7 minute read

Titane

Next Article
Temple

Temple

le posture, le poche parole spezzate e incomprensibili che giungono in alto; oppure attraverso lo spioncino della porta d’ingresso, perché la realtà spesso bussa alla casa del professore, attraverso personaggi che cercano d’intravedere qualcosa, che dicono e non dicono, piuttosto vorrebbero farsi dire quello che pensano già di sapere.

Raramente abbiamo visto rappresentata una realtà criminale in modo più vischioso e compromettente; si ha paura di toccare i muri dei palazzi convinti di ritirare le mani sporche di unto; si ha paura, anche, di dire buongiorno perché non si sa come potrebbe essere interpretato un semplice saluto. Come un insulto? Una sfida? Una minaccia?

Advertisement

Non si spara, non ci si scontra, gli uomini vanno e vengono, si guardano, si toccano e ogni tocco ha un significato, un lamento si sente dietro una porta, un rivolo di sangue sul volto dell’accordatore di pianoforti goccia alla fine come il timbro a una storia cui manca solo un pezzetto per chiudersi.

Di fronte a tutto questo il professore si ribella, a suo modo, prende coscienza della propria inutile solitudine e si inventa quell’affettuosità che non ha mai avuto né voluto possedere per dare un senso a quella sorta di figlio che il destino ha messo sulla sua strada, come ultima ancora di dignità e amor proprio cui aggrapparsi prima della fine.

Il bambino, a sua volta, sente questo calore che gli viene, anche se maldestramente, vicino e capisce che solo in questo modo potrà diventare un uomo diverso da quello cui era destinato.

La camorra così si trova di fronte due avversari temibili e difficili da battere perché non giocano sul suo stesso terreno, non sparano, non uccidono: un bambino in debito d’amore e non di violenza e un professore antico, indifferente, invisibile, fiero della sua cocciutaggine conquistata per la liberazione di se stesso e in nome di un territorio perseguitato dai criminali.

Bello il tocco di regia di Roberto Andò, misurato, attenuato, sensibile nel disegnare l’atmosfera della storia e pudico e prudente di fronte al rapporto tra i due protagonisti.

Bravissimo Silvio Orlando, raccolto, concentrato nella sua umanità accantonata ma rivelatasi bruciante; così il piccolo Ciro (Giuseppe Pirozzi), disponibile, immediato nella sua ricerca inconsapevole di ordinaria pietà.

FaBrizio Moresco

di Julia Ducournau

Origine: Francia, 2021 Produzione: Jean-Christophe Reymond per Kazak Productions, in coproduzione con frakas Productions, Arte France Cinema, Voo Et Betv Regia: Julia Ducournau Soggetto e Sceneggiatura: Julia Ducournau Interpreti: Vincent Lindon (Vincent), Agathe Rousselle (Alexia), Garance Marillier (Justine), Laïs Salameh (Rayane), Dominique Frot, Théo Hellermann, Myriem Akheddiou, Nathalie Boyer Durata: 108’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 30 settembre 2021

LLa prima scena del film mostra una bambina, di nome Alexia, che infastidisce continuamente suo padre durante un viaggio in auto. In seguito però, mentre quest’ultimo si toglie la cintura di sicurezza per girarsi e rimproverare la figlia, distoglie gli occhi dalla strada provocando un terribile incidente. Tutto ciò causa una profonda ferita al cranio della bambina che i medici cureranno attraverso l’inserimento di una placca in titanio.

Anni dopo, Alexia, oramai adulta e con una vistosa cicatrice sul lato destro della sua testa, lavora come ballerina sexy durante i motor show.

Una sera, dopo la fine di un suo spettacolo, Alexia viene inseguita da un suo fan fino all’interno dalla sua auto. Costui prima le chiede un autografo e poi si dichiara perdutamente innamorato di lei; la donna però, lo uccide brutalmente con una forcina. Dopo essersi fatta la doccia, Alexia viene improvvisamente attratta da strani rumori provenienti all’interno dello showroom che la porteranno a trovarsi di fronte a una Cadillac di fiammante bellezza; la donna quindi, eccitata, decide di addentrarsi nuda all’interno di essa: qui si sfregherà con la tappezzeria dell’auto fino a raggiungere l’orgasmo.

Nei mesi successivi Alexia ucciderà uomini e donne divenendo in poco tempo una temuta e ricercata serial killer. Intanto, la donna vive ancora con i suoi genitori (con i quali non ha mai instaurato un forte rapporto affettivo) che sembrano ignari del suo legame con i crimini compiuti

In seguito, Alexia si rende con-

to che in qualche modo è rimasta stranamente incinta. Quindi, cerca di abortire da sola utilizzando la sua forcina, ma fallisce.

Successivamente, Alexia viene invitata ad una festa privata dove avrà un rapporto sessuale con Justine (una delle sue colleghe del motor show); prima uccide quest’ultima e poi anche gli altri ospiti. Tuttavia, una donna riesce a fuggire. Prima che la polizia possa braccarla, Alexia dà fuoco alla sua casa e vi chiude i suoi genitori all’interno della loro camera da letto affinché muoiano.

Alexia raggiunge dunque una stazione con un autostop e scopre che il suo volto viene indicato su vari schermi come quello di una persona ricercata. Alexia nota però anche i volti invecchiati digitalmente di alcuni bambini scomparsi molti anni addietro: uno di loro, Adrien, le somiglia incredibilmente. La donna decide dunque di travestirsi da ragazzo, tagliandosi i capelli, rompendosi il naso, nascondendo seno e addome e di presentarsi alla polizia affermando di essere Adrien. Il padre di Adrien, Vincent, riconosce in Alexia il figlio creduto morto e si rifiuta di fare un test del DNA.

Vincent, capitano dei vigili del fuoco, porta con sé Alexia alla caserma in cui vive e lavora e la presenta ai suoi uomini. I colleghi, perplessi dal suo mutismo, e dall’aspetto androgino e apparentemente traumatizzato, si astengono nel mettere in discussione il comportamento del loro capitano. Alexia diventa quindi apprendista alla caserma dei vigili del fuoco, sotto la supervisione di Vincent. Mentre quest’ultimo dà più responsabilità a suo “figlio” invece che agli altri colleghi più esperti, un pompiere si confronta con Vincent sull’identità di “Adrien”. Tuttavia, Vincent si rifiuta di ascoltarlo, obbligandolo a non parlare mai più di suo figlio.

Nonostante la sua apparente risolutezza, Vincent è un uomo afflitto che cerca in tutti i modi di preservare la sua forza iniettandosi steroidi per non mostrarsi debole agli occhi di tutti. Alexia invece, è gradualmente disturbata dalla sua possessività e pensa al modo di fuggire dalla caserma dei pompieri. Tuttavia, dopo che Vincent è andato quasi in overdose, lei sceglie di rimanere con lui.

Intanto, l’ex moglie di Vincent, da tempo separata, fa visita a suo “figlio”, ma si imbatte in un’Alexia senza veli, vistosamente incinta e in preda alle doglie del parto; tuttavia mantiene il segreto per se stessa, non volendo interferire con l’illusione del suo ex marito.

A un certo punto Vincent scopre accidentalmente il seno di Alexia dopo la doccia. Nonostante questo, la copre di nuovo promettendole di continuare a prendersi cura di lei.

Poi però, all’improvviso il corpo di Alexia si sgretola lentamente mentre nella pelle del suo stomaco si rivelano nuove piastre metalliche e inizia a secernere quello che sembra essere olio per motori dai seni e dalla vagina. Quando finalmente la sua gravidanza giunge a termine, Alexia rivela il suo vero nome a Vincent. Alexia muore dopo che Vincent l’ha aiutata a partorire. L’uomo, in lacrime, tiene in braccio il bambino, la cui spina dorsale sembra essere composta in titanio.

“È un lavoro molto personale, non un manifesto, rappresenta la mia visione della vita e della libertà, in tema di genere, amore, sessualità. Capisco possa spiazzare, non pretendo di piacere a tutti. [...] Per me Titane è un film d’amore. È difficile parlarne, non sappiamo più che cos’è. Per me è un’evoluzione, continua e sfuggente, qualcosa di mitologico. Le parole non bastano, io ho provato a dirlo con le immagini. Ognuno lo giudichi come vuole”. È così che la regista e sceneggiatrice francese Julia Ducournau afferma in un’intervista del Corriere della sera a proposito della sua pellicola Titane. In effetti, quello a cui assistiamo è un’opera affascinante, coraggiosa e controversa che non ha paura di scontrarsi contro il buon gusto e mero convenzionalismo logorante del cinema odierno mainstream. Proprio come la sua protagonista, il film supera ogni limite bypassando topoi e cliché per trasformarsi in qualcosa di “nuovo” e post-umano. Un corpo che la Ducournau ha voluto liminale, atipico, dalla bellezza androgina ma “cicatrizzato” che viene incastonato attraverso le forme della splendida e disinibita Agathe Rousselle.

Non a caso, lo stesso titolo del film, Titane (“Titanio”) contiene forse l’essenza di tutta l’opera che - senza scomodare la poetica della nuova carne del maestro Cronenberg - è il nome non solo del metallo utilizzato per creare protesi, ma richiama la natura mutevole di una donna che deve affrontare il dramma di assistere al proprio cambiamento, opponendosi meccanicamente al mondo in cui la circonda attraverso il sesso e la violenza più efferata. Non esistono mezze misure. Nulla viene omesso e tutto viene scaraventato prepotentemente sullo schermo tra san-

“È

This article is from: