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Una intima convinzione

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Mare fuori

Mare fuori

stitasi da curatrice del museo, lo aveva interrogato su suo figlio.

Passata la notte, Kip perde la testa dopo aver scoperto che Ötzi sta tornando a essere una mummia, così si allontana condannando tutti alla cattura da parte di Gelica che li porta nel suo covo e li immobilizza. Qui il bambino racconta tutto alla strega che si farà immediatamente accompagnare da Ötzi nella caverna.

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Lasciati incustoditi, i bambini riescono a slegarsi e, complice la contemporanea retata della polizia (che ha scoperto la posizione del covo grazie alle mappe trovate al quartier generale), a salvarsi.

Ma Kip deve salvare anche Ötzi. Insieme al padre si recano nei pressi della caverna magica e riescono a intercettare la strega. Kip usa i suoi poteri per liberare Ötzi che si scontra a colpi di magia contro Gelica, riuscendo a sconfiggerla.

Nel finale, Kip è sottoposto a un rito di iniziazione nella caverna magica che fa riaffiorare in lui il ricordo della madre e lo rende sciamano a tutti gli effetti. Concluso il rito Ötzi è costretto ad abbandonarli perché il suo tempo sta per finire. Ma ormai Kip è perfettamente in grado di controllare il tempo, anche per evitare ritardi a scuola. V Volto noto del teatro, Gabriele Pignotta torna a dedicarsi alla regia cinematografica con questo piccolo gioiellino, premiato come miglior film nella categoria +6 al Giffoni Film Festival 2018.

Ötzi e il mistero del tempo si inserisce alla perfezione nel filone del film per ragazzi e fa egregiamente il suo dovere: mostrare la - se non educare alla - ‘magia’ della Storia, dell’archeologia e dell’antropologia a un pubblico che è sempre troppo poco sensibilizzato a queste tematiche.

Nell’ottica del target di riferimento, la narrazione (con sceneggiatura firmata da Carlo Longo, Davide Orsini e Giacomo Martelli) è semplice e standardizzata in modo da essere facilmente riconoscibile dai più piccoli, che possono godere di una storia fatta di amicizia, lotta contro il male (egoistico e fine a se stesso) e fantasia. Infatti il film sfrutta appieno il connubio tra realtà (la vicenda famosa in tutta Europa di quest’uomo proveniente dall’Età del rame, mummificato tra i ghiacci delle Alpi) e fantasia (il suo ritorno in vita e l’utilizzo di poteri ultraterreni) come metafora magica di un reale fantastico, ricco di cose da scoprire e con un passato da esplorare. Passato che, con una buona dose di immaginazione, risulta attraente non solo per gli adulti.

Anche gli spazi museali ne escono a testa alta. Il museo non è un semplice luogo austero e polveroso, ma ambiente in cui provare nuove sensazioni e nuove - seppur legate al passato - esperienze. Ambiente nel quale ogni artefatto, ogni pezzo, ha una propria storia che diventa presente nella mente delle persone (qui è piuttosto evidente l’eredità lasciata dalla saga Una notte al museo).

Magia che è colonna portante di tutta la messinscena e che è rappresentata con effetti speciali degni di nota dato il budget inevitabilmente contenuto.

A fare da cornice un cast internazionale nel quale, tra tutti, spiccano il protagonista Kip interpretato da Diego Delpiano, giovanissimo che ha già collezionato numerose esperienze di set, che mostra di avere un ottimo potenziale e Alessandra Mastronardi nei panni del villain, la strega Gelica, un personaggio pressoché piatto ma che riesce a incutere timore agli occhi di chi guarda.

Seppur non privo di difetti (che spesso passano in secondo piano) il film è sicuramente da lodare sia per la realizzazione che per gli intenti.

Giallorenzo Di Matteo

IIl 27 febbraio 2000 Suzanne Viguier, madre di tre figli, scompare improvvisamente senza lasciare traccia. Subito Jacques Viguier, suo marito, viene sospettato di averla uccisa. Nove anni dopo, compare davanti alla corte d’assise e viene assolto dall’accusa di omicidio.

Ma per Jacques non è finita: ci sarà un altro processo nel 2010 perché il PM della corte d’appello di Tolosa presenta ricorso.

Nora, madre di Félix e di professione chef, che conosce Viguier perché la figlia dà ripetizioni a suo figlio, prende a cuore la causa e va a cercare l’avvocato Dupont-Moretti. La donna chiede al legale di occuparsi del caso Viguier in appello ad Albi. Di fronte alla riluttanza dell’uomo, la donna insiste

di Antoine Raimbault

Origine: Francia, 2019 Produzione: Caroline Adrian Regia: Antoine Raimbault Soggetto e Sceneggiatura: Karim Dridi, Isabelle Lazard Interpreti: Marina Foïs (Nora), Olivier Gourmet (Maître Eric Dupond-Moretti), Laurent Lucas (Jacques Viguier), Philippe Uchan (Olivier Durandet), Jean Benguigui Durata: 110’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 30 luglio 2020

dicendo che non è neanche sicuro che Suzanne Viguier sia morta: non c’è un cadavere, non ci sono prove e neppure un movente. Lei gli vuole dare un dossier in cui è analizzata ogni singola parola del processo; è convinta che si tratti di un errore giudiziario. L’avvocato non ne vuole sapere. Qualche giorno dopo Dupont-Moretti convoca Nora per un incontro a Bordeaux. Lei racconta all’avvocato che la figlia di Viguier, Clémence, insegna matematica a suo figlio. Il legale le dice che il presidente della corte di Albi, Richiardi, gli ha fornito 250 ore di registrazioni telefoniche. L’avvocato le chiede di ascoltarle e annotare le cose interessanti. Ci sono anche le telefonate della donna con l’amante, Olivier Durandet. Quest’ultimo è convinto della colpevolezza di Viguier. Nora inizia ad ascoltare le registrazioni e si rende conto che Durandet aveva costruito un vero impianto accusatorio trovando fin troppi testimoni senza prove.

Il processo d’appello inizia in salita. Il giudice Richiardi chiede a Viguier perché abbia aspettato dieci giorni prima di dire ad amici e colleghi che la moglie era scomparsa. L’avvocato non è soddisfatto del lavoro di Nora, ha bisogno che lei trovi nelle registrazioni qualcosa di grosso. Se Durandet dovesse parlare, sarebbero sconfitti. Nora si rimette al lavoro. Poco dopo, Dupont Moretti viene a sapere che Nora era una dei giurati del precedente processo di Tolosa. L’uomo si arrabbia e le dice di dimenticarsi di lui. Alla ripresa del processo la testimonianza di Viguier sulla mattina in cui la donna era scomparsa è confusa e contraddittoria. Intanto Nora continua a esaminare possibili indizi. Riferisce all’avvocato che Durandet, la mattina successiva alla notte della scomparsa di Suzie, si era affrettato a convincere tutti che la donna era rientrata a casa quella notte. Nora si precipita da Dupont- Moretti e gli dice che Durandet si è tradito con la babysitter. Quest’ultima viene chiamata a deporre al processo ed emergono delle falle nella sua deposizione, Durandet era entrato nella casa dei Viguier con lei. L’avvocato le chiede se abbia mai pensato che le sue dichiarazioni potessero danneggiare il signor Viguier e che quell’uomo potrebbe essere condannato. Quelle dichiarazioni potrebbero privare i tre figli del loro padre. La donna crolla e ammette di aver nascosto dei dettagli importanti. Durante l’interruzione del processo, inizia a circolare la notizia che la deposizione della babysitter ha instillato dubbi nei giurati. Il processo riprende con l’interrogatorio del commissario di polizia che indagò sul caso. Ma una svolta alle indagini di Nora la dà la decoratrice di Suzie Viguier. La donna sostiene che la signora sia stata uccisa dall’amante Durandet e che si tratti quindi di un delitto passionale. Durandet viene interrogato. Mentre Nora cerca indizi validi per la difesa, si distrae perché riceve una telefonata dal figlio e viene investita. Se la cava con nulla di grave e torna dall’avvocato. In tribunale la pubblica accusa fa il suo discorso mentre Nora va a trovare nuovamente la decoratrice che le riferisce la sua convinzione che Durandet abbia ucciso Suzie e abbia voluto incastrare il marito. La donna e il suo amante dovevano mettersi in affari insieme, il movente sarebbero dunque i soldi. Ma l’avvocato respinge queste ipotesi perché non ci sono prove. Il giorno del verdetto l’avvocato si appella alla giuria: se un giurato condanna in totale assenza di prove, avrà giudicato ma non avrà reso giustizia. Vigiuer prende la parola e chiede alla giuria di rendergli la sua dignità di uomo. La giuria si ritira e rientra per il verdetto di non colpevolezza. La morte di Suzanne Viguier non è mai stata confermata.

ÈÈ doveroso iniziare con un dato impressionante, riportato in chiusura nel film: in Francia più di 40.000 persone scompaiono ogni anno; di queste, 10.000 non vengono considerate.

La vicenda raccontata dal film diretto da Antoine Raimbault (qui al suo primo lungometraggio) è ispirata a una storia vera, il caso 3436 che divise la Francia e diventò un fenomeno mediatico, cui sono stati aggiunti numerosi elementi di fantasia: in primis, la figura di Nora e la sua “intima convinzione”.

Una decina di anni fa Jacques Viguier, professore di diritto a Tolosa appassionato cinefilo, fu assolto dall’accusa di aver ucciso la moglie Suzanne, scomparsa all’improvviso senza lasciare traccia lasciando marito e tre figli. La signora non fu più ritrovata. L’amante della donna si impegnò a far ricadere tutti i sospetti sul marito. Il film inizia quando l’accusa ricorre in appello a questa sentenza, aprendo di fatto un nuovo processo. Dieci anni dopo i fatti, l’imputato ritorna davanti a un giudice. Una donna coraggiosa e determinata, Nora, che scopriremo essere stata giurata nel primo processo, è convinta dell’innocenza dell’uomo e fa di tutto affinché il principe del foro Dupont-Moretti assuma la difesa nel processo d’appello.

L’intera vicenda viene mostrata attraverso gli occhi di Nora, a lei l’avvocato affida una mole di registrazioni telefoniche da esaminare minuziosamente al fine di trovare

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