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Sibyl - Labirinti di donna

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Temple

Temple

Dino Abbrescia (marito della regista) capace di infondere i giusti lampi mefistofelici all’avido banchiere Viktor.

“La fantasia è un posto dove ci piove dentro”: non a caso la regista ha usato questa citazione da Calvino per ribadire la convinzione che la fantasia non è un cartone animato, né tantomeno una cosa finta. Già, quella poesia della fantasia, qui perfettamente rappresentata dal castello austriaco da dove è fuggita la principessa Uma.

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Gli aspetti meno convincenti di un film che a tratti lascia la sensazione di assistere a una serie di sketch non supportati da una struttura solida, sono riscattati dal tema forte che lo tiene in piedi: il potere della fantasia e, perché no, dei sogni. Le corse in bicicletta del piccolo ‘Nano’ tra le viti con un cappuccio rosso ricordano per certi versi quelle del protagonista di E.T., come il potere liberatorio del ballo messo in scena dall’altro giovanissimo interprete del film (il talentuoso Gabriele Ansanelli) come inno alla vita e alla libertà non fanno che ribadire un assunto mai scontato: quanto sia vitale la forza dei sogni per continuare a vivere.

eLena Bartoni

di Justine Triet

Origine: Francia, Belgio, 2019 Produzione: David Thion, Philippe Martin per Les Films Pelléas, in coproduzione con France 2 Cinéma, Les Films De Pierre, Page 114, Auvergne-Rhône Alpes Cinéma, Scope Pictures Regia: Justine Triet Soggetto e Sceneggiatura: Justine Triet, Arthur Harari Interpreti: Virginie Efira (Sybil), Adèle Exarchopoulos (Margot), Gaspard Ulliel (Igor), Sandra Hüller (Mika), Niels Schneider (Gabriel), Paul Hamy (Etienne), Arthur Harar (Dott. Katz), Laure Calamy (Edith) Durata: 100’ Distribuzione: Valmyn V.M.: 14 Uscita: 2 settembre 2021

SSibyl, una psicologa ormai stanca del proprio lavoro, sente nuovamente il desiderio di tornare alla sua prima passione, la scrittura: dunque, la donna, senza ulteriori indugi, chiude quasi tutte le terapie in corso con i suoi pazienti più problematici per potersi dedicare totalmente alla stesura del suo romanzo. Ma ben presto, si rende conto di non riuscire a trovare l’ispirazione giusta come le accadeva un tempo e le ore dedicate alla scrittura diventano sempre più pesanti e improduttive.

Fino a quando, un giorno Sibyl viene contattata telefonicamente da Margot, una giovane attrice emergente, che le chiede disperata di poterla aiutare: il problema è una relazione piena di contrasti con un suo collega, Igor, con il quale sta lavorando in un film come co-protagonista diretto da Mika, la moglie di quest’ultimo. Per motivi che nemmeno lei sa spiegarsi, Sibyl prende in cura questa unica e ultima paziente, e diventa per lei non solo fonte di ispirazione per il suo romanzo ma soprattutto un punto di riferimento imprescindibile per quanto riguarda il sostegno psicologico della giovane (convincendola anche a portare avanti la gravidanza); in seguito, la psicologa si identificherà ben presto in lei, in quanto ha avuto alle spalle una relazione problematica e un passato da alcolista.

Affascinata da lei quasi fino all’ossessione, Sibyl finisce con l’essere sempre più coinvolta nella tumultuosa vita di Margot: si recherà fino a Stromboli per supportarla durante le riprese del suo film e andando a letto perfino con Igor, tradendo la fiducia sia della stessa Margot che di Mika.

Ritornata a Parigi, Sibyl torna alla sua vecchia vita dedicandosi ai suoi pazienti e al compimento del suo romanzo, riuscendo infine a farlo pubblicare. Nonostante ciò, né la sorella né il suo compagno hanno letto il suo libro.

Alla première del film di Mika, Sibyl cade in preda all’alcol e si ubriaca fino a non riuscire a reggersi in piedi; in seguito, confesserà a Margot di essersi ispirata a lei per un personaggio del suo romanzo cosa che non darà fastidio alla giovane, ma anzi la lusingherà.

Sibyl partecipa nuovamente alle riunioni degli alcolisti anonimi per far fronte a questo problema che la affligge da anni.

In conclusione, Sibyl riferisce al pubblico che ha imparato dalla sua esperienza di tenere le distanze dalle persone e le comprende come personaggi di un romanzo. La sua vita è una finzione che riesce a plasmare a suo piacimento.

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A distanza di circa tre anni dal successo di pubblico e di critica con Tutti gli uomini di Victoria - nomination ai Premi César 2017 come miglior film, migliore attrice (Virginie Efira), migliore attore non protagonista (Vincent Lacoste e Melvil Poupaud) e migliore sceneggiatura originale - la regista neoquarantenne Justine Triet tenta di proseguire ancora una volta la sua esplorazione all’interno dell’universo femminile attraverso un ambizioso mélange tra dramma psicologico

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