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Vulnerabili

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Mare fuori

Mare fuori

qualche elemento utile a dimostrare l’innocenza dell’imputato.

Una intima convinzione è un ‘legal drama’ particolare, teso e asciutto da una parte, intimamente coinvolgente dall’altra. Raimbault si appropria di un caso noto all’opinione pubblica francese e lo rielabora componendo un’opera arricchita di richiami cinefili (Hitchcock in primo luogo, con capolavori come La signora scompare e Il ladro). Un vero lavoro di cesello è stato fatto per le psicologie dei personaggi: Nora, chef e mamma, la cui ‘intima convinzione’ porterà a trascurare il lavoro, il figlio e l’amante solo per seguire un caso che rischia di trasformarsi in ossessione, l’avvocato di grido Dupont-Moretti severo e ruvido, l’imputato Viguier silenzioso per quasi tutto il film (le sue poche parole pronunciate nell’appello finale alla giuria sono però come pietre che spiazzano per misura e incisività).

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Il vero punto di forza del film sta in quel titolo, Una intima convinzione, un concetto che in Italia è “il libero convincimento del giudice”. Nella pellicola di Raimbault si fa leva sul fatto che la passione umana delle persone, il senso di giustizia, l’intima convinzione sia insomma una leva importante che conduce verso una giustizia più vera. Sono proprio i singoli giurati che devono arrivare a quella convinzione di colpevolezza o innocenza che si traduce poi in giudizio. Come dice l’avvocato nella sua arringa finale “la giustizia è prima di tutto una decisione individuale prima di essere una decisione collettiva”. In tribunale si cerca non una verità assoluta ma una possibile verità che deve diventare poi quella approvata dalla collettività. Nora è convinta sostenitrice della ‘intima convinzione’ che dovrebbe guidare il giudizio, per questo scandaglia, ascolta e riascolta le intercettazioni telefoniche, cerca di analizzare ogni sfumatura delle voci.

Più che un thriller o ‘legal drama’, il film segue un percorso non sempre lineare e accidentato verso la ricerca della verità. E proprio con l’affascinante tema della ricerca della verità il cinema ha giocato più volte, questa volta aggiungendo un capitolo nuovo. Mettendo insieme tante piccole tessere di un mosaico, il film poggia su una buona scrittura e un buon ritmo, tenuto insieme dalle eccellenti prove degli interpreti. Primi fra tutti Marina Foïs misurata e allo stesso tempo appassionata nei difficili panni di Nora e Olivier Gourmet che nel ruolo dell’avvocato Dupont- Moretti strappa gli applausi. Raimbault dirige con mano abile e reinventa un genere innestando degli elementi di novità che fanno del film uno dei prodotti più originali e riusciti dell’ultimo disastrato anno al cinema.

Al di là del verdetto finale della giuria, rimane infine un uomo solo con i suoi tre figli e la scomparsa di una donna alla quale nessuno davvero sa dare risposta. Resta una di quelle 40.000 persone scomparse in Francia ogni anno, restano tante persone che hanno perso un marito, una moglie, una sorella, un figlio. Una città invisibile che cresce incessantemente e condanna all’attesa migliaia di famiglie.

elena Bartoni

DDurante la prima notte di nozze, Tomasz è più interessato a prendersi gioco della moglie Joséphine, consapevole dell’astio dei suoceri nei suoi confronti e sospettoso che la donna sia in contatto con il suo ex.

Un anno dopo, la giovane Mélanie aspetta un figlio dal suo insegnante Yann, che sta per sposare nonostante sia molto più grande di suo padre Vincent, incapace di accettare il suo futuro genero. Nel frattempo, Joséphine ha tagliato i rapporti con suo padre Joseph e sua madre Edith a causa di Tomasz. Intanto, il giovane Anthony è costretto a interrompere la sua tesi per prendersi cura di sua madre, ricoverata in una clinica psichiatrica dopo l’abbandono del marito, fuggito con una ragazza più giovane.

Venuti a conoscenza degli abusi subiti da Joséphine, Edith e Joseph denunciano il genero, ma la polizia non può intervenire senza la conferma delle violenze da parte della giovane. Nonostante la ragazza gli chieda di non immischiarsi, Joseph comunica a Tomasz di essere a conoscenza degli abusi ma il ragazzo promette di smettere, per poi tornare a

di Gilles Bourdos

Origine: Francia, Belgio, 2017 Produzione: Les Films Du Lendemain, Les Films Du Fleuve Regia: Gilles Bourdos Soggetto: Tratto dai racconti di Richard Bausch Sceneggiatura: Michel Spinosa, Gilles Bourdos Interpreti: Alice Isaaz (Joséphine Kaufman), Vincent Rottiers (Tomasz), Grégory Gadebois (Joseph Kaufman), Suzanne Clément (Edith Kaufman), Éric Elmosnino (Vincent Lamblin), Alice de Lencquesaing (Mélanie Lamblin), Carlo Brandt (Yann Petersen), Agathe Dronne (Marie Lamblin), Damien Chapelle (Anthony Gardet), Brigitte Catillon (Nicole Gardet), Pauline Étienne (Anna), Frédéric Pierrot (Laurent Gardet) Durata: 105’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 9 luglio 2020

casa e aggredire la moglie, in una lite violenta a cui assiste Vincent, trasferitosi nell’appartamento accanto dopo essersi lasciato con la moglie Marie. Nel frattempo, Anthony, sempre più solo, invita Anna, la donna delle pulizie, a uscire, ma la ragazza, dopo aver chiesto un anticipo, sparisce dalla circolazione.

Vincent avvicina Joséphine e le consiglia di contattare Marie, che lavora in un’associazione che garantisce alloggi anonimi alle donne vittime di abusi domestici. Mentre Tomasz dorme, la moglie fugge di nascosto con la sua auto per incontrare Marie, a cui racconta la sua situazione e l’obbligo di abbandonare la famiglia e il lavoro per compiacere il marito, da cui è completamente dipendente. Tomasz, furioso, chiama la moglie e la obbliga a rientrare; in preda al panico, Joséphine abbandona il colloquio e ha un tamponamento con Anthony. Mentre Tomasz si dirige da Anthony per distruggergli l’auto, Joseph raggiunge la figlia e la trova con il volto tumefatto dalle percosse e, sebbene voglia portarla via, la ragazza lo caccia.

Comprendendo la frustrazione del figlio, la madre di Anthony sceglie di fuggire insieme a lui dalla clinica, per andarsene altrove e ricominciare. Intanto, Edith incolpa il marito per aver permesso alla figlia di sposare Tomasz, accusandolo di non aver mai avuto il coraggio di imporsi, per cui, ormai stufo, l’uomo si dirige dal genero e lo uccide, per poi fuggire sotto shock.

Mesi dopo, Vincent va a trovare Mélanie che, nonostante le dimenticanze che iniziano ad affliggere il marito, è felice della sua vita e di come Yann si stia prendendo cura del figlio. Joséphine ha ripreso a lavorare e sta per diventare mamma.

LLa sceneggiatura di Vulnerabili è ben consapevole dei codici narrativi caratterizzanti una serie di film corali, strutturati su un incastro preciso e minuzioso di più linee narrative che convergono in un fine prestabilito, che sembra controllato da un’entità demiurgica, il cui scopo è un effetto domino che permette la risoluzione di ogni arco narrativo grazie all’intervento, apparentemente casuale, degli altri personaggi. Tale schema, noto per film come 21 Grammi di Iñárritu, Mother and Child di García, Crash di Cronenberg o il recente Seules les bêtes di Moll, sembra, da un lato, adottato da Bourdos ma al contempo smentito, favorendo una casualità meno interessata a una risoluzione finalistica, privilegiando la vicenda di Joséphine e relegando le vite di Vincent e Anthony a meri satelliti incapaci di una qualsivoglia funzione riparatrice, come dimostrato dall’incontro con Marie, che, disorientando lo spettatore, non sarà di nessun aiuto alla protagonista, salvata dall’intervento estremo di suo padre. A rivelare questa strategia è proprio il tamponamento con Anthony, evento circostanziale confinato a uno dei tanti della vita di Joséphine, senza svolte inaspettate; ciò che la narrazione sembra dirci è che dietro il ragazzo incrociato casualmente o il vicino interessato ad aiutarci, ci sono ulteriori vite devastate e identità vulnerabili, ma queste rimangono lì, sullo sfondo, senza intervenire strutturalmente nella nostra esistenza, ignote e anonime come i tanti volti che ci passano accanto ogni giorno.

La centralità della storia di Joséphine è segnata dall’intenso prologo, probabilmente il momento migliore del film; se durante la vicenda non assisteremo mai alla tesa situazione familiare della giovane, lasciata in fuori campo, sullo sfondo o come voice over, rivelandosi nei lividi sul suo corpo, la sequenza iniziale ci offre esplicitamente la costrizione a cui la protagonista sarà relegata. Con una scrittura e una messa in scena non banali, la sequenza si apre con la corsa spensierata dei personaggi verso l’albergo, passando dagli esterni urbani agli interni della camera ospitante la loro prima notte di nozze, i cui colori rossastri non solo richiamano le sfumature cromatiche delle strade ma un erotismo che sembra dominato dalla donna, desiderosa di uno striptease del marito. Inspiegabilmente, la sequenza procede con l’assurda necessità di Tomasz di evitare il sesso per un ambiguo gioco di mimi, apparentemente un bizzarro rituale di corteggiamento, rivelandosi gradualmente una strategia costrittiva per ingabbiare la moglie, umiliare la sua famiglia e sottomettere il suo desiderio al proprio, ristabilendo la gerarchia patriarcale dei ruoli sancita dall’emblematica inquadratura finale sui due, riflessi allo specchio, in cui, mentre Tomasz incolpa la moglie per averlo distratto dal suo gioco, uno zoom isola il pianto soffocante di Joséphine. Ecco che un alone di violenza sostituisce l’erotismo dei caldi cromatismi, una follia minacciosa rimpiazza la giocosità bizzarra di Tomasz e la presunta sicurezza di Joséphine lascia il posto alle lacrime di chi ha presagito la crudeltà che il film non tarderà a mostrare.

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