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Il grande passo

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Mare fuori

Mare fuori

UUn road movie atipico, per meglio dire un falso road movie. Perché Guida romantica a posti perduti ha solo la cornice del viaggio ma non l’anima.

La chiesa abbandonata di San Vittorino, la città fabbrica di Crespi d’Adda, un parco acquatico in disuso, il castello di Chateau-Thierry, la città fatiscente di Standford: sono i luoghi attraversati da due anime in pena (una blogger di viaggi che non viaggia e un giornalista alcolizzato perso) piuttosto distrattamente.

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Il road movie sembra essere solo il pretesto per altro in questo terzo lungometraggio diretto da Giorgia Farina (dopo Amiche da morire e Ho ucciso Napoleone). Ma per cos’altro? Forse per cercare il senso di vite difettose, fallate, fragili o addirittura autodistruttive. Quelle dei due protagonisti sono due esistenze che camminano con difficoltà su una fune sottile, il loro è un barcollare, come quello di Benno perennemente ubriaco.

La cosa che la regista fa funzionare meglio è la corrispondenza tra i posti perduti e le due vite allo sbando. E questo vagabondare straniato in posti desolati, lasciati all’incuria e allo scorrere del tempo, ha il suo fascino. I luoghi abbandonati sono in effetti una scelta indovinata e in alcuni casi possono esserci interessanti rimandi. La prima tappa è forse la più rivelatrice: la chiesa di San Vittorino, nota anche come “la chiesa sommersa” o “la chiesa che sprofonda” il cui interno è allagato da una sorgente sotterranea che sgorga dal pavimento. La “chiesa nell’acqua” è un luogo evocativo per i due viaggiatori: due anime che sprofondano sempre di più, inondate da qualcosa di più forte e circondate dalle macerie delle loro vite.

Un uomo perennemente intossicato e una viaggiatrice virtuale e bugiarda sembrano trovare uno strano incastro tra scontri e riavvicinamenti, perché, in fondo, forse ognuno ha bisogno dell’altro. Il loro viaggio li porterà dall’Italia al Regno Unito, il luogo di origine di Benno dove l’uomo ritroverà la sua vecchia casa e le sue radici. E lì la loro strana unione troverà sfogo in un ballo liberatorio, scomposto e disarticolato sulle note del brano “Pretty Vacant” dei Sex Pistols. Perché bisogna continuare a vivere e non soccombere alla paura e all’angoscia.

Ma in questa Guida romantica a posti perduti non c’è nulla di romantico: c’è semmai posto solo per tenerezza e piccole fragilità che tengono vicini i due protagonisti.

I due interpreti, Clive Owen e Jasmine Trinca, sono i primi a non essere troppo convinti del loro spaesamento: parlano due lingue diverse (per davvero, il film è recitato in inglese e in italiano), una incarna la voce narrante, l’altro barcolla offuscato. Si tenta di creare un’atmosfera sospesa e poetica ma la narrazione ha un incedere stanco e confuso come i due protagonisti.

Restano solo alcuni luoghi poco conosciuti, certamente belli e dalle atmosfere stranianti, e un finale aperto sulla speranza di un domani diverso.

elena Bartoni

di Antonio Padovan

MMario, umile ferramenta romano, riceve una telefonata da un certo avvocato Piovesan, che lo incita a raggiungere Quattrotronchi, nel nord Italia, dal momento che il fratellastro Dario è stato denunciato per aver incendiato il campo del vicino; abbandonato anche lui dal loro padre, Dario non ha nessuno che si possa occupare di lui, di conseguenza il comune ha disposto un TSO presso l’istituto Bruscolotti. Per evitare la reclusione del fratello, Mario contatta Svetlana, una badante russa che, però, viene intimidita da Dario tanto da fuggire, costringendo il protagonista a rimanere, dato che il genitore non intende prendersi cura di lui neanche in una situazione del genere, sebbene Dario creda che si trovi in America.

Mario si rende conto della precaria salute mentale del fratello, costantemente rinchiuso nel suo capanno a lavorare a un progetto segreto, convinto che delle spie americane lo stiano pedinando. Nel

Origine: Italia, 2019 Produzione: Ipotesi Cinema, Stemal Entertainment, Rai Cinema Regia: Antonio Padovan Soggetto e Sceneggiatura: Antonio Padovan, Marco Pettenello Interpreti: Giuseppe Battiston (Mario), Stefano Fresi (Dario), Camilla Filippi (Carlotta), Flavio Bucci (Umberto Cavalieri), Roberto Citran (Avvocato Piovesan), Teco Celio (Adamo), Vitaliano Trevisan (Tipo strano), Ludovica Modugno (Teresa), Teresa De Santis (Direttrice Clinica) Durata: 96’ Distribuzione: Tucker Film Parthenos Uscita: 20 agosto 2020

ricordare l’unico giorno in cui i due si conobbero da bambini, durante un compleanno del padre in cui quest’ultimo non si presentò, Mario comprende che il fratello continua a negare a se stesso la verità sul genitore, giustificandolo per le sue azioni. Dario gli confida che, da più di trent’anni, sta costruendo nel capannone un razzo capace di sfruttare la nebbia per generare energia sufficiente per avventurarsi nello spazio e raggiungere la luna, passione nata nel giorno dell’allunaggio del 1969, guardato in televisione in compagnia del padre, che lo stimolò a non smettere mai di sognare. Per un errore di calcolo, quando ha tentato di partire, il razzo ha ceduto e ha bruciato il campo del vicino.

Su richiesta di Mario, Piovesan convince il suo cliente, il marito di Carlotta, unica amica di Dario, a ritirare la denuncia solo se egli si discolperà per l’incendio; dopo essersi scusato, Dario va su tutte le furie quando l’uomo appare saccente nei confronti di Carlotta, per cui gli distrugge il finestrino della macchina per poi fuggire. In paese, Dario ha una rissa al bar quando un cliente nega la veridicità dell’allunaggio di Armstrong e dà del fallito al protagonista per aver rinunciato ai suoi studi di ingegneria aerospaziale. Stufo del carattere burrascoso del fratello, Mario cerca di farlo ragionare sulla possibilità di un arresto definitivo e lo spinge ad affrontare la realtà, portandolo dal padre a Vercelli. Come prevedibile, il genitore si dimostra disinteressato nei loro confronti, cosicché, distrutto, Dario abbandona il suo progetto e chiede di essere ricoverato al Bruscolotti ma, mentre sta per firmare il certificato di ricovero, di fronte alla derisione di Piovesan che lo paragona al padre, torna ai suoi intenti di fuggire nuovamente sulla luna, per cui viene internato con la forza.

Mario sta per tornare a Roma quando l’istituto lo contatta per comunicargli che Dario è fuggito. L’uomo, armato, si è barricato nel capanno, circondato dalla polizia; Mario riesce a raggiungerlo, per cui il fratello gli chiede di indossare la muta spaziale per uscire e distrarre gli agenti, mentre lui si appresta al lancio. Mentre i poliziotti inseguono Mario, scambiandolo per Dario, quest’ultimo riesce a partire per lo spazio, mentre i compaesani osservano stupefatti, comprese le presunte spie che, nascoste tra la folla, documentano il tutto.

PPresentato alla trentasettesima edizione del Torino Film Festival e vincitore del premio alla miglior interpretazione maschile, assegnato a Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, Il grande passo è una commedia che ricalca un certo atteggiamento di riscoperta del fantastico, innestato su scenari e immaginari tipicamente italiani, in cui si dipana un racconto che, però, pecca di un certo lassismo creativo tipico di molte commedie italiane contemporanee, conchiuse all’interno di stereotipi piuttosto granitici. A un’assenza di originalità di fondo, che non fa altro che riproporre la classica intercessione provvidenziale nei confronti di un familiare sconosciuto ma accomunato dalla medesima infanzia fatta di abbandoni da parte di una figura genitoriale irresponsabile, si affianca la difficoltà di prendere le distanze da una certa retorica del “non smettere mai di credere nei propri sogni”; ormai leitmotiv piuttosto mainstream, tale formula risulta incapace di distinguere un progetto che non è in grado da sé di trascendere l’anonimato per una propria marca distintiva, narrativa ed estetica.

La scelta ricade ovviamente sull’accentuazione artefatta di una retorica del pietismo come motore alla base del percorso del protagonista, deciso a prendersi cura del fratello grazie all’artificiosa visione di un padre intento a fare i compiti con suo figlio in un bar, accentuata da una leziosa musica empatica, sintomatica di un racconto che non solo rende i suoi personaggi poco credibili, ma forza in maniera macchinosa le loro azioni verso una vicinanza piuttosto attendibile e melensa, esternata dalla risatina finale di Fresi, ricalcata su quella infantile di Battiston, segnale moraleggiante di una riuscita, per quanto scontata, alleanza tra i due.

In un film sull’importanza dell’immaginazione, l’eccessivo didascalismo - che fa della Terra un mero magnete che impedisce le fantasticherie del soggetto - dovrebbe lasciare il posto a un coraggio di fantasticare maturo e creativo, alla stregua di una pellicola italiana poco nota come Guarda in alto di Fulvio Risuleo, capace di sfruttare notevolmente i limiti della propria produzione per rompere con una visione standardizzata e permettere al fanciullino pascoliniano di meravigliarsi dell’ordinario e accogliere il fantastico, ritornando alle radici stesse del cinema e delle sue attrazioni. A mancare nel film di Padovan è proprio l’audacia di questo sguardo immaginifico, ripiegandosi su un sistema ben congegnato che promuove un fantasticare dilettantesco, più alla ricerca del facile (e furbo) appiglio con il pubblico che allo scardinamento delle logiche stesse di quella realtà che tanto assalta teoricamente per poi riconfermare praticamente.

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