Film n. 11 luglio/settembre 2019

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Anno XXV (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

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CENTRO STUDI CINEMATOGRAFICI


Anno XXV n. 11 luglio-settembre 2019 Trimestrale di cultura multimediale Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: info@cscinema.org Aut. Tribunale di Roma n. 271/93

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SOMMARIO

Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Silvio Grasselli Giancarlo Zappoli

Pubblicazione realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Stampa: Joelle s.r.l. Via Biturgense, n. 104 Città di Castello (PG)

S E R I A L

Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Matteo Calzolaio Jleana Cervai Cristina Giovannini Paola Granato Silvio Grasselli Leonardo Magnante Fabrizio Moresco Giorgio Federico Mosco Flora Naso Maria Chiara Riva Maria Antonietta Vitiello Filippo Volpini

Mia e il leone banco

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Conta su di me

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Colette

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Cold War

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Almost Nothing – Cern: La scoperta del futuro

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7 uomini a mollo

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La Fidèle

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La casa delle bambole

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Amici come prima

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Il verdetto

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Maria regina di Scozia

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La prima pietra

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Notti magiche

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La fuga

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Moschettieri del re - La penultima missione

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La favorita

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Il professore cambia scuola

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10 giorni senza mamma

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Karenina & I

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Bernini

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Crucifixion - Il male è stato invocato

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Il gioco delle coppie

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L’agenzia dei bugiardi

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Non ci resta che il crimine

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Papa Francesco - Un uomo di parola

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Ognuno ha diritto ad amare - Touch me not

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Parlami di te

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La porta rossa 2

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Speciale Venezia Film Festival

In copertina In alto La porta rossa 2 (serial) di Carmine Elia, Italia 2019. Al centro Mia e il leone bianco di Gilles de Maistre, Francia 2018. In basso Colette di Wash Westmoreland, Gran Bretagna, Stati Uniti, Ungheria 2018. Progetto grafico copertina a cura di Jessica Benucci (www.gramma.it)

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di Gilles de Maistre

MIA E IL LEONE BIANCO Mia è una bambina di undici anni che non riesce ad accettare il trasferimento dall’Inghilterra al Sudafrica deciso dai suoi genitori, John e Alice, che possiedono un allevamento di leoni. Il giorno di Natale il papà porta a Mia Charlie, un cucciolo di una rara specie di leone bianco: di questi esemplari ne nasce solo uno su un milione. John pensa che per i turisti che quotidianamente accoglie nel suo ranch l’attrazione porterà un incremento nei guadagni. I primi mesi di vita è soprattutto il fratello di Mia, Mick, a occuparsi del cucciolo dandogli il biberon con il latte. Quando Charlie ha quattro mesi, Mia inizia a fare amicizia con lui. La ragazzina legge insieme al fratello la leggenda del leone bianco, una specie considerata sacra da una tribù che vive nella riserva naturale di Timbavati. Mia si affeziona sempre di più a Charlie e dice al papà che non vuole che il leone un giorno sia venduto come gli altri esemplari del suo allevamento. Mia dice a Charlie che resterà con lui per sempre e lo fa uscire dal recinto dove è stato chiuso insieme ad altri cuccioli. Charlie ha un anno. Ormai le sue dimensioni sono considerevoli e deve stare fuori da casa. Poco dopo il leone ferisce una turista e John si arrabbia con Mia facendole notare che i leoni non saranno mai amici dell’uomo. Sopraggiunge Dirk un losco proprietario di un allevamento di leoni che è in affari con John: l’uomo è colpito da Charlie. Una sera, di ritorno da una cena, John trova la gabbia aperta: Charlie è scappato. Mia e Mick lo ritrovano. Charlie ha due anni, è molto

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grande. Un giorno Mick sbatte la testa per uscire dalla gabbia di Charlie dove Mia lo aveva fatto entrare di nascosto. John dice che Charlie deve andarsene, nessuno potrà più entrare nel suo recinto, poi minaccia di venderlo. Mia promette al leone che lo porterà nella riserva di Timbavati dove sarà libero. Intanto Mick ha frequenti attacchi di panico. Charlie ha tre anni. Mick filma Mia nella gabbia di Charlie, ma poco dopo John vede il video e decide di vendere il leone al primo acquirente. Mia è disperata e si addormenta davanti alla gabbia. Il mattino dopo la ragazzina ascolta di nascosto una conversazione del padre con Dirk che gli dice che deve rispettare il loro accordo: entro 48 ore Charlie sarà venduto a una riserva di caccia a uso e consumo dei turisti. Mia racconta al fratello di aver seguito il padre e di aver scoperto che vende leoni ai cacciatori. Il padre racconta bugie e i turisti sono solo una copertura. La ragazzina dice che deve portare lei stessa Charlie a Timbavati: dovrà fare un percorso a piedi di cinque o sei giorni ma crede di farcela. Quella notte Mia parte con Charlie. Il mattino dopo i genitori sono bloccati in casa perché prima di andare via Mia ha liberato tutti i leoni delle gabbie e ora circondano la casa. Lanciatosi all’inseguimento della figlia, John la rintraccia. Mia affronta il padre e gli spara a una gamba prima di scappare con la sua jeep. John viene soccorso dai medici. Mick aiuta la sorella telefonicamente suggerendole la strada da fare. Dopo tanti chilometri percorsi Mia è sfiduciata. Nel frattempo Dirk intima a John di dargli conferma che avrà il leone bianco per un cliente importante. John dice a Dirk che l’accordo è 1

Origine: Francia, 2018 Produzione: Fim Afrika Worldwide Regia: Gilles de Maistre Soggetto e Sceneggiatura: William Davies, Jean-Paul Husson, Gilles de Maistre Interpreti: Mélanie Laurent (Alice), Langley Kirkwood (John), Tessa Jubber, Daniah De Villiers (Mia), Ashleigh Harvey (Insegnante), Ryan Mac Lennan (Mick Owen), Lionel Newton (Kevin), Lillian Dube (Jodie), Brandon Auret (Dirk) Durata: 98’ Distribuzione: Eagle Pictures Uscita: 17 gennaio 2019

saltato. L’uomo va su tutte le furie e rivuole i soldi che ha prestato a John minacciandolo. Tutta la famiglia parte sulle tracce di Mia, la polizia ha l’ordine di sparare a vista. Mia sbaglia strada ed è costretta a passare dentro a un centro commerciale dopo il quale continua la sua corsa. Ma John e il suo cliente sono alle costole della ragazza. Dopo un lungo cammino, Mia è sfinita ma è quasi arrivata. La polizia è dietro di lei e sta per sparare a Charlie ma John fa scudo al leone e lo protegge fino alla sua entrata nella riserva. Nell’ultima scena Mia e la sua famiglia fanno un picnic davanti all’entrata della riserva dove Charlie è libero e felice.

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Una grande e bella avventura, una favola di buoni sentimenti venata di eco-


logismo, questo è in due parole Mia e il leone bianco. Ma non solo. Al di là del suo essere una grande avventura per famiglie e soprattutto per ragazzi, il film di Gilles de Maistre si segnala per il modo assolutamente unico in cui è stato girato. Una produzione anomala se si pensa che il film è stato girato in tre anni, un arco di tempo nel quale la bambina protagonista (Daniah De Villiers) e uno splendido esemplare di leone bianco (Thor è il suo vero nome) sono cresciuti insieme al fine di creare una reale interazione della ragazzina con il felino. De Maistre, che del film è anche ideatore (la sceneggiatura è poi stata scritta da Prune De Maistre e William Davies), voleva filmare sul serio il rapporto tra i due senza l’ausilio di fotomontaggi o animazioni digitali. Fondamentale per la riuscita delle riprese è stato l’apporto dello zoologo esperto di leoni e documentarista Kevin Richardson a cui tra l’altro De Maistre aveva dedicato il documentario dal titolo L’uomo che sussurrava ai leoni. L’impegno di Richardson è stato importante per istruire i due piccoli interpreti,

la De Villiers e Ryan Mac Lennan (che interpreta il fratello di Mia), su come rapportarsi agli animali. La seconda parte della lavorazione è stata la più impegnativa quando il leone Thor ha raggiunto un anno e mezzo di età: a quel punto la direzione delle riprese (che si sono spostate in una gabbia) è stata affidata a Kevin Richardson. L’empatia che si è venuta a creare tra la giovane Daniah e il leone è il valore reale del film: il leone da cucciolo ha realmente “adottato” la ragazzina instaurando con lei un rapporto vero e intimo. I due giovanissimi interpreti del film sono stati istruiti da Richardson sui leoni e su come comportarsi con loro. Un training davvero intenso che ha forgiato un legame incredibile in un percorso di crescita parallelo: Daniah e Thor sono cresciuti insieme, come i loro personaggi Mia e Charlie. In totale un branco di sei leoni è cresciuto insieme durante la produzione del film tra cui appunto lo straordinario Thor. Mia e il leone bianco non è solo un film per famiglie con bambini: è anche una pellicola dedicata a coloro che amano gli animali e ne hanno profondo rispetto. Richard-

di Marc Rothemund

son ha creato la Kevin Richardson Wildlife Sanctuary dove il rispetto per gli animali è la parola d’ordine e dove lo scopo è proteggerli dai barbari costumi di caccia presentati nel racconto. Gli ingredienti per un film adatto ai bambini e ragazzi ci sono tutti: paesaggi mozzafiato, tanti animali, un racconto piano e lineare basato su avvenimenti collegati da una semplice catena di causa-effetto, personaggi dalle psicologie semplici (la mamma, il papà, i ragazzi, il cacciatore ‘cattivo’ di turno). Il valore aggiunto del film di Gilles de Maistre è nell’autenticità del rapporto tra la protagonista e il ‘suo’ cucciolo. Il vero amore per gli animali del documentarista De Maistre e dello zoologo Kevin Richardson traspare in ogni inquadratura di una pellicola che concilia: con la natura, con gli animali, con i buoni sentimenti. Un film che intrattiene nella maniera più semplice e autentica: perché per scaldare il cuore non c’è bisogno di grandi tecnologie, di grandi effetti digitali o di modelli in 3D. Elena Bartoni

CONTA SU DI ME

Origine: Germania, 2017 Produzione: Oliver Berben, Martin Moszkowicz per Constantin Film Regia: Marc Rothemund Soggetto: dal libro “Dieses bescheuerte Herz: Über den Mut zu träumen” di Daniel Meyer, Lars Amend Sceneggiatura: Maggie Peren, Andi Rogenhagen Interpreti: Elyas M’Barek (Lennard “Lenny” Reinhard), Philip Noah Schwarz (David Müller), Nadine Wrietz (Betty Müller), Uwe Preuss (Dottor Reinhard), Lisa Bitter (Dr. Julia Mann), Jürgen Tonkel (Her Petry), Lu Bischoff (Nick) Distribuzione: M2 Pictures Durata: 106’ Uscita: 22 novembre 2018

Lenny è il figlio trentenne scapestrato di un cardiochirurgo che si presenta subito per quello che è, ubriacone, donnaiolo, incline allo sballo e capace di sfondare il garage di casa e volare nella piscina con tutta la sua fuoriserie. Per questo viene costretto dal padre, pena il taglio definitivo dei fondi, dopo l’ennesima trasgressione, a occuparsi di David, un quindicenne affetto da grave malformazione cardiaca che gli lascia poco

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tempo da vivere. Non mancando di mezzi economici, dovrà fargli stendere una lista dei desideri ed esaudirli tutti. Alcuni potranno essere soddisfatti con il denaro, ma altri hanno bisogno di molto di più. A occuparsi di David è la madre, che da sola deve gestire il progressivo entrare e uscire dall’ospedale e avvicinarsi a una fine che sembra segnata sul calendario. Così dedica tutte le sue facol-

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tà al figlio mentre cerca conforto in un fedele che frequenta la sua stessa comunità religiosa. Sapere che il ragazzo è affidato alle cure di un trentenne che di affidabile sembra avere solo la propensione per la bella vita non la rassicura. Ecco allora la richiesta di foto frequenti che dimostrino che il figlio sta bene. Dapprima restio all’idea, Lenny si lascia poi conquistare dall’adolescente. Il ragazzo si dimostra subito più responsabile di lui e Lenny rischia di farlo morire per una crisi respiratoria. L’uomo, obbligato dall’impegno impostogli dal padre, decide però di aiutare David a realizzare tutte quelle esperienze che bisogna vivere almeno una volta nella vita prima che sia troppo tardi: comprare vestiti firmati, incidere una canzone, andare in discoteca, rubare una macchina e guidarla. Ben presto però Lenny si rende conto che la vita di David è appesa a un filo e che prendersi cura del ragazzo è una responsabilità troppo grande per un buono a nulla come lui. Tra i desideri di David però c’è ancora il più importante da realizzare: conoscere una ragazza e innamorarsene. Superate le resistenze iniziali, tra i due nasce un’amicizia importante, intensa e sentita, in grado di superare qualsiasi ostacolo. L’uomo riesce persino a portarlo a Berlino e a fargli trascorrere il giorno del suo compleanno, a bordo di una limousine, con una ragazza che lo aveva colpito durante le prove per incidere una canzone. David è così felice che inizia a rifiutarsi di prendere le sue pillole e ha una crisi respiratoria. Viene portato d’urgenza in ospedale e operato. Le sue condizioni sembrano gravi, ma David è forte e riapre gli occhi. Lenny decide di iscriversi alla facoltà di medicina. Oggi David ha vent’anni e Lenny è ancora il suo migliore amico.

Tratto da un’emozionante storia vera, Conta su di me del regista tedesco Marc Rothemund è stato presentato in concorso alla 48a edizione del Giffoni Film Festival, dove è stato insignito del Gryphon Award 2018 nella sezione Generator +13. Basato sul romanzo di Lars Amend e Daniel Meyer, che a loro volta si sono ispirati a una storia vera, la commedia sull’educazione sentimentale che può sembrare priva di originalità, risulta invece molto gradevole. I dialoghi sono scelti con cura e, a dispetto delle tematiche trattate, la pellicola riesce a ironizzare sulla malattia, senza esagerare né schernire. Il regista inquadra intelligentemente l’ambiente ospedaliero frequentato ogni giorno dall’adolescente, mostrando quel che basta a suscitare commozione per i tanti bambini malati. Giusto un paio di sequenze per evidenziare che non ci si tira indietro. La telecamera è puntata sui protagonisti, David e Lenny, e ne coglie lo sguardo e il loro stato emotivo, vero motore dell’intera pellicola. La storia raccontata è semplice, ma furbescamente costruita a puntino per colpire il cuore dei più sensibili. La base della narrazione è reale e il film ce ne mostra le prove. Certo ci sono situazioni finalizzate al sorriso o alla tenerezza collocate al punto giusto, ma si sente che sotto c’è la vita vissuta con tutte le sue preoccupazioni. Questo elemento emerge non tanto dal rapporto tra i due protagonisti che parte da un’iniziale reciproca diffidenza per poi sciogliersi e trasformarsi in complicità, quanto piuttosto dalla figura della madre, che vive in funzione del figlio. I personaggi di David e di sua madre, e in particolare il loro rapporto delicato, sono tratteggiati con sensibilità, come il fatto che David è comunque un adolescente e sua madre

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è protettiva fino allo sfinimento, per paura che gli capiti qualcosa, ma anche per paura che cresca e che diventi adulto. A dare un po’ di aria e libertà al ragazzino ci pensa proprio Lenny, che essendo scapestrato e irresponsabile gli fa fare cose che altrimenti non gli sarebbero concesse, facendolo finalmente sentire un quindicenne normale. Per Lenny, abituato alla salute, alla libertà, alla spensieratezza, infatti,è difficile accettare la sofferenza del ragazzo, il continuo pericolo di perdere la vita a cui è esposto: ma alla fine sarà la voglia di vivere di David, la sua tenacia di fronte al progredire dei sui problemi, a destare in lui ammirazione e affetto e anche a fargli capire cosa vuole fare davvero della sua vita. Nella loro efficace alchimia i due interpreti, nonostante la differenza d’età, hanno trovato la giusta sintonia e riescono a far battere il cuore. Elyas M’Barek, attore austriaco, appare sempre accattivante e carismatico e il giovanissimo Philip Schwarz, pur non avendo esperienza, risulta così spontaneo e vitale da intenerire e divertire, senza mai scivolare nell’eccesso di pathos. Veronica Barteri


di Wash Westmoreland

COLETTE

Origine: Gran Bretagna,Stati Uniti,Ungheria, 2018 Produzione: Elizabeth Karlsen, Stephen Woolley, Pamela Koffleer, Chtistine Vachon, Michel Litvak, Gary Michael Walters per Number 9 Films, Killer Films, Bold Films, BFI Film Fund Regia: Wash Westmoreland Soggetto: dal romanzo di Richard Glatzer Sceneggiatura: Wash Westmoreland, Richard Glatzer, Rebecca D. Lenkiewicz Interpreti: Keira Knightley (Colette), Dominic West (Willy), Eleanor Tomlinson (Georgie Raoul-Duval), Fiona Shaw (Sido), Robert Pugh (Jules), Denise Gough (Missy), Aiysha Hart (Polaire), Ray Panthaki (Veber), Rebecca Root (Rachilde), Shannon Tarbet (Meg), Caroline Boulton (Flossy), Attila Árpa (Heckler), Arabellat Weir (Mme De Caillave), Karl Farrer (Hero, ballerino di Polka), Masayoshi Haneda (Baptiste), Mate’ Haumann (Conte Muffat), Dickie Beau (Wague), Peter Schueller (Reporter), Jake Graf (Gaston De Caillavet), Janine Harouni (Jeanne De Caillavet), Balázs Csémy (Posh Heckler), Roderick Hill (Manager del teatro), Karen Gagnon (Claudine), Johnny K. Palmer (Paul Heon), Sloan Thompson (Matilde), Polina Litvak (Lily) Distribuzione: Vision Distribution Durata: 111’ Uscita: 6 dicembre 2018

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È mattina, Gabrielle si sveglia per accogliere l’uomo che vorrebbe la sua mano. Il pretendente,

soprannominato Willy, si presenta alla famiglia della ragazza. Dopo aver preso un tè con loro, riparte per Parigi. In realtà i due amanti si incontrano in una stalla per fare l’amore e i suoni della campagna li coccolano. È il 1893; Gabrielle sposa Willy e si trasferisce in città. Quest’ultimo le fa conoscere personaggi stravaganti e le fa vivere i salotti mondani della capitale ma, da ragazza di campagna quale è, Gabrielle resta stupita di fronte all’insensibilità dell’alta società. Mentre Willy cerca di inserirsi nel mercato editoriale, servendosi di due “ghostwriter”, costringe la moglie ad aiutarlo nella scrittura. La convivenza non rispecchia i sogni romantici di Gabrielle, che addirittura scopre i tradimenti del marito, e perciò decide di tornare a casa dai suoi genitori. Willy la raggiunge e, dopo aver trovato la via del perdono, riesce a riportarla a Parigi. È il 1895. La crisi editoriale non fa sconti e i due scrittori a pagamento si ribellano di fronte alle insolvenze di Willy. Non avendo altra scelta, l’uomo propone a Gabrielle di scrivere e di diventare lei stessa la sua penna. Gabrielle scrive per ore, ma quando sottopone il manoscritto al marito resta delusa: il romanzo è “troppo femminile”. Gabrielle corre in studio per bruciare la sua opera, ma decide di non farlo: da quel momento, lei sarà Colette. Gabrielle si trasforma, sembra essere un’altra donna, spigliata e sensuale. 1898. Due esattori portano via dalla casa di Willy alcuni mobili pignorati; gli affari vanno male. Willy e Colette decidono quindi di revisionare il romanzo e portarlo all’editore, Ollendorf. Il romanzo, Claudine a scuola, va in stampa 4

e ha un grande successo, tanto da permettere alla coppia di acquistare una casa in campagna. La riluttanza di Colette a scrivere il seguito del romanzo, Claudine a Parigi, convince Willy a rinchiudere la donna in casa costringendola a scrivere. Il secondo romanzo ha un enorme successo.1900. Willy e Colette fanno colazione al bosco di Boulogne e vengono riconosciuti da due ammiratrici. Le due donne invitano la coppia a cena e si fanno fare degli autografi. Una delle due, GeorgieRoaul-Duval, inizia una relazione con Willy e Colette, entrambi ignari della tresca. Il rapporto a tre finisce quando Colette scopre l’inganno della donna. Nel 1903 il successo della serie di Claudine è acclarato e Willy decide di farne uno spettacolo teatrale. Trovata la protagonista, un’attrice di nome Polaire, lo spettacolo spopola in tutta la città. Durante la premiere, Colette conosce la marchesa Mathilde de Morny, detta Missy, che attira il suo sguardo perché veste abiti da uomo. Tra Missy e Colette nasce l’amore; le due si frequentano e Missy non tarda a scoprire chi è la vera mente dietro le storie di Claudine. Colette si sente sempre più schiava dei suoi panni sociali, perciò decide di liberarsene e inizia a vestire maschile anche lei. Dal 1904 la vita di Colette cambia totalmente: si rifiuta di scrivere altri romanzi e inizia a prendere lezioni di danza e pantomimo insieme a Missy, decidendo poi di mettere in scena uno spettacolo al Moulin Rouge. La vita di Willy, così come la sua carriera, va a picco perché non riesce a scrivere come la sua musa. Willy si reca dunque da Ollendorf e vende tutti i diritti di Claudine, in modo da ri-

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cavarne del denaro. La tournée teatrale di Colette continua, finché non viene a sapere della vendita dei diritti. Delusa e amareggiata, Colette rinnega l’amore di Willy e fugge via con Missy. Nel camerino di un teatro, Colette si prepara per andare in scena. In un baule trova un piccolo quaderno spoglio e, dopo qualche esitazione, inizia a scrivere. Il suo nuovo romanzo La vagabonda, spopola. Figura fondamentale della Belle Époque, Sidonie-Gabrielle Colette è una donna che trasforma la sua vita in un’opera d’arte. Il regista Wash Westmoreland, dopo aver avuto un enorme successo con Still Alice, portando a Julienne Moore l’Oscar come Migliore Attrice Protagonista (2015), torna a scrivere un film con Richard Glatzer, suo marito. A quest’ultimo, affetto da SLA e deceduto nel 2015, dedica l’intero progetto di Colette.

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La carriera di Westmoreland è in continuo movimento, dalla pornografia al documentario passando per il cinema, e con Colette dimostra di essere un ottimo osservatore della realtà. Per interpretare i due protagonisti sceglie Dominic West (Willy) e Keira Knightly (Colette) che, rispettivamente, indossano in maniera perfetta i panni dell’imprenditore passivo e schiavo dei piaceri e della donna che mai si fa soggiogare. La scelta è azzeccata, anche perché Knightly è una donna realmente impegnata nel sociale e simbolo del movimento femminista contemporaneo: l’attrice pubblicò infatti, nei primi mesi del 2018, un saggio intitolato The Weaker Sex per una collezione chiamata Feminists Don’tWearpink and OtherLies. Colette analizza non solo il rapporto tra la città e la provincia, strizzando l’occhio all’opera di Balzac, ma soprattutto la discrasia nella società di fine Ottocento. È perciò fondamentale per l’autore sottolineare la potenza delle

azioni di Colette, la sua intraprendenza e la sua sfacciataggine sessuale. Westmoreland accoglie con sincerità e autorevolezza la vita di una delle donne che hanno segnato la storia e hanno rovesciato una scala di valori preconfezionati. Gabrielle diventa Colette per sua decisione, non fa scegliere agli altri cosa dovrebbe essere. Da qui la potenza delle sequenze in cui Colette e Missy, di fronte a un pubblico di uomini dell’Ottocento, mette in scena degli spettacoli che non si vergognano dell’amore omosessuale. Intrecciando il reale e il fantastico, la narrativa e la vita, Westmoreland riesce caparbiamente a delineare una vicenda romantica, nel senso letterario del termine, e conduce lo spettatore all’introspezione e all’autoanalisi, senza dimenticare il suo scopo: raccontare che l’arte non discrimina ed è semmai l’essere umano a creare delle barriere. Matteo Calzolaio

di Pawel Pawlikowski

COLD WAR Polonia 1949. Wiktor è un musicista e un intellettuale in cerca di libertà, Zula una giovane cantante che proviene dai bassifondi di una cittadina di provincia, dal passato oscuro forse imprigionata per aver aggredito il padre che abusava di lei. Zula si finge una contadina per poter entrare a far parte di un gruppo folk e sfuggire alla miseria. Quando i due si incontrano è passione da subito. Un giorno il Ministro della cultura chiede alla troupe di aggiungere al repertorio alcune canzoni sulla riforma agraria e sulla pace mondiale; l’ambizioso impresario Kaczmarek accetta e in poco tem-

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po il gruppo si ritrova a cantare le odi a Stalin. È la goccia che fa traboccare il vaso: Wiktor non ne può più del regime oppressivo in cui sono costretti a vivere e scappa dalla Polonia per rifugiarsi a Parigi. Zula però non lo segue né lo raggiunge. Qui Wiktor inizia una nuova vita come intrattenitore musicale nei locali notturni; ora ha un’altra compagna con cui divide un appartamento anche se il pensiero di Zula non lo abbandona mai. Un giorno, inaspettatamente, la donna riappare; si trova a Parigi per un tour con la compagnia ed è venuta a cercarlo per rivederlo. Wiktor spera che Zula sia decisa a restare ma la donna fa invece ritorno nella sua amata Polonia. 5

Origine: Gran Bretagna,Francia,Polonia, 2018 Produzione: Ewa Puszczynska, Tanya Seghatchian per Opus Film, Apocalypso Pictures, MK Productions Regia: Pawel Pawlikowski Soggetto e Sceneggiatura: Pawel Pawlikowski, Janusz Glowacki (cosceneggiatore) Interpreti: Tomasz Kot (Wiktor), Agata Kulesza (Irena), Joanna Kulig (Zula), Borys Szyc (Kaczmarek), Jeanne Balibar (Juliette), Jacek Rozenek (Józef Rózanski), Cédric Kahn (Michel), Martin Budny (Americano), Philip Lenkowsky (Straniero), Adam Woronowicz (Console), Adam Ferency (Ministro), Adam Szyszkowski (Guardia), Drazen Sivak (Investigatore 1), Slavko Sobin (Investigatore 2), Aloïse Sauvage (Cameriera), Anna Zagórska (Ania), Tomasz Markiewicz (Capo del ZMP), Izabela Andrzejak (Mazurek) Distribuzione: Lucky Red Durata: 89’ Uscita: 6 dicembre 2018


Con brillante intuizione Pawligare in quel luogo si sposano, suggellando finalmente il loro amore. kowski per scandire i differenti periodi in cui si svolge la vicenda affiDopo aver vinto l’Oscar da alla musica un ruolo chiave, forte come miglior film stranie- della collaborazione con il pianista ro nel 2015 con Ida, Pawel Marcin Masecki che ha arrangiato Pawlikoski torna sugli tutti i pezzi jazz della pellicola. La colonna sonora è un capolaschermi con Cold War un’opera intensa; una storia struggente di un voro di brani che attingono dalla amore impossibile nella Polonia de- tradizione popolare filtrata attragli anni ’50, sotto il giogo soffocante verso le esibizioni del gruppo folcloristico Mazowse (fondato nel del regime staliniano. Ma anche autobiografica: il film 1949 e tutt’ora attivo) che nel film infatti, dedicato ai suoi genitori i diventa il gruppo Mazurek. Sono tre i brani dei Mazowse che cui nomi sono gli stessi dei protagonisti Wiktor e Zula ricalca, a gran- riecheggiano in tutto il film ma in di linee, la loro storia d’amore tor- forme diverse come, ad esempio, Two mentata, durata ben 40 anni, fatta Hearts, un classico della compagnia di separazioni e ricongiungimenti, che prima ascoltiamo come motivetto di fughe e rincorse da una parte rurale e poi trasformato in un pezzo jazz nell’esibizione parigina di Zula, all’altra della cortina di ferro. Un’incompatibilità caratteriale in perfetto stile anni ’50. Tuttavia di fondo, l’impossibilità di convivere non mancano anche musiche di Gerper lunghi periodi ma al contempo shwin, Bach, Chopin, Porter e perfiil forte desiderio di tornare insieme no il Celentano di 24 mila baci. E se lo stile narrativo di Pawlidopo sofferte separazioni; la vita da esiliati e le difficoltà di mantenere le kowski predilige solo i momenti proprie identità in ambienti cultu- più salienti della storia, scanditi rali diversi; le vessazioni del regime da cartelli che indicano la data e totalitario e le aspirazioni alla fuga: il luogo, ecco allora che la musica è su questo sfondo così articolato fa anche da riempitivo delle ellissi che si muovono Wiktor (l’attore To- temporali, degli spazi svuotati dalmas Kot molto noto in patria) e Zula le immagini per lasciare libera la (bravissima Joanna Kulig interpre- fantasia dello spettatore. Un film elegante, quasi un claste in altri film di Pawlikowsi). I molteplici temi trattati dal film sico di altri tempi, meritatamencon stile essenziale ed asciutto, in te premiato al Festival di Cannes formato ristretto e magnificamente 2018 per la migliore regia e candiesaltato dall’uso del bianco e nero, dato all’Oscar per la Polonia come si mescolano in un caleidoscopio di miglior film straniero. emozioni e situazioni che coinvolCristina Giovannini gono e commuovono.

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Passano ancora degli anni. Zula si presenta alla porta di Wiktor. Questa volta per rimanere. Ma la convivenza alle lunghe non va come entrambi si aspettavano e la donna decide di far rientro in patria. Wiktor però non riesce a fare a meno di lei e così ricorre a un sacrificio estremo: si consegna volontariamente alle autorità per essere estradato in Polonia e finire in prigione. Il carcere lo segnerà ma ecco arrivare Zula in suo aiuto. La donna, nel frattempo, si è legata a Kaczmarek, l’impresario, il quale grazie alla sua attività gode di appoggi importanti. Wiktor viene liberato. I due si recano in un luogo di campagna a loro caro: lì c’è una chiesa diroccata. Dopo tante peripezie e girova-

di Anna de Manincor, ZimmerFrei Origine: Italia, Francia, Belgio, 2018

ALMOST NOTHING - CERN: LA SCOPERTA DEL FUTURO

Produzione: I Wonder Pictures Regia: Anna de Manincor, ZimmerFrei Soggetto e Sceneggiatura: Anna de Manincor, Anna Rispoli Durata: 77’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 18 novembre 2018

Il documentario è come una lente di ingrandimento sul CERN, l’Organizzazione Europea per la ricerca nucleare, il più grande laboratorio al mondo

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di fisica delle particelle. Il CERN è situato tra la Francia e la Svizzera, alla periferia Ovest della città di Ginevra. Lo scopo della struttura è quello di fornire ai ri-

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cercatori gli strumenti necessari per la ricerca in fisica delle alte energie. Il CERN con il passare del tempo è diventato sempre di più come una piccola città, con le sue dinamiche politiche e sociali. È fatto di lunghi corridoi, stanze apparentemente silenziose, luoghi di condivisione come la caffetteria e luoghi di raccoglimento come la cattedrale. Al suo interno vi è anche un asilo che permette alle numerose scienziate con figli di svolgere sia il ruolo di genitore sia quello di scienziato. Vi lavorano scienziati e ricercatori provenienti da ogni parte del mondo che condividono il piacere della scoperta e dell’ignoto, aspetti fondamentali della ricerca caratterizzata da obiettivi comuni senza pregiudizi culturali e/o di etnia. Grazie alle interviste fatte ai ricercatori e scienziati, ci si immerge completamente nella dimensione del CERN e si scoprono i luoghi in cui regna l’ignoto e i misteri del cosmo. Il complesso degli accelleratori del CERN ne comprende 7 principali che sono stati costruiti in vari periodi dalla fondazione dell’istituto. Fin dal principio, è stato previsto che ogni nuova macchina avrebbe usato le precedenti come iniettori, creando una catena di accelleratori. Il progetto più importante è quello che vede come protagonista il Large Electron-Positron (LEP), costruito in un tunnel sotterraneo dal 1989 al 2000 con l’obiettivo di studiare il bosone. Ora, gran parte del lavoro che viene svolto al CERN è incentrato sul Large Hadron Collider (LHC) che è l’immenso centro di rilevazione di particelle. Al CERN è nato il web, nel 1959 c’è stata la comparsa del primo computer, la NASA aveva inventato qualcosa di simile per scopi militari, i fisici si rassegnarono a usarli per scopi scientifici.

Di seguito si scoprì la connessione, nacque il World wild web, nel 1989 e nel 1993 fu dichiarato libero per tutti, e nacque internet. È nato un gruppo musicale Les Horribles Cernettes, formato da scienziate che cantavano canzoni a tema scientifico. Il CERN nel corso degli anni ha allestito musei e spazi espositivi con lo scopo di mostrare ai visitatori scopi, esperimenti e attrezzature del centro di ricerca. Gli spazi espositivi attualmente presenti sono il museo Microcosm e il Globo della Scienza e dell’innovazione. Il film documentario Almost Nothing della regista Anna de Manincor, del collettivo artistico bolognese Zimmerfrei, racconta attraverso le parole e l’esperienza degli scienziati che vi lavorano, il CERN. Una piccola città che si estende per diversi chilometri e conta al suo interno circa diecimila persone, una grande comunità fatta di uomini e donne che condividono la stessa passione per la conoscenza e l’ignoto. Dopo aver raccontato città come Bruxelles, Copenaghen, Budapest e Marsiglia nell’ambito del progetto Temporary Cities, la regista ci racconta un’altra realtà urbana in continuo movimento e ricostruzione. Un processo di ricostruzione avvenuto dopo il collasso di un collegamento elettrico (su ventimila che ne esistono) che ha causato danni enormi e conseguentemente ha imposto il fermo di un anno e la globale ricostruzione. Anna de Manincor con la sua pellicola ci porta alla scoperta del CERN non solo come una città sperimentale, ma anche come una città ideale, dove il contributo del singolo non è mai sufficiente né risolutivo, ma è il contributo dei tanti, senza distin-

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zione di nazionalità e religione, a motivare il progresso. Nel piccolo microcosmo del CERN, attraverso la voce degli abitanti che ne fanno parte, il luogo di aggregazione e convivialità è per tutti la caffetteria, un punto di ritrovo e di arricchimento umano e intellettuale. Allo stesso tempo emerge la sfida democratica imposta dal progetto stesso: la forte competizione che si annida al suo interno, la problematica delle pari opportunità in quanto la presenza della quota femminile è ancora inferiore rispetto a quella maschile. Infatti per cercare di risolvere il problema, all’interno del CERN, come accennato, è presente un asilo che permette alle donne di lavorare e stare vicino ai figli. Nel corso delle interviste emerge anche la problematica tra scienza e politica, evidenziando che molte volte non si coltiva il progresso in quanto determinato dalla ricerca ma gli interessi economici che questo può apportare, tralasciando in tal modo l’importanza, l’essenza della ricerca. Il CERN però, non è solo un luogo di scoperta, è anche un luogo di nascita. Infatti nel 1989 è nato il Web e con esso, nel 1990, Michele De Gennaro, grafico del CERN, ebbe la brillante idea di fondare un gruppo musicale Les Horribles Cernettes, tutto al femminile composto dalle scienziate che lavorano al CERN. Le canzoni riguardavano argomenti scientifici ed ebbe un grande successo all’epoca, tanto da


essere invitate a conferenze di fisica internazionale oltre a celebrazioni come il Nobel a Geoges Charpak. Si è poi sciolto nel 2012 quando i suoi ideatori si allontanarono dal CERN. Se l’obiettivo di chi vive e abita quel luogo è osservare la natura, il film si pone in una posizione simile, dove l’occhio è sull’osservatorio, dove l’aspetto socia-

le è quello più indagato ma non manca qualche incursione nelle problematiche scientifiche vere e proprie. Il CERN sembra un luogo magico e Almost Nothing è soprattutto un documento sulla consapevolezza che c’è qualcosa che ci sfugge, qualcosa che non siamo in grado di comprendere tra quello che vediamo e quello che non siamo in

di Gilles Lellouche

grado di vedere. È un luogo fatto di contrasti, di luci e di ombre, di silenzi e brusii, di movimenti meccanici e umani, dove la scoperta è intesa a 360 gradi. Perché è così che accade al CERN, ti ritrovi al tavolo della caffetteria a parlare dell’ignoto mentre sorseggi un caffè. Flora Naso

7 UOMINI A MOLLO

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Origine: Francia, 2018 Produzione: Alain Attal, Patrick Quinet, Hugo Sélignac per Chi-Fou-Mi Productions, Les Films Du Trésor Regia: Gilles Lellouche Soggetto e Sceneggiatura: Gilles Lellouche, Ahmed Hamidi, Julien Lambroschini Interpreti: Mathieu Amalric (Bertrand), Guillaume Canet (Laurent), Benoît Poelvoorde (Marcus), Jean-Hugues Anglade (Simon), Virginie Efira (Delphine), Leïla Bekhti (Amanda), Marina Foïs (Claire), Philippe Katerine (Thierry), Félix Moati (John), Alban Ivanov (Basile), Balasingham Thamilchelvan (Avanish), Mélanie Doutey (Clem), Jonathan Zaccaï (Thibault), Noée Abita (Lola), Claire Nadeau (La madre di Laurent), Sam Chemoul (Fidanzato del figlio di Bertrand), Anderz Eide (Ufficiale di polizia norvegese), Pierre Pirol (Benoît Jacquot), Maximilien Poullein (Speaker), Christian Gazio, Ian McCamy (Coach inglese), Erika Sainte (Diane) Distribuzione: Eagle Pictures e Leone Film Group Durata: 122’ Uscita: 20 dicembre 2018

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Bertrand è un quarantenne depresso, vive in una cittadina francese ai piedi delle montagne, è senza lavoro da due anni e il suo matrimonio con la bella Claire è in crisi. Stanco di passare le sue giornate sul divano, pensa di dare finalmente una svolta alla sua vita quando decide di iscriversi nella piscina comunale frequen-

tata da sua figlia dove si unisce a una squadra di nuoto sincronizzato maschile. Del gruppo fanno parte anche Laurent, imprenditore adirato che dirige un’acciaieria e ha un figlio autistico e una famiglia che sta andando in pezzi; Marcus, venditore di piscine indebitato e sull’orlo della bancarotta; Simon, musicista complessato e aspirante rockstar che vive in una roulotte; oltre a Thierry, John e Basile. Per ognuno dei componenti gli allenamenti rappresentano una valvola di sfogo e un rifugio sicuro. Nello spogliatoio gli uomini si confidano e sfogano le loro frustrazioni.Gli ultraquarantenni, tutti poco in forma e dotati di scarse capacità atletiche, sono allenati da Delphine, ex campionessa di sincronizzato a coppia che ha interrotto la sua carriera dopo l’incidente della sua partner. Dopo la fine della carriera, Delphine è divenuta alcolista e alterna gli allenamenti in piscina con le sedute degli alcolisti anonimi. La donna segue la squadra durante la sua prima gara in cui i ragazzi fanno una dignitosa figura, Bertrand li osserva dagli spalti. Dopo settimane di allenamento, Delphine ricade nel vizio e viene sostituita dalla sua ex compagna

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di squadra Amanda, una giovane allenatrice - finita su una sedia a rotelle dopo un incedente - che si rivela un osso duro. Per stimolare il gruppetto di uomini, la donna usa toni decisi e li sottopone a un duro allenamento: li fa correre a lungo all’aperto, cerca di potenziare la loro muscolatura e li chiude in una sauna a lungo. Chiede loro con che musica pensano di fare la coreografia, gli uomini propongono diversi brani: alcune canzoni di Michale Bublè, l’aria di un’opera, oppure una canzone che li rappresenti nel loro essere avanti con gli anni. Marcus propone Candle in the Wind di Elton John suggerendo anche un’idea di coreografia. Poco tempo dopo, Delphine riprende ad allenare il gruppo. Trovata la giusta determinazione e coesione, il gruppo parte per la Norvegia in camper diretto ai Campionati del Mondo di nuoto sincronizzato dove rappresenteranno la Francia. La squadra si trova a dover affrontare le rappresentanze di diversi paesi. Gli avversari si esibiscono in numeri ad alto tasso di difficoltà. È il momento dei francesi: partita la musica, gli uomini si concentrano e danno vita a una

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bellissima esibizione, strappando la vittoria. Sulla strada del ritorno, il gruppo festeggia ammirando uno splendido panorama all’alba e facendosi una foto con il trofeo. Bertrand torna a casa con la medaglia d’oro: è un uomo nuovo e riabbraccia la moglie. L’uomo riflette su ciò che lo ha cambiato: per un solo istante lui e i suoi compagni d’avventura hanno sognato di essere eroi. D’ora in poi nessuno metterà più in discussione la forza di una persona determinata. Guardando sette ultraquarantenni francesi non proprio in forma dimenarsi in balletti acquatici alla Esther Williamsnon può non tornare alla mente il gruppo di assortiti disoccupati inglesi intenti a lanciarsi in arditi strip maschili nell’indimenticabile Full Monty. Ed effettivamente a prima vista 7 uomini a mollo di Gilles Lellouche (qui alla sua prima regia ‘in solitaria’ dopo aver co-direttoNarco insieme a Tristan Aurouet e un episodio del film collettivo Gli infedeli) presenta diverse somiglianze con la commedia inglese di Peter Cattaneo: un’altra storia di riscatto sociale ed esistenziale, un’altra parabola che riabilita dei ‘falliti’ non ancora del tutto rassegnati. Questa volta è grazie allo sport che si riesce a trovare la forza per andare avanti, complice anche una coesione da vero spirito di squadra. Un altro esempio di “imprese sportive improbabili”. Come nel caso de La mossa del pinguino, esordio alla regia di Claudio Amendola del 2013, che aveva portato sul grande schermo una disciplina poco praticata come il curling, anche qui uno sport di nicchia (il nuoto sincronizzato maschile) può trasformarsi in occasione di rilancio e lezione di vita. Se è bello trovare nel film mes-

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saggi postivi come il riscatto dell’imperfezione, della ‘normalità’ (quando non addirittura della mediocrità), della negatività della vita, è anche vero che 7 uomini a mollo, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2018, lascia la sensazione di una commedia riuscita a metà. A onor del vero c’è da dire che il volenteroso Lellouche prova a guardare alla ‘crisi del maschio’ da un’altra prospettiva rispetto a quella usata ne Gli infedeli, da lui interpretato accanto a Jean Dujardin nel 2012. Se in quel caso si trattava sostanzialmente di ‘mascolinità’ in crisi e alla ricerca di conferme, questa volta si fa un passo avanti, affinando caratteri e psicologie di un gruppo di ultraquarantenni e affondando il coltello nelle pieghe delle loro vulnerabilità. Altra scelta indovinata del divo-regista è quella di immergere le solitudini e le sconfitte personali dei sette uomini in una piscina, giocando bene con la metafora della morte e rinascita attraverso l’immersione sott’acqua. Non solo, imparare a controllare e gestire al meglio il respiro richiama direttamente la ricerca e la riconquista di un equilibrio vitale da parte di chi ha smarrito la bussola della propria esistenza. Ed ecco che il team degli atleti ‘della domenica’ del nuoto sincronizzato, dalle pance prominenti e tremolanti, dalle movenze goffe, dall’incedere pesante, riesce a trovare una determinazione fino a ora sconosciuta, una forza che nemmeno loro pensavano di possedere. Dopo una prima metà che stenta a decollare, resa incerta da una serie di scene in cui i protagonisti sfogano le proprie frustrazioni in dialoghi che richiamano sedute di terapia di gruppo, nell’ultima parte il film acquista verve anche grazie a un uso sapiente delle mu9

siche. Come non apprezzare l’allegria contagiosa del brano Physical di Olivia Newton-John usato per accompagnare la sequenza di allenamento dei nostri sette uomini, oppure il grintoso evergreeen Easy Lover di Phil Collins per l’emozionante gara finale o i ritmi da dance anni Ottanta di So Good so Right degli Immagination che accompagnanola chiusura del film? A meritare l’applauso sono poi le performance di attori la cui aderenza ai ruoli che sono chiamati a interpretare è perfetta: è il caso del depresso Mathieu Amalric, dell’imprenditore iroso Guilluame Canet (regista di fama ormai lanciato anche nella carriera di attore), del rocker di mezza età dai lunghi capelli Jean-Hugues Anglade, del venditore di piscine in bancarotta Benoît Poelvoorde. A far loro da contraltare, le due toste allenatrici incarnate da Virginie Efira e Leïla Bekhti, due donne forti e capaci di trasmettere grinta. Commedia dolceamara in cui in effetti non si ride molto, 7 uomini a mollo resta un film godibile anche se non perfettamente riuscito ma che ha il merito di ribadire l’importanza di valori come l’amicizia, la solidarietà e lo spirito di gruppo in un’epoca come la nostra, dominata dall’individualismo e dall’egoismo sfrenato. Elena Bartoni


di Michaël R. Roskam

LA FIDÈLE

Origine: Belgio,Francia,Paesi Bassi, 2017 Produzione: Stone Angels, Savage Film, in Coproduzione Con Eyeworks Film, TV Drama, Pathé, Wild Bunch, Frakas Productions, Kaap Holland Film, Subla, in Associazione con RTBF (Télevision Belge), Voo And BeTV Regia: Michaël R. Roskam Soggetto e Sceneggiatura: Thomas Bidegain, Noé Debré, Michaël R. Roskam Interpreti: Matthias Schoenaerts (Gino “Gigi” Venoirbeek), Adèle Exarchopoulos (Bénédicte “Bibi” Delhany), Eric De Staercke (Freddy Delhany), Jean-Benoît Ugeux (Serge Flamand), Nabil Missoumi (Younes Bouhkris), Thomas Coumans (Bernard ‘Nardo’ Delhany), Nathalie Van Tongelen (Sandra), Kerem Can (Bezne), Sam Louwyck (Direttore del carcere), Fabien Magry (Eric Lejeune), Gianni La Rocca (Mike), Anaëlle Potdevin (Stéphanie), Stefaan Degand (Direttore della banca), Dimitry Loubry (Maton), Gaël Maleux (Jean) Durata: 130’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 6 settembre 2018

Un bambino dietro una siepe si nasconde da un uomo che lo chiama a gran voce, scappa coperto di sangue mentre dei cani abbaiano. Una giovane pilota scende da una macchina dopo aver corso una gara, è Benedict detta Bibi, che si alterna tra le piste e l’azienda di famiglia che si occupa sempre di motori. Dopo la gara viene avvicinata da Gino (il bambino del prologo), detto Gigi, che le chiede un appuntamento, le racconta di lavorare nell’import export di macchine. Bibi accetta l’invito. La re-

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lazione tra i due si rivela un colpo di fulmine caratterizzato da una fortissima alchimia, e, ben presto, le vite dell’uno e dell’altra finiscono per fondersi, non senza qualche ombra. Bibi lamenta il fatto che Gigi non le mostra il suo appartamento e, temendo che l’uomo nasconda qualcosa, gli chiede il suo più grande segreto: “sono un criminale e rapino banche” afferma lui, lei ride. Gigi, dal passato difficile, fa effettivamente parte di una banda criminale, composta da lui e dai suoi amici d’infanzia, che considera la sua famiglia. Organizzano una rapina ai danni di un banchiere che poco tempo prima avevano incontrato a una festa. Bibi, informata da una conoscente, Sandra, della rapina, comincia ad avere sospetti sull’attività di Gigi, e in una folle corsa in macchina per le campagne del Belgio gli fa molte domande. L’uomo elude le domande e le chiede di sposarlo. Alla vigilia dell’ennesima partenza di Gigi, Bibi esige la verità, l’uomo, pur non confessando, afferma che vuole ricominciare da zero e consegna a Bibi una busta con le chiavi del suo appartamento e l’indirizzo. Gigi e la sua banda compiono una rapina a un portavalori in autostrada, uno di loro rimane ferito. Nel mentre Bibi è a casa e riceve un’inaspettata visita di Sandra che le chiede ospitalità. Lei la accoglie ma esce subito per andare a casa di Gigi, una volta lì il telefono squilla, ma lei non risponde. La polizia bussa alla porta, l’operazione è guidata da Sandra, che si rivela una poliziotta infiltrata, chiede alla donna di rispondere al telefono per rintracciare la chiamata. Gigi viene processato e giudicato colpevole. Dopo un periodo 10

di separazione, Bibi si accorge di amarlo e iniziano una relazione mentre l’uomo è in carcere. Decidono di avere un figlio, ma durante l’iter medico per le indagini sulla fertilità Bibi scopre di avere un tumore aggressivo alle ovaie. Malata, decide di organizzare l’evasione di Gigi per mandarlo in Argentina, paese dove lui ha sempre voluto scappare con lei. Si rivolge ad un’organizzazione criminale albanese, capitanata da un socio in affari del padre. L’uomo viene informato del piano, partito alla morte di Bibi, con il messaggio in codice: niente fiori, la frase che Bibi aveva detto a lui prima del primo appuntamento. Gigi evade ma senza la donna non vuole partire per l’Argentina; scappa con la Porshe di Bibi (che i criminali avevano chiesto come parte della ricompensa). Gigi guida in una Bruxelles deserta, in off conversazioni tra lui e Bibi, è il turno di lei nella confessione del segreto più grande: “sono immortale”, dice. La corsa di Gigi finisce davanti al cancello del cimitero.

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Presentato fuori concorso alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e scelto per rappresentare agli Oscar 2018 il Belgio, Le Fidèle è il terzo lungometraggio del regista belga Michael R. Roskam. Ambientato in una Bruxelles sfaccettata, della quale si mostra anche il bilinguismo, vede come protagonista la coppia Matthias Schoenaerts (già presente negli altri lavori del regista) e Adèle Exarchopoulos. Il film dalla durata importante (130 min) ha una struttura molto chiara, tre capitoli dai titoli:

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Gigi, Bibi e pas de fleurs più un prologo, che mostra un frammento dell’infanzia di Gino, inquadrando ciò che verrà spiegato più avanti. La costruzione in capitoli permette alla narrazione di concentrarsi più su un personaggio, e un punto di vista, e poi sull’altro. Senza stravolgimenti la narrazione lineare viene scardinata da piccoli spostamenti (flashback, voci off), volti a chiarire la situazione, a completare le informazioni mancanti a uno spettatore di base onnisciente. Le Fidèle è stato definito un noir, in effetti, nella narrazione, si riscontrano molte caratteristiche afferenti al genere, prima fra tutte l’attenzione alla psicologia dei personaggi che, in qualche modo, predomina sullo scorrere della narrazione. Molta attenzione è posta anche sui sentimenti e

la storia d’amore che vede protagonisti Gigi e Bibi, un’attrazione che si rivelerà fatale, ma inarrestabile. La paura di Gigi dei cani è un tema che percorre tutto il film - risuona il concetto di fedeltà (come sottolinea Bibi quando lo scopre), il trauma infantile (del padre che uccide il cane del figlio) - fino al superamento di tale paura: rinchiuso in una gabbia tra tanti cani in trappola, Gigi ne libererà dalla catena uno. Anche il tema delle macchine e la passione per la velocità di Bibi diventa un espediente per un paragone con la continua reiterazione nell’errore di Gigi. Una visione determinista che neanche un amore ostinato e fedele riesce a scardinare. Il pastiche di generi riverbera anche nel linguaggio del film: dalle sequenze da poliziesco (le rapine, il processo, gli

interrogatori e la vita in carcere), si passa a una macchina da presa che sta addosso ai personaggi per coglierne le sfumature psicologiche (come il primo piano su gli occhi del protagonista dopo l’ultimo colpo). La velocità delle sequenze classiche di film ambientati sulle piste delle corse automobilistiche trova il contraltare nella lunga sequenza finale, in cui Gigi guida piano per una Bruxelles deserta, un ultimo viaggio verso la tomba di Bibi. Un film orizzontale, senza respiro e scarno che lascia molto spazio all’interpretazione degli attori, una recitazione solida per dei personaggi delineati bene, in particolar modo quello di Gigi, il più sfaccettato, in un film dove la differenza tra bene e male è necessariamente piena di chiaroscuri. Paola Granato

di Pascal Laugier

LA CASA DELLE BAMBOLE

Origine: Francia, Canada, 2018

Colleen e le sue figlie, Vera e Beth, si stanno trasferendo a casa della defunta zia Clarissa. Beth, aspirante scrittrice, è appassionata di romanzi horror, soprattutto di Lovecraft, e per questo considerata folle dalla sorella. Fermatesi per fare benzina, Beth incontra Janet, la proprietaria del negozio a fianco, in cui la protagonista legge un articolo su un killer che ha ucciso una famiglia del posto e ha utilizzato la figlia come bambola vivente. Arrivate nella casa, Beth rimane turbata dalla sua prima mestruazione; non sopportando più le paure della sorella, compreso il terrore di una relazione sentimentale, Vera confida alla madre le sue preoccupazioni sullo stato

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mentale di Beth, compreso il ri- Produzione: Ian Dimerman, Scott Kennedy, trovamento di un’intervista a se Jean-Charles Levy, Nicolas Manuel, Clément Miserez, Brendon Sawatzky, Sami Tesfazghi, stessa, in cui si finge una scrittri- Matthieu Warter per 5656 Films, Infermo ce. Colleen non dà ascolto a Vera, Pictures Inc., Logical Pictures, Mars Flms, gelosa di Beth, considerandola la Coprodotto Frédéric Fiore, Alexis Perrin figlia preferita. Regia: Pascal Laugier In casa irrompono un uomo cor- Soggetto e Sceneggiatura: Pascal pulento (l’orco) e un travestito (la Laugier strega), che aggrediscono Colleen Interpreti: Crystal Reed (Beth adulta), e, dopo aver odorato il pube del- Mylène Farmer (Pauline), Anastasia Phillips (Vera adulta), Emilia Jones (Beth giovane), le ragazze, scelgono di iniziare a Taylor Hickson (Vera giovane), Kevin “giocare”con Vera. Rinvenuta, Col- Power (Candy Truck donna), Rob Archer leen uccide i maniaci. (signore grasso), Mariam Bernstein (Janet), Anni dopo, Beth, diventata una Alicia Johnston (Cooper), Ernesto Griffith scrittrice horror, pubblica Inci- (Sanford), Adam Hurtig (marito di Beth), Denis Cozzi (figlio di Beth), Sharon Bajer dent in a Ghostland, basato sul (Eve) trauma subito. Beth lascia la sua Durata: 91’ famiglia per tornare nella casa Distribuzione: Koch Media della zia, in seguito a una chiaUscita: 6 dicembre 2018 mata allarmata di sua sorella, che continua a vivere lì con Colleen; Vera crede che i maniaci siano accusa la sorella di averla abbanancora in casa per abusare di lei e donata. 11


Beth ha degli incubi in cui percepisce il richiamo di Vera, che le sussurra di tornare da lei. Una sera, la protagonista trova Vera incatenata e vestita da bambola, colpita da una forza invisibile. Beth percepisce la presenza degli aggressori: la strega dichiara di aver “rotto”Vera e di voler iniziare con lei. Aggredita, Beth si risveglia il giorno seguente, dolorante e livida, rinchiusa a chiave in casa. Vera la riporta alla realtà, spiegandole come Colleen sia stata uccisa dalla strega di fronte a Beth che, in preda allo shock, si è dissociata, creandosi una realtà alternativa, abbandonando la sorella: le due sono ancora prigioniere nella casa, nella notte dell’aggressione. L’orco ha finito di giocare con Vera, per cui quest’ultima dà indicazioni a Beth su come accettare le violenze senza ribellarsi. La strega traveste Beth da bambola e la conduce dall’orco; Beth ferisce il maniaco con un fermaglio e rompe il vetro della finestra per fingere la fuga e allontanare la strega dall’edificio. Recuperata Vera, le due sorelle scappano e la mattina seguente incontrano un’auto della polizia. I due agenti avvertono altre pattuglie prima di essere uccisi dalla strega, che rapisce le ragazze. Beth si dissocia nuovamente, immaginandosi

a un party per festeggiare il suo romanzo, decantato dallo stesso Lovecraft; percependo le urla di Vera, Colleen incoraggia Beth a rimanere nel mondo onirico per evitare gli orrori del reale, ma la ragazza sceglie di tornare dalla sorella. Grazie alla segnalazione dei due agenti uccisi e all’aiuto di Janet, unica testimone dell’arrivo della famiglia nella casa di Clarissa, una pattuglia irrompe e uccide i maniaci prima che massacrino le ragazze. Mentre vengono portate via in ambulanza, Beth ha un’allucinazione di Colleen che le indica una macchina da scrivere, invitandola a raccontare la loro storia. Pascal Laugier ha dichiarato la sua volontà di scrivere e dirigere un film attorno alla soggettività di un personaggio, non solamente attraverso una mise en abyme narrativa, giocata sul binomio realtà-immaginazione, ma permettendo alla macchina da presa e alla scenografia di compartecipare a tale clima allucinatorio. La casa di Clarissa, colma di bambole perturbanti, si costruisce come spazio decretato alla coppia orco-strega (soprannomi dati loro da Beth), una concretizzazione del loro universo di desideri e perversioni, da cui le tre protagoniste sono estranee; Laugier dichiara come, nonostante l’edificio si sviluppi su due piani, la scelta di crearne un terzo in interni nasca dalla volontà di inaugurare un luogo mentale, deputato alle torture dell’orco, in grado di oggettivare le sue più remote perversioni, una sorta di esplicitazione dell’Es freudiano. In questo luogo alieno si declina la formazione di Beth nel suo passaggio all’età adulta, la cui soggettività viene esaltata da un utilizzo dinamico della macchi-

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na da presa, che estrinseca i suoi movimenti e il suo sguardo all’interno di esso, in cui la protagonista attiva metalinguisticamente un meccanismo psichico analogo al funzionamento del dispositivo cinematografico. Le violenze, perpetuate non tanto con armi da taglio (salvo eccezioni, come l’omicidio di Colleen) ma attraverso abusi fisici, avvengono prevalentemente nel fuoricampo e in ellissi narrative, rendendo sfumati i dettagli delle torture, sebbene si evochi una natura sessualizzata delle molestie attraverso una rapida inquadratura su Vera, a gambe nude e insanguinate, all’inizio dell’aggressione. Emerge una sottotraccia sessuale centralizzata sulla dialettica tra una protagonista casta e una sorella più disinibita, inserite in un modello psicoanalitico non così distante dallo slasher e dalla figura della final girl, con emblema la Jamie Lee Curtis di Halloween di Carpenter; come Michael Myers concretizzava un’istanza punitrice del piacere sessuale, così i due maniaci si scagliano immediatamente sulla sorella “peccaminosa”, sublimando analiticamente un desiderio di rivalsa della vergine repressa che, grazie alla sua castità, è in grado di salvare se stessa e la sorella, ma solamente dopo l’espiazione delle sue colpe (non a caso, Vera, nella realtà onirica, prega Beth di convincerli di non essere una cattiva ragazza). Consolidatosi con il suo capolavoro Martyrs, Pascal Laugier conferma la sua maestria con un film capace di spaventare ed emozionare al contempo, sfruttando i topoi tipici del genere per contraddirli, dimostrando come l’arte stessa possa diventare un terreno catartico in cui riversare le più arcane paure. Leonardo Magnante

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di Christian De Sica, Brando De Sica

AMICI COME PRIMA

Origine: Italia, 2018

Cesare Proietti è lo storico direttore del Relais Colombo, albergo di lusso meneghino.Un giorno l’uomo viene convocato da Luciana Colombo, figlia del proprietario Massimo Colombo, e licenziato senza alcun preavviso. Cesare si ritrova improvvisamente senza lavoro. Rientrato a casa, l’uomo è atteso dalla glaciale moglie Carla e dal figlio Matteo, aspirante popstar. Il protagonista, temendo di deludere la sua famiglia, decide di non dire nulla riguardo al licenziamento. Nei giorni seguenti, l’uomo offre le proprie competenze a vari alberghi di lusso della zona, ma senza successo.Frattanto, Luciana Colombo è costretta a gestire i capricci del padre, erotomane in carrozzina “per pigrizia” con la passione per le belle donne e il divertimento. Luciana è disposta a pagare cinquemila euro al mese una badante che riesca a imporre all’uomo un po’ di disciplina. Marco Gallo, storico vice di Cesare ora ridimensionato a capo della lavanderia dell’hotel, racconta il tutto al protagonista, che decide di tentare l’impossibile. Dopo ore di trucco e con l’aiuto di protesi varie, Cesare si trasforma in Lisa, badante di mezza età, tanto buffa quanto severa. Massimo Colombo non ha dubbi, è lei la donna giusta. Luciana non può che accettare la volontà del padre. I giorni seguenti scorrono felici: Lisa accompagna Massimo nelle sue scorribande, tra corse al parco per tenersi in forma, balli esotici tra le stanze d’albergo e massaggi rilassanti. Tra i due l’intesa è evidente, nonostante le fatiche di Cesare per non farsi scoprire. A casa, infatti, nessuno può sospettare nulla. La mo-

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glie Carla è impegnata a lanciare il primo singolo del figlio Matteo. Una sera, attraverso un servizio del telegiornale, Carla scopre che si terrà a breve una grande festa di beneficienza organizzata da Massimo Colombo proprio all’interno del Relais in cui crede che il marito lavori ancora. È l’occasione perfetta per il lancio del brano di Matteo. Cesare, invece, si trova di fronte allo scenario peggiore: doversi districare tra Colombo e la propria famiglia fingendosi, di volta in volta, il direttore dell’hotel e la badante Lisa. Ha dunque inizio la serata. Proietti, aiutato da Gallo e dagli amici della lavanderia, riesce a saltare da un personaggio all’altro senza destare troppi sospetti. Frattanto si scopre che Luciana Colombo sta trattando la vendita della società con una cordata di imprenditori cinesi, ma serve l’assenso del padre. Nonostante l’offerta incredibilmente vantaggiosa, l’uomo rifiuta, mandando la figlia su tutte le furie. Parallelamente Carla presenta Matteo ai facoltosi invitati, tra cui il cantante DJ Francesco che, ascoltato il brano del giovane, lo esorta a fare outing e confessare il suo interesse per gli uomini. Matteo è infatti omosessuale e grazie a un sentito confronto col padre, trova il coraggio di ammettere la sua natura. Il travestimento di Cesare è tuttavia saltato. L’uomo è costretto a confessare tutto sia alla moglie che all’amico, che rimangono estremamente delusi. Nei giorni seguenti Cesare, cacciato di casa, trova ospitalità dall’amico Marco. I rapporti con la moglie sembrano impossibili da ricucire. Qualche tempo dopo Cesare riceve una lettera da Massimo in cui l’uomo spiega che la figlia ha de13

Produzione: Indiana Production Regia: Christian De Sica, Brando De Sica Soggetto e Sceneggiatura: Christian De Sica, Alessandro Bardani, Edoardo Falcone, Marco Martani Interpreti: Christian De Sica (Cesare), Massimo Boldi (Massimo Colombo), Regina Orioli (Luciana), Maurizio Casagrande (Marco / Lisa), Lunetta Savino (Carla), Francesco Bruni (Matteo), Yang Shi (Direttore Lahu Wong), Paola Caruso (Chantal), Alessio Schiavo (L’avvocato), Luis Molteni, Carlo Porta Distribuzione: Medusa Flm Durata: 85’ Uscita: 19 dicembre 2018

ciso di farlo internare per aggirare il suo veto e vendere, una volta per tutte, la società. Cesare aiuta l’amico a fuggire: i due si lanciano tra le strade a folle velocità. Troppo folle. Massimo muore a seguito di un terribile incidente. Dopo il funerale e il sentito discorso di Cesare, il notaio legge a Luciana le ultime volontà del padre. L’uomo ha deciso di lasciare tutto alla figlia, eccezion fatta per cinquanta milioni di euro destinati all’amico Cesare. Una macchina tra le strade di Cuba svela che Massimo è in realtà vivo e si gode il patrimonio diviso con l’amico. La sequenza finale mostra Cesare esibirsi - in versione Lisa - all’interno dello storico locale Tropicana di Cuba. La carrellata all’indietro dichiara


poi la finzione del set, la troupe al lavoro e, infine, il teatro cinque all’interno del quale stanno avvenendo le riprese. Cesare, tornato nelle vesti naturali di Christian, dà lo stop. Il trucco è svelato, il film è finito. Amici come prima non segna soltanto il ritorno della coppia Boldi - De Sica in un cosiddetto cinepanettone, ma anche e, in questo caso, soprattutto, il ritorno dietro la macchina da presa dello stesso attore e regista romano. Con la sua ottava regia - a tredici anni di distanza da The Clan - De Sica sembra voler rivendicare la sua natura di autore a tutto tondo, ribadendo con forza idee, spunti, trovate proprie e omaggiando tutto un certo cinema, quello a lui caro, che va dal Vizietto a Mrs. Doubtfire passando per A Qualcuno piace caldo, Titanic, Il Sorpasso. Il nuovo film di Natale, infatti, della festività ha soltanto la data di uscita e l’abete poggiato furbescamente sullo sfondo della locandina pubblicitaria. Il canovaccio seguito non ha invero nulla da

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spartire con la solita struttura a più plot dei cinepanettoni firmati dai Vanzina, ponendo invece tutta l’attenzione solo ed esclusivamente sulle vicende di due uomini - Cesare e Massimo - di mezza età, stanchi e vagamente rimbambiti, i cui chili di troppo e le cui rughe sul volto non sono altro che i chili e le rughe di Boldi e De Sica stessi, volti umani celati dietro al trucco del grande schermo. Ed è proprio qui che il De Sica autore cerca di fare centro, nascondendo dietro alle esagerazioni della commedia anche vagamente trash sentimenti, confessioni, rese personali dal sapore autobiografico che non possono non intenerire per l’eleganza e la leggerezza con cui vengono soffiate attraverso la macchina da presa sorprendentemente mossa con abilità dal figlio Brando, qui in co-regia, seppur non firmata, al fianco del padre. La mera trama - certamente già vista, sentita, letta e masticata - diviene così puro espediente maneggiato dal De Sica autore (in sceneggiatura presenti anche Bardani, Falcone e Martani) per giocare, travestirsi, cantare, finalmente

di Richard Eyre

libero dallo schema dell’avvocato / dentista / notaio di turno che finiva a letto con la figlia dell’amico / figlia che non sapeva di avere / moglie dell’amico in pressoché tutti i “Natale a…”, mentre Boldi viene relegato a fare il verso al Presidente - non sembra davvero un Presidente qualunque, ma proprio “il” Presidente -, anziano tragicomico spodestato dal trono dalla figlia assetata di potere e patologicamente, teneramente ossessionato dall’universo femminile in ogni sua forma e colore. Qui De Sica fa se stesso, quello che avrebbe sempre voluto fare e quello che farà, se gli andrà e gli sarà permesso, in futuro. Amici come prima si offre così in tutta la sua sincerità, dribblando i canoni classici del cinepanettone e inseguendo invece quelli della commedia, a volte riuscendoci, a volte meno, ma essendo in tutto e per tutto un film di e con Christian De Sica. Prodotto da Indiana Amici come prima è stato distribuito, nelle sale italiane, da Medusa Film. Giorgio Federico Mosco

IL VERDETTO

Origine: Gran Bretagna, 2017 Produzione: Duncan Kenworthy per Toledo Productions, Filmnation Entertainment, BBC Films, Coproduttrice Celia Duval

Fiona Maye, celebre giudice dell’Alta Corte britannica, ha appena preRegia: Richard Eyre sieduto un caso inerente a Soggetto: dal romanzo “La ballata di due neonati siamesi con un cuore Adam Henry” di Ian McEwan solo, di cui ha approvato la sepaSceneggiatura: Ian McEwan Interpreti: Emma Thompson (Fiona Maye), razione, scatenando le controversie cattoliche. Dedita solamente Stanley Tucci (Jack), Fionn Whitehead (Adam Henry), Ben Chaplin (Kevin Henry), al lavoro, Fiona trascura il suo Rupert Vansittart (Sherwood Runcie), Rosie matrimonio, tanto che suo marito Boore (Sarah), Anthony Calf (Mark Berner), Jack, docente universitario, risenJason Watkins (Nigel Pauling), Nikki te della sua distanza, sia emotiva Amuka-Bird (Amadia Kalu QC), Dominic Carter (Roger), Nicholas Jones (Rodney che sessuale, e le confida di aver Carter), Rosie Cavaliero (Marina Green), bisogno di un’avventura. L’uomo Eileen Walsh (Naomi Henry) ha iniziato a frequentare MelaDurata: 105’ nie, una ragazza più giovane, una Distribuzione: Bim relazione affettiva e non ancora

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Uscita: 18 ottobre 2018

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sessuale, ma che Fiona interpreta come una vendetta per non aver voluto dei figli; la donna minaccia il divorzio in caso di tradimento effettivo ma, non essendo intenzionata a risolvere la loro crisi, Jack se ne va di casa. L’ufficio legale contatta Fiona per presentarle il caso di Adam, diciassettenne malato di leucemia, i cui genitori, testimoni di Geova, non permettono all’ospedale di proseguire con le trasfusioni di sangue. Durante l’udienza, Mark, avvocato rappresentante l’ospe-

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dale nonché amico di Fiona, e il professor Carter, ematologo che ha in cura il ragazzo, evidenziano l’urgenza della trasfusione, nonché i rischi conseguenti al rifiuto, mentre la controparte rivendica il diritto di scelta del paziente che, sebbene minorenne, è ben consapevole della decisione. Il padre di Adam considera la malattia come una prova estrema di Fede, per cui rifiutano la trasfusione per non inquinare il sangue in quanto dono di Dio, mentre Mark sospetta che Adam, sotto il controllo degli Anziani del gruppo, rifiuti la cura per non essere allontanato dalla comunità. Prima di prendere una decisione, Fiona decide di fare visita ad Adam di persona. La donna spiega al ragazzo i rischi, sia vitali che fisici, a cui va incontro; i due iniziano ad affezionarsi reciprocamente, sebbene il ragazzo sia intenzionato a sostenere la scelta dei genitori, vista la sua devozione per Dio. In tribunale, Fiona, affidandosi al codice dei minori, decreta la decisione dei genitori e della comunità contraria al benessere del ragazzo, la cui vita deve essere salvaguardata da se stesso e dal culto religioso, per cui dà facoltà all’ospedale di procedere con le trasfusioni. Jack torna a casa e confida a Fiona di aver fatto sesso con Melanie, per cui la moglie sceglie di procedere con il divorzio. Una volta guarito, Adam inizia a chiamare continuamente Fiona, desideroso di vederla, ma la donna non risponde per mantenersi distaccata e professionale; allontanato dai testimoni di Geova e in crisi con la sua famiglia, Adam vede in Fiona l’unica amica rimastagli, sebbene la donna abbia paura di affezionarsi a lui. Il ragazzo la raggiunge di persona per consegnarle una raccolta di poesie e pensieri che ha scritto dopo la guarigione e ha una moltitudine di domande esistenziali a cui non ri-

esce a rispondere; nonostante ciò, Fiona lo allontana freddamente. Diretta a Newcastle per lavoro, sul treno Fiona legge le lettere di Adam, che si interroga sul concetto di bellezza e sull’esistenza di Dio. Il ragazzo, fuggito dalla famiglia, raggiunge la protagonista; egli ha letto la sentenza e ringrazia Fiona per essere riuscita a salvarlo e a renderlo un uomo nuovo, che inizia a mettere in discussione la Fede ed è adirato con i genitori, che lo avrebbero lasciato morire pur di salvaguardare il loro credo. Nonostante la glacialità della donna, Adam le chiede di andare a vivere con lei e, prima di essere allontanato, la bacia. Una sera, Fiona riceve la notizia che Adam è di nuovo malato e non vuole farsi curare, per cui si precipita in ospedale ma, nonostante le sue parole, il ragazzo, ormai maggiorenne, rifiuta i trattamenti. In preda ai sensi di colpa per non averlo ascoltato, Fiona legge le lettere di Adam, in cui predice il ritorno della malattia. Distrutta dalla vicenda, Fiona confida il suo affetto per il ragazzo a Jack, ma ha paura di raccontargli quanto sia stata crudele con lui per paura che egli non la ami più. Giorni dopo, Jack accompagna Fiona al funerale di Adam. Tratto dal romanzo La ballata di Adam Henry di Ian McEwan, soggettista e sceneggiatore del film, Il verdetto esplora le contraddizioni e il pericolo della religione e del suo bigottismo, evidente sin dall’inizio: dalle accuse nei confronti di Fiona per aver accolto la procedura di separazione dei gemelli siamesi alla lezione universitaria di Jack, inerente alla chiusura mentale comportata dal cristianesimo, dipinto quasi in maniera marxista come “oppio dei popoli”. La vicenda giudiziaria si conclude abbastanza precocemente affinché la seconda parte del film

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assuma un tono più riflessivo nel descrivere le conseguenze che il verdetto ha sia sulla protagonista che sul ragazzo, accomunati da una profonda crisi identitaria, la prima coniugale e il secondo spirituale, fino al tragico epilogo. Adam rimane un personaggio secondario, la cui funzione è quella di catalizzare un conflitto intimo in Fiona, messa di fronte a una maternità mancata e a scelte di vita insoddisfacenti; scissa tra la sua immagine pubblica e privata, Fiona è costretta quotidianamente a una presa di responsabilità continua, su cui il suo lavoro si fonda ma che è totalmente mancante nella gestione della sua vita coniugale, in cui la donna è assente costantemente non solo a suo marito ma anche a se stessa, blindata nella sua glacialità. Spaventata da sé e dai suoi sentimenti, soprattutto nei confronti di Adam, che le ricorda la sua decisione di non aver voluto figli per dedicarsi alla carriera, Fiona sfugge continuamente da una dimensione umana, che diventa quasi spaventosa e quindi da evitare, favorendo una paralisi emotiva che decade di fronte alla tragedia finale, in cui finalmente si lascia andare alle sue emozioni, in un pianto liberatorio dove esterna il suo dolore e i suoi sensi di colpa e può finalmente riavvicinarsi a Jack, dimostrando sottilmente, sotto il timore di essere giudicata per la sua freddezza verso Adam, il suo amore e la sua stima nei suoi confronti. Leonardo Magnante


di Josie Rourke

MARIA REGINA DI SCOZIA

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Origine: Gran Bretagna, 2018 Produzione: Focus Features, Working Title Films Regia: Josie Rourke Soggetto: dalla biografia “My Heart is My Own: The Life of Mary Queen of Scots” di John Guy Sceneggiatura: Beau Willimon Interpreti: Saoirse Ronan (Maria Stuarda), Margot Robbie (Elisabetta I), Jack Lowden (Lord Darnley), Joe Alwyn (Robert Dudley), Martin Compston (Conte di Bothwell), Brendan Coyle (Conte Di Lennox), David Tennant (Anthony Babington), Guy Pearce, Gemma Chan (Bess di Hardwick), Ismael Cruz Cordova (Rizzio), Eileen O’Higgins (Mary Beaton), Maria-Victoria Dragus (Mary Fleming), James McArdle (Conte di Moray), Liah O’Prey (Mary Livingston), Thom Petty (Conte di Shrewsbury), Adam Stevenson (Urie Campbell) Durata: 124’ Distribuzione: Universal Pictures International Uscita: 17 gennaio 2019

Maria, parte scozzese per il padre Giacomo V Stuart, parte francese per la madre Maria di Guisa, aveva sposato a soli sedici anni il delfino di Francia Francesco, morto di tubercolosi dopo due anni di matrimonio. Perso in Francia il potere da parte dei Guisa, Maria è costretta a ritornare definitivamente in Scozia con un suo piccolo seguito. Sarebbe pronta a rivendicare per sé il trono d’Inghilterra, saldamente nelle mani della protestante Elisabetta (dai papisti considerata bastarda in quanto figlia di Enrico VIII e Anna Bolena), ma trova una situazione pochissimo adatta ad accoglierla.Non solo, il vero padrone della Scozia, un uomo terribile per la forza della sua fede e la rigidità delle sue predicazioni è Giovanni Knox, ex cattolico, poi protestante, vero capo della Chiesa Presbiteriana. Maria era cattolica, donna, bella e intelligente, in Scozia trova la violenza delle varie fazioni, l’odio e

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il fanatismo delle opposte religioni e Knox: i due non possono non odiarsi. La regina scozzese, gettata in una società brutale e senza consiglieri fedeli, tra nobili senza scrupoli e predicatori disumani, da un lato cerca di tenere lontane le minacce di Elisabetta che le scatena nel regno rivolte e cospirazioni, dall’altra instaura con lei una corrispondenza con lo scopo di arrivare a un alleggerimento delle relazioni tra le due cugine e i due Paesi. La questione della validità di successione è sempre aperta: Elisabetta non ha figli, né ne vuole, né - forse - può averne, né li avrà. Maria, convinta della sua legittimità dinastica punta al matrimonio per avere un figlio che “dovrà” essere Re di Scozia e d’Inghilterra. Non accetta però l’unione con il Conte di Leicester, uno degli amanti di Elisabetta ma sceglie un cugino Stuart, Enrico, Conte di Darnley, un uomo vile, soggetto a bassezze e furori, facile a incapricciarsi dei consiglieri di Maria, a cominciare da Davide Rizzio. Gli avvenimenti precipitano presto: Maria resta incinta e avrà Giacomo che sarà designato successore da Elisabetta solo in punto di morte. Rizzio è ucciso da una cospirazione della Corte che aveva messo in giro la voce che proprio lui fosse il vero padre di Giacomo. Contemporaneamente uno dei capi dei signori scozzesi, il Conte di Bothwell, guida la congiura che porta all’assassinio di Darnley, di cui non si sa se Maria fosse più o meno al corrente: fatto sta che Maria è da lui violentata e costretta a sposarlo. È troppo per tutti, per Maria, la Corte, gli amici e i nemici: è meglio, per lei, fuggire a cavallo in 16

Inghilterra dove trova la singolare ma occhiuta protezione di Elisabetta. Per vent’anni sarà la sua elegante prigioniera ma le sue pretese di superiorità dinastica finiranno per perderla definitivamente perché continuerà, infatti, a tessere e complottare per realizzare il suo sogno di successione. La corte Inglese si decide per non continuare ad avere questa spina nel fianco che ritarda e compromette ogni libera scelta circa la guerra contro la Spagna; è il Segretario di Stato Walsingham a predisporre il tranello: sono prodotte delle lettere (di cui non si è mai provata l’autenticità) che dimostrano l’appoggio di Maria a una congiura per uccidere Elisabetta. Maria è giudicata colpevole all’unanimità in un processo subito convocato; Elisabetta firma, non senza perplessità, la condanna a morte eseguita l’8 febbraio 1587.

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Josie Rourke è una regista teatrale britannica che si è distinta fin dai suoi primi anni di studio per le capacità in campo teatrale; è diventata presto il direttore artistico del Donmar Warehouse di Londra. Ora, appena quarantenne, ha pensato di dedicare studi, esperienze e teatralità a un periodo storico piuttosto conosciuto che ha già prodotto nel passato film con interpretazioni memorabili.In più ha inquadrato l’argomento in un’ottica adatta ai tempi e alla nuova ribellione femminile rappresentata oggi dal movimento “Metoo”: due donne, due regine, due star che si contrappongono l’una all’altra con orgoglio e fascino e risplendono su

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un’accozzaglia di barbari consiglieri, falsi, violenti e violentatori, abbrutiti dalla lotta per il potere. La versione è elegante, sontuosa, con studiati particolari d’ambiente e di costumi che risaltano l’azione delle due regine senza che sia espresso un favore per l’una o per l’altra; la regista evita di sottolineare le ragioni della scozzese e dell’inglese tenute nei margini della storiografia universalmente conosciuta al cui interno la Rourke si prende una serie di libertà circa i personaggi e le relazioni tra di essi. Queste però non disturbano ma arricchiscono la composizione d’ambiente che, quadro dopo quadro, diventa una personalissima pittura della storia, densa di spessore, sentimenti, odi e sopraffazioni. In primo piano sempre le due regine. Il loro rapporto, pur nella distanza, è presentato come un

dialogo continuo e a viso aperto, strutturato secondo il massimo della tensione e del grande livello intellettuale e culturale di entrambe. Il culmine è dato dall’incontro, non storiograficamente documentato, tra Maria ed Elisabetta, in cui è ufficialmente stabilito quale sarà il periodo futuro: il consolidarsi della diversità delle loro convinzioni e la fine dolorosa nelle mani del boia. La Rourke realizza l’incontro in un casale di campagna ricco di strutture in legno con ambienti separati da veli, tende e drappeggi trasparenti che le due regine usano per vedersi senza guardarsi; l’una per evitare che l’altra scopra la durezza e il fare sfrontato che le appartengono, l’altra per non dimostrare la propria superiorità nel volto regale e senza pietà. È il diapason del confronto (non

importa se mai esistito) tra due grandi personaggi che sfumano progressivamente la loro valenza storica nella competizione dell’accademia recitativa: l’irlandese Saoirse Ronan (Maria) e l’australiana Margot Robbie (Elisabetta) hanno temprato il loro accento d’origine in un inglese che al meglio potesse riflettere l’unico confluire del loro valore di donne e di regine. Fabrizio Moresco

di Rolando Ravello

LA PRIMA PIETRA

Origine: Italia, 2018

Un coro di bambini intona “Tu scendi dalle stelle”, è la prova di una recita di Natale che si svolge sotto gli occhi del preside di una scuola, preoccupato per l’esito dello spettacolo. Intanto, nel cortile della scuola, il piccolo Samir Hatab, un allievo nato in Italia da famiglia musulmana, prende una pietra da terra e la lancia verso l’alto, colpendo il bidello Marcello e sua moglie Loretta che si trovavano a passare vicino a una finestra. Mentre Marcello va a farsi medicare in ospedale accompagnato dalla moglie, a scuola vengono convocate la mamma di Samir e sua suocera Fatima. Nell’ufficio del preside Ottaviani si scatena una lunga discussione alla presenza anche della maestra Roversi. Il preside vorrebbe liquidare in

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fretta la faccenda perché preso dai preparativi per la recita di Natale e chiede il risarcimento della finestra rotta. Ma le due non sono intenzionate a tirare fuori alcuna somma. La discussione si sposta ben presto sul piano religioso: le donne contestano l’argomento della recita che verte solo sul Natale cristiano. Il preside ha fretta e redige il verbale dell’accaduto in cui chiede il risarcimento di 500 Euro per la finestra rotta. Ma la signora Hatab non vuole assolutamente firmare. Nel frattempo tutti i personaggi iniziano a essere preda di una crisi di nervi: il bidello urla disperato perché ha bevuto della colla di coniglio al posto del caffè, la maestra Roversi se la prende con il velo indossato da Fatima perché il colore nero blocca la respirazione cutanea. La discussione continua: Fatima contesta il fatto che Samir nella recita abbia la parte del bue 17

Produzione: Domenico Procacci per Fandango, Waner Bros. Entertainment Italia Regia: Rolando Ravello Soggetto: Stefano Massini Sceneggiatura: Rolando Ravello Interpreti: Corrado Guzzanti (Preside), Lucia Mascino (Maestra Roversi), Valerio Aprea (Bidello), Iaia Forte (Moglie del bidello), Kasia Smutniak (Mamma), Serra Ylmaz (Suocera), Caterina Bertone (Segretaria), Lorenzo Ciamei (Samir), Gabriele Paolucci (Fabrizietto) Durata: 77’ Distribuzione: Waner Bros. Pictures Uscita: 6 dicembre 2018

e l’altro nipote Yussif debba incarnare l’asino. Il preside spiega che il bue e l’asinello sono i ruoli centrali nel presepe di Natale e i più ambiti, facendo una grottesca imitazione del bue. Intanto la tensione sale e Fatima si altera con la maestra Roversi. Nel tentativo di calmare le donne, il preside propone a Samir il ruolo


di Sant’Agostino togliendo la parte al piccolo Fabrizietto. Ma nell’ufficio gli animi si scaldano di nuovo perché il bidello viene accusato di aver chiamato Samir delinquente e di avergli dato un pugno. Marcello si difende dicendo di avergli dato solo un buffetto. La tensione sale e Marcello vomita sulla tunica di Sant’Agostino destinata alla recita. Non solo, il piccolo Fabrizio, alla notizia di aver cambiato ruolo da Sant’Agostino al bue, si è offeso. Oltretutto Samir non riesce a imparare in poco tempo la parte di Sant’Agostino. Intanto il preside fa un ultimo tentativo di accordo con le due donne che però sono irremovibili e non vogliono pagare. Alla fine il preside decide che la finestra la pagherà Samir pulendo i vetri della scuola per due mesi, mentre lui si occuperà di farla riparare. La maestra redige il verbale mentre il preside ha fretta perché la recita sta per iniziare. Ma la nonna contesta l’accordo perché si accorge che il bidello Marcello è ebreo e aveva cambiato nome per celare la sua religione: parte una nuova serie di accuse reciproche. In preda a una crisi di nervi, il preside si sfoga prendendosela con i musulmani: esausto, rinfaccia alle donne di essere stato costretto a rinunciare al presepe nella scuola per non offendere altre religioni. Fatima gli spruzza in faccia dello spray urticante. Intanto, nel teatro pieno di genitori e amici arrivati per assistere alla recita, il papà di Fabrizietto dà un pugno al preside, reo di aver tolto la parte di Sant’Agostino al figlio. La rissa si allarga a tutto il

teatro in nome di rivendicazioni religiose. I bambini sul palco iniziano a cantare “Tu scendi dalle stelle” e tutti si fermano. La maestra Roversi prende la parola ammonendo che secoli di storia non gli hanno insegnato niente e che hanno perso il significato di parole come condividere e dare, parla di odio e intolleranza e ammonisce tutti. Ma la donna viene raggiunta da una pietra, la recita viene interrotta e la rissa continua. “Il film di Natale in cattivo, in acido”, è la definizione che il regista Rolando Ravello ha dato de La prima pietra, sua terza fatica dietro la macchina da presa dopo Ti ricordi di me e Tutti contro tutti. Niente romanticismi sotto l’albero, buonismi e regali, baci sotto al vischio, questa volta alle soglie del Natale, mentre è imminente una recita di bambini in una scuola, succede il putiferio. Urla, accuse reciproche, insulti: un agone in cui nessuno si salva e in cui a farla da padrona è l’incapacità di comunicare. Teatro della scena è una scuola in cui i bambini sono mostrati solo di sfuggita, perché i veri protagonisti sono un gruppetto di adulti riuniti nell’ufficio del preside e i piccoli hanno un ruolo solo strumentale, usati dai grandi per accendere le micce delle loro liti. Il preside della scuola (un perfetto Corrado Guzzanti), a cui sarebbe riservato il ruolo da mediatore e pacificatore, è in realtà un uomo solo e disperato: melomane, amante della musica lirica e meno degli allievi, cerca di dare indicazioni ai bambini urlando, preoccupato di indirizzare la maggior parte del budget della scuola verso la recita di Natale. Uomo senza qualità insomma, che si trova a dover gestire una situazione difficile proprio nel giorno della sua massima realizzazione in una scuola multiculturale con bambini mediorientali, asiatici, africani.

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La galleria degli altri personaggi è ben assortita: una maestra ‘illuminata’ con manie vegan-esoteriche (Lucia Mascino, una delle migliori), un bidello ebreo che ha cambiato il suo nome per fare vita tranquilla (Valerio Aprea), la moglie di quest’ultimo, una napoletana focosa (Iaia Forte), e due musulmane, la mamma (un’inedita Kasia Smutniak) e la nonna del bambino (una convincente Serra Yilmaz). Si è lavorato per far incarnare alle due donne due modi diversi di vivere la religione: più moderata la mamma, più integralista la nonna. E su tutti il bambino Samir, l’unico davvero senza peccato e in grado di scagliare la ‘prima pietra’ Per ammissione del regista, il film vorrebbe essere “il ritratto di ciò che siamo noi oggi”. Con lucidità Ravello osserva: “La bell’Italia è dimenticata. Sembra che nessuno trovi pace e che si continui ad alimentare l’individualismo”. In effetti il microcosmo della scuola de La prima pietra appare una radiografia della nostra società, piena di egoismi, un teatrino di ‘tutti contro tutti’ in cui regna ancora l’incomunicabilità tra le diverse fedi. E sono proprio le tre grandi religioni monoteiste, ha osservato il filosofo Galimberti, a presentare come tratto tipico l’intolleranza, perché “se pensi di possedere la verità assoluta non puoi dialogare con gli altri”. Tratto da una pièce di Stefano Massini, il film ha un evidente impianto teatrale svolgendosi quasi interamente tra le mura della scuola. Al di là di un eccesso di luoghi comuni nel ritratto di alcuni personaggi (la maestra prigioniera del suo buonismo, i coniugi bidelli meridionali, la mamma e la nonna del bambino ‘colpevole’ orgogliosamente musulmane e immancabilmente velate), l’invenzione più felice appare la figura del preside incarnata da un Guzzanti in stato di grazia. La sua imitazio-

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ne della figura del bue del presepe è una delle poche scene a strappare l’applauso. Quello che resta valido è il messaggio contenuto nella forte sequenza finale, un monito che va oltre l’intolleranza, l’odio, il pregiudizio. A questo proposito lo scrittore

premio Nobel José Saramago in un celebre articolo, scrisse che la religione, nata per trasformare la bestia in uomo, rischia di trasformare l’uomo in bestia, alludendo chiaramente all’intolleranza religiosa, all’integralismo, al fondamentalismo, al fanatismo. Ed è quello che traspare dalla si-

gnificativa scena finale del film che fa riflettere sull’attuale momento storico, in cui la paura ci spinge tutti a rifugiarci nel nostro ambito, con buona pace del rispetto reciproco, frutto della comprensione di fedi e credenze diverse dalle nostre. Elena Bartoni

di Paolo Virzì

NOTTI MAGICHE La notte della semifinale dei Mondiali di calcio diItalia ’90, tutto il Paese è incollato davanti alla televisione. Proprio mentre la Nazionale italiana viene eliminata ai rigori dall’Argentina di Maradona, un’automobile lanciata a gran velocità cade nel Tevere. All’interno della vettura viene ritrovato il cadavere del produttore cinematografico Leandro Saponaro: un Comandante dei carabinieri ascolta la testimonianza della compagna dell’uomo, la soubrette Giusy Fusacchia, la quale chiama in causa tre giovani aspiranti sceneggiatori che sembrano i principali sospettati del decesso. Nella tasca della giacca del produttore è infatti stata rinvenuta una Polaroid che lo ritraeva a cena con i tre ragazzi. Dall’interrogatorio prende le mosse il resoconto dell’arrivo a Roma e del contatto con gli ambienti del mondo del cinema dei tre giovani. I tre sono molto diversi per carattere, indole, provenienza: Antonino è un messinese colto e ampolloso ma ingenuo, Luciano, orfano di padre, proviene da una famiglia del ceto operaio di Piombino, è ‘famelico e sfacciato’, Eugenia, romana, figlia di un politico, è una ragazza problematica, incline all’ansia e alla depressione. Tutti e tre sono in gara per il Premio Solinas, riconoscimento riservato ai più promettenti sceneggiatori.

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Il premio viene vinto da Antonino. I tre ragazzi vanno a dormire nell’attico in centro di Eugenia dove Luciano si getta a capofitto nella stesura di una sceneggiatura. Il giorno seguente Luciano si incontra con un’avvocatessa che lavora per il cinema e le consegna la sceneggiatura. La donna gli offre di scrivere dei lavori senza firmarli, il ragazzo accetta. Eugenia va a pranzo dal padre, un politico in vista, che critica la sceneggiatura che ha scritto. Intanto Antonino incontra il produttore Saponaro con cui discute per il film da girare tratto dalla sua sceneggiatura. Sul set di un film, Eugenia incontra il suo idolo, l’attore francese Jean Claude Bernard, che approfitta sessualmente di lei. Poche ore dopo, i tre giovani vanno a un party nella villa di Saponaro dove conoscono il famoso sceneggiatore Fulvio Zappellini. Il giorno dopo, mentre Luciano incontra il regista ‘impegnato’ Fosco, Antonio si reca da Saponaro ma lo trova nel pieno di un’operazione di pignoramento della sua casa e dei suoi beni. Il produttore, disperato e abbandonato anche dal suo autista, si reca su un set di Fellini e consegna al regista l’assegno di Antonino come primo pagamento per il film tratto dalla sceneggiatura del ragazzo. Quella sera Luciano viene prelevato a forza da casa e condotto 19

Origine: Italia, 2018 Produzione: Marco Belardi per Lotus Production, Leone Film Group, con Rai Cinema Regia: Paolo Virzì Soggetto e Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesca Archibugi, Francesco Piccolo Interpreti: Mauro Lamantia (Antonino Scordia), Giovanni Toscano (Luciano Ambrogi), Irene Vetere (Eugenia Malaspina), Giancarlo Giannini (Leandro Saponaro), Roberto Herlitzka (Fulvio Zappellini), Paolo Bonacelli (Ennio), Ornella Muti (La diva Federica), Marina Rocco (Giusy Fusacchia), Andrea Roncato (Il regista Fosco), Giulio Scarpati (Il padre di Eugenia), Emanuele Salce (Virgilio Barone), Giulio Berruti (Max Andrei), Ludovica Modugno (L’avvocatessa), Ferruccio Soleri (Il maestro Pontani), Simona Marchini (La signora Saponaro), Tea Falco (L’attrice italiana), Regina Orioli (Emma Marcellini) Durata: 125’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 8 novembre 2018

a Piombino, sua città d’origine dove la sua ex fidanzata Katia ha tentato il suicidio. Il ragazzo va a salutare sua mamma e gli operai delle acciaierie. Katia lascia tutto e segue Luciano a Roma. I due raggiungono gli amici in un ristorante frequentato dalla gente di cinema. Katia conosce il grande regista Pontani che si siede al tavolo con lei. Nella capitale arriva anche Caterina, fidanzata di Antonino. Il ragazzo si vanta del film che verrà realizzato dalla sua sceneggiatura e le parla di Eugenia, Caterina lo lascia e parte per Torino. Intanto Eugenia, convinta di essere rimasta incinta di Jean Claude, prova


ad abortire ma poi rinuncia. La ragazza viene convocata dall’attore francese che ha letto il suo copione e vorrebbe interpretarlo. La giovane gli confessa di aspettare un bambino. Poco dopo la ragazza scopre di non essere incinta. Si arriva alla sera di Italia-Argentina e dell’incontro dei tre giovani con Saponaro. Dopo un battibecco, i tre ragazzi vanno via e litigano per strada. L’autista finisce per confessare di aver lanciato lui l’auto con Saponaro nel Tevere. Ma è come se fossero stati un po’ tutti. Negli anni seguenti, Antonino, Luciano ed Eugenia prenderanno strade diverse, lontane da quel mondo che avevano frequentato per qualche magica notte. Sullo sfondo delle ‘notti magiche’ dei Mondali di calcio svoltisi in Italia nel 1990, la morte improvvisa di un produttore cinematografico sembra innescare il pretesto per una trama noir ma è solo un’apparenza, una cornice definita dal regista un “divertimento narrativo”. Nel film di Virzì l’incipit giallo svela ben presto una sorta di romanzo di formazione incentrato su tre giovani aspiranti sceneggiatori che sognano di lavorare nel cinema, ma non solo. Alzando lo sguardo dal particolare, Notti magiche si rivela un film sull’Italia, sul cinema e sul racconto, su cosa voglia dire raccontare, osservare la vita e trasformarla in cinema. Il regista livornese sceglie di

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ambientare la sua storia nell’estate del 1990, una stagione che gli è rimasta dentro, tornando spesso nei suoi ricordi personali. L’input a scrivere questa storia (messa su carta dal regista insieme a Francesca Archibugi e Francesco Piccolo) è emerso definitivamente dopo la cerimonia commemorativa per la scomparsa di Ettore Scola. E così è nata l’idea di inventare una vicenda che mettesse in pratica quello che è stato l’insegnamento dei grandi padri del cinema italiano, prendendoli anche un po’ in giro. Come ha sottolineato il regista, in questo film “tutto è vero e nello stesso tempo inventato”. I tre giovani protagonisti sono catapultati nel cuore di quel mondo del cinema del 1990, un anno in cui, a detta di Virzì, siamo ancora in pieno ancién regime. Sullo sfondo della vicenda raccontata nel film, si mostra il ‘potere’ di quegli anni. Il mondo del cinema dell’epoca è ricostruito con una galleria di ritratti sui generis, una sorta di “affresco brulicante, buffo, anche spaventoso”. Alcune personalità sono evocate con i loro veri nomi sullo sfondo (si veda Fellini e l’omaggio alla scena finale de La voce della luna), altri sono stati ribattezzati con nomi di fantasia e sono messi in primo piano: c’è un produttore (un ottimo Giancarlo Giannini) che ha raccolto grandi successi ma ora in declino e con i beni pignorati (come non vederci un richiamo alle vicende di Vittorio Cecchi Gori?), lo sceneggiatore Fulvio Zappellini (un perfetto Roberto Herliszka) che richiama il maestro della sceneggiatura Furio Scarpelli (c’è anche il suo “laboratorio di scrittura” affollato da ragazzi alla macchina per scrivere), il regista impegnato che non lavora da tempo (un ritrovato Andrea Roncato). E poi c’è il ‘Potere’ di quegli anni (Craxi davanti all’hotel Raphael, De Michelis in discoteca). 20

Anche in questo caso (come in sue alcune riuscite commedie), Virzì porta in scena grandi conflitti. Quello tra vecchi e giovani, perché in quegli anni l’Italia era in mano a un establishment culturale e politico di vecchia generazione, praticamente inespugnabile, e quello tra maschi e femmine.Come ha osservato il regista livornese, il mondo del cinema di quegli anni era ancora molto maschile, l’Italia era un Paese maschilista, tutta una generazione di autori era composta da maschi e le poche femmine che c’erano si mascolinizzavano per stare al passo. Ma nel brulicare di personaggi e situazioni, tra ristoranti fumosi e affollati dove si discute e litiga tra sceneggiatori, registi e produttori, studi privati, residenze d’epoca e pompose ville di produttori che hanno fatto i soldi con i film ‘pecorecci’ e con i poliziotteschi, la vicenda si smarrisce un po’. Omaggiando il cinema di ieri e ponendosi tanti quesiti su quello di oggi e sul suo destino, Virzì sembra perdersi nel magma del materiale che deve maneggiare. Dalla vicenda principale si snodano sottotrame e tanti, troppi, personaggi di contorno, che rendono la narrazione strabordante. E il gioco meta-cinematografico si appesantisce via via, accumulando situazioni, mescolando toni e registri. Notti magiche resta un film sospeso, pieno di autobiografismo, a metà strada tra l’omaggio e l’invettiva verso quello stesso mondo che accolse Virzì ai suoi inizi e che ormai è al tramonto. In definitiva questa ‘Grande bellezza’ del cinema italiano vista dagli occhi del regista livornese lascia un po’ perplessi. Nello sguardo che Virzì getta su quella Roma di ieri (in cui giunse nel 1985 come studente), definita dal regista “caotica, sporca e corrotta, ma che metteva allegria”, c’è affetto ma anche molto disincanto e un retrogusto amaro.

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Lo stesso senso di amarezza che è nascosto sotto la patina di un sogno, quello del cinema di tre giovani che vissero un’esta-

te indimenticabile in cui le loro tro non è che la più grande fabstrade si incrociarono con quelle brica di sogni. di alcune personalità di un monElena Bartoni do che, per sua stessa natura, al-

di Sandra Vannucchi

LA FUGA Pistoia, oggi. Silvia è una bambina di dieci anni intelligente e curiosa. La mamma, afflitta da depressione, vive nella camera da letto costantemente al buio. Il papà tenta di barcamenarsi tra il lavoro e la complessa situazione di casa. Brava a scuola e socievole con gli amici, Silvia non sembra risentire, almeno apparentemente, della malattia della madre. La giovane chiede spesso ai genitori di andare a trovare gli zii a Roma per visitare la città eterna, ma senza successo. I giorni passano e Silvia tenta, a modo suo, di comunicare con i genitori, che sembrano però distaccati e incapaci di comprendere le necessità della figlia. Dopo l’ennesima richiesta di recarsi nella Capitale, il papà della bambina perde la pazienza, sbattendo i piatti in tavola. Silvia prepara così uno zaino e si reca alla stazione per conto proprio. Sul treno fa la conoscenza di una mamma e del suo bambino. La donna chiede a Silvia come mai sia sola e lei risponde che si sta recando a Roma a trovare alcuni parenti con il permesso dei genitori. Arrivata in città, sale su un autobus qualsiasi e scende in un quartiere a lei sconosciuto. Qui viene avvicinata da un uomo di mezza età con losche intenzioni. A difenderla è un gruppo di rom che mette in fuga il malintenzionato. Tra loro c’è la giovane Emina, con cui Silvia instaura un legame di amicizia. Silvia segue i ragazzi in centro e li aiuta a chiedere l’elemosina. Poco dopo, Emina la invita

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nel campo in cui abita con la sua famiglia. Silvia viene coinvolta in una festa colorata e folkloristica. Frattanto il padre della ragazza, molto preoccupato, ne ha denunciato la scomparsa. Il giorno seguente la protagonista aiuta Emina con i compiti di italiano. Le due sono sempre più legate. Successivamente si recano in un vicino semaforo a chiedere l’elemosina. Alcuni ragazzi insultano Emina chiamandola “zingara”. Silvia ed Emina fuggono mano nella mano. Raggiunti gli altri ragazzi, il gruppo si reca in un piccolo parco divertimenti tra giostre e musica. Una televisione trasmette la notizia della scomparsa della ragazza. Silvia confessa a Emina la sua fuga e le racconta della malattia della madre e della difficile situazione di casa. Nel frattempo, qualcuno ha incendiato alcune baracche del campo, accusando i parenti di Emina di aver rapito la giovane. La mamma di Silvia si reca a Roma per seguire le ricerche della figlia. Emina nasconde Silvia per l’ultima volta all’interno del campo. Il giorno seguente le due si recano in centro. La protagonista viene notata da una pattuglia; è il momento di porre fine alla fuga. Emina e Silvia si abbracciano per l’ultima volta, poi Silvia si consegna alle forze dell’ordine. Interrogata in commissariato, la giovane racconta di essere stata ospitata da una famiglia rom. Poi fa il suo arrivo la madre. Le due si avvicinano con affetto. La donna porta la protagonista alla famosa “bocca della verità” e le fa promettere che non fuggirà mai più. La figlia, 21

Origine: Svizzera, 2017 Produzione: Ruedi Gerber, Michael King per Perché No Films, Zas Film Regia: Sandra Vannucchi Soggetto: Sandra Vannucchi Sceneggiatura: Sandra Vannucchi, Michael King Interpreti: Donatella Finocchiaro (Giulia), Filippo Nigro (Giorgio), Lisa Ruth Andreozzi (Silvia), Emina Amatovic (Emina), Andrea Atzei (Edoardo), Alessio Spagnoli (Muhammed), Dario Andreozzi (Michele), Linda Cerabolini (Carla), Silvia Salvatori (Signora Treno), Jelena Halilovic (Antoinette), Chiara Ahmetovic (Fadila), Daniele Garofalo (Zinad) Durata: 80’ Distribuzione: Lo Srittoio Uscita: 7 marzo 2019

in cambio, fa giurare alla donna di volerle bene. Le due sembrano aver ritrovato il sorriso. Tornata a Pistoia, Silvia può abbracciare il papà, che scoppia in lacrime. Il film si chiude sul primo piano della protagonista, forte e sorridente, che su dei pattini insieme ad alcuni amici esclama felice: “dai, buttiamoci!”. Fiorentina di nascita, ma cresciuta, cinematograficamente parlando, a New York - precisamente frequentando la New York University, indirizzo “Film e Televisione” - Sandra Vannucchi esordisce nel lungometraggio con La Fuga, racconto intimo e, in parte, autobiografico, girato tra la Toscana e Roma. A unire questi due luoghi è Silvia, studentessa appassionata, amica fidata e figlia di una donna colpita da un male tanto invisibile quanto devastante, che le impedisce di es-

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sere ciò che vorrebbe. L’autrice si poggia sul viso segnato da un vistoso neo sul sopracciglio sinistro della giovane (e convincente) Lisa Ruth Andreozzi per raccontare forza e fragilità, desideri e necessità di normalità di una giovane di provincia che sogna di visitare Roma e i suoi eterni monumenti, mossa dall’innocente stupore dell’infanzia. Messaggio non recepito dalla madre - la quattro volte candidata ai David Donatella Finocchiaro -, troppo schiacciata dalla malattia per potersi muovere, e dal padre - un buon Filippo Nigro -, impossibilitato e incapace a seguire le traiettorie della figlia, dovendo trovare egli stesso un improbabile equilibrio tra il lavoro, la malattia della moglie

di Giovanni Veronesi

e il ruolo genitoriale. Nonostante l’evidente mancanza di risorse e il poco spazio di manovra, la cineasta toscana, assistente, negli Stati Uniti, di David Chase, riesce a dare credibilità a quanto mostrato, muovendosi con mano ferma e delicata attorno alla giovane protagonista. È nei silenzi di Silvia, nei suoi sguardi, nei tentativi di regalarsi una quotidianità da ragazza della sua età, che La Fuga trova la propria cifra, offrendosi con sincerità, nonostante una scrittura non sempre all’altezza, che accenna, con colpevole superficialità, al road-movie prima e al complesso tema dell’integrazione sociale poi. La seconda parte del debutto di Sandra Vannucchi, incentrata sull’incontro tra Silvia ed Emina, coetanea appartenente alla comunità rom, risulta infatti meno efficace, lasciando trasparire una vaga forzatura nel voler incastrare la “questione sociale” all’interno di un film che, fino a quel punto, aveva raccontato la solitudine

di una ragazza e la convivenza con la difficile malattia della madre. In questo senso la messa in scena risente anche della scelta di utilizzare attori non-professionisti, spesso vittime della presenza della macchina da presa e incapaci di restituire una sensazione di realtà. Fotografato da Vladan Radovic (La pazza gioia, Smetto quando voglio) e prodotto, tra gli altri, da Michael King, location manager statunitense di show del calibro de I soprano e Mad Men, La Fuga conferma che, anche le produzioni indipendenti a basso costo, se composte dalle giuste risorse, possono offrire prodotti di buona qualità, pur ponendo il dubbio sulla loro effettiva fruibilità in sala e sul loro collocamento all’interno dell’industria cinematografica nostrana. Distribuito da Lo Scrittoio il primo lungometraggio di Sandra Vannucchi ha incassato, infatti, meno di duemila euro. Giorgio Federico Mosco

MOSCHETTIERI DEL RE - LA PENULTIMA MISSIONE

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Origine: Italia, 2018 Produzione: Indiana Production, Vision Distribution Regia: Giovanni Veronesi Soggetto e Sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Nicola Baldoni Interpreti: Pierfrancesco Favino (D’Artagnan), Rocco Papaleo (Athos), Sergio Rubini (Aramis), Valerio Mastandrea (Porthos), Margherita Buy (Regina Anna), Alessandro Haber (Cardinale Mazzarino), Giulia Bevilacqua (Milady), Raffaele Vannoli (Servo), Matilde Gioli (Ancella) Distribuzione: Vision Distribution Durata: 109’ Uscita: 27 dicembre 2018

Anna d’Austria, reggente del trono di Francia per la minore età del figlio Luigi (futuro Re Sole), è preoccupata per le guerre di religione

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che stanno devastando il suo Paese e per lo sterminio dei protestanti ugonotti perpetrato dal cardinale Mazzarino, suo primo ministro. La Regina decide così di affidarsi nuovamente a coloro che si sono dimostrati sempre fedeli e capaci di compiere qualsiasi missione, i suoi quattro moschettieri. Trent’anni però sono passati da quelle lontane gesta eroiche e si vedono tutti: D’artagnan è un porcaro rintanato in una fetida fattoria dove continua a importunare e sedurre le mogli degli altri, passando a fil di spada i mariti gelosi e rompiscatole. Athos ha realizzato i suoi nascosti desideri sessuali accogliendo alla pari nel suo rifugio in campagna ragazzi e ragazze 22

disponibili. Porthos, pur convivendo con una bella compagna, vive ormai catatonico in uno stato di torpore dovuto all’alcol e alle droghe. Aramis invece è abate in un convento dove può nascondersi dai creditori per i suoi debiti di gioco. Riuniti alla meglio, nonostante gli acciacchi di tutti che spesso si manifestano, i quattro accettano con entusiasmo l’incarico affidato dalla loro regina: riuscire a raggiungere una certa roccaforte sul mare per salvare una nave di protestanti cui Mazzarino sta dando la caccia e, dopo, liberare il giovane re rapito dalle guardie del Cardinale.

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Naturalmente le operazioni sono tutte portate a buon fine tra imboscate, duelli, scontri a cavallo, fughe rocambolesche e momenti d’amore cui l’attempato D’artagnan non intende rinunciare. Il finale è libresco: tutto quello che abbiamo visto appartiene ai sogni di un bambino che ha appena finito di leggere il romanzo di Dumas e ha permesso alla sua fantasia di ripercorrere le avventure dei suoi eroi impersonati dai famigliari che gli sono intorno. Si è parlato di Armata Brancaleone. A questo fine è stata messa in evidenza l’invenzione del linguaggio di D’artagnan, un “gramelot” infarcito di espressioni pseudofrancesi e dialettali italiane, zeppe di errori, fantasie linguistiche, forme onomatopeiche e sconnessi fonemi che affida a Pier Francesco Favino la forza del divertimento centrale. Il film, però, non poteva essere solo questo perché dopo un po’ l’invenzione stanca e spara a salve, risultando, anche in alcuni casi fastidiosa e dannosa per lo stesso Favino. Il collante è dato dal rapporto tra

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i quattro, vero, non solo tra personaggi ma tra attori, tra uomini: la capacità di darsi la battuta e farsi reciprocamente da spalla è evidente come è evidente il simpatico piacere di stare insieme e insieme prendersi in giro. E questo lo sapevamo già; da tempo conosciamo la simpatia, oltre che di Favino, di Papaleo, Rubini e Mastandrea e il piacere scenico della Buy (la regina) e di Haber (Mazzarino). Quello che è mancato è il sostegno della sceneggiatura (dello stesso regista Veronesi e Vittorio Baldoni) davvero evanescente, che prende forza con qualche battuta qua e là per scomparire come un fiume carsico e seppellire ogni supporto agli attori in scena. Anche la colonna musicale fa la sua parte: inutile, nella composizione di Checco Zalone e del suo gruppo Gratis Dinner (sembra che lui non paghi mai la cena), per niente incisiva e priva di momenti che meritino di essere memorizzati. Molto più efficace,determinante e di un fascino ancora intatto, l’accompagnamento dell’arrivo dei moschettieri a corte dato da “prisencolinensinainciusol”, l’apparentemente assurda e strampalata invenzione di Adriano Celentano.

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Fabrizio Moresco

di Yorgos Lanthimos

LA FAVORITA Regno Unito, 1706. Anna, prima sovrana del Regno di Gran Bretagna, viene preparata per la giornata. A controllare che il tutto avvenga alla perfezione è Sarah Churchill, detta Lady Marlborough, tesoriere e consigliere della Regina. È la sua favorita. Sul nero, il titolo di ogni capitolo. Capitolo 1: “Questo fango è necessario”. Abigail Hill, cugina di Sarah da poco caduta in disgrazia, fa il suo arrivo al palazzo, dove chiede di essere

Simpatico il personaggio che ripropone una specie di “Q”, inventore inesauribile di supporti di aiuto ai quattro eroi, naturalmente rapportato dal novecento di James Bond al seicento dei moschettieri. Riconosciamo, naturalmente, l’uso di gran mestiere della macchina da presa: carrellate, dolly, inquadrature che s’inabissano per risalire in primi piani con una densa ricchezza di colori e costumi non sono poche. Dimentichiamo il finale, una scena dolciastra e falsa, appiccicata chissà con quali fini. In conclusione ipotizziamo due cose: forse Veronesi voleva fare un’altra commedia, forse Veronesi voleva fare un altro film. Teniamoci stretti i quattro attori ma, per favore, lasciamo lontani nei nostri ricordi Monicelli e l’Armata Brancaleone.

accolta. Lady Marlborough accetta, relegandola a sguattera. Durante una notte la Regina ha un attacco di gotta. Abigail le porta della stoffa e del boleto raccolto nel bosco per alleviarle il dolore. Sarah non apprezza l’iniziativa personale e ordina di farla frustare. Il fungo, tuttavia, funziona. Abigail viene promossa. Capitolo 2: “Ho paura della confusione e degli incidenti”. Sarah coinvolge la cugina nelle questioni amministrative e politiche della Casa reale. La giovane diviene la sua ombra. Impa23

Origine: Irlanda,Gran Bretagna, Stati Uniti, 2018 Produzione: Ceci Dempsey, Ed Guiney, Yorgos Lanthimos, Lee Magiday per Element Pictures, Scarlet Films, Film4, Waypoint Entertainment Regia: Yorgos Lanthimos Soggetto e Sceneggiatura: Deborah Davis, Tony Mcnamara Interpreti: Olivia Colman (Regina Anna), Emma Stone (Abigail Masham), Rachel Weisz (Sarah Churchill), Nicholas Hoult (Robert Harley), Joe Alwyn (Masham), Mark Gatiss (Marlborough), Jenny Rainsford (Mae), Basil Eidenbenz (Lacché), James Smith (Godolphin) Durata: 120’ Distribuzione: 20th Century Fox Uscita: 24 gennaio 2019


ra a sparare e a trattare con gli avversari politici. Lady Marlborough vuole convincere la sovrana a proseguire la guerra contro la Francia nonostante il disastroso stato finanziario del regno e il parere contrario di Harley, capo dell’opposizione. Frattanto Abigail si imbatte in Samuel Masham, giovane nobile che inizia a corteggiarla. Durante un ballo, Sarah e Samuel danzano felici. La Regina interrompe le danze, infuriata. Sarah la accompagna in camera. Abigail, seguendole furtivamente, scopre che le due sono amanti. Capitolo 3: “Che tenuta”. Abigail si avvicina alla sovrana. La donna le confessa di possedere diciassette conigli, uno per ogni figlio perso prematuramente. La giovane è sinceramente rattristata dalla scoperta. Poco dopo si bacia con Masham. Capitolo 4: “Un lieve disguido”. La sovrana è colpita da crisi isteriche ogni volta che vede un bambino. Abigail la consola e la seduce. Sta diventando la sua nuova favorita. Una notte Sarah trova le due donne a letto insieme. Tenta dunque di declassare Abigail e riportarla in cucina, ma la regina la nomina sua cameriera personale. Capitolo 5: “E se mi addormentassi e scivolassi?”. Abigail avvelena il tè di Sarah. La donna esce a cavallo e, dopo aver perso i sensi, viene trascinata per chilometri. Capitolo 6: “Fermare l’infezione”. La Regina viene informata della scomparsa di Lady Marlborough. Vengono avviate le ricerche. Frattanto Abigail, sempre più confidente, la convince a celebrare il suo matrimo-

nio con Masham. La giovane torna così a diventare una “lady”. Sarah, nel frattempo, si sveglia malconcia in un bordello. Una prostituta l’ha raccolta e tratta in salvo. Tornata al palazzo, tenta di convincere Anna, una volta per tutte, ad allontanare Abigail, ma senza successo. Capitolo 7: “Lascialo, mi piace”. La Regina caccia Sarah dalla corte. Capitolo 8: “Ho sognato di pugnalarti negli occhi”. Abigail ha ufficialmente preso il posto di Sarah; è lei a gestire le finanze della Casa reale e a consigliare la Regina. Alleatasi con Harley, ha convinto la Regina a concludere la guerra con la Francia e a nominare l’uomo nuovo Primo ministro. La giovane dà feste sfarzose e alza spesso il gomito. La sovrana è sempre più spesso vittima di attacchi d’ira. La malattia sta prendendo il sopravvento. Sarah, esiliata, scrive una lettera di scuse destinata ad Anna, ma Abigail la intercetta e la distrugge. Poco dopo convince la Regina che Sarah ha rubato dei soldi della Casa reale. Anna decide di allontanare per sempre la donna dal Regno. Sarah e il marito sono costretti a lasciare la Gran Bretagna. Il film si chiude sull’immagine, in tripla dissolvenza incrociata, della Regina ormai irrecuperabilmente malata, di Abigail ai suoi piedi eternamente serva e dei conigli che saltellano liberi per la stanza della sovrana. Yorgos Lanthimos sembra aver concluso con La Favorita - distribuito da Fox Searchlight e candidato a dieci statuette agli Oscar 2019 tra cui miglior film e miglior regia - il suo percorso di avvicinamento a Hollywood iniziato con The Lobster (2015) e proseguito con Il sacrificio del cervo sacro (2017). Il cineasta greco declina stavolta il suo linguaggio a tratti disturbante e manieristico alla vita di palazzo del primo ‘700 inglese, riscrivendo, a modo suo e

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con le dovute differenze, un Barry Lyndon al femminile sporcato di sangue e satira tagliente. Le trame che si muovono attorno alla sovrana Anna - Oscar alla splendida Olivia Colman come miglior attrice protagonista -, andando oltre gli usi e le abitudini dell’epoca, ben raccontati dagli splendidi costumi, dalle azzeccate location, dai trucchi accurati e dalle finezze di scenografia, rimandano e ammiccano infatti a lotte di potere, arrivismo, ruffianerie più che mai attuali. In questo senso la scrittura di Deborah Davis e Tony McNamara disegna, attraverso dialoghi da scambio tennistico, i caratteri sorprendentemente moderni di Lady Marlborough e Abigail Hill - Rachel Weisz ed Emma Stone in stato di grazia - tratteggiandone forze e debolezze, bugie e paure, strategie e contromosse, lasciando avanzare l’una e facendo perdere posizioni all’altra, similmente a quanto avviene durante le corse d’anatre a cui assistono gli annoiati avventori della Casa reale. A fare il resto è la mano di Lanthimos che ospita i personaggi nell’inquadratura attraverso morbidissime carrellate con la steadycam rotte, di volta in volta, da disturbanti (e, a volte, superflui) grandangoli o lentissime dissolvenze incrociate (si guardi al finale) e cullate dal tema maniacale e ipnotico delle “Didascalies” di Jean Philippe Collard e Vincent Royer. Con La Favorita Lanthimos conferma di possedere furbizia e bravura in sovrabbondanza; caratteristiche, queste, non soltanto utili ma assolutamente necessarie per avere accesso all’olimpo dell’industria americana, pur non contraddicendo i tratti da “autore europeo”. Presentato alla 75esima edizione della Mostra d’arte cinematografia di Venezia il settimo lungometraggio del cineasta originario di Atene ha ottenuto il Gran premio della giuria. Giorgio Federico Mosco

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di Olivier Ayache-Vidal

IL PROFESSORE CAMBIA SCUOLA

Origine: Francia, 2017

François Foucault è professore di lettere al prestigioso liceo Henri IV di Parigi. Figlio di un uomo di lettere conosciuto e apprezzato, l’esigente professore si diverte ad umiliare i suoi studenti. Durante una serata, l’uomo si lamenta con una funzionaria del Ministero dell’Istruzione dei problemi delle scuole di periferia, dove bisognerebbe inviare dei professori più competenti. Il messaggio viene subito recepito e François si ritrova a dover accettare, per la durata di un anno, il trasferimento in un liceo di periferia. Il professore si trova così a mettere in discussione i suoi principi e i suoi pregiudizi. Il suo metodo, dopo l’iniziale spiazzamento, è di restituire agli allievi la propria dignità, trovare dei metodi alternativi per interessarli alla letteratura. Gli alunni, quasi tutti di colore, sono poco interessati alle lezioni e molto indisciplinati. La soluzione più semplice appare quella di far sospendere i ragazzi per poi espellerli dalla scuola. François è costretto a rivedere il modo di insegnare i suoi classici e lascia emergere un’umanità inaspettata nei confronti di giovani problematici. Dunque si interroga sulle contraddittorietà e le assurdità del sistema pubblico, sulla cecità dei suoi colleghi, che preferiscono liquidare i propri alunni come svantaggiati e difficili, piuttosto che affrontare la propria incompetenza. Così, messo da parte il rigore, Foucault cerca dei metodi alternativi per parlare di Victor Hugo, facendo leggere in classe Les Misérables a chi non ne ha mai sentito parlare e rendendoli attuali. L’uomo riesce a coinvolgere anche il più ribelle come Seydou, che rivela

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un’intelligenza che nessuno prima era riuscito ad apprezzare. Pur di non perdere il ragazzo e vederlo tornare in strada, arriva a mettersi contro il preside ed il sistema scolastico che vorrebbe espellerlo dalla scuola. Nel frattempo stringe anche un’amicizia con una giovane collega, fidanzata con il professore di matematica della scuola, che gli regala degli attimi di tenerezza. Il professor Foucault decide di rimanere nella scuola, perché capisce di essere riuscito a far breccia nel cuore dei suoi alunni e soprattutto di aver insegnato loro la cosa più importante: credere in se stessi. Il professore cambia scuola, uscito in Francia un anno e mezzo fa con il titolo Les Grands Esprits, è un film per cui il regista si è talmente documentato da sfiorare il documentario. Per due anni Ayache-Vidal, infatti, si è immerso nella vita del liceo Barbara de Stains, nella periferia parigina, osservando quella comunità turbolenta ma piena di vita, distante dal mondo urbano. L’autenticità, dunque, sembra la vera preoccupazione del regista che, sulla scia neorealista, ha voluto dei volti nuovi come insegnanti e i veri ragazzi del liceo come alunni. Il film si avvicina al genere documentaristico anche grazie a una fotografia improntata su una luce naturale e poco manipolata da filtri o digitalizzazione e ad un ampio uso dei dialoghi. Mettere in discussione i propri pregiudizi è un tema che il cinema francese ha dimostrato di sapere affrontare con decisione e humor. Eppure, più che una commedia, il film di Vidal sembra altro. La camera a mano con i suoi movimenti repentini, gli zoom in avanti e le leggere

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Produzione: Alain Benguigui, Thomas Verhaeghe per Sombrero Films, Atelier de Production, France 3 Cinema Regia: Olivier Ayache-Vidal Soggetto: Ludovic du Clary (idea originale) Sceneggiatura: Olivier Ayache-Vidal Interpreti: Denis Podalydès (François Foucault), Abdoulaye Diallo (Seydou), Tabono Tandia (Maya), Pauline Huruguen (Chloé), Alexis Moncorge (Gaspard), Emmanuel Barrouyer (Il Preside), Zineb Triki (Agathe), Léa Drucker (Caroline), François Petit-Perrin (Rémi), Marie Rémond (Camille), Charles Templon (Sébastien), Mona Magdy Fahim (Rim) Durata: 106’ Distribuzione: PFA Films, Emme Cinematografica Uscita: 7 febbraio 2019

panoramiche donano al film una dinamicità tipica non solo del documentario, ma anche di altri generi. I ragazzi qui immortalati non sono più marionette poste in mano al regista, ma testimoni reali di un sistema spesso dimenticato in cui, ad insinuarsi tra i banchi di scuola insieme ad ambizioni e sogni inascoltati, vi sono le più tipiche problematiche delle periferie. La superiorità con cui il professore guida le proprie lezioni, sia ostentando le proprie conoscenze, che denigrando gli insuccessi dei propri allievi, lascia ben presto spazio ad un atteggiamento più empatico e comprensivo. Tra il professore e i suoi alunni si in-


staura all’inizio una distanza fisica invalicabile; è solo quando l’attitudine dell’uomo inizia a mutare che lo vediamo avvicinarsi ai giovani, condividendo con loro sempre più spazi. Stimolante, coinvolgente e profondamente didattico, il momento in cui il professore convince i propri alunni a leggere “I miserabili” di Victor Hugo, non è solo il momento cruciale del film, ma anche e soprattutto il cuore pulsante dell’opera. Come per dire che tra i miserabili di ieri e quelli di oggi ci sia una forte connessione. In quei pochi minuti si raccolgono le difficoltà che ogni insegnante affronta ogni giorno. Il regista si mette nei panni dei professori, analizzando i problemi che li assalgono e interrogandosi su cosa voglia dire oggi

insegnare all’interno di un sistema che, sulla spinta di un profondo rinnovamento, tenta di mettere in prima linea i bisogni e le difficoltà dei propri studenti, sempre più all’insegna dell’inclusione. A differenza dei suoi colleghi Foucault capisce che non sono gli studenti a doversi adattare a lui, ma il contrario, lasciando così emergere un’umanità inaspettata verso giovani problematici che nessuno sa come prendere. Il professore diventa complice dei propri alunni; analogamente a quanto narrato nel classico L’attimo fuggente, o in Freedom Writers, sarà dunque un insegnante a cambiare per sempre la vita dei propri studenti, stimolandone un’intelligenza e una creatività lasciate finora latenti. Dare e non imporsi; ascoltare e non ur-

di Alessandro Genovesi

lare. I professori si ricordano per tutta la vita, si dice spesso, ma non sempre per la ragione giusta, visto che possono al contrario anche fare disastri, quando sono privi di passione. Ci voleva un attore di grande giustezza come Denis Podalydès per interpretare il ruolo di Foucault, mantenendo credibile sia l’iniziale antipatia che la lenta e prevedibile conversione indotta dal confronto con gli studenti. I ragazzi sono alunni della scuola, incontrati dal regista per caso durante i sopralluoghi, che non si sono interpretati, ma sono sempre rimasti se stessi. In particolare Abdoulaye Diallo, che interpreta Seydou, è molto naturale. Veronica Barteri

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10 GIORNI SENZA MAMMA

Origine: Italia, 2018 Produzione: Maurizio Totti, Alessandro Usai per Colorado Films con Medusa Film Regia: Alessandro Genovesi Soggetto e Sceneggiatura: Alessandro Genovesi, Giovanni Bognetti Interpreti: Fabio De Luigi (Carlo), Valentina Lodovini (Giulia), Angelica Elli (Camilla), Bianca Usai (Bianca), Matteo Castellucci (Tito), Diana Del Bufalo (Lucia), Niccolò Senni (Alessandro), Antonio Catania (Il capo) Durata: 94’ Distribuzione: Medusa Uscita: 7 febbraio 2019

Carlo e Giulia sono sposati da una quindicina d’anni e hanno tre figli: la tredicenne Camilla, scontrosa, arrabbiata e in procinto di diventare donna; Tito, terrorista in erba pronto a giocare con tutti i tipi di armi elettroniche e la piccolissima Bianca, dal linguaggio incomprensibile a tutti. Carlo è un dirigente della Family Day, un’azienda di ipermercati, è sempre stato in giro per l’I-

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talia e ora che è rientrato in sede deve vedersela con un collega che, manifestamente vuole fargli le scarpe. Giulia, una volta avvocato, ha preferito lasciare la professione per dedicarsi completamente ai figli e alla conduzione della casa. Ora Giulia, un po’ spinta dalla sorella, ha deciso di passare con lei dieci giorni a Cuba per distaccarsi un momento dalla gravosa conduzione della vita domestica. La situazione della famiglia sembra precipitare inizialmente in un disastro apocalittico in cui Carlo si trova a gestire completamente da solo ciò che non ha mai fatto: pasti e compiti, scuola e sport, contatti con le mamme di altri bambini che attraverso i telefonini organizzano micidiali incontri scolastici e mostruose seccature. Un aiuto è dato da Sofia, una ragazza mandata dall’agenzia, che aiuta in maniera perfetta la famiglia a sbrigare i lavori di 26

casa anche se il tutto è reso più complicato da due fattori: Sofia è la ragazza licenziata dalla Family Market per un furto insignificante di tre viti (è stato proprio Carlo l’autore del licenziamento per fare bella figura con il suo Presidente); in occasione poi di una festa aziendale, Carlo, che vi partecipa con i tre figli, ne combina di tutti i colori e così è costretto alla resa dei conti con la dirigenza aziendale. Il fatto è che Carlo ha, con il passare dei giorni, preso sempre più coscienza dell’importanza della sua famiglia e preferisce farsi licenziare anziché proseguire nelle situazioni umilianti cui spesso era costretto in ufficio. Carlo è ora a casa a fare crostate; Giulia ritorna riposata e felice di ritrovare i suoi cari cui comunica la decisione di ricominciare a fare l’avvocato.Carlo le propone come prima causa il reintegro di

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Sofia nella Family Market mentre lui e loro, espresso senza cadere lui cercherà di capire qualcosa del mai nei facili stereotipi cui questo tipo di storie ci aveva ormai assuo futuro. suefatto. Si ride spesso e si pensa anche: Il regista Alessandro Genovesi e Fabio De Luigi si la capacità da “assassino” del ritrovano insieme per la piccolo Tito di usare tutte le armi quarta volta a fare quello possibili e immaginabili; De Luche hanno già dimostra- igi alle prese con i denti finti che to di saper fare: la costruzione di rimpiazzano quelli veri abbattuti situazioni buffe, comiche e spesso da un colpo di mazza da baseball assurde intorno all’attore centrale, di un amico del ragazzino; il priappunto De Luigi, che le gestisce mo ciclo mestruale di Camilla con amabilità e precisione soft dei affrontato da padre e figlia con genuina, affettuosa asperità; il tempi comici perfetti. La conta dei disastri e delle tra- licenziamento della ragazza dal gedie sfiorate nella sarabanda fa- Family Market (che sarà gestito migliare è lunghissima ed è basa- da Giulia, nuovo avvocato), specta soprattutto su due elementi: la chio di una serie di rapporti confantasia cui De Luigi sa abbando- flittuali tra Carlo e l’equilibrio narsi e che è seguita perfettamente aziendale. Ecco, proprio quest’ultimo eledai suoi “ragazzini” e il progressivo miglioramento dei rapporti tra mento dà una diversa sterzata alla

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storia: il manager Carlo, grazie ai dieci giorni di fuoco passati con i figli, prende coscienza della falsità e dell’aridità in cui si sono incanalati i suoi rapporti di lavoro e preferisce favorire la veridicità e i valori della propria famiglia che sarà la base di nuove scelte e di una nuova vita. Niente male per essere un film comico. Fabrizio Moresco

di Tommaso Mottola

KARENINA & I

Origine: Norvegia, 2017

Gørild Mauseth cammina in bilico su un crinale innevato, accompagnata dalla voce narrante di Liam Neeson che recita un passo di “Anna Karenina”. L’attrice norvegese descrive l’avventura che dovrà affrontare: interpretare Anna Karenina in russo per il teatro di Vladivostok. Gørild è a Venezia e ascolta il testo del dramma in lingua originale. Sonia Bergamasco accoglie Gørild in casa sua: Sonia ha già affrontato questa sfida, mettendo in scena la sua Karenina svariate volte in Russia. Gørild racconta quindi la sua infanzia in Norvegia e il suo presente di attrice; sulla riva di un fiordo ascolta e ripete le parole di Anna, per prendere confidenza con la lingua. Il treno che la porterà in Russia è in partenza; Gørild non sarà sola: per tutti gli 11.000 chilometri

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di viaggio, suo marito e suo figlio la accompagneranno. Gørild legge il copione nella sua carrozza e prova a recitare qualche battuta in russo. Il viaggio è iniziato. La prima tappa è Murmansk, dove incontrerà Ivanova Ludmila, professoressa dell’università cittadina, e Veshniakova Tatiana, regista teatrale. I loro scambi di idee delineano la figura di Anna, donna sofferente in cerca d’amore. Gørild sbarca poi nelle isole Solovki, dove visita l’eremo di Philipovo, luogo sacro per la Chiesa Ortodossa e primo grande gulag istituito da Stalin. Frate Sebastian le mostra il monastero, immerso nella natura. Gørild riprende il suo viaggio: allo specchio, ripete le battute. Mentre il paesaggio russo scorre davanti ai suoi occhi, l’attrice prova per tutto il giorno la sua parte. Ecco San Pietroburgo, la città di Anna. Gørild si incontra con Julia Aug, famosa attrice russa, e la sua 27

Produzione: Gørild Mauseth per Orto Polare AS Regia: Tommaso Mottola Soggetto: dal romanzo omonimo di Leo Tolstoy Sceneggiatura: Tommaso Mottola, Gørild Mauseth Interpreti: Gørild Mauseth (Anna Karenina), Liam Neeson (Lev Tolstoj \ Narratore), Sonia Bergamasco (Se stessa), Fekla Tolstoy (Se stessa), Valentin Zaporozhets (Vronsky), Evgeny Veigel (Karenin), Vladislav Yaskin (Levin), Kristina Babchenko (Kitty), Denis Nedelko (Stephan), Yana Myalk (Dasha) Durata: 86’ Distribuzione: Lo Scrittoio Uscita: 9 marzo 2019

scenografa norvegese Milja. In un chiosco, le tre donne parlano intensamente della protagonista di Tolstoj e Gørild, ormai nella parte, si commuove. San Pietroburgo e la sua atmosfera completano la catarsi. Sulla tomba dello scrittore, a Yasnaya Polyana, Gørild assapora tutta la grandezza di Tolstoj.


Presentato al tredicesimo Biografilm Festival di Bologna nel 2017, Karenina & I è un lungo viaggio che mescola realtà e finzione, attrice e personaggio. L’idea nasce nel lontano 2012, afferma il regista Tommaso Mottola. In quel periodo sua moglie, la splendida e intensa Gørild Mauseth, portò in scena Anna Karenina in Norvegia ben 52 volte; la direttrice del teatro la invitò a portare con sé anche la sua famiglia in tournée. Mottola seguì la moglie in tutte le repliche e riuscì ad entrare nel personaggio e nella vicenda. Poco dopo, viene chiesto a Mauseth di recitare l’Anna Karenina anche in Russia, ovviamente imparando la lingua della protagonista. Mauseth accettò e Mottola decise di intraprendere un lungo viaggio filmato, dalla Norvegia a Vladivostok, ripercorrendo le orme di Tolstoj e della sua eroina. La docu-fiction, inizialmente pensata come un road movie, è stata realizzata grazie al crowdfunding. Ad arricchire un’opera di per sé molto interessante, la voce narrante di Liam Neeson: il premio Oscar, che accompagna Mauseth recitando le parole di Tolstoj, si è detto da subito entusiasta del progetto, tanto da diventarne produttore esecutivo. Karenina & I si apre con la neve e si chiude con la neve: la scelta di questa circolarità è molto importante, dice Mottola, perché riesce a mettere in contatto lo spettatore

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Il personaggio di Anna è nato lì, in quella proprietà. Gørild riparte alla volta di Mosca. Nella capitale, la accoglie Fekla Tolstoja, pronipote dello scrittore. Il tempo passa e Gørild ha paura di non riuscire a farcela: piange al telefono con Milja, nel bel mezzo della Russia (Novosibirsk). Finalmente Vladivostok: in teatro, Gørild risponde alle domande insistenti dei giornalisti durante la conferenza stampa. La compagnia si prepara per lo spettacolo. Gli attori provano i vestiti e le scenografie vengono allestite. Sul palco, Gørild cerca consigli dal regista e dai suoi preparatori. L’impresa è ardua. Manca poco alla prova generale e alla prima. Il regista avverte Gørild: se non riuscirà a migliorare la pronuncia, dovrà rinunciare al russo. È il momento dello spettacolo: la sala si riempie, gli attori vanno in scena. Il pubblico osserva pietrificato, ha occhi solo per Anna. Lo spettacolo è un successo. Gørild gioca sulla spiaggia con suo figlio, decisa a tornare nel suo villaggio d’origine. L’attrice recita in mezzo al nulla, nel deserto siberiano, con la neve che le accarezza il volto. Sola, ancora una volta, recita Anna Karenina.

di Francesco Invernizzi

con la storia raccontata. L’incredibile varietà di immagini scelte, dagli interni del treno, intrisi di intimità famigliare, al brullo paesaggio russo passando per le prove teatrali, accentua la singolarità dell’opera; al montaggio, non a caso, c’è Michal Leszczylowski che, tra le tante cose, ha lavorato con Bergman e Tarkovskij. Come il personaggio di Anna Karenina, che conosce ben cinque lingue, anche Karenina & I ne usa quattro: norvegese, italiano, russo e inglese. Questo dettaglio, da non sottovalutare, va a impreziosire il tema fondante del documentario e del viaggio di Mauseth: l’immedesimazione, la catarsi completa. Infatti l’attrice norvegese, totalmente a contatto con il personaggio che dovrà interpretare, sembra subire una vera e propria trasformazione: non è solo un viaggio da attrice, ma anche da moglie e madre. La sua volontà di riuscire a recitare in russo la spinge oltre ogni confine, a tal punto da confondere la realtà con la finzione e con la storia di Anna. Gli 11.000 chilometri che la separano da Vladivostok le insegnano a mettersi in discussione, a rielaborare il passato, a comprendere fino in fondo i suoi sogni. È così che, alla fine del viaggio, Mauseth sarà ancora più donna (come afferma lei stessa nel finale) e riuscirà ad accettare una parte della sua vita che aveva cancellato. Matteo Calzolaio

BERNINI

Origine: Italia,2018 Produzione: Magnitudo Film Regia: Francesco Invernizzi Soggetto e Sceneggiatura: Stefano Paolo Giussani Interpreti: Anna Coliva, Luigi Ficacci, Andrea Bacchi Durata: 83’ Distribuzione: Magnitudo film Uscita: 12 novembre 2018

“Nessun artista ha incarnato il Seicento come Gian Lorenzo Bernini, che ha lavorato per nove Papi e impresso in modo indelebile il suo stile sulla Città Eterna. E nessun luogo interpre-

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ta il suo genio e talento più della Galleria Borghese, la Villa - ora un museo - costruita dal suo primo mecenate, il cardinale Scipione Borghese. Bernini manifestò

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la sua genialità fissando la tensione e il dramma nella pietra e la mostra a lui dedicata alla Galleria Borghese è un’esperienza di quelle che capitano una volta sola nella vita”. Con questa citazione da un articolo de il New York Times, si apre il film Bernini. Al maggiore esponente del Barocco e, soprattutto, alla mostra dedicata alle sue opere allestita alla Galleria Borghese di Roma, nel 2017, per celebrare i vent’anni dalla sua riapertura, è dedicato il lungometraggio. I dettagli molto ravvicinati delle sculture, a concentrarsi sulle venature del marmo, tanto da non distinguere nessuna forma, lasciano il posto alle immagini che raccontano l’allestimento della mostra. Delle parole dello scultore lette in prima persona da una voce off, riecheggiano sulle inquadrature dei soffitti della Galleria Borghese. Queste memorie di Gian Lorenzo Bernini tornano durante il film e parlano del rapporto con il padre, colui che lo avvicinò al lavoro di scultore; narrano i miti che hanno ispirato i famosi gruppi scultorei che hanno dato la fama all’artista e raccontano del sodalizio con il cardinale Scipione Cafferelli - Borghese, che fu il suo principale committente, e del rapporto con la Galleria Borghese. La struttura del film si compone di nove sezioni di racconto, come spiega il regista nelle note di regia, che seguono le altrettante sezioni della mostra. Nel film sono inserite anche delle immagini di alcune vedute di Roma, i luoghi che più hanno ispirato l’artista e che lui stesso nel tempo ha contribuito a plasmare e rendere unici. Il racconto delle opere è affidato alla direttrice del museo romano

Anna Coliva, Luigi Ficacci e Andrea Bacchi, che si occupano di guidare lo spettatore e condurloall’interno del percorso della mostra, ma non solo. Viene raccontato anche l’edificio e il contesto storico nel quale l’artista ha operato. La narrazione si focalizza sulle opere: Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, Apollo e Dafne, il Davide. Prosegue poi con un racconto del Bernini pittore del suo periodo in Francia, con i “ritratti di teste con busto”, di cui è famosa l’espressività che lo scultore è riuscito a dare ai volti. Con una sequenza che ripercorre l’esposizione e la Galleria Borghese in tutto il suo splendore, si chiude il film. Presentato al cinema come evento durante quattro giorni nel novembre 2018 Bernini è una co-produzione Magnitudo Film, Lifi, Chili. Francesco Invernizzi, fondatore insieme ad Aline Bardella della stessa Magnitudo, ne cura la regia. Non è la prima volta che Invernizzi lavora a film incentrati sulla storia dell’arte e i suoi più famosi esponenti, sia come produttore che come regista, titoli quali: Caravaggio, l’anima e il sangue, Firenze e gli Uffizi, Musei Vaticani e Le Basiliche papali, all’ insegna dello slogan “The art of filming art”. Girato in 8K, il film lascia grande spazio alle immagini, è volto a offrire allo spettatore un’esperienza, tanto che, come dichiara lo stesso regista “si è scelto di filmare le sale di notte per creare un allure speciale e trasmettere allo spettatore l’idea di essere l’unico ospite in un momento magico della galleria”. I movimenti di macchina dai toni maestosi sono volti a enfatizzare il marmo e le statue, a

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seguirne le linee e i movimenti, grazie all’uso, per quanto riguarda i gruppi scultorei di maggiori dimensioni, di technocrane, steadycam e carrelli. Ciò conferisce al film un ritmo pacato ma fluido, come un brano di musica classica. Le interviste realizzate agli storici dell’arte, dal tono esplicativo, didattico e approfondito, sono realizzate nel pieno dello stile documentaristico classico. Le inquadrature delle opere coincidono molto spesso con ciò che viene narrato, lo spettatore ha così l’occasione di vedere da veramente vicino l’opera fino ad arrivare al dettaglio, le sculture di dimensioni più ridotte sono state, infatti, private delle teche e delle protezioni di sicurezza, conferendo, così, un punto di vista privilegiato. A metà strada tra il documentario e l’esperienza, il film dalla natura divulgativa, se pur realizzato con precisione, supplisce con la tecnologia utilizzata una (eventuale) mancata esperienza dal vivo, il risultato è uno strumento accurato e spettacolare che si accosta a un linguaggio televisivo mantenendosi nei confini di uno stile documentario classico. Paola Granato


di Xavier Gens Origine: Gran Bretania, Romania,Stati Uniti, 2017 Produzione: Motion Picture Capital, The Safran Company Regia: Xavier Gens Soggetto e Sceneggiatura: Chad Hayes, Carey W. Hayes Interpreti: Sophie Cookson (Nicole Rawlins), Corneliu Ulici (Padre Anton), Brittany Ashworth (Sorella Vaduva), Matthew Zajac (Vescovo Gornik), Ada Lupu (Sorella Adelina Marinescu) Durata: 90’ Distribuzione: Adler Entertainment Uscita: 14 febbraio 2019

Romania, 2004. Suor Adelina muore in seguito a un esorcismo praticato da Padre Dumitru, che viene arrestato, insieme alle suore che hanno assistito al rituale. Nicole, giovane giornalista americana, sceglie di indagare sul caso, ritenendo il sacerdote colpevole per aver crocifisso Adelina, lasciandola senza acqua e cibo per giorni. Partita per la Romania, la donna si dirige in carcere per intervistare Dumitru: Adelina era posseduta da un potente demone, Agares, che le ha impedito di nutrirsi per giorni. I primi sintomi della possessione risalgono a un viaggio della suora in Germania, dove si concesse a un uomo. L’esorcismo è fallito per l’intervento del Vescovo Gornik che, non credendo nella possessione, ha condotto la suora in ospedale. Il coro-

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CRUCIFIXION - IL MALE È STATO INVOCATO ner sostiene che Adelina è morta per collasso della laringe, sebbene non vi fossero segni di strangolamento o tumori laringei. Dumitru non gode di stima da parte della Chiesa; Gornik confida a Nicole che il sacerdote pratica esorcismi su gente non realmente posseduta, che si rivolge a lui in cerca di cure a causa del malridotto sistema sanitario rumeno. A Tanacu, Adelina conosce Padre Amont, preoccupato che il demone, non esorcizzato, possa possedere nuovamente per effetto del transfer, che può avvenire per contatto o per attrazione verso un’anima debole. La giornalista inizia a trovare delle mosche morte nella sua camera. Stefan e Suor Vaduva, il fratello e la miglior amica di Adelina, confermano la possessione della suora, ritenendosi contrari alla diagnosi di schizofrenia dato che, prima di partire per la Germania per lavorare come tata in una famiglia che aveva adottato due orfani, Adelina aveva superato un esame psicologico da parte dell’ambasciata tedesca; il peggioramento è iniziato a Tanacu, dopo il suicidio di Padre Gabrielle, prete che si era preso cura di lei e Stefan da bambini in orfanotrofio, considerato come un padre. Nicole confida ad Anton che sua madre è morta di cancro, evento che l’ha condotta a odiare Dio, dato che il genitore, ormai esausto, ha rifiutato un trattamento spirituale, affidandosi al volere divino; a causa della sua rabbia, Anton ritiene Nicole una preda del demone. La protagonista è costantemente seguita da uno zingaro, Tavian, ragazzo ritenuto fuori di testa. Vaduva confida a Nicole che Adelina ha avuto una relazione 30

in Germania, evento peccaminoso di cui il demone si è preso gioco. In ospedale, Adelina venne considerata schizofrenica a causa del risveglio delle paure infantili, inerenti al suicidio del padre e all’abbandono della madre, dopo la morte di Gabrielle. Nicole diventa preda dell’influsso maligno del demone. La ragazza scopre che sua madre è morta nello stesso giorno di Gabrielle e, secondo Anton, la sua presenza a Tanacu ha uno scopo. La giornalista capisce che Gabrielle era posseduto da Agares e, nel momento in cui Adelina ha abbracciato il suo corpo dopo il suicidio, è rimasta vittima del transfer. Nicole scopre che il padre di Tavian è stato l’ultima persona esorcizzata da Gabrielle; la ragazza viene posseduta da Agares e salvata da Anton, che riesce a portare a termine l’esorcismo. Ripresasi, Nicole confida di aver visto sua madre. Dumitru e le suore vengono condannati per omicidio e rilasciati dopo sette anni; ancora oggi, il prete pratica esorcismi a Tanacu. Xavier Gens, conosciuto per il suo Frontiers, realizza un horror piuttosto tradizionale, sceneggiato da Chad e Carey Hayes (sceneggiatori della fortunata saga di The Conjuring), basato su un reale caso di esorcismo avvenuto in Romania, dando vita a un’ulteriore suora demoniaca, villain ormai in voga nel genere (si pensi alla figura di Valakin The Conjuring 2 e The Nun, o a Suor Mary Eunice in Asylum, seconda stagione di American Horror Story). Le possessioni demoniache nel cinema, quando dignitosamente messe in scena, hanno avuto il

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merito di mescolare un impianto più spettacolare e orrorifico a un confronto riflessivo dello spettatore con le paure e gli interrogativi più arcani dell’essere umano (dal significato della Fede e della Spiritualità all’indagine degli angoli più oscuri della propria personalità), di cui L’esorcista di William Friedkin rimane l’esempio più emblematico; Crucifixion rientra in una logica di mera spettacolarizzazione dell’orrore fine a se stessa, impostasi con il passare del tempo nella comprensione delle potenzialità commerciali di un sottogenere che mira all’affetto spettatoriale nei confronti di un copione conosciuto a menadito, abbandonando una vena più personale e autoriale (salvo rare eccezioni, come The Blackcoat’s Daughter di OzPerkins).

Il pastiche narrativo ricalca film come L’esorcista 2- L’eretico di John Boorman (rievocato anche attraverso il volo iniziale della macchina da presa su Tanacu, similmente alle soggettive del demone Pazuzusorvolante i paesaggi africani) ma soprattutto The Exorcism of Emily Rose di Scott Derrickson (anch’esso basato su un vero caso di esorcismo); mentre Derrickson costruisce un clima sospeso tra razionalismo e superstizione, capace di terrorizzare anche nell’evocazione e nell’assenza visiva del Male, Gens è mirato maggiormente a un mero luna park sensoriale, fatto di balzi sulla poltrona e tentativi di turbare esplicitamente lo spettatore con particolari orripilanti (il pube di Adelina ricoperto di insetti durante una masturbazione), che

culminano con il fugace e deludente esorcismo di Nicole. Non mancano scelte narrative piuttosto retoriche (i raggi del sole che guidano Nicole come dita divine) nell’evoluzione della crisi spirituale della protagonista, turbamento piuttosto attendibile (si pensi a Padre Karras in L’esorcista, Padre Lamont nel sequel, Erin Bruner nel film di Derrickson), trattato approssimativamente tanto da rendere Nicole un’ombra artificiosa di un passato che è stato ma che continua a rivivere come un simulacro che non ha più nulla da raccontare, se non nella riproposizione di stilemi, costretti a deperire inesorabilmente sotto l’ombra dei propri avi. Leonardo Magnante

di Olivier Assayas

IL GIOCO DELLE COPPIE

Origine: Francia, 2018

L’editore Alaine lo scrittore Léonard hanno un confronto su argomenti di scottante attualità: la crisi dell’editoria tradizionale e l’avvento delle nuove tecnologie, riflettendo sul fatto che ci siano più persone che scrivono ma meno che leggono. Léonard sente particolarmente estranea questa società narcisistica in cui è cambiato il rapporto con l’arte e con gli artisti. Alla fine della chiacchierata, Alain dice a Léonard che non pubblicherà il suo ultimo libro. Alain torna a casa dove trova la moglie Selena, attrice protagonista di una serie televisiva di successo, che sta parlando con una blogger molto attiva in rete. La discussione verte ancora sui libri e sull’arte che secondo la ragazza deve essere gratuita. Il discorso si sposta poi sull’informazione nell’era di internet e sulla differenza tra

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notizie e voci diffuse in rete senza controlli. Selena dice di amare ancora i libri veri e di non riuscire a leggere i romanzi su supporti digitali. Si parla di Kindle e di e-book. Alain si chiede se non sia opportuno passare tutto in digitale: forse ci si libererà della fabbricazione e ci si concentrerà sull’essenziale. Ma Selena obbietta con questo punto di vista sottolineando come ormai tutto sia pensato perché nessuno esca più di casa. Rimasto solo con la moglie, Alain parla con lei del manoscritto dell’ultimo libro di Léonard. La donna cerca di convincerlo a cambiare la sua decisione e a pubblicarlo. Intanto, a casa sua, Léonard parla con la compagna Valérie di Alain e del suo spirito commerciale. Nella sua casa editrice Alain riceve una nuova collaboratrice, la giovane Laure, che si occuperà di attuare la transizione verso il di31

Produzione: Charles Gillibert per CG Cinéma; in Coproduzione Sylvie Barthet, Olivier Père per Vortex Sutra, Arte France Cinéma Regia: Olivier Assayas Soggetto e Sceneggiatura: Olivier Assayas Interpreti: Guillaume Canet (Alain), Juliette Binoche (Selena), Vincent Macaigne (Léonard), Christa Théret (Laure), Nora Hamzawi (Valérie), Pascal Greggory (MarcAntoine), Laurent Poitrenaux (L’autore a casa di Alain), Sigrid Bouaziz (L’editrice) Durata: 107’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 3gennaio 2019

gitale. Nello stesso momento Selena, al lavoro sul set, confida al regista che sospetta che il marito si veda con un’altra donna. Léonard si reca a un incontro letterario, c’è anche Selena. Alain va fuori città per una conferenza insieme a Laure e finisce a letto con lei.


Intanto a Parigi, Selena si incontra con Léonard: i due hanno una relazione clandestina che va avanti da anni. L’uomo parla a Selena del suo libro e del fatto che lui abbia messo un personaggio che ricorda lei nel romanzo. Dopo una cena da amici, Léonard e Valerie tornano a casa, lei gli chiede se la tradisce e gli ribadisce il suo amore. Alain e Selena si recano in campagna nella bella residenza del proprietario delle edizioni Berteuil. L’uomo confessa ad Alain di essere tentato di vendere la casa editrice, anche perché gli e-book su cui avevano scommesso sono in calo. Mentre tornano a casa, Alain e Selena parlano del manoscritto di Léonard, Punto finale. Poco dopo Laure annuncia ad Alain che andrà via dalla casa editrice, lui le fa un regalo. I due parlano della fine di un mondo. Léonard incontra Selena e le porta una copia del suo nuovo libro pubblicato. Dopo sei anni di relazione, lei lo lascia e gli chiede di non mettere questi accadimenti in un romanzo. Intanto Valerie incontra il suo datore di lavoro, un politico che ha bisogno di consigli. Tornata a casa, la donna ha un confronto con Léonard che confessa di avere avuto una relazione con Selena che ora è finita. Tempo dopo, Léonard e Valerie vanno a trovare Alain e Selena nella loro casa sul mare. I quattro continuano a parlare di libri e del futuro dell’editoria, forse il romanzo di Léonard diventerà un e-book letto da una famosa attrice.

Léonard e Valerie vanno via e si appartano in una pineta isolata: la donna gli confessa di aspettare un bambino da tre mesi. Léonard è felice e la bacia. Libri, blog, e-book, Kindle, editoria tradizionale contro nuovi mezzi di divulgazione digitale, ma non solo. Amore, fedeltà, tradimenti, bugie, Il gioco delle coppie (banalissima traduzione italiana dell’originale Double vies) di Olivier Assayas più che un film è un fiume in piena. Lunghe discussioni, flussi di parole e di coscienza, l’opera di Assayas è fatta di dialoghi, a due o corali, e il sottotitolo italiano scelto per il lancio è ingannevole: “una commedia parigina ai tempi di WhatsApp”. Perchè nel film non si discute tanto di amore e messaggi ma piuttosto di digitale e di cambiamenti. Quanto siamo capaci di adattarci al cambiamento? Lo abbracciamo o lo respingiamo? Questi sono, a detta del regista, i quesiti alla base del film. Per riflettere su come la digitalizzazione stia trasformando ogni aspetto delle nostre vite Assayas ha scelto di ambientare Il gioco delle coppie nel mondo della carta stampata perché noi tutti veniamo da una società basata sulla parola scritta: la stampa e la lettura sono da secoli il modo in cui ci siamo trasmessi le idee. Ma oggi? Ha senso discutere di ‘nuovi dualismi’ come libri contro Kindle, arte contro intrattenimento, blog contro letteratura? È un tema ampiamente dibattuto: tutti noi dobbiamo fronteggiare un cambiamento radicale, in cui tutto ciò che conoscevamo viene messo in discussione. Uno dei punti di forza del film risiede nel fatto che Assayas ponga particolare attenzione al tema della “finzione”. I cinque personaggi protagonisti giocano come in una finissima

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sciarada con verità e menzogne (le ‘doppie vite’ del titolo originale) e dibattono la questione della differenza tra ciò che è reale e ciò che viene percepito, tra post-verità e opinioni. “La verità e le menzogne sono un modo per venire a patti con la complessità e le contraddizioni dell’amore, del sesso, del rispetto per le persone con cui viviamo” ha osservato Assayas. Mostrare come il flusso di verità e menzogne sia stato cambiato nell’epoca della comunicazione via smartphone è uno dei punti cardine del film. Da queste nuove modalità di comunicare e di relazionarsi deriva anche un diverso modo di vivere l’amore, il tradimento e le sue conseguenze. Ed ecco la parola chiave, “connessione”. Parlando di connessione a diversi livelli, il film mostra i profondi mutamenti nel modo di esprimere i sentimenti e di vivere l’amore e i suoi cambiamenti nel tempo. Il regista mette in campo opinioni diverse, ma non giudica e non prende posizione. Il digitale e internet non sono il male assoluto ma sì, qualche preoccupazione dobbiamo averla: soprattutto avvertire l’urgenza di distinguere ciò che è la realtà da ciò che viene raccontato e percepito. La sostanza del film è non dare risposte ma solo far nascere domande e dubbi mostrando personaggi imperfetti, indecisi e talvolta anche spaventati. Assayas mette in scena quella èlite di intellettuali parigini benestanti e fedifraghi, un mondo che conosce bene. Lo scrittore Léonard, autore di libri che attingono sempre dalle esperienze personali perché convinto che si può scrivere soltanto di se stessi, sta a dimostrare l’assioma in base al quale la fiction viene dalla nostra esperienza. Non si può scrivere di un’emozione che non si è provata, essa è più vera della realtà perché trasforma l’emozione in una forma.

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Nel girotondo di personaggi messi in scena da Assayas, a giocare un ruolo cruciale è il ‘cambiamento’: stiamo perdendo l’amore (e la consuetudine) verso i libri di carta, ma il nuovo e-book stenta a decollare, perdiamo amori e sentimenti che dalla vita reale trasfe-

riamo alla dimensione del romanzo (con conseguenti travisamenti), viviamo il cambiamento dei confini tra il mondo dell’arte e quello della vita (tra ciò che è ‘creazione’ e ciò che non lo è). “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” è

la frase tratta da Il Gattopardo che il regista sceglie di menzionare nel finale del film. Niente di più puntuale, niente di più aderente al mondo in cui viviamo. Elena Bartoni

di Volfango de Biasi

L’AGENZIA DEI BUGIARDI

Origine: Italia, 2018

Titoli di testa sul nero. Un uomo amoreggia a letto con l’amante. La telefonata della fidanzata gli ricorda l’anniversario incombente. È in colpevole ritardo, i segni sul collo sono troppo evidenti. L’unica soluzione è chiamare Fred, titolare di un’agenzia che fornisce alibi e supporto ai propri clienti. È “L’agenzia dei bugiardi”. Fred, vestito da poliziotto, e Diego, da infermiere, accompagnano il ragazzo a casa sostenendo che sia stato vittima di un incidente. La fidanzata lo abbraccia lacrime agli occhi, il pericolo è sventato. Ad affiancare il bel titolare e il fidato collega, esperto di tecnologia, si aggiunge Paolo, fresco di assunzione e voglioso di imparare i trucchi del mestiere. Una mattina giunge in agenzia Alberto, serissimo professionista sposato da oltre trent’anni con Irene, famigerato giudice. L’uomo ha tuttavia perso da qualche tempo la testa per Cinzia, aspirante rapper e giovane avvenente. Alberto chiede aiuto a Fred per inventare un alibi in vista di un weekend romantico organizzato con l’amante che cade però proprio nel giorno dell’anniversario di matrimonio. Frattanto Fred inciampa casualmente in Clio, giovane di cui l’uomo si invaghisce da subito. I due si frequentano per qualche settimana, promettendo, però, di interrompere il rapporto allo scoccare del mese. Entrambi,

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infatti, sono stati feriti in passato e temono una delusione d’amore. Giunti al ventinovesimo giorno, tuttavia, i due si lanciano in un lungo, romantico bacio sotto la pioggia che ufficializza il loro amore. Clio decide di presentare Fred in famiglia. Il titolare dell’agenzia scopre però che Clio è figlia proprio di Alberto e Irene. L’uomo riesce ad allontanarsi insieme al potenziale suocero e lo invita a confessare tutto. Di rimando, Alberto lo minaccia di riferire alla figlia il suo vero lavoro. Fred ha infatti mentito a Clio, sostenendo di essere un agente di viaggi. Il contratto tra i due, dunque, regge. Per ora. Arrivati al fatidico weekend d’anniversario, Fred, aiutato da Diego, ha costruito un profilo social di Alberto su cui carica una serie di foto di un presunto convegno a cui l’uomo starebbe partecipando in quel di Rovigo. Alberto si trova in realtà in un lussuoso resort in Puglia assieme alla giovane amante. L’uomo non ha tuttavia previsto che la moglie Irene abbia prenotato una stanza proprio nel medesimo resort insieme alla figlia Clio. Alberto si accorge di tutto e contatta immediatamente Fred, che giunge sul posto insieme a Diego e Paolo. Il protagonista si finge un produttore discografico e riesce così a distrarre Cinzia, mentre Paolo tiene sotto controllo Clio, sempre più sospettosa non soltanto del padre, ma anche del fidanzato. Nel frattempo Alberto, costretto a passare 33

Produzione: Roberto Sessa per Picomedia, Medusa Film Regia: Volfango de Biasi Soggetto e Sceneggiatura: Volfango de Biasi, Fabio Bonifacci Interpreti: Alessandra Mastronardi (Clio), Giampaolo Morelli (Fred), Massimo Ghini (Alberto), Paoo Ruffini (Paolo), Carla Signoris (Irene), Diana Del Bufalo (Cinzia), Luigi Luciano (Diego), Paolo Calabresi, Antonello Fassari Durata: 102’ Distribuzione: Medusa Film Uscita: 17 gennaio 2019

del tempo con la moglie, si rende conto di amarla ancora. Il loro matrimonio è più forte che mai. Mentre Clio prosegue con le sue indagini, Fred finisce nelle grinfie di alcuni criminali locali insieme a Cinzia e, fuggendo, è vittima di un brutto incidente automobilistico. Clio, Alberto e Irene lo visitano in ospedale. La giovane coppia si giura amore eterno. Tutto sembra finalmente risolto, quando la ragazza, rientrata in hotel, stana il covo segreto dei tre furbacchioni e decide di denunciare tutto alla trasmissione “Le Iene”. L’agenzia ha chiuso per sempre. Qualche tempo dopo si scopre che Irene ha perdonato Alberto. La famiglia va in banca per alcune commissioni. Qui incontra Fred che chiede a Clio di perdonarlo, ma la ragazza rifiuta. Improvvisamente due banditi tentano una rapina. Fred difende Clio, immolandosi. La ragazza si lancia tra le sue braccia. I due si bacia-


no a lungo. Si trattava, tuttavia, di una messa in scena organizzata dalla nuova agenzia di Fred, Diego e Paolo, dedita, stavolta, a ricucire i rapporti amorosi. Sul video della hit di Cinzia, divenuta effettivamente una rapper di successo, scorrono i titoli di coda.

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Volfango De Biasi, autore e sceneggiatore classe ’72, torna dietro la macchina da presa a un anno da Nessuno come noi, abbandonando così la commedia romantica e riprendendo il discorso cominciato con Natale col boss (2015) e proseguito con Natale a Londra (2016). L’agenzia dei bugiardi, scritto al fianco di Fabio Bonifacci (Benvenuti al Nord, Il principe abusivo, Metti la nonna in freezer), possiede infatti - collocamento natali-

zio escluso - molte caratteristiche tipiche del cinepanettone, a partire dalla struttura a incastro, il cui esito sarà, inevitabilmente, la sovrapposizione delle vicende, la confessione dei peccati e il perdono finale. Di conseguenza la scrittura dei personaggi - un cast corale composto da Giampaolo Morelli, Paolo Ruffini, Herbert Ballerina, Massimo Ghini, Alessandra Mastronardi, Carla Signoris e Diana Del Bufalo, oltre ai camei di Piero Pelù e Nicolas Vaporidis - non può che muoversi seguendo la solita traccia, disegnando professionisti adulterini e cialtroni, naturalmente benestanti, intenti a nascondere i propri peccati, saltellando da una situazione all’altra, imboscandosi in stanze di alberghi lussuosi, mentendo a mogli e figli e rendendosi conto, alla fine della giostra, di possedere già ciò che bramavano, onde venir assolti dal solito salvacondotto finale in cui tutto è perdonato. A poco serve, dunque, il tentativo del regista romano, vincitore nel 2017 del David di Donatello per il documentario Crazy for Football, di modernizzare il tutto, aggiungendo, ai consueti ingredienti, gli immancabili social, l’uso degli smartphone, le

di Massimiliano Bruno

videochiamate, i profili fake, simulando così un discorso semi-serio sulla necessità delle menzogne, sulla complessità dei rapporti, sulla falsità delle apparenze ai tempi di Facebook o Instagram, discorso peraltro già ampiamente elaborato, tra gli altri, da Genovese con Perfetti sconosciuti. In L’agenzia dei bugiardi tutto è già stato detto, visto, raccontato. Possibile che persino gli stessi Boldi e De Sica, con il loro ritorno Amici come prima, abbiano sentito la necessità di svecchiare, dribblare, evitare il solito cinepanettone, intavolando un discorso sulla senilità - la loro e quella di un paese intero -, mentre autori (e produttori) assai più giovani perseverino ancora a battere un ferro non più caldo da tempo, inseguendo un’idea di cinema finita, rifiutata anche dal (poco) pubblico che ancora frequenta le sale cinematografiche? Inaccettabile, per finire, che nel 2019 si ritenga ancora “comico” far prendere a calci un cane o far soffrire di narcolessia uno dei personaggi. Prodotto da Picomedia e distribuito da Medusa, L’agenzia dei bugiardi è uscito nelle sale italiane il 17 gennaio 2019. Giorgio Federico Mosco

NON CI RESTA CHE IL CRIMINE

Origine: Italia, 2018 Produzione: Federica Lucisano per IIF Italian International Film con Rai Cinema Regia: Massimiliano Bruno Soggetto e Sceneggiatura: Massimiliano Bruno, Nicola Guaglianone, Andrea Bassi Interpreti: Marco Giallini (Moreno), Alessandro Gassman (Sebastiano), Edoardo Leo (Renatino), Gian Marco Tognazzi (Giuseppe), Ilenia Pastorelli (La donna del boss), Massimiliano Bruno (Gianfranco), Marco Conidi Durata: 102’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 10 gennaio 2019

Roma 2018. Tre amici, Moreno, Sebastiano e Giuseppe, cercano di sbarcare il lunario vendendo un tour nei luoghi che furono teatro delle gesta della banda della Magliana. L’attività dei tre è oggetto delle prese in giro dell’amico d’infanzia Giancarlo che nella vita si è realizzato. Durante una pausa in un bar, per sfuggire alle chiacchiere di Giancarlo i tre si introducono in un cunicolo alla fine del quale si ritrovano all’improvviso nell’esta-

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te del 1982, quella dei Mondiali di Spagna. Entrati nello stesso bar, i tre scoprono che è il 29 giugno, giorno della partita Italia-Argentina. I tre vengono avvicinati dal boss della banda della Magliana Renatino De Pedis che gestisce il traffico delle scommesse clandestine sul calcio Dal momento che Moreno è in possesso di 500 mila lire acquistate su eBay, i tre pensano di sfruttare la loro conoscenza

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dei fatti recandosi in una bisca a scommettere il denaro sulla vittoria dell’Italia per 2 a 1. Dopo aver vinto, vanno in una discoteca a festeggiare. Nel locale Sebastiano fa la conoscenza di una provocante ballerina con la quale si apparta nel suo camerino. La ragazza gli ruba la fede succhiandogli un dito. I tre festeggiano la vincita della scommessa brindando con costosi spumanti: a fine serata il conto è salatissimo. Ai tre amici mancano più di cinque milioni e hanno solo 36 ore di tempo per trovare i soldi e saldare il debito. In un magazzino i tre si imbattono in due ragazzini, uno dei quali è l’amico Giancarlo da piccolo. Il ragazzo è già interessato agli oggetti tecnologici e i tre gli mostrano uno smartphone. Sebastiano si reca a casa della ragazza ma lì arriva Renatino, il fidanzato della donna. Dopo che la giovane è riuscita a calmarlo, il boss se ne va e prende in ostaggio Giuseppe. Il giorno dopo Moreno e Sebastiano sfruttano il vantaggio di conoscere il luogo dove Renatino tiene il suo tesoro. Recatisi in una cappella della basilica di Sant’Apollinare, vanno a prelevare il denaro necessario a pagare il debito. Sul finire della partita tra Argentina e Brasile, i due si presentano nel bar con i soldi, Giuseppe viene rilasciato. Ma quest’ultimo si lascia sfuggire la rivelazione di un gol dell’Argentina in anticipo e Renatino blocca i tre. Ma qualcosa va storto perché il ‘Sorcio’, uno dei componenti della banda che di lì a pochi giorni avrebbe fatto una soffiata alla polizia, viene ucciso a sangue freddo da Renatino perché geloso della sua ragazza. Il malavitoso decide di sfruttare le doti di preveggente di Giuseppe che afferma che l’Italia farà tre gol scommettendo sulla prossima partita contro il Brasile. Il boss vuole vedere la partita con Giuseppe. Intanto Moreno e Sebastiano pen-

sano di fare la soffiata loro al posto del ‘Sorcio’. Dopo aver litigato con Renatino, la sua fidanzata è in possesso delle chiavi del magazzino sul retro del bar che potrebbe riportare i tre in avanti nel tempo. Sebastiano tenta di sedurre la ragazza per prendere la chiavi ma il suo maldestro tentativo fallisce. Il giorno dopo Renatino porta i tre a fare una rapina con la banda, travestiti da un gruppo rock. Gli amici riescono a scappare col bottino. Ma il boss cattura Moreno e Sebastiano, Giuseppe e la ragazza vanno a liberarli ma il boss spara ai due. Dopo qualche ora, Giuseppe si rende conto che Renatino aveva sparato con una pistola giocattolo cinesee che i due amici sono vivi. Durante la partita dell’Italia, i tre organizzano il loro ritorno nel futuro azionando un esplosivo vicino al tunnel temporale. Allo scoppio della bomba, i tre riescono a tornare nel futuro. Nel 2018 l’inseguimento continua, i tre amici sono in auto diretti a Montecarlo per andare a prelevare la ragazza. Ma non si sono accorti che l’auto di Renatino è alle loro costole. Un altro viaggio nel tempo, questa volta tutto da ridere. Non ci resta che il crimine parte da due belle idee: un omaggio (fin dal titolo) al viaggio di quell’irraggiungibile capolavoro comico di Non ci resta che piangere e uno sfruttamento del grande interesse suscitato dalle gesta della banda della Magliana iniziato qualche anno fa con il libro di Giancarlo de Cataldo e proseguito con un film e una serie televisiva di successo. Un viaggio nel tempo nei mitici primi anni Ottanta (tanto di moda negli ultimi tempi) e le gesta di EnricoDe Pedis detto Renatino e compagnia criminale frullate insieme danno il via a una serie di eventi, luoghi, mode, musiche, che anima-

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no la commedia di Massimiliano Bruno (che si ritaglia anche un ruolo) interpretata da beniamini del grande pubblico come Marco Giallini, Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi. Se a tutto questo si aggiunge la suggestione dell’indimenticabile estate del 1982 segnata dall’impresa vittoriosa della nazionale italiana di calcio nel Mondiale di Spagna, il piatto è completo, a garanzia di grande successo di pubblico in cerca di risate scacciapensieri. Peccato per qualche trovata meno convincente nella sceneggiatura scritta a quattro mani da Andrea Bassi, Massimiliano Bruno, Menotti e Nicola Guaglianone: in alcuni passaggi il racconto manca di continuità, qualche pretesto narrativo è messo lì senza un perché (il motivo per cui Moreno abbia acquistato 500 mila lire su eBay resta un mistero) e qualche errore è un po’ grossolano (ma perché le batterie degli smartphone dopo un viaggio nel tempo e il passare dei giorni non si scaricano mai?). Se nella stessa stagione cinematografica Virzì è tornato alla Roma estiva dei mondiali del ’90 per fare un tuffo nel mondo del cinema della capitale di allora, Bruno fa un salto ancora più indietro a un’altra estate mondiale (ben più gloriosa). Ma al di là della Roma passata più felice (e più in salute) di quella di oggi, qui a far entrare il film nel clou dell’azione non è tanto un assist di Bruno Conti, ma la pesante mano della malavi-


ta romana nella figura di spicco di Renatino De Pedis. Ed ecco che, quando la commedia si contamina con il poliziottesco e alle battute seguono inseguimenti, rapine, minacce, il film acquista ritmo e verve. Anche gli espedienti cinematografici omaggiano quell’epoca gloriosa: zoom sulle facce dei malviventi, tendine, split-screen, ma non solo. Altro ingrediente fondamentale sono le canzoni pop di un’era musicalmente frizzante: dai Kiss ai Duran Duran fino ai Figli delle stelle di Alan Sorrenti. Sul fronte degli attori Massimiliano Bruno gioca sul sicuro: il mattatore Marco Giallini perfettamente in parte nei panni del

di Wim Wenders Origine: Romania, Svizzera, Città del Vaticano, Italia, 2018 Produzione: Wim Wenders, Samanta Gandolfi Branca, Alessandro Lo Monaco, Andrea Gambetta, David Rosier per Célestes Images, Centro Televisivo Vaticano, Solares Fondazione Delle Arti, PTS Art’s Factory, Neue Road Movies, Fondazione Solares Suisse, Decia Films Regia: Wim Wenders Soggetto e Sceneggiatura: Wim Wenders, David Rosier Durata: 96’ Distribuzione: Universal Pictures Uscita: 4 ottobre 2018

La voce del regista - che parla in italiano - introduce la figura di San Francesco mentre un drone vola intorno ad Assisi. Ottocento anni fa il santo ha risposto alle domande che ancora oggi assillano l’essere umano. Dagli affreschi giotteschi le immagini si spostano a una ricostruzione in costume e in bianco e nero che ritorna al momento della prima vocazione del santo. È il primo segmento di un leitmotiv che tornerà

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cialtrone Moreno, la sua consolidata spalla comica Alessandro Gassman questa volta nel ruolo di un bamboccione imbranato con un matrimonio in crisi, un misurato Gianmarco Tognazzi nel ruolo di un commercialista sfigato e vessato dal suocero. Accanto a loro, un sorprendente Edoardo Leo nei panni del criminale Enrico De Pedis (noto come Renatino) e una sexy Ilenia Pastorelli nel ruolo della stupida ‘pupa’ del boss (da segnalare la sua apparizione fasciata nei panni della mitica tutina con cui Heather Parisi cantava Disco Bambina). Davvero esilarante in alcune sequenze (una per tutte, la rapina

con travestimento da Kiss), il film indovina qualche trovata sfruttando l’andirivieni nel tempo (come la ripetuta citazione di un ‘tormentone’ futuro come il brano Tre parole di Valeria Rossi) e dispensa risate facili e un ritmo sostenuto senza tempi morti. In questi tempi difficili e incerti allora forse davvero non ci resta che... ridere con un film leggero e nostalgico che scivola giù come un bicchiere di bollicine e fa sorridere pensando a un passato ormai lontanissimo in cui forse, bande criminali a parte, le amicizie erano più vere e i campioni dello sport eroi più autentici. Elena Bartoni

PAPA FRANCESCO - UN UOMO DI PAROLA a punteggiare tutto il film fino alla conclusione. Dal bianco e nero si passa al colore e ci si ritrova in Argentina, Buenos Aires, Plaza de Mayo: è il 1999 e il vescovo Bergoglio tiene un pubblico discorso in piazza, segnalando un registro diverso rispetto al canone della comunicazione ecclesiastica. Nuovo salto temporale, 2013, Roma, Piazza San Pietro: Josè Mario Bergoglio è nominato Papa con il nome di Francesco. Oggi, nel primo frammento di un’intervista che Wenders ha registrato durante alcuni incontri con il pontefice, Bergoglio - che si esprime in spagnolo, sua lingua madre - parla della necessità per la Chiesa e per i suoi sacerdoti di imparare ad ascoltare per raggiungere l’atteggiamento di tenerezza che Dio ha per l’uomo. Solo a questo punto compare sullo schermo il titolo del film. All’incontro con i bambini nell’aula Paolo VI in Vaticano, il Papa parla della povertà. Di qui

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inizia un segmento nel quale Bergoglio parla della Curia romana come di un piccolo modello della Chiesa universale che a sua volta viene paragonata a un corpo affetto da malattie. Inizia una collezione di riprese di repertorio sui viaggi e le visite pastorali del Papa nel mondo che si alternano alle sezioni dell’intervista di Wenders, costruendo un modulo in parti che si ripete: campo accoglienza migranti a Roma, favela di Rio de Janeiro, Scampia, sobborgo di La Paz in Bolivia. Bergoglio, nell’indicare una possibile strada per sfuggire alla schiavitù del denaro, parla delle tre T (in lingua spagnola): lavoro - perché la cosa più nobile che possa fare l’uomo è creare con le sue mani imitando Dio -, la terra - il lavoro legato alla fecondità del Creato - e il tetto - la casa, la famiglia. Poi viene il tema molto caro al Papa della questione ecologica, la sua enciclica sull’ambiente. È

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il maggio 2015 e pochi mesi prima della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, viene pubblicata Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune. Viene mostrata la visita del Papa presso la sede centrale dell’Onu a New York dove il pontefice parla in opposizione alla cultura del consumo e dello scarto. Uno dei momenti di rievocazione in bianco e nero torna allora a San Francesco e al suo Cantico delle creature, “la prima poesia in italiano”. Viene poi una sezione del film dedicata al rapporto del Papa con i detenuti: prima le immagini della visita al carcere di Poggioreale, a Napoli, poi un altro incontro nella prigione statunitense di Philadelphia. Viene poi l’unica testimonianza del film: Suor Eufemia, vecchia amica del pontefice, che ricorda il primo incontro nel 1969. In una delle conferenze stampa tenute a bordo dell’aereo del Papa, Bergoglio risponde ai giornalisti sulla questione degli omosessuali, rifiutando il giudizio e auspicando integrazione. Di lì, nel ritorno alle parole della lunga intervista, Papa Francesco parla della necessaria complementarietà tra uomo e donna, della riprovevole nefandezza della pedofilia come tradimento della fiducia dei più indifesi, i bambini, e della necessità da parte della Chiesa di trattare senza riguardi i sacerdoti colpevoli di questi crimini. Ancora i viaggi e le visite pastorali: nelle Filippine dopo il tifone, in un ospedale pediatrico nella Repubblica Centrafricana, a Gerusalemme, al monumento Yad Vashem in memoria delle vittime dell’Olocausto. Bergoglio parla a Wenders della morte, l’inevitabile passaggio per qualsiasi essere umano, e anche per lui. Viene infine il tema dei migranti e della pace tra le religioni e i popoli, le visite al Congresso e a Ground Zero, negli Stati Uniti, il viaggio in Terra Santa. Prima della fine il film torna ad Assisi e a San Francesco: la voce

del regista torna a ricostruire una sintesi del profilo del pontefice e una sintesi della sua opera sulla via di una riforma della Chiesa e di una rivoluzione evangelica proposta a tutto il mondo seguendo il cammino iniziato dal santo di Assisi. Wim Wenders, reduce da una serie di cineritratti di illustri artisti (da Pina Bausch a Juliano Salgado), viene invitato a lavorare al film su Papa Francesco da Mons. Dario Viganò, all’epoca prefetto della Segreteria della Comunicazione presso la Santa Sede. Il progetto procede grazie al lavoro produttivo di Samanta Gandolfi Branca, Alessandro Lo Monaco, Andrea Gambetta. Anche il regista Wenders e il co-sceneggiatore David Rosier sono intervenuti come produttori. Le riprese con il Papa divise in quattro sessioni - iniziano nel marzo del 2016 e si chiudono nell’agosto del 2017 producendo otto ore di girato. Il resto del film Wenders lo ha costruito in buona parte selezionando e montando materiali di repertorio e documenti d’archivio e poi girando, per lo più in Umbria, immagini illustrative sui luoghi francescani e la serie di ricostruzioni delle scene di vita di San Francesco d’Assisi affidate a un gruppo di attori italiani e postprodotti in modo da farle sembrare brani di un vecchio film in pellicola. Opera su commissione esplicitamente compilativa, documentario dalla forma legata più al gusto della televisione d’autore che alla complessità e alla raffinatezza del cinema, mostra il nitore e la chiarezza tipici di un film “di servizio”, un congegno discorsivo non ridotto alla mera e vieta illustrazione apologetica, e una scrittura non priva di qualche snodo suggestivo. Wenders - che per l’occasione accetta di usare la sua voce e la lingua italiana - torna su temi che gli sono

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storicamente cari, come le origini nobili e la necessità politica oltre che culturale dell’Europa, nazione di nazioni; la questione ecologica e ambientale, la differenza culturale, una spiritualità ecumenica. Il filo del discorso viene imbastito su due linee che seguono l’una all’altra, finendo poi per intrecciarsi: da una parte lo sguardo critico e autocritico sul ruolo dei consacrati, dei sacerdoti, della Chiesa nel suo complesso come corpo di mediazione e di guida rispetto a Dio e alla sua promessa; dall’altro la disamina politica, filosofica, culturale di alcuni dei temi fondamentali del mondo moderno, ricondotti sempre a una prospettiva coerentemente interna a una vita fondata sulla fede e sulla speranza. Se i materiali di repertorio sono fin troppo esplicitamente corredo strumentale, apparato di rappresentazione e rappresentanza, catalogo illustrato che mette in mostra le gesta dell’eroe, della star - il Papa -, dall’altra il baricentro del film si poggia tutto sulla laconica intensità dell’intervista al pontefice, ripresa attraverso un trucco che permette all’intervistato di guardare contemporaneamente gli occhi del regista interlocutore e il centro dell’obiettivo, puntando così perfettamente anche lo sguardo dello spettatore: oltre la forza affabulatoria, la densità umana e la brillantezza spirituale delle parole di Papa Francesco, c’è la lucidità e la giustezza di una “messa in situazione” e poi di un montaggio attraverso i quali davvero Wenders mette il proprio lavoro al servizio di una missione. Silvio Grasselli


di Adina Pintilie Origine: Romania, Germania, Repubblica Ceca, Bulgaria, Francia, 2018 Produzione: Adina Pintilie, Bianca Oana, Philippe Avril per Manekino Film, Les Films de L’étranger, Rohfilm, Agitrop, Pink Productions Regia: Adina Pintilie Soggetto e Sceneggiatura: Adina Pintilie Interpreti: Laura Benson (Laura), Tómas Lemarquis (Tudor), Christian Bayerlein (Christian), Irmena Chichikova (Mona), Hanna Hofmann, Seani Love (Seani Love), Rainer Steffen (Stefan), Georgi Naldzhiev (Gigolo), Annett Sawallisch (Infermiera), Grit Uhlemann (Grit), Dirk Lange (Radu), Hermann Mueller (Paul) Durata: 125’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 14 febbraio 2019

Laura non sopporta di essere toccata, tanto da soddisfare il suo piacere pagando uomini che si masturbano di fronte a lei. Adina, la regista del film, le confida di non saper spiegare lo scopo del suo documentario, in quanto appartenente a una dimensione intima, accessibile attraverso il sogno e inesprimibile a parole. Nella clinica dove il padre di Laura è ricoverato, un gruppo di soggetti partecipa a un laboratorio di body work therapy per vincere la paura di toccare ed essere toccati, tra cui Tómas e Christian, rispettivamente afflitti da alopecia e da gravi deformazioni fisiche. Laura contatta un trans, Hanna, che accetta di spogliarsi di fronte a lei e a cui confida di non conoscere affatto il corpo che abita ogni giorno. Al contrario, Christian, nonostante il suo handicap,

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OGNUNO HA DIRITTO AD AMARE - TOUCH ME NOT è in confidenza con la sua corporeità grazie all’autoerotismo e al sesso. Pedinato da Laura, Tómas segue una donna da cui è attratto e con cui ha passato una notte insieme, confidandole i turbamenti per la sua alopecia, malattia che inizia ad accettare. La donna gli ha confessato di non accettarsi per i suoi capelli troppo scuri e la carnagione pallida. Laura confida ad Adina di non essersi mai sentita libera, neanche dopo aver raggiunto la maggior età; la donna inizia a intraprendere una touchtherapy ma quando il coach tenta di toccarla, inizia a urlare, mostrando una rabbia repressa e inattesa, con cui Adina è in sintonia. Tómas confessa che il suo blocco emotivo è dovuto a sua madre, che ha sempre cercato di nascondere i suoi turbamenti, ma grazie a Christian ha capito che la percezione di emozioni negative non è un male. L’amico lo invita a svincolarsi dal manicheismo, meramente cristiano, di bene e male, accettando le sfumature della vita. Sebbene la donna amata gli ordini di non chiamarla più, Tómas (pedinato da Laura) la segue in un sex club in cui vengono soddisfate le più recondite perversioni dei clienti; nel locale sono presenti Hanna e Christian, che confida a Tómas di essere un cliente abituale, considerando il sesso come un’arte capace di condurre a uno stato di meraviglia. Christian inizia una relazione con una donna del gruppo e invita il pubblico del film a celebrare il proprio corpo ogni giorno, considerando la vita come un tragitto per sperimentare questo dono. Durante la touchtherapy, Laura comprende che la sua rabbia repressa è legata a suo padre; decisa a lasciarsi il passato alle spalle, la 38

donna lo va a trovare per l’ultima volta. Tómas soddisfa il suo piacere osservando la sua ex mentre domina e si lascia dominare nel sex club. Laura incontra Tómas e gli chiede di guardarla nuda, nonostante la vergogna; superati i loro limiti, i due fanno sesso. Adina rimane colpita da come aspetti che credeva di conoscere abbiano rivelato sfumature inattese, tra cui la falsa mitizzazione dell’amore, carico di emozioni contrastanti come rabbia, colpa e violenza, un turbinio che la spaventa a tal punto da temere se stessa e la schisi tra la sua identità e l’immagine che l’altro ha di lei. Vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino 68, il film (il cui titolo originale è il più esemplificativo Touch me not) nasce come esplorazione personale di Adina Pintilie, durata sette anni, sull’amore, sull’intimità e sul desiderio, aspetti che, ritenuti da sempre conosciuti e assoluti, hanno rivelato le loro nuances nel tempo; la regista realizza un film a cavallo tra documentario e finzione, amalgamando interpreti professionisti e non (Tómas Lemarquis è apparso in film come X-Men: Apocalypse e BladeRunner 2049) e mescolando aspetti reali della vita dei personaggi (come l’alopecia di Tómas) ad altri romanzati. L’intimità che il film e i suoi personaggi ricercano appare in contraddizione con uno sguardo ossessivamente voyeuristico, che si scaglia sui personaggi costantemente, sottomettendoli alla scopofilia della camera e di altrettanti soggetti, sia nella diegesi (Laura che spia Tómas mentre pedina la donna amata), sia nel rapporto

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metalinguistico instaurato con la troupe, che osserva ogni particolare della loro vita, in un confine labile tra realtà e finzione (si pensi all’apparizione di un membro della troupe nella sequenza della touchtherapy di Laura, momento apparentemente di finzione, oppure alla rivelazione del dispositivo cinematografico nel sex club). Nonostante le emozioni siano centrali nell’analisi della regista, la messinscena è totalmente nichilista e alienante, dominata da una glacialità che sembra concretizzare la paralisi emotiva dei personaggi, come il bianco accecante degli interni e il silenzio tanatologico, rotto da un sonoro inquietante, costellato da sospiri a cavallo tra desiderio sessuale e rantoli demoniaci, e dal

brano Mela Mela Melancholia di Einstürzende Neubauten. La centralità del corpo emerge sin dalla sequenza d’apertura, dove una nudità maschile è esplorata dalla macchina da presa, estremamente ravvicinata, che la indaga come un territorio inesplorato; la vicinanza della camera restituisce un contatto scopofilo accentuato, sebbene l’inquadratura non perfettamente a fuoco, sembri restituire un’incapacità di piena appropriazione visiva dell’oggetto del desiderio, similmente all’estetica di due cineasti come HélèneCattet e Bruno Forzani per il loro Amer, in cui gli effetti fotografici esplicitano l’incapacità di un contatto, anche solo visivo, con un desiderio represso. Il corpo è mo-

strato sia nei suoi aspetti sensuali che disturbanti: dalla nudità del fisico sfiorito di Laura a quello menomato di Christian, dalla carica erotica dell’escort pagato dalla protagonista alla ricerca della femminilità di Hanna (che tratta il suo pene come una clitoride), dalla sensualità della donna amata da Tómas, mascolina e femminile al contempo (si pensi a come domini e si lasci dominare contemporaneamente) all’attenzione certosina, demoniaca e al contempo estetizzante, sui corpi dei clienti del sex club, tra cui quello di una donna appesa durante un rapporto BDSM, contemplata quasi come un’opera d’arte. Leonardo Magnante

di Hervé Mimran

PARLAMI DI TE Alain Wapler è un manager di successo, amministratore delegato di unanota casa automobilistica. Brillante oratore, è sempre in corsa contro il tempo. Nella vita non ha spazio per niente e nessuno, neanche per sua figlia. Un giorno viene colpito da un ictus che lo costringe a interrompere la sua frenetica attività. Ripresosi in pochi giorni, Alain ha subito però danni alla memoria e soffre di difficoltà nell’espressione verbale. La sua rieducazione è affidata a Jeanne, una giovane ortofonista. La donna ha vissuto un’infanzia difficile, è stata affidata a genitori adottivi dopo essere stata abbandonata dalla madre biologica. La terapia cui Jeanne sottopone Alain consiste nel creare nuove connessioni nel linguaggio. Dopo qualche giorno di ricovero Alain firma per tornare a casa dove continuerà la sua rieducazione con Jeanne. Ansioso di riprendere il suo lavoro, Alain trasferisce l’uffi-

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cio in casa. Non ricordandosi nulla neanche di casa sua, viene guidato dalla figlia Julia. Alain ha solo quindici giorni di tempo per imparare un’importante presentazione da esporre a Ginevra in occasione del lancio di una nuova auto ibrida. Dopo varie esercitazioni, Alain chiede a Jeanne di accompagnarlo in Svizzera. Arrivato al Salone dell’auto, il manager si accorge che i vertici della casa automobilistica hanno annullatola conferenza stampa per farlo parlare il meno possibile. Jeanne confida a Alain di essere stata abbandonata dalla vera madre dalla nascita. Alla presentazione della nuova auto, Alain riesce comunque a cavarsela grazie alla vicinanza di Jeanne. Tornato a Parigi, Alain viene licenziato: la motivazione è che non può esserci una persona debilitata ai vertici dell’azienda. La vita di Alain cambia improvvisamente. Spaesato anche nei dintorni di casa sua, l’uomo si reca a un centro per l’impiego dove l’impiegato che ascolta la sua storia gli consiglia 39

Origine: Francia, 2018 Produzione: Sidonie Dumas, Matthieu Tarot per Lbertine Productions, in Coproduzione con Gaumont, France 2 Cinema Regia: Hervé Mimran Soggetto e Sceneggiatura: Hervé Mimran, Hélène Fillières Interpreti: Fabrice Luchini (Alain Wapler), Leïla Bekhti (Jeanne), Rebecca Marder (Julia), Igor Gotesman (Vincent Houbloup), Clémence Massart (Violette), Yves Jacques (Eric), Micha Lescot (Igor), Frederique Tirmont (Aurore), Evelyne Didi (Annie, madre di Jeanne), Baya Rehaz (Assistente sociale) Durata: 100’ Distribuzione: Bim Distribuzione Uscita: 21 febbraio 2018

di fare molto esercizio con la sua ortofonista per superare i disturbi del linguaggio prima di tornare a lavorare. Alain torna a fare sedute con Jeanne. La figlia Julia lo aiuta a non perdersi dandogli un taccuino con una mappa utile a ritrovare la strada di casa e gli consiglia di scrivere le parole che non riesce a pronunciare. Julia gli chiede di accompagnarla alla finale del concorso di elo-


quenza per cui si sta preparando da mesi. Ma il giorno della tanto temuta prova, Alain si perde e non riesce a raggiungere in tempo la figlia. La ragazza, sfiduciata dall’ennesima assenza del padre, abbandona il concorso. Alain torna a casa tardi e Julia lo incolpa dinon esserci mai stato per lei e per nessuno della sua famiglia. Alain incontra Jeanne e si fa accompagnare a comprare l’attrezzatura necessaria per intraprendere il lungo cammino per Santiago di Compostela. L’uomo continua insieme alla ragazza la sua rieducazione linguistica. Alain parte da solo e intraprende il cammino di Santiago di Compostela mentre Jeanne in città riceve la visita improvvisa della vera madre. Julia legge il taccuino del padre e capisce molte cose; la ragazza decide di raggiungerlo. Padre e figlia continuano il cammino insieme. Julia mostra al padre il suo taccuino e gli dà una lettera in cui Jeanne lo ringrazia di averla aiutata a ritrovare la madre. La fonte d’ispirazione del film è una storia vera, letta dal regista Hervé Mimran in un articolo del 2013 di Le Monde. Nel 2008 Christian Streiff, grande manager ex presidente di Airbus e di PSA Peugeot Citroën, fu vittima di un ictus e fu costretto a nascondere la sua malattia per diversi mesi prima di farsi licenziare in meno di due ore. A Mimran e al produttore Matthieu Tarot venne in mente di incontrare l’ex manager per convincerlo a dare

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il consenso di raccontare in un film una vicenda ispirata al suo vissuto. Oltre ad ottenere il permesso di usare la sua storia, il regista gli ha anche affidato un piccolo ruolo (in una scena che si svolge in un centro per l’impiego). Parlami di te parla della fragilità della vita e dell’essere umano: attorno al protagonista Alain, vittima di un ictus, improvvisamente tutto si sgretola. Certo, il tema della corsa sfrenata al successo, al denaro, alla realizzazione, in cui molti uomini dimenticano di fermarsi a riflettere su quello che sono e su ciò che desiderano veramente, ha avuto molte declinazioni sul grande schermo. Come non ricordare una pellicola come A proposito di Henry di Mike Nichols in cui un noto avvocato, coinvolto in una sparatoria, perdeva la memoria e restava parzialmente paralizzato:un processo di lenta riabilitazione e il recupero delle facoltà mentali lo mettevano di fronte alla sua personalità. Anche in quel filmun uomo di successo era costretto a rivedere la sua vita in favore di una nuova esistenza in cui imparava a dare il giusto peso alle cose che contano davvero. Scrivendo la sceneggiatura da solo (con la collaborazione per i dialoghi di Hélène de Fillières) e rinunciando alla sua collaudata collaborazione con Géraldine Nakache (i due hanno realizzato insieme Tout ce qui brille e Nous York), Mimran opta per toni da commedia pur partendo da uno spunto drammatico, definendo il suo film una “commedia sulla ricostruzione”, una storia proiettata in avanti che non ristagna nella tristezza. La maniera in cui comunichiamo ci inserisce in una categoria sociale o in un’altra, ha sottolineato Mimran. In questo senso diventa una parabola esemplare la storia di un uomo che ha basato gran parte del suo successo sulle sue capacità oratorie che improvvisamente perde l’uso del mezzo che lo 40

ha collocato nel suo status sociale privilegiato. Dopo l’ictus, Alain storpia le parole, anche in maniera buffa, ma paradossalmente inizia davvero a comunicare i suoi sentimenti alle persone, in primo luogo alla sua ortofonista. L’uomo di potere, dedito esclusivamente al lavoro, finalmente si concede di vivere il suo tempo. Al di là di uno svolgimento che può apparire fin troppo scontato raccontando una storia di cambiamento e conseguente redenzione, il film ha il pregio di veicolare messaggi importanti: quanto il potere sia illusorio, una cosa che si perde molto in fretta così come lo si è ottenuto, per questo è necessario avere delle basi su cui rifugiarsi. Quando queste mancano, come nel caso del protagonista, è arduo ma non impossibile ricostruirle. Ma ciò che sorprende di più nel film di Mimran è la prova di Fabrice Luchini: attore di gran classe e noto per le sue capacità oratorie (nel cinema come nel teatro classico francese), spiazza tutti scegliendo di portare sullo schermo proprio l’afasia. Le parole scambiate, la frattura fra ragionamento ed espressione, i giochi verbali cui dà vita il suo personaggio trasudano una comicità lunare e lo collocano in bilico tra tenerezza e sorrisi, cinico manager nei primi minuti di film (Un homme pressé è il titolo originale) e uomo fragile subito dopo. E così il grande Luchini si prende letteralmente il film sulle spalleregalando una provada applauso, lasciando in secondo piano la banalità di una storia di ritrovamento esistenziale di un uomo troppo assorbito dal suo ruolo professionale. Anche quando la strada per ritrovare se stesso (e naturalmente una figlia troppo a lungo trascurata) coincide (con una soluzione facile facile) con il lungocammino verso Santiago di Compostela. Elena Bartoni

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di Carmine Elia

LA PORTA ROSSA 2 Origine: Italia 2019

PRIMA PUNTATA In una notte di pioggia scrosciante una giovane donna in riva al mare getta in acqua un sacco nero dopo averlo legato. Ha la mano insanguinata. Subito dopo entra in una cabina telefonica e fa una chiamata, poi si allontana in motorino e arriva a casa. Lì in bagno si ripulisce le mani e il volto, mentre le luci dello specchio iniziano a tremare: la ragazza è Vanessa. Dodici ore prima, al cominciare di una nuova giornata che rischiara la città di Trieste, ci ritroviamo nell’appartamento di Anna Mayer. Sono trascorsi alcuni mesi dall’arresto dell’ex vicequestore Rambelli e manca ormai pochissimo alla nascita della figlia di Anna e Leonardo Cagliostro. Anna sogna di svegliarsi al fianco di Leo, come se lui fosse sempre stato con lei. Ma poco dopo si sveglia davvero e si ritrova da sola, ad affrontare ancora una volta il vuoto lasciato dalla sua assenza. Nelle immagini successive vediamo Vanessa portare un fiore sulla tomba di Cagliostro e una donna bionda, Silvia Pes, andare a prendere Jonas, risvegliatosi dal suo lungo coma, fuori dall’ospedale. Al commissariato di polizia la Mariani parla con Paoletto, diventato commissario e quindi suo superiore, dell’uomo dell’Est che ha arrestato per spaccio di droga; lei vorrebbe poterlo trattenere ma Paoletto dice che devono rilasciarlo dal momento che non hanno niente di concreto contro di lui. Arrivano Jonas e Silvia, in cerca di Paoletto. L’uomo mostra la sua convocazione, presentandosi come Jonas Sala e spiegando che la donna è una sua amica; Paoletto pre-

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senta loro la Mayer della Procura di Trieste e in sua presenza rivolge a Jonas le prime domande. Sapendo che da pochi mesi è uscito da un lungo coma, gli chiede se ricorda qualcosa del periodo precedente, soprattutto in merito a chi possa avergli sparato. Jonas risponde che la sua memoria è nitida ma non può ricordare chi sia stato a sparargli per la semplice ragione di non averlo mai visto: era stato ferito alle spalle. Quando Paoletto fa riferimento alla sua fedina penale piuttosto movimentata, fra contrabbando, truffe e furti con scasso, l’uomo afferma di esser già stato processato per quei reati, e quando Anna gli domanda se sia davvero sicuro di non voler sapere chi gli abbia sparato, senza replicare si alza e abbandona la sala, seguito da Silvia. Poco dopo Anna non si sente bene, ha delle contrazioni e Stella Mariani la accompagna subito in ospedale. Al più presto le raggiungono la famiglia di Anna, cioè i suoi genitori e sua sorella, e Piras, il magistrato che le è sempre rimasto affezionato. Una volta che Anna viene condotta in sala parto, compare dietro di lei Leo. Contemporaneamente, Silvia porta Jonas a casa sua, una bella casa arredata con stile e molto vicina al mare. Gli mostra i locali e gli domanda perché abbia detto di non sapere chi sia stato il suo assassino; lui risponde brevemente che sono affari suoi e non ha intenzione di mettere in mezzo la polizia. Poi lei lo sorprende mostrandogli di aver conservato la vecchia auto cui lui era molto legato, e su cui il tempo sembra non aver lasciato i suoi segni. Intanto, nel bar dove lavora, Eleonora, la madre di Vanessa, parla con Filip delle sue preoccupazioni per la figlia, molto 41

Prodotta da: Rai fiction, Vela Film Regia: Carmine Elia Ideata da: Carlo Lucarelli, Giampiero Rigosi Interpreti: Lino Guanciale (Leonardo Cagliostro), Gabriella Pession (Anna Mayer), Antonio Gerardi (Stefano Rambelli), Valentina Romani (Vanessa Rosic), Fortunato Cerlino (Marco Jamonte), Elena Radonicich (Stella Mariani), Ettore Bassi (Antonio Pirsa), Gaetano Bruno (Diego Pasoletto), Antonia Liskova (Silvia Pes), Carmine Recano (Federico), Cecilia Dazzi (Eleonora Pavesi), Alessia Barela (Stefania Pavesi), Pierpaolo Spollon (Filip) Distribuzione: Rai2 Durata: 12 episodi da 50’ Messa in onda: dal 13 febbraio al 20 marzo 2019

chiusa in se stessa nell’ultimo periodo. Quando il ragazzo propone a Vanessa di andare a sentirlo suonare insieme ai suoi amici, lei dice di non averne voglia e Filip a quel punto se la prende, esce frettolosamente dal bar e la lascia da sola al tavolino. La sera lo vediamo correre in motorino sotto una pioggia a dirotto fino a raggiungere il cancello di una vecchia fabbrica; i ragazzi arrivati lì insieme a lui entrano furtivamente in quel luogo con i loro strumenti musicali e uno più esperto fa strada. Mentre Vanessa è rimasta ad ascoltare musica chiusa in camera sua, Filip e i


suoi amici si sistemano così in uno spazio di quell’ex fabbrica di bulloni; accendono delle candele, tirano fuori qualcosa da bere e iniziano a suonare insieme. Ma l’atmosfera allegra viene bruscamente interrotta dall’arrivo di un uomo con un forte accento dell’Est, lo stesso che era stato arrestato da Stella e rilasciato per mancanza di prove. Insulta i ragazzi, si azzuffa con uno di loro, mette le mani addosso a Filip, e spaventa tutti minacciandoli con un coltello. Gli amici se ne vanno via di corsa, oltrepassano il cancello e si precipitano a riprendere i loro motorini. Tutti, tranne Filip. Non accetta l’offesa che l’uomo ha pronunciato nei confronti di suo padre e all’insaputa degli altri ritorna di corsa sui suoi passi. Rientra nella fabbrica e ritorna nello spazio dove si erano sistemati in gruppo: nella semioscurità vediamo l’uomo dell’Est cadere a terra colpito da un colpo di pistola. In sala parto tutto procede bene e nasce la bambina di Anna. La presenza di Cagliostro fa vibrare alcune luci e dispositivi elettrici, forse per far sentire alla donna la

sua vicinanza. A un tratto Cagliostro ha un flash di premonizione: vede la sua bambina ancora piccolissima rapita e in pericolo e vede la ex fabbrica di bulloni al Porto Vecchio, oltre al dettaglio della copertina rossa di un libro a terra. Senza perdere tempo si reca in quel luogo e vede, nella realtà del presente, Filip piangere accanto all’uomo morto. Poi lo vede telefonare a Vanessa, in stato confusionale; vede arrivare lei, che cerca di tranquillizzarlo e di farsi raccontare cos’è successo. Vede che è lei a prendere in mano la situazione, dicendo al ragazzo di togliersi i vestiti sporchi di sangue, che lei raccoglie e porta con sé fino in riva al mare, dove li mette in un sacco della spazzatura che getta in acqua. La vede entrare nella cabina telefonica, la sente dare alla polizia solo l’informazione della presenza di un morto alla fabbrica abbandonata, per poi riagganciare subito. Infine la vede risalire insieme a Filip, ancora scosso, sul motorino, sul cui vetro sono rimaste altre impronte di sangue. In ospedale la famiglia di Anna è stretta attorno a lei nella camera dove è ricoverata e Piras tiene in braccio la bambina appena addormentatasi. Poi un’infermiera fa allontanare tutti per lasciar riposare la neomamma e l’ultimo ad andar via è Piras, che la saluta con un tono di tenera amicizia. Sola, mentre fuori continua a piovere a dirotto, Anna non riesce ad addormentarsi. Si alza e cammina fino alla nursery da cui può vedere la bambina muoversi tranquilla nel suo lettino. Il flashback si chiude e ci ritroviamo alle scene d’apertura: rivediamo Vanessa nel bagno di casa sua intenta a ripulirsi le mani e il volto, mentre le luci dello specchio iniziano a tremare. Appare Cagliostro. Vanessa gli dice che credeva che non l’avrebbe mai più rivisto e lui le spiega di non essere tra42

passato, cioè di aver scelto di non attraversare la porta rossa, perché aveva capito che sulla Terra avrebbe ancora potuto rendersi utile. Si è tenuto alla larga da lei per non rovinarle la vita e anche per accondiscendere al desiderio della sua mamma, che sa quanto sia rischioso vivere al confine fra il regno dei vivi e quello dei morti. Adesso non ha potuto fare a meno di tornare da lei per via della nuova visione premonitrice che ha avuto. Gliela descrive e le dice di essere andato nella fabbrica abbandonata al Porto Vecchio e di aver visto Filip. Le propone quindi di tornare a lavorare insieme visto che hanno un obiettivo comune: lui quello di salvare sua figlia e lei quello di aiutare Filip. Nel cuor della notte, durante un incontro appassionato con Lucia Bugatti, la giornalista con cui sta vivendo una relazione senza troppi coinvolgimenti sentimentali, Paoletto riceve una telefonata da Stella che gli dice di correre subito alla ex fabbrica dove è stato trovato un morto attraverso un’anonima segnalazione telefonica alla polizia. Una volta arrivato sul posto, dove è già presente Piras, Paoletto viene informato dalla Mariani che l’uomo è stato identificato: si tratta di un certo Mauro Brezigar, un pregiudicato continuamente arrestato e rilasciato per piccoli reati fra cui spaccio e rapina. Arriva anche il nuovo vicequestore, Marco Jamonte, che ha sostituito Rambelli. Ispezionano il luogo e trovano tracce di una recente sorta di festa, scritte sui vetri fatte con bombolette spray, un coltello sporco di sangue fresco in tasca al cadavere. Ma non trovano l’arma del delitto. A un certo punto Paoletto parla in disparte con Stella: le dice che da quando è commissario si sente molte più responsabilità addosso e in questo, che è il suo primo caso importante, ha bisogno di una buona collabora-

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zione fra tutti gli agenti; quindi le chiede di far in modo che quanto è successo fra loro non vada a scapito del lavoro di squadra. Tornata in commissariato Stella chiede a un collega informatico di cercare informazioni sulla telefonata anonima: ascoltando la registrazione le sembra di riconoscere la voce di Vanessa e il fatto che la cabina telefonica da cui la chiamata è stata inoltrata sia stata localizzata vicino a una nota piscina le conferma la sua ipotesi. Jonas sale a bordo della sua vecchia auto senza volerla mettere in moto, solo per guardarla. Vi ritrova suoi oggetti del passato fra cui la sua macchina fotografica e delle cassette di musica. In flashback lo rivediamo, ragazzo, lavorare come meccanico sull’auto di Rambelli, mentre quest’ultimo gli parlava dei bei tempi in cui aveva lavorato alla radio. Ritorniamo al presente: la radio trasmette la notizia dell’imminente inizio del processo a Rambelli, accusato dell’omicidio di Cagliostro e del “messicano”, previsto per l’indomani. La voce fuori campo di Cagliostro chiude l’episodio con armoniosa circolarità rispetto alla conclusione dell’ultimo episodio della prima stagione: “Ma se niente può cambiare ciò che è stato, forse si può proteggere il futuro, perché dentro a ogni fine c’è un nuovo inizio. La fine non esiste”. SECONDA PUNTATA Paoletto fa il punto della situazione con i colleghi e mostra loro la fotografia che ritrae il ragazzo autore delle scritte sui vetri, incaricandoli di identificarlo. Nel frattempo Vanessa arriva alla ex fabbrica dove Cagliostro le ha dato appuntamento. Leo la conduce negli spazi che ha già visitato e le mostra il punto preciso in cui aveva visto a terra il misterioso vecchio libro dalla copertina rossa intitolato “I misteri del conte di

Cagliostro”. È convinto che l’omicidio di Brezigar sia l’unica pista da seguire per risolvere gli enigmi in sospeso e salvare sua figlia, e ha paura di avere poco tempo a disposizione per riuscirci. La ragazza gli dice che le è mancato da quando aveva deciso di sparire dalla sua vita, e lui le risponde di non esserle mai stato davvero lontano. In questura il ragazzo dei graffiti viene presto riconosciuto: si tratta naturalmente di uno degli amici di Filip, di nome Ettore Franza. Paoletto lo convoca in commissariato e lo interroga, ignaro che ad ascoltarlo sia arrivato anche Cagliostro. Il ragazzo è evidentemente spaventato e si limita a rispondere solo il minimo indispensabile. Ammette di essere stato ferito al braccio da Brezigar, che riconosce nella foto mostratagli da Paoletto ma di cui ignora l’identità. Racconta la serata trascorsa con gli amici e il commissario gli ordina di scrivere la lista completa di tutti i ragazzi presenti, nomi e cognomi. Subito dopo Cagliostro torna da Vanessa, comparendo a casa sua, per metterla al corrente delle ultime novità; la ragazza parla a voce piuttosto alta perché è preoccupata per Filip che verrà sicuramente chiamato dalla polizia e sua madre si accorge che Vanessa non è sola. In collera con Cagliostro, Eleonora gli dice di stare lontano da sua figlia, che non è più stata felice da quando è apparso lui. Ma Vanessa la smentisce, dichiarando l’esatto contrario, cioè di essere felice solo quando c’è Leo, la cosa più bella che le sia capitata. Eleonora rimane esterrefatta all’idea che sua figlia possa essersi innamorata del fantasma di qualcuno che non esiste più e Cagliostro si rende conto per la prima volta di quanto la ragazza si sia fatta coinvolgere dalle sue vicende e di quanto soffra a causa sua. Anna è un po’ disorientata e manifesta una certa insofferenza 43

nei confronti dell’ospedale e delle infermiere. Ha qualche problema con l’allattamento ma la causa profonda del suo malessere è naturalmente l’assenza di Leo. Mentre lui è costretto a guardarla rimanendo completamente invisibile ai suoi occhi, Piras cerca di starle accanto e di esserle d’aiuto; l’accompagna a casa con la bambina appena lei decide di lasciare l’ospedale e le dice di non pensare al lavoro e al processo di Rambelli ma di prendersi il tempo che le serve dedicandosi al suo privato. In prigione Rambelli scende in cortile per il giro d’aria e vede che tutti i detenuti lo tengono a distanza; quando incrocia Lorenzi, intento a leggere un libro, quest’ultimo tira dritto e non risponde al suo saluto. Silvia accompagna Jonas alla Clinica Villa Giulia, nel Dipartimento di salute mentale. Durante l’incontro con una dottoressa, l’uomo si sente dire che ci vorrà del tempo perché la sua identità si ricomponga, cioè per fare in modo che la sua età anagrafica e la sua età mentale smettano di essere in conflitto. Lui è piuttosto asciutto nei suoi confronti, dice che trent’anni della sua vita sono volati via e adesso non gli importa più del futuro, solo della vendetta. Di sera tardi Filip parla con Vanessa poco lontano da casa e la madre di lui passando in quel pun-


to li vede e si ferma un momento con loro: su esortazione dell’amica il ragazzo dice a sua mamma che l’indomani dovrà presentarsi alla polizia da cui è stato convocato perché ha trovato un uomo morto. La madre vorrebbe accompagnarlo ma lui replica di voler andare da solo. Nottetempo Cagliostro guarda Anna e la bambina dormire; fa per accarezzare quest’ultima, poi vede Anna svegliarsi per pochi attimi, come se avesse avvertito la sua presenza, e quindi riaddormentarsi. L’indomani Vanessa accompagna Filip in motorino al commissariato, ma non entra su richiesta di lui, lasciandolo “in compagnia” di Cagliostro. Paoletto riconosce in corridoio il ragazzo come il fidanzato di Vanessa di cui però ignorava il nome e si stupisce che sia Filip Vesna, uno degli indiziati. L’interrogatorio ha inizio. Filip dice a Paoletto di essere ritornato dentro all’ex fabbrica per recuperare lo strumento musicale che aveva dimenticato - cosa a cui il commissario stenta a credere - e di aver visto a terra quell’uomo, di averlo girato e di essersi accorto che era morto. Paoletto ha in mano dei tabulati telefonici da cui risulta che negli ultimi tre mesi c’erano stati circa venti contatti fra Filip e Brezigar e si accorge immediatamente che il ragazzo sta mentendo quando afferma di non conoscere quest’ultimo. Costretto a dare una spiegazione, Filip inventa di aver contattato talvolta Brezigar per delle serate di musica con gli ami-

ci, ma anche questa affermazione è ben poco credibile. Paoletto gli fa notare in modo piuttosto duro le sue contraddizioni; Cagliostro è deluso e perplesso, Filip impaurito. Appena uscito dalla questura si precipita in un posto vicino al mare, pieno di roba di genere vario, dove si mette a cercare qualcosa con grande agitazione. Quando trova una sfera di vetro con la scritta “Dubai”, tenta di smontarla ma nella frenesia non riesce. Allora corre a gettarla in mare, mentre Cagliostro assiste a tutta la scena. Mentre in commissariato si procede con l’interrogatorio dei ragazzi, Stella va di sua iniziativa a casa di Anna. Ha un atteggiamento amichevole e si interessa a lei e alla bambina; poi la informa della telefonata anonima che ha segnalato la presenza del cadavere alla ex fabbrica, della sua impressione sul fatto che la voce fosse quella di Vanessa. Dice ad Anna che ci teneva a parlarne con lei prima che con Piras e Paoletto e la mette al corrente anche delle tracce di sangue che ha trovato sulla cornetta della cabina telefonica; Anna risponde che la cosa è molto grave e dovrà parlarne con i colleghi. Contemporaneamente Cagliostro va a prendere Vanessa alla piscina scoperta vicino al mare dove è solita allenarsi e le riferisce tutto quanto ha visto. Mette in dubbio la totale sincerità di Filip verso di lei, basandosi ad esempio sul fatto che non le aveva detto di conoscere Brezigar. Mentre percorrono insieme un sottopassaggio vedono avvicinarsi Anna con la bambina nella carrozzina e Leo dice subito alla ragazza di fingere che lui non ci sia. Anna la saluta e le presenta l’“altra Vanessa”, lasciandogliela prendere in braccio. Poi le chiede se si sia messa nei guai, avvertendola di ciò di cui la polizia è a conoscenza. Infine le domanda se Cagliostro sia ancora con lei e, ub44

bidendo a lui, Vanessa dice di no e aggiunge che pensa che non sia più nell’“al di qua”. Successivamente Cagliostro appare nella camera di Vanessa e le spiega che per Anna sarebbe crudele sapere che lui è ancora fra loro e non poterlo avere, e aggiunge che farle credere che lui sia scomparso è anche un modo migliore per proteggerla. In carcere Rambelli viene avvertito da una guardia dell’arrivo del suo avvocato e tratta in modo aggressivo quest’ultima prima di recarsi al colloquio. Nel frattempo Paoletto e Piras riferiscono al nuovo vicequestore i risultati delle loro indagini sul caso Brezigar, e lui riceve una telefonata un po’ strana, da parte di una certa Teresa, che gli chiede aiuto a proposito di una persona sparita e lo esorta a sbrigarsi. Il vicequestore chiude rapidamente la chiamata ma è evidente che nella successiva conversazione con il commissario e il magistrato la sua mente sia piuttosto altrove. Infatti, non appena rimane solo nel suo ufficio, ritelefona a Teresa, che scopriremo essere la sua ex moglie, per farsi spiegare meglio la situazione. A sera, Stella si reca a casa di Paoletto. Gli dice di aver trascorso il pomeriggio alla Scientifica per dei controlli e di essere quasi certa che la telefonata sia stata fatta da Vanessa; inoltre ha messo al corrente i colleghi delle tracce di sangue trovate nella cabina telefonica. Paoletto conferma che tutti i ragazzi hanno detto che Vanessa non era con loro all’ex fabbrica e di conseguenza sia lui che la Mariani pensano a un probabile collegamento fra Vanessa e Filip. Paoletto mette sbrigativamente degli oggetti dentro a un sacchetto e lo consegna a Stella dicendole che contiene tutte le sue cose; lei, al corrente della sua nuova relazione con la giornalista, non manca di lanciare una provocazione lasciando intuire che ha capito che

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i segni della sua passata presenza in quella casa danno fastidio alla nuova fiamma. Ma appena lei se ne va, lui ripensa alla sua ex moglie, morta, e prende fra le mani una sua vecchia foto. Nella sua casa troppo vuota Anna prova a parlare con Cagliostro, a pronunciare ad alta voce una frase chiedendogli di darle un segno se è lì con lei, ma lui sceglie di non farlo. La bambina piange e allora Anna si avvicina alla culla, la tranquillizza e le fa vedere il ciondolo che ha appeso al collo: le racconta che si tratta di un proiettile, l’ultimo regalo ricevuto da Leo prima di farsi ammazzare. Poi telefona a qualcuno chiedendo il favore di tenerle la bambina per il tempo a lei necessario per una cosa molto importante e Cagliostro approfitta del fatto che lei non stia guardando verso la carrozzina per far sorridere la bimba sollevando “magicamente” in aria, e facendolo ondeggiare, l’acchiappasogni che Anna aveva appoggiato lì vicino. Inizia il processo a Rambelli, che passa davanti a una discreta folla di giornalisti per raggiungere la sala dell’udienza. Fra le file di ascoltatori sono presenti sia Piras, di fianco a cui si va a sedere Anna, sia Jonas, accanto al quale si mette Cagliostro. Entra la corte. L’atmosfera è carica di tensione ma Rambelli si propone in modo molto autocontrollato. Chiede di poter rilasciare una dichiarazione spontanea e gli viene accordato il permesso. Nel suo discorso, conferma la sua colpevolezza per l’occultamento del cavadere di Ambra Raspadori, già precedentemente dimostrata, ma dichiara di non voler pagare colpe non sue e afferma di non aver ucciso né Leonardo Cagliostro né il signor Pertusi, il narcotrafficante noto come il “messicano”. Una volta che gli viene domandato chi sia stato secondo lui il colpevole, fa il nome del magistrato Piras e aggiunge “forse

con la complicità di Anna Mayer”. Cagliostro si arrabbia così tanto da far tremare le sbarre dietro cui si trova Rambelli, che non può far a meno di accorgersene. Contemporaneamente Vanessa si è recata nel luogo in riva al mare indicatole da Cagliostro, si è immersa in acqua e ha ritrovato il punto preciso in cui Filip ha lanciato la sfera di vetro. Recuperatala, la porta con sé a riva. Riesce ad aprirla: al suo interno vi trova una bustina contenente della polvere che sparge in mare. TERZA PUNTATA In carcere Lorenzi fa il giro delle celle per ritirare la biancheria dei detenuti da cambiare e Rambelli approfitta per chiedergli il favore di poter parlare con il suo amico prete. Nel frattempo in un caffè Anna e Stella parlano insieme del processo e Anna confida la sua paura nei confronti dell’avvocato di Rambelli, un uomo completamente privo di scrupoli; Stella dice che per Paoletto il principale indiziato resta comunque Filip e si sofferma a guardare la bambina. Anna le rivela di aver scelto per lei il nome di Vanessa perché è stato Cagliostro a chiederglielo in un momento in cui lei aveva davvero avuto l’impressione che lui le stesse vicino, ma adesso non ha più alcun segnale della presenza di lui, che ritroviamo al fianco della Vanessa medium. Leonardo dice alla ragazza di stare con Filip mentre lui cercherà di capire cos’ha in mente la polizia e Vanessa gli dà retta. Appena rientrato a casa sua, in compagnia della ragazza, Filip ci ritrova suo padre, un uomo che parla con evidente accento dell’Est, arrivato da poco a Trieste dove la madre del ragazzo era andata a prenderlo al porto. Trasandato nell’aspetto e rude nei modi, il padre di Filip gli domanda spiegazioni in merito all’accaduto e, sempre in presenza di Vanessa,

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Filip gli risponde che la polizia ha trovato il suo numero di telefono nella rubrica di Mauro Brezigar; quando l’uomo gli domanda come sia possibile, il figlio gli risponde enigmaticamente: “Un mistero!”. Erika, la figlia del vicequestore Jamonte, va a vivere a casa sua e non tarda ad arrivare la telefonata della madre della giovane, Teresa, molto preoccupata per il comportamento inquieto della figlia. Paoletto e Stella ispezionano l’appartamento di Brezigar, dove trovano vari oggetti piuttosto costosi che sembrerebbero dimostrare che gli affari gli stavano andando abbastanza bene. A un tratto Stella torna con la mente a un momento del passato: in flashback la vediamo parlare con una giovane donna costretta su una sedia a rotelle, che le dice che le fa male tutto e dai medici ha saputo che le cose potranno solo peggiorare; quindi vediamo Stella risponderle che non può chiederle una cosa del genere, ossia di aiutarla a farla finita. La donna era la moglie di Paoletto. Conclusa la parentesi, vediamo quest’ultimo mostrare a Jamonte quanto trovato nell’appartamento: armi e cocaina. Stella osserva che non è stato trovato lì dentro un quaderno con una pinup in copertina che lei ricorda essere stato nelle mani dell’uomo per il tempo in cui era stato in questura e quindi suppongono che sia stato preso dall’assassino. In disparte dagli altri, Paoletto dice a Stella di averla vista al caffè con la Mayer e la esorta a non riferirle tutto, dato il collegamento fra Anna e Vanessa e dato che lui dovrà a breve te-


stimoniare al processo Rambelli. Intanto a casa di Filip Cagliostro mette immediatamente Vanessa al corrente dell’esistenza del quaderno di Brezigar affinché lei si metta a cercarlo e fa cadere libri e carte per tenere impegnato Filip. La ragazza riesce a trovare il quaderno e se ne va sbrigativamente dalla casa, delusa e incredula nei confronti del ragazzo in cui aveva riposto tanta fiducia. In compagnia di Cagliostro Vanessa sfoglia il quaderno e trova sia un recapito del padre di Filip, Emin Vesna, sia il titolo del Libro dei misteri del conte di Cagliostro. Per Leo questa è la prova del collegamento che intercorre fra l’omicidio Brezigar e il rapimento di sua figlia. A questo punto i due si dividono: Vanessa cerca di capire qualcosa di più del rapporto di Filip con suo padre, parlandone col ragazzo al loro rifugio segreto. Leo segue invece Emin che in auto si reca in un luogo dall’aria abbandonata dove sono in corso combattimenti clandestini con scommesse: lì Emin raggiunge una donna circondata da alcune “guardie del corpo” e le dice che ha saputo di Brezigar e vuole pagare il suo debito. Brezigar infatti gli aveva fatto un prestito con il denaro della donna, che ribatte che il prestito è già stato saldato da Brezigar stesso, il quale le aveva restituito la somma di denaro. Gli domanda se sia sicuro di non essere stato seguito da nessuno e poi gli dice di andarsene e di non tornare mai più.

La sera, al rientro a casa, Jamonte trova Erika addormentata sul divano e vari post-it sul frigorifero con cose da comprare e un messaggio: “ho bisogno di parlarti!”. Vanessa e Filip trascorrono insieme la notte al loro rifugio e all’alba vengono bruscamente svegliati dal padre di lui, determinato a parlare col figlio. Cagliostro assiste al dialogo, in assenza di Vanessa: Filip rivela al padre di sapere che lui si era fatto prestare denaro da Brezigar senza riuscire a restituirglielo e finendo per essere picchiato dall’uomo. Il ragazzo racconta inoltre di aver parlato con Brezigar, di esser stato messo al corrente da lui di tutti i debiti del padre e di aver accettato la sua proposta di portare della droga dalla Slovenia in Italia, estinguendo così il debito. Ma Filip assicura anche di non aver assolutamente nulla a che fare con l’omicidio. Racconta della provocazione verbale rivoltagli quella sera da Brezigar (“Tuo papà non vale niente!”), del suo essere tornato dentro alla ex fabbrica, e di averlo trovato morto. Spaventato, si era comunque ricordato di quel quaderno e recuperatolo dalle tasche di Brezigar l’aveva portato via con sé. Il padre, profondamente stupito da tutto, spiega di essersi lasciato convincere da un amico cadendo nella trappola di un investimento sbagliato, che l’aveva portato addirittura ad ipotecare la casa. Cerca di giustificarsi, dicendo di non aver detto nulla alla mamma e di non aver avuto alternative, ma ciò non basta a placare il risentimento di Filip. Parallelamente alla Clinica Villa Giulia ha luogo il secondo incontro fra Jonas e la sua dottoressa: l’uomo racconta di aver riconosciuto subito Silvia al suo risveglio dal coma, poi racconta di quando si erano conosciuti per la prima volta: si erano incontrati in questura, dove lui si trovava per un furto e dove lei era 46

stata arrestata da Rambelli, che Jonas aveva conosciuto grazie alla loro esperienza di lavoro in radio e di cui era diventato amico. Jonas spiega che attualmente è Silvia a pagare l’affitto della casa in cui l’ha ospitato e aggiunge di sapere che lei si era sposata e che Rambelli attualmente è in prigione: per la prima volta dichiara che è stato proprio Rambelli a sparargli alla testa mandandolo in coma. Mentre Silvia a casa sua guarda le foto da poco sviluppate con lei e Jonas da giovani, si svolge una nuova fase del processo a Rambelli. Viene ricostruita la dinamica della colluttazione avvenuta a casa di Anna Mayer e lei vede che parla con Rambelli lo stesso prete che aveva celebrato il funerale di Leo. Successivamente Stella e Paoletto svolgono una perquisizione a casa di Filip ma naturalmente non trovano il quaderno, attualmente in possesso di Vanessa, e Anna si fida sempre meno degli avvocati e si rende conto di dover prendere in mano la situazione. Così si mette a studiare con determinazione e concentrazione assoluta tutta la documentazione, cosa che preoccupa un po’ Piras, che le suggerisce di non trasformare l’indagine in un’ossessione, ma a cui lei non dà retta, intenzionata a far emergere la verità per amore di Cagliostro. Vanessa e Filip litigano, dal momento che la ragazza lo accusa di averle nascosto la vicenda della droga e di suo padre e lui si mostra geloso nei confronti di Cagliostro, intuendo che grazie a lui la ragazza è venuta a conoscenza di tutto. Vanessa gli dà il quaderno e gli dice di portarlo alla polizia come consiglia Leo. Jonas rientra a casa di Silvia dopo essere stato al processo di Rambelli e lei lo invita a dimenticare il passato, ma lui non è affatto d’accordo. Filip finalmente si decide a consegnare il quaderno di Brezigar alla polizia e Paoletto lo trattiene

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per una notte in commissariato. Paoletto mette a parte della vicenda la giornalista della Gazzetta di Trieste con cui ha una relazione, fornendole una copia del quaderno e chiedendole di scrivere un articolo per muovere un po’ le acque. In un bar il vicequestore Jamonte parla con la figlia Erika che gli chiede di aiutare un certo Saverio in prigione, ex spacciatore di droga, di cui apprendiamo che dopo essere stato picchiato ha tentato di uccidersi; il padre le risponde che quel ragazzo le ha solo rovinato la vita. Al primo turno di karaoke Jamonte si offre coraggiosamente e in quella Anna, in giro con la bambina, lo vede e lo saluta dalla strada. Poi Anna va a casa dei suoi e in salotto trova Piras in compagnia di suo papà, cosa che non le piace affatto perché ha l’impressione di essere costantemente sotto il fuoco incrociato dei loro controlli. Il padre di Anna si dice preoccupato per le accuse mosse da Rambelli nei suoi confronti e Piras sottolinea che è in discussione la verità sulla morte del marito ed è comprensibile quanto Anna ci tenga. Poi sul balcone, a tu per tu con lei, Piras le dice che le sta vicino come amico come ha sempre fatto, ma non può fare a meno di sperare in qualcosa di più. Nel frattempo appare Leo vicino alla culla della piccola Vanessa in salotto: le tiene compagnia dicendo che benché Piras gli sia sempre stato un po’ antipatico, pensa non sia giusto che Anna rimanga sola e lei senza un papà. Il padre di Anna, solo nel suo studio, chiude una telefonata e prende in mano dei documenti: scatta delle foto con il telefono e fra quello che fotografa si legge “I misteri del conte di Cagliostro”. L’uomo controlla di non essere visto da nessuno, ma Leo a sua insaputa lo vede. Mentre Silvia cena con suo marito, Jonas va a trovare un certo Spada in un locale.

Nel magazzino del bar ristorante di Eleonora appare lo spirito malvagio che già in passato l’ha perseguitata e lei gli grida di andarsene. Sulla Gazzetta di Trieste esce un articolo su Brezigar, firmato da Lucia Bugatti. QUARTA PUNTATA Il direttore del giornale manda Lucia in tribunale per seguire il caso Rambelli, rimproverandola per la libertà che si è presa nel far uscire l’articolo su Brezigar e Filip Vesna, di nessuna rilevanza secondo l’editore. In commissariato Jamonte chiama Paoletto ad ascoltare, anche in presenza di Piras, gli aggiornamenti sul caso Brezigar della Mariani, cioè le informazioni che le sono pervenute dal medico legale Tricarico: le prove dimostrano, per incompatibilità di orario, che non può essere stato Filip ad ucciderlo. La Mariani pensa sia stato lui a rubare il taccuino dell’uomo e Piras vuole che si indaghi sui rapporti fra il padre di Filip e il criminale. Jamonte va in tribunale per ascoltare la deposizione di Paoletto e all’ingresso incontra Anna, accompagnata lì in auto dal padre che si è offerto di tenere con sé la bimba. Mentre Vanessa va a prendere Filip in questura, appena rilasciato e scontroso a causa del legame di lei con Cagliostro, Paoletto inizia la sua deposizione, nel corso della quale afferma di aver avuto il sospetto che Rambelli avesse ucciso Cagliostro. Quando gli viene domandato quale sia stata la sua fonte, dopo un momento di esitazione, fa il nome di Vanessa Rosic, ritenuta affidabile perché in passato aveva dato informazioni utili alle indagini. Quando l’avvocato difensore di Rambelli chiede perché Paoletto non abbia parlato della Rosic nelle indagini preliminari, il commissario risponde che così gli era stato chiesto di fare da parte di Anna

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Mayer. Successivamente vediamo il dialogo concitato, all’interno di un bar, fra il procuratore Alessi e Piras: Alessi se la prende con lui per avergli taciuto quanto detto da Paoletto e dice che dovrà aprire un’indagine in merito. Lo stesso Piras vuole capire qualcosa di più e incontra Anna, che gli spiega di aver agito così per proteggere Vanessa e gli confida di aver paura che Rambelli stia cercando di farli cadere in trappola. Intanto, qualcuno dalla strada li fotografa, catturando così con una serie di scatti anche i baci che i due si scambiano. Cagliostro parla con Vanessa, triste per il comportamento di Filip con lei e preoccupata per come rispondere agli avvocati in tribunale. Leo le promette di starle vicino e comincia già ad elaborare un piano. Dal canto suo, Filip cerca di ricostruire il rapporto con suo padre: una sera quest’ultimo lo aspetta in strada mentre il ragazzo si reca al suo rifugio e non vedendolo ricomparire presto lo raggiunge, ma viene picchiato da un uomo che scappa via di corsa, lo stesso che poco prima ha picchiato Filip da cui avrebbe voluto avere il libro de I misteri del conte di Cagliostro. L’indomani la famiglia Brezigar chiama Paoletto e racconta l’accaduto; Filip cerca di dare informazioni sull’uomo, che era incappucciato e aveva un accento dell’Est. Paoletto dice a Filip di recarsi nei giorni seguenti in commissariato per la denuncia, immaginando che


quel giorno non ne avrebbe avuto tempo se fosse andato ad ascoltare Vanessa in tribunale: Filip che ne era all’oscuro non ci pensa due volte e va da lei, che ritroviamo intenta a rispondere alle domande del procuratore Alessi. Con l’aiuto di Cagliostro, Vanessa riesce a formulare delle risposte attendibili senza mai fare riferimento alle sue doti da medium, fino a quando non si lascia sfuggire che sapeva che Rambelli aveva ucciso Cagliostro perché era stato proprio lui a dirglielo. A quel punto rivela tutta la verità, dicendo che può vedere i morti e parlare con loro. Nello scalpore generale la seduta viene sospesa. All’uscita la ragazza trova Filip ad aspettarla sul suo motorino e va con lui mentre Eleonora sfoga la sua disperazione con la sorella, convinta che sia accaduto qualcosa di irreparabile che toglierà per sempre la pace a sua figlia. Le due litigano, perché la sorella le rinfaccia di aver sacrificato tutta la sua vita per loro; una volta andatasene, compare lo spirito malvagio che da lungo tempo non lascia stare Eleonora. Cagliostro sta alle costole del padre di Anna, seguendolo nell’albergo di lusso dove l’uomo raggiunge la sua amante, cioè la signora Durante, la madre di Raffaele Gherardi. Le racconta di essere stato al processo e le riferisce tutto quanto è stato detto da Vanessa a proposito di Raffaele, che aveva paura di Rambelli, e anche il fatto che la ragazza abbia affermato di poter parlare con i morti.

Lei piange convinta che suo figlio sia stato assassinato e quando il padre di Anna le domanda perché gli abbia chiesto di fotografare il dossier del caso Brezigar, la donna risponde facendo capire di essere al corrente di verità molto pericolose. Patrizia Durante infatti gli dice che chi ha il libro de I misteri del conte di Cagliostro sa cos’è la Confraternita della Fenice; quando lui le domanda se anche lei ne fa parte, non gli dà risposta, dicendo solo che vuole lasciarlo fuori da tutto questo. Filip e Vanessa si incontrano vicino al mare: lui è contento di non essere più indagato e che non lo sia più nemmeno suo padre e fra loro sembra ritornare il sereno fin quando lui tenta di convincerla a ritrattare quello che ha detto sulle sue qualità da medium. Lei non vuole assolutamente e sceglie di chiudere lì la loro storia, mentre lui la accusa di essersi innamorata di Leo. A sera Silvia, che si trova a un evento organizzato dalla cantina di suo marito, telefona a Jonas dicendogli di desiderare di stare solo con lui, che nel frattempo si è recato in un campo sportivo deserto dove incontra un uomo da cui riceve un’arma da fuoco, grazie alla mediazione di Spada. Dopo la breve telefonata il marito di Silvia la raggiunge e le svela di essere al corrente dei contatti telefonici fra lei e quel Jonas che evidentemente è molto più di un amico. Inoltre le mostra una fotografia in cui compare il bambino di lei, di cui Silvia non gli aveva mai parlato: le chiede se sia di Jonas e, di fronte al silenzio di lei, se ne va. A casa di Anna Piras le dice che la situazione si è complicata ed è meglio che non si vedano per il tempo del processo, date le accuse sul loro fantomatico piano per sbarazzarsi di Cagliostro. Quest’ultimo appare a casa della Durante e la vede leggere una lettera anoni48

ma. Quando la donna si allontana, fa aprire la lettera, che era stata appoggiata piegata sul tavolo, per leggerla a sua volta, ma è costretto a interrompersi perché la donna si accorge che sta accadendo qualcosa di strano. Fa in tempo a leggere solo le seguenti parole: “So che ne fai parte anche tu”. Dal successivo incontro della donna con un uomo, Cagliostro capisce che lei è sotto ricatto. Mentre la Mariani ringrazia Paoletto per non averla coinvolta al processo, lui non perde occasione per accusarla di agire sempre alle sue spalle e di non aver mai smesso di essere una spia. Poi, sotto una pioggia a dirotto, lei si reca a portare fiori sulla tomba della moglie di lui. Mentre Vanessa sta tornando a casa da sola, viene fermata improvvisamente da un uomo con uno spiccato accento dell’Est che la costringe a salire sulla sua auto. QUINTA PUNTATA Vanessa viene condotta dall’uomo misterioso all’interno di un edificio dove, dopo aver girato per labirintici corridoi, viene fatta entrare in un lussuoso appartamento nel quale Patrizia Durante la stava aspettando. La donna si scusa per il modo in cui ha organizzato questo incontro, si mostra molto gentile e le dà il braccialetto che pensa suo figlio avesse comprato per lei. Quindi le domanda che cosa si siano davvero detti in piscina quella notte di parecchio tempo addietro e Vanessa dice la verità, ossia che Raffaele le aveva confidato di avere un grosso peso e di non poterne parlare con nessuno. La madre la supplica di farla parlare con lo spirito del figlio per potergli chiedere scusa per tutte le sue colpe ma Vanessa le risponde che non funziona così e la donna non oppone alcuna resistenza alla sua ferma intenzione di andar via, incaricando il suo autista e tut-

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tofare di riaccompagnarla a casa. Una volta arrivata lì, Cagliostro appare e la mette subito al corrente della relazione fra il padre di Anna e la Durante, aggiungendo che quest’ultima fa parte della Confraternita della Fenice, associazione criminale molto importante che è legata sia all’omicidio di Brezigar sia al libro de “I misteri del conte di Cagliostro” che loro stanno cercando. Vanessa gli riferisce quanto accadutole e Leo vuole che lei ricontatti la Durante dicendo di aver cambiato idea con lo scopo di ottenere informazioni preziose per salvare sua figlia: rivela infatti alla ragazza l’esistenza della lettera minatoria che lui ha letto a casa della donna e che con ogni probabilità le è stata inviata da chi è attualmente in possesso del libro. La mattina successiva Leo è a casa di Anna e la ascolta prepararsi alcune risposte mentre finisce di prepararsi per andare in tribunale, cosa che fa non appena arriva sua sorella per badare alla bambina. Contemporaneamente Silvia va da Jonas, alla casa sul mare dove lei l’ha ospitato: lo informa che la relazione con suo marito Cesare è finita e gli chiede di restare con lei. In tribunale l’avvocato Scaglianti, che difende Rambelli, mostra un articolo di giornale con una foto che mostra un bacio fra Anna e Piras e Anna evidenzia immediatamente l’inconsistenza di tale documento. Poi il suo discorso si fa estremamente serio e lei con fermezza e serenità afferma che suo marito, Leonardo Cagliostro, è stato ucciso da Rambelli, l’uomo che Leo amava come un padre e che lei aveva fino ad allora considerato come un amico. Aggiunge che lei non avrebbe mai potuto uccidere Leo, il padre di sua figlia, che lei ha amato e amerà per sempre. Leo la ascolta con la gioia disperata della sua condizione

da prigioniero di un’altra dimensione, Piras è costretto a sentire quelle parole che non avrebbe voluto ascoltare. Una volta che la seduta è tolta, Rambelli parla a tu per tu con Scaglianti rimproverandolo della sua incapacità. Intanto in commissariato Paoletto ha conferma da un suo sottoposto che Filip è andato a sporgere denuncia e incarica il poliziotto di fare degli accertamenti su alcune telecamere di sorveglianza. Al bar di Eleonora alcuni ragazzi infastidiscono Vanessa prendendola in giro per i suoi contatti con i fantasmi. La ragazza rivela alla madre e alla zia la fine della sua storia con Filip; poi la ritroviamo sugli scogli, in cerca di quiete e solitudine. Fa un tuffo e rimane a lungo sott’acqua, facendo preoccupare Federico, il cameriere di Eleonora, che s’immerge per aiutarla credendola in difficoltà. Una volta in superficie, lui non esita a farle capire che vorrebbe poterle stare più vicino, e lei non si mostra contrariata. La sera Leo guarda Anna addormentata sul divano di casa sua e la bambina addormentata nella culla lì vicino, poi ha una nuova premonizione che lo spaventa terribilmente. Raggiunge subito Vanessa e le dice che si è aggiunto un dettaglio alla visione, uno sparo: si dispera all’idea di non poter intervenire ma la ragazza gli fa coraggio, dicendogli che lui è la sua fortuna e la sua condanna e che insieme troveranno il modo di salvare la bambina. Accettata dunque l’idea di lui, Vanessa torna dalla Durante determinata a farle credere di potersi mettere in contatto con Raffaele. Leo le sta vicino come al solito e la aiuta con qualche effetto speciale, facendo andare via la luce elettrica e facendo girare su se stessa una poltrona. La donna è spaventata e contenta al tempo stesso, sempre più convinta che lo spirito del figlio stia davvero facendo sentire la sua presenza. 49

Vanessa le dice che Raffaele sta bene, non si è suicidato ma è stato obbligato a uccidersi da Rambelli, e adesso è preoccupato per la madre, per via della Fenice. La Durante rimane molto colpita nel sentire il riferimento all’associazione, certa di non averne mai parlato al figlio. Suppone allora che ci possano essere dei rapporti fra gli spiriti e fa ad alta voce il nome di due persone morte, Walter Nikolic e Massimo Gherbez, poi si rivolge direttamente a Raffaele in un discorso sconnesso in cui si comprende il suo senso di colpa per varie vicende e un confuso cenno a dei bambini. Quando Vanessa le dice che Raffaele non è più lì, la Durante le chiede la massima discrezione e si dice disposta a pagare qualunque cifra ma la ragazza non vuole denaro; allora la donna le dice di stare alla larga, anche per il suo bene, e lei lascia quella casa insieme a Cagliostro. Per la strada lui sfoga tutta la sua delusione per le pochissime informazioni ottenute ma Vanessa ribatte di aver già fatto troppo rispetto a quello che avrebbe voluto e di non voler andare oltre nell’inganno. La stessa sera Jonas e Silvia fumano erba e si lasciano andare ai ricordi di quando erano giovani: lui era un ragazzo di strada affascinato da quella figlia di papà ribelle e bellissima. Lei rimane stupita da alcuni dettagli raccontati da lui,


che lascerebbero credere che fosse presente il giorno del suo matrimonio, quando era già in coma. L’indomani mattina Anna fa colazione a casa dei genitori e diventa inevitabile lo scontro fra lei e il padre che tenta in ogni modo e invano di avvicinarla ancora a Piras, con cui Anna dichiara che ormai è tutto finito. Non perde inoltre occasione di aggiungere che ha sempre saputo che lui tradisce sua madre da tantissimo tempo e quando la donna li raggiunge svia il discorso, confidando il dolore che prova ogni volta che guardando la bambina ripensa a Leo. Quest’ultimo sveglia Vanessa che controvoglia si alza e accende il computer in camera sua per accontentarlo e cercare informazioni su Nikolic e Gherbez. Non trovando quasi nulla, su esortazione di Cagliostro si reca in emeroteca, dove non sfugge inosservato alla signora responsabile il fatto che a distanza di soli due giorni ci sia già qualcun altro interessato a fare ricerche su Gherbez. La signora non può rivelare l’identità di quest’altra persona già passata di lì ma Cagliostro riesce in un istante a leggerne il nome sul registro delle consultazioni: si tratta di Lucia Bugatti. In commissariato risulta che l’auto di Patrizia Durante, con il suo autista sloveno a bordo, è stata fotografata da alcune telecamere, informazione preziosa per le indagini di Paoletto. Fra il commissario e Stella gli attriti sono continui e insostenibili: lui la segue nel parcheggio sotterra-

neo per parlarle in privato e lei vuole affrontare il passato. Gli dice che è stata Daria, sua moglie, a chiederle non di ucciderla, ma di darle l’opportunità di scegliere se porre termine alla sua vita. Stella era stata molto combattuta, infine non era riuscita a dirle di no, e le aveva lasciato accanto al letto un flacone di pillole. Lui, ancora una volta, sembra non crederle completamente. Lei allora se ne va e poco tempo dopo presenta al vicequestore Jamonte la sua domanda di trasferimento. Quella stessa sera Paoletto va invece a casa di Lucia e trascorrono insieme alcune ore appassionate ma con l’esplicita dichiarazione da parte di lei di non volere alcun coinvolgimento sentimentale. Una volta rimasta sola, Lucia va a recuperare in un armadio una scatola con scritto sopra “Fenice”: Leo la osserva e si domanda se anche lei faccia parte dell’associazione e se sarà coinvolta in qualche modo nel rapimento di sua figlia. Di sera tardi, al solito bar di Eleonora, Anna raggiunge Jamonte e per la prima volta i due si confidano i propri sensi di colpa legati agli affetti famigliari: lei parla di sé come moglie e madre, lui dei problemi con la figlia adolescente e la ex moglie. Il cameriere Federico riceve un sms di Vanessa e in fretta e furia saluta Eleonora per andare a raggiungere la ragazza. Li ritroviamo in moto, su un’altura da cui si vede la città illuminata. Lui le rivela di essere un medium e lei non ci crede fin quando non le dice di poter vedere i morti a patto che non abbiano già varcato “la porta rossa”. A quel punto Vanessa comincia a prendere sul serio le sue parole e gli dice che finora ha visto solo Cagliostro quando è lui a volerlo. Federico risponde che con un po’ di pratica può essere lei a mettersi in contatto con gli spiriti, e se vorrà lui potrà spiegarle come fare. 50

SESTA PUNTATA Mentre Vanessa in piscina cerca invano di mettersi in contatto con Cagliostro, lui segue le mosse della giornalista Lucia, intenta a posizionare una cimice sull’auto di Matteo Silvestrin, il proprietario della Gazzetta di Trieste. Ferma nel suo proposito di indagare da sola, Lucia entra poi nell’ufficio del direttore dove lui la trova; la donna allora cerca di inventare una scusa plausibile per giustificare la sua presenza lì, mentre lui si aspettava che lei fosse già in tribunale per ascoltare la deposizione di Piras, dove la esorta a recarsi di corsa. Contemporaneamente Paoletto raggiunge l’auto della Durante per parlare con Struna, il suo autista privato di nazionalità slovena; gli domanda se conosce Filip Vesna e se ricorda di aver fatto un salto in una rimessa di barche vicino al porto nelle sere precedenti, ma ben presto arriva la signora Durante che interviene per difendere l’uomo, dichiarando che si trovava con lei quella notte come tutte le volte in cui girare in auto la rilassa e combatte la sua insonnia. Nel frattempo in archivio Jamonte cerca delle informazioni fra i reperti della Scientifica riguardanti Cagliostro e poi lo ritroviamo in tribunale: il vicequestore sottopone all’attenzione di Alessi una perizia sulla pistola che ha ucciso Leo differente rispetto a quella già nota. Gli dice che qualcuno gli ha lasciato un biglietto sul parabrezza per avvertirlo che la perizia agli atti non coincide con l’originale; Alessi si mostra piuttosto scettico ma promette di andare a fondo sulla questione e Jamonte gli risponde di aver già chiesto una nuova perizia. Stella si presenta da Paoletto, già a conoscenza del suo trasferimento, per un ultimo saluto di persona, in cui gli dice che avrebbe voluto che le cose andassero diversamente fra di loro, cosa che

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lui afferma a sua volta. In tribu- legame indissolubile quando la nale l’avvocato Scaglianti attacca persona cui apparteneva era ancoPiras con ogni mezzo: fa notare la ra in vita. Ha inizio una nuova udienza: stranezza della sua partecipazione al blitz la notte della morte di Ca- la corte accoglie l’istanza e dalla gliostro e mostra le fotografie da perizia presentata risulta che sul lui scattate. Piras chiarisce che gli caricatore della pistola c’erano imservivano come documentazione pronte di Piras, che a questo punto per dimostrare l’insubordinazione diventa un imputato e viene invidi Cagliostro rispetto a un suo or- tato a nominare il suo avvocato dine, a una sua autorizzazione ne- difensore. Rambelli e Scaglianti gata. L’avvocato ricollega questo si congratulano l’uno con l’altro astio nei confronti di Cagliostro per questa svolta del processo. A all’amore non ricambiato di Piras un tratto Jonas, mentre sta per verso la Mayer, definendola una lasciare la sala del tribunale, ha vera e propria ossessione per il un flash: rivede se stesso parlasostituto procuratore. A un tratto re con Leo il giorno del funerale Alessi informa la corte che è so- di quest’ultimo… la cosa lo turba praggiunta una prova a discarico profondamente e lui chiederà aiudell’imputato Rambelli, dichiaran- to in proposito alla psicologa che lo do che è stata scoperta un’incon- ha in cura, rivelandole la sua paugruenza fra la perizia sulla pistola ra di impazzire. Lei, ignara della che ha ucciso Cagliostro deposita- verità, lo tranquillizzerà ipotizta agli atti e l’originale conservato zando che si tratti semplicemente negli archivi della polizia. A quel di un meccanismo di identificaziopunto Scaglianti afferma che si ne. Una tappa piuttosto naturale tratta di una prova fondante che nel suo percorso di ripresa dopo il scagionerebbe Rambelli e la cor- coma. Mentre Alessi incarica Jamonte te si ritira in camera di consiglio per deliberare. Mentre l’udienza di avviare delle indagini sul legaè sospesa, Lucia informa telefoni- me fra la Mayer e Piras, quest’ulcamente il direttore delle ultime timo cammina solo fuori dal tribunovità e poi si nasconde in bagno, nale e quando Anna lo raggiunge certa che nessuno possa vederla per cercare di stargli vicino, le nessuno, a eccezione di Leo di cui risponde adirato che è stata tutta lei è naturalmente ignara. Lì la colpa sua se ora lui si è venuto a donna ascolta con il suo tablet la trovare in questa situazione che ricetrasmittente posta sull’auto di rischia di rovinare completamente Matteo Silvestrin e gli sente dire la sua carriera. Le rinfaccia inol“Nessuno deve sapere della Feni- tre di non essere mai stata chiara ce”. Leo a questo punto comincia a con lui nei sentimenti, e allora lei interrogarsi su cosa voglia fare ef- se la prende sul serio e lo accusa fettivamente Lucia, che gli sembra di essere privo di coraggio, proprio sempre più alla ricerca della veri- come sosteneva suo marito. Cagliostro nel frattempo compatà e sempre meno complice della Fenice. Molti dubbi sono anche re a casa di Vanessa e le racconta quelli nutriti da parte di Vanessa tutto a proposito di Lucia, dicendo sul cameriere Federico: la ragazza che è certo che Silvestrin apparlo raggiunge al bar e gli riferisce tenga alla Fenice. Vanessa suppodel suo vano tentativo di contat- ne allora che sia Lucia ad avere il tare Leo. Il ragazzo non sembra famoso libro e a poter ricattare la stupirsi, le risponde che forse Leo Durante, ma Leo non ne è ancora non è il suo “spirito ombra”, cioè sicuro. Vorrebbe che lei trovasse il quello spirito con cui si forma un modo di leggere i documenti segre51

ti che Lucia tiene nascosti in una cartella del suo computer, sotto il falso nome di “tesi di laurea”, ma Vanessa ha paura. I due discutono: la ragazza lo accusa di servirsi di lei senza alcuna preoccupazione per i pericoli in cui potrebbe finire. Lucia fa un appostamento a Matteo Silvestrin: lo segue in auto, poi a piedi, e nascostosi il volto lo aggredisce cercando di fargli confessare i nomi di tutti i membri della Fenice. Lui però riesce a divincolarsi senza rivelarle nulla e facendole male a un polso. Leo osserva perplesso tutta la scena, domandandosi per quali ragioni la giornalista sia disposta a rischiare così tanto e ritenendola in grandissimo pericolo adesso che potrà essere riconosciuta dalla voce. La segue a casa, la guarda recarsi in camera e prendere un registratore su cui incide un messaggio, pienamente consapevole di correre pericolo di vita e determinata a lasciare traccia delle sue indagini. Registra tutte le informazioni in suo possesso sulla Fenice e scrive dei nomi sulla tappezzeria che ricopre una parete del locale. Apprendiamo così dalle sue parole che la Fenice si è formata a Trieste negli anni Ottanta ed è costituita alle sue origini da un gruppo di sei persone che dietro a una facciata rispettabile nascondevano traffici illegali e agivano nella totale impunità. Lei dichiara di esserne venuta a conoscenza perché ne face-


va parte il suo stesso fratellastro, Walter Nikolic, rappresentante del sindacato degli scaricatori di porto, suicidatosi nell’ottobre dell’86 a causa dei suoi sensi di colpa e trovato da lei ancora bambina. È certa che facessero parte dell’associazione anche le seguenti persone: Massimo Gherbez, ufficiale della guardia costiera e amico di Walter, suicidatosi in Germania nel 99; Renato Silvestrin, editore e industriale che ormai ha affidato la gestione dei suoi affari al figlio Matteo per via dei suoi problemi di salute. Sa inoltre che la Fenice custodiva maniacalmente il libro sparito dopo il suicidio di Walter e di cui si erano completamente perse le tracce fino al ritrovamento del cadavere di Mauro Brezigar presso l’ex fabbrica di bulloni. Lucia si domanda se sia stato proprio quest’ultimo a ricattare gli altri membri attraverso quel libro, e soprattutto vorrebbe scoprire chi si trova attualmente ai vertici dell’associazione. Interrompe la registrazione non appena riceve il segnale dal tablet del collegamento telefonico appena iniziato da Matteo Silvestrin: vediamo quest’ultimo a bordo della sua auto mentre dice al telefono di essere stato aggredito e contemporaneamente si rigira in una mano la cimice che ha rinvenuto. Silvestrin fornisce delle rapide informazioni sul luogo e l’orario di un incontro, che

Lucia immediatamente considera elementi preziosi per proseguire la sua indagine solitaria. Poco dopo la ritroviamo in auto sotto un diluvio scrosciante, con Leo seduto di fianco. La giovane donna telefona a Paoletto, che percepisce dalla sua voce che qualcosa non va ma lei non spiega nulla e chiude rapidamente la telefonata. Ferma la sua auto nei pressi della Grotta Gigante, completamente deserta a quell’ora, e vi entra accompagnata a sua insaputa soltanto dallo spirito di Cagliostro: facendosi luce con il cellulare inizia a scendere delle ripide scale avvolte dall’oscurità. Contemporaneamente Anna va a casa di Piras per scusarsi con lui per il loro attrito, ma l’uomo non la lascia entrare e sulla porta le dice che non è più tempo di affrontare alcuna cosa insieme e di lasciar fare a lui. Una volta richiusa la porta lei lo vede dall’ampia vetrata allontanarsi di spalle, poi a un tratto voltarsi nella sua direzione: i due si scambiano un lungo sguardo, che lei non immaginerebbe mai essere l’ultimo. Nel frattempo a casa di Eleonora si presenta lo spirito malvagio, della cui presenza non tarda ad accorgersi Vanessa quando vede tremare le luci in camera sua. Istintivamente va dalla madre che scongiura lo spirito di lasciarla in pace e quest’ultimo in risposta all’osservazione della ragazza - convinta che lui non potesse in alcun modo far loro del male - la scaraventa contro una parete, poi concentra tutta la sua energia in modo tale da far provare sia a Eleonora sia a Vanessa una vera e propria sensazione di strangolamento. Vanessa, atterrita e in pericolo di vita, chiama con tutta la forza che le rimane Leo, che finalmente la sente e si precipita lì, intervenendo e scacciando lo spirito di cui apprendiamo il nome: si tratta di Alessandro, l’assassino del padre di Vanessa. Ancora in presenza di Leo, la ragazza telefo52

na a Paoletto e lo informa del fatto che Lucia è in pericolo di vita e che a casa sua ha lasciato delle cose importanti per lui. Il commissario non ci pensa due volte e lo vediamo alla guida della sua auto verso la casa di Lucia, mentre prova a telefonarle ma trova soltanto la segreteria telefonica. Una volta dentro casa raggiunge la camera dove la donna aveva lasciato annotazioni sulla tappezzeria ma quest’ultima è stata vistosamente strappata e del registratore non c’è traccia. Leo è lì con Paoletto e in preda allo sconforto pensa che quest’ultimo sia arrivato davvero troppo tardi. Di lì a non molto il commissario viene raggiunto da una terribile notizia: Stella gli telefona per comunicargli la morte di Piras, ritenuta per il momento un suicidio, cui Paoletto non crede assolutamente. Stella spiega che il corpo dell’uomo è stato trovato nella vasca da bagno di casa sua ed è stato ucciso da un colpo d’arma da fuoco alla testa. In casa di Piras, oltre alla Scientifica che sta facendo i necessari rilevamenti, ci sono Alessi e Jamonte. Alessi dice al vicequestore che in forma cautelare bisogna arrestare la Mayer e lui chiede di poter andare da solo per evitare un eccessivo clamore. Intanto, nella lussuosa residenza dei Silvestrin, il figlio dice al padre che tutto è stato sistemato, secondo il volere di qualcuno di cui non fa il nome; il padre lo guarda con disprezzo, accusandolo di farsi usare come bassa manovalanza e di non avere ereditato nulla della sua tempra. Arrivato nel cuor della notte a casa di Anna, Jamonte la informa della morte del sostituto procuratore Piras, molto probabilmente suicidatosi in casa sua. Anna non ci vorrebbe credere, afferma di essere andata da lui poche ore prima e di averlo visto determinato a scoprire chi lo voleva incastrare. Jamonte le chiede di seguirlo in

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questura per via di una lettera indirizzata a lei e trovata in casa di Piras, lettera che richiede che venga fatta chiarezza su alcuni punti e che al momento è sottoposta all’esame della perizia calligrafica. Anna gli chiede di poter portare la bambina con sé e va a vestirsi per uscire; in quegli istanti prende la decisione più arrischiata che si potesse immaginare: chiude a chiave Jamonte in casa sua, con la bambina, e scappa via. Lui contatta immediatamente i colleghi e in breve la polizia giunge sotto casa, e arriva anche la sorella di Anna per badare alla piccola Vanessa. Anna, sola in una Trieste spettrale, getta il suo telefono in mare e poi corre verso una rimessa di barche al porto. SETTIMA PUNTATA Alessi e Jamonte sono in conferenza stampa in seguito alla morte di Piras e Alessi desidera che la Mayer venga ritrovata al più presto dal vicequestore e dalla sua squadra per placare il polverone che si è di recente sollevato fra i giornali e l’opinione pubblica. In commissariato viene consegnato a Jamonte il telefono di Anna recuperato da un poliziotto; il vicequestore non tarda a comunicare a Stella, separatamente, che sa che l’ultimo contatto telefonico di Anna è stato rivolto a lei e non le chiede alcuna informazione a patto che da quel momento in avanti la poliziotta non gli tenga nascosto nulla; poco dopo Paoletto ottiene da lui il permesso di poter indagare su Lucia e Jamonte intuisce che il commissario ha un interesse personale verso la donna. Mentre Jonas cerca di fare chiarezza fra i frammenti dei suoi ricordi con l’aiuto della psicologa, Cagliostro raggiunge Anna nel suo vecchio rifugio sul mare e la prega di essere prudente, nonostante lei non possa né sentirlo né vederlo. Poi Leo si reca a casa di Vanessa e in camera di lei ricostruiscono in-

sieme uno schema della Fenice e aggiungono ai nomi fatti da Lucia nella sua registrazione quello di Patrizia Durante. Mancano ancora due componenti e soprattutto devono scoprire chi sia il capo. A Leo non è passato inosservato il fatto che Vanessa per la prima volta sia stata in grado di chiamarlo ma lei svia il discorso e non fa alcun cenno a Federico. Leo la accompagna a una gara in piscina e le dice di essere preoccupato per Eleonora e per Anna; a un tratto, mentre percorrono un sottopassaggio, vedono Paoletto venire loro incontro. Il commissario chiede alla ragazza di dirgli tutto ciò di cui è a conoscenza dal momento che è stata lei a chiamarlo e ad avvertirlo del pericolo corso da Lucia. Vanessa gli riferisce le informazioni sulla Fenice e sottolinea che Lucia non sapeva che ne facesse parte anche la Durante, che Paoletto sa essere legata anche alla Fondazione Gherardi. Quando lui, per quanto scettico sulle sue qualità da medium, le chiede che fine abbia fatto secondo lei Lucia, Vanessa risponde che pensa che Silvestrin l’abbia attirata in una trappola alla Grotta Gigante. Stella porta a Jamonte una foto che mostra Anna ripresa dalle telecamere vicino al canale, successivamente si reca di sua iniziativa alla sezione scientifica dove chiede notizie sulla perizia calligrafica della lettera scritta da Piras poco prima di morire. La poliziotta che l’ha fatta risponde che al 98% la grafia è autentica e, nonostante una certa diffidenza, consegna alla Mariani la fotocopia della lettera da lei richiesta, peraltro a insaputa di Jamonte. Mentre la sorella di Anna si prende cura della piccola Vanessa e Cagliostro, recatosi da loro, ha un nuovo flash di premonizione, Stella asseconda il desiderio di Anna raggiungendola, a proprio rischio e pericolo, su un treno abbandonato in stazione. Le porta 53

come promesso la fotocopia e Anna nota immediatamente il fatto che sia stata scritta in stampatello: sa infatti che Piras utilizzava quel carattere ogni volta che prendeva appunti su qualcuno che riteneva stesse mentendo. Di conseguenza secondo lei è stato costretto a scrivere quel messaggio per incolparsi della morte di Cagliostro e ha utilizzato quel carattere per far comprendere la falsità del contenuto. Stella vorrebbe aiutarla ancora ma la avverte che non potrà più farlo perché Jamonte la tiene sotto stretta osservazione. Paoletto va alla Grotta Gigante e si inoltra nelle sue profondità, poi, terminato il giro di ispezione, si ferma negli uffici, chiedendo di poter visionare i file delle telecamere di sicurezza. La signorina del personale si informa telefonicamente e gli riferisce che quei file


risultano danneggiati; gli conferma inoltre che sia il museo sia la grotta appartengono alla Fondazione Gherardi. A sera inoltrata Jonas riesce ad accendere il motore della sua vecchia auto e Silvia ne è felice, ma lui è inquieto: le fa domande su Cagliostro e le dice di essere molto incuriosito dalla vicenda, cioè dal fatto che quel poliziotto sia stato ucciso proprio dall’uomo che amava come un padre. Lei risponde evasivamente e appena lui si allontana controlla che in un interno dell’auto ci sia una pistola, riposta lì probabilmente da molto tempo prima. A casa Mayer c’è un’atmosfera decisamente tesa durante la cena fra i genitori di Anna e sua sorella, mentre Cagliostro guarda la bimba in salotto. All’improvviso compare davanti a lui lo spirito di Alessandro che spaventa Leo dicendogli che odiava Vanessa da piccola perché era la prova lampante che la vita di Eleonora continuava senza di lui. Alessan-

dro gli dice anche che se davvero Eleonora volesse che lui sparisca definitivamente, non si troverebbe già più sulla Terra; al tempo stesso però non nasconde il suo desiderio di distruggerla. Paoletto va a prendere Stella alla stazione di polizia alla fine del suo turno per chiederle aiuto per il caso di Lucia e lei si dice subito disposta a collaborare. Nel tragitto in auto lui la mette a parte di tutto quanto c’è da sapere e lei vorrebbe dirgli qualcosa a proposito di Anna ma lui glielo proibisce, altrimenti non potrebbe fare altro che il suo dovere di riferire a Jamonte. Poco prima della chiusura del bar ristorante di Eleonora Federico se ne va e Alessandro approfitta del fatto che lei sia rimasta sola per apparire e spaventarla a morte, scaraventandola prima contro una parete e poi facendole provare la stessa sensazione di soffocamento con cui aveva atterrito anche Vanessa. Per fortuna Cagliostro se ne accorge e sveglia precipitosamente la ragazza insieme alla quale corre al bar dove, seminando una distruzione di cui forse nemmeno lui si sarebbe ritenuto capace, mette finalmente in fuga Alessandro. Una volta che Eleonora ha recuperato un po’ di tranquillità, Cagliostro le suggerisce che forse è proprio lei a dover liberare quello spirito, perché molto probabilmente sono proprio i suoi sensi di colpa a trattenerlo nell’al di qua: la donna allora si mette in contatto con Alessandro che ricompare e gli dice con grande sincerità che non può che chiedergli scusa per averlo deluso e non averlo amato abbastanza ma al tempo stesso che la decisione di suicidarsi l’ha presa lui e lei non avrebbe mai voluto una cosa simile. A un tratto si spalanca una porta luminosissima e Alessandro la varca, con la tranquillità di chi ha trovato la strada di casa. Paoletto e Stella terminano il 54

loro inseguimento di Silvestrin senza particolari risultati; lei gli suggerisce che potrebbero indagare su altri esponenti della Fenice meno in vista e intanto ricevono la telefonata di Jamonte che li informa di aver verificato che Anna continua a pagare l’affitto del rifugio sul mare di Cagliostro Corrono tutti là ma arrivano tardi, di Anna nessuna traccia. Lei infatti sta sul treno fermo in stazione dove si era fatta raggiungere dalla Mariani e lì, fra il buio e il freddo, mentre fuori scende una pioggia battente, ripensa a lontani e irraggiungibili attimi di felicità, quando si trovava fra le braccia di Leo nella vasca da bagno della loro casa, e tutto sembrava meraviglioso. L’indomani Alessi e Scaglianti sono convocati dal presidente della corte: Scaglianti, avvocato difensore di Rambelli, chiede l’assoluzione e il rilascio del suo assistito; Alessi dal canto suo afferma di non credere all’innocenza di Rambelli ma contemporaneamente riconosce che ormai il processo è viziato ed è meglio chiuderlo aspettando il secondo grado. All’uscita dal tribunale Scaglianti s’imbatte in Silvia Pes che gli chiede di avvertire Rambelli di essere in pericolo, e l’avvocato le risponde di sporgere denuncia facendo il nome di chi costituirebbe un pericolo per il suo assistito. Al porto Stella prosegue le indagini sulla Fenice, chiedendo alla guardia costiera di consultare la documentazione sui traffici marittimi avvenuti fra il 1980 e il 1990, cioè il periodo in cui Nikolic e Gherbez lavoravano insieme al porto. Non molto tempo dopo aver iniziato a consultare la documentazione presso l’archivio marittimo, Stella telefona a Paoletto dicendogli di raggiungerla al più presto perché ha trovato preziose informazioni sulla Fenice. Li ritroviamo così entrambi al porto mentre lei gli riferisce che la Fenice è stata una nave mercantile in

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attività per trent’anni e probabilmente utilizzata anche per il contrabbando, oltre all’import export ufficialmente dichiarato. L’armatore della nave risulta essere Patrizia Durante e a Paoletto viene l’idea di cercare in archivio i nomi di tutti i capitani che si sono alternati al comando. Quando Federico arriva nel bar di Eleonora fatica a credere che tutti i danni di cui ci sono ancora segni evidenti, come i vetri sparsi a terra, siano davvero stati procurati da un litigio fra ragazzi come lei prova a raccontare e così esce a telefonare a Vanessa che ascoltava musica vicino alla sua piscina e che proprio in quel momento viene avvicinata da Jonas. Quest’ultimo vuole chiederle delle informazioni su Cagliostro, lei invece vuole solo andare via e gli dice che l’unica cosa che Cagliostro sa di lui consiste nel fatto che fosse amico di Rambelli. All’ex vicequestore ancora in prigione Scaglianti riferisce quanto dettogli dalla bella donna bionda di mezz’età incontrata per strada e Rambelli riconosce subito in lei Silvia, che pensa sia così pazza da volergli ancora bene, e chiede all’avvocato di farlo uscire di prigione il prima possibile. All’archivio marittimo un impiegato di una certa età fornisce a Stella e a Paoletto l’elenco richiesto con i nomi dei capitani, fra cui compare quello di un certo Giulio Giannini su cui l’impiegato si sofferma: si viene così a sapere che quest’ultimo era diventato capitano quando era ancora molto giovane ma altrettanto presto, e inspiegabilmente, aveva lasciato il suo posto. A Paoletto viene comunicato per telefono che il cellulare di Lucia è stato riattivato. Contemporaneamente Anna si reca alla tomba di Cagliostro, poi al cimitero intravede don Giulio e lo segue: gli svela di essere in fuga e senza denaro e un posto dove poter stare, quindi gli chiede di aiutarla

come aveva fatto con Rambelli. Paoletto e Stella arrivano alla Grotta Gigante dove viene dato loro da alcuni poliziotti presenti sul posto il cellulare di Lucia e nascosto in un blocco di carta macerata, in un impianto di discarica, viene trovato il cadavere della giornalista. Cagliostro legge su un foglio appeso al portone della chiesa il nome di don Giulio Giannini e Anna trova ospitalità presso la moglie di Valerio Lorenzi, il poliziotto che si trova nella stessa prigione di Rambelli. OTTAVA PUNTATA In piscina Vanessa ringrazia Cagliostro per l’aiuto che ha dato a sua madre e poi si offre di cercare di capire di più a proposito di Jonas, ma lui è determinato a indagare soprattutto su don Giulio. Poco dopo Federico raggiunge Vanessa nel bar della piscina e le dice apertamente che ha capito che anche Eleonora è una medium; quando la ragazza gli confida che finalmente sua mamma si è liberata da una lunga persecuzione, lui risponde che non sempre queste liberazioni sono la cosa migliore che possa accadere. Informato dal medico legale che Lucia è morta per strangolamento e dalla Mariani del fatto che il capo della Fenice risulterebbe essere don Giulio, il commissario si reca in carcere alla messa per i detenuti dove saluta Lorenzi e dove alla conclusione della celebrazione parla a tu per tu con il prete. Alla domanda di Paoletto su cosa facesse da giovane, don Giulio risponde di aver avuto il grado di ufficiale di navigazione e di essere stato comandante di navi mercantili, fra cui ammette esserci stata anche la Fenice. Quando il commissario gli domanda se abbia mai saputo nulla della confraternita, il prete risponde di no; dice di conoscere i nomi di quelli che Paoletto gli cita come membri solo in quanto perso55

ne di una certa levatura a Trieste, ma ribadisce di non aver avuto nulla a che fare con loro direttamente. Paoletto gli promette che non gli permetterà vita facile e, una volta rimasto solo, don Giulio viene spaventato da qualche effetto speciale ideato appositamente da Cagliostro che ha ascoltato tutta la conversazione. Arrivata in commissariato la segnalazione della telecamera di sorveglianza di una banca che ha ripreso la Mayer durante un prelievo, Jamonte si precipita con Stella e altri sul posto per cercare di prenderla, completamente ignaro di essere caduto nella trappola architettata da Anna stessa: lei infatti approfitta dell’allontanamento dei poliziotti per introdursi furtivamente in commissariato e intrufolarsi nell’ufficio di Jamonte. Lì recupera le due perizie sulla pistola che aveva ucciso Leo, le fotocopia, e si dilegua fra i corridoi fino a guadagnarsi rapidamente l’uscita. Mentre Paoletto è sempre più determinato a prendere l’assassino di Lucia, Jamonte torna a mani vuote nel suo ufficio, deluso e adirato per aver fatto il gioco della Mayer. A un tratto vede un postit sullo schermo del suo computer, lo legge: “Se non trovi tu chi è il responsabile lo faccio io!”. Cagliostro è fiero dell’astuta intelligenza di sua moglie, mentre Jamonte non si dà pace e a fine giornata va nel solito bar di Eleonora dove trova Federico che lo informa che a causa di un incidente il bar resterà chiuso per un po’ di giorni. Il


vicequestore rientra a casa molto tardi e trova sua figlia Erika ancora alzata, che subito si accorge dello stato di ebbrezza in cui è lui e gli rivolge severamente varie domande. Lui risponde aggiungendo qualcosa che manda la figlia su tutte le furie: rivela di essere stato lui il responsabile dell’arresto del suo ragazzo, Saverio, che ha sempre ritenuto un poco di buono. Con la complicità di alcuni colleghi l’ha fatto trovare con della droga, più di quanta sarebbe stato nei suoi piani. La ragazza dice che informerà i giornalisti di tutto ciò per rovinargli la carriera e poi esce di casa. A casa Mayer Cagliostro guarda la bimba addormentata e ha una nuova premonizione; si precipita quindi da Vanessa intenta a mandare un messaggio vocale a Federico per parlare ancora con lui delle ombre e le dice che ha capito che quanto ha sentito nella premonizione non era uno sparo ma un fuoco d’artificio, cosa che gli lascia sperare di avere ancora tempo sufficiente per poter salvare sua figlia. Vanessa è pronta ad aiutarlo come sempre e soprattutto più libera di farlo, adesso che non si è qualificata nella gara di tuffi. A casa di Caterina, la moglie di Lorenzi, Anna le chiede un po’ della sua vita e confida i suoi momenti bui; parla alla donna della perizia che è riuscita a fotocopiare e lei le mette a disposizione un computer per cercare informazioni sul suo autore, un certo Caligaris, che ha ragione di credere sia stato corrotto. Dalla psicologa che lo ha in cura Jonas rivede con precisione la scena del delitto di Cagliostro

e finalmente è certo, nonostante i dubbi di lei, che si tratti di effettiva verità e non di immaginazione. Successivamente si reca nel luogo dove era stato ucciso Leo e poi va in prigione a parlare con Rambelli. Quest’ultimo lo provoca in vari modi, gli dice che Silvia una volta l’ha tradito con lui e che di recente ha supplicato il suo avvocato di proteggerlo, ma Jonas fa capire che gli interessa solo la verità e dichiara con fermezza di sapere che è stato lui l’assassino di Cagliostro. Con l’autorizzazione di Jamonte Paoletto si reca alla Gazzetta di Trieste dove è in corso una riunione, un momento commemorativo dedicato a Lucia. A tenere il discorso è naturalmente Silvestrin, alle cui parole di elogio e affetto il commissario non crede affatto. Poi Paoletto interviene per scuotere le coscienze dei giornalisti presenti, ricordando che il loro dovere come quello dei poliziotti consiste nel cercare la verità, e per provocare Silvestrin il quale, appena può, esce dalla sala per mandare al riparo da occhi indiscreti un messaggio dal seguente testo, letto a sua insaputa da Leo: “Mi stanno addosso, cosa devo fare?”. Poi lo stesso Silvestrin incarica il direttore di inserire nel giornale fra i necrologi un anniversario in memoria di una certa Lorenza Feliciani, e all’improvviso arriva una notizia che sorprende tutti: Rambelli è stato assolto dall’accusa di omicidio. Cagliostro si ritrova con Vanessa a ragionare insieme sull’accaduto. Il sospetto che era balenato nella mente del poliziotto a proposito del necrologio trova conferma non appena la ragazza cerca su Internet informazioni a proposito della donna cui era dedicato: scoprono infatti che Lorenza Feliciani era la moglie di un certo Giuseppe Balsamo, meglio noto come Conte di Cagliostro! A questo punto Leo 56

è certo che quel messaggio stravagante, pubblicato solo con la data della veglia ma privo di alcuna indicazione di luogo, fosse proprio una comunicazione in codice fra i membri della Fenice. Pensa che se staranno alle costole di Silvestrin riusciranno forse a prendere anche tutti gli altri. La dottoressa di Jonas raggiunge Silvia nella sua casa sul mare e la informa di essere molto preoccupata per lui, sia per la sua intenzione di sospendere la terapia di cui ha invece ancora bisogno sia perché negli ultimi incontri ha ricordato delle cose che l’hanno molto turbato. Silvia s’incuriosisce e vorrebbe capire se in qualche modo fra i ricordi di Jonas c’entra anche lei ma la dottoressa se ne va frettolosamente e non aggiunge nulla. Contemporaneamente Federico porta Vanessa a fare un giro in moto in montagna e lì le racconta della “sua ombra”, Donatella, la ragazza di cui era innamorato e tragicamente morta a causa di un incidente in cordata. Lui ha visto aprirsi la porta rossa e lei rinunciare a varcarla pur di potergli stare ancora vicino e di proteggerlo, cosa che sta ancora continuando a fare. Dice a Vanessa che i rapporti con le ombre sono molto complessi, sono rapporti di amore-odio e bisogna stare attenti, altrimenti si rischia di essere trascinati giù nel mondo dei morti. Jonas fa un giro in auto con Silvia e sembra di buon umore finché lei non gli fa domande sulla terapia e sui ricordi del passato. Allora lui ferma la macchina e affronta seriamente il discorso: le dice di essere stato da Rambelli e di aver saputo del tradimento di lei, che però gli assicura di aver amato solo lui. La sera a casa sembra rinascere la storia d’amore fra i due. Camminando solo per le vie di Trieste Cagliostro legge a un tratto una notizia affissa presso un’edicola: “Fuochi d’artificio 28 giugno”.

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NONA PUNTATA Anna sogna sua figlia da adolescente e Leo che la accusa di averla abbandonata, poi si sveglia di soprassalto e dice a Caterina che vuole e deve tornare dalla piccola Vanessa. Intanto Paoletto e la Mariani riferiscono a Jamonte tutto quanto hanno raccolto a proposito della Fenice, ma lui vuole prove concrete che ancora mancano e Cagliostro che ascolta tutto scalpita per arrivare il prima possibile alla verità. Filip arriva in motorino al bar di Eleonora e vede Vanessa in tenero atteggiamento con Federico, quindi lei gli si avvicina e sale a bordo del motorino per andare a parlargli con calma. Sul molo gli spiega di essersi avvicinata a Federico per lo stesso motivo per cui si è allontanata da lui, rivelandogli che anche quel giovane è un medium. Filip si rifiuta di crederci, è convinto che Federico la stia prendendo in giro. Lei gli dice che fra loro non c’è niente, che lui le sta solo dando una mano in un momento complicato. Filip se ne va dicendole che gli spiace che lei non si sia accorta che quanto c’era fra loro era molto più importante. Seduto sulla panchina di un altro molo con di fianco la carrozzina con la nipotina c’è il padre di Anna: lei lo raggiunge in un baleno, gli si siede accanto e il più velocemente possibile gli parla della perizia falsificata per incastrare Piras e gli chiede di scoprire chi sia quel qualcuno, molto generoso, che ha deciso di servirsi di Caligaris per questo scopo. Gli chiede infine di parlarne con Alessi, il procuratore in cui ripone fiducia. All’improvviso la bambina piange, lei si alza e appende il ciondolo che aveva al collo alla carrozzina per tranquillizzarla; nel frattempo Jamonte la vede dall’auto in cui era appostato e cerca di raggiungerla. Lei se ne accorge e inizia una corsa mozzafiato: Anna riesce a sfuggirgli facendogli credere di voler scappare

su una barca a motore ormeggiata lì vicino, che finisce invece per salpare con Jamonte a bordo e lei che lo guarda vittoriosa dalla riva. Mentre Stella e Paoletto decidono di proseguire nelle indagini a modo loro, e cioè di ripartire dal suicidio del fratellastro della giornalista per capire quale collegamento ci sia fra quel fatto e la fine delle attività illegali della Fenice, il vecchio Silvestrin e suo figlio si preparano per una serata di gala e il padre dice al giovane, che vorrebbe uscire definitivamente dalla confraternita, che dovrà restare per sempre legato alla Fenice come tutti loro. Vanessa raggiunge Federico nel camper che gli fa da casa e nota subito i libri di occultismo presenti, e in particolare ne vede uno legato al Conte di Cagliostro: chiede qualche curiosità al giovane che le risponde di aver studiato quel personaggio, affascinante alchimista e guaritore. Fuori dal camper Vanessa chiama Cagliostro e lui compare credendola in difficoltà, ma presto si accorge di essere stato attirato lì solo per mettere alla prova Federico, il quale effettivamente dice di vederlo confermando la sua qualità di medium. Cagliostro se la prende con la ragazza per aver rischiato di fargli perdere le tracce dei Silvestrin in un momento importantissimo e Federico si offende per la mancanza di fiducia di lei nei suoi confronti. Cagliostro scompare, Vanessa spiega a Federico che tutti coloro a cui ha voluto bene le hanno mentito e di conseguenza aveva bisogno di metterlo alla prova, poi lo bacia ma lui la allontana dicendole che è evidente che lei è innamorata della “sua ombra” e che non deve giustificarsi con lui di questo. Segue fra i due un abbraccio fraterno. Le immagini seguenti confermano che Cagliostro ha avuto la giusta intuizione, infatti ritroviamo i Silvestrin e gli altri membri 57

della Fenice a teatro per la prima della stagione. In mezzo alla folla compaiono anche Jamonte e i genitori di Anna, cui i giornalisti non mancano di porre qualche interrogativo. Il padre di Anna utilizza questa situazione per lanciare un messaggio alla figlia, che lo ascolta guardando uno schermo tv in un bar con biliardo di bassa frequentazione dove spera che nessuno la riconosca: al giornalista infatti Mayer dice di fidarsi di Alessi, persona retta e “generosa”. Non a caso sceglie di utilizzare lo stesso aggettivo che aveva usato proprio Anna nel loro più recente incontro. A teatro, a spettacolo ormai iniziato, sopraggiunge Eleonora che non ha potuto dire di no alla richiesta d’aiuto di Cagliostro: entra con lui, compra un biglietto e raggiunge il suo posto in un palchetto laterale. Da lì, insieme, osservano tutti i sospettati. Dopo non molto tempo vedono don Giulio, la Durante e i Silvestrin lasciare i loro posti: Leo dice a Eleonora di restare nel palco mentre lui va a inseguirli. Nota che il vecchio Silvestrin a un certo punto ordina al figlio di tornare in platea senza ammettere repliche. I tre entrano in una sala vuota dove ad attenderli su un palco c’è colui che Leo non avrebbe mai immaginato di trovare: Alessi. Si sistemano quindi tutti in una sala più piccola e riservata, sedendosi su poltrone disposte in cerchio; Alessi inizia dei saluti di rito ma


la Durante e don Giulio gli chiedono di evitare queste formule ormai inutili. Allora Alessi arriva al dunque, dichiara di aver ricevuto delle lettere ricattatorie e domanda se anche gli altri sono stati ricattati; il vecchio Silvestrin dice che suo figlio ha voluto questo incontro proprio perché si trovano fra l’incudine e il martello, con i ricattatori da una parte e la polizia dall’altra. Don Giulio nega di essere stato ricattato mentre la Durante dice che sta continuando a sborsare un sacco di soldi come ha già dovuto fare in passato. Alessi li informa del fatto che il titolo del libro è stato trovato fra gli appunti di un piccolo criminale, Brezigar, e aggiunge che lui e il figlio di Silvestrin hanno già eliminato un problema, una persona che cominciava a sapere troppo: la Durante deduce immediatamente che si tratta della giornalista, disapprova e non vorrebbe avere più a che fare con la Fenice ma Alessi le risponde che ormai è troppo tardi dal momento che l’assassinio è avvenuto nella Grotta gestita dalla sua Fondazione. Poi, rivolgendosi a tutti, Alessi dice che è necessario trovare al più presto chi è in possesso del libro che gli permette di ricattarli, altrimenti sono tutti in pericolo. Cagliostro che ha ascoltato tutto fa ondeggiare il lampadario e vibrare le luci, spaventando visibilmente tanto la Durante quanto don Giulio. Poi torna nel palco di Eleono-

ra e le dà una serie di istruzioni, guidandola di corsa fino al ridotto al piano inferiore dove si trova ancora la Fenice. Arrampicandosi dietro a una porta chiusa con una parte superiore di vetro e approfittando dell’oscurità, Eleonora riesce a scattare con il suo telefono varie foto a tutti i presenti. Poi altrettanto velocemente torna fra la folla, che occupa nell’intervallo il foyer del teatro. Da lì, seguendo il suggerimento di Leo, apre un nuovo indirizzo mail e invia tutte le fotografie a Paoletto. Quest’ultimo si trova in commissariato in compagnia di Stella, che gli rivela di non aver capito quanto lui fosse innamorato di Lucia. Allora lui si confida dicendo di essersi sentito fragile nel momento in cui alle forti emozioni del presente si sono sovrapposte quelle del passato: ha ricordato la morte di Daria e quella di sua madre avvenuta nel sonno da un giorno all’altro. Poi aggiunge: “Ho sempre avuto delle donne molto forti accanto a me e le ho perse tutte, anche te”. A teatro Cagliostro nota che don Giulio sta uscendo e si mette al suo inseguimento salendo a bordo della sua auto. Anche Jamonte abbandona la platea, chiamato dalla figlia Erika che lo conduce fuori, per le strade di una Trieste deserta, a un incontro segreto con Anna. All’inizio fra i due è inevitabile lo scontro verbale, dal momento che il vicequestore la rimprovera di aver tradito la sua fiducia e lei ribatte di non aver avuto altra scelta. Poi a un tratto lui la bacia, lei lo schiaffeggia, lui si scusa. Torna la calma, e Anna comincia a metterlo a parte di quanto ha capito finora: gli dice che dietro al finto suicidio di Piras c’è Alessi e che è stato quest’ultimo a compromettere il processo; aggiunge che la perizia corretta sulla pistola che ha ucciso Cagliostro è sempre stata quella già consegnata agli atti, non quella spuntata fuori di 58

recente e retrodatata da un certo Caligaris di dubbia reputazione. Jamonte risponde che in assenza di prove queste rimangono solo illazioni ed è pronto a indagare anche sul conto di Alessi a patto che Anna si consegni alla polizia la sera stessa. Lei accetta, facendosi prima accompagnare da lui a casa dei suoi per salutare la bambina. All’uscita da teatro Eleonora incontra sua sorella Stefania, decisamente meravigliata nel trovarla lì; quest’ultima è felice di poterle finalmente presentare il suo Vittorio, che Eleonora è costretta ad apprendere essere Alessi. Lì per lì non dice nulla alla sorella, ma le fa capire la sua intenzione di parlarle al più presto. Stella e Paoletto sono ancora al lavoro, esaminano le denunce dell’ultimo trimestre dell’85 in seguito a una rapina al Credito Triestino. Consultano i faldoni delle banche e s’interrogano su un possibile nesso fra la rapina e la Fenice. Stella trova un articolo dell’epoca che parla di dodici cassette svuotate a fronte di undici denunce: la cassetta per cui non è stata sporta denuncia è la 22,26 e Paoletto sospetta che ci fosse qualcosa da nascondere. Poi vedono arrivare Jamonte con Anna, accompagnata in una cella dal vicequestore che le dà delle fototessere dicendo che pensa siano importanti per lei. A tarda notte Paoletto e Stella lasciano la questura e mentre scendono le scale lui riceve la mail inviata da Eleonora: insieme vedono così tutta la Fenice al completo, si sorprendono della presenza di Alessi, cominciano a pensare a come proseguire le indagini a sua insaputa. Lei gli dice che questo non può che essere un regalo di Cagliostro e lui istintivamente dice di sì, poi si corregge affermando: “Se dico di sì devo mettere in discussione tutto ciò in cui credo, e io non credo”. Nel teatro, completamente vuo-

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to, rimane seduta solo Patrizia Durante. Don Giulio ferma la sua auto, a bordo della quale c’è sempre Cagliostro, in un punto convenuto: scende e raccoglie un borsone da terra, pieno di banconote. Conclude la puntata la voce fuori campo di Cagliostro: “Il teatro ci emoziona perché fa parte di noi. Quante volte nella vita quotidiana interpretiamo dei ruoli. Neghiamo i nostri sentimenti, fingiamo di non avere alcun rancore. Non diciamo alle persone quello che le farebbe soffrire. E tutto questo solo per essere amati, e sembrare perfetti. Ma a un certo punto il sipario si chiude, e comincia il vero pericolo”. DECIMA PUNTATA Anna dorme nella cella di custodia della questura, Cagliostro è vicino a lei e le parla: Anna si sveglia e sembra che ne abbia percepito la presenza. Lui sparisce e riappare a casa di Eleonora: parlano insieme sul balcone di Alessi, che adesso è più che mai interesse di entrambi fermare, nel caso di Leo per proteggere sua figlia e in quello di Eleonora per proteggere sua sorella. Cagliostro la informa di aver visto don Giulio prendere il denaro della Durante, cosa che gli fa pensare che sia proprio il prete ad avere il famoso libro e a ricattare gli altri membri della Fenice. Cagliostro vuole costringerlo a confessare la verità facendo leva sulla paura che don Giulio ha nei suoi confronti dal momento che sa che il suo spirito è rimasto sulla Terra. Inoltre dice a Eleonora di non rivelare a Stefania che Alessi è il capo della Fenice, altrimenti la donna finirebbe per tradirsi e allora sarebbe davvero in pericolo. Vanessa, rientrata da poco, riesce a sentire la parte finale della loro conversazione e li interrompe bruscamente, in collera nel sentirsi esclusa. Cagliostro le risponde che ha sempre avuto ragione Eleonora, è giusto che lei faccia la sua

vita da adolescente e non si faccia coinvolgere dalle ombre. Entrambi vogliono proteggerla da quella verità che stanno a poco a poco scoprendo e che si sta già rivelando molto pericolosa. Leo accetta tuttavia di parlare con la ragazza in privato per chiarire la loro situazione: lei si scusa per essersi servita di lui per verificare la sincerità di Federico e lui l’accusa di avergli nascosto molte cose, fra cui la sua improvvisa capacità di chiamarlo. Vanessa gli spiega che poterlo chiamare è qualcosa di molto importante, perché testimonia che lui è la “sua” ombra e che fra loro esiste un legame speciale, nato da prima che lui morisse; aggiunge inoltre che anche lei voleva avere un po’ di controllo sulla dinamica fra loro due, tradendo la forza dei suoi sentimenti. Cagliostro questa volta è implacabile: è in collera con lei per aver sottovalutato i rischi che corre la bambina di Leo, per salvare la quale ogni minuto può essere prezioso, e per aver messo al primo posto qualcosa che per lui non ha invece così tanto significato. Infine Cagliostro sparisce lasciandola sola e in lacrime. Lo vediamo poco dopo accompagnare Eleonora da don Giulio, impegnato nel catechismo con un gruppo di bambini. Il prete termina la sua lezione e, una volta solo con Eleonora, si sente chiedere da lei - che si presenta come intermediario che agisce per conto del commissario Cagliostro, che gli fa sapere essere in quel momento presente accanto a lei - la verità sulla Fenice. Don Giulio fa per andarsene ma la donna lo insegue nei corridoi e Cagliostro dimostra la sua presenza facendo vibrare le luci e spalancare una porta Il prete è terrorizzato, prega e finalmente risponde a Eleonora. Racconta di essere stato al comando della nave Fenice e di essersi lasciato convincere da quelli della confraternita a fare trasporti illegali (merci di 59

contrabbando e armi), entrandone a far parte anche lui. Racconta che una volta è avvenuto un tragico incidente: stava trasportando clandestinamente dei bambini, figli di povera gente che non sapeva come mantenerli e che sarebbero stati adottati da famiglie perbene, e una fuga di gas nel locale vicino alla sala macchine dove erano stati nascosti aveva posto fine alle loro vite. Da allora aveva cercato e trovato rifugio in Dio. Quando Eleonora gli domanda del libro, don Giulio risponde che si tratta del vero libro mastro della nave, che contiene tutti i nomi e le prove dei crimini commessi; alla domanda diretta per sapere se sia lui il ricattatore della Durante, il prete risponde di essere anche lui sotto ricatto e di essere stato obbligato a scrivere e inviare delle lettere. Allora Cagliostro solleva una bufera di carte e promette di perseguitarlo finché non farà il nome del ricattatore: don Giulio finalmente cede e rivela che si tratta di Rambelli. Contemporaneamente a tutto ciò, Paoletto si reca al Credito Triestino e parla con la direttrice per scoprire l’intestatario della famosa cassetta di sicurezza 22,26. Dapprima reticente, la donna poi asseconda la richiesta del commissario che le mostra l’elenco delle undici denunce e le chiede solo di annuire nel caso la dodicesima cassetta fosse appartenuta a Vittorio


Alessi. In preda alla paura, la donna non sa negare e a questo punto Paoletto ha in mano esattamente quel che cercava e torna di corsa in commissariato a informare Stella. Mentre Rambelli esce di prigione senza nessuno fuori ad aspettarlo, dopo essersi sentito dire da un poliziotto che per suo figlio lui non esiste più, Paoletto e Stella riferiscono le ultime a Jamonte e lui condivide con loro quanto gli era stato detto dalla Mayer. A questo punto si domandano a chi possa far comodo che la Mayer e Piras vengano incriminati e il cerchio si stringe su Rambelli: Jamonte dice che dal penitenziario hanno confermato che fra i libri che Rambelli aveva in cella c’era anche quello de I misteri del Conte di Cagliostro e che è stato Brezigar a portarglielo. In un baleno i tre si precipitano a casa di Rambelli per recuperare il libro che ricatta tutta la Fenice. Nel frattempo Rambelli era sceso in un seminterrato sottostante il suo appartamento e adibito a vero e proprio archivio segreto e lì gli vediamo fra le mani il prezioso libro, riportato a casa dal carcere. Qualcuno suona insistentemente alla sua porta, Rambelli risale le scale e apre; poi prepara un whisky in un gesto che sembra d’abitudine, e infine questo misterioso qualcuno a cui lui si rivolge ma di cui noi non vediamo assolutamente nulla e da cui non sentiamo dire alcunché, gli spara mirando

al cuore. Rambelli s’inginocchia e si accascia a terra. Per lui è finita. Dopo pochi istanti vediamo il suo spirito sollevarsi dal corpo, e guardare stupito quello di Cagliostro che lo fissa, attonito. Rambelli gli dice che gli dispiace tanto, Leo risponde che l’aveva sempre considerato come un padre, e Rambelli gli risponde: “Ma tu non eri figlio mio, un giorno lo capirai”. Poi Rambelli si dirige verso la porta di luce magicamente apparsa, completamente incurante delle altre domande di Leo su dove si trovi il libro e chi sia stato a sparargli. Arrivati sul posto, è Paoletto il primo a vedere il corpo a terra e Jamonte ne constata la morte, quindi fa chiamare il medico legale e la scientifica, e con Stella si mette alla ricerca del libro che naturalmente non è più lì ma è stato portato via dall’assassino. Nell’archivio di quest’ultimo ci sono dossier su moltissime persone, anche sullo stesso Cagliostro. Dal dossier su Brezigar si viene a sapere che questo piccolo criminale era in Austria quando avvenne a Trieste la rapina in banca, nel lontano 1985: Paoletto e Jamonte escludono che Rambelli si sia fatto aiutare da lui, e si domandano di chi possa essersi servito per quel colpo. Nel frattempo Vanessa si trova sul camper di Federico, dove gli confida i suoi sentimenti per Cagliostro e dove gli chiede di poter rimanere mentre lui si reca al lavoro per poter stare un po’ da sola a pensare. Eleonora viene fermata per strada da Filip: il ragazzo le dice apertamente che Vanessa e Federico stanno insieme e lui pensa che Federico le stia mentendo. Le mette in mano la tesi di laurea di Federico, dedicata ai malati psichiatrici che dicono di vedere i morti; è convinto che inventandosi di essere un medium il giovane voglia solo raggirarla. Eleonora, molto preoccupata, se ne va a passo spedito con la tesi sotto braccio. 60

Cagliostro, dopo aver assistito a tutto quanto è accaduto in casa di Rambelli, ritiene sempre più probabile che ai tempi della rapina in banca si fosse creato un legame di complicità fra Rambelli, lo sbirro, Silvia Pes, la ragazza, e Jonas, il ladro. Senza perdere tempo si reca a casa di quest’ultimo, dove trova solo Silvia, mentre Jonas è fermo nella sua auto, per strada, sotto il diluvio. I ricordi non gli lasciano tregua. Nella sua mente scorrono le immagini di quand’era ragazzo. Lo rivediamo mentre lavorava da meccanico, intento a riparare l’auto di Rambelli: quest’ultimo tesseva la sua tela per convincerlo a fare la rapina al Credito Triestino, dicendogli che un colpo come quello gli avrebbe cambiato la vita e permesso di sposarsi con Silvia… gli raccontava di essere venuto a conoscenza di qualcosa di prezioso: si era suicidato uno del sindacato del porto, Walter Nikolic, e aveva lasciato una lettera in cui si faceva riferimento alla famosa cassetta di sicurezza 22,26, lettera che per ora aveva letto solo Rambelli. La proposta per Jonas era chiara: svaligiare una decina di cassette fra cui quella che interessava davvero, per creare confusione e dare l’impressione che fosse una rapina qualunque, senza un obiettivo preciso. Jonas non si sentiva affatto sicuro di voler fare una cosa del genere, ben più rischiosa dei piccoli furti che aveva commesso fino ad allora; in una telefonata a Rambelli avrebbe voluto manifestargli un fermo rifiuto, ma lui era riuscito a convincerlo. Una volta messa a segno la rapina, l’accordo fra i due sarebbe stato quello di trovarsi sotto casa di Jonas: quest’ultimo invece a un tratto cambia idea e porta via con sé la refurtiva che nasconde nel pavimento della fabbrica di bulloni dove lavorava. In quella misteriosa cassetta di sicurezza era contenuto un solo oggetto: il libro de I misteri del Conte di

C p i s d l e c l s r p m c i p S b e R b n s l f R u q n C

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Cagliostro. Rivediamo il Jonas del presente: prende nervosamente in mano la pistola, per un attimo sembra che abbia la tentazione di puntarla contro se stesso, poi la mette via, mette in moto l’auto e se ne va. Guida bevendo alcool, cercando di lasciarsi alle spalle quel passato che non gli è mai stato così vicino come adesso: lo rivediamo da giovane in un bagno pubblico, mentre si lava le mani, e mentre viene ferito alla testa dal colpo di pistola che l’ha mandato in coma. Poi ritroviamo non lui in persona ma il suo spirito a casa di Silvia che tiene in braccio un bambino appena nato: seduta nel letto e a pezzi, la giovane donna dice a Rambelli di portare via quel bambino, perché da sola non vuole tenerlo. Allo spirito di Jonas non resta che assistere impotente a tutta la scena, alla sua vita rubata, alla famiglia che gli è stata strappata. Rambelli porterà quel bambino in un convento di suore: sarà una di queste a scegliere il nome di Leonardo, mentre Rambelli suggerirà Cagliostro come cognome. Quella stessa sera nel suo bar Eleonora comincia a fare domande a Federico per capire qualcosa di più sul suo passato: lui risponde di aver lavorato come cameriere e di aver studiato psicologia, ma non nasconde un certo fastidio nei confronti di queste curiosità. Poco dopo passa di lì la sorella di Eleonora e quest’ultima le confida le sue preoccupazioni. Contemporaneamente Stella e Paoletto arrivano in macchina sotto casa di lui, che ha voglia di parlare e la invita a cenare insieme. Lei, incredula e contenta, accetta. Mentre la cena è sul fuoco, i due si baciano appassionatamente. Ma a un tratto lui si stacca da lei, le chiede scusa, non riesce a superare il passato; Stella ci rimane malissimo e fra loro è di nuovo crisi. Intanto in questura Jamonte mette a parte Anna della morte di Rambelli e le consegna

il dossier stilato da lui su Cagliostro: lei legge immediatamente i nomi dei suoi genitori, Silvia Pes e Jonas Sala, ed esclama che Leo ha passato la vita a cercare di scoprirli invano. Jamonte è convinto che il cognome di Leo abbia un collegamento con il libro, vista anche la vicinanza temporale: la rapina è avvenuta nel 1985 e Leo è nato nel 1986. Anna cerca di ricostruire le vicende e pensa che se Rambelli avesse avuto in mano un’arma di ricatto potente come quel libro la sua carriera sarebbe andata ben oltre quindi è certo che abbia avuto un complice. Ritengono entrambi probabile che Jonas risvegliatosi dal coma abbia realizzato la sua vendetta uccidendo Rambelli. La notizia della morte di questo viene diffusa da radio e tv e viene così sentita da Vanessa e da Silvia. Al suo rientro nella casa sul mare Jonas trova quest’ultima in lacrime e la cosa lo manda su tutte le furie: le domanda come possa piangere per l’uomo che ha cresciuto loro figlio come un poliziotto, che l’ha fatto lavorare con lui, che ha lasciato che gli si affezionasse come a un padre, per poi ucciderlo a tradimento. Leo è lì con loro e naturalmente a loro insaputa; è sconvolto, fa vibrare le luci finché la casa rimane al buio. In quella suona alla porta Jamonte, che fa domande a Jonas sulla sua auto e sulla sua pistola; poi inizia la perquisizione dell’appartamento e infine porta Jonas con sé in commissariato. Più che mai solo, seduto a terra come un bambino che ha smarrito la strada di casa, c’è Leo, addosso a cui è piombata di colpo tutta la verità. Come una maledizione. UNDICESIMA PUNTATA Mentre Silvia a casa sua fa ricerche su Internet su Leonardo Cagliostro, Anna si risveglia di soprassalto nella sua cella dopo aver sognato Leo che le domandava se l’avesse tradito e a cui lei 61

rispondeva che era stato lui a non ritornare più. Intanto Jamonte interroga Jonas in presenza di Paoletto, mentre Stella ascolta e osserva da fuori. Jonas non sembra intimorito dalle domande e rivela un’acuta intelligenza rispondendo che nel momento in cui negasse di aver ucciso Rambelli non sarebbe comunque creduto, né se fosse innocente né se fosse colpevole. Jamonte gli risponde che presto arriveranno i risultati della perizia balistica sulla pistola e prosegue nel porgli interrogativi sulla rapina in banca di parecchi anni addietro, finché Jonas ammette di aver svaligiato le cassette di sicurezza e di averlo fatto perché era stato debole e incapace di dire di no alla proposta di Rambelli. Jonas ammette inoltre che il vero obiettivo della rapina era un libro di grande valore e quando Jamonte gli domanda cosa ci facesse, secondo lui, una foto della facciata del Credito Triestino nel fascicolo assemblato da Rambelli su Cagliostro, risponde che Rambelli aveva un suo personale senso dell’umorismo, come dimostra il fatto che avesse fatto chiamare Leonardo con il cognome contenuto nel titolo del libro. “Uno scherzo fra voi due, questo sono io!” esclama allora pieno di collera Leo, che assiste sempre più sconcertato all’interrogatorio e che arriva a mandare momentaneamente in tilt i monitor dei computer della questura. Jonas nega di essere stato lui a portare a Rambelli in


carcere il famoso libro, che dice di non avere più visto da trent’anni. Jamonte tratteggia quindi la sua ricostruzione dei fatti per arrivare a concludere che è comprensibile che in Jonas sia nato un forte desiderio di vendetta contro l’uomo che non solo gli ha rubato trent’anni di vita ma che ha anche ammazzato suo figlio. Poi fa accompagnare Jonas in laboratorio da Paoletto, per procedere con un esame, la versione moderna del vecchio guanto di paraffina. Mentre Eleonora incontra Filip per dirgli che nella sua tesi di laurea Federico ha parlato proprio di lei ed è certa che sia stato nella clinica dov’era ricoverata, e di conseguenza decidono di comune accordo di affrontare insieme Vanessa durante lo spettacolo dei fuochi d’artificio, Vanessa va in commissariato alla ricerca di Cagliostro. Lo trova e si rifugiano sulle scale per essere sicuri di non farsi sentire da nessuno: lì lui le confida che deve ancora capire a fondo suo padre e lei vorrebbe aiutarlo. Quando gli dice apertamente di non poter stare senza di lui, Leo le risponde con fermezza di stargli lontano per il suo bene e poi sparisce. Mentre lei percorre i corridoi verso l’uscita s’imbatte in Paoletto e gli chiede senza mezzi termini se è stato Jonas a sparare a Rambelli. Lui la rimprovera per il modo con cui parla pubblicamente di indagini riservate e le conferma che l’esame ha dato esito negativo. Leo, ancora all’oscuro di questo, tormenta Jonas nel locale

in cui i poliziotti l’hanno lasciato da solo, in attesa dei risultati dell’esame. La collera di Leo è talmente grande che quando grida al padre di dargli una risposta, Jonas inizia a percepirne la presenza: a un tratto entrambi si mettono a guardare dentro uno specchio appeso alla parete e lì sembra che l’uno abbia la possibilità di vedere l’altro. Jonas, con aria davvero affranta, gli dice che adesso ricorda ogni cosa e che avrebbe voluto dirgli tutto quello che sapeva, cioè che chi vive fra la vita e la morte non deve cambiare il corso delle cose, perché è troppo pericoloso, ma non ha potuto farlo. Estenuato dalla situazione e incapace di reggere oltre quella pressione nervosa, Jonas chiama gridando i poliziotti per poter uscire da quella stanza. Sopraggiungono Jamonte e Paoletto che lo tranquillizzano, lo informano dell’esito negativo dell’esame sulla pistola e lo autorizzano ad uscire dal commissariato. Il vicequestore e il commissario sono ormai convinti che a uccidere Rambelli sia stato qualcuno della Fenice e riflettono insieme su come procedere con Alessi, loro superiore, per evitare che quest’ultimo distrugga i risultati delle loro indagini nel tentativo di evitare che la verità venga definitivamente a galla. Il procuratore nel frattempo è nel suo lussuoso appartamento: sta suonando il pianoforte in una stanza insonorizzata mentre arriva a fargli una sorpresa Stefania, la sorella di Eleonora, in pausa fra i suoi turni da tranviera. Lei gli dà un regalo e lui, lasciandola a bocca aperta, le dà le sue chiavi di casa, aumentando a dismisura la fiducia che la giovane donna ripone nei suoi confronti. Jamonte non perde tempo e riferisce subito ad Anna che non è stato Jonas a sparare a Rambelli, lasciandole intendere quanto sia probabile che l’assassino sia stato invece Vittorio Alessi, che 62

ha mandato a monte il processo a Rambelli perché evidentemente ricattato da quest’ultimo. Jamonte è pronto ad aprire un’inchiesta su Alessi e Anna lo mette in guardia sui grandi ostacoli che incontrerà, trattandosi di un procuratore della Repubblica. Secondo la Mayer inoltre le prove raccolte finora sono decisamente insufficienti - la cassetta di sicurezza svaligiata e mai denunciata e la foto che ritrae insieme i membri della Fenice - e Jamonte le propone di portarle in cella il questore per farlo parlare direttamente con lei in modo tale da guadagnarne la fiducia. Parallelamente Vanessa va a trovare sua zia Stefania fra un turno e l’altro al capolinea del tram e le fa notare di non essersi mai confidata con lei su questa nuova e importante storia d’amore. Stefania le fa capire che tiene davvero ad Alessi indipendentemente da qualunque interesse economico, nonostante la differenza socioeconomica fra loro possa dare da pensare. Le mostra le chiavi di casa che considera un grande gesto di fiducia e le dice che comunque si prenderà tempo per riflettere. Appena Stefania si mette alla guida del tram, Vanessa, unica passeggera, con estrema velocità si impadronisce di quel mazzo di chiavi senza che la zia se ne accorga. Paoletto e Stella si sentono dire dal medico legale che sarebbe opportuno richiedere una comparazione balistica fra il proiettile che ha ucciso Rambelli e quello che ha ucciso Brezigar, molto simili per calibro e forma. Intanto Vanessa decide di agire di sua iniziativa: si reca sotto casa di Alessi e aspetta di vederlo uscire dal portone, quindi entra, prende l’ascensore e s’introduce nel suo appartamento grazie alle chiavi di cui è entrata in possesso. La ragazza si mette affannosamente a cercare il libro de I misteri del conte di Cagliostro, e dopo una serie di vani tentativi

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nello studio del procuratore si ferma a ragionare per un momento, chiedendosi dove sarebbe più logico che un intellettuale come Alessi abbia pensato di nasconderlo. “Fra i libri” è la risposta più immediata che le venga in mente. Comincia così a ispezionare la libreria alle spalle della scrivania di Alessi, completamente ignara del fatto che lui, proprio in quel momento, sta inaspettatamente tornando verso casa con l’aria di chi ha dimenticato qualcosa. Mentre lei continua a rovistare, lui a piano terra nota che l’ascensore è rimasto fermo al suo piano e non scende, probabilmente perché non chiuso nel modo corretto. Finalmente Vanessa scopre un nascondiglio, realizzato attraverso alcuni libri finti che contengono una custodia da cui tira fuori una lettera anonima, scritta con lettere di giornale incollate, il cui contenuto dice: “Trova il modo di far assolvere Rambelli o la Fenice non sarà più un segreto”. Vanessa riesce a nascondersi raggomitolata in un armadietto prima che Alessi entri nello studio, dove recupera le chiavi dell’auto lasciate sulla scrivania. Quando è certa che lui se ne sia andato, dopo aver sentito uno scatto della serratura, la ragazza esce dal nascondiglio e si aggira per la casa verso la porta d’uscita, ma proprio quando raggiunge quest’ultima Alessi alle sue spalle la tramortisce. Vanessa cade a terra priva di sensi. Contemporaneamente il questore asseconda la richiesta di Jamonte e raggiunge la Mayer, ascoltando il parere di entrambi; afferma che, indipendentemente dall’amicizia che lo lega a Jamonte e dalla stima nei confronti della Mayer, a suo avviso nessuna procura sarebbe disposta a procedere contro un procuratore su quelle basi. Suggerisce loro di continuare a indagare per raccogliere altri elementi e per ragioni di cautela

investigativa e infine aggiunge che Anna non dovrebbe trovarsi lì, ma nel carcere vero e proprio. Una volta andato via il questore, Anna prova tenerezza per la protezione di Jamonte nei suoi confronti e lo bacia, scusandosi subito dopo e domandandogli di trasferirla in prigione come è giusto che sia. La sera dello stesso giorno Paoletto e Stella vanno da un collega della sezione scientifica a chiedergli il favore di fare il prima possibile la comparazione balistica fra i proiettili e lui accetta, nonostante si tratti proprio della sera in cui è stato organizzato lo spettacolo dei fuochi d’artificio. Nelle scene successive vediamo affluire una serie di invitati nel palazzo prestigioso della Fondazione Gherardi: alla serata di gala partecipano anche il vecchio Silvestrin in compagnia del figlio, che sospinge il padre sulla sua sedia a rotelle e che riceve una telefonata al termine della quale dice al padre di dover andare a incontrare qualcuno che vuole espressamente parlare con lui, evidenziando malignamente che suo padre non riceve più l’attenzione di una volta. Di lì a poco sopraggiungono il questore e sua moglie, calorosamente accolti da Patrizia Durante che fa gli onori di casa. Un terribile risveglio attende invece Vanessa, che si ritrova sul pavimento della stanza insonorizzata, con i polsi legati dietro alla schiena e un nastro adesivo sulla bocca. Dal luogo in cui è riesce a sentire le voci di Alessi e di un uomo a lei sconosciuto, che scopriamo essere proprio il giovane Silvestrin. Alessi gli sta spiegando questo nuovo “problema”, dicendosi convinto che Vanessa abbia utilizzato le chiavi date da lui a Stefania completamente all’insaputa di quest’ultima. Alessi gli dice che la ragazza in passato ha collaborato con la polizia ed entrambi concordano sulla necessità di eliminarla. 63

Il procuratore pensa a una prima ipotesi verosimile: inscenare una morte accidentale in piscina, coerente con lo sport praticato dalla ragazza a livello agonistico. Cagliostro ascolta il poliziotto della scientifica confermare a Stella e Paoletto che è stata la stessa pistola a uccidere sia Brezigar sia Rambelli, una pistola piccola e poco potente; pensa immediatamente che sia stata anche la stessa pistola che ha ferito Jonas provocandogli il coma, ma all’improvviso viene richiamato da Vanessa disperata e si precipita da lei. Mentre Alessi dà indicazioni precise al giovane Silvestrin ordinandogli di andare a prendere il suo SUV e cercando di farlo restare lucido, data la fragilità nervosa dell’uomo e la sua dipendenza dalla droga, Cagliostro rassicura Vanessa. Poi spia Alessi nel suo studio dove questo telefona a Stefania per avvertirla che sarebbe arrivato in ritardo alla Fondazione Gherardi per problemi di lavoro, quindi torna da lei e fa cadere a terra un taglierino per permetterle di tagliare il nastro adesivo che le lega i polsi. Chiude a chiave la porta della stanza insonorizzata dall’interno per prendere tempo e le assicura che ha in mente un piano per salvare sia lei sia sua figlia; con la porta chiusa Alessi


non potrà entrare e lui cercherà di avvertire il prima possibile Eleonora perché lei a sua volta possa chiamare in soccorso Paoletto. La prega di fidarsi di lui e le chiede di non richiamarlo lì a breve, per permettergli di seguire sua figlia e di evitare che venga rapita. La esorta energicamente ad alzarsi in piedi e lei ci riesce, quindi la lascia e riappare al bar di Eleonora dove però non trova nessuno. Jamonte chiama per telefono Paoletto e gli dice che sta trasferendo Anna e che devono riuscire a mettere sotto pressione la Fenice. Nel frattempo i genitori di Anna e sua sorella si recano al Molo Audace per lo spettacolo dei fuochi. La folla è numerosa e la sorella di Anna spinge la carrozzina con la piccola Vanessa e tiene vicino a sé i suoi due bambini, un maschio più grandicello e una bambina più piccola. Raccomanda loro di starle molto vicino ma il maschietto è in vena di fare i capricci e all’improvviso sfugge di mano alla madre e scappa avanti di corsa. Lei dice alla sua bambina di stare ferma accanto alla carrozzina e gli corre dietro riuscendo a riacciuffarlo molto in fretta, ma non abbastanza in fretta: la sua bambina le è corsa dietro anziché rimanere accanto alla carrozzina e una volta ritornati vicino a questa, la trovano vuota. La sorella di Anna si dispera, piange e chiede aiuto a tutti i presenti. Lontani da tutto ciò, nell’elegante cornice del palazzo dove si trovano, la Durante sospinge la sedia a rotelle del vecchio Silvestrin in terrazza e lì Stefania, perfettamente ignara di

tutto, guarda felice i palazzi illuminati e la piazza, dove fra i passanti vediamo camminare spedito Jonas. L’ultima parte della puntata ha per protagonista assoluta Silvia Pes. A bordo della sua auto guida con calma, con voce tranquilla dice “Adesso va tutto bene, le cose sono andate male per troppo tempo”, mentre si volta a guardare la piccola Vanessa sul sedile posteriore. Poi le ritorna in mente il passato: la rivediamo da giovane entrare nell’appartamento di Rambelli e offrirgli il suo corpo come garanzia che da quel momento in avanti avrebbe lasciato in pace Jonas, l’unico a cui lei dice di tenere davvero, l’unico che l’abbia davvero rispettata. Poi la rivediamo una sera a casa sua, sempre in mezzo ai flash dei ricordi, mentre riceve la telefonata fatta da Rambelli da una cabina telefonica. Lui le chiede se Jonas sia con lei e Silvia risponde di no, poi le chiede come le sia venuto in mente di raccontargli quello che c’era stato fra loro e lei ribatte di non averlo mai fatto; infine Rambelli le dice che hanno rapinato una banca e c’è da aspettarsi che Jonas sparisca e non si faccia vedere mai più. Allora lei abbandona la cornetta, corre al balcone e vede da basso Jonas raggiungere di corsa la sua auto: lo chiama ma lui non le risponde, probabilmente non la sente nemmeno. Ritroviamo Jonas alla stazione, dove acquista un biglietto di sola andata per Parigi. Lo vediamo in bagno, intento a lavarsi le mani. Qualcuno gli spara e lui cade a terra. Successivamente vediamo Rambelli raggiungere Silvia che si trova in stato confusionale: le domanda cosa abbia fatto e lei risponde che Jonas voleva lasciarla, che a lei non interessa nulla della refurtiva, che vorrebbe solo poter tornare indietro. Rambelli le dice che sistemerà tutto e la terrà fuori da quella storia. 64

Ritorniamo al presente e Silvia continua a guidare, fino a raggiungere l’ex fabbrica di bulloni. Nella piazza gremita di gente Cagliostro grida il nome di Eleonora mentre lei insieme a Filip cerca affannosamente Vanessa. Nel cielo scoppiano scintillanti e colorati fuochi d’artificio. DODICESIMA PUNTATA Paoletto e Stella si recano al palazzo della Fondazione Gherardi e lui viene a sapere dalla signorina responsabile di accogliere gli invitati che il procuratore Alessi non è ancora arrivato. Riceve pochi attimi dopo la telefonata di un collega che lo informa del fatto che la figlia di Anna è stata rapita. Paoletto e Stella allora si precipitano sul posto e il commissario avverte telefonicamente Jamonte che si trova in auto con Anna nel tragitto dalla questura al carcere. Jamonte lo incarica di avvertire tutti gli agenti disponibili e di far mettere posti di blocco, poi comunica la cosa ad Anna che vorrebbe che lui le togliesse le manette. La prega di rimanere lucida e di pensare a chi potrebbe essere stato il responsabile, dato che gli sembra poco probabile che si tratti della Fenice. Allora lei gli chiede di portarla da Vanessa. Mentre Cagliostro a bordo del Suv del giovane Silvestrin gli tira un brutto scherzo facendo bloccare il veicolo nel bel mezzo di un incrocio e obbligandolo a proseguire a piedi, Vanessa liberatasi dal nastro adesivo ispeziona la stanza completamente insonorizzata e chiusa ermeticamente, prova a gridare in cerca d’aiuto, intravede da una finestra in alto Paoletto e la Mariani dirigersi verso il portone del palazzo. Alessi è costretto suo malgrado ad aprire la porta di casa e risponde alle domande del commissario senza lasciarlo entrare. Paoletto gli dice che, data la presenza di elementi poco chiari nell’indagine che si sta svolgen-

d i v i p i d m z n s t t d d n s n q t f c s c c c d l c s l c v d p c g a m v s p fi e p p d t f m t n p m


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do sulla morte di Lucia Bugatti, il vicequestore Jamonte vorrebbe vederlo l’indomani mattina per un interrogatorio. Alessi non si scompone e dice di ritenersi offeso per il modo in cui viene trattato da dei suoi sottoposti, ma Paoletto si mostra molto fermo nelle sue posizioni e aggiunge anche che c’è una novità, ossia pare che Alessi stesso faccia parte della Confraternita della Fenice. Stella è incuriosita dai rumori sordi che arrivano dall’appartamento fino alla porta d’ingresso e ne chiede spiegazione al procuratore: lui risponde che si tratta dei figli dei vicini al piano di sopra che giocano a calcio a qualunque ora, mentre in realtà si tratta dei tentativi di Vanessa di farsi sentire e soccorrere da qualcuno. Contemporaneamente Silvia si aggira nell’ex fabbrica di bulloni con la piccola Vanessa; quando riceve la telefonata di Jonas gli dice che vuole andare via da Trieste e desidera che lui vada insieme a lei. Jonas percepisce che c’è qualcosa di strano, soprattutto quando sente il pianto di un bambino, ma lei chiude molto rapidamente la chiamata promettendo di rifarsi viva. Mentre osserva alcuni luoghi dell’ex fabbrica la donna ricorda il passato: rivediamo così il suo incontro con Brezigar, la sera in cui gli amici di Filip avevano scelto di andare a suonare lì. L’uomo con modi minacciosi aveva mandato via i giovani e poi le aveva chiesto molto denaro, facendole anche pesanti avances. Lei aveva approfittato del momento in cui lui si era appena allontanato di qualche passo per estrarre la sua pistola e puntargliela contro: mentre lui le diceva che non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo, gli sparava ferendolo mortalmente. Ritorniamo al presente e vediamo che fortunatamente Cagliostro compare nell’ex fabbrica e presto trova la piccola Vanessa che Silvia aveva momentaneamente lasciato in un

angolo a terra, all’interno del suo portenfant. Appostati in auto sotto casa di Alessi, Paoletto e Stella vedono il giovane Silvestrin arrivare e deducono che Alessi l’abbia chiamato con urgenza. Alessi lo fa entrare nell’appartamento e insieme vanno ad aprire la porta della stanza insonorizzata, stupendosi di trovare la chiave fuori dal locale. Vanessa li attende con il taglierino in mano ma il suo tentativo di difesa è subito vanificato: Silvestrin glielo prende e lo punta contro di lei ma Alessi lo ferma, vuole che l’omicidio possa essere scambiato per incidente. Silvestrin allora cerca di strangolarla mentre Alessi assiste alla scena con la sua consueta imperturbabilità. Per Vanessa sarebbe davvero la fine se non sopraggiungessero in velocità la Mariani e Paoletto, con in mano le loro armi da fuoco e avvantaggiati dal fatto che nella fretta Alessi aveva lasciato la porta d’ingresso socchiusa. Una volta in salvo, Vanessa dice loro che ha una cosa urgente da riferire: sa dove si trova la figlia di Anna e Paoletto a sua volta lo fa sapere immediatamente a Jamonte. Jonas raggiunge Silvia, le dice che era certo di trovarla in quel luogo e con tono d’accusa le chiede conferma del fatto che il famoso libro e anche il denaro fossero stati trovati lì. Lei tenta di giustificarsi spiegando di essere stata minacciata da Rambelli che tramite Brezigar le aveva comunicato che se non gli avesse fatto avere il libro avrebbe fatto del male a Jonas. Gli dice che non le è mai importato nulla della refurtiva e che quando lui si è risvegliato dal coma ha pensato fosse avvenuto un miracolo per dar loro una seconda possibilità. Gli mette in braccio la piccola Vanessa esortandolo alla fuga e a dare inizio a una nuova vita, quella che non hanno potuto vivere. Lui però risponde risolu65

tamente che per loro non possono esserci seconde possibilità, mentre Cagliostro ascolta tutto in preda alla preoccupazione e alla collera. Sentite le sirene della polizia Silvia scappa e Jonas la segue, sempre con la piccola Vanessa in braccio. Anna e Jamonte entrano di corsa nella ex fabbrica mentre Silvia e Jonas percorrono lunghi corridoi: Cagliostro scatena la sua furia facendo rompere vetrate su vetrate e facendo cadere scaffali e qualunque cosa serva a ostacolare la loro fuga. Nonostante Jonas percepisca la presenza di Leo e cerchi di far ragionare Silvia, lei non demorde e imbocca delle scale che li portano in esterno, sul tetto. Intanto Anna e Jamonte sono sempre più vicini a loro, trovano il portenfant vuoto, poco distante dal famoso libro abbandonato a terra, e vedendo segni di distruzione ovunque Anna intuisce che Leo è stato, e forse è ancora, lì. Infatti è sul tetto, luogo che Jonas ha riconosciuto come quello della morte di Leo, e ascolta il dialogo fra i suoi genitori, dialogo in cui esce finalmente tutta la verità taciuta per così tanto tempo. Jonas mette alle strette Silvia chiedendole per quale ragione abbia sparato a Rambelli, se l’ha fatto perché lui sapeva che era stata lei a sparare a Jonas, cosa di cui lui ormai è pienamente certo in quanto nella sua memoria è riaffiorata l’immagine di lei nei bagni della stazione. Le spiega che il biglietto ferroviario che aveva acquistato sarebbe dovuto essere solo un mezzo per depistare Ram-


belli, di cui si era già vendicato rubandogli il libro cui teneva tanto. Il suo desiderio sarebbe stato solo quello di nascondersi e di tornare da lei. Infine, Jonas le dice che Cagliostro è lì con loro e che sua figlia deve tornare con la mamma. Silvia punta la pistola contro di lui, che si sta allontanando e si china con fare protettivo verso la bambina. Poi si sente uno sparo. Silvia è a terra, si è suicidata. Poco dopo il suo spirito si solleva dal suo corpo, e fa qualche passo verso Cagliostro che può finalmente guardare negli occhi. Fa per accarezzargli il volto ma lui si volta con profonda tristezza, allora lei gli dice soltanto: “Sei come ti ho sempre immaginato”. Poi si dirige verso la porta di luce, la apre e scompare. Inizia a piovere a dirotto e Anna e Jamonte corrono verso Jonas: Anna prende in braccio la figlia, Jamonte ammanetta Jonas e tutti rientrano all’interno della fabbrica. Tutti tranne Leo, solo sotto il diluvio, tanto felice del fatto che la piccola Vanessa sia finalmente al sicuro quanto disperato all’idea di dover abbandonare lei e Anna. Alle prime luci dell’alba diluvia ancora e sul luogo, dov’è presente un’ambulanza che ha offerto assistenza ad Anna e dove si trovano alcune auto della polizia, sopraggiunge anche l’auto di Paoletto che ha portato con sé Vanessa. Anna chiede di poterle parlare a tu per tu e così le vediamo in piedi l’una di fronte all’altra, mentre visibile solo a Vanessa, in mezzo a loro,

c’è Cagliostro. Anna domanda alla ragazza se lui sia ancora lì e lei, rispettando il volere di Leo, dice di no. Anna però capisce che sta mentendo, le domanda che cosa significhi lui per lei, intuisce da sé la risposta, le dice che Leo era un uomo straordinario e infine la ringrazia per tutto quanto ha fatto per loro. Anche Cagliostro ringrazia Vanessa, che viene portata in questura così come Anna, accompagnata da Stella secondo l’indicazione di Jamonte. Poco dopo Paoletto e Stella con numerosi agenti al seguito si recano al palazzo della Fondazione Gherardi e portano via in manette Patrizia Durante e don Giulio. In commissariato vengono condotti anche i Silvestrin, - il vecchio non perde occasione per dire al figlio che lui è sempre stato il suo fallimento - e Alessi, che sfila in manette fra i corridoi. Vanessa firma la deposizione che ha rilasciato al cospetto del vicequestore e del commissario e lascia la questura; Eleonora la raggiunge e finalmente la mette in guardia contro Federico, riferendole quanto le aveva detto Filip e parlando della tesi di laurea. La ragazza però non le dà molto ascolto e appena vede Filip aspettarla, senza nemmeno un saluto, gli dice di sparire dalla sua vita. Jamonte dice a Paoletto e a Stella che finalmente possono inchiodare i colpevoli dell’omicidio di Lucia Bugatti, del falso suicidio di Piras, e di tutti gli altri crimini della Fenice. Gli è rimasto però un interrogativo: si domanda chi abbia detto a Vanessa che la bambina sarebbe stata portata all’ex fabbrica. Paoletto accenna a un discorso complesso e il vicequestore decide di rimandarlo ad altra occasione, dichiarando però che andrà fino in fondo alla cosa. Poi informa Stella e Paoletto del fatto che il questore ha già firmato la sostituzione di pena per Anna e che Jo66

nas può essere rimesso in libertà data la sua evidente mancanza di complicità con la Pes. Nella solitudine e nella triste tranquillità della sua casa, Anna sta seduta sul parquet a gambe incrociate con la piccola Vanessa fra le braccia. A un tratto domanda ad alta voce a Leo se è lì, chiedendogli di andare ad abbracciarle. Leo lo fa e per pochi, bellissimi e strazianti momenti, Anna ne può percepire la presenza fisica. Forse riesce anche a sentire le sue risposte. Lo ringrazia per averle protette per tutto il tempo e poi gli chiede di lasciarle, perché altrimenti per lei sarebbe impossibile andare avanti. E invece la sua vita con la piccola Vanessa deve proseguire. Leo si stacca immediatamente da lei e, un istante prima che lui svanisca, Anna ne intravede l’immagine riflessa in uno specchio. Vanessa Rosic raggiunge Federico al suo camper e gli fa qualche domanda sulla sua tesi, sulle sue ricerche; lui non smentisce quanto sua madre le ha riferito ma ribadisce di essere interessato a sapere sempre di più su questi argomenti per capire meglio la sua, o meglio la loro, natura di medium. La invita a partire con lui per accompagnarlo in questo viaggio di ricerca, ma lei dice di non poterlo fare. Scende la sera e Cagliostro cammina lungo la mezzeria di una galleria, fra due file di auto che gli scorrono accanto in direzioni opposte, come se volesse prendere in giro la vita e la morte. Come se si trovasse al di là dell’una e dell’altra. Stella e Paoletto si stanno salutando, lei deve preparare i bagagli per la partenza per Bologna dell’indomani. Lo sorprende dicendogli che forse, fra tante situazioni finite male, fra tante coppie che si sono divise, loro due potrebbero insospettabilmente funzionare. Lui la bacia, le chiede di restare a Trieste. Trascorrono una notte di

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passione insieme, forse davvero l’inizio di un legame nuovo. Cagliostro in preda ai dubbi e allo sconforto dice a Vanessa di essere pericoloso e inutile, anche il fatto di farla soffrire per il bene che gli vuole lo convince ad andare via per sempre. La porta da cui è passata Silvia si accende nuovamente di luce e questa volta Leo si avvia convinto in quella direzione. Ma Vanessa lo richiama indietro: lui protesta che non può costringerlo a restare contro la sua volontà, lei ribatte dicendo: “Io posso. Tu sei la mia ombra, e devo scoprire perché”. Successivamente la ragazza si mette in viaggio con Federico ma alla prima stazione di servizio, mentre lei va in bagno, lui approfitta per fare una telefonata in cui gli sentiamo dire che la ragazza è caduta nella sua trappola. Alla voce fuori campo di Cagliostro la fiction affida il suo epilogo, perfettamente coerente con quello della prima serie: “Ogni buon poliziotto sa quali sono i casi da evitare, quelli che ti toccano da vicino, quelli che riguardano il tuo passato, le persone che ami. [ ] La soluzione di questi casi dovrebbe liberarti dalle tue ossessioni, permetterti di fare pace con i ricordi, e ricominciare finalmente a vivere. Invece ti lasciano sempre un senso di incompiuto dal quale è impossibile scappare. Forse sono i tuoi pensieri a imprigionarti, perché la tua condanna, in questi casi, è che la fine non esiste”.

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La porta rossa 2 si mantiene fedele alla sua originaria identità, continuando a sviluppare in modo bilanciato tanto la linea investigativa poliziesca quanto quella di un’ampia e sfaccettata riflessione esistenziale. Rispetto alla prima serie il ritmo narrativo sembra accelerare e farsi talvolta concitato, approfittando del fatto che le caratteristiche dei personag-

gi principali sono già state ben delineate in precedenza e che non ci sono molte nuove figure da presentare. Mentre viene a galla sempre più nitido il passato, nel racconto a ritroso che ripercorre parte della vita dei genitori del protagonista Leonardo Cagliostro, rimane da affrontare un presente carico di criticità per tanti aspetti. Anna che deve crescere da sola la sua bambina, Vanessa che deve costantemente fare i conti con la sua natura di medium, Eleonora perseguitata da uno spirito malvagio, Paoletto e Stella alle prese con le loro burrascose vicende sentimentali, i membri della confraternita della Fenice schiavi di una complicità divenuta un fardello troppo pesante da sopportare e vittime dei loro pericolosi segreti. Punto di forza si conferma la naturalezza con cui viene tratteggiata la condizione di Cagliostro, prigioniero fra un Aldilà che non è ancora pronto a raggiungere e un “aldiqua” che non riesce a lasciare, almeno fino a quando non avrà certezza che Anna e la piccola Vanessa siano definitivamente al sicuro. La spontaneità del comportamento di Leo tende quasi a farci dimenticare la sua condizione di spirito, a renderlo in tutto analogo a un essere umano in carne e ossa se non fosse per quella sua capacità di apparire e scomparire all’improvviso e di giocare con l’elettricità. Interamente umano è il suo dramma - la forzata separazione dagli affetti più cari - che ci induce a guardare la fiction con empatia, prestando attenzione non tanto agli aspetti sovrannaturali quanto alla combinazione variegata fra casualità e umana responsabilità che si intrecciano in modo assortito nella sua storia e in quella di molti personaggi. Il tema della memoria corre parallelo rispetto a quello della misteriosa zona di confine fra vita e morte in cui si trova Cagliostro: il nucleo narrativo più interessante è infatti quello costi67

tuito dall’incontro fra lo spirito di Leonardo già trapassato e lo spirito di Jonas (suo padre) ancora vivo e in coma, nucleo che si sviluppa nel processo di riacquisizione della memoria da parte di Jonas una volta risvegliatosi. Fra un passato da far riemergere e un presente da indagare si vengono così a trovare due linee di racconto, la storia di Jonas e Silvia e la vicenda della confraternita della Fenice, il cui punto d’intersezione è rappresentato dal libro mastro della nave, la Fenice appunto, dal titolo particolarmente evocativo. Senza disperdersi in direzioni centrifughe, senza accontentarsi di soluzioni troppo facili, senza enfatizzare gli aspetti paranormali né calcare la mano su quelli speciali, e descrivendo invece con accurata lucidità la concatenazione delle azioni investigative, La porta rossa 2 ci avvolge nel suo mistero dal sapore contemporaneamente antico (come il libro del Conte di Cagliostro) e moderno (come le operazioni di polizia o le complicate relazioni sentimentali), sempre attuale nel suo prendere in considerazione i livelli più alti della società così come gli strati più bassi, equamente vulnerabili di fronte alla tentazione del male. Tutto ciò sullo sfondo affascinante di una Trieste spesso notturna e di una colonna sonora che non smette di rivolgersi, in modo tanto aggraziato quanto impertinente, alla coscienza di ogni spettatore. Jleana Cervai


SPECIALE 76a MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA 28 agosto - 7 settembre 2019 Con il Presidente Baratta ormai a fine mandato e il Direttore Barbera prossimo al termine del suo incarico, la settantaseiesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia ha forse mostrato del tutto realizzato un progetto iniziato anni fa in direzione di un drastico ed epocale cambio di rotta. Il premio più importante andato al film di una major hollywoodiana - la Warner di Joker - non è che il segno più evidente di un cambiamento ormai compiuto. In questo quadro il Concorso principale, Orizzonti e perfino le sezioni di più recente fondazione - Cinema in Giardino, Biennale College - mai come quest’anno hanno presentato una selezione costruita su un’idea di cinema “facile”, ingenuamente narrativo, per tutti, votata per lo più alla rincorsa agli ospiti di grido - con un tappeto rosso e un potenziamento delle cerimonie piuttosto vistosi - e alla corsa sfrenata ad anticipare gli altri grandi festival concorrenti in prime mondiali e attribuzione di riconoscimenti. Non è mancata l’intelligenza o una visione strategica alla dire-

Om Det Oandliga

zione e al suo comitato di selezione, ché il festival di Venezia ha fondato e alimentato negli ultimi tre anni il primo e forse più nutrito concorso cinematografico esclusivamente centrato sulla virtual reality del mondo; la scelta culturale e politica è, ormai con tutta evidenza, quella di guerreggiare sul fronte dell’affermazione economica e mediatica a scapito dell’impegno di una ricerca che sia di servizio e di sprone al pubblico oltre che di sostegno agli autori. Pochi brandelli sparsi sono rimasti ai cinefili ma anche agli studenti, agli studiosi, agli appassionati smaliziati, agli spettatori in cerca di conoscenza e di stupore, nel quadro di un programma che ha relegato sempre più il cinema nelle sue più avanzate esplorazioni ai margini, come eccezioni a una regola sempre più assertivamente, acriticamente promossa e sostenuta: ecco dunque il documentario, l’animazione, il cinema non narrativo o antinarrativo, le sperimentazioni intermediali, gli interventi più di rottura e di avanguardia inseriti sporadicamente in “zone protette” del programma (basti per tutti l’esempio di Sergei Loznitsa, per il terzo anno inspiegabilmente nel Fuori Concorso) o come eccezioni esposte in bella mostra a confermare la regola (il documentarismo sui generis sempre fieramente anomalo dell’anarchico Franco Maresco in un Concorso per il resto del tutto omogeneamente virato al neoclassicismo narrativo). Qualcosa dell’idea di un festival come avamposto di un discorso culturale resta qua e là nella SIC e nelle Giornate degli Autori, inevi68

tabilmente sempre più scollate dal resto della kermesse veneziana. Silvio Grasselli CONCORSO VENEZIA 76 Om Det Oandliga di Roy Andersson, Svezia/Germania/Norvegia/Francia 2019 Questo film è un caleidoscopio sulla vita, sull’infinito dove una voce narrante femminile lega insieme dei ritratti di vita come i Quadri di un’esposizione di Modest Petrovic Musorgskij. Questi numerosi capitoli dipingono momenti in cui emerge schietta la fragilità umana, qualcosa di non previsto, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo: Hitler, un esercito che viene sconfitto o un padre che lega le scarpe alla figlia sotto una pioggia incessante. Si continua con un prete che perde la fede, un uomo che piange sull’autobus perché non sa cosa vuole fare, in un film dove “tutto è energia in continua evoluzione e trasformazione”. Roy Andersson, già regista della trilogia della vita (Canzoni del secondo piano; You, the Living; Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza), torna a Venezia a distanza di cinque anni, dopo aver vinto il Leone d’Oro nel 2014. Con quest’ultimo film, in qualche modo erede dell’ultima e pluripremiata opera, prosegue nella sua originale lettura della vita. Film che grazie a protagonisti caricaturali e alle sequenze tragicomiche esprime una personalissima visione ironica della vita che, al di là di tutto, sorprende sempre, a volte in positivo ed altre in negativo. Scene dal forte impat-

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to teatrale si susseguono mentre qualcuno osserva, qualcun altro compie l’azione in un gioco tra attività ed immobilismo. Roy Andersson, mai banale, mette in scena, ancora una volta, un collage esistenziale di grande impatto emotivo che lo proietta tra gli autori più originali visti nella settantaseiesima mostra di Venezia. Maria Antonietta Vitiello Wasp Network di Olivier Assayas, Francia/Spagna/Belgio 2019 Il regista Olivier Assayas realizza un thriller spionistico-politico con un cast stellare, che comprende Penelope Cruz, Edgar Ramirez e Gael Garcìa Bernal. La vicenda, basata su una storia vera raccontata nel libro “Los ultimos soldados de la guerra frìa” di Fernando Morales, tratta di un gruppo di spie cubane che, a inizio anni Novanta, si infiltra nei gruppi anticastristi formati da cubani rifugiati a Miami, facendo il doppio, se non il triplo, gioco, e abbandonando le proprie famiglie, compiendo immensi sacrifici in nome della rivoluzione cubana a cui credono. La vicenda raccontata è sicuramente avvincente. Essendo poco conosciuta al grande pubblico, l’effetto sorpresa del plot twist a metà film in cui si rivela che i dissidenti erano in realtà spie infiltrate cubane e si racconta l’origine del Wasp Network è garantito. Le premesse per un buon film di spionaggio c’erano, tuttavia la pellicola non riesce a realizzare il suo pieno potenziale a causa di una struttura narrativa confusionaria e l’ampio numero di personaggi e di storyline introdotti e poi lasciati cadere in modo repentino e mai più rirpesi, come quella di Ana Maria e Fernando o quella narrata con una sequenza tecnicamente eccellente come gli attentati negli alberghi di L’Avana. Probabilmente un minutaggio più ampio, se non un adattamento in una serie televisiva, avrebbero

giovato alla narrazione: nelle due ore di film Assays cambia ripetutamente focus, non riuscendo nell’impresa di far comprendere allo spettatore personaggi sulla carta complessi, a esclusione parziale di Olga e Renè, anche grazie alle buone interpretazioni di Cruz e Ramirez. Il risultato è quello di un affresco parziale, superficiale e confusionario di una vicenda spionistica altrimenti molto interessante da raccontare, a cui manca qualsiasi riflessione sulle implicazioni politiche e morali della causa sostenuta dai protagonisti e una generale carica di tensione. Maria Chiara Riva A Herdade di Tiago Guedes, Portogllo/Francia 2019 Portogallo, 1946. Il padre costringe Joao a osservare il cadavere penzolante dell’altro figlio, quello maggiore. Spaventato, il piccolo corre a nascondersi con le parole del genitore ancora nelle orecchie “quando è finita, è finita”. Ventisette anni dopo, Joao è il solo proprietario di una delle tenute piú grandi d’Europa ed è cosí influente nel paese da essere coinvolto, suo malgrado, nelle trame politiche sullo sfondo della Rivoluzione dei Garofani. Nel 1991, oramai un ultrasessantenne tormentato dalle banche, Joao scopre quanto i suoi errori del passato possano ripercuotersi nel futuro, nei suoi eredi, confusi tra legittimi e non. Tiago Guedes, dopo essersi costruito una carriera in coppia con Frederico Serra, esordisce in solitaria con questa intensa epopea familiare. Questa è la storia di Joao Fernandes, della sua infanzia appena tratteggiata ma indubbiamente ruvida, della sua immensa tenuta possibile da controllare solo con il pugno di ferro e il buon cuore; è la storia di un uomo tutto d’un pezzo, squadrato come la sua mascella, incapace di resistere alle 69

debolezze della carne e, forse, tanto “padrone” da sentirsi in diritto di esserlo; questo è anche il racconto di un “re” innamorato del suo “regno”, disposto a tutto, anche ad inimicarsi politici e rivoluzionari pur di mantenerlo per i suoi eredi, un giorno, quando lui sará troppo vecchio per rimanerne al timone; Ma questa è soprattutto una favola nera piena di scelte sbagliate, nascoste dal tempo, pronte a far capolino presentandosi come un conto salato per le nuove generazioni, quegli eredi che lo stesso Joao Fernandes voleva vedere al suo posto sul “trono” di famiglia. A Herdade, che significa non a caso sia “la tenuta” che “l’ereditá”, è un’intensa opera che intreccia a dovere dinamiche familiari e movimenti sociali che, come il puledro all’inizio del film, ruotano attorno alla figura imperiosa di un capofamiglia magistralmente interpretato da Albano Jerónimo. Filippo Volpini FUORI CONCORSO Adults in the Room di Costa-Gavras, Francia/Grecia 2019 A pochi mesi dalle nuove elezioni in Grecia, che hanno condot-

Wasp Network


to alla vittoria del centrodestra a svantaggio di Alexis Tsipras, il film di Costa-Gavras segue la tortuosa trattativa tra il Ministro dell’economia greco Yanis Varoufakis durante il Governo Tsipras nel 2015 e l’Eurogruppo per risollevare le sorti del paese, all’alba della bancarotta, nonostante le resistenze dei leader europei. Basato sul libro di Varoufakis, il film si focalizza principalmente sulla dimensione collettiva degli incontri (anzi, degli scontri) tra leader politici, che si disperdono in un marasma collettivo alla stregua di un’indisciplinata aula scolastica (memorabile la battuta sulla necessità di adulti nella stanza, che dà il titolo al film); a cavallo tra la Storia di una nazione in uno dei suoi momenti più cruciali e la microstoria privata degli individui che tentano di contenere la sua disfatta, la narrazione alterna lo spazio del potere a quello domestico di Yanis e di sua moglie Danai, interpretata da Valeria Golino che, figlia di una pittrice greca, torna alle origini della sua madrelingua, esprimendosi con fluidità e dimestichezza. La regia si dimostra abile nel saper restituire visivamente le contraddizioni insite nelle scelte politiche, sia interne che estere, attraverso una messinscena

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claustrofobica, quasi totalmente in interni che opprimono i soggetti, divenendo delle arene conflittuali dove si articola la dialettica incessante tra bene e male, tra esponenti politici che lottano per la salvaguardia del proprio paese e lo spietato disinteresse capitalista della finanza, interessata solamente al sostentamento del proprio benessere. Il realismo si mescola con una controparte surreale e carnevalesca che svela, attraverso un’estremizzazione del linguaggio, le contraddizioni sottese a un reale ambiguo e paradossale, raggiungendo il suo apice nella visionaria danza finale, momento straniante in cui Tsipras è costretto a sottomettersi alle politiche europee. Leonardo Magnante Citizen K di Alex Gibney, Gran Bretagna/ Usa Il documentario del premio oscar Alex Gibney (il cui titolo rievoca inevitabilmente l’opera d’esordio di Orson Welles) indaga la controversa figura di Mikhail Khodorkovsky, appartenente a un gruppo di oligarchi russi arricchitisi in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, in un periodo definito come un “Far West”, in cui l’ignoranza e la criminalità dilagano a dismisura. Attraverso le dichiarazioni di Khodorkovsky e dei testimoni della sua ascesa (da altri oligarchi al suo ex socio Leonid Nevzlin), il film ricostruisce le tappe del suo arricchimento, culminate con l’acquisizione della compagnia petrolifera Yukos, nonché il suo legame conflittuale con Vladimir Putin che, di fronte al boom petrolifero della Russia, si appropria dell’azienda e fa condannare il magnate a dieci anni di carcere per frode ed evasione fiscale. Con sguardo lucido, Gibney ricostruisce la figura di un antieroe che, ancora oggi, combatte da Londra contro Putin, specificando le strategie totalitarie attraverso cui 70

il Presidente della Federazione Russa costruisce il consenso attorno alla propria figura, limitando le messe in discussione e in ridicolo della propria immagine. Con un ritmo incalzante (nonostante la lunghezza, che appesantisce la fruizione del film), Gibney reitera strategie narrative provenienti dalle gangster stories per ripercorrere l’iperbolica ascesa del personaggio, fino alla sua rovinosa caduta, collocando lo spettatore in una posizione problematica: messi di fronte alle strategie subdole della politica di Putin, è impossibile non identificarsi con la lotta al potere di Khodorkovsky, ma al contempo, nella ricostruzione della storia del protagonista, non sono taciute le tattiche moralmente opinabili con cui ha sfruttato l’ignoranza e la crisi del proprio paese per arricchirsi (non omettendo le possibili connessioni con l’omicidio del sindaco Vladimir Petukhov), aspetti che egli stesso ricorda nel costruire il narrative della propria esistenza. Leonardo Magnante Woman di Anastasia Mikova, Yann Arthus-Bertrand, Francia 2019 A quattro anni da Human, Anastasia Mikova e Yann Arthus-Bertrand esplorano l’universo femminile in un documentario corale, una carrellata di testimonianze raccolte tra il 2012 e il 2014 di circa duemila donne di nazioni e culture differenti. La narrazione del sé e dell’essere donna nel nostro mondo passa attraverso una suddivisione in temi, primo tra tutti l’identità sottesa ai ruoli sociali di moglie e di madre, al fine di riscoprirne necessità, ambizioni, desideri (anche sessuali) che da sempre il cinema delle donne ha cercato di indagare, da pioniere del muto come Lois Weber (si pensi al suo Where Are My Children?) a documentariste più recenti come Michelle Citron o Alina Marazzi. Passando dal femminicidio alle

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disparità di genere, il film esplora il piacere e la sessualità femminile, raccontata con disinvoltura (si pensi alla giovane che ironizza sulle scarse misure del suo primo fidanzato) ma non priva di problematizzazioni attraverso le testimonianze di donne costrette a vivere il sesso come mera soddisfazione del piacere maschile, a svantaggio del proprio. Il film indaga sia l’essere donna come concetto universale che nelle sue necessarie diversità, restituite spesso dal montaggio, che alterna differenti modelli di femminilità, come nel caso della donna occidentale, ripresa mentre si trucca con accessori di make up tradizionali, alternata a un’aborigena, che decora il viso con oggetti estranei alla nostra cultura. Se il film si propone come progetto inclusivo, in realtà dimostra una profonda lacuna in merito all’omosessualità femminile e alla disforia di genere, frettolosamente relegata al fugace intervento di Vladimir Luxuria, rivelando quanto il testo costruisca un’immagine eteronormativa di femminilità, che si ripiega su schemi di senso ampiamente discriminatori nei confronti di una percentuale di spettatrici che rischia di non sentirsi rappresentata dal documentario stesso e dalla sua costruzione del concetto stesso dell’essere donna. Leonardo Magnante

rando un legame profondo con la compagna di suo fratello, Mona, e il figlio, Alex. Jessica Palud, parigina classe 1982, al suo esordio come regista di lungometraggi, dimostra grande sensibilitá nell’uso del mezzo, dipingendo una realtá rurale con grande realismo e delicatezza. Il suo film di appena settantasei minuti, non si perde in orpelli, ma va dritto al segno districando una trama tanto semplice quanto ricca di spunti drammatici. Niels Schneider, l’attore che interpreta il protagonista, incarna alla perfezione il ruolo di figliol prodigo mostrando sul suo volto tutti i segni lasciati da un passato trascurato, difficile da rimettere in ordine. Un padre che non gli rivolge nemmeno uno sguardo figurarsi la parola, una madre in fin di vita, una tragedia, quella del fratello, ancora tutta da chiarire e, in ultimo, Mona ed Alex; Madre e figlio, troppo giovani, entrambi, per affrontare il ruolo che la vita ha chiesto loro di interpretare. Adéle Exarchopoulos, con la sua spontaneitá e la sua naturalezza, si cala alla perfezione nei panni di Mona, la ragazza madre, unica insieme a suo figlio, ad accompagnare Thomas nel percorso che lo porterá a ritrovare un posto in quel che rimane delle loro famiglie. Filippo Volpini

ORIZZONTI

Atlantis di Valentyn Vasyanovych, Ucraina 2019

Revenir di Jessica Palud, Francia 2019 Thomas, dopo molto tempo, fa ritorno nelle campagne dove è cresciuto per stare al capezzale della mamma morente. In pessimi rapporti col papá con il quale nemmeno si parla (non viene spiegato il motivo), il ragazzo tenta di far luce sulla vicenda che più di tutte ha segnato la sua famiglia mentre lui era in Canada per lavoro: la morte di suo fratello. Affronta questo percorso di ricostruzione instau-

In un futuro prossimo, l’Ucraina orientale devastata dalla guerra appena conclusa è il teatro della storia di un giovane soldato affetto da stress post traumatico. Sergeij, questo il nome del protagonista, perde il suo lavoro come saldatore in una fonderia perché questa è costretta a chiudere i battenti. Entrato in contatto con una associazione di volontari specializzati nella riesumazione di cadaveri di guerra (chiamata il Tulipano Nero), l’uomo conosce Katya, ex 71

paramedico studiosa di archeologia. Il lavoro nell’organizzazione e Katya lo aiuteranno a tornare a credere in un futuro migliore. Direttore della fotografia prima e documentarista poi, Valentyn Vasyanovych dirige il suo quarto lungometraggio avendo nel cuore il disastro ecologico che sta devastando la sua Ucraina. Nel Donbas, infatti, le numerose miniere di carbone interconnesse tra loro, a causa delle inondazioni subite durante i conflitti, rischiano la contaminazione radioattiva e il conseguente avvelenamento delle risorse idriche. A ció si aggiunge una delle piú alte concentrazioni di mine nel pianeta, fattore che, più di ogni altro, condanna il territorio alla desolazione. Il regista ci racconta la medesima desolazione attraverso il suo protagonista, lo stress post traumatico e quegli ordigni che continuano a minare la sua psiche. Impossibilitato a riadattarsi a un’esistenza normale, Sergeij trova una via d’uscita dal suo inferno dando di nuovo un nome alla scia di cadaveri che l’organizzazione Tulipano Nero estrae dal terreno. Tempi dilatati, inquadrature centellinate e una fotografia algida sottolineano con efficacia l’idea

Revenir


di futuro che il regista ha immaginato per questo territorio oramai condannato. Filippo Volpini The Criminal Man / Borotmokmedi di Dmitry Mamuliya, Georgia/ Russia 2019 Il secondo lungometraggio di Dmitry Mamuliya, The Criminal Man racconta in quattro capitoli il climax del protagonista, Giorgi Meskhi, da “signor nessuno” a “testimone”, a “criminale”. Infatti, quest’ultimo assiste, unico testimone, a un misterioso omicidio del portiere della nazionale di calcio sviluppando un’ossessione perversa per tutto ciò che riguarda l’assassinio: (ad esempio segue a distanza le indagini, spia gli altri ipotetici testimoni, partecipa al funerale e bacia la vedova...). Le circostanze poco chiare del delitto e la fama di cui godeva la vittima creano rapidamente un caso mediatico e coinvolgono pienamente l’interesse dell’opinione pubblica. Giorgi, di riflesso, sembra nutrirsi di quella popolarità riservata al delitto e, a poco a poco, il male inizia a radicarsi in lui, trasformandosi lui stesso in un criminale. Le sue fragilità emotive e un ambiente affettivo povero (una figlia problematica che esprime il suo disagio disegnando gatti solitari e una sorella con cui ha un

Pelikanblut

legame ambiguo), creano i presupposti perché il protagonista senta questa trasformazione come un substrato identitario a cui finalmente aggrapparsi e dare un senso alla propria esistenza, anonima e infelice. Il film, caratterizzato da pochi dialoghi e dai campi lunghi su paesaggi sconfinati e deserti, segue con un ritmo lento la visione distorta del protagonista, alla disperata ricerca di senso esistenziale in un mondo ostile e a lui alieno con scene talvolta grottesche, quasi surreali. Mamuliya ha dichiarato che in questo film voleva “che la malattia penetrasse l’immagine avvolgendola come una muffa e cambiandone la consistenza” come avviene nelle metafore spiazzanti degli animali che simboleggiano una natura matrigna e spietata. Maria Antonietta Vitiello Blanco En Blanco di Théo Court , Spagna/Cile/Francia/Germania Ambientato all’inizio del Ventesimo secolo, il film racconta di un fotografo di matrimoni, Pedro, che viene assunto da un misterioso e potente proprietario terriero, (Mister Poter) per fotografare la sua futura moglie-bambina Sara, da cui rimane subito affascinato e in seguito ossessionato. Scoperto mentre cerca di carpirle la parte più nascosta e intima, viene costretto a unirsi ai mercenari di Porter per documentare la conquista del territorio attraverso il genocidio degli autoctoni, la popolazione Selknam. Theo Court, regista spagnolo di origini cilene, al suo secondo lungometraggio, decide di raccontare questo tema ancora poco conosciuto e riconosciuto partendo proprio da uno scatto di mercenari in posa accanto a cadaveri di indigeni assassinati. E ancor oggi, spiega il regista nell’intervista dopo la proiezione del suo film a Venezia, i governi locali negano la complicità 72

nell’aver venduto queste terre a famiglie croate e inglesi colpevoli dello sterminio della popolazione locale. Film kafkiano e metaforico in cui la fotografia è la vera protagonista che da veicolo di esaltazione si trasforma in rivelazione e denuncia. Il percorso narrativo è lento ma inesorabile, da una ricerca che nasce estetica, per essere poi morbosamente erotica e finire macabra. Il tempo prolungato dello scatto lascia tutto il tempo di una riflessione su un potere che non si vede, Mr Porter, ma che agisce, conquista, assoggetta, uccide a suo piacimento compiacendosi della sua ferocia sotto gli occhi non più ignari e tuttavia impotenti degli spettatori. Maria Antonietta Vitiello Pelikanblut di Katrin Gebbe, Germania/Bulgaria 2019 Wiebke vive con la figlia adottiva Nicolina in un allevamento di cavalli, utilizzato dalla polizia come maneggio; la donna adotta la piccola Raya, angelica bambina che sembra andare d’accordo con Nicolina, entusiasta per l’arrivo di una sorellina. Raya inizia gradualmente a manifestare degli inquietanti attacchi d’ira nei confronti della madre e della sorella che, spaventata, tenta di convincere Wiebke a riportarla in orfanotrofio, gelosa delle attenzioni che il genitore riserva alle problematiche della nuova arrivata. La messinscena della Gebbe si dimostra estremamente curata sia nella composizione del quadro che nello studio dei cromatismi, che permeano simbolicamente il profilmico grazie alla ricorsività del rosso, che rievoca metaforicamente il sangue con cui la mamma pellicano del racconto cristiano che dà il titolo al film nutre i suoi defunti figli per resuscitarli. Se il sangue viene sostituito narrativamente dal latte materno che Wiebke stimola attraverso l’as-

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sunzione di domperidone per creare quel legame mancato a Raya e risvegliarla dalla sua paralisi emotiva dovuta alla devitalizzazione dell’amigdala, visivamente il rosso non insorge mai plasticamente e figurativamente, ma mediante la presenza marcata della tinta grazie a una moltitudine di oggetti come ombrelli, fiori, tende, finanche il ketchup che Raya spruzza su Wiebke. Diegeticamente, il film appare meno convincente, non tanto a livello di ritmo narrativo (che appare piuttosto lento ma che permette l’articolazione di una tensione costante), quanto alla superficiale contaminazione di generi che vira verso una spiegazione soprannaturale del male che affligge Raya (rievocando celebri pellicole horror come L’esorcista, The Ring, Orphan o Babadook), fino a ricadere in un finale retorico che eccede di pietismo. Il film perde progressivamente di credibilità, nonostante il suo tentativo iniziale di conquistarsi una propria identità nell’indagare l’orrore sotteso alle difficoltà ordinarie dell’adozione. Leonardo Magnante Madre di Rodrigo Sorogoyen, Spagna/ Francia 2019 Dieci anni dopo la sparizione del figlio Ivan, persosi in una spiaggia francese senza lasciare traccia, Elena si è stabilita nel luogo in cui il piccolo è scomparso. Nel momento in cui inizia a elaborare la tragedia, la donna incontra il sedicenne Jean, ragazzo che le ricorda Ivan e che, incuriosito dalla protagonista, inizia a frequentarla assiduamente, stabilendo un legame tra il materno e il seduttivo, tale da incrinare il rapporto con la propria famiglia e tra Elena e il suo nuovo compagno. Rodrigo Sorogoyen estende il cortometraggio Madre, candidato agli Oscar 2019, riproposto come opening del film: un lungo piano sequenza iniziale di una durata (diciotto minuti) che appare inter-

minabile per la tensione emotiva abilmente costruita, un microfilm che risulta il momento più abilmente scritto e diretto dell’intero lungometraggio, rendendoci compartecipi attivamente al dramma della scomparsa di Ivan, di cui percepiamo solamente la voce angosciata al telefono. Notevole l’interpretazione di Marta Nieto, aggiudicatasi il Premio Orizzonti per la miglior interpretazione femminile, capace di esternare silenziosamente un dolore assordante senza cadere nel pietoso, soprattutto nella sequenza iniziale in cui, sospesa tra panico e tentativi di mantenersi razionale per tranquillizzare telefonicamente Ivan, restituisce con estrema verità e realismo il significato stesso dell’essere madre. Il passaggio dal corto al lungometraggio si percepisce nell’attraversamento di generi, che va dalle atmosfere da thriller psicologico nei primi minuti del prologo, smentite dall’ellissi narrativa che sposta la diegesi su un dramma intimistico, rifiutando la detection (non sapremo mai cosa sia accaduto a Ivan e quale siano stati i tentativi per trovarlo), favorendo un’indagine più intima centralizzata sulle due anime di Elena e Jean, alla ricerca di un’identità perduta (quella di madre) o in costruzione (quella di uomo), ma che rischiano di configurarsi disfunzionali per entrambi. Leonardo Magnante BIENNALE COLLEGE

forma filmica, che ripensa lo spazio a seconda delle specificità dei nuovi media in accordo con una riarticolazione dello spazio sociale e relazionale comportato dalla diffusione inarrestabile del digitale, costruendo una narrazione (quasi) totalmente sullo schermo di un computer, similmente al cortometraggio canadese Noah di Patrick Cederberg e Walter Woodman o al recente thriller Searching di Aneesh Chaganty. A causa di problemi per il rinnovamento del visto, Yuval è costretto a rimanere a Tel Aviv e a gestire a distanza la relazione con Julie e con il piccolo Lenny, stanziati a Parigi. La Rafael declina una storia d’amore attraverso uno sguardo entomologico che si interroga sull’ambigua prossimità e senso di appropriazione comportato dalle nuove tecnologie digitali, in grado di costruire un simulacro di realtà che, nel corso del tempo, rivela distruttivamente la sua dimensione falsificata e artificiosa, destinata a incidere su quell’intimità che l’immagine, nonostante il suo fasullo senso di prossimità, non è in grado di compensare. La regia è piuttosto attenta a sottolineare questa dimensione illusoria, a partire da un’emblematica inquadratura, che inaugura la chat a distanza tra i due amanti, in cui Julie è collocata di fronte allo specchio, nel quale si riflette lo schermo su cui compare Yuval, una mise en abyme altamente rappresentativa, in grado di tenere attigui, all’interno dello stesso spazio, soggetti distanti (fisi-

The End of Love di Karen Ben Rafael, Francia/ Usraele 2019 Karen Ben Rafael riflette notevolmente sulle mutazioni del panorama mediale contemporaneo e sui processi di rilocazione dovuti all’incisività dei dispositivi mediatici, sempre più capillarmente penetranti negli ambienti domestici e quotidiani dell’individuo; tale indagine si ripercuote sulla 73

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camente e poi emotivamente) che, sorridenti, esprimono la loro gioia per una vicinanza fasulla e virtuale quanto il riflesso che si schiude di fronte a noi spettatori, simulacro di un rapporto destinato a dissolversi nel tempo. Leonardo Magnante Lessons of Love di Chara Campara, Otalia 2019 Lessons of Love segna l’esordio della regista Chiara Campara; la pellicola è stata realizzata nell’ambito del progetto Biennale College Cinema. La pellicola racconta la storia di Yuri, un trentenne riservato e solo, che non ha mai avuto una ragazza e che vive con la famiglia, lavorando con il padre al loro piccolo allevamento di montagna. La vita di Yuri è pervasa da solitudine e da immobilismo, mentre le poche altre persone vanno avanti per la loro strada. È grazie all’incontro con la spogliarellista Agata, che lavora in uno strip club che Yuri è solito frequentare, che il protagonista vede la possibilità per un cambiamento nella propria vita. Per seguire Agata e cercare di costruirsi una vita alternativa rispetto all’esistenza solitaria che non ha mai potuto scegliere, abbandona la famiglia e la montagna e si trasferisce in città, lavorando come muratore grazie allo zio e iniziando a pensare a costruirsi una vita con la donna. Tuttavia, il trasferimento in città non è tutto rose e fiori, e Yuri sarà costretto a scegliere tra la sua nuova vita e quella vecchia. Campara vuole raccontare con il personaggio di Yuri la storia della

Lessons of Love

generazione dei trentenni di oggi, senza futuro, allo sbando, che cercano di uscire dalla loro zona di comfort ma sono frenati da mille ostacoli, sia interni che esterni. Yuri cerca di abbandonare la sua esistenza solitaria in montagna, tentando di diventare finalmente adulto, ma si rivela più difficile del previsto adattarsi a una nuova vita, in una cittadina che è il completo opposto del suo luogo di origine, anche a un nuovo amore. La vicenda viene narrata in modo lineare e si svolge con una certa lentezza, complice anche una sceneggiatura piuttosto povera di dialoghi e l’ampio utilizzo di inquadrature statiche e lente. Per quanto la pellicola riesca a trasmettere il senso di solitudine che pervade la vita dei personaggi, la vicenda difficilmente resta impressa. Maria Chiara Riva SCONFINI Les Épouvantails di Nouri Bouzid, Tunisia/Marocco/ Lussemburgo 2019 Tunisi, 2013. Zina e Djo tornano dalla Siria dopo essere state sequestrate e stuprate, manipolate e rapite da uomini pagati dalla jihad sessuale; entrambe sono ormai additate come prostitute, difese e sostenute dall’avvocatessa Nadia, dalla madre di Zina e da Driss, ragazzo omosessuale. Zina, a cui è stato sottratto il figlio neonato, viene rinnegata dal padre, mentre Djo, rimasta incinta, si è chiusa in mutismo e non ha il coraggio di mostrarsi in pubblico. La regia appare vicina empaticamente al loro malessere, come dimostrato dalla lunga sequenza iniziale inerente al ritorno a casa, sottolineata dai loro singhiozzi e grida e da una macchina da presa ravvicinata affinché il dramma si sveli affettivamente sui loro volti. Il film è centralizzato sulla complicità femminile, in cui l’unico accesso al maschile è possibile solamente nella sua femminilizza74

zione, allontanandosi dal concetto di virilità socialmente accettato; il ritratto del maschile è demoniaco e distruttivo, popolato da predatori e bestie fameliche che, alle stregua di creature mefistofeliche, si nascondono negli angoli oscuri di Tunisi in attesa di soddisfare il proprio piacere (l’impossibilità di Zina di passeggiare per la città senza il rischio di venire violentata). Driss risulta l’unico soggetto maschile a saper realmente osservare il femminile al di là della sua carica erotica e sessuale, portatore di un’umanità che gli permette di accedere a quest’universo circoscritto, un “uomo perfetto” che Zina ammira nella speranza che non cambi, nonostante la rassegnazione per non poterlo avere. Bouzid favorisce una micronarrazione intima e psicologica in grado di elevare la vicenda dei protagonisti a immagine universale della condizione della donna (e degli omosessuali) nel Medio Oriente, associandole agli spaventapasseri del titolo, carcasse rese vuote dalla crudeltà maschile, costrette a pagare per la propria bellezza e per credere ancora nell’amore, sentimento che Driss considera ormai estinto. Leonardo Magnante VENEZIA CLASSICI Fellini fine mai di Eugenio Cappiccio, Italia 2019 Il documentario è realizzato da Eugenio Cappuccio, che conosceva personalmente il maestro del cinema riminese: Cappuccio racconta di averlo incontrato da ragazzo, quando viveva a Rimini, e poi di aver lavorato come aiuto regista al documentario sul film Ginger e Fred. Il film è diviso in due parti, una più documentaristica nel senso classico del termine e l’altra di carattere più monografico, tra le quali tuttavia manca un solido collegamento e che fermano il lavoro a un livello di approfondimento superficiale sulla figura del regista riminese.

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Nella prima parte Cappuccio alterna immagini storiche, prevalentemente provenienti dalle Teche Rai, e interviste storiche e non, che includono parenti di Fellini, ma anche gente comune, come gli abitanti di Rimini, e molti personaggi del mondo dello spettacolo con i quali Fellini era in un rapporto di amicizia o di collaborazione, come Milo Manara, Andrea de Carlo e Vincenzo Mollica. Il legame personale tra Fellini e Cappuccio permette al regista e io narrante di inserire se stesso all’interno della vicenda; il suo scopo, non sempre riuscito, è di svelare lati di Fellini sconosciuti al grande pubblico, per esempio scegliendo di focalizzarsi sull’ultima parte della sua produzione e sul suo lavoro di fumettista con le interviste a Milo Manara e Vincenzo Mollica. La seconda parte del film si concentra invece su una vicenda poco conosciuta riguardante i due film mai realizzati da Fellini, Il ritorno di Mastorna e Viaggio a Tulum. Fellini decise di non realizzare le pellicole dopo un viaggio negli USA ricco di esperienze paranormali, che inquietarono profondamente Fellini e i suoi compagni di viaggio, tra cui l’autore Andrea De Carlo, che ha raccontato questa esperienza in un romanzo. I film si pone l’obiettivo di dare allo spettatore una conoscenza di Fellini che vada oltre la superficie, ma non sempre riesce nell’impresa, e la netta cesura tra le due parti non contribuisce certo a dare un senso di coesione alla ricostruzione della figura di Fellini. Maria Chiara Riva SETTIMANA DELLA CRITICA Rare Beasts di Billie Piper, Gran Bretagna

senza, per questo, esserne schiava come spesso tenta di renderla il suo compagno attuale, Pete. Sará la relazione con quest’ultimo a farle capire quello che davvero vuole dalla sua vita. Billie Piper, nota al grande pubblico per aver preso parte a serie tv quali Doctor Who, Diario di una squillo per bene e Penny Dreadful, aveva l’idea di Rare Beasts da sette anni e comincia a lavorarci giá nel 2017. Per questa opera firma sia la sceneggiatura che la regia oltre a interpretare il ruolo della protagonista Mandy. Il film risulta estremamente curato sotto ogni aspetto, dalle musiche elettro pop, alla fotografia satura di colori accesi, fino alla narrazione che, nel finale, tocca i limiti dell’onirico. Particolare attenzione è stata posta anche nella costruzione dei dialoghi che evidenziano la scelta della regista di rendere l’opera calzatamente autentica rappresentando i vari protagonisti nelle loro sfaccettature più sincere. Il tema centrale dell’opera prima di Billie Piper va ricercato nel desiderio dell’artista britannica di rappresentare le difficoltà, le aspettative e i sogni infranti della generazione dei trentenni che, illusi dalle parole di chi li ha educati, devono scontrarsi con la realtà fatta di uomini fragili e donne emancipate. La Piper azzecca tutto, dimostrando di aver imparato il mestiere e di esser pronta, al contrario della protagonista Mandy all’inizio del film, a prendere in mano il suo futuro di scrittrice e regista. Filippo Volpini

zione fotografica, intenti a fare l’amore sotto delle coperte bianche, eteree come l’intimità che li lega e che verrà spezzata da un’ellissi narrativa, che ci colloca in un presente oscuro, segnato dal lutto e dalla perdita. Cecile de France interpreta Corine Sombrun (sul cui libro si basa il film), quarantenne rimasta da poco vedova e ancora incapace di rielaborare un lutto che diventa, giorno dopo giorno, sempre più insostenibile; per lavoro, parte per la Mongolia per realizzare un documentario sui riti e le tradizioni del luogo e, coinvolta in un rito sciamanico, cade in trance, tanto da essere considerata una sciamana, posseduta dallo spirito del lupo, in grado di conferirle un contatto privilegiato con l’aldilà, credenza su cui Corine si aggrappa pur di rivedere l’amato marito. Il film di Berthaud permette un nuovo punto di vista sul tema del lutto e sulla sua rielaborazione, lavorando sul confine labile tra realtà e immaginazione, vero e falso, fenomenico e soprannaturale che, al contempo, sfrutta il linguaggio cinematografico che, più di altre arti, si fonda su una dimensione a cavallo tra il contingente e l’altrove, tra il visibile e l’invisibile.

GIORNATE DEGLI AUTORI

Un monde plus grand di Fabienne Berthaud, Francia/ Mandy è una trentenne in crisi Belgio 2019 desiderosa di non rinunciare alle La macchina da presa si scaglia molteplici opportunitá che la vita le propone nonostante la sua fami- sui corpi di un uomo e una donglia, suo figlio e il suo caratterino na, ripresi in rallenty in un clima da ‘scozzese’. Lei vuole un uomo surreale dato da una sovraesposi75

Rare Beasts


Sul piano visivo il film mescola atmosfere e stili differenti nel demarcare la nostra realtà da quella degli spiriti, al fine di restituire visivamente quel “mondo più grande” che Corine tenta di contattare pur di non adeguarsi alle regole della nostra esistenza terrena; al realismo quindi si affiancano sequenze più surreali, come il (fin troppo retorico) bagno notturno in un lago in cui la protagonista viene raggiunta dal fantasma di suo marito, oppure la fugace visione dell’aldilà, che ricorre al bianco e nero e a un linguaggio da film sperimentale, che rievoca pellicole come Begotten di E. Elias Merhige o Flesh of the Void di James Quinn, non a caso controversa visione dell’aldilà. Leonardo Magnante Seules les betes di Dominik Moll, Francia/Germania 2019 Basato sul romanzo di Colin Niel, il film riprende una struttura narrativa a incastro, suddivisa in cinque capitoli, ognuno incentrato su un personaggio, similmente a molti thriller contemporanei, si pensi a La ragazza del treno. La vicenda ruota intorno alla scomparsa di Evelyn (interpretata notevolmente da Valeria Bruni Tedeschi), evento che, direttamente o indirettamente, si inscrive nelle esistenze dei protagonisti, responsabili della sua dipartita o semplicemente legati alla sua vita.

La diegesi rinuncia a una detection tradizionale finalizzata a ricostruire la personalità di Evelyn, che non diventa il corrispettivo della Laura Palmer di Twin Peaks (sebbene il film rievochi la celebre serie televisiva), ma un catalizzatore per inaugurare un thriller dell’anima, mirato a descrivere le contraddizioni e le debolezze dell’essere umano, in una struttura a mosaico che non lascia scampo ai personaggi, chiamati ad accettare l’ineluttabilità del loro destino. Il film gioca con i generi, dal thriller con venature macabre di stampo hitchcockiano (la morbosa attrazione del personaggio di Joseph per il cadavere di Evelyn, simile alla sua defunta madre) al melodramma domestico, in cui non mancano gag incentrate particolarmente sulla chat tra il triste allevatore Michel e l’ivoriano Armand, che si spaccia per la giovane Marion, amante segreta di Evelyn. Dal glaciale paesino di montagna francese (in sintonia con gli animi dei personaggi) ai caldi scenari della Costa d’Avorio, il film si schiude come un grido silenzioso sulle necessità più intime del soggetto, costantemente bisognoso di visibilità e amore, un desiderio che lo rende inerme, offuscando la sua capacità di giudizio e portandolo a compiere i gesti più inaspettati, destinati a un fallimento impossibile da accettare se non nella morte e nella ripetizione eterna della propria condizione di sconfitto, accolta pur di perpetuare il simulacro di un’esistenza che non si è in grado di governare responsabilmente. Leonardo Magnante La Llorona di Jayro Bustamante, Messixo/ Guatemala/Francia

La Llorona

Inaspettatamente, l’orrorifico e il fantastico vengono premiati nella sedicesima edizione delle giornate degli autori con un film horror che mescola atmosfere da 76

ghost story al dramma storico, ponendosi come contraltare rispetto al recente film di Michael Chaves, ennesimo tentativo di ampliare, attraverso il personaggio della Llorona, l’universo The Conjuring. Dopo essere stato prosciolto dalle accuse di crimini contro l’umanità, Enrique, generale in pensione e responsabile del genocidio dei Maya Ixil in Guatemala, è costretto all’isolamento nella sua villa, insieme alla sua famiglia, a causa delle numerose proteste contro di lui. Di notte, il protagonista comincia a percepire il pianto di una donna e, in seguito all’arrivo di una nuova governante, i personaggi inizieranno a vivere esperienze soprannaturali. L’horror è utilizzato con forte valenza politica, similmente ad autori come Guillermo del Toro o il Luca Guadagnino di Suspiria per il loro desiderio di confrontarsi, attraverso il fantastico, con momenti storici cruciali per l’umanità. Bustamante però dimostra una maggior partecipazione agli eventi trattati, riconciliando se stesso e il proprio popolo con una delle ferite più sanguinose del loro passato, con sguardo melanconico che si interroga sul concetto stesso di umano, similmente a gran parte della produzione orientale del saiko horaa, rievocato attraverso la fisionomia della donna in bianco con capelli neri; è la cosiddetta mostruosità a ritrovarsi vittima dell’essere umano, chiamato a rispondere dei suoi peccati sottostando a una legge metafisica e soprannaturale, la sola a poter veramente fare giustizia. È un film attento sull’umano, come dimostrato da una messinscena che predilige il soggetto, come nel lento movimento di macchina in piano sequenza sul viso di una donna chiamata a deporre, il cui sguardo diventa la traccia indelebile di un passato che, sebbene invisibile, fa percepire il suo grido sui volti di coloro che furono costretti a viverlo. Leonardo Magnante


Pubblicato a cura del Centro Studi Cinematografici è un bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola con più di trent’anni di vita. Si rivolge agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi con la fruizione di film (serie televisive, immagini in genere), recensioni di libri, dvd e proposte veicolate da internet. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 35.00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org

Euro 6,00 · Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXXV - nuova serie - Periodico bimestrale - n. 136/137

Il Ragazzo Selvaggio CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA

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Venezia 76 Un cinema in movimento Il ritratto negato, Martin Eden Joker, C’era una volta a… Hollywood La vita invisibile di Eurídice Gusmão Panorama Festival La fiamma del peccato Gruppo di famiglia in un interno Cupo tramonto

Il Ragazzo Selvaggio Pubblicato a cura del Centro Studi Cinematografici è un bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola con più di trent’anni di vita. Si rivolge agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi con la fruizione di film (serie televisive, immagini in genere), recensioni di libri, dvd e proposte veicolate da internet. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 35.00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org

Speciale Centenario Cinema e Grande Guerra Il 24 maggio 2015 abbiamo ricordato l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Gli anniversari sono sempre fonte di rivisitazione e di stimolo verso più meditati giudizi su quanto è avvenuto. Lo Speciale propone un saggio e una raccolta di schede che fanno riferimento alla Prima Guerra Mondiale. Pur nella loro diversità tutti gli articoli possiedono un fil rouge che li unisce e che passa attraverso due diverse chiavi interpretative: il rapporto tra Cinema e Storia e il Cinema come elemento che contribuisce esso stesso a creare la Storia. Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org


Giuseppe Gariazzo, Giancarlo Zappoli Gli schermi e l’Islam 400 film Centro Studi Cinematografici, Roma 2016 pp. 204, euro 10.00 Un libro per conoscere senza pregiudizi i mille volti dell’Islam raccontati tanto dai musulmani quanto dagli occidentali. Scheda 400 film, ognuno comprendente cast e credits, un’ampia sinossi e l’indicazione della distribuzione italiana o estera per la reperibilità delle copie. L’intenzione è, prima di tutto, divulgativa. Il lavoro è stato infatti concepito come strumento utile non solo per gli addetti ai lavori, ma per insegnanti, educatori, associazioni al fine di comprendere in modo chiaro ed essenziale un argomento di estrema e complessa attualità.

L’invisibile nel cinema Falsopiano/Centro Studi Cinematografici Alessandria 2017 pp.206, euro 10.00 Il cinema che produce pensiero non è quello che mostra ma quello che occulta, che suggerisce, che interpella sull’oltre dell’immagine. Il cinema che invita a vedere, fra gli interstizi della narrazione per immagini, nelle ellissi, nei falsi raccordi di montaggio, nel fuori campo, nella sospensione del racconto. Il volume aggiunge voci diverse e diverse sensibilità di studiosi ai non pochi contributi usciti in questi ultimi anni su questo stimolante argomento.

Anno XXV (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

Flavio Vergerio (a cura di)

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