo che scaturisce dal prosaico più dissestato, Naditza attraversa in pieno giorno le vie di Napoli fino ad arrivare a un Grand Hotel in cui entra con spavalderia raggiungendo nella hall un uomo solo. Finge di averlo scambiato con un altro, del tutto inesistente, con cui avrebbe avuto un immaginario appuntamento e con la sua astuzia riesce a rubargli il portafoglio senza che lui se ne accorga. Torna quindi vittoriosa in una desolata periferia, nel campo di zingari da cui proviene, dove vari bambini la salutano con grande affetto. Creatura solare, dalla bellezza sfrontata e spontanea, sembra volteggiare con graziosa leggerezza al di sopra della


miseria che la circonda. Suo padre, un tipo dall’aria tutt’altro che raccomandabile, le dà una piccola percentuale del maltolto e poi le presenta un cugino venuto dalla Calabria per sposarla. Lei non ne vuole sapere e suo papà arriva a minacciarla con un coltello, rimproverandola di aver già mandato a monte due matrimoni, che all’atto pratico per lui avrebbero significato un guadagno, essendo pronto a vendere la figlia per denaro. Naditza viene costretta ad andare a provare l’abito delle nozze da sua madre, altrettanto dura nel dirle che deve rispettare le tradizioni dei matrimoni combinati come a sua volta aveva fatto lei. Quando la madre e l’altra ragazza presente hanno finito di sistemare il vestito chiudono a chiave Naditza nella casetta-bungalow. In carcere Filippo, ormai disilluso di potersene tornare presto a Milano, cerca di non inimicarsi troppo Ciro e per porre rimedio alla scenata avvenuta a mensa gli chiede scusa quando lo incontra in bagno. Ciro dice a un suo amico di accompagnare Filippo a fare la doccia e poi insieme ad altri si siede su una panca a guardare, infliggendo al ragazzo un’altra umiliazione. Non molto dopo nella stanza dei colloqui vediamo Filippo parlare con suo padre e sua sorella: i suoi hanno cambiato avvocato, hanno preso un socio del più importante studio di Milano, e la sorella gli ha portato uno spartito di Beethoven. Filippo è agitato, se la prende con la ragazza dicendole

che sotto sotto è contenta che lui sia lì, e poi dice al padre che gli servono parecchi soldi per fare regali a tutti in carcere. Contemporaneamente Carmine parla con il fratello maggiore Ezio e la madre che gli assicurano che risolverà tutto suo padre che ha parlato con Antonio Valletta, il genitore del ragazzo ucciso. Pare inoltre che l’omicidio gli abbia guadagnato l’ammirazione generale del quartiere ma Carmine è molto in collera, non sopporta l’atteggiamento improvvisamente affettuoso dei parenti e dice al fratello di far sapere a Nina che fra loro è finita. Intanto Pino litiga con sua mamma che è stata morsicata al braccio dal loro cane, incolpandola di non trattarlo bene e soffrendo per la mancanza dell’animale. Gianni arriva abbastanza allegro in sala colloqui ma appena vede sua madre con indosso degli occhiali scuri cambia subito stato d’animo e quando il suo sospetto diventa certezza, vedendo l’occhio nero di lei, va su tutte le furie e si allontana velocemente. Successivamente nel suo ufficio l’educatore Beppe rimprovera Pino per aver gridato e perso l’autocontrollo durante il colloquio e il ragazzo nel frattempo legge per caso un articolo di giornale che parla di Filippo, in cui sono riportate delle parole del padre di Gregorio, “l’assassino di mio figlio deve pagare”. Pino mette poi al corrente Ciro dell’articolo e su suo ordine, durante una pausa di ricreazione, accompagna Filippo fuori, in uno spazio all’aperto sul tetto dell’edificio, fino a raggiungere la botola di un condotto, probabilmente un impianto di aerazione. Sopraggiungono anche gli altri, Ciro incluso, e obbligano Filippo a stare a penzoloni a testa all’ingiù in quel condotto. Il ragazzo si spaventa a morte, crede che vogliano ucciderlo. Quando i ragazzi se ne vanno, una volta terminata la loro bravata, Carmine gli dice di non riferire 56

nulla alle guardie, ma al loro arrivo Filippo dichiara in modo risoluto di voler parlare con la direttrice. Durante il colloquio, cui assiste anche il comandante Massimo, Filippo si trova davanti a una severa lezione di vita, molto diversa dalla comprensione che si sarebbe aspettato. La Vinci con grande durezza lo richiama al senso di responsabilità e gli dice di non giudicare gli altri detenuti, perché anche se fra loro c’è qualche tipo un po’ matto, stanno comunque facendo un percorso di maturazione e molto probabilmente potrebbero insegnargli più di quanto lui si immagini. A questo punto, Filippo non racconta nulla dell’episodio e torna nella sua cella. Carmine gli domanda chi sia il “pezzo da novanta” che ha fatto tanto arrabbiare e Filippo risponde che il padre di Gregorio è un onorevole che non ha esitato a scatenare una guerra contro di lui per vendicare il figlio. Carmine gli dà lo spartito che Filippo aveva perso nel parapiglia con gli amici di Ciro. Nel campo rom è in corso un pranzo e il promesso sposo chiede al padre di Naditza il permesso di poterla vedere almeno per cinque minuti ma quando aprono la porta non trovano nessuno: fortunatamente la ragazza è riuscita a scappare facendosi venire a prendere da un tassista che aveva conosciuto in precedenza e che, rimasto affascinato da lei, le aveva lasciato il suo biglietto da visita. A sera arriva al carcere minorile e suona il citofono in cerca del comandante. Le risponde Gennaro, i due si riconoscono, e l’uomo la informa che il comandante sarà presente l’indomani e non le permette di entrare. Lei allora trova il modo per rompere il vetro posteriore di un’auto della polizia, costringendolo a farla entrare in questura, felice come non mai di poter stare fra quelle mura. Mentre sta leggendo la mano a un trans in cella con lei,


arriva suo padre intenzionato a riprendersela e riportarla al campo di zingari, ma grazie alle accuse di atti vandalici e oltraggio a pubblico ufficiale la ragazza è trattenuta nell’istituto di pena e a lui non resta che constatare la furbizia della giovane e la sua sconfitta. L’indomani c’è un’inaspettata visita per Carmine, si tratta di Nina, che non appena lo vede lo abbraccia e gli dice di essere sempre innamorata di lui. Sulle prime il ragazzo la lascia fare ma poi a un tratto la respinge con decisione e le grida di non amarla più e di non averla mai amata. Massimo ascolta in disparte e lo vede dirigersi speditamente verso la sua cella dopo aver lasciato Nina in lacrime. Lo raggiunge e gli dice che eliminare tutte le cose belle fuori da lì è un errore, sono proprio quelle ad aiutarlo a combattere; inoltre aggiunge che si vede che lui e Nina si vogliono bene. Naditza viene convocata dalla direttrice che legge il suo “curriculum” (furto, detenzione, furto, resistenza a pubblico ufficiale e infine atti vandalici e oltraggio a pubblico ufficiale) e la conosce per la prima volta. La ragazza parla con disinvoltura e con la gioia negli occhi di chi è in un certo senso tornato a casa; spiega che è in fuga dalla sua famiglia e quando la direttrice le risponde che ci sono molti altri modi per liberarsi, le risponde con convinzione che questa è la sua scelta ma è anche quella della Vinci che “è venuta da sola a chiudersi lì dentro” e che, come dice lei, “tiene gli occhi tristi, belli, ma tristi”. Infine le regala un orecchino, che dice di non avere rubato, e con stravagante esuberanza si dirige dalla guardia pronta ad accompagnarla in cella, non mancando di aggiungere queste ultime parole: «e voi siete molto più bella della vecchia direttrice!». Poi percorre i corridoi guardando con entusiasmo le pareti imbiancate

da poco e al vederla i saluti delle giovani detenute si susseguono festosi. Le viene assegnata una cella con Silvia, sua vecchia amica, e conosce per la prima volta Viola, taciturna ragazza della cella di fianco. Durante l’ora d’aria una guardia esorta Filippo, intento a leggere da solo nella sua cella, a uscire con gli altri e lui accetta il consiglio e lo segue. Nei corridoi incontra Gianni in compagnia di alcuni detenuti e il ragazzo gli domanda se ci sia già stato qualcosa fra lui e la direttrice, facendogli quindi sapere come si sia già sparsa la notizia del loro colloquio. In fondo alle scale ci sono vari amici di Ciro ad aspettare Filippo e lui titubante si sforza di trovare il coraggio di scendere. Appena la guardia si allontana, i ragazzi lo sommergono di botte accusandolo di essere un traditore degli amici. Lui si getta in una corsa a perdifiato e in preda alla disperazione trova la porta di una sorta di magazzino e riesce a entrarci. Al buio si aggira in cerca di una via d’uscita fino a sciogliersi in lacrime davanti all’evidenza della prigionia. Mentre le guardie avvertono il comandante della sparizione del ragazzo e insieme a lui si mettono a cercarlo, Filippo solleva un panno e scopre un pianoforte a coda. Inizia a suonare e la musica fa capire a Massimo dove trovarlo e incuriosisce tutti, detenuti e detenute, inclusa Naditza. La ragazza lo vede poco dopo camminare in cortile accompagnato dal comandante e da Beppe, lo riconosce e accenna a Silvia di averlo già incontrato; quindi scommette con lei di riuscire a conquistarlo entro un mese. Filippo viene portato dalla direttrice che stende il suo rapporto per il magistrato di sorveglianza; quando il ragazzo esce dall’ufficio, la Vinci chiede a Massimo di controfirmare ma lui rifiuta senza mezzi termini, affermando che 57

non è vero quanto c’è scritto, ossia che Filippo è pericoloso e ingestibile: ha solo paura e loro devono proteggerlo. Ecco il primo scontro fra i due: la Vinci vuole mostrarsi d’acciaio nel pretendere un assoluto rispetto delle regole, Massimo invece difende l’umanità del loro lavoro. Quest’ultimo se ne va e Beppe, che ha assistito alla scena, propone alla direttrice l’idea di un corso di pianoforte per il ragazzo, dato che ascoltandolo ha capito di trovarsi di fronte a un maestro. Quando Filippo arriva in sala di ricreazione tutti i presenti applaudono. Ciro gli dice di aver toccato il cuore a tutti con la sua musica e gli propone una partita a biliardino. Lui accetta e la sfida fra i due è evidente. Ciro gli propone di suonare canzoni che possano cantare insieme in compagnia e quando lui risponde di suonare musica classica lo accusa di non ritenerli in grado di comprendere perché sono del Sud. Filippo replica di rispettare le persone del Sud perché così gli hanno insegnato i suoi genitori e con tono deciso aggiunge che anche loro però devono rispettare lui. Ciro, invidioso della sua bravura e della sua calma, mentre sono in condizioni di pareggio lo scaccia dal biliardino dicendo a Pino di prendere il suo posto. A sera, in cella, Carmine consiglia Filippo di stare a testa bassa con Ciro e i suoi, che altrimenti possono rendergli la vita impossibile. Quando si spengono le luci, scatta una spedizione punitiva: Pino con altri ragazzi ordina a Carmine il silenzio mentre picchiano Filippo. Ciro è rimasto nella sua cella e dalla


finestra cala una corda con un biglietto per Viola, su cui ha scritto “Faccio qualsiasi cosa per te”. Lei risponde “Fammi vedere”. Il comandante, solo alla scrivania del suo ufficio, guarda sul telefono una foto di lui insieme a una giovane donna. Filippo domanda a Carmine se si ritenga davvero suo amico, e davanti alla sua conferma, gli chiede di aiutarlo a trovare un’arma. EPISODIO 4 - CHI TROVA UN AMICO TROVA UN TESORO Filippo è in collera con Carmine per il suo rifiuto ad aiutarlo a trovare un’arma. L’amico gli dice con convinzione che il rispetto va conquistato sul campo e che un’arma potrebbe procurargli solo guai, ma Filippo replica che gli dimostrerà come sia possibile comprare persone e cose con il denaro. Quindi chiede consiglio a Gianni per fare un regalo a Pino. Inizia così un lungo flashback: Pino, “tre settimane prima dell’arresto”. A scuola, durante un’ora di educazione fisica in cortile, Pino non vuole giocare a calcio coi compagni. Accetta solo dopo essere stato costretto dall’insegnante e presto cade a terra a causa del fallo di un avversario. Il prof in qualità di arbitro nega l’esistenza del fallo e Pino se la prende al punto di spintonarlo e finire così in presidenza. Viene convocata sua madre che gli riferisce che è stato sospeso per due settimane ed è molto preoccupata dato che il ragazzo è riuscito a totalizzare tre sospensioni nell’arco di quattro mesi. Lui dà la colpa ai

compagni e lei alla fine lo abbraccia sorridendo e dicendogli che è una testa calda. Fuori da scuola gli presenta Arturo, un suo collega. Pino intuisce subito che fra i due c’è un legame sentimentale e si mostra molto scontroso, usando termini decisamente offensivi sia verso l’uomo sia soprattutto verso la madre e andandosene per la sua strada. A sera sta tirando pallonate contro un muro in un sottopassaggio deserto e a un tratto arriva un’auto, guidata da Arturo, da cui scende la madre. Regalano al ragazzo un cane, che Arturo dice provenire dall’allevamento di un suo amico e che lui ha salvato per evitare che fosse destinato ai combattimenti. Pino è felice, chiama il cane Tyson perché è un guerriero e se ne va a giocare con lui evitando di salire sull’auto di Arturo. L’indomani è una giornata di sole e la direttrice incontra tutte le detenute in uno spazio all’aperto sul tetto: domanda loro se sarebbero contente di svolgere qualche attività con i ragazzi e ottiene subito risposte positive. L’unica a proporre un tipo di attività è Naditza, che ipotizza un corso di musica. Beppe è felice, Massimo preoccupato. Intanto in cortile i ragazzi giocano a pallone e Gianni recapita a Pino il regalo di Filippo; Pino entusiasta dà un bacio sulla guancia a Filippo e lo invita a partecipare alla partita in corso ma lui preferisce evitare sapendo di non essere bravo. Carmine gli dice che fare quel regalo costoso è stato un errore; Massimo vede come Carmine guarda la “barberia” e gli dice che potrebbe chiedere al barbiere Gigi di dargli una mano, è evidente che gli manca quel lavoro. In bagno le parole di Carmine trovano immediata conferma: Tano, uno dei più fedeli di Ciro, vero e proprio braccio destro di questo anche perché ragazzo molto robusto, lo minaccia consegnandogli un foglietto con una lista di regali per gli altri. Fi58

lippo risponde male e il ragazzo lo percuote senza esitazione fin quando entra una guardia. Nella sala comune ha luogo l’esperimento della lezione di musica con maschi e femmine. Naditza insegna elementi base all’amica Silvia, mentre la direttrice e gli educatori vigilano sulla situazione. Pino si lascia andare a una battuta infelice e Gianni lo invita a controllarsi, quindi si avvicina a Serena e le fa un complimento ma lei lo allontana con parole offensive. Ma Gianni non desiste e allunga una mano scatenando l’ira della ragazza e un po’ di scontri fra i ragazzi che vengono placati dall’intervento degli educatori ma soprattutto dalla melodia, “Per Elisa”, suonata con abilità da Naditza. La ragazza suscita la curiosità generale e tutti gli sguardi dei presenti rimangono ipnotizzati su di lei. Filippo sente suonare dal bagno dove si era raggomitolato a terra e arriva nella sala comune, dove applaude e mostrando di ricordarsi di lei esclama sarcastico: «Complimenti, bel concerto, quasi meglio del primo!». La accusa di avergli rubato l’orologio alla stazione della metropolitana e seguono fra loro delle battute provocatorie che tutti ascoltano con curiosità. Poi interviene la direttrice che pone termine alla lezione di musica e il comandante si dice dispiaciuto per l’insuccesso ribadendo la sua convinzione sul fatto che maschi e femmine lì dentro non possono stare insieme; la Vinci al contrario pensa che ciò accade perché nessuno ha insegnato loro come comportarsi ma che è necessario trovare un modo perché i ragazzi non si incattiviscano e non vedano l’istituto solo come luogo di punizione. Entrambi sono molto decisi nelle loro posizioni e anche questo suscita l’interesse generale ma le guardie fanno tornare i detenuti in cella. Naditza si attarda a parlare con le sue amiche di vecchia data,


Silvia e Serena. Chiede a quest’ultima di stare in cella con loro ma lei risponde che non lo ritiene possibile; poco dopo la vediamo in cella con la silenziosa e misteriosa Viola. Serena piange e le chiede scusa mentre Viola le rinfaccia di essere stata debole, quindi le dà un pezzo di vetro rotto e le chiede di dimostrarle di essere forte l’indomani mattina, quando lei non sarà in cella. È tempo di dormire. Massimo fa un giro di controllo e Carmine chiede di chiudere anche la seconda porta, quella oltre le sbarre, con la scusa del troppo sole di mattina ma lasciandogli intuire che hanno bisogno di maggiore protezione. Pino si addormenta guardando la foto del suo cane, il suo unico vero amico. L’indomani nella sala della colazione Naditza rivolge la parola a Viola che tende a ignorarla, poi arrivano grida disperate di ragazze spaventate dopo aver trovato Serena coi polsi tagliati. Quando Naditza, intuendo che dietro a tutto questo c’è stata Viola, dice a quest’ultima di odiarla, la stravagante ragazza le risponde «il tuo odio mi fortifica». Nel frattempo una guardia va a svegliare Pino che è in un dormiveglia in cui ricorda frammenti del passato. Ricorda quando ha commesso uno scippo per procurarsi il denaro per comprare a Tyson un collare gps, quando ha sorpreso la sua mamma portandole a casa un costoso abito come regalo per il suo compleanno, le perplessità di lei su come lui avesse trovato il denaro per comprarlo, il ballo che senza musica ha provato a insegnarle per scacciare le preoccupazioni di ogni giorno, le risate e la bellezza di lei. Ricorda di essere rientrato una sera e di aver trovato sua mamma a cena con Arturo; le aveva portato altri regali ma Arturo aveva iniziato ad aprire una scatola di scarpe e gli aveva chiesto come si era procurato soldi per articoli così costosi.

Anche sua mamma l’aveva guardato con diffidenza. Lui si era inventato di aver fatto dei lavoretti, poi di aver fatto partecipare Tyson ai combattimenti clandestini. Sua mamma era rimasta allibita, lui aveva finto bene di non avere nessun sentimento per Tyson, dicendo che se fosse morto col denaro guadagnato avrebbe potuto comprare altri dieci cani come quello. Poi nottetempo si era svegliato e il cane non era in casa; la madre gli aveva detto che Arturo l’aveva portato dal veterinario preoccupato per le conseguenze dei combattimenti. Grazie al gps Pino aveva però subito capito che si trattava di una menzogna e mentre sua mamma piangeva sentendosi ingannata probabilmente per l’ennesima volta e sola come era stata in tutta la sua vita, in scooter aveva raggiunto il cane, scoprendo che proprio Arturo lo aveva portato a combattere. Vedendo Tyson a terra, sentendosi profondamente tradito e sentendosi accusare da Arturo per tutti i soldi persi nella scommessa, Pino con freddezza glaciale aveva sparato contro di lui, per due volte. Poi era corso da Tyson. Si torna al presente. Durante i colloqui Filippo dice a suo papà di ringraziare la sorella per lo spartito e di scusare il suo comportamento, poi quando suo padre sottolinea che a causa sua la situazione non è semplice per la famiglia, si arrabbia tantissimo ed esce dalla sala. Più o meno la stessa cosa accade a Naditza che viene accusata dal padre di avergli fatto perdere altri trentamila euro e non sopporta di sentirsi trattata come un oggetto con un prezzo e obbligata alle nozze appena uscirà dalla prigione. Filippo e Naditza si incrociano nei corridoi, si osservano con attenzione, attrazione, stupore. Poi il padre di Filippo cerca di raggiungerlo, vorrebbe concludere il discorso ma Massimo lo ferma, ritenendo 59

più opportuno che padre e figlio si prendano del tempo per riflettere ciascuno per sé. Ciro restituisce all’uomo un oggetto cadutogli a terra e non perde occasione per dire al comandante che Filippo è ricchissimo e che l’auto del signor Ferrari vale cinque anni dello stipendio di Massimo, che con fermezza ribatte che non è il denaro a migliorare l’essenza delle persone. Beppe rassicura Filippo, dicendogli che è normale ogni tanto dover sfogare la propria rabbia; gli propone di tenere lui lezioni di musica, magari in compagnia di un vero maestro e non di Naditza, ma il ragazzo è troppo in collera per accettare. Il rientro in cella è per lui terribile, dato che gli amici di Ciro hanno seminato escrementi un po’ ovunque, e a lui e a Carmine non resta che ripulire. I nervi però sono tesissimi e quest’ultimo se la prende con Filippo per il suo comportamento testardo che procurerà solo guai. Contemporaneamente Naditza e Silvia parlano con Serena; Naditza le dice apertamente di aver capito che Viola la tiranneggia e Serena è così spaventata da quella ragazza da chiederle solo di lasciarla in pace. Naditza affronta Viola nella sala comune, la prende a schiaffi e Viola sembra imperturbabile, poi in risposta sputa contro di lei. Naditza allora le si getta addosso come una furia gridandole che l’avrebbe uccisa e intervengono le guardie a separarle. Viola esclama «Io non ho fatto niente» e la guardia, una bella donna di nome Liz, aggiunge «È questo che mi preoccupa, tu lo fai fare sempre agli altri». Nell’ufficio della direttrice Naditza e Viola vengono interrogate per fare luce


su quanto accaduto a Serena ma non è affatto semplice gestire con ordine la situazione; Viola dice che Serena può decidere da sola con chi dividere la cella ma se verrà isolata si sentirà ancora più incapace. La direttrice decide una punizione per entrambe le ragazze, cioè due settimane senza colloqui. Aggiunge che se succederà di nuovo un episodio simile di lotta fra di loro i permessi saranno vietati anche per le altre detenute. Naditza le si avvicina quasi in ginocchio e con tono molto moderato le dice che l’aveva ritenuta una persona diversa. Sola, la Vinci sente tutto il peso di ogni decisione, il rischio di sbagliare costantemente dietro l’angolo, e soprattutto si accorge di quanto sia difficile avere addosso lo sguardo giudicante di ragazzi che hanno commesso dei crimini, ma che sono più che mai assetati di giustizia. In cortile c’è una partita ma Carmine gioca a carte da solo come al solito e Filippo guarda la barberia oltre la rete; il comandante chiama Carmine dicendogli che c’è una visita per lui in direzione. Al suo ingresso vede la direttrice e Nina che immediatamente lo abbraccia e poi gli dice che ci sono buone notizie, aspettano un bambino. Il ragazzo la guarda con stupore e incredulità, la stringe a sé, lascia sgorgare silenziosamente l’emozione attraverso le lacrime, che hanno la meglio anche sul ferreo autocontrollo della Vinci, costretta ad alzarsi in piedi per non farsi vedere. Massimo però l’ha vista e le sorride.

Mentre Silvia è intenta a pettinare Naditza nella loro cella arriva Serena a chiedere di rimanere con loro e scoppia fra le tre grande allegria; al contrario Viola, sola nella sua cella, stavolta ferisce se stessa. Le ultime inquadrature sono per Filippo che ruba dalla barberia una lametta. EPISODIO 5 - LA VENDETTA PER GUARIRE Gemma, “quarantotto ore prima dell’arresto”. La ragazza è in giro per Udine con la sorella che l’accompagna dal parrucchiere per un taglio nuovo e poi a provare dei vestiti per acquistarne uno per la sua festa di compleanno prevista per il giorno successivo. Un ragazzo la guarda dalla strada mentre lei dentro al negozio è intenta a provare gli abiti. All’uscita le fa una scenata, dicendole con aria minacciosa che deve portargli rispetto e non dovrebbe comprare vestiti di quel genere né andare a feste a cui lui non è stato invitato. Si capisce immediatamente che fra lui e Ambra, la sorella di lei, non corre buon sangue e la ragazza si allontana dato che Gemma vuole discutere con lui in privato. Qualche ora dopo la madre di Gemma e la sorella rientrano a casa, in un appartamento pieno di scatoloni per il trasloco che si accingono a fare. La mamma è molto preoccupata per il fatto che Gemma non ha risposto alle loro chiamate e per la prima volta non è andata alla messa per il padre scomparso di recente. Gemma rientra indossando degli occhiali scuri e togliendoli la mamma trova conferma di quanto temeva: la ragazza ha un occhio che reca evidenti segni di percosse. Gemma tenta di difendere il suo fidanzato, Fabio, ma la madre ribatte che è già la terza volta che accade una cosa del genere e quando squilla il telefonino di lei la donna grida all’uomo di sparire dalla vita della figlia. La sorella le 60

dà ragione, convinta che Fabio sia malato e che stia attirando anche Gemma nella sua malattia. Mentre in cella Carmine scambia qualche confidenza con Filippo sulla gioia di diventare papà, cosa che gli ha ridato speranza, Ciro riceve da Lino, una guardia molto disponibile nei suoi confronti, un biglietto della sua amata Viola che si dice stanca di sguardi e mezze parole da parte sua. Ciro allora incarica la guardia di una commissione per farle un regalo. Nel frattempo il barbiere si accorge che manca una lametta e, scusandosi con Massimo per non aver controllato la sera prima, gli riferisce l’accaduto. Massimo allora ordina una perquisizione prima dell’arrivo della direttrice e Filippo riesce a non farsi scoprire dalle guardie nascondendola in bocca a rischio di farsi del male e sentendosi poi rimproverare da Carmine per il rischio che ha corso. Carmine per la prima volta gli dice con profonda convinzione che lui non è un criminale e che quanto è successo a Greg è stato un incidente, ma se adesso non intende sbarazzarsi di quella lametta allora sì che potrebbe diventare un criminale. La direttrice, nonostante la contrarietà di Massimo, convoca tutti in sala comune per comunicare che ci sarà un giro di vite: non ci saranno permessi premio e colloqui per due settimane e se entro quarantotto ore quella lametta non comparirà sulla sua scrivania allora la sospensione sarà da considerare a tempo indeterminato. In disparte Massimo le chiede un permesso straordinario per dare a Carmine la possibilità di assistere all’ecografia di suo figlio ma lei si dimostra inflessibile e lui, in collera, dice che farà l’impossibile per ritrovare la lametta scomparsa. Rimasta sola, la Vinci viene sopraffatta da un’ondata di ricordi: rivede se stessa durante l’ecografia in compagnia del marito, la loro


gioia, poi il tragitto in auto sotto un diluvio contrastato dalla loro allegria, le chiacchiere sul nome da dare al bambino, il momento fatale in cui si era distratta dalla guida per baciare l’uomo seduto al suo fianco, il violento e inevitabile impatto con un altro mezzo. Nel frattempo Ciro in compagnia dei suoi più fedeli si interroga su chi possa aver rubato la lametta e il cerchio si stringe su Carmine e Filippo, o meglio a suo dire su Carmine in quanto non ritiene Filippo abbastanza coraggioso. Incarica Pino, che ricatta facendo leva sul suo affetto per il cane, di andare a fare ricerche da Filippo e il ragazzo obbedisce e ispeziona la cella ma Filippo riesce a ingannarlo nascondendo la lametta in mano e grazie all’arrivo tempestivo dell’educatore Beppe che gli propone di suonare per tutti l’indomani. Viola va a salutare Serena e le dice che se ha bisogno della droga sa dove raggiungerla. Il giorno successivo Massimo rimprovera Lino, suo sottoposto, per non essere riuscito a trovare la lametta e ordina di continuare le ricerche. A mensa Ciro, saputo da Pino che Filippo non ha rivelato niente, rovescia in testa a Carmine il suo bicchiere di latte e gli chiede se non sa nulla della lametta. Il ragazzo dà prova di grande dominio di sé non rispondendo nulla e non reagendo alla provocazione. In bagno Silvia trova il regalo destinato a Viola, con relativo bigliettino firmato da Ciro. Non resiste alla tentazione di provare il babydoll color glicine e poi decide di tenerlo per sé, inventando di non aver trovato nulla quando Viola glielo domanda. In cortile, in disparte dagli altri ragazzi, Lino chiede a Ciro come scambio di favori di far saltar fuori la lametta e lui accetta di buon grado, eseguendo una specie di spedizione punitiva contro Carmine che era intento con Filippo a sistemare il legno di

alcune barche. Filippo vede da lontano il pestaggio e non interviene. Appena arriva Massimo capisce che Carmine è stato picchiato, si stupisce dell’assenza delle guardie e gli dice che non potrà aiutarlo se lui non racconta i fatti, ma il ragazzo pensa sia più intelligente la via del silenzio immaginando le possibili ritorsioni. Tempo dopo i ragazzi sono intenti a giocare a pallone quando arrivano le ragazze nel campo di pallavolo lì di fianco. Carmine accondiscende alla richiesta di Filippo di aiutarlo nella partita almeno per evitare la sua incapacità totale in difesa e fra i due con un po’ di ironia sembra rinfrancarsi l’amicizia. Ciro non perde di vista Viola che non lo guarda nonostante Lino gli abbia confermato che il regalo è stato recapitato. A un tratto la ragazza, seduta su una panca, si volta verso di lui che le si avvicina subito ma lei gli fa vedere che si sta tagliando il polso, esclamando che lo farà ancora, ogni volta che lui la deluderà. Poi lei si alza e se ne va a passo spedito, seguita da Serena. All’appuntamento per l’ecografia Nina è dovuta andare da sola e una volta lì chiede alla dottoressa di poter fare un breve video da mostrare al fidanzato, ma a un tratto Massimo spalanca la porta e arriva per lei la più bella delle sorprese: Carmine. I due poi scherzano sul possibile nome da dare al bambino o alla bambina, Carmine dice che vorrebbe una femminuccia e vorrebbe chiamarla Futura. Massimo li sente e rimane commosso e felice, certo di aver fatto la scelta giusta nell’infrangere le regole della direttrice per poter dare al ragazzo la speranza di cui ha bisogno. Una volta salutata Nina, Massimo dice a Carmine che dovrà fingere di zoppicare per giustificare la loro visita in ospedale, inventando di aver preso una storta giocando a pallone. Al loro ritorno 61

la Vinci va su tutte le furie per la scusa poco credibile e rivela di sapere il suo soprannome in carcere, “punto e virgola”. Contemporaneamente Filippo suona in modo magistrale nella sala comune, e tutti i presenti, detenuti e detenute, applaudono. A sala ormai vuota Pino fa i complimenti a Filippo per la bellezza delle sue mani e cerca con lui un contatto che il ragazzo vuole assolutamente evitare; sopraggiunge Naditza che tira un calcio a Pino e prendendo per mano Filippo lo fa correre a nascondersi con lei accovacciati dietro alcuni scatoloni. Per alcuni istanti le guardie non li vedono e i due hanno un po’ di pace. Dapprima lui fa il sostenuto ma quando lei lo bacia non si tira indietro. La ragazza gli dice con aria beffarda che è la seconda volta che si è fatto baciare da una zingara e quindi dovrebbe ammettere che gli piace. Poi sentitasi chiamare da una guardia, furtiva e agile come un felino, raggiunge subito quest’ultima. A sera però Filippo non riesce a sfuggire a Pino, pur cercando di nascondersi nella doccia. Il ragazzo lo costringe a toccarlo e Filippo si disprezza per non avere il coraggio di ferirlo con la lametta che porta sempre con sé. Una volta solo e disperato, sembra covare intenzioni suicide rivolgendo la lametta contro di sé. Le ultime scene sono dedicate all’epilogo tragico della vicenda di Gemma. Una sera Fabio si presenta sotto casa e, in assenza della madre, la ragazza scende a parlargli e la sorella la segue. Quando


l’uomo sbatte quest’ultima contro la cassetta della posta le due corrono a casa spaventate. Qualche giorno dopo Gemma vede l’uniforme di suo papà stesa sul letto e chiede alla madre perché debbano lasciare così presto la loro casa. Lei risponde che ha bisogno di distaccarsi dal passato, in lacrime ricorda le parole del marito che, consapevole di essere malato, aveva detto loro di aiutarsi sempre l’un l’altra. Chiede a Gemma di giurarle di non rivedere più Fabio e lei annuisce piangendo. La sera della festa di Ambra rientra a casa felice ma la serenità è presto interrotta dalle grida di Fabio che urla all’impazzata fuori dal portone. La mamma telefona senza esitazione alla polizia e Ambra scende con una felpa con cappuccio. Nell’oscurità lui non la riconosce e convinto che si tratti di Gemma le getta addosso dell’acido. La ragazza urla in preda a un dolore lancinante, la madre chiama un’ambulanza e Gemma si dirige sotto casa di Fabio. Lo chiama, poi a sangue freddo gli spara per due volte con la pistola del padre. EPISODIO 6 - L’APPARTENENZA Al risveglio Carmine trova Filippo in bagno con la lametta fra le mani e lo conforta, gli porta le foto dell’ecografia del figlio, gli dice che hanno ancora tante cose da fare insieme Filippo lo ringrazia con sincerità, fra i due c’è un abbraccio fraterno e Carmine aggiunge alla scritta sul muro “Carmine è un papà” le parole “e un amico”.

Filippo si decide a consegnare la lametta e la direttrice cerca di capire se lui ha sentito l’esigenza di difendersi ma il ragazzo non parla e poi dice che sono altri quelli che comandano davvero lì dentro, senza fare il nome di Ciro. In sala di ricreazione Pino d’un tratto aggredisce un ragazzo e una guardia lo ferma domandandogli se ha ripreso a drogarsi, quindi arriva Massimo che comunica che i permessi sono ripresi dato che la lametta è stata ritrovata. Ciro gli chiede chi è stato a prenderla e Massimo non gli dà informazioni ma a riferirgli immediatamente il nome di Filippo ci pensa la guardia di nome Lino. Edoardo, “trentasei ore prima del nuovo reato”. Edoardo, amico di Ciro, è entusiasta di poter uscire per un giorno e una notte e di poter tornare dai suoi e soprattutto dalla giovanissima moglie Carmela, in stato interessante. La guardia Liz scherza con lui con giocosa complicità e lo guarda andare a respirare un po’ di libertà mentre Gemma fa il suo primo ingresso nell’istituto di pena e Gianni cardiotrap ne rimane affascinato. Edoardo gira con festosa allegria per le strade della sua città, poi arriva a casa e trova tutti ad aspettarlo fuori in terrazza: la madre, la zia, la nonna, il cugino e infine la moglie Carmela. Prima del pranzo, con disappunto della madre, Edoardo dedica tutte le sue attenzioni alla ragazza rifugiandosi in camera con lei; dopo pranzo il cugino gli mostra della droga e se ne vanno in giro insieme a bordo di uno scooter rubato. Intanto nel cortile del carcere minorile Pino, invidioso dell’uscita di Edoardo, accusa apertamente Filippo davanti a Ciro e ai suoi di essere responsabile delle restrizioni dei loro permessi. Quando poi passa di lì Carmine e vede gli spartiti di Filippo sparpagliati a terra, 62

li raccoglie e glieli mette in mano, dicendogli con autorevolezza di andare a studiare. Gemma viene assegnata alla stanza con Viola, che si dimostra molto gentile verso la nuova arrivata dicendole che per qualunque cosa può chiedere a lei. Uscita di lì Viola, entra Silvia, che si presenta a Gemma come “la spesina” che le potrà portare qualunque cosa le serva. Silvia resta colpita davanti ai vestiti di bella qualità della ragazza, le chiede di poter provare un foulard, poi le dice di controllare che non arrivi Viola e indossa il babydoll destinato a Viola insieme al foulard che Gemma le regala visto l’entusiasmo della ragazza. Al pianoforte Filippo è intento a insegnare a Gianni l’abc della musica ma l’impresa si rivela ostica per la fatica del ragazzo nel decifrare lo spartito. Vicino ai due ci sono Naditza, Serena e Silvia, oltre all’educatore Beppe. Filippo viene incitato a suonare un pezzo forte e ascoltato con ammirazione. Naditza prova a riprodurlo andando completamente a orecchio e ci riesce, stupendo profondamente il ragazzo consapevole che quel pezzo viene studiato in un terzo anno di Conservatorio. Scatta la sfida fra i due: Filippo prosegue con una parte ancora più difficile, Naditza inspiegabilmente riesce a riprodurre anche quella nello stupore generale. Filippo le dice che ha un dono particolare, Beppe si rende conto che la ragazza ha un talento pazzesco. Il ragazzo però non si dimostra felice perdendo fiducia in una delle sue poche certezze, la sua bravura come musicista, e lei ci rimane male, lo accusa di essere geloso, esclama che se potesse gli regalerebbe questo suo inaspettato talento. Nel suo ufficio la direttrice con tono cordiale e maggiore calma del solito dà a Massimo il fascicolo riguardante Gemma per avere un suo parere e lui racconta qualcosa


di sé, dicendo di essere sposato e di avere un figlio di dieci anni, e di avere sempre più paura della realtà che li circonda a mano a mano che lo vede crescere. Quando è il comandante a chiedere alla Vinci se ha figli, lei evita di rispondere chiedendogli di lasciarla sola per fare una telefonata. Segue un flashback: in ospedale dopo l’incidente la Vinci apre gli occhi e vede il marito Renzo seduto di fianco a lei. Gli chiede subito del bambino e capisce di averlo perso. Poi arriva un medico che riferisce al marito che la prognosi è ancora riservata ma di sicuro la donna non potrà più avere figli e dovrà essere preparata con l’aiuto di uno psicologo alla notizia, che invece lei apprende in quel momento sentendoli parlare a loro insaputa. Si torna al presente: in sala comune Naditza scherza con le amiche felice della sua abilità nella musica e si sente pronta a vincere la scommessa fatta con Silvia, ma intanto vigila a distanza su Viola che attira Gemma confortandola e mostrandole il mare fra le sbarre. In sala colloqui Carmine accenna ai suoi sogni sul salone da parrucchiere da aprire quando sarà libero a Nina, che si dice preoccupata per una telefonata che Ezio, il fratello di lui, ha ricevuto e che probabilmente è legata alla morte di Nazario. Ciro al telefono dice al fratello Pietro che Carmine deve pagare per quello che ha fatto, poi vede Filippo e gli dice di entrare nella sua cella a fare due chiacchiere. Lo fa sedere, gli offre da fumare, gli riconosce il coraggio di saper agire di testa sua ma contemporaneamente dichiara che lì dentro è impossibile sopravvivere senza amici e bisogna saper scegliere la persona giusta, riferendosi evidentemente a se stesso. Filippo non si mette contro, vede una foto alla parete con Ciro e un altro ragazzo e gli chiede se sia suo fratello. Ciro rispon-

de che “era” suo fratello e non gli racconta altro, quindi scendono in cortile. Filippo raggiunge Carmine seduto da solo su una panchina, ma quest’ultimo che ha capito ciò che sta succedendo lo tratta in modo scontroso disapprovando completamente la sua scelta e gli dice che Ciro non fa mai niente per niente. Poi nella sala della ricreazione Filippo gioca a biliardino con Ciro e i suoi amici che mostrano nei confronti di Filippo un insolito e improvviso rispetto, mentre Pino se ne sta da solo al flipper con aria triste. Ciro lo raggiunge e Pino dice che ha capito di aver un solo vero amico, Tyson. Ciro gli risponde che deve avere pazienza e che vuole il suo aiuto per mettere alla prova Filippo e vedere se è degno di loro. A sera Edoardo, dopo qualche titubanza, consapevole dei controlli che lo attendono l’indomani in prigione, accetta lo spinello offerto dal cugino e poi vanno insieme al lunapark. Dopo essere stati su alcune giostre, Edoardo decide di andare allo zoo. Raggiunge la gabbia di un leone e ne attira l’attenzione, lo fa avvicinare fin troppo e il cugino lo obbliga ad andare via dicendogli che è fuori di testa e non si rende conto di quello che fa. All’istituto intanto Ciro organizza un pestaggio nei bagni contro un ragazzo innocente; esorta Filippo a prendervi parte e lui, davanti allo sguardo allibito di Carmine, non si tira indietro, pur provando orrore per quello che fa. Una volta soli nella loro cella i due litigano. Carmine gli dice a chiare lettere che gli amici di Ciro conoscono soltanto la legge della violenza e il loro non è rispetto ma pura paura nei confronti del più feroce del branco. Poi cancella la scritta sul muro “e un amico”, fortemente deluso e solo. Nei bagni femminili ingenuamente Gemma dice a Silvia che il babydoll che le aveva mostrato era molto più 63

bello del pigiama che ha indosso. Viola immediatamente sospetta e dice che quella notte avrebbe voluto nella sua stanza Silvia al posto di Gemma. Una volta rimaste sole, ha inizio la vendetta di Viola che obbliga sadicamente la ragazza a sottostare al suo volere e a una serie di umiliazioni, fra cui farsi vedere svestita, inginocchiarsi e dormire sul pavimento. A un tratto Naditza sente piangere e da dietro le sbarre dice a Silvia di tirarsi su e dichiara guerra a Viola, poi mostra a Serena di cosa è capace la sua pericolosa “amica”. Fuori dall’istituto Edoardo e il cugino sfrecciano per le vie di Napoli e si ritrovano inseguiti dalla polizia. Perdono il controllo del mezzo, finiscono a terra e il cugino scappa mentre Edoardo viene ammanettato e gli viene trovata una pistola addosso. Lo ritroviamo poco dopo nell’ufficio della direttrice, molto adirata e convinta che i permessi non siano di alcuna utilità vista la realtà famigliare criminale cui appartengono molti ragazzi. Interrogato, Edoardo si sente colpevole solo per lo spinello ma dichiara che l’arma non è sua e non farà nomi per ragioni di lealtà. La direttrice gli fa sapere che si è giocato tutti i futuri permessi e che rischia di essere trasferito al carcere dei maggiorenni non appena compirà diciotto anni. Anche Liz è in collera con lui mentre Beppe lo difende affermando che di fondo è un bravo ragazzo.


La mattina successiva Carmine e Filippo sono dal barbiere, ma presto arriva Ciro che vuole tagliare i capelli a Filippo. Il barbiere è spaventato all’idea che dei suoi superiori possano vedere Ciro con delle forbici in mano ma la sua soggezione nei confronti del ragazzo supera quella paura e gli permette di usare il rasoio elettrico. Ciro rende Filippo un po’ simile a se stesso, non solo con la pettinatura ma procurandogli anche un lieve taglio nel sopracciglio, e gli dice che da quel momento in poi non sarà più “chiattillo” e tutti capiranno la loro alleanza. Poi, in sala colloqui, il fratello maggiore di Carmine gli fa sapere che i Valletta promettono che non ci saranno vendette ma in cambio Carmine dovrà uccidere un infame lì dentro all’istituto. Al sentire quelle parole, il ragazzo chiama subito la vecchia guardia Gennaro e si fa riaccompagnare in cella. EPISODIO 7 - L’AMORE MALVAGIO Torino, un mese prima. Viola, “trentasei ore prima dell’arresto”. Viola fa rubare alla sua amica Lara un paio di occhiali in un negozio, Lara le dice che è pazza ma la cosa l’ha divertita ed è contenta perché sta vivendo una bella storia d’amore con il fidanzato Giacomo. Viola le fa promettere che l’indomani le racconterà tutti i particolari, quando si incontreranno al loro posto segreto. Lara guarda Viola come un’amica mentre Viola tradisce un interesse, un attaccamento morboso nei confronti della ragazza. Il giorno successivo si incontrano in una rou-

lotte semiabbandonata e Viola, dopo aver fatto domande eccessivamente specifiche sull’aspetto fisico della relazione di Lara, prova una forte delusione e una sconfinata gelosia nello scoprire che l’amica era stata insieme al fidanzato proprio nel loro posto segreto. Percepisce questo come un tradimento, le dice che l’aveva sempre trattata come una sorella e infine scaraventa tutta la sua collera su Lara ferendola a morte, con uno spaventoso accanimento nell’infierire sul corpo di lei. Poi, come se nulla fosse accaduto, riprende il suo scooter e va alla lezione di pallavolo. Si torna al presente. Filippo e Naditza sono impegnati al pianoforte con un pezzo d’autore piuttosto difficile e ancora una volta la ragazza riesce a riprodurre la musica in modo naturale, lasciando perplesso Filippo che fatica a credere che non abbia mai studiato musica. Le dice che le regalerà degli spartiti ma lei non sa che farsene e ridendo gli dice che le piacciono le stesse cose che piacciono alle ragazze del Nord, come «il grand hotel, il mare, la bella vita» lui promette di portarla un giorno in un albergo di lusso e si stupisce del fatto che lei non voglia mai uscire dall’istituto, nonostante i permessi a disposizione. A un tratto Filippo prova a baciarla ma lei lo fa cadere dallo sgabello con un lieve spintone e ridendo dice che è meglio non far vedere tutto questo a Gennaro, lì a vigilare come al solito. Massimo accompagna Edoardo a contribuire all’organizzazione di una nuova attività, un laboratorio di ceramica. Il ragazzo deve scaricare e trasportare dei sacchi di argilla, seguendo le indicazioni di alcuni giovani responsabili del lavoro, fra i quali una certa Teresa che diventa subito l’oggetto principale delle sue attenzioni. Mentre Edoardo approccia 64

una conversazione e indovina la provenienza di lei, ceto medio di Posillipo, Carmine perde il controllo a causa della pressione nervosa cui è sottoposto e butta all’aria della roba gridando. Il comandante comprende il suo momento di difficoltà e lo porta fuori, per parlargli in privato. Il ragazzo gli chiede se sia possibile contattare sua madre per farla venire ai colloqui previsti in giornata, senza il fratello Ezio però, e Massimo acconsente. Ai colloqui Gemma vede Gianni andarsene via in collera con la madre che continua a vivere insieme al padre violento e, dicendogli che quest’ultimo è cambiato, vorrebbe che i due si riconciliassero, poi incontra la sua mamma per la prima volta e si scioglie in lacrime per il senso di colpa per quanto accaduto alla sorella. La madre la rassicura dicendole che Ambra è fuori pericolo e fra non molto si sottoporrà al secondo intervento di ricostruzione facciale, poi le dà dei cosmetici come piccolo regalo, sapendo quanto piacciano alla ragazza che però ci ha sempre rinunciato per far contento Fabio. Serena invece non riceve visite e rilegge una vecchia lettera ma Naditza le dice che è meglio non avere rapporti con persone legate alla droga; appena arrivata in sala comune Gemma si sente chiedere da Viola se il rossetto sia un regalo per lei e poi quest’ultima se lo prova e lo tiene con sé dicendo che lo useranno insieme. Naditza rimprovera Gemma per aver dato un regalo di sua mamma a una ragazza capace di grande malvagità, come ha dimostrato di saper fare con Silvia. La mamma di Carmine si mostra durissima con lui e a poco a poco si comprende che il suo comportamento è dettato dalla paura di perdere il figlio: la donna conosce solo la legge del più forte e lo esorta a fare


quello che gli è stato chiesto, a “essere uomo”, a uccidere insomma, per evitare di essere ucciso. Poi quando lei firma per uscire, scambia con il comandante un silenzioso sguardo più eloquente di tante parole. Il padre di Filippo gli fa sapere che l’avvocato ha chiesto un permesso speciale ma non sarà facile ottenerlo e il ragazzo, dopo aver giustificato la nuova pettinatura come un’usanza del posto e il taglio al sopracciglio con una caduta nella doccia, chiude frettolosamente la conversazione dicendo di avere lezione di pianoforte. Il padre comincia a intuire tutto quanto il figlio non può raccontare e Filippo va ad eseguire la missione affidatagli da Ciro, ossia recuperare in bagno un pacchetto di droga e portarglielo. Filippo aveva cercato di insistere nel rifiutare, dicendosi incapace di queste cose, ma Ciro non aveva voluto sentire ragioni e aveva replicato che «agli amici non si può dire di no». Così lo vediamo recuperare la droga, nasconderla, sottoporsi con paura alla perquisizione di Gennaro, andare da Ciro a consegnargliela: quest’ultimo però non si accontenta e gli dice che dovrà tenerla nascosta lui e che sarà lui a doverla ripagare con gli interessi se le guardie la troveranno. Filippo torna quindi in cella coi nervi tesissimi mentre Carmine piange sconsolato in bagno. Successivamente scatta un giro di perquisizioni e vengono trovati i dieci grammi di erba nell’armadio della cella dove Filippo li aveva messi; alla domanda di Massimo su a chi appartenga l’armadio, Carmine risponde che è il suo e che anche la droga è sua, salvando l’amico che rimane in silenzio. Massimo parla con la direttrice spiegandole che Carmine sta coprendo qualcuno e lei gli crede e decide così di separare lui e Filippo assegnando a Car-

mine una cella singola e mettendo Filippo con due amici di Ciro. Filippo chiede a quest’ultimo che bisogno c’era di mettere nei guai Carmine che non ha fatto nulla contro di loro e Ciro, senza dare alcuna spiegazione, gli fa sapere che il magistrato ha già dato l’autorizzazione per il suo permesso nel fine settimana e durante questo dovrà fare una cosa per lui: dovrà dire a suo papà di scendere da Milano in macchina, pranzare al ristorante di un suo amico e mettere l’auto nel parcheggio privato di questo. Filippo replica che non ha intenzione di mettere in mezzo la famiglia. Poi lo ritroviamo a difendere Naditza da due zingare dell’est invidiose della bravura di lei al pianoforte e la ragazza, abituata a difendersi da sola, è contenta che per la prima volta qualcuno la stia aiutando. Poco dopo Carmine e Filippo vengono alle mani dando libero sfogo a tutte le pressioni cui sono sottoposti e sentendosi entrambi ancora più soli da quando Filippo non ha saputo dire di no a Ciro perdendo la stima e l’appoggio dell’amico. Condotti in direzione, si riappacificano fuori dall’ufficio mentre Massimo parla con la direttrice dell’accaduto e Carmine consiglia Filippo di assecondare ancora per un po’ Ciro dato che non è in condizione di trattare. Massimo fa accompagnare da Lino i due sulla terrazza e lì lui e la direttrice parlano con entrambi separatamente. A Carmine vengono assegnate quaranta ore di attività alternative da svolgere in barberia oppure al laboratorio di ceramica e la Vinci gli fa sapere che il fratello lo vuole vedere, cosa che il ragazzo eviterebbe in tutti i modi se non gli venisse detto che è per qualcosa che riguarda Nina. A Filippo viene consegnato il foglio con il permesso di uscita per passare del tempo con i genitori. 65

A sera a cena Viola si avvicina a Serena e le chiede se le manca di più il fidanzato oppure la droga e la ragazza ha la forza di alzarsi e trasferirsi al tavolo di Naditza; nella cella di Edoardo gli amici lo vedono lavorare l’argilla, poi passa sotto alla finestra Teresa e lui le lancia un messaggio di carta che lei raccoglie, mentre gli altri scherzano sul tentativo di conquista dell’amico. Contemporaneamente Ciro dà delle indicazioni a Filippo in presenza soltanto di Pino. L’episodio si chiude sul colloquio fra Carmine e il fratello maggiore: Ezio fa sapere al ragazzo che i Valletta non vanno per il sottile e a rischiare di finire male sarà Nina, se lui non ubbidirà e non commetterà l’omicidio. Quando Carmine, che fino a pochi istanti prima aveva detto che avrebbe preferito morire lì dentro piuttosto che uccidere qualcuno, domanda chi sarebbe l’uomo che i Valletta vogliono morto in cambio dell’incolumità per Nina, lo sguardo di Ezio finisce implacabilmente su Massimo. EPISODIO 8 - CONOSCI TE STESSO Il comandante è preoccupato per Carmine che vede taciturno, preso dai suoi pensieri, e che una sera non cena neppure, così gli viene un’idea e propone a Beppe di organizzare presto una gita in barca, convinto che possa essere utile per comprendere meglio la situazione. In bagno Carmine reagisce male con Filippo quando questo gli chiede aiuto perché non sa più come


fare con Ciro; Carmine gli dice che proprio per colpa di Ciro lui è in una situazione infernale. A mensa Gemma vede al telegiornale la foto di Fabio e Viola alza il volume permettendole di sentire che il giovane, ancora in ospedale a Udine, è fuori pericolo di vita. Naditza in bagno le dice che è molto meglio un tentato omicidio che un omicidio volontario ma la ragazza è preoccupatissima ed è sicura che la persecuzione di Fabio nei suoi confronti non avrà mai fine. Convocata in direzione, Naditza dice che non vuole uscire dall’istituto in permesso perché non vuole tornare a casa e la Vinci acconsente. Mentre la guardia la riaccompagna in cella e lei autoironicamente si definisce una detenuta modello che all’istituto ci sta per scelta, Filippo si dirige verso l’uscita scortato da Lino. I due si parlano sulle scale e lui non stacca lo sguardo da lei chiedendole se al suo ritorno riprenderanno con le lezioni di piano; lei gli chiede di portarle qualcosa dal grand hotel, come Robin Hood, e gli sorride. Si spalanca il portone di ferro e Filippo vede suo papà e sua sorella scesi a salutarlo dall’auto lussuosa in cui è invece rimasta la mamma. Contemporaneamente esce di prigione anche Pino, che non si trattiene dal fare commenti sulla sorella di Filippo, ammirando e invidiando al tempo stesso quella ricca realtà del Nord a lui completamente estranea. Appena vede sua madre venirgli incontro con Tyson al guinzaglio,

abbraccia il suo cane e se ne va a spasso con lui. Poco dopo Naditza torna dalla direttrice e dice di aver cambiato idea, di non poter fuggire per sempre e di voler provare ad andare dai suoi. Se proveranno a picchiarla lei non esiterà a denunciarli; la Vinci chiede alle guardie di lasciarle sole e poi le dà il suo numero di telefono nel caso si trovi in pericolo. Intanto vari ragazzi sono usciti in barca sotto la guida e sorveglianza di Massimo e Beppe; scherzano sulla medaglia d’oro vinta da Beppe, vecchio campione di vela e Massimo fa sì che l’uomo racconti brevemente la sua vicenda per farla conoscere a Carmine. Si viene così a sapere che il fratello di Beppe gli aveva immeritatamente soffiato premio e gloria, perché come dice lui “gli amici si scelgono ma i fratelli no”. Nel frattempo dentro all’istituto si svolge il laboratorio di ceramica cui partecipano tutte le detenute presenti e anche Ciro ed Edoardo. Oltre alla professoressa Amelia che spiega ai ragazzi che tipo di lavoro dovranno realizzare c’è anche Teresa a dare una mano; in disparte Edoardo le chiede come mai lei non abbia risposto al biglietto che lui le aveva lanciato dalla finestra e, sentendosi rispondere che lui si diverte solo a suon di chiacchiere, le regala la catenina che ha strappato a Gianni cardiotrap, fingendo che sia un regalo di sua madre. Le guardie richiamano i ragazzi per il pranzo ma Ciro si trattiene finché può per poter parlare da solo con Viola: la bacia e lei lo morde dicendo che non è un suo oggetto, poi gli chiede in regalo un cellulare e infine lo bacia di sua iniziativa. Poco dopo quando si ritrova seduta a un tavolino con Gemma le racconta qualcosa della sua storia, dicendole che ha ucciso Lara, la sua migliore amica, la persona che amava di più al mondo. Gem66

ma dice che è sua sorella la persona cui è più affezionata ma Viola insinua il dubbio e poi le fa provare della droga. Durante la gita in barca arriva una sorpresa per Carmine architettata dal comandante: a bordo di una barca a motore Nina raggiunge i ragazzi ma Carmine non riesce a trovare serenità neppure in sua compagnia, divorato dalla condanna che suo fratello gli ha inflitto. Per un istante pensa addirittura che potrebbe prendere Massimo alla sprovvista e farlo precipitare in acqua, ma è un pensiero che viene completamente cancellato dall’arrivo della sua ragazza. A un tratto squilla il cellulare di Massimo e lui avverte Beppe che la gita purtroppo si deve concludere prima del previsto, senza dare spiegazioni. Al telefono chiede soltanto se sua moglie sia stata avvertita. Arrivati al Grand Hotel S. Francesco, consigliato o meglio imposto da Ciro a Filippo, il padre e la sorella guardano con ammirazione il panorama. La madre invece resta molto sulle sue e intuisce cosa ci sia dietro a quel taglio sul sopracciglio ma non vuole sentire spiegazioni. Mentre i figli si allontanano, il padre di Filippo le chiede di cercare di essere contenta almeno per quel giorno perché il ragazzo ha bisogno di loro adesso più che mai. Ma il conflitto è troppo forte e a tavola Filippo dà libero sfogo ai suoi pensieri: trova ridicolo che la mamma si vergogni della sua pettinatura quando i problemi sono ben altri, dice di avere un senso di colpa per Greg da cui non si potrà più liberare, poi chiede al padre le chiavi dell’auto per andare a cambiarsi la maglietta. Un uomo di Ciro lo raggiunge vicino all’auto e gli dice di tornare dai suoi senza dare nessuna spiegazione su quello che farà con la macchina. Quando torna a tavola


si riaccende anche la lite: Filippo dice che sono anni che in famiglia si prendono in giro, sua madre frustrata per la mancata carriera musicale ha sempre reso la vita impossibile a suo padre che ha continuato a fingere che tutto andasse bene e lui è stato cresciuto dalla madre per realizzare il suo sogno mancato, ma non si sente un artista vero come invece è la zingara Naditza. Quest’ultima è in auto coi genitori e due cugini al suo fianco e si sente ripetere per l’ennesima volta che dovrà sposare l’uomo che ha rifiutato e che per fortuna la vuole ancora. Poi la ritroviamo al campo rom, agghindata per le nozze fra gli applausi dei presenti e l’auto con i suoi si rimette in moto per raggiungere il campo rom del futuro marito. A un semaforo rosso, approfittando del traffico bloccato, la ragazza si libera dei due cugini con una mossa improvvisa e riesce a divincolarsi e a fuggire. Massimo, “dieci anni prima dell’arrivo all’IPM”. Si apre un flashback che ci permette di conoscere alcuni momenti salienti del passato del comandante. Un giorno girava in scooter per Napoli con l’amico Antonio come passeggero e scherzavano sulle ragazze che vedevano; colpiti entrambi da una di queste con l’aria da fotomodella straniera, si erano avvicinati sempre a bordo del motorino e Antonio di sua iniziativa le aveva scippato la borsa. Si erano allontanati e avevano litigato, dato che Massimo disapprovava completamente quel genere di comportamento e non aveva esitato a dirlo in modo chiaro ad Antonio e a tornare poi da solo a restituire la borsa, pur nella consapevolezza che questo avrebbe segnato la fine della loro amicizia. La ragazza, di nome Consuelo e dall’accento un po’ straniero, si era mostrata offesa ma anche un po’ attirata da Massimo a cui aveva chiesto il nome. Nei giorni suc-

cessivi Massimo andando a fare jogging aveva incontrato Antonio che aveva scherzato sulla necessità di tenersi in forma per la bella fidanzata. Aveva aggiunto che quel genere di donna sicuramente sarebbe stato molto interessato al denaro e Massimo gli aveva detto di averlo visto vendere droga e che era ancora in tempo per fermarsi e chiudere con la criminalità. Ma l’amico non aveva seguito il suo consiglio e qualche tempo dopo, una sera, Massimo l’aveva visto arrivare a bordo di uno scooter guidato da un altro, scendere e sparare uccidendo un uomo sulla pubblica via. Quando l’ispettore di polizia aveva iniziato a rivolgere domande ai presenti senza grande speranza di trovare risposte, Massimo era stato l’unico a rispondere al suo appello e ad avvicinarglisi per raccontare quanto aveva visto. Si torna al presente. Nel suo ufficio la direttrice trova Pietro, il figlio di Massimo e Consuelo, intento a giocare con dei videogiochi. Gennaro lo rimprovera per essersi spostato da dove lui gli aveva detto di stare e spiega alla Vinci che c’era stato un problema al campo estivo e a breve il comandante sarebbe arrivato a prendere il figlio. Lei si mostra inaspettatamente divertita all’idea di poter trascorrere un po’ di tempo con il bambino: familiarizza e gioca insieme a lui, che a un tratto le mostra la sua mamma definendola un’attrice, più bella di lei. La Vinci vede così la giovane donna impegnata nella trasmissione delle previsioni del tempo, con un look poco raccomandabile e un atteggiamento da soubrette poco coerente con l’argomento. Dopo un po’ di tempo arriva Massimo che si scusa con la Vinci e si vergogna quando il figlio gli dice di averle mostrato la mamma, che nel frattempo è arrivata e lo sta aspettando all’ingresso dell’istituto. Massimo la raggiunge col bambino che gli chiede di non litigare 67

con lei e in quel momento passa un pulmino con a bordo alcuni amici di Ciro, che restano a bocca aperta davanti a quella che appare ai loro occhi come una bellezza rara e molto appariscente. Massimo e Consuelo litigano e la scena non passa inosservata agli occhi della Vinci che li guarda dalla finestra e sente alcune delle loro parole: lei lo accusa di essere un fallito e di lavorare in un luogo terribile, lui di essere poco seria e molto egoista. Filippo e i suoi lasciano il ristorante e si dirigono alla macchina, che il padre si stupisce di trovare aperta rimproverando il figlio e pensando che si fosse trattato solo di distrazione, molto lontano dall’immaginare la verità. All’interno dell’istituto Viola regala a Gemma un telefonino dicendole che la sera, quando nessuno la potrà vedere, potrà chiamare chi vuole. A cena in sala mensa gli amici di Ciro appena lo vedono arrivare gli raccontano della insospettabile moglie del comandante e accendono la tv sulle previsioni meteo; quando lui arriva però non hanno il coraggio di scherzare e fingono un silenzioso rispetto finché non si allontana. Carmine rimane indifferente e in disparte rispetto a tutto ciò. A un certo punto raggiunge il comandante al ripa-


ro dagli sguardi e dalle orecchie altrui e vorrebbe dirgli la verità, chiedere aiuto, ma non ci riesce e semplicemente lo ringrazia. Massimo gli racconta spontaneamente la sua storia: quando aveva qualche anno più di lui ha mandato il suo migliore amico in prigione per omicidio. L’amico era Antonio Valletta, il boss padre di Nazario ucciso in spiaggia da Carmine per difendere la fidanzata Nina. Da allora Valletta gli ha fatto terra bruciata intorno costringendolo ad abbandonare il suo quartiere, ma Massimo non si è mai pentito della sua scelta e esorta Carmine a fare altrettanto, ossia ad andare dritto per la sua strada senza guardare in faccia a nessuno. Nel frattempo Naditza riesce a rubare da un negozio un minivestito rosso utile soprattutto a sbarazzarsi del vistoso abito da sposa che era stata costretta a indossare. Poi col cuore in gola per l’emozione si dirige al Grand Hotel S. Francesco speranzosa di riuscire a trovare Filippo. E infatti lo trova, ma nel momento sbagliato: raggiunge la sua camera la cui porta era rimasta socchiusa quando, poco prima, vi era entrata una escort inviatagli da Ciro come regalo. Filippo l’aveva respinta ma lei gli si era buttata letteralmente addosso e in quelle condizioni li vede Naditza che disperata scappa via e si siede in un angolo buio del marciapiede, in lacrime, più sola che mai. Solo pochi minuti dopo Filippo allontana la donna con decisione, chiedendole di far sapere a Ciro che il regalo è stato gradito.

Prima di dormire Gemma telefona ad Ambra e in una brevissima chiamata le chiede perdono, mentre Viola ascolta ogni sillaba per poi dirle che può tenere ancora il telefono e che deve pensare ad andare avanti, non solo ai sensi di colpa. La tela che sta tessendo comincia a dare i suoi frutti visto che Gemma le dice che è l’unica in grado di capirla. È ormai sera tardi quando Naditza suona alla porta di casa della direttrice che l’accoglie con gentilezza e le permette di trascorrere la notte lì. L’indomani mattina la famiglia di Filippo lo riaccompagna all’ingresso dell’istituto e lui, sceso dall’auto, sta per entrare quando all’improvviso ha un ripensamento e corre davanti alla macchina fermando suo papà per dirgli sottovoce qualcosa che la madre non riesce a sentire. EPISODIO 9 - LEGAMI SPEZZATI Serena, “un mese prima dell’arresto”. La ragazza commette una rapina in una farmacia e poi scappa a bordo dello scooter del suo ragazzo, Stefano. La ritroviamo a casa sua in compagnia del padre che si apprende essere stato lasciato anni prima dalla moglie. L’uomo ha cambiato la serratura per impedire alla figlia di mettersi nuovamente nei guai: è a conoscenza sia del suo problema con la droga sia della rapina commessa ed è convinto che Stefano sia in gran parte la causa di tutto. Serena non si vuole arrendere e piange chiedendo le chiavi e promettendo di andare in comunità ma il padre non cede. Lei prende il calmante che lui le dà per attutire i sintomi dell’astinenza; parlano in modo molto schietto e la ragazza dice che ha iniziato con l’eroina prima che sua madre se ne andasse di casa e l’ha fatto per evadere da un mondo che non le piace. Per proteggerla l’uomo la chiude a chiave in came68

ra ma lei riesce a fuggire passando in mezzo all’inferriata sul balcone e approfittando di un camioncino di passaggio lì sotto per scendere. Accortosi della sua fuga, l’uomo telefona alla polizia e la denuncia per rapina. Nel presente invece vediamo Naditza svegliarsi a casa della direttrice che le prepara anche un’abbondante colazione ma ci resta male quando la trova intenta a frugare in una scatola dove aveva radunato i suoi ricordi. La ragazza spiega scusandosi che non aveva nessuna intenzione di rubare ma voleva solo impicciarsi per capire meglio la vita della Vinci. Poi ritroviamo la ragazza nel cortile dell’istituto dove nota suo malgrado che è stata sufficiente la sua assenza di due giorni perché Serena e Gemma si avvicinassero subito a Viola. Ciro chiama Filippo al suo tavolo e gli chiede conferma del fatto che i suoi genitori non si siano accorti di nulla e Filippo mentendo glielo lascia credere. La professoressa Amelia tiene una prima lezione sulla poesia a detenuti e detenute e dice che il vincitore del concorso potrà andare in permesso a Posillipo per la premiazione, poi Teresa la informa che è arrivato il disegno per il mosaico e tutti si spostano in laboratorio. Edoardo approfitta del momento in cui rimane solo con l’insegnante per dirle che i suoi amici spesso si comportano da stupidi e lui vorrebbe sapere come dovrebbe essere scritta la poesia ma si vergogna nel rivelare l’intenzione di mettersi alla prova. Intanto fuori l’educatore Beppe dà indicazioni su come dovrà essere svolto il lavoro: mostra il disegno che verrà riprodotto sul muro con un mosaico, dice che i ragazzi dovranno colorare e cuocere le piastrelle. Teresa aggiunge alcune informazioni tecniche e mentre Beppe accompagna i ragazzi a prendere la cornice una guardia conduce lì le


ragazze. Filippo trova il tempo per dire a Naditza che è stato davvero al grand hotel ma lei reagisce con rabbia, rispondendo che non le importa nulla; lui intuisce che qualcosa non va e poi dice a Carmine della escort inviata da Ciro, che lui ha rifiutato lasciandogli credere il contrario, e di sentirsi sempre più nei guai. Nel frattempo Massimo e la Vinci scambiano qualche parola, lui si dice stupito del fatto che le piacciano i bambini e lei gli dice che sua moglie è una gran bella donna. In quella due amici di Ciro lo provocano con allusioni al meteo e lui tira loro in testa una secchiata d’acqua suscitando l’ilarità generale. Li interrompe Beppe per comunicare che nel pomeriggio è previsto l’arrivo dell’assessore e tutti concordano sull’idea di far suonare Filippo e Naditza. Poi nel laboratorio di ceramica Liz fa consegnare materiali vari e forbici ma Viola in disparte dal gruppo prende un punteruolo e si siede al tavolo di lavoro accanto a Gemma: le propone un gioco pericoloso e glielo mostra, colpendo il tavolo con il punteruolo nello spazio fra un dito e l’altro della mano in modo sempre più veloce. Dato che la ragazza non ha il coraggio le prende una mano e la costringe a provare senza che Gemma si ribelli. Poco dopo Pino vede Ciro nella sua cella intento ad ascoltare musica con delle cuffie; lo interrompe dicendogli che con il bluetooth sarebbero ancora più comode e Ciro non gli dà retta ma quando sente che Pino lo insulta lo butta contro la parete con violenza e lo ferisce; Pino gli dice di ucciderlo e più in collera che spaventato dice di essere uno dei pochi che ha coraggio, aggiungendo che Ciro si è sbagliato sul conto di Filippo. Successivamente nel laboratorio di ceramica Filippo rivela a Carmine che Ciro non sa che lui ha rivelato tutto a suo padre e che l’amico aveva ragione, fingere di stare dalla parte

di Ciro gli procura solo nuovi problemi. Nella sala comune Filippo si esibisce egregiamente davanti a tutti, assessore compreso; anche Naditza lo applaude ma, quando è il suo turno, finge di essere incapace e poi sfoga tutta la sua collera sul piano suonando come un’indemoniata. La direttrice porta immediatamente l’assessore in altre sale per mostrargli altre attività svolte dai ragazzi, e intanto Filippo dice a chiare lettere alla ragazza che non sa cosa le abbiano riferito ma lui non è andato con la escort. Poi a tu per tu con il comandante, la Vinci concorda sul fatto che fra Filippo e Naditza ci sia qualcosa e dice che non necessariamente l’affettività deve costituire un problema; inoltre gli racconta che non può avere figli dopo l’incidente che le ha rovinato la gamba, che è sola e che sta bene così. Si apre un flashback in cui la rivediamo a casa con le stampelle guardare la cameretta destinata a rimanere vuota, poi il distacco da suo marito fino ad arrivare a tradirlo nei bagni di una discoteca e a dirgli di non volerlo più vedere perché è impossibile per lei sopportare il dolore di ciò che sarebbe potuto essere e non sarà più. L’indomani in sala colloqui il fratello di Ciro gli dà uno schiaffo accusandolo di aver fatto fare brutta figura a papà perché quell’auto non è mai arrivata a Milano e dicendogli che, dato che era stato lui a spingere per quest’operazione, adesso la dovrà risolvere. Ezio con il suo avvocato fa firmare delle carte a Carmine e gli fa pressione per eseguire al più presto l’incarico assegnato; Pino chiede denaro a sua mamma e sentendosi dire che non ce n’è se la prende e se ne va. Tempo dopo il ragazzo passa a chiedere in ufficio e da Gennaro scopre di avere mille euro nella cassetta di sicurezza. La cosa lo sorprende ma non si fa doman69

de sulla provenienza e si limita a dire che sua madre gli vuole bene. Ciro, molto sospettoso verso Filippo dopo quanto gli ha detto Pino, si scaraventa contro di lui in cella premendogli le mani sul collo e gli chiede il numero di telefono del padre costringendolo a parlare con lui per capire la verità. Il padre di Filippo, prevedendo questa mossa, mette in scena il piano architettato con la famiglia e dice che la loro auto è stata rubata e che sono dovuti tornare in treno a Milano, mentre nella realtà dei fatti avevano scelto di abbandonarla e darle fuoco, sperando di non mettere nei guai Filippo, ormai consapevoli della gravità della situazione in cui si trova. Ciro dice comunque a Filippo che la cosa non finirà lì. Mentre nel laboratorio di ceramica Edoardo lavora l’argilla e fa leggere a Teresa la poesia che ha provato a scrivere e che lei trova bellissima, Serena va al colloquio con suo padre e viene a sapere che molto probabilmente Stefano sta con una ragazza più grande di lei e in stato interessante. Dice di essersi presa tutte le colpe al posto del fidanzato ma dice al padre che anche lui l’ha tradita e non può più salvarla. Poi va da Viola e le chiede se può procurarle qualcosa ma lei risponde di chiedere alla zingara, in seguito però le procura una dose. Viola continua a esercitare una notevole influenza anche su Gemma che le confida il desiderio di telefonare a Fabio e la consapevolezza che sia sbagliato farlo. Quando Viola la esorta a telefonare lei non ci pensa un attimo di più


e lo chiama. Nella breve telefonata il giovane le dice di amarla, che è tutta colpa sua e lo dirà al processo, che la loro colpa è sempre stata quella di amarsi troppo. A sera i ragazzi sono in cortile. Ciro nota le costose cuffie indossate da Pino e chiede a Gianni se sia stato lui a comprargliele; poi avvicina Pino con fare apparentemente bonario, gli dice che aveva ragione a diffidare di Filippo ma appena sono in un luogo nascosto in fondo alle scale lo picchia con violenza e distrugge le cuffie accusandolo di essersi impadronito del suo denaro. Quel denaro invece è stato messo sul conto di Pino da parte di Carmine nel tentativo di aiutare Filippo, al quale il ragazzo lo rivela davanti al flipper, lontano dagli altri. Filippo gli è grato ma gli dispiace che sia finito nei guai Pino e Carmine risponde soltanto: «siamo in guerra, meglio loro che noi». L’indomani a lezione Edoardo dice alla professoressa di aver scritto una poesia e lei lo convince a leggerla davanti a tutti. Filippo al termine si alza in piedi e inizia ad applaudire e come lui fanno anche tutti gli altri. Poco dopo in cortile Filippo approfitta di un momento in cui sono presenti anche le ragazze per mettere in tasca a Naditza la poesia che ha scritto per lei la sera prima. La ragazza è felice ma non resiste alla tentazione di rifarsi su Viola che le aveva detto che a Filippo non importava nulla di lei: la raggiunge, le legge i primi versi e non accorgendosi che il ragazzo è alle sue spalle le

dice che presto glielo porterà al guinzaglio. Lui, ferito e deluso, si riprende il foglio che gli porta Silvia e se ne va. Successivamente un fattorino consegna della nuova argilla e Lino dice a Carmine di aiutarlo a scaricare. Approfittando del momento in cui rimangono soli in un magazzino, all’improvviso lo sconosciuto minaccia il ragazzo a suon di schiaffi, dicendo di essere stato mandato dai Valletta per un sollecito e esortandolo a sbrigarsi a fare il suo dovere. Filippo li sente e chiede spiegazioni all’amico che disperato rivela la terribile condizione in cui si trova, al bivio fra essere ucciso oppure uccidere Massimo. Filippo gli promette di aiutarlo. EPISODIO 10 - LE FORME DELL’AMORE Gianni cardiotrap, “ventiquattro ore prima dell’arresto”. Gianni ricorda frammenti del passato, della sventurata vita famigliare con un padre violento sempre pronto a prendersela senza ragione con sua madre e con lui. Ricorda di essere stato schernito e umiliato per il suo desiderio di diventare cantante, e di aver cercato lavoro per convincere la madre a liberarsi di quell’uomo che lui era pronto a denunciare. Ricorda che il primo lavoro che aveva trovato grazie all’amico Nicola si era rivelato una profondissima delusione ed era diventato la causa del suo arresto. Nicola infatti gli aveva assegnato l’incarico di fare da palo durante un furto in un appartamento; Gianni però era stato visto dall’anziana proprietaria che, malata di cuore, per lo spavento si era sentita male. Lui aveva cercato di soccorrerla ma Nicola e l’altro complice gliel’avevano impedito. Poi in auto avevano litigato, Gianni era tornato dalla signora che giaceva a terra priva di vita, aveva invano tentato di farle prendere una me70

dicina, e in quel momento erano entrati dei poliziotti e l’avevano trovato inginocchiato vicino a lei. Si torna al presente. Naditza dice a Serena di stare lontana dalla droga e da Viola che può fare solo del male, mentre Gemma le osserva; in cortile Pino dice a Ciro che non vuole fraintendimenti, che lui a differenza di Filippo gli è sempre stato davvero fedele ma Ciro ribatte che il suo difetto è sempre stato quello di parlare troppo e di non saper mantenere i segreti. Pino non ci mette molto a perdere la calma e a definire adulatori e traditori tutti gli amici di Ciro, e uno dei fedelissimi di questo, Tano (‘o pirucchio), si dice già pronto a organizzare una vendetta, che il giovane boss dice che dovrà essere organizzata fuori dall’istituto. Nel frattempo Filippo ha in mente un piano per far evadere Carmine: gli dice di bere tantissima acqua e poi Carmine gli chiede di dargli un pugno in testa ma Filippo non ci riesce, al che Carmine va a sbattere da solo ferendosi la nuca. Filippo chiama immediatamente le guardie e il medico della prigione decide di farlo portare in ospedale per accertamenti. A lezione con la professoressa Amelia, in presenza della direttrice cui vari detenuti rivolgono degli apprezzamenti con insolita educazione, Edoardo viene a sapere che la sua poesia è stata selezionata per il concorso di Posillipo. La professoressa sottolinea la motivazione, ossia che si è trattato di una poesia d’amore, nemico di ogni forma di violenza e prevaricazione, e queste parole vengono ascoltate con profonda attenzione da Gianni. Intanto nel laboratorio di ceramica Naditza è intenta nello spolvero e Filippo, separato da lei da una grata, le si avvicina per dirle di non lasciare la musica e di non trascurare il suo talento. Lei però si mostra piuttosto distaccata e pungente e gli risponde che


la sua vita le va bene così com’è, forse perché ha paura di sperare in qualcosa di diverso che non potrà mai avere. Poco dopo Pino prende in disparte Filippo in fondo alle scale e lo schiaffeggia violentemente accusandolo di averlo messo nei guai. Gianni vede Gemma, nell’aula ormai vuota, telefonare a Fabio e la ferma: le dice che quell’uomo la sta solo prendendo in giro, che quel tipo di amore lui lo conosce molto bene perché ce l’ha davanti agli occhi da quando è nato, che la ragazza ha gli stessi occhi tristi di sua madre. Gemma al momento lo manda via ma poi piange consapevole che il ragazzo ha ragione. In ospedale Carmine fa del suo meglio per cercare di ispezionare l’ambiente alla ricerca di una via di fuga ma non è semplice dato che c’è una guardia costantemente fuori dalla sua camera. Vede porte e finestre sigillate, poi mentre viene accompagnato sulla sedia a rotelle per degli esami, nota che il bagno del personale medico conduce a un passaggio in esterno. Contemporaneamente Serena trova il coraggio per sbarazzarsi della droga e dice a Naditza che suo papà ha agito per il suo bene quando ha fatto sì che finisse lì dentro; Naditza a cuore aperto confida che nessuno si è mai preoccupato per lei, anzi entrambi i suoi genitori sono pronti a venderla per denaro. Il comandante intravede Edoardo appartatosi con Teresa e avverte Filippo che è arrivata sua sorella per un colloquio; il ragazzo gli domanda come stia Carmine e lui risponde che deve fare degli ulteriori esami e poi rientrerà. Ai colloqui Edoardo vede sua madre e sua moglie, entrambe incuriosite dalla sua poesia; lui sminuisce e soprattutto inventa che non potrà andare a Posillipo, perché il suo desiderio sarebbe quello di trascorrere la giornata con Teresa senza di loro.

Mentre Carmine riesce con astuzia a farsi tenere in ospedale ancora un altro giorno in osservazione, nel laboratorio di ceramica le ragazze sono intente a colorare le piastrelle; a un tratto Naditza ottiene dal professore il permesso di andare a fumare e subito viene raggiunta dalle zingare invidiose di lei che la aggrediscono e minacciano di sfregiarla con un coltello. Per fortuna interviene Filippo e le ragazze se ne vanno alla svelta, ma Naditza è ancora diffidente nei suoi confronti, sebbene sorpresa e in cuor suo contenta di vedere che si preoccupa per lei. Fuori dall’istituto la sorella di Filippo fa quanto lui le ha chiesto: si fa raggiungere da Nina, la fa salire a bordo della sua auto e le dà delle cose fra cui un cellulare nuovo, quindi la accompagna in ospedale dove aspetteranno Carmine al pronto soccorso, vicino alla lavanderia. Nella sala comune al pianoforte Naditza suona un impegnativo pezzo di musica classica su richiesta dell’educatore Beppe; Filippo sente dal cortile e li raggiunge, quindi Beppe li esorta a suonare insieme. Una volta che sono rimasti soli, a poco a poco attraverso la musica le emozioni prendono il sopravvento e i due si guardano intensamente, finchè stavolta è Naditza a baciare Filippo. Presto torna l’educatore che li invita a riprendere a suonare e gli attimi successivi sono pervasi da una serenità e da un’allegria che travalicano le sbarre e cancellano i confini della prigione. Terribile invece la scoperta che è costretto a fare Pino: gli amici di Ciro hanno ucciso il suo adorato cane Tyson. Al ragazzo, che vedeva nell’animale la sua unica ragione di vita, non resta che disperarsi. In ospedale scatta il piano: Carmine finge che il bagno della sua camera sia intasato e, insistendo 71

di averne bisogno con urgenza, riesce a ottenere di accedere al bagno del personale medico. Grazie alla finestra si guadagna in poco tempo il passaggio sulle scale all’esterno che scende a precipizio. Quando la guardia e l’infermiere si accorgono della sua fuga, Carmine sta già correndo nei sotterranei verso l’uscita, che finalmente raggiunge e dove sale sull’auto della sorella di Filippo. La direttrice informa Massimo della fuga del ragazzo e il comandante si sente tradito dal giovane in cui aveva riposto maggiore fiducia, lontano dall’immaginare a quale ricatto quest’ultimo fosse stato sottoposto da parte della sua famiglia. Lontano soprattutto dall’immaginare di essere parte di quel ricatto. Quindi interroga Filippo in presenza di Beppe: il ragazzo finge bene di essere ignaro di tutto e indifferente alle vicende degli altri detenuti, ma Massimo dubita della sua sincerità, convinto che Carmine debba essere stato aiutato da qualcuno. Di ritorno nella sua cella, Filippo vede quello che mai avrebbe voluto: Pino impiccato. EPISODIO 11 - FAI LA COSA GIUSTA Filippo, “trentasei ore alla sua condanna a morte”. Carmine, “quarantotto ore all’imbarco”. Filippo riesce a rianimare Pino e subito arrivano Massimo e Beppe a soccorrere quest’ultimo. Carmine insieme a Nina raggiunge al porto la nave a bordo della quale si trova un certo Vincenzo-tre-dita, suo pa-


rente. Il ragazzo gli consegna una lettera e l’uomo offre ospitalità ai due in una cabina vicino alla sua. Naditza sogna di suonare il piano in un luogo elegante e di vedere Filippo in prima fila fra il pubblico sorriderle orgoglioso e portarle dei fiori, poi il brusco risveglio la riporta alla realtà. Il comandante riferisce alla direttrice che Pino dovrà affrontare un percorso di disintossicazione, poi confida a Beppe la sua convinzione che la fuga di Carmine sia in qualche modo collegata ai Valletta. Il fatto che non ci siano state vendette e morti dopo l’uccisione di Nazario infatti può significare soltanto che ci sia stato un accordo fra la famiglia Di Salvo e la famiglia Valletta. Poi, mentre all’interno dell’istituto, in sala mensa, Ciro e i suoi fanno capire a Filippo che sospettano di lui in relazione a più fatti fra cui l’evasione di Carmine, il comandante e la direttrice si mettono a fare ricerche fuori di propria iniziativa. Massimo va a casa dei Di Salvo dove non riesce ad ottenere alcuna informazione, si sente dire da Ezio che non hanno alcuna idea di dove sia il fratello e viene rapidamente messo alla porta dalla madre alla quale il comandante, già fuori dall’appartamento, dice di non scordarsi di essere mamma. Rimasti soli Ezio le dice che è pronto a uccidere Massimo ma lei risolutamente ribatte che deve essere Carmine a farlo. Nel frattempo la direttrice va a casa della madre di Nina che inventa di non avere notizie della figlia dalla sera prima, dicendo che la ragazza le

aveva detto che avrebbe trascorso la notte da un’amica e non aveva più risposto al telefono. La Vinci le lascia un suo recapito telefonico e non manca di avvertirla del fatto che se la ragazza è con Carmine si è resa complice di un’evasione. La madre poco dopo telefona a Nina e la avverte della visita della Vinci; la ragazza inizia a dubitare del piano di fuga ma Carmine la rassicura mostrandosi convinto che sia l’unica via percorribile per sottrarsi a persone spietate. Ciro trascorre l’ora d’aria in cella anziché in cortile e uno dei suoi gli domanda che preoccupazioni abbia; lui sta cercando di mettere insieme i pezzi degli ultimi fatti accaduti e trovare il vero colpevole. A un tratto esclama che la risposta ai dubbi sarà solo nei soldi, ossia nello scoprire chi abbia messo del denaro sul conto di Pino. Solo così saprà chi l’ha tradito. Mentre Massimo dice a Beppe che il magistrato ha dato l’autorizzazione al colloquio ma Valletta si rifiuta di vederlo, Ciro va in ufficio da Gennaro a domandargli quanto c’è sul suo conto e poi quanto c’è sul conto di Pino. La vecchia guardia risponde al suo interrogativo solo per quanto riguarda la sua parte ma non cede e riesce a non farsi strappare il registro di mano per quanto riguardava Pino, rimandando Ciro nella sua cella e dicendo che non si dovrà più preoccupare per Pino che sarà trasferito altrove per la disintossicazione. Successivamente sulla terrazza del carcere Massimo mette alle strette Filippo dicendogli che fuori di lì Carmine è ancora più in pericolo di vita; il ragazzo accenna al fatto che è saltato un accordo coi Valletta ma non rivela di cosa si tratta. La direttrice è pronta a sporgere denuncia e mentre ragiona con Massimo sul da farsi nota la scritta “Marittima flegrea” sulla penna che le era rimasta in tasca dopo essere stata a casa del72

la madre di Nina. I due pensano subito di cercare qualche possibile collegamento fra la compagnia di navigazione e la famiglia di Carmine. Filippo nel frattempo sente Ciro chiedere con il solito tono imperativo a Lino di scoprire chi ha messo il denaro sul conto di Pino, quindi spaventato si reca agli uffici in quell’orario vuoti. Trova Naditza intenta a fare delle pulizie e le chiede di cercare il registro dei conti dei detenuti ma la ragazza non fa in tempo e Lino si impadronisce dell’oggetto, mentre lei riesce solo a vedere di sfuggita la pagina di Pino. Subito Lino va a riferire a Ciro che il bonifico è stato fatto da uno studio di avvocati, “Federico Greg & associati”. Ciro riconosce il nome, si tratta dell’avvocato di Carmine. Va di corsa al colloquio con suo fratello e gli dice che è stato Carmine a far mettere il denaro sul conto di Pino. Il fratello gli domanda come faceva a sapere del denaro nell’auto della famiglia di Filippo e Ciro risponde che solo Filippo può averglielo detto. Con pari collera e volontà vendicativa i due stabiliscono un patto: Ciro ucciderà personalmente Filippo e il fratello penserà a eliminare Carmine. Massimo intanto cerca di trovare quest’ultimo e insieme alla Vinci si reca da un dipendente della “Marittima flegrea” per scoprire su quale nave si possa essere imbarcato. Dopo alcune insistenze vengono a sapere che un certo Giuseppe De Santis, legato alla famiglia Di Salvo, è sotto contratto con quella compagnia marittima ed è partito circa un mese prima per il Pacifico, e che l’unico modo per controllare i nominativi dei passeggeri in partenza è passare per ogni singola compagnia. Mentre la madre e la giovane moglie di Edoardo vengono a sapere da Liz che lui avrà il permesso per andare al concorso di poesia, Naditza scopre che Serena è già andata via senza nemmeno salutarla. Silvia


le dà la lettera scritta dall’amica, in cui la ragazza si scusa per non aver avuto il coraggio di salutarla e le dice che ha paura di affrontare il mondo fuori dove non ci sarà lei a proteggerla, infine aggiunge che magari un giorno andrà a salutarla. Mentre legge queste righe vediamo che Serena, da pochissimo tornata a casa per un periodo di “messa in prova” e apparentemente contenta del fatto che suo papà le aveva già trovato un lavoro pomeridiano al bar, viene trovata da questo priva di vita dopo una probabile - e forse voluta - overdose di eroina. Col favore delle tenebre Carmine scende a terra e si aggira al porto fra i vari containers. Massimo è lì insieme alla direttrice e lo intravede fuggire; lo insegue e lo chiama a gran voce ma il ragazzo non risponde. Guarda il comandante dall’alto, da un mezzo meccanico per il trasporto dei containers, un mezzo che in quel momento potrebbe rivelarsi uno strumento di morte nelle sue mani. Carmine vive la vertigine della scelta e la tensione raggiunge il culmine quando è tentato di fare ciò che la famiglia gli impone e che potrebbe salvare Nina e il suo bambino, ma per fortuna la voce della Vinci che chiama il comandante lo scuote e fa svanire ogni possibile dubbio. L’indomani Gianni vede Gemma telefonare a Fabio e le toglie il telefono di mano buttandolo nel forno; le dice che le vuole bene e lei invece si comporta come sua madre con suo padre, e per la rabbia non si trattiene dal darle qualche schiaffo. In cortile Ciro e i suoi circondano Filippo con aria minacciosa e con dei discorsi vaghi gli fanno capire che sanno come raggiungerlo anche una volta uscito dall’istituto e tornato a Milano, poi fortunatamente arriva Beppe a chiamarlo per le lezioni di musica. Contemporaneamente Carmine chiede a Nina, che aveva accusato dei dolo-

ri, se ha preso le pastiglie e lei che non vorrebbe preoccuparlo deve però dirgli che non si sente bene. Carmine corre subito a chiamare il medico della nave che lo mette in guardia dal mettersi in viaggio in quelle condizioni, dato che per sicurezza sarebbe almeno necessario fare un’ecografia. Nina gli dice di rischiare lo stesso e partire ma lui la porta in ospedale dove la situazione torna tranquilla. Filippo ha da poco iniziato la sua lezione al piano con Naditza quando Gennaro avverte Beppe del litigio fra Gemma e Gianni; l’educatore lascia soli i due per andare a vedere la situazione e a parlare con Gianni. Allora Naditza dice a Filippo che ha visto il registro aperto sulla pagina di Pino e lui, spaventatissimo, dice che è finita, che lo uccideranno. Lei lo prende per mano e lo porta di corsa in un suo posto segreto, una scala del carcere che sale molto in alto, prospiciente il mare e il porto. Lì si confidano le più profonde paure: per lui, quella di morire dentro all’istituto; per lei, quella di perderlo quando lui tornerà in libertà. Gli dice: «Qua dentro siamo più liberi che fuori». Poi si baciano appassionatamente, con una sola certezza in mezzo a mille guai, quella del loro sentimento. EPISODIO 12 - MORIRE PER VIVERE Carmine, “sedici ore prima dell’accoltellamento”. Fuori dall’ospedale dove è ricoverata Nina, Carmine chiama il comandante che prima gli dà uno schiaffo e poi lo abbraccia, quindi gli dice che ha fatto la scelta giusta e lo riaccompagna in auto all’IPM. A Posillipo Liz fa una sorpresa a Edoardo facendogli trovare fra il pubblico la madre e la moglie ma lui ha occhi solo per Teresa; pur non classificandosi al primo posto, il ragazzo ha comunque la soddisfazione degli applausi e approfitta delle interviste, che richiedono 73

l’allontanamento del pubblico, per appartarsi in una terrazza sul mare con Teresa all’insaputa della sua famiglia. L’allegria contagiosa di Edoardo riesce ben presto a vincere le resistenze della ragazza e i due fanno il bagno e poi si abbandonano alla passione, per tornare poi di corsa da Liz che è riuscita a non farli scoprire. Intanto all’istituto la direttrice rimprovera Filippo e Naditza per la loro fuga notturna ma è anche felice nel vederli così uniti; dice alla ragazza che le verranno revocati tutti i permessi di uscita e ricorda a lui che entro pochi giorni avrà l’udienza dal giudice e non sarebbe il caso di aggravare la sua posizione. Quindi vediamo Gennaro accompagnarlo in cella di isolamento. Gemma riceve la visita della sorella Ambra che non la colpevolizza per l’accaduto, per quanto traumatico sia stato e sia ancora, ma che, venuta a sapere che la ragazza si è messa in contatto con Fabio, le dice con grande fermezza che se lo ama ancora lei non si considererà più sua sorella. La direttrice e il comandante fanno sapere a Carmine che Nina è stata messa sotto protezione e sarà ricoverata in una clinica privata sotto falso nome e aggiungono che hanno fatto la stessa richiesta per lui e stanno solo aspettando l’autorizzazione. Quindi Massimo conduce il ragazzo nella cella di Filippo, guarda i due abbracciarsi come veri amici, più che amici, e li rinchiude lì insieme. Carmine consiglia a Filippo di dire tutta la ve-


rità e le vessazioni subite da Ciro, convinto che grazie al denaro della sua famiglia si potrà salvare, ma Filippo risponde che non lo lascerà solo e scherza sul fatto che non gli ha ancora detto cosa significa il soprannome che gli aveva attribuito Ciro, “chiattillo”, scoprendo così che significa “bravo ragazzo”. A sera, Ciro e i suoi vanno ad accogliere Edoardo al suo rientro e gli domandano se sta dalla loro parte contro Filippo e Carmine: Edoardo risponde di sì senza esitazione. Durante la cena scatta il piano di Ciro: la rivolta. Alcuni dei suoi provocano dei detenuti di colore apposta per scatenare una rissa e nella confusione Ciro riesce a impadronirsi delle chiavi per aprire la cella di isolamento. Massimo allerta tutto l’IPM della rivolta in corso, chiama anche la Celere, e fa spegnere le luci in sala mensa dove si trovano ancora quasi tutti i detenuti mentre le detenute osservano con paura e disorientamento quanto sta accadendo dalle finestre della sala comune dove sono state rinchiuse per sicurezza. I più spaventati di tutti sono naturalmente Filippo e Carmine,

consapevoli della ferocia di Ciro; Carmine dice apertamente all’amico che in carcere si fa scoppiare la ribellione quando si vuole uccidere qualcuno. Mentre Ciro prende in ostaggio Lino puntandogli un coltello alla gola e lo trascina con sé per farsi portare alla cella di isolamento, Massimo raduna tutti i poliziotti e assegna incarichi, poi si reca personalmente a prendere Carmine e Filippo. Beppe tenta di far ragionare Edoardo che però non gli dà retta, anzi con atteggiamento arrogante lo prende un po’ in giro, sentendosi il capo della rivolta, orgoglioso che Ciro gli abbia assegnato il compito di tenere sotto controllo la situazione. Beppe con aria sconsolata afferma di aver sbagliato tutto con i ragazzi. Intanto Massimo riesce a portare via di corsa Carmine e Filippo facendo loro attraversare il cortile in esterno e chiudendoli all’interno di un magazzino prima dell’arrivo di Ciro. Trovata la cella vuota, quest’ultimo si aggira fra i corridoi e le stanze al buio. A un tratto la direttrice passa proprio vicino a dove si trova lui e il ragazzo non esita a prenderla in ostaggio, domandandole con aria minacciosa dove sono i suoi due “nemici”. Ciro la porta in sala mensa e Massimo non esita a farsi aprire per tentare di difenderla: i ragazzi lo fanno inginocchiare, alcuni lo scherniscono vedendolo in condizioni di inferiorità. Lui chiede che venga fatta uscire la Vinci promettendo che solo dopo rivelerà dove sono stati nascosti Carmine e Filippo. Ciro non gli dà ascolto e continua a tenere prigioniera anche la donna, allora Massimo dichiara di aver fatto trasferire i due ma Ciro non gli crede e grida che se non gli viene detta la verità è pronto a uccidere la Vinci davanti ai suoi occhi. Trascorrono istanti di altissima tensione e Beppe, temendo il peggio, esclama che Carmine e Filippo 74

sono nel deposito. Lì Carmine prepara in qualche modo l’amico all’idea di doversi difendere e gli mette in mano un oggetto tagliente, mentre il terrore di non uscire vivi da quel luogo attanaglia entrambi. Ciro si dirige speditamente verso il deposito mentre Gianni ed Edoardo osservano con stupore tutto quanto sta accadendo e cominciano a rendersi conto che la rivolta non ha significato né potrà avere una positiva conclusione. Edoardo segue Ciro, lo vede prendere di nuovo in ostaggio Lino, gli dice che i loro piani erano diversi, che volevano prendersi tutta Napoli, e che commettere un omicidio all’interno dell’IPM significa condannarsi al carcere a vita. Ciro ribatte che non può lasciare in vita Carmine e Filippo perché l’hanno screditato agli occhi della sua famiglia, e che la legge che gli ha insegnato suo padre dice che è meglio stare in galera a testa alta piuttosto che essere liberi nella vergogna. Quindi lo obbliga a togliersi di mezzo ferendolo lievemente e attraversa il cortile con Lino in ostaggio mentre suonano le sirene di varie auto della polizia giunte sul posto. Massimo e la direttrice raggiungono Edoardo che sulle prime vuol fare il duro e punta il coltello contro di loro per tenerli a distanza, ma Massimo lo prende di petto e riesce presto a togliergli l’arma di mano. Arrivato all’ingresso del deposito e osservato da Viola che gli sorride e illumina il suo volto con l’accendino, Ciro tramortisce Lino che aveva tentato invano di fermarlo, dicendogli che Filippo e Carmine sono due ragazzi come lui e che lui non è come suo padre. Entra e per un istante Filippo si illude che si tratti del comandante: Ciro si avventa contro di lui, lo picchia, parlano di Pino e Ciro dichiara di non avere amici. Carmine lo attira per aiutare l’amico e Ciro inizia a sferrare colpi in aria col coltello


contro di lui, poi lo butta a terra e sembra avere la meglio quando Filippo, sull’onda dell’istinto, per salvare Carmine lo ferisce profondamente al fianco. Ciro è in fin di vita. Carmine vede Filippo sotto shock e gli dice che diranno che è stata colpa di Carmine, perché per lui stare fuori di prigione è pericoloso mentre Filippo ha la possibilità di salvarsi. Entra Massimo, prende fra le braccia Ciro che in quel momento per lui non è più un giovane boss ma semplicemente un ragazzo come gli altri, inerme e condannato a un destino disperato, e ascolta le sue ultime parole («Dite a mio padre che non ho avuto paura non voglio morire »). Nella scena successiva Massimo fa radunare in cortile, al di là di una rete metallica invalicabile, tutti i detenuti e le detenute. Pronuncia parole di dura condanna contro il codice della mafia, il codice dell’omertà, e vede i loro volti sconvolti quando viene sollevato il lenzuolo che copre il corpo del ragazzo sulla barella e tutti possono constatare che si tratta di Ciro. Hanno perso il loro capo, colui che ai loro occhi appariva quasi immortale, e che adesso giace senza difese sulla barella di un’ambulanza, abbandonato al silenzio di una notte senza ritorno. «Questa strada non porta da nessuna parte», aggiunge Massimo. Poi dà ordine che tutti facciano ritorno nelle loro celle e il cortile rimane vuoto: Beppe in lacrime sente di avere fallito, Massimo guarda rapidamente la direttrice e se ne va via prima che lei abbia il tempo di dire qualunque cosa. L’indomani la direttrice riferisce al comandante che da Poggioreale è stato comunicato che Antonio Valletta è disponibile per un colloquio. Massimo chiede a Beppe e Gennaro di accompagnare Filippo e Carmine, su due auto distinte, in tribunale, impedendo loro di parlarsi prima dell’interrogatorio,

poi va all’appuntamento atteso e temuto. Separati dal vetro Massimo e Antonio si fronteggiano come due guerrieri che stanno concretamente dalla parte opposta della barricata. Massimo, in alta uniforme, dice all’amico di un tempo che gli dispiace per la morte di suo figlio, e Antonio gli risponde che lui è sempre lo stesso mentre è stato Massimo a voltargli le spalle, a tradirlo. Massimo gli dice che è lì per chiedergli di perdonare Carmine Di Salvo per la morte di Nazario, e l’uomo risponde che l’ha già perdonato ma Carmine doveva rendergli un favore che invece non ha fatto. Massimo apprende così la verità: Carmine avrebbe dovuto uccidere lui, perché il suo amico di gioventù è in prigione da vent’anni per colpa sua e perché la morte di un figlio va vendicata, e come sottolinea Valletta tutti i ragazzi dell’IPM in un certo senso sono dei figli per il comandante. Quando Valletta aggiunge che probabilmente Carmine sta già pagando la sua colpa, Massimo capisce che non c’è un minuto da perdere e si precipita con la sua moto a raggiungere le due auto dirette al tribunale. Contemporaneamente Filippo chiede a Beppe di poter parlare con Carmine ma l’uomo dice che non è possibile essendo lui testimone coinvolto nella vicenda, poi quando sono quasi giunti a destinazione Filippo dice apertamente a Beppe incredulo che è stato lui a uccidere Ciro per salvare l’amico. Nel frattempo uno scooter con a bordo due uomini fiancheggia le auto e Massimo ha il tempo per vedere uno di questi sparare contro la macchina che trasporta Carmine, e ha il tempo per fare fuoco contro lo scooter da una distanza però che vanifica il tentativo di fermarlo. Mentre nasce la figlia di Carmine e mentre la direttrice è l’unica persona presente in ospedale fuori dalla sala operatoria, il ragazzo viene così 75

gravemente ferito. Filippo è terrorizzato all’idea di perdere quello che per lui è diventato come un fratello, Massimo tiene il ragazzo fra le braccia cercando con tutta la sua speranza di dargli coraggio. Gli dice di guardarlo, di pensare e Nina e alla bambina, e Carmine risponde che «ora non devono più avere paura, finalmente». Filippo gli grida di non lasciarlo solo. All’interno dell’istituto Naditza studia musica al pianoforte, per la prima volta con degli spartiti; Edoardo in un angolo del cortile prova a scrivere un’altra poesia; Gianni gira con un carrello per svolgere dei servizi ma intanto canta e Gemma gli sorride. Altrove Pino gioca a pallone e c’è un bel cane a fargli compagnia. Forse non è stato tutto vano, forse non tutto è perduto. «Qua dentro siamo più liberi che fuori» dice Naditza) a Filippo, uno dei due protagonisti della serie, ed è paradossale un’affermazione del genere, soprattutto perché pronunciata da una zingara dallo spirito libero e ribelle. Eppure Mare fuori dimostra proprio questo: in molte circostanze un istituto di pena minorile si rivela luogo di formazione in cui ciascuno si ritrova a confronto con se stesso in un tempo immobile, in un tempo altro rispetto alla realtà circostante. Un luogo di crescita con delle dinamiche che si modificano e riformano a seconda dei suoi ospiti, un luogo

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che riesce a diventare contemporaneamente riproduzione in scala della società adulta e sovvertimento dell’ordine costituito, quasi una sorta di “evasione al contrario”. Nell’arco di dodici episodi viene narrata una vicenda corale in cui ogni personaggio maschile e femminile è profondamente legato ad altri e in cui si confrontano il nord e il sud, la Milano dell’agiato Filippo Ferrari e la Napoli della criminalità organizzata alla quale vuole sottrarsi il coprotagonista Carmine Di Salvo e della quale si fa invece orgoglioso esponente l’antagonista Ciro Ricci. Filippo è lo “straniero” che si ritrova a esplorare attraverso i suoi compagni di detenzione una Napoli labirintica, misteriosa, contraddittoria, segnata da logiche di potere difficilmente estirpabili e da conflitti interpersonali fortissimi. La scelta del codice di valori cui aderire impone di schierarsi, non lascia scampo: ha trasformato per esempio l’amicizia di antica data fra il comandante Massimo e il boss Antonio Valletta in un odio senza fine da parte di quest’ultimo verso il primo, con conseguenze che ricadono sul presente dei giovani detenuti. Di contrasti è pieno lo stesso istituto di pena, con guardie che stanno al di qua e al di là della linea della corruzione, con ragazzi dalle storie travagliate e complesse. Accanto alla figura leader di Ciro, che vuole riprodurre in carcere le precise dinamiche della realtà mafiosa cui appartiene aspirando a diventare un capo temuto e ammirato, ci sono infatti giovani che giocano a fare gli adulti (come Pino ed Edoardo),

imitando più gli atteggiamenti che la sostanza di un modo di vivere che in cuor loro disprezzano ma da cui non hanno il coraggio di tirarsi fuori, e ci sono giovani più adulti degli adulti (come Carmine e Gianni), che sono stati posti dagli eventi davanti a un bivio dove era impossibile restare neutrali, che hanno agito per legittima difesa, che hanno visto qualcosa che non dovevano vedere e che li ha segnati per sempre permettendo però loro di scegliere di riporre fiducia nella via del bene. La direttrice del carcere, il comandante Massimo e l’educatore Beppe combattono ogni giorno una battaglia che sembra impari contro il dilagare della delinquenza e contro la convinzione che l’esistenza umana sia regolata solo dalla logica dell’homo homini lupus ben radicata in molte delle famiglie di appartenenza dei detenuti, incapaci di guardare oltre e di modificare il corso delle cose. La serie tv di quando in quando apre degli spaccati sul passato della direttrice e del comandante ma le loro vicende restano a margine del filo principale della narrazione che rende protagonisti i ragazzi e le ragazze, dedicando ciascun episodio al racconto a ritroso della vicenda di uno di loro. Il ritmo del racconto è veloce e riesce spesso a sorprendere nell’abilità di accostare il terribile e il sublime, togliendo il fiato allo spettatore in varie circostanze con la maestria di un thriller. Qualche tocco ironico, disseminato con parsimonia, alleggerisce la tensione di una serie che si assume l’ingrato compito di descrivere una variegata gamma di manifestazioni del male, dall’aperta ferocia alla dominazione perversa alla doppiezza di un linguaggio (spesso dialettale e a tratti un po’ enigmatico) che tradisce proprio quando sembra rendersi più affabile. Le sbarre della prigione non diventano però mai troppo strette per lo spettatore grazie agli ampi 76

flashback girati all’esterno e all’allegria un po’ incosciente che di quando in quando i ragazzi dimostrano, coerente con la spontaneità della loro età. La descrizione della progressiva costruzione di amicizia e alleanza fra Filippo e Carmine è il più significativo punto di forza di Mare fuori: senza idealizzazione ma con realismo scorrono sullo schermo emozioni forti e esempi di lealtà e altruismo, che in qualche misura risplendono della luce antica ed epica di guerrieri di virgiliana memoria come Eurialo e Niso e della gloria cinematografica di Spartaco (Kirk Douglas) e Antonino (Tony Curtis), nell’indimenticabile combattimento dello Spartacus di Stanley Kubrick. Originale infine la struttura della colonna sonora composta da tre ambiti distinti: la musica per pianoforte suonata da Filippo e Naditza (brani classici e rivisitazioni), la musica rap/hip-hop interpretata dal cantautore napoletano Raiz, e l’unione di elementi orchestrali ed elettronici con un coro di voci bianche. La prima è un’ospite inattesa comparsa grazie a Filippo e gradita da tutti i personaggi, la seconda riproduce la loro più naturale quotidianità, e la terza sembra rivestire la funzione del coro della tragedia greca ma in modo del tutto nuovo e singolare. È proprio quest’ultima infatti ad accompagnare le scene dei crimini commessi dai ragazzi, avvenuti per le ragioni più svariate, dalla deliberata intenzione di uccidere all’ira ingovernabile della vendetta alla legittima difesa ad altro ancora. Ed è quest’ultima ad apparire più che mai in contrasto con la violenza, come uno sguardo proveniente da un oltremondo, uno sguardo sull’ineluttabile, dinanzi a cui il giudizio umano rimane perplesso, incerto, sospeso. Senza condanna e senza perdono. Jleana Cervai


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FILM

Film e Serial europei della stagione

La rivista, trimestrale, recensisce i film

italiani ed europei che escono in Italia e le serie televisive, sempre italiane ed europee.

Per ogni produzione riporta cast e credit. Il Ragazzo Selvaggio È uno strumento di lavoro utile per chi

Pubblicato a cura del Centro Studi cinematografica e televisiva nazionale e dell’Europa, rivista di ricerca e Cinematografici è un bimestrale diunacinema, approfondimento per cinefili e studiosi, per televisione e linguaggi multimediali animatori culturalinella e insegnanti. Un storico prezioso per Scuole, scuola con più di trent’anni diarchivio vita. Si rivolge Università e Biblioteche. agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi Dal cuore alla mente! con la fruizione di film (serie televisive, Quaranta film appassionanti (che fanno riflettere) per imparare a parlare di cinema immagini in genere), recensioni di libri, dvd Un viaggio attraverso alcuni grandi film che e proposte veicolate dahanno internet. fatto la storia del Cinema. Dai capolavori del neorealismo italiano ai grandi Il costo dell’abbonamento annuale classici americani del secondo dopoguerra fino è di euro 35.00 ad alcuni film dei giorni d’oggi. Le 43 schede critiche che compongono il Per abbonamenti: Centro Studi volume procedono - come suggerisce il titolo Cinematografici dal cuore alla mente, ossia dall’impatto emotivo che normalmente la visione suscita Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma nello spettatore all’analisi delle tecniche compositive e creative di cui il regista si è Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org Il costo dell’abbonamento annuo è di €26,00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma - Tel/Fax 06.6382605 email: info@cscinema.org Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org www.centrostudicinematografici.it

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147 MAGGIO-GIUGNO 2021

Cinema e mascherine Estate ’85, Maternal Minari, Listen The Father, Crudelia Lasciali parlare Gli indesiderati d’Europa Africano, Bergamo Film Meeting… La finestra sul cortile, Una vita difficile I racconti della luna pallida d’agosto Vite vendute

cinema che in poco più di un secolo è riuscita a fare passi da gigante sia dal punto di vista dei contenuti che della forma. Albatros, Roma 2017 - pp. 460, €20.00 info@gruppoalbatros.com

Il Ragazzo Selvaggio Pubblicato a cura del Centro Studi Cinematografici è un bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola con più di trent’anni di vita. Si rivolge agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi con la fruizione di film (serie televisive, immagini in genere), recensioni di libri, dvd e proposte veicolate da internet. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 35.00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org

Speciale Centenario Cinema e Grande Guerra Il 24 maggio 2015 abbiamo ricordato l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Gli anniversari sono sempre fonte di rivisitazione e di stimolo verso più meditati giudizi su quanto è avvenuto. Lo Speciale propone un saggio e una raccolta di schede che fanno riferimento alla Prima Guerra Mondiale. Pur nella loro diversità tutti gli articoli possiedono un fil rouge che li unisce e che passa attraverso due diverse chiavi interpretative: il rapporto tra Cinema e Storia e il Cinema come elemento che contribuisce esso stesso a creare la Storia. Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org


Giuseppe Gariazzo, Giancarlo Zappoli Gli schermi e l’Islam 400 film

Un libro per conoscere senza pregiudizi i mille volti dell’Islam raccontati tanto dai musulmani quanto dagli occidentali. Scheda 400 film, ognuno comprendente cast e credits, un’ampia sinossi e l’indicazione della distribuzione italiana o estera per la reperibilità delle copie. L’intenzione è, prima di tutto, divulgativa. Il lavoro è stato infatti concepito come strumento utile non solo per gli addetti ai lavori, ma per insegnanti, educatori, associazioni al fine di comprendere in modo chiaro ed essenziale un argomento di estrema e complessa attualità.

Flavio Vergerio (a cura di) L’invisibile nel cinema Falsopiano/Centro Studi Cinematografici Alessandria 2017 pp.206, euro 10.00 Il cinema che produce pensiero non è quello che mostra ma quello che occulta, che suggerisce, che interpella sull’oltre dell’immagine. Il cinema che invita a vedere, fra gli interstizi della narrazione per immagini, nelle ellissi, nei falsi raccordi di montaggio, nel fuori campo, nella sospensione del racconto. Il volume aggiunge voci diverse e diverse sensibilità di studiosi ai non pochi contributi usciti in questi ultimi anni su questo stimolante argomento.

Anno XXVII (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

Centro Studi Cinematografici, Roma 2016 pp. 204, euro 10.00


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