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3/19 29 La casa in fondo al lago

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Temple

Temple

Il giorno della sepoltura Camilla e Bruno sono costretti a stare insieme per il compimento delle pratiche burocratiche, si sfiorano e si prendono per mano; forse per loro è iniziato un futuro.

IIl film è un’indagine su come sia possibile cambiare vita anche quando questa è articolata in un meccanismo incessante, senza soste.

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L’avvocatessa Camilla parte di colpo per un sentiero inaspettato, quello che le dovrebbe permettere di dare un nome al ragazzo morto sull’asfalto forse anche un po’ per colpa sua. E se, alla fine di questo gioco dell’oca, dove sembra sempre di ritornare al punto di partenza, una degna sepoltura è finalmente trovata per il giovane, si capisce che tutta la situazione è stata inconsapevolmente usata come uno schermo dalla protagonista. Camilla ha intuito che non è vero che il tempo corre veloce a tal punto da non dare spazio a chi vorrebbe utilizzarlo meglio; basta fermarsi, prendere coscienza di se stessi, dei propri bisogni primari e iniziare la strada della ricerca di ciò che possa fare stare bene.

Ecco che questo cammino verso la verità ha, come prima tappa, la ricostruzione del rapporto con la figlia: le due donne capiscono di poter rispecchiare l’una nell’altra sofferenze e aspirazioni, difficoltà e progetti e, naturalmente, quel forte bisogno d’amore per entrambe, finora, negato.

In una delle interviste rilasciate per il lancio del film Smutniak ha detto dell’accordo nato con il regista Soldini per indirizzare la macchina da presa in modo da seguire da vicino le azioni del personaggio. Questo ha permesso di comunicare al meglio il suo percorso e le sue conquiste: lo spettatore accoglie le ansie, le speranze, lo sconforto, i sorrisi di Camilla in una forte immedesimazione, in un intenso assorbimento dei sensi, a conferma che il mezzo cinema può agire nel profondo, con sensibilità e naturalezza, se sostenuto da registi e attori che sappiano dirigere e recitare. Silvio Soldini è un regista colto e raffinato, quasi aristocratico nel trattare i sentimenti e le storie di uomini e donne. Kasia Smutniak ha provato, come donna, forti gioie e grandi dolori: ne intuiamo la presenza ogni volta che l’attrice ci regala emozioni, coinvolgimenti, pensieri tenaci, desideri, passioni, tenerezze.

FaBrizio Moresco

di Alexandre Bustillo, Julien Maury

Origine: Francia, 2021 Produzione: Frédéric Fiore, Jean-Charles Levy, Clément Miserez, Eric Tavitian, Matthieu Warter, Natan Bogin, Louis Letterier, Cloé Garbay, Bastien Sirodot Regia: Alexandre Bustillo, Julien Maury Soggetto e Sceneggiatura: Alexandre Bustillo, Julien Maury, Julien David, Rachel Parker Interpreti: Camille Rowe (Tina), James Jagger (Ben), Éric Savin (Pierre), Carolina Massey (Sarah Montegnac) Durata: 85’ Distribuzione: Notorious Pictures Uscita: 5 agosto 2021

BBen e la fidanzata Tina sperano di fare successo postando online i video delle loro gite in luoghi abbandonati e maledetti. L’obiettivo della prossima avventura è un misterioso lago nel sud della Francia ma, arrivati sul posto, scoprono che in realtà è divenuto una località turistica, da cui la delusione di Ben e il desiderio di Tina di prendersi una vacanza. Un uomo del posto, Pierre, racconta loro che cinquant’anni prima la regione era stata devastata da delle alluvioni, il paese era stato evacuato e la vallata allagata di proposito, da cui la formazione del lago. L’uomo si offre di accompagnarli in un ramo del lago isolato, in cui è sepolta una casa ancora perfettamente conservata.

Sperando di aumentare le visualizzazioni, la coppia si immerge e trova la villa dei Montégnac, in cui sono ancora appesi dei ritagli di giornale inerenti a dei bambini scomparsi. I due si rendono conto che qualcosa di orribile è accaduto nell’edificio, timore confermato dalla scoperta di una stanza segreta in cui sono conservati due cadaveri incatenati sopra un simbolo satanico, con addosso delle maschere da tortura. Terrorizzati, i due cercano di fuggire ma scoprono che la finestra da cui sono entrati è stata murata, sebbene Tina creda che ci sia un passaggio nascosto dato che un pesce continua a entrare e a uscire dalla dimora. Improvvisamente, Tina ha un’allucinazione in cui, rimasta sola, viene aggredita dalle catene. Ben toglie le maschere dai cadaveri e scopre che sono i Montégnac, che si risvegliano e li inseguono.

LA CASA IN FONDO AL LAGO

Ben e Tina cercano di fuggire dal camino ma un improvviso terremoto li separa. Il ragazzo si risveglia in una stanza della casa, sulle cui pareti è disegnato l’albero genealogico della famiglia e scopre che Pierre è uno dei figli dei Montégnac. Sotto l’influsso malefico della casa, Ben accompagna Tina nel luogo in cui tutto è iniziato: una sala dove proietta su uno schermo cinematografico un filmato inerente ai Montégnac, che erano soliti sacrificare i bambini del posto, da cui la vendetta dei compaesani che avevano ucciso la famiglia, a parte Pierre che era riuscito a fuggire. Tornato in sé dopo aver tentato di assassinare la ragazza, Ben tenta di fuggire ma viene raggiunto dai mostri e ucciso. Tina riesce a uscire dalla casa e tenta di nuotare verso la superficie ma, esaurito l’ossigeno, muore annegata.

Tempo dopo, Pierre conduce una coppia di ragazze sulle sponde del lago, pronto a offrire nuove vittime alla famiglia.

A

Alexandre Bustillo e Julien Maury non hanno bisogno di presentazioni nel panorama del cinema horror internazionale, in cui si sono inseriti a pieno titolo con il loro celebre e scioccante À l’intérieur, uno dei massimi rappresentanti della New French Extremity, nonché di una certa ossessione per il corpo femminile e la sfera riproduttiva che Erin Harington ha nominato gynaehorror.

Il binomio casa-famiglia definisce nuovamente l’immaginario del duo, spesso legato alla dimensione domestica al di là del celebre film del 2007, basti pensare a Leatherface, prequel dell’omonimo film di Hooper, finanche l’offerta di dirigere Halloween 2, poi affidato a Rob Zombie.

Ma quali sono le forme che tale dimensione domestica assume in questo nuovo lavoro? A prima vista, l’incidenza del simbolismo acquifero, capace di rendere la classica haunted house un luogo matericamente inospitale, sembrerebbe tendere verso una più immediata lettura psicanalitica di soggetti sprofondati nei meandri di uno pseudo-inconscio familiare. Al contempo, scomodare l’immaginario freudiano e intrauterino tipico di molti capisaldi del genere (si pensi al simbolismo materno del saiko-horaa nipponico) può risultare fuorviante, se non pretenzioso, dato che a mancare è una struttura psicologica forte a causa di personaggi esiguamente definiti. È lecito quindi chiedersi se davvero il focus sia nuovamente un ambiente domestico in quanto specchio di quell’obscenum che in À l’intérieur raggiungeva connotazioni politiche e sociologiche, oltre che psicoanalitiche.

Se il film si conclude nella stanza in cui tutto è iniziato, ossia una sala cinematografica casalinga in quanto accesso fantasmatico (il fantasma che squarcia lo schermo) e fuga da una realtà fantasmagorica, una lettura metariflessiva appare più idonea e mirata alle origini del cinema stesso, del suo contesto spettrale e dell’estetica attrazionale che lo definiva: gli autori sembrano mettere in scena il meccanismo fantasmagorico del genere, fatto di apparizioni spettrali, voci e jump scares e, al contempo, rivelano l’impianto manieristico del loro cinema. Tra i lavori della coppia, La casa in fondo al lago assume una funzione simile a quella di Inferno nella filmografia del pluriomaggiato Dario Argento ma, attenzione, tale accostamento è ben lontano da una forviante associazione tra il mero esercizio di stile di Bustillo e Maury e il capolavoro argentiano, citato senza dubbio dagli autori per la celebre immersione di Irene Miracle nell’appartamento subacqueo nascosto nei meandri della dimora di Mater Tenebrarum.

Inferno definiva i suoi personaggi come mera agentività, sottomessi a un dispositivo tanatologico nelle mani di un deus ex machina capace di determinare le azioni di un mondo narrativo artificioso, non sottostante alle logiche causali della diegesi classica, spingendo Argento a osservare le forze strutturanti il suo universo orrorifico. Bustillo e Maury sembrano ambire a un progetto estetico più o meno simile, immergendosi nel loro immaginario fatto di famiglie omicide, spazi domestici violati e stregoneria, ma senza essere mossi dalla stessa follia creativa del regista nostrano, riscoprendo nient’altro che un didascalico campionario di cliché rimediati dagli autori omaggiati. Rispetto a molti giovani registi contemporanei, il manierismo del duo non raggiunge né quell’intellettualismo sotteso per esempio ai lavori sul genere compiuti da Cattet e Forzani, né una metariflessione sull’immagine in grado di trascendere il mero citazionismo, come accadeva nello schermo squarciato dagli zombie del bizzarro Die Kinder der Toten di Copper e Liska. Questo nuovo film osserva il contesto immaginifico dei propri autori ma mantenendolo acritico e meramente autoreferenziale, più funzionale alla definizione di un’esperienza da mockumentary che, nel guardare a celebri horror come The Blair Witch Project o Rec., ricade in un anacronismo ormai superato, nonché tedioso e prevedibile.

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