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La donna dello smartphone

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Mare fuori

Mare fuori

to, come ne Il settimo sigillo. Dalla conversazione, però, Mort prende coscienza e capisce di dover tornare a insegnare cinema abbandonando il progetto del romanzo perché non sarà mai ai livelli di Dostoevskij.

Alla fine di questo racconto, Mort chiede all’analista come interpreta ciò che gli ha appena detto.

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DDopo la tempesta mediatica che lo ha travolto, Woody Allen non è più visto di buon occhio dal pubblico e dai distributori degli Stati Uniti. Nonostante tutto, a 85 anni compiuti, non ha abbandonato né la penna né la macchina da presa e ha cercato “appoggio” oltreoceano, in particolare, in questo caso, in Europa.

Rifkin’s Festival (una co-produzione Spagna, USA, Italia) è esattamente quello che si può definire un film “alla Woody Allen”: storie d’amore, tradimenti, situazioni dettate dal caso, forte introspezione; il tutto in una cornice comica e su sfondo urbano. Non siamo a New York (città che lui stesso ha plasmato cinematograficamente) ma ne sentiamo l’eco. Siamo invece a San Sebastiàn, cornice di un festival cinematografico, un luogo altro che crea l’occasione per il protagonista di riflettere sulla sua vita (altro grande tema alleniano) e sulla sua carriera.

L’analitica ricerca interiore, cardine della poetica di Allen, qui viene resa evidente: il film si apre infatti nello studio di uno psicologo in cui Mort, alter-ego del regista interpretato da Wallace Shawn, è in terapia. Questo incipit, oltre a ciò, mette da subito in chiaro anche la natura dell’opera: un lungo racconto successivo ai fatti e, soprattutto, soggettivo (dunque probabilmente mediato dalla memoria).

Se è vero che un regista mette sempre sé stesso in una pellicola, qui Allen, attraverso il suo protagonista, inserisce (con ogni probabilità) anche qualche riferimento alla sua situazione privata: il fatto che Mort inizi a provare dolore al petto dopo aver lasciato New York sembrerebbe riferirsi al quasi-esilio (attuale) del regista dal mercato americano. Dolore che trova poi “consolazione” nella dottoressa Jo, una donna spagnola che, allegoricamente, potrebbe richiamare l’Europa e il suo mercato, dove l’autore ha trovato spazio.

Seppure quella americana sia una piazza più florida, Allen, per bocca di Mort, rifiuta la sua propensione per un cinema ultra-politicizzato col solo scopo di sbancare al botteghino e ricevere apprezzamenti dalla critica (un film può risolvere la disputa israelo-palestinese?). Per questo strizza l’occhio al vecchio continente (forse anche in modo funambolico) e ai suoi maestri che maggiormente rispetto a quelli americani hanno influenzato il suo cinema. Di fatto, attraverso l’inconscio di Mort, Allen cuce un ode ai classici della settima arte e ne ripropone le scene più iconiche deformate dalla sua personale lente comica, ma lasciandone invariati i grandi temi (quelli che lui stesso giudica davvero importanti, al contrario della politica) da questi recuperati.

Quarto Potere, 8 1/2, Jules et Jim, Un uomo, una donna, Fino all’ultimo respiro, Persona, Il posto delle fragole, L’angelo sterminatore e Il settimo sigillo, ognuno a rievocare un sentimento che merita di essere sviscerato. Allen si mostra in debito con queste pellicole: tutte quelle domande che da sempre rincorre e che caratterizzano la sua filmografia erano state già poste (magari sotto una luce diversa). Ciò che restava da fare era renderlo evidente, così come Mort che, a seguito di una partita a scacchi con la morte (stranamente interessata alla vita e dispensatrice di consigli su una sana dieta), prende coscienza della sua insignificanza nei confronti dei giganti della letteratura ai quali, con poca umiltà, tendeva ad affiancarsi: Mort come Sisifo, il romanzo come la sua fatica.

Un’opera superficialmente e apparentemente esile che però si configura come una sorta di film-testamento (o film-confessione) in cui le parole di Mort al suo analista corrispondono a quelle di Allen verso il suo pubblico (meccanismo palesato attraverso la soggettiva-oggettiva finale). Una seduta collettiva che non poteva che concludersi con un ulteriore interrogativo: “Ha (avete) niente da dirmi dopo quello che le (vi) ho raccontato?”

Giallorenzo Di Matteo

di Fabio Del Greco

Origine: Italia, 2020 Produzione: Fabio Del Greco Regia: Fabio Del Greco Soggetto e Sceneggiatura: Fabio Del Greco Interpreti: Chiara Pavoni (Miltred), Silvana Porreca (Silvana), Maria Grazia Casagrande (Colleague), Hanad Sheik (William) Durata: 87’ Distribuzione: Monitore Film Uscita: 5 marzo 2020

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Un vecchio vedovo ansima a letto, scrive una lettera di proprio pugno in uno studio. È nostalgico e tormentato. È tarda sera, esce di casa accompagnato dal malessere, per le vie di Roma. Vicino ad un ponte, che guarda con troppo interesse, trova uno smartphone. È di una donna. Torna a casa, controlla il contenuto del dispositivo. Passa in rassegna foto e video. La stessa donna dello smartphone riprende scene di violenza su un vagone della metropolitana,

seguite da immagini di paese, forse il suo, una scampagnata. Poi arriva in città, a Roma, con un pullman, mangia in osteria, scene all’apparenza riprese spontaneamente con un cellulare. Assiste alla ricostruzione di una scena militare dell’antica Roma al Circo Massimo.

La vita della donna prosegue con una passeggiata in un paese di mare, che si scoprirà essere Ostia, dove la donna - un’insegnante di scuola elementare - intervista qualche abitante del luogo. Silvana prende ruolo nella nuova scuola in cui è trasferita, tra giochi con i bambini e consigli di classe, inizia a litigare con alcuni colleghi, parla con una macchina da presa, si scoprirà successivamente diretta dal fidanzato, che appare in scena mentre la donna chiama i carabinieri per denunciare i soprusi subiti dalla collega. Silvana, il nome della nostra eroina, dorme male, tormentata dall’ansia. Cammina per un bosco, una pineta, finché non trova dei legionari - è un sogno. In una casa color pastello innaffia le piante, poi va al mare. Una tizia avanti con gli anni e volgarotta si fa fotografare in pose provocanti da un fotografo anglofono. Finito il triste rituale del set fotografico, la modella chiama la nostra protagonista per uscire, cosa che avviene, sul lungomare. Parlano di Fabio, il fidanzato di Silvana; l’amica arzilla invita la nostra ad una chat per fare sesso con uomini ricchi. Continua la serata, le amiche sono alla Festa del Cinema di Roma, parlano con un artista ciarlatano, che si rivela essere un gigolò, l’accompagnatore di una donna anziana e ricca. Una successione di eventi: l’uscita da una proiezione di un film, il bar dell’auditorium; nel frattempo il casanova da strapazzo sembra ubriaco, espansivo, ciarliero - è ripreso dallo smartphone della donna.

È ormai notte fonda, il movimento nei luoghi del festival finisce e i tre, maliziosi, si infilano dentro un hotel elegante. Il gigolò si addormenta, sbronzo. Ed ecco una festa, l’inaugurazione di una mostra, altro giro per locali, happening queer, poi una festa con lo stesso gruppo di marginali. Arriva la mattina - è lo stesso giorno? - le due amiche sono sempre in giro, infine alla presentazione di una manifestazione nei luoghi del roseto della Domus Augustea: Silvana lì conosce il figlio del Ministro della Pubblica Istruzione. Il furbo la invita a casa del padre; entrano ma il ministro, senza mostrarsi, non li accoglie. Il figlio però porta la sprovveduta in un salottino e le fa delle avances, che lei rifiuta. Lui si agita, beve, si taglia con il bicchiere. Lei, andando via di fretta, vede il ministro fumare, da solo.

Continua la rassegna dei video del cellulare ritrovato da parte dell’anziano.

La situazione di scontro di Silvana con la collega ostile continua, lei si lamenta con il fidanzato dell’ansia che l’assale, delle vessazioni al lavoro, non ce la fa più. Il fidanzato prepara un piano misterioso che ha come ingrediente l’arsenico. Prende la macchina, è davanti ad una villetta, da cui esce un piccolo fuoristrada, che lui decide di seguire. Alla guida la collega odiata da Silvana. La donna si è fermata a fare esercizi con degli strumenti disposti lì, in mezzo alla pineta. Anche lui si esercita, per dissimulare il pedinamento.

Silvana fa la spesa e poi, al ritorno in macchina, chiama una collega per chiedere come fare un trasferimento. Va davanti alla scuola suggerita dall’amica per la nuova collocazione, che pare però molto degradata. Un ragazzo, William, incontra sul lungomare due altri tizi; Silvana prega poco lontano da lì. Poi appare William davanti a lei, i due discutono. Lei continua a filmare scene di Ostia con lo smartphone, musica sulle panchine, nei parchi.

Alla TV danno immagini di sommosse cittadine. Silvana passeggia sul lungomare, poi va a mangiare con William in un’osteria. Sono accompagnati da altri beoni, tutti eccitati, fumano mariJoana. William viene chiamato da un amico, deve andare subito: si scopre che deve ai due tizi del denaro per della droga. Lo minacciano con una pistola.

Silvana visita una chiesa diroccata. Sente delle voci, compresa la sua, che parlano del disfacimento del suo paese. In un appartamento, quello di Silvana, squilla un telefono: lei dorme e non risponde. Un funerale, quello della mamma di Silvana. Fanno visita al cimitero, poi di nuovo in chiesa. Silvana è di nuovo a casa, legge un biglietto della mamma scritto per il suo diciottesimo compleanno.

Una strada araba vuota, Silvana ci cammina sopra, è Istanbul. Moschee, monaci sufi, dervisci.

Una fiaccolata dentro una chiesa. Silvana è da sola a Piazza Navona, di notte. Un tizio le offre un abbraccio, lei lo accetta. Lui le recita una poesia.

È giorno, una festa di simil eleganza cafona in cui danza l’amica vista all’inizio del film. Silvana è sempre sola, va via, non risponde alla telefonata dell’amica che non l’ha trovata. Silvana il giorno dopo è sulla spiaggia, vede un legionario che la insegue, scappa. Ora il fidanzato è in un bagno, ha del veleno che mette dentro uno

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