Film n. 12 ottobre/dicembre 2019

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Anno XXV (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

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CENTRO STUDI CINEMATOGRAFICI


Edito dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: info@cscinema.org Aut. Tribunale di Roma n. 271/93

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Anno XXV n. 12 ottobre-dicembre 2019 Trimestrale di cultura multimediale

I Villeggianti Suspiria Calcutta - Tutti in piedi La casa di Jack C’è tempo Le nostre battaglie Croce e delizia Non è vero ma ci credo Se son rose La promessa dell’alba The Vanishing - Il mistero del faro L’ingrediente segreto Scappo a casa Non sposate le mie figlie 2 Mathera - L’ascolto dei sassi Rex - Un cucciolo a palazzo Ride L’uomo fedele Rapiscimi Sex Cowboy Domani è un altro giorno Peterloo Ma cosa ci dice il cervello L’uomo che comprò la luna Il professore e il pazzo Bentornato presidente Tutti pazzi a Tel Aviv Momenti di trascurabile felicità Palottole in libertà Ovunque prteggimi In guerra Dove bisogna stare Ricordi? Compromessi sposi Detective per caso Red Joan Cyrano mon amour Il ragazzo che diventerà re Bangla Bene ma non benissimo Un’altra vita - MUG Lo spietato Nessun uomo è un’isola Il campione

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SOMMARIO

Il silenzio dell’acqua Oltre la soglia

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Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Silvio Grasselli Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Giulia Angelucci Veronica Barteri Elena Bartoni Matteo Calzolaio Cristina Giovannini Leonardo Magnante Fabrizio Moresco Giorgio Federico Mosco Velitchka Musumeci Flora Naso Ludovico Romagnoli Sergio Scavio Maria Antonietta Vitiello Carmen Zinno

Pubblicazione realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Stampa: Joelle s.r.l. Via Biturgense, n. 104 Città di Castello (PG)

In copertina In alto La promessa dell’alba di Eric Barbier, Francia, Belgio 2017. Al centro Il silenzio dell’acqua (serial) di Pier Belloni, Italia 2019. In basso I Villeggianti di Valeria Bruni Tedeschi, Italia, Francia 2018. Progetto grafico copertina a cura di Jessica Benucci (www.gramma.it)


di Valeria Bruni Tedeschi

I VILLEGGIANTI In procinto di partire per le vacanze estive nella villa di sua sorella Elena e sua madre Louisa, Anna viene lasciata dal suo compagno Luca per un’altra donna, ma nonostante ciò crede che tornerà da lei. Atto I. Jean, il marito di Elena, è un ex industriale, costretto ad aumentare la sicurezza della loro dimora per delle lettere minatorie ricevute dopo essere caduto in disgrazia e aver licenziato i suoi dipendenti; Anna non sa come giustificare l’assenza di Luca ai familiari e amici ospitati, soprattutto alla figlia Célia. La donna sta per scrivere il suo quarto film insieme alla collaboratrice alla sceneggiatura Nathalie, un progetto nuovamente autobiografico che trae spunto dalla morte per aids del fratello Marcello, soggetto di cui Elena non è a conoscenza, contraria allo sfruttamento mediatico della loro tragedia; Anna è incapace di lavorare, distratta dall’ossessione per Luca, e Nathalie, insoddisfatta della sua vita, inizia una storia con il cuoco Jean-Pierre. Nel frattempo, i domestici attendono una riunione dei padroni per discutere dei giorni liberi del personale, costantemente rimandata. Louisa e Nathalie consigliano ad Anna di eliminare dalla sceneggiatura un episodio infantile in merito a un abuso subito, non denunciato dalla madre, in quanto considerato quasi usuale dal momento che anche lei era costretta a soddisfare il piacere del suo insegnante di pianoforte da piccola. In passato, Elena è stata costretta da Jean ad abortire per evitare uno scandalo (scoppiato comunque), in quanto ancora sposato con la sua ex, decisione di cui la donna si sente in colpa; ubriaca, confessa al marito

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di essersi sentita amata solamente da Marcello. Atto II. Anna ha una visione del fratello, contrario al film. La donna viene lasciata definitivamente da Luca, evento che la sconvolge eccessivamente. Nel frattempo, prima di fuggire in seguito a un’allucinazione di Marcello, l’attore chiamato a interpretarlo rivela a Elena il soggetto del film; irata, la donna accusa la sorella di utilizzare il cinema per rivelare quello che pensa realmente delle persone conosciute. Atto III. I villeggianti spargono le ceneri della loro amica Anastasia; Bruno, il marito della defunta, confida ad Anna il suo senso di colpa per non aver mai dichiarato il suo amore alla moglie. L’uomo scompare e i protagonisti, sospettando il suicidio, allertano i soccorsi; una sera, Bruno torna dopo aver tentato invano il suicidio ed è colpito nel vedere i personaggi bere disinteressati come se niente fosse. Nathalie rompe con Jean-Pierre e, contraria ai valori e allo stile di vita dei villeggianti, se ne va. Célia confida alla madre di aver conosciuto l’amante di Luca e i suoi figli durante l’inverno. Epilogo. Durante una pausa sul nebbioso set inerente alla morte del fratello, Anna insegue Luca nella nebbia, ma incontra Marcello, che le rivela che, questa volta, è stata lei a raggiungerlo.

Origine: Italia, Francia, 2018 Produzione: Alexandra Henochsberg, Patrick Sobelman per Ad Vitam Production, Ex Nihilo, Cooprodotto Bibi Film con Rai Cinema Regia: Valeria Bruni Tedeschi Soggetto e Sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky, Agnès de Sacy Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi (Anna), Pierre Arditi (Jean), Valeria Golino (Elena), Riccardo Scamarcio (Luca), Noémie Lvovsky (Nathalie), Yolande Moreau Jacqueline), Laurent Stocker (Stanislas), Bruno Raffaelli (Bruno), Marisa Borini (Louisa), Oumy Bruni Garrel, Vincent Perez, Stefano Cassetti (Marcello), Xavier Beauvois Durata: 127’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 7 marzo 2019

rative della propria vita, rivelando una verità mai imparziale ma sempre sottomessa all’autorialità di uno sguardo demiurgico. Il cinema è finzione, secondo la scusante data da Anna per giustificarsi con Elena, ma al contempo tale finzionalità è indirizzata a una catarsi che, nel sublimare i dolori di una vita in un costrutto artificiale, è in grado di rivelare una verità che, sebbene rivisitata, appare più vera del reale, un simulacro della nostra esistenza; il cinema rivela quell’aletheia che, nella quotidianità, è costretta a perire di fronte al tanatologico silenzio del senso di colpa, a un falso perbenismo e a un’incomunicabilità che relega i villeggianti a degli spettri, intrappolati nel limbo dei loro fallimenti. Il progetto della Bruni Tedeschi Come il celebre brano di si struttura come una mise en abyNada, cantato dalle due protagoniste, si chiede quale sia il significato della vita senza l’amore, così la Bruni Tedeschi sembra interrogarsi sul ruolo del cinema nell’esistenza del soggetto, in relazione al problematico binomio tra realtà e finzione di uno sguardo manipolatorio, capace di rielaborare il nar-

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me metariflessiva, che comprende tre livelli di realtà (la vita dell’autrice, quella di Anna e il film di quest’ultima), tanto da dedicare I villeggianti al defunto fratello e da dirigere un’autobiografia immaginaria che include sua figlia nel ruolo di Célia e i suoi veri familiari (sublimando la sorella Carla e il suo ex Louis Garrel in Valeria Golino e Riccardo Scamarcio), scritta insieme a Noémie Lvovsky, non a caso interprete della collaboratrice alla sceneggiatura di Anna. La regista sembra realizzare un film per se stessa, per i suoi dolori e per la “maschera” che ripropone con i suoi personaggi: un’eterna insoddisfatta, imprigionata nelle sue nevrosi, quasi una moderna Monica Vitti

antonioniana che, nel suo eccessivo isterismo, è alla ricerca di un amore costantemente sfuggevole (la stessa Bruni Tedeschi ha dichiarato a Venezia di voler essere amata di più, soprattutto dagli uomini). Lo sguardo sulla borghesia (che rievoca autori come Renoir, Buñuel, Antonioni e Fellini) inquadra i personaggi in uno spazio edulcorato, ossimorico rispetto alla loro vita, che li contiene ma li respinge al contempo, in cui, condannati alla loro eterna condizione di sconfitti, vivono il loro tempo nel taedium vitae, reso da una narrazione statica che restituisce la piattezza di una vita ricca solo in apparenza, il cui contraltare è la tempesta amorosa che vitalizza

di Luca Guadagnino

l’esistenza dei domestici; l’incapacità di cambiare il proprio destino si mostra spietatamente nell’onirico finale di stampo felliniano (da una colonna sonora riecheggiante Nino Rota al personaggio dal “nome parlante” di Marcello), in cui Anna si aggira nella nebbia del proprio inferno, in un eterno ritorno di una disperazione ontologica che svela il fallimento di un medium che, nonostante la catarsi, si rivela inefficace nel sanare le ferite dell’anima e nell’offuscare la propria artificialità e finzionalità e quindi nell’alterare le pieghe di un reale difficile da accettare e da manipolare.

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Leonardo Magnante

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SUSPIRIA

Origine: Italia, 2018 Produzione: Luca Guadagnino, Marco Morabito, Francesco Melzi D’Eril, Gabriele Moratti, William Sherak, Silvia Venturini Fendi per Frenesy Film Company, Memo Films, First Sun Regia: Luca Guadagnino Soggetto: Dario Argento (sceneggiatura del 1976), Daria Nicolodi (sceneggiatura del 1976) Sceneggiatura: David Kajganich Interpreti: Tilda Swinton (Mme Blanc), Dakota Johnson (Suzy Bannion), Chloë Grace Moretz, Mia Goth (Sara), Jessica Harper (Anke), Sylvie Testud (Miss Griffith), Angela Winkler (Miss Tanner), Malgorzata Bela (Madre) Durata: 152’ Distribuzione: Videa Uscita: 1 gennaio 2019

Berlino, 1977. Patricia comunica al suo psicoanalista, Jozef Klemperer, di essere fuggita dalla Markos Tanzgruppe dato che le insegnanti, in realtà streghe, volevano che Madre Markos, la loro matriarca, possedesse il suo corpo. Susie Bannion si trasferisce a Berlino per entrare nella compagnia; il suo provino attira le attenzioni di Madame Blanc, la

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direttrice artistica, per cui la ragazza viene ammessa e ospitata nella camera di Patricia, fuggita per prendere parte alla RAF, come giustificato dalle docenti. Markos continua a essere eletta dalle sue adepte come guida della congrega, a discapito di Blanc; data la fuga di Patricia, devono trovare una nuova allieva per compiere il loro rituale. Durante le prove del Volk, famosa coreografia di Blanc, Susie si propone come protagonista per rimpiazzare Olga, allieva andatasene dopo aver accusato le docenti della scomparsa di Patricia e uccisa dai movimenti di Susie durante l’esibizione, sotto l’effetto magico di Blanc. Come deciso da Madre Markos, Susie, l’allieva più promettente mai avuta, viene scelta come corpo per ospitare la sua anima per sopravvivere al deperimento fisico e salvaguardare la congrega, mentre Jozef viene nominato come “testimone” del rituale; Blanc non crede che Markos sia in realtà una delle tre Madri. Jozef indaga sulla scomparsa di 2

Patricia e conosce Sara, una compagna di Susie, a cui comunica i suoi sospetti; scoperta la camera segreta delle streghe, Sara inizia a credere a Jozef, che gli racconta dell’esistenza di tre Madri, di cui Patricia parla nel suo diario: Mater Tenebrarum, Mater Lacrimarum e Mater Suspiriorum. Markos è considerata una delle tre. Vista l’estrema attenzione con cui Blanc allena Susie, Sara crede che tra loro ci sia un accordo segreto. Durante la messinscena pubblica del Volk, Sara torna nell’antro, in cui trova Patricia e altri corpi in fin di vita; caduta in una trappola, la ragazza si ferisce, ma viene ipnotizzata dalle insegnanti, per prendere parte alla performance, che accidentalmente si interrompe per il risveglio della ragazza, che cade a terra in preda ai dolori. Susie confida a Blanc di aver improvvisato parte della coreografia e ciò probabilmente ha spezzato l’incantesimo. Sfruttando i sensi di colpa di Josef, che da anni è alla ricerca di sua

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moglie Anke, scomparsa durante la guerra, le streghe, attraverso un’allucinazione della donna, lo attirano nella scuola per assistere al rituale. Mentre Sara e Patricia vengono torturate, Markos invita Susie a rinunciare alla madre biologica (che l’ha sempre considerata peccaminosa) per poterla accogliere; Blanc decide di portare via la ragazza, per cui viene uccisa da Markos. Susie si rivela essere Mater Suspiriorum e una creatura mostruosa, sotto il suo controllo, massacra Markos e le docenti che l’hanno sostenuta; successivamente, la Madre uccide Sara e Patricia per dar loro la pace. Alle allieve viene comunicato che Blanc (in realtà sopravvissuta) ha lasciato la compagnia. Liberato Jozef, la Madre gli rivela che Anke è morta a Terezín e, prima di cancellargli la memoria, afferma di essere alla ricerca della Vergogna e della Colpa degli uomini, ma non della sua. Anni dopo, sulle mura della casa di Jozef, continua arimanere inciso il cuore con le iniziali del suo nome e di quello di Anke, simbolo del loro amore.

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Presentato in concorso a Venezia 75, Guadagnino dirige un sentito omaggio al capolavoro di Dario Argento, lontano dal semplice remake e più attinente a un’opera riflessiva e personale, che trascende l’horror (nonostante nel finale gli effetti gore non siano assenti) per

un racconto più allegorico, in cui il fantastico e la Storia si mescolano. Il suo allontanamento dallo stile di Argento non esclude dei richiami piuttosto sottili al giallo e all’horror “all’italiana” nell’utilizzo, nella prima parte del film, dello zoom, marca caratteristica dell’“euforia dello sguardo” tipica del genere, nonché allusioni all’originale, dal cameo di Jessica Harper nel ruolo di Anke alla fotografia rossastra durante il sabba. La visionarietà di Argento lascia il posto al pragmatismo fotografico e scenografico della Berlino divisa, grigiastra e rievocante quella di Possession di Andrzej Żuławski. Dopo gli orrori del nazismo, risulta difficile individuare la pura essenza del Male nelle streghe, che perdono la loro caratterizzazione mitica e fiabesca, divenendo un nucleo reietto, precario e diviso al suo interno, come la loro città, tra una matriarca che fonda il suo dominio su una mitizzazione di sé e una controparte nichilista in grado di opporsi alla parola autoritaria; sfaccettate ambiguamente nelle loro contraddizioni tipicamente umane, decretare le streghe in maniera manichea come assolutamente malvagie risulterebbe riduttivo, basti pensare al suicidio di una delle adepte, all’amore (materno o saffico che sia) di Blanc per Susie e soprattutto alla natura e allo scopo enigmatico della Madre dei Sospiri (punire o perdonare?). Lo spettro del nazismo per Ar-

gento diveniva un pendant in grado di creare un trait d’union implicito tra la malvagità delle insegnanti e gli orrori del regime (dalla Königsplatzdel putsch di Monaco in cui Flavio Bucci viene ucciso a una Alida Valli ritratta evocativamente come una gerarca nazista), mentre in Guadagnino relega le streghe stesse a delle vittime di quel male. Il femminile, escluso dai canali ufficiali del potere, muove una “resistenza creativa” in nome di una propria autonomizzazione (Sara specifica come Blanc abbia salvaguardato la compagnia quando il Reich voleva donne intellettualmente limitate e sessualmente attive), il cui risultato è il Volk (Persone), titolo che sembra riferirsi al popolo tedesco, ipnotizzato (l’ipnosi torna spesso nel film e rievoca il Cesare de Il gabinetto del dottor Caligari di Wiene) dalle illusioni di quel sistema simbolico di vaneggiamenti con cui Jozef (il terzo ruolo affidato a Tilda Swinton insieme a Blanc e Markos, sebbene nei credits compaia come Lutz Ebersdorf) definisce il nazismo. Leonardo Magnante

di Giorgio Testi

CALCUTTA - TUTTI IN PIEDI Origine: Italia, 2018

Produzione: Lucky Red, Bomba Dischi

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6 agosto 2018. Calcutta fa il pieno di pubblico all’Arena di Verona con un ‘sold out’ annunciato già da mesi. Quel concerto che ha emozionato 13.000 persone è diventato un film.

Calcutta - Tutti in piedi è la cronaca di quell’evento live del fenomeno Calcutta, al secolo Edoardo D’Erme, classe 1989. Calcutta è stato il primo artista indipendente italiano a organizzare nel 2018 un concerto live in uno 3

Regia: Giorgio Testi Interpreti: Edoardo D’Erme (Calcutta), Dario Brunori (Se stesso), Francesca Michielin (Se stessa), Daniele Di Gregorio, Giorgio Poi, Alberto Paone, Francesco Bellani, Paolo Carlini, Giovanni De Sanctis Durata: 90’ Distribuzione: Lucky Red Uscita: 10 dicembre 2018


stadio, il Francioni, nella sua città natale, Latina (il 21 luglio) e poi in un luogo mitico come l’Arena di Verona (il 6 agosto). Questi sono stati gli unici due concerti estivi a sostegno dell’uscita di Evergreen, il terzo album dell’artista pontino che lo ha riconfermato come musicista unico nel suo genere. Il film segue Calcutta per tutto il suo show. Il pubblico è caldo e partecipe, quasi tutti conoscono i brani a memoria. Ed ecco Cosa mi manchi a fare, Gaetano, Frosinone, Orgasmo. Calcutta duetta poi con Francesca Michielin per i brani Kiwi, Del verde, e Io non abito al mare e il pubblico si scalda. È poi la volta di brani celebri come Pesto e Paracetamolo. Quest’ultimo è divenuto una delle hit del 2018. Le canzoni sono intervallate da spot pubblicitari del giornalista sportivo Pier Luigi Pardo che fa da testimonial per l’acqua minerale Parda. Le esecuzioni di Calutta sono arricchite da aspetti visuals come grafiche e short films che accompagnano le storie narrate nei brani e aumentano le suggestioni del concerto. Nella parte finale del concerto

c’è anche l’intervento del cantautore Dario Brunori che duetta con Calcutta nel brano Saliva. Il cantante saluta il suo pubblico che ha condiviso con lui momenti intensi accompagnato dalle sue canzoni. Uno strano fenomeno quello del successo di Calcutta. Fin dal suo primo album Forse, il musicista originario di Latina ha sparigliato generi, appartenenze, etichette. La sua musica sfugge infatti alle più comuni definizioni. Certamente Edoardo D’Erme è la testimonianza vivente di come si possa dare una definizione diversa della cosiddetta ‘musica indipendente’. Partendo da ‘outsider’, Calcutta ha compiuto un percorso fuori dagli schemi canonici del music business. Uno dei segreti dell’attenzione sempre crescente che gli ha dedicato il pubblico risiede certamente nelle melodie contagiose delle sue canzoni. Brani come Cosa mi manchi a fare, Frosinone, Gaetano hanno registrato milioni di visualizzazioni su YouTube e sui portali di streaming. Un fenomeno in grado di arrivare al pubblico attraverso le nuove forme di comunicazione musicale, già dal 2016. L’anno seguente, il brano Orgasmo ha totalizzato oltre 10 milioni di stream su YouTube, Spotify, Apple Music, Deezer. Nel 2018 lo stesso successo è stato ottenuto dalla canzone Pesto e nello stesso Paracetamolo ha sancito il grande seguito di Calcutta. Le ragioni di questo grande successo sono da rintracciare in un pop che è stato definito “stralunato” e dal gusto psichedelico e dal “doppio principio attivo” che agisce rapidamente con un riff di

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chitarra e con il ritornello “sento il cuore a mille”. Ma chi è davvero Calcutta? A guardarlo da vicino, appare come un nerd di Latina con i pantaloni larghi e un capellino da baseball in testa, un ragazzo di provincia, di neanche trent’anni che nei suoi brani canta la quotidianità. Calcutta non ha una voce memorabile e ogni tanto prende stecche ma arriva al suo pubblico, nonostante i soli tre album all’attivo (Forse, Mainstream, Evergreen). Giorgio Testi, regista diplomatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia, che dal 2004 vive a Londra dove si è costruito una carriera internazionale dirigendo live film su artisti del calibro dei Rolling Stones, Oasis, Amy Winehouse, firma questo omaggio al fenomeno della musica ‘indie’. In questo stesso 2018 Testi ha presentato al Festival di Roma un altro film-evento su un live musicale, Noi siamo Afterhours. Questa volta, calandosi in pieno nell’universo al limite dell’assurdo delle canzoni di Calcutta, Testi lo illustra alla perfezione a quella generazione che ha consumato su You Tube i suoi video. L’aggiunta di grafiche particolari, di screen shot da cellulare, di icone kawaii, immerge il mondo musicale di Calcutta in un contesto quasi surreale. Il risultato è un viaggio alla scoperta di un mondo musicale piccolo e indipendente ma capace di arrivare agli animi di un’intera generazione. Calcutta - Tutti in piedi è un piccolo regalo a uso e consumo dei suoi fan, di tutti quelli capaci di recitare a memoria i versi stralunati delle sue canzoni. Elena Bartoni

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di Lars von Trier

LA CASA DI JACK si chiede come mai, di tutte le sue vittime, Jack racconti solo di donne poco intelligenti. Il protagonista decanta la degradazione fisica e la demolizione come nobilitazione artistica, esaltando i più grandi crimini contro l’umanità, arti stravaganti portatrici della bellezza del decadimento. Virgilio confessa di non aver mai incontrato un uomo così malvagio. 5° Incidente. Per portare a termine un macabro esperimento con degli uomini imprigionati nella cella frigorifera, Jack necessita di un proiettile incamiciato e si dirige dal suo amico S.P che, contattato dalla polizia, sulle tracce di Jack, tiene sotto tiro il protagonista. Tornato nel covo dopo aver ucciso S.P e rubato il proiettile, Jack è costretto ad aprire la porta misteriosa per allungare la distanza tra il fucile e le vittime; nella stanza incontra per la prima volta Virgilio, che gli confessa di essere stato con lui dal primo omicidio e lo incita a trovare il materiale per la sua casa, costruita da Jack con i cadaveri delle sue vittime. Raggiunto dalla polizia, Jack fugge nella casa con Virgilio. Epilogo: Catabasi. Virgilio conduce Jack all’Inferno, per portarlo nel suo girone e durante il viaggio il killer gli racconta la sua storia. Desideroso di visitare completamente l’Inferno, Jack viene scortato nel punto più profondo, in cui il ponte che conduce all’uscita è crollato; nonostante ciò, Jack tenta di raggiungere l’uscita arrampicandosi sulle pareti, ma precipita nella lava infernale.

Jack racconta a Virgilio i suoi dodici anni da serial killer. 1° Incidente. La prima vittima di Jack è una donna rimasta con una gomma a terra, petulante nell’ironizzare sulla possibile identità da serial killer del soccorritore; il cadavere viene nascosto in una cella frigorifera, in cui vi è una misteriosa porta che Jack non riesce ad aprire. Appassionato di architettura, egli vuole costruirsi una casa, indeciso ossessivamente sul materiale da usare. 2° Incidente. A causa del suo disturbo ossessivo compulsivo (DOC), Jack pulisce più volte la casa della sua nuova vittima, per paura di eventuali schizzi di sangue. Nel tempo, il DOC scompare e Jack è sempre più attratto dal rischio, tanto da riportare i cadaveri sulla scena del crimine per scattare foto migliori da inviare alla polizia, firmandosi “Mr. Sophistication”. Egli ha bisogno dell’omicidio per compensare un dolore esistenziale implacabile e, al contempo, lo considera un gesto artistico, paragonandolo a The Lamb e The Tiger di Blake: la tigre rappresenta la natura dell’artista, destinato a uccidere l’agnello, che ha la fortuna di vivere in eterno attraverso la sua arte. 3° Incidente. In seguito al racconto dell’omicidio di una madre e dei suoi figli, con tanto di imbalsamazione di uno dei due, Virgilio sostiene come non ci potrà mai essere dell’arte senza amore. 4° Incidente. Jack si prende gioco della nuova compagna, Jacqueline, per la sua scarsa intelligenza; le confessa di essere un serial killer, ma la ragazza inizialmente non gli crede, prima di essere immobilizzata e massacrata. Virgilio durante

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“Uccido!” è quanto Von Trier confessa (come lo stesso Jack) a un petulante spettatore in sala una proiezione di un suo 5

Origine: Danimarca, Germania, Francia, Svezia, 2018 Produzione: Louise Vesth per Zentropa Entertainments, Centre National du Cinéma et de L’Image, Concorde Filmverleih, Copenhagen Film Fund, Danish Film Institute, Eurimages, Film I Väst. in collaborazione con Danmarks Radio Regia: Lars von Trier Soggetto e Sceneggiatura: Lars von Trier Interpreti: Riley Keough (Simple), Jeremy Davies, Uma Thurman (Lady), Matt Dillon (Jack), Ed Speleers (Ed), Siobhan Fallon Hogan, Bruno Ganz (Verge), Sofie Gråbøl, David Bailie (S.P.), Yoo Ji-tae, Osy Ikhile, Marijana Jankovic (Studentessa), Christian Arnold, Robert G. Slade (Rob), Jerker Fahlstrom, Alice Nordmark (Donna morta), Carina Skenhede (Anziana) Durata: 155’ Distribuzione: Videa Uscita: 28 febbraio 2019

film, prima di assassinarlo: è così che il regista rappresenta la propria visione del cinema in un cortometraggio (Occupations) in occasione del sessantennale del Festival di Cannes, evidenziando il legame distruttivo e nichilista tra l’artista e il gesto artistico. L’idea di un’arte totalmente estranea alle norme estetiche istituzionalmente accettate si riflette su un cinema che ha sempre tentato di mettere in discussione il regime stesso della visione, confrontandosi, con freddezza e cinismo, con uno sguardo disincantato sull’esistenza e con un dolore espiabile solamente nella sfera estetica, rappresentativo nella cosiddetta “trilogia della depressione”, di cui La casa di Jack sembra esplicitare la poetica che la sottende (ma che al contempo percorre l’intero cinema dell’autore), attraverso le ossimoriche visioni artistiche di Jack (iconoclasta e nichilista, affascinato dalla valorizzazione del male e dell’orrido) e di Virgilio (ancorato a un’ideale di amore, più decantato e moraleggiante).


Il dialogo catartico tra i due personaggi rievoca lo schema narrativo di Nymphomaniac, anch’esso incentrato sulla conversazione tra un personaggio moralmente discutibile, afflitto da una dipendenza finalizzata ad acquietare un dolore ontologico (la ninfomania di Charlotte Gainsbourg) e un’istanza ordinatrice (Stellan Skarsgård); il narrative autobiografico di Jack è esplorato con la tradizionale camera a mano di Von Trier, frequentemente ravvicinata sui soggetti ripresi, accompagnata da una colonna sonora spesso anempatica (da Vivaldi a Fame di Bowie), emblematica nelle sequenze più cruente.

Il pastiche stilistico emerge attraverso la copresenza di materiali eterogenei (fotografie, quadri, filmati d’archivio, sequenze tratte dalla sua filmografia) e dall’esplosione pirotecnica nell’epilogo, in cui la catabasi è scandita da un cromatismo più acceso (accentuato dal rosso della veste dantesca di Jack) e dall’uso di un ralenti che tende al fermo fotogramma, in particolare nella ricostruzione compositiva de La barca di Dante di Delacroix. Nelle sue ambiguità e contraddizioni, la concezione artistica delineata da Jack attraverso il rapporto con l’omicidio riflette una visione autoriale del gesto artistico,

di Walter Veltroni

svincolato da qualsiasi attività di fruizione e, di conseguenza, dall’adattamento ai gusti del pubblico (quasi uno specchio del controverso cinema di Von Trier), favorendo un contatto conchiuso e isolato tra la straordinarietà dell’artista (capace di inaugurare una nuova visibilità, rivelando quelle zone d’ombra identificabili con i negativi delle foto di Jack, valorizzanti quel “fuoco demoniaco” che il colore tradizionalmente offusca) e l’opera, destinata a deperire materialmente ma a sopravvivere bazinianamente e ontologicamente allo scorrere del tempo. Leonardo Magnante

C’È TEMPO

Origine: Italia, 2018 Produzione: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra, Jerome Seydoux per Palomar, Vision Distribution, in collaborazione con Sky Cinema e Pathé Regia: Walter Veltroni Soggetto: Walter Veltroni Sceneggiatura: Walter Veltroni, Doriana Leondeff Interpreti: Stefano Fresi (Stefano), Giovanni Fuoco (Giovanni), Simona Molinari (Simona), Francesca Zezza (Francesca), Sergio Pierattini (Presidente), Laura Ephrikian (Carla), Silvia Gallerano (Luciana), Shi Yang Shi (Cinese), Max Tortora (Carabiniere), Anna Billò (Giudice), Giovanni Benincasa (Chinaglio), Jean-Pierre Léaud (Se stesso) Durata: 107’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 7 marzo 2019

Stefano, quarantenne ciccione e immaturo vive in un paesino di montagna facendo due singolari lavori: è osservatore di aquiloni, di cui tiene conferenze e seminari e controlla la funzionalità di un enorme specchio capace di rimbalzare la luce del sole sul paese che sarebbe, altrimenti, oscurato dalle montagne che lo circondano. Ste-

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fano ha anche una moglie con cui il rapporto non va da tempo, così approfitta di un momento singolare della sua vita per stare lontano un po’: lui, infatti, assume l’incarico di tutore di un tredicenne, Giovanni, rimasto senza genitori per un incidente e che le carte notarili asseriscono essere suo fratello (tramite un padre sparito da molto tempo e di cui si erano perse le tracce). A rendere appetibile la cosa c’è un lascito di centomila euro per Stefano se andasse in porto il suo tutorato. Comincia così il viaggio da Roma (dove sono state svolte le pratiche) al paesello piemontese, zona di studio degli arcobaleni. Il rapporto tra i due è davvero singolare: il quarantenne infantile è consapevole della propria esuberanza con cui vive le piccole cose che la vita gli dà ogni giorno; il ragazzino Giovanni, imbambolato e ligio alla sua educazione da ricco dimostra di essere quell’adulto (noioso) che l’altro non è. Insomma i due iniziano questo viaggio che, praticamente, sem6

brerà durare all’infinito nel costituire, invece, una palestra di umanità in cui i due imparano a diventare reciprocamente simpatici e a volersi bene. Il viaggio è presto deviato verso nord per assistere a un recital della cantante Simona, di cui Stefano è tifosissimo, in tour per l’Italia con il suo gruppo, accompagnata dalla figlia. Il luogo della deviazione è Parma, sito magicamente deputato all’espressione cinematografica più pura, soprattutto di Bertolucci e del suo “Novecento”. Fa presto Stefano a innamorarsi di Simona con cui cena in un meraviglioso casale di campagna, avvolti nel legno di mobili e pareti; lei non è nella stessa disponibilità d’animo, qualcuno l’aspetta alla fine del tour mentre sono molto più determinati i due ragazzi che con semplicità si esprimono la reciproca simpatia e il piacere di stare bene insieme. La complicità tra i due adulti

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però ha i suoi frutti e la fine del che vedere con la satira comica e viaggio vedrà finalmente un nuovo tragica, graffiante e amara della nostra grande “Commedia”. futuro per entrambi. Forse Veltroni voleva costruire un telaio narrativo che sostenesse Non si capisce cosa abbia voluto fare Walter Veltro- la sua ispirazione cinefila attrani con questo suo primo verso una serie di citazioni e di lungometraggio di finzio- rimandi ai “suoi” film che hanno ne (al suo attivo quattro costituito la “sua” personale poedocumentari e tre serie tv legate tica e la “sua” costruzione dell’imalla realtà). Sicuramente una com- maginario. Certamente film belli, media, una commedia all’italiana, grandi, importanti che sono stati come si diceva, cui ha voluto dare la la nervatura culturale e sociale di forza e la vitalità dello svolgimento un’intera generazione. L’utilizzo, però, di tutto questo è “on the road”, sistema narrativo efficace (quando lo è) nell’accomu- stucchevole, un accavallarsi d’imnare slanci di fantasia e imprevisti magini, manifesti, ricordi, ritagli di scene, vecchie interviste di Scopossibili a ogni angolo. La bontà dell’idea di partenza si la e Mastroianni, la sala vuota del dilata però a dismisura in un’at- felliniano cinema Fulgor di Rimimosfera edulcorata che, partendo ni, fino al trionfo del citazionismo dai dialoghi, tracima nelle situa- autocelebrativo e cioè l’incontro zioni, negli incontri, nel disegno con il settantacinquenne Jean dei personaggi che perdono ogni Pierre Leaud che, in un cammeo contatto con la realtà. Tutto è sof- al ristorante si presta per i nostri focato da un sentimentalismo edi- protagonisti a rinverdire l’antica e ficante e dolciastro che nulla ha a ribelle gioventù de I 400 colpi.

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Una nostalgia continua che, invece di darci quella malinconia struggente per una crescita generazionale che avrebbe potuto (e dovuto) produrre oggi ben altre conseguenze e risultati, è subito soffocante, vecchia, malsana, in una retorica che non lascia scampo. Neanche la simpatia di Stefano Fresi e dei suoi compagni riesce a dare una spallata a quest’asfittica celebrazione. Fabrizio Moresco

di Guillaume Senez

LE NOSTRE BATTAGLIE

Origine: Francia, Belgio, 2018

Oliver è un operaio con ruolo di responsabilità nella fabbrica in cui lavora, ma è anche un uomo che dedica tutto sé stesso alla lotta contro le ingiustizie al fianco dei propri compagni. È sposato con Laura e ha due bambini piccoli Elliot e Rose. Apparentemente il menage familiare sembra essere idilliaco. Ma, da un giorno all’altro, sua moglie abbandona la loro casa senza dare alcuna spiegazione. Oliver si ritrova così da solo ad affrontare tutte le incombenze domestiche e deve trovare un nuovo equilibrio tra i bisogni dei figli, le sfide della vita quotidiana e il suo lavoro. Cosa non facile, soprattutto per

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un uomo. Sua madre quando può gli dà una mano, soprattutto con i bambini perché gli orari della fabbrica mal si conciliano con quelli della scuola; anche sua sorella viene in soccorso stabilendosi in casa per qualche settimana. I bambini soffrono molto la mancanza della madre e nessuno riesce a capacitarsi di cosa abbia spinto Laura a fare un gesto del genere. Di lì a poco arriva una sua cartolina, con un messaggio stringato di affetto ma priva di qualsiasi spiegazione. Nel frattempo in fabbrica la situazione non è delle più rosee, con lo spettro dei licenziamenti incombente. A Oliver che conosce tutti ed è benvoluto l’azienda offre una nuova opportunità che gli consen7

Produzione: Iota Production, Les Films Pelléas. Jn Coproduzione con Savage Film Regia: Guillaume Senez Soggetto: Gaëlle Debaisieux Sceneggiatura: Guillaume Senez, Raphaëlle Desplechin-Valbrune Interpreti: Romain Duris (Olivier Vallet), Laure Calamy (Claire), Laetitia Dosch (Betty), Lucie Debay (Laura Vallet), Basile Grunberger (Elliot), Lena Girard Voss (Rose), Dominique Valadié (Joëlle), Sarah Le Picard (Agathe), Robbas BiassiBiassi (L’ispettore del lavoro), Nadia Vonderheyden (La psichiatra infantile), Cedric Vieira (Paul) Durata: 98’ Distribuzione: Parthénos Uscita: 7 febbraio 2019

tirebbe anche di vedere aumentato lo stipendio. Peccato si tratti di un cambio di ruolo: diventare, cioè, tagliatore di teste ovvero licenziare le


persone che non sono reputate più idonee. Ma l’uomo decide di non piegarsi a questa sorta di ricatto. Accetta, invece, una nuova offerta di lavoro che lo obbliga però a spostarsi nel sud del paese. Saranno proprio i suoi figli, a cui ha raccontato tutto, ad aiutarlo nel prendere una decisione così importante. Così la famigliola, chiude a chiave la porta di casa, carica tutto in macchina e parte verso un nuovo futuro. Non senza aver prima lasciato scritto sul muro un messaggio per Laura con il nuovo indirizzo dove la donna potrà riunirsi, un giorno, alla sua famiglia.

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Il belga Guillaume Senez, dopo l’esordio di Keeper, con Le nostre battaglie firma una pellicola emotivamente intensa, realista,

scevra da facili pietismi in cui affronta numerose tematiche. La precarietà del lavoro, il sindacato e la lotta sociale, una famiglia sulle spalle, dei figli da crescere, i soldi che non bastano mai: sono davvero tante le battaglie quotidiane da ingaggiare su più fronti insieme agli imprevisti che ne aumentano il carico. Come, ad esempio, la fuga improvvisa da casa di una moglie e di una madre che non riesce più a reggere il peso di una vita così gravosa. Nell’intreccio di una trama ben articolata, in primo piano ci sono sempre i problemi occupazionali in fabbrica e la scomparsa della moglie. Il regista, a onor del vero, riesce a evitare brillantemente il rischio latente di scadere nel cliché del cinema socio-politico di denuncia (Ken Loach docet), tematica fin troppo abusata e preferisce virare sugli aspetti umani e intimisti focalizzandosi su una famiglia e una coppia come tante, che fatica ad arrivare a fine mese, i cui equilibri sono precari e fragili. Quando la donna fugge di casa tutto crolla inesorabilmente: visto

di Simone Godano

da questa angolazione, Le nostre battaglie è piuttosto un film sulla paternità e questo uomo così smarrito ed impreparato, raramente visto al cinema, mirabilmente interpretato da un toccante Romain Duris, riuscirà comunque a mantenere unita la sua famiglia e a ritrovare l’equilibrio perduto aiutato in questo proprio dai suoi figli. Tra colazioni e cene da preparare, bambini da accudire e accompagnare a scuola, sedute dalla psicologa, interrogativi senza risposte, zie e nonne baby sitter, legami tra fratelli che si rinsaldano, incontri amorosi di una notte, decisioni da prendere per il futuro le vere battaglie, sembra suggerire il regista, quelle più radicate dentro di noi per cui vale davvero la pena di spendersi ruotano tutte intorno alla sfera del nostro privato e soprattutto al calore degli affetti. Il film è stato presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2018 e ha vinto il Premio del Pubblico al Torino Film Festival dello stesso anno. Cristina Giovannini

CROCE E DELIZIA

Origine: Italia, 2018 Produzione: Matteo Rovere e Roberto Sessa per Regia: Simone Godano Soggetto e Sceneggiatura: Giulia Steigerwalt Interpreti: Alessandro Gassman (Carlo), Jasmine Trinca (Penelope), Fabrizio Bentivoglio (Tony), Filippo Scicchitano (Sandro), Warner Bros. Entertainment Italia, Picomedia e Groelandia Lunetta Savino (Ida), Anna Galliena (Giulietta), Rosa Diletta Rossi (Carolina), Clara Ponsot (Olivia), Giandomenico Cupaiolo (Gianlucone) Durata: 100’ Distribuzione: Warner Bros. Pictures Uscita: 28 febbraio 2019

Carlo e Tony sono due uomini diversissimi, appartenenti a mondi distanti. Carlo è un vedovo cinquantenne con due figli e due nipoti. Proprietario di una pescheria in una cittadina laziale, è un uomo spontaneo, sfegatato tifoso della Lazio e molto legato alla sua famiglia. Tony è un ricco mercante d’arte sessantenne, divorziato e padre di due figlie avute da donne diverse, Olivia di madre francese e Penelope, maestra d’asilo. Tony è

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un uomo di mondo, ha un passato sentimentale burrascoso, è egoista e narcisista. Tony e Carlo si sono innamorati a sorpresa, scoprendo la loro omosessualità. I due decidono di sposarsi e per comunicarlo alle loro famiglie decidono di trascorrere le vacanze fianco a fianco a Gaeta. Tony nella sua bella villa dove ha riunito la sua famiglia e Carlo nella dépendance attigua che il partner gli ha affittato.

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Accade che una sera, a cena nello stesso ristorante, i parenti dei due vengono a sapere della notizia del progetto del matrimonio. Ad essere più sconvolti sono i familiari di Carlo, in particolare il figlio Sandro, un giovane dal temperamento focoso, con un bambino piccolo e in attesa di un altro bebè dalla compagna Carolina. Dopo aver trattenuto Sandro dal proposito di andarsene, Penelope si accorda con lui per fare di tutto per boicottare l’unione tra i loro padri. Il giorno dopo però accade un piccolo incidente in casa e Sandro si ferisce. In ospedale, Carlo racconta a Penelope del suo primo incontro con Tony. Quest’ultimo si dimostra nel frattempo inaffidabile perdendosi uno dei bambini. Nella bella villa arriva Giulietta, la ex compagna di Tony e mamma di Penelope. Tony racconta a Carlo di aver tradito la donna diverse volte. Una sera tutti si recano a una festa di beneficienza in spiaggia. Ma Sandro, che si sente un pesce fuor d’acqua in un ambiente tanto snob, finisce per litigare a causa di una cospicua donazione che gli viene chiesta. A casa, Sandro dice al padre che è meglio tornare a casa a fare la loro vera vita. Carlo finisce per fare una scenata a Tony e mandarlo a quel paese. Il giorno dopo tutti sono riuniti per un barbecue a casa di Tony. Penelope informa Sandro del fatto che i loro padri hanno depositato le carte in Comune per il matrimonio. Per un attimo sembra tornata la serenità e tutti ballano. Giulietta parla con Penelope e le dice di accettare suo padre così com’è. Il giorno dopo Giulietta parte. Intanto al piccolo Diego, figlio minore di Carlo, piace Elodie, la nipotina di Tony. Una sera Penelope si confida con Sandro fuori dalla dépendance. La ragazza dice di aver sofferto molto a causa di un padre assente e

anaffettivo, poi si lascia andare e bacia Sandro. Carolina esce fuori dalla villetta all’improvviso e va su tutte le furie aggredendo Penelope. Rientrata in casa, la ragazza ha un duro confronto con Tony. Carlo la porta via in auto: Penelope ha una crisi di panico e si sfoga dicendo di essersi sempre sentita abbandonata dal padre. Carlo parla di Tony dicendo che bisogna prenderlo così com’è: un po’ croce, un po’ delizia. Penelope si sente male e dà di stomaco. All’alba la ragazza ringrazia Carlo per averla aiutata. I due tornano a casa dove Carlo se la prende con Tony, poi manda via Sandro e gli affida il piccolo Diego. Due settimane dopo. Tony va all’asilo nido dove lavora Penelope e le chiede scusa. La ragazza gli dice che lui sarà sempre più croce che delizia poi incoraggia lui e Carlo a riprovarci. Penelope porta il padre alla pescheria di Sandro: Tony gli chiede di fargli incontrare Carlo. Sandro si convince e li porta a una secca in mezzo al mare dove Carlo è da solo sulla sua barca. Tony chiede perdono e gli chiede di sposarlo, Carlo lo fa salire sulla barca. I due si dichiarano reciproco amore e si baciano. Una storia di omosessualità tardiva, il divario sociale tra due famiglie diversissime, e poi le vacanze estive, tra dispute, battibecchi, rapporti irrisolti. Croce e delizia mette tanta carne al fuoco. Per la sua seconda regia dopo Moglie e marito del 2017, Simone Godano si affida ancora a una sceneggiatura di Giulia Steigerwalt che si basa su un soggetto particolare, una storia ‘forte’. Due uomini tra i cinquanta e i sessanta, con un passato etero e con uno stuolo di figli e nipoti, si innamorano scoprendo la loro omosessualità. Se già con il suo precedente film giocava con ruoli e generi, questa

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volta Godano compie altri passi avanti nel gioco delle nuove coppie del terzo millennio ribaltando definitivamente i tradizionali meccanismi generazionali: non sono questa volta i genitori a prendersi a cuore la felicità dei figli ma il contrario. E con una nuova rivendicazione di libertà da parte dei genitori (che questa volta passa per la possibilità di unirsi in matrimonio gay). L’idea dei due mondi diversissimi, praticamente opposti, non è nuova (il più celebre e riuscito precedente è quel piccolo gioiello di Ferie d’agosto di Virzì). E così, a distanza di più di vent’anni, il confronto tra due famiglie e di due classi sociali diverse hai dei punti di contatto con il film del regista livornese (la famiglia radical chic e colta e quella popolana e un po’ chiassosa che continua a cercare la televisione che abbia un buon segnale anche in vacanza). E ancora, case di vacanza vicine e confinanti, una famiglia snob, molto allargata e disunita (il capofamiglia Bentivoglio ha avuto numerose compagne e ha due figlie dai caratteri opposti avute da donne diverse) e quella più umile che è più unita e ancora attaccata a valori tradizionali. E nel rumoroso gioco delle parti che si viene a creare tra i Castelvecchio e i Petagna si fa strada un nuovo modo di guardare alle coppie omosessuali che desiderano unirsi in matrimonio. Merito del regista è l’aver evitato qualsiasi pretesa intellettuale, ma soprattutto moralismi o messaggi impegnati. Tutto è leggiadro, ricoperto da una sottile dose di disincanto e ironia.


Si fanno apprezzare diverse sottigliezze con cui sono cesellate le psicologie dei personaggi: è il caso delle diverse reazioni dei due figli del popolano Carlo alla notizia del suo prossimo matrimonio gay: mentre l’adulto Sandro (un Filippo Scicchitano omofobo e illuminato da lampi di isterismo) reagisce stizzito e alza un muro di negazione nei confronti di un’unione ritenuta contro natura, il figlio più piccolo Diego accetta il matrimonio del padre con una pacatezza sorprendente restando piuttosto preoccupato e ombroso perché si invaghisce della nipote del nuovo compagno del papà. Altra piccola perla è il personaggio di Penelope, figlia del viveur Tony: giovane maestra d’asilo piena di ansie irrisolte, segnata dall’affetto

mancato di un padre da sempre assente. La scena dell’attacco di panico della ragazza soccorsa da un Gassman che riesce a mantenere il tono giusto alle sue battute senza mai eccedere è un altro momento indovinato del film. Un ritmo incalzante, una leggerezza di tocco, un’ambientazione piacevole (in una villa nella splendida località costiera di Gaeta) e il grande lavoro del cast che vede in testa a tutti le belle interpretazioni di Alessandro Gassman e Fabrizio Bentivoglio affiancati da una Jasmine Trinca (nel difficile ruolo di Penelope) in una delle prove più riuscite della sua carriera e da un Filippo Scicchitano davvero in forma, fanno di questo film una piacevole sorpre-

di Stefano Anselmi

sa nel panorama delle commedie italiane. E la scena del ballo collettivo che un inedito Alessandro Gassman inizia dietro a un barbecue è tra le sequenze più piene di leggerezza e gioia di vivere che si siano viste nel cinema nostrano degli ultimi anni. Perché è vero, la serenità va cercata con pervicacia tra le mille difficoltà della vita anche passando attraverso l’accettazione dell’altro e della sua diversità da noi. Perché l’amore è più semplice di quello che pensiamo e non conosce differenze di razza, età, classe sociale, e perché no, come dimostra questo film, anche di genere. Elena Bartoni

NON È VERO MA CI CREDO

Origine: Italia, 2018 Produzione: Guglielmo Marchetti per Notorius Pictures, Lotus Productions, Minerva Pictures Regia: Stefano Anselmi Soggetto e Sceneggiatura: Andrea Lolli, Nunzio Fabrizio Rotondo, Paolo Vita Interpreti: Nunzio Fabrizio Rotondo (Rotondo), Paolo Vita (Paolo), Maurizio Mattioli (Armando), Loredana Cannata (Loredana), Micol Azzurro (Morena), Elisa Di Eusanio (Cristina), Giulia Di Quilio (Maria Chiara), Maurizio Lombardi (Michel De Best), Yari Gugliucci (Ciro), Yoon C. Joyce (Ndong), Leonardo Sbragia (Nino), Paolo Gattini (Rocco) Durata: 92’ Distribuzione: Notorius Pictures Uscita: 4 ottobre 2018

Nunzio e Paolo sono amici dalle elementari, dove hanno conosciuto le rispettive mogli, Mariachiara e Cristina entrambe donne di successo e realizzate. Nunzio e Paolo al contrario, sono uomini di mezza età inconcludenti che si sono sempre arrangiati con lavori sporadici e quelle poche volte che hanno provato a mettere su atti-

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vità, sovvenzionate dalle rispettive mogli, non sono mai riuscite a decollare. Proprio per questo, sia Mariachiara che Cristina decidono di dare ai rispettivi mariti un out out riguardo il loro futuro lavorativo: o trovano un lavoro serio o si avviano le pratiche del divorzio. Al tavolo di un bar Nunzio e Paolo, dopo aver ricevuto i rimproveri dalle mogli, iniziano a pensare come poter svoltare dal punto di vista lavorativo senza dover chiedere più aiuto. In quel momento assistono al furto di un’auto parcheggiata davanti al locale e presi da uno slancio eroico, rincorrono l’auto e riescono a far scappare il ladro. Il proprietario dell’auto è il signor Armando che, per ringraziare Nunzio e Paolo, decide di portarli in uno dei suoi ristoranti. Dopo l’incontro con il signor Armando, i due hanno un illuminazione e decidono di avviare un’attività di ristorazione vegana, essendolo entrambi. Per aprire questa attività però c’è bisogno di 10

soldi che entrambi non hanno, così sono costretti a chiederli alle mogli con un escamotage. Passando da un giovane hacker e finte previsioni astrologiche, Maria Chiara e Cristina si convincono, decidono di dare loro fiducia e di finanziare l’idea. Dopo un mese l’attività inizia a prendere forma e i due iniziano a cercare il personale che dovrà lavorare con e per loro. Il primo a essere assunto è Ciro, un cuoco andato in rovina dopo il divorzio dalla moglie che ha bisogno di dare una scossa alla sua vita, poi Morena che è stata appena licenziata dal night club in cui lavorava e infine Rocco, il ladro di auto, al quale vogliono dare una possibilità. Dopo poco tempo dall’avvio dell’attività iniziano i primi problemi, i clienti sono sempre meno e anche in cucina non regna l’armonia. Nunzio e Paolo temono che le mogli vengano a sapere che

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l’attività è in difficoltà e li costringano a chiudere. Ciro, lo chef, pur di risollevare le sorti del locale, ha un’idea: invitare uno dei critici culinari più di tendenza, Michel de Best, affinché scriva di loro e dia pubblicità e visibilità al ristorante. Questo però rifiuta l’invito, essendo un carnivoro convinto, e ripiomba lo sconforto in tutto il team che non sa in che modo andare avanti. Dopo vari tentativi, decidono di riprovare a contattare il critico, questa volta rifilandogli una truffa: camuffare un piatto vegetariano come se fosse un piatto di carne. Così, mosso dalla sua passione per la carne, il critico accetta l’invito e si reca al ristorante che, proprio per il suo arrivo, ha cambiato volto diventando un ristorante per carnivori. Michel de Best, non accortosi di nulla, esce dal ristorante soddisfatto e tornato a casa sfoggia tutta la sua poesia nell’elogiare il ristorante di Nunzio e Paolo con una fantastica recensione. Grazie alla recensione e alla nuova versione del ristorante, l’attività inizia a decollare e Nunzio e Paolo si prendono qualche rivincita con le mogli, riuscendo a saldare qualche debito. Ma l’entusiasmo per il nuovo avvio del ristorante viene subito smorzato da Loredana Rossi, un’attivista vegana che, essendo venuta a conoscenza del ristorante, decide di dichiarargli guerra per farlo chiudere, perché, come tutti del resto, crede che all’interno dell’attività vengano messe in atto pratiche crudeli nei confronti degli animali, quando in realtà è solo un’enorme truffa. Una sera il critico torna al ristorante, rimasto soddisfatto dall’ultima volta, e in quella stessa sera irrompe Loredana Rossi che ha un confronto vivace con Michel. L’animalista non si fa intimidire e irrompe nella cucina, seguita da Michel, dove entrambi scoprono che nella cucina non c’è traccia di

carne. Questo fa innervosire il critico che con uno strano accento pugliese minaccia di far chiudere il ristorante. Nunzio e Paolo, assaliti dalle minacce, decidono di tenerlo in ostaggio fino a quando le acque non si saranno calmate. Il signor Armando, che intanto è uscito dal carcere, si reca al ristorante e ruba la macchina di Nunzio per fuggire. Nunzio e Paolo a bordo della loro auto lo inseguono ma perdono le sue tracce e sono costretti a tornare verso il ristorante a piedi dove ad attenderli trovano le mogli che, mosse da futili sospetti, decidono di recarsi al ristorante per chiedere loro spiegazione ma non fanno in tempo ad aggredire i rispettivi mariti perché, nella stalla adiacente al ristorante, dove si trova Michel che intanto si è scambiato segreti e tenerezza con l’animalista Loredana, una delle mucche sta partorendo È questa nascita che nel finale contribuisce ad allontanare dissapori e a creare nuova armonia. Non è vero ma ci credo è il debutto sul grande schermo degli sceneggiatori Nunzio Fabrizio Rotondo e Paolo Vita, che del film sono anche i protagonisti, nonché l’opera prima di Stefano Anselmi che, dopo una lunga carriera come aiuto regista, ha presentato la pellicola in anteprima al Terni Pop Film Fest. Il titolo del film rimanda alla memoria una commedia scritta da Peppino De Filippo, con cui comunque questo film non ha nulla a che vedere, in quanto questa commedia tenta di raccontare il male del nostro tempo: la precarietà. Infatti, con la partecipazione di Maurizio Mattioli e la sua genuina romanità, la pellicola gira intorno alla precarietà lavorativa che attanaglia il nostro secolo e favorisce in questo caso l’avvio di attività rischiose e imprevedibili.

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L’intento probabilmente era quello di raccontare, appunto, il nostro tempo con leggerezza e comicità ma il risultato è quello di una favola atta a deliziare chi ama gli animali ed è contrario a nutrirsi di carne. Le caratteristiche del film sembrano strizzare l’occhio a una commedia teatrale sia per la recitazione che per la messinscena. Che si tratta di un’opera prima si capisce da molti aspetti: la recitazione, il ritratto poco dettagliato dei personaggi, la trama poco fluida e l’ambizione di raccontare temi cari al nostro tempo come l’amore per gli animali. I temi trattati - in questo caso attraverso contraddizioni - sono spesso oggetto di monologhi di attori comici del mainstream. Nunzio e Paolo, affrontano invece queste tematiche rimanendo in superficie, lasciando lo spettatore insoddisfatto. I due protagonisti mancano di verve, non hanno caratteristiche particolari e nemmeno il dinamismo necessario in un duo. Manca sostanzialmente la comicità che ci si aspetterebbe da un film del genere; i dialoghi presentano spesso delle lacune. Risulta forzata anche la rappresentazione della donna, che inizialmente viene ritratta come dedita al lavoro e moderna, ma cade poi nello stereotipo. Il film nel complesso non soddisfa: la poca fluidità della trama lo rende difficile da seguire e poco appassionante nonostante i goffi colpi di scena Flora Naso


di Leonardo Pieraccioni

SE SON ROSE

Origine: Italia, 2018 Produzione: Levante Film, Medusa Film Regia: Leonardo Pieraccioni Soggetto e Sceneggiatura: Leonardo Pieraccioni, Filippo Bologna Interpreti: Leonardo Pieraccioni (Leonardo), Michela Andreozzi (Angelica), Elena Cucci (Ginora 48), Caterina Murino (Benedetta), Claudia Pandolfi (Fabiola), Gabriella Pession (Elettra), Antonia Truppo (Fioretta), Nunzia Schiano (Signora Coscia), Sergio Pierattini (Monsignore), Mariasole Pollio (Yolanda), Gianluca Guidi (Fabio) Durata: 90’ Distribuzione: Medusa Film Uscita: 29 novembre 2018

Accompagnato da una carrellata di tante foto incorniciate, Leonardo Giustini scrive al pc il suo articolo. Segno particolare: un occhio nero. La voce di Leonardo dà inizio alla storia, suggerendo un lungo flashback. Alla festa di sua figlia Yolanda, 15 anni, Leonardo si presenta con un regalo d’altri tempi (un giradischi) e viene bacchettato dalla ragazza, convinta che suo padre non la conosca affatto. Alla festa incontra anche Fabiola, la sua ex moglie, e Fabio, il suo attuale marito, che insieme lo prendono amorevolmente in giro. Leonardo torna a casa, è sera. Dopo aver intervistato una prostituta, entra in scena Ginora, una ragazza con cui Leonardo ha una storia di sesso. Ginora è soprannominata “Quarantotto” per via del numero di neuroni che ha in testa. Ginora e Leonardo passano la

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notte insieme. Il giorno seguente Yolanda, Ginora e Leonardo trascorrono la giornata in allegria, giocando a tennis e divertendosi, ma Yolanda non è soddisfatta della vita sentimentale di suo padre. Mentre Leonardo dorme, Yolanda invia a tutte le sue ex un messaggio: “Sono cambiato, riproviamoci!”. Leonardo si sveglia solo in casa, va a fare colazione e il suo cellulare squilla continuamente. Con grande sorpresa scopre l’inganno di Yolanda: le sue ex hanno risposto positivamente all’invito. Leonardo, per amore della figlia, decide di iniziare gli incontri col passato. La prima ex fidanzata è Benedetta, che una scritta in sovraimpressione ci ricorda essere stata con lui dal 2011 al 2014: Benedetta è molto religiosa e fa l’assistente sessuale per i disabili. In un giardino, Benedetta racconta a Leonardo il motivo per cui si sono lasciati, ricordandogli i suoi tanti difetti. La seconda è Elettra (dal 2006 al 2009), professoressa di filosofia all’università. Elettra lo mette di fronte alla sua classe di studenti per spiegare le ragioni del suo ritorno; Leonardo se la cava bene e riesce ad andare a letto con lei. Leonardo è così entusiasta che si propone di fare da secondo padre ai figli di Elettra; conosciuti i bambini, però, cambia idea e scappa. Di seguito, l’incontro con Angelica (1982-1985), una donna ormai sposata e affetta da Alzheimer. Leonardo entra in casa sua e Angelica disegna, come ogni giorno. Il ricordo del loro passato giocoso e adolescenziale fa commuovere entrambi. Leonardo torna a casa malinconico e si prepara per incontrare a cena Fioretta (2000-2003). La donna, però, si rivela diversa dalla 12

foto giovanile che Leonardo conservava: Fioretta infatti gli rivela di aver iniziato un percorso per “diventare” uomo. I due si ubriacano, mentre al ristorante arrivano anche Fabiola, Fabio, Yolanda e il suo ragazzo. L’incontro fra le coppie è inevitabile e la serata va a rotoli: l’ebbrezza del vino fa sì che Leonardo diventi ingiurioso nei confronti di Fioretta e lei, di tutta risposta, gli rifila un pugno. Da qui l’occhio nero iniziale. Sarà l’incontro con l’ultima ex, sua moglie Fabiola, a far cambiare rotta a Leonardo: scrive il suo ultimo pezzo online e decide di portare Yolanda a fare paracadutismo, da sempre il suo sogno. Ad aspettarli c’è Ginora, che li fotografa da terra. Se son rose esce al cinema un mese prima del periodo natalizio, contravvenendo alla tradizione di una certa commedia italiana. Così Leonardo Pieraccioni, autore e regista del film, cerca di sparigliare e di dare una marcia in più al suo progetto. Sullo schermo, il solito personaggio pieraccioniano, uno scapolo indolente che sa di autobiografico; la vera novità è che sembra non ci sia nulla di nuovo, di originale e di fresco rispetto al suo passato cinematografico. Il protagonista, che non a caso si chiama Leonardo, è stavolta alle prese con il rapporto padre-figlia e non più con le impervie conquiste sentimentali del Pieraccioni di Ti amo in tutte le lingue del mondo o Il ciclone. Quel che ne viene fuori è una commedia sfilacciata e molto spesso sopra le righe, descritta dalla tipica comicità toscana che però, in questo caso, manca di forza. Il

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cast femminile è una ventata d’aria fresca: l’esercito delle ex, un po’ arrabbiate e un po’ nostalgiche, è interpretato magistralmente da attrici di grande esperienza come Claudia Pandolfi, Gabriella Pession, Caterina Murino, Michela Andreozzi e Antonia Truppo. In generale la recitazione non scade nel banale e risulta sempre al passo con la battuta; il problema del film è, invece, la storia. La tredicesima fatica di Leonar-

do Pieraccioni, pur essendo a tratti malinconicamente commovente, non rispecchia il suo titolo: le rose non fioriscono per tutto il film. La sceneggiatura, scritta a quattro mani con un autore di tutto rispetto come Filippo Bologna, così come l’intera struttura del lungometraggio, non convincono per dialoghi e concatenazione di eventi. Il risultato è un prodotto spesso sopra le righe e il politicamente scorretto, tipico della commedia, appare in-

giustificato: le battute sul cambio di sesso di Fioretta e la figura di Ginora, maschilisticamente disegnata come la classica bionda senza cervello ma che ha ancora tanto da dimostrare, sembrano fuori luogo. Pur partendo da uno spunto interessante, Se son rose non rispecchia le aspettative e lascia l’amaro in bocca per una chance non sfruttata alla perfezione. Matteo Calzolaio

di Eric Barbier

LA PROMESSA DELL’ALBA

Origine: Francia, Belgio, 2017

Messico anni Cinquanta. Romain Gary è insieme alla sua prima compagna Lesley Blanch, si sente male e, credendo di avere un tumore al cervello, vuole andare all’ospedale. Nel lungo tragitto in auto, Leslie legge la bozza del libro di memorie che racconta la vita di Romain La promessa dell’alba. Wilno, Polonia 1924. La mamma, Nina Kacew, un’attrice ebrea russa, ha grandi aspettative per il figlio Romain di dieci anni che non si sente all’altezza. La donna stimola il figlio dicendogli che diventerà qualcuno. In un appartamento Nina apre un atelier di moda. Dopo aver messo da parte le ambizioni della madre di farlo diventare un violinista il giovane Romain prova a coltivare la pittura. Ma la mamma lo dissuade convinta che con il talento di pittore non guadagnerà molto: lei vuole che diventi famoso mentre è vivo. Il piccolo Romain decide di concentrarsi sulla scrittura, spinto dalla madre, convinta che diventerà come Tolstoj o Victor Hugo. Nina investe tutto sulla formazione del figlio, convinta che diventerà Ambasciatore di Francia e Cavaliere della Legion

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d’Onore. Nina viene insultata perché ebrea e il figlio la difende fino a essere coinvolto in una rissa. Nel 1927 Romain e sua mamma arrivano a Nizza e, grazie ai proventi derivanti da un corredo di argenteria, riescono a prendere alloggio davanti al mare. Dopo qualche tempo Nina riesce a far fortuna e a gestire un piccolo albergo. Romain passa dall’adolescenza all’età adulta, di conquista in conquista mentre la mamma fa invaghire di sé il pittore Zaremba ma non si vuole legare a lui. Romain intanto si mette a scrivere seriamente terminando il primo romanzo firmato con uno pseudonimo. Decide di partire per Parigi dove studia Giurisprudenza alla Sorbona e dove conosce la giovane Brigitte con cui ha una breve relazione. Nella capitale francese, dove era giunto nel settembre del 1934, pubblica il suo primo racconto, poi per sei mesi non gli pubblicano più nulla. Romain torna a Nizza nel 1938 e la madre lo costringe a partire per Berlino convinta che debba uccidere Hitler. Poco tempo dopo, Nina cambia idea. Nel novembre di quell’anno Romain va a combattere ma non riesce a diventa13

Produzione: Eric Jehelmann, Philippe Rousselet, Coproduttori Romain Legrand, Vivien Aslanian, Jonathan Blumental, Sylvain Goldberg, Serge Depoucques per Jerico, Nexus Factory, Umedia, Pathé Production, TF1 Films Production Regia: Eric Barbier Soggetto: dall’omonimo romanzo autobiografico dI Romain Gary Sceneggiatura: Eric Barbier (adattamento, dialoghi), Marie Eynard (adattamento, dialoghi) Interpreti: Charlotte Gainsbourg (Nina Kacew), Pierre Niney (Roman Kacew), Didier Bourdon (Alex Gubernatis), JeanPierre Darroussin (Zaremba), Catherine Mc Cormack (Lesley Blanch), Finnegan Oldfield (Capitano Langer), Pawel Puchalski (Roman bambino), Nemo Schiffman (Roman adolescente), Zoe Boyle (Poetessa) Durata: 131’ Distribuzione: I Wonder Pictures Uscita: 14 marzo 2019

re sottotenente perché ebreo. Al telefono con la mamma, racconta di non essere riuscito a ottenere la promozione perché ha sedotto la donna del suo diretto superiore. Nina continua a incoraggiare suo figlio sia al telefono che per via epistolare. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale Romain si arruola: i tedeschi sono arrivati a Parigi. Romain diventa pilota d’aviazione. Durante un volo, il suo aereo viene colpito e va in fiamme


ma lui riesce a salvarsi. Nina va a trovare il figlio in ospedale. Guarito, Romain si reca nel 1940 a Londra dove si unisce al Generale De Gaulle e all’organizzazione Francia libera. Ferito, è costretto a fuggire in Africa dove scrive il romanzo Educazione europea. In Libia Romain viene colpito da febbre tifoide. Mentre sta male, Nina appare al suo fianco per spronarlo a tornare a combattere per salvare la Francia. Passano tre anni prima del suo ritorno. Nel frattempo, Nina continua a scrivergli due lettere a settimana. Nel 1943 torna a Hartford Bridge, la base da cui i bombardieri delle forze francesi libere sorvolavano la costa della Normandia, per combattere fino alla fine della guerra. Quando finalmente nel 1945 riesce a tornare in Svizzera, a Ginevra, per comunicare alla mamma che ha ottenuto la pubblicazione del suo romanzo Educazione europea, trova la porta chiusa: viene informato che sua mamma è morta da circa tre anni. Le sue lettere gli erano continuate ad arrivare anche dopo la sua scomparsa perché la donna le aveva preventivamente scritte e poi fatte recapitare da un’amica. La mamma aveva così continuato a infondergli forza e coraggio. Si torna al presente del racconto: la promessa fatta alla madre era stata mantenuta. Romain Gary diventerà un celebre scrittore e il romanzo La promessa dell’alba fu pubblicato nel 1960.

“A nessuno dovrebbe essere concesso di amare qualcuno così tanto, neanche la propria madre”, questa frase pronunciata dallo scrittore Romain Gary in uno dei momenti più intensi de La promessa dell’alba la dice lunga su un rapporto d’amore unico e indissolubile. Le parole dello scrittore che chiudono il film sono rivelatorie: “Non è bene essere tanto amati, così giovani, così presto. Ci vengono delle cattive abitudini. Si crede che ci sia dovuto. Si crede che un amore simile esista anche altrove e che si possa ritrovare.... Con l’amore materno la vita ci fa all’alba una promessa che non manterrà mai”. La promessa dell’alba, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico dello scrittore francese, parla di questo: un amore forte, travolgente, assoluto, incondizionato tra una madre e un figlio. La storia di una coppia profondamente legata: Nina e Romain. Il loro legame si basa su una duplice promessa: Nina promette al figlio di amarlo e sostenerlo per sempre, in cambio Romain le promette che avrà successo e che diventerà famoso. Un figlio che si batte affinché il sogno della madre si realizzi, vendicandosi anche di tutte le ingiustizie che lei aveva subito. Come ha dichiarato il regista Eric Barbier, in Romain è presente il forte desiderio di far conoscere al mondo come era veramente la madre. La ragione per cui scrive il romanzo La promessa dell’alba è sostanzialmente restituire a sua madre il suo posto nel mondo. E il fatto che lei morirà prima che lui riesca a mantenere la sua promessa lo farà precipitare nella malinconia. Nina non verrà mai a conoscenza del fatto che il figlio sia diventato uno degli scrittori più noti del ventesimo secolo, che abbia avuto la nomina a Console, che sia ricco e che abbia successo con le donne.

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Romain Gary avrà tutto quello che la madre voleva per lui e riuscirà a diventare il personaggio che lei stessa aveva inventato. La promessa dell’alba è un po’ la storia di una possessione: nel suo romanzo Gary ha descritto sua madre come un personaggio eroico e che merita un posto nella storia (Newsweek lo ha definito “uno dei più straordinari tributi scritti da un uomo a sua madre”). Un amore in bilico fra il sublime e il terribile. Un sentimento illimitato ma alimentato da feroci richieste. Romain non è libero e non ha spazio per scegliere: è la madre che gestisce tutta la sua vita ricordandogli che tre sono le cose per cui vale la pena combattere: le donne, l’onore, la Francia. La figura di Nina è per molti aspetti dominante nel film, il regista lo ha definito “un personaggio fuori dalle regole, a tratti al limite del mostruoso e dell’inquietante, a tratti divertente e commovente”. Il film è diviso in due parti: una prima più intima, nonostante i cambi di location, e una seconda, quella che comprende le sequenze di guerra, degna del grande cinema d’azione. In questa cornice, si svolge un dramma familiare che è anche la storia universalmente valida di un percorso di iniziazione: un ragazzo che diventa uomo conformandosi ai desideri della madre. Secondo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Gary dopo quello diretto da Jules Dassin del 1970 con Melina Mercouri, La promessa dell’alba è un’epopea tragica che passa attraverso una serie di epoche e luoghi: dalla Polonia che sarebbe poi diventata Lituania, alla Francia della Costa Azzurra e di Parigi, fino alla Londra attaccata dalle bombe tedesche, all’Africa e al Messico degli anni Cinquanta. Romain e sua madre Nina parlavano francese già in Polonia perché sognavano una vita diversa.

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Eric Barbier costruisce una narrazione epica e avventurosa per 132 minuti che scorrono tutti d’un fiato, tra drammi e siparietti pieni di ironia, restituendo un vivido ritratto di una parte di vita di uno degli scrittori più apprezzati della letteratura francese del ventesimo secolo: “un commediante, un giocatore, un avventuriero e un seduttore”, come è stato definito. Un uomo e un artista

doppio, triplo, plurimo, romantico ed enigmatico, scrittore capace di celarsi sotto diversi pseudonimi. Le interpretazioni di Pierre Niney nei panni di Romain e di Charlotte Gainsbourg valgono da sole la visione del film. Il primo perfetto nel restituire la vitalità, il talento ma anche le sofferenze di un giovane uomo la cui vita fu condizionata dal rapporto con una

madre al limite del morboso, la seconda (molto credibile nel suo accento polacco) capace di offrire una delle migliori prove della sua carriera nei panni di una donna caparbia e tenace, una madre capace di costruire per suo figlio un sogno più forte di qualsiasi ostacolo o avversità, più forte della vita stessa. Elena Bartoni

di Kristoffer Nyholm

THE VANISHING – IL MISTERO DEL FARO

Origine: Gran Bretagna, 2018

Thomas, James e Donald prendono servizio per sei settimane come guardiani del faro della remota isola scozzese di Eilean Mòr; Donald, il più giovane dei tre, appare immediatamente inesperto rispetto ai suoi colleghi, soprattutto a Thomas, il più anziano (ancora turbato dalla morte della moglie e delle figlie), che svolge questo lavoro da ben venticinque anni. In seguito a una tempesta, i tre si accorgono del corpo di un uomo rimasto intrappolato tra gli scogli, giunto con una piccola scialuppa trasportante un baule misterioso; su ordine di Thomas, Donald si cala nella scogliera e, dopo aver raccolto la cassa, viene aggredito dal misterioso individuo che, risvegliatosi, tenta di annegarlo, costringendo il ragazzo a ucciderlo con una pietra. Donald è in stato di shock per quanto accaduto, mentre Thomas lo invita a dimenticare il tutto e cerca di riparare la radio, guasta a causa della tempesta, per denunciare l’aggressione; il ragazzo ha paura che possano arrivare altri uomini e vuole scoprire il contenuto della cassa. Sebbene inizialmente contrario, Thomas apre il baule, al cui interno vi sono dei lingotti d’oro; James e Donald vorrebbero fuggire con

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il bottino, ma Thomas evidenzia che un loro arricchimento immediato non farebbe altro che generare sospetti, per cui propone di sbarazzarsi del cadavere, rubare i lingotti e nel tempo venderli a dei compratori a Edimburgo ma, nel frattempo, continuare il loro lavoro. I protagonisti, dopo aver scorto una barca all’orizzonte dirigersi verso l’isola, nascondono il cadavere e il baule nella cappella accanto al faro. Sull’isola sbarcano Locke e Boor, due loschi individui alla ricerca del membro del loro equipaggio; per non destare sospetti, Thomas afferma di aver trovato il cadavere del loro amico e la cassa, ma di aver denunciato l’incidente e spedito il corpo e il baule sulla terraferma, come da protocollo. Sebbene i due si allontanino dall’isola, più tardi tornano indietro, non credendo alla loro versione dei fatti. Locke e Boor catturano Thomas e Donald e li aggrediscono per scoprire dove sia l’uomo e il bottino ma, grazie all’intervento di James, i protagonisti riescono a ucciderli; Thomas inizia a credere che i due abbiano comunicato ad altri quanto accaduto e infatti Donald si accorge che qualcuno li sta spiando. James insegue il misterioso uomo e lo uccide con un arpione, per poi accorgersi che si tratta soltanto di un bambino. 15

Produzione: Gerard Butler, Andy Evans, Maurice Fadida, Sean Marley, Jason Seagraves, Ade Shannon, Alan Siegel per Mad As Birds, Cross Creek Pictures, G-Base, in Associazione con Head Gear Films Metrol Technology Regia: Kristoffer Nyholm Soggetto e Sceneggiatura: Celyn Jones, Joe Bone Interpreti: Gerard Butler (James), Peter Mullan (Thomas), Connor Swindells (Donald), Ólafur Darri Ólafsson (Boor), Gary Lewis (Kenny), Søren Malling (Locke), Ken Drury (Duncan), Emma King (Mary) Durata: 101’ Distribuzione: Notorious Pictures Uscita: 28 febbraio 2019 – V.M.: 14

Il giorno dopo, i tre si liberano dei cadaveri, gettandoli in mare aperto. James, in preda allo shock, non riesce ad accettare di aver assassinato un ragazzino e, nel suo delirio, dà la colpa a Donald per aver ucciso il misterioso uomo, dando inizio a questa tragedia, e


accusa Thomas di non aver fatto nulla per salvare sua moglie, della cui malattia erano tutti sospettosi da tempo. Nel frattempo, Donald propone a Thomas di abbandonare James e fuggire dall’isola con l’oro, suggerimento che il capo rifiuta. Una sera, James sembra tornato in sé ma, improvvisamente, rinchiude Thomas nella dispensa e strangola Donald. Prima di andare via, nella cappella Thomas confessa di aver perso l’amore per la sua defunta moglie, colpevolizzandola per la morte delle loro figlie. L’uomo si allontana con James dall’isola e getta il corpo di Donald in mare; preda dei sensi di colpa, James non ha il coraggio di tornare dalla famiglia ora che si è macchiato di due omicidi, per cui si getta in acqua e si lascia annegare da Thomas, che rimane solo in mezzo al mare. Il primo lungometraggio di Kristoffer Nyholm si basa su un inspiegabile fatto di cronaca avvenuto nel 1900 inerente alla misteriosa scomparsa di tre guardiani di un faro scozzese, divenuta ormai una leggenda, data la sua irrisolutezza. La didascalia iniziale, tesa a mettere a conoscenza

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lo spettatore della vicenda, offre immediatamente un alone di enigmaticità e inquietudine che si adatta al clima di sospensione che la regia e la sceneggiatura restituiscono in maniera notevole, allontanandosi da declinazioni soprannaturali della leggenda, evitando ricadute nella classica ghost story (genere da cui il regista non è avulso, si pensi alla miniserie The Enfield Haunting da lui diretta, basata sul reale caso del poltergeist di Enfield che ha ispirato James Wan per il secondo capitolo dell’ormai celebre saga di The Conjuring), o in un thriller articolato su un tradizionale gioco del gatto col topo in un ambiente circoscritto e isolato. Il film favorisce una dimensione psicologica che accentua l’isolamento e lo stato di alienazione dei personaggi, allontanandosi da un action thriller, ipotizzabile in seguito alla scoperta del baule, all’arrivo dei due pirati e alla presenza di Gerard Butler, volto noto del cinema action americano. La dipartita piuttosto fugace di Locke e Boor assume un duplice ruolo all’interno dello sviluppo diegetico: se da una parte accentua la suspense, dal momento che ci si aspetta l’arrivo improvviso di altri

di Gjorce Stavreski

pirati, dall’altra destabilizza uno spettatore che, data per assodata la scomparsa dei tre protagonisti, ha ritenuto per buona parte del film i due criminali la causa della loro morte. Il clima di isolamento e la deriva annientatrice dei deliri postraumatici dei personaggi, soprattutto di James, sono sostenuti da una messinscena che favorisce una preponderanza del paesaggio roccioso dell’isola, caratterizzato da una fotografia plumbea e glaciale (si pensi al cielo costantemente grigiastro), che dipinge una natura minacciosa e sublime, emblematicamente espressa dal mare in tempesta, capace di restituire lo stato d’animo dei personaggi quasi a modello del cinema di Victor Sjöström (si pensi al mare tempestoso di C’era un uomo). Quello che inizialmente appare come un mistery incentrato su una storia di fantasmi o di pirateria, si tramuta in un inquietante dramma che rende i protagonisti i veri antagonisti di se stessi, costretti a confrontarsi non solo con l’esterno bensì con gli orrori della propria interiorità. Leonardo Magnante

L’INGREDIENTE SEGRETO

Origine: Macedonia, Grecia, 2017 Produzione: Fragment Film, Coprodotto Graal S.A. Regia: Gjorce Stavreski Soggetto e Sceneggiatura: Gjorce Stavreski Interpreti: Blagoj Veselinov (Vele), Anastas Tanovski (Sazdo), Aksel Mehmet (Dzhem), Aleksandar Mikic (Mrsni), Miroslav Petkovic (Koki), Dime Iliev (Tode), Simona Dimkovska (Jana) Durata: 104’ Distribuzione: Lab 80 Film Uscita: 21 febbraio 2019

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Skopye, Macedonia. In un paese devastato dalla crisi economica, Vele, a cau-

sa di un ritardo di quattro mesi sullo stipendio, non ha i soldi sufficienti per comprare le medicine per suo padre Sazdo, malato terminale di cancro ai polmoni, tanto da informarsi in merito a delle cure omeopatiche più economiche per lenire il dolore. Vele lavora come operaio in un deposito ferroviario. Un giorno il ragazzo scopre un sacchetto di droga all’interno di un vagone e lo ruba. La sera, inizia a spacciare per guadagnarsi i soldi per le 16

medicine, sebbene in farmacia gli comunichino che i prezzi sono aumentati, il che impedisce a Vele di completare l’acquisto. Disperato, il protagonista trova online la ricetta di una torta a base di marijuana da preparare per il padre come ultima speranza per alleviare i suoi dolori, convincendolo a mangiarla spacciandola per un rimedio datogli da un guaritore. Sazdo vive ancora il senso di colpa per l’incidente stradale,

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avvenuto anni prima tornando dal campeggio, in cui rimasero uccisi sua moglie e suo figlio Riki; al contempo, Vele, a causa della decisione di lasciare l’università, crede che suo padre favorisca il defunto fratello, più promettente. Il giorno dopo, Sazdo inizia a stare meglio. Nel frattempo, il capo di Vele ha assunto degli uomini per indagare sulla scomparsa del sacchetto, soprattutto dopo aver ricevuto un foglio minatorio che minaccia il personale in caso di mancata restituzione. Vele si accorge dell’arrivo di Mrsni e Koki, due malviventi coinvolti con il narcotraffico, giunti per trovare la droga ma alquanto imbranati, impegnati a discutere costantemente tra loro vista la sordità di Koki, restio nell’indossare l’apparecchio acustico. Dhzem, un collega nonché amico di Vele, prende quotidianamente in giro i due tizi, per cui il protagonista, avendo intuito la loro identità, lo invita a tacere. Vele scopre che Sazdo ha fatto assaggiare la torta al vicino Tode, guarito dai suoi reumatismi e ossessionato dalla ricetta miracolosa; nonostante i rimproveri di Vele per la mancata segretezza, Sazdo è felice di poter aiutare il suo amico. L’oncologo visita Sazdo e comunica al figlio che, inspiegabilmente, il tumore e le metastasi sono in recessione. Jana, infermiera nonché amica di Vele, confida al ragazzo di temere per la chiusura in cui si è rifugiato dopo l’incidente e per quanto il suo rapporto con Sazdo lo stia logorando, invitandolo a prendersi cura del suo dolore. Tode vuole offrire il dolce alla sua nipotina paraplegica, infuriandosi con Vele che si oppone fermamente; mentre il ragazzo è al lavoro, Sazdo e Tode cercano la ricetta e, trovatala, credono che l’ingrediente segreto, segnato semplicemente con M, sia della menta. Dzhem viene aggredito e trovato accanto a un ulteriore biglietto

minatorio; in ospedale, il ragazzo invita Vele a stare attento ai due loschi individui che, nel frattempo, hanno scoperto che il protagonista ha rubato la droga. I vicini di Vele si precipitano di fronte al suo appartamento, capitanati da Tode, richiedendo la ricetta miracolosa; tra loro è presente Koki, che ha scoperto l’indirizzo di Vele, sebbene creda di aver sbagliato, scambiandola per la casa di un guaritore. Vele fugge di nascosto con il padre per passare dei giorni insieme e, a sua insaputa, porta il genitore al campeggio, ormai abbandonato, per confrontarsi una volta per tutte con la tragedia vissuta, gesto che manda Sazdo su tutte le furie. I due vengono seguiti da Koki e Mrsni che li aggrediscono per farli confessare. Vele mostra loro la torta e racconta la storia; nonostante le titubanze iniziali, Mrsni capisce che egli è il guaritore di cui tutti, compresa sua madre (presente nella calca di fronte all’appartamento), stanno parlando. In cambio della vita, Vele dà la ricetta a Mrsni, che prende un pezzo di torta anche per la sordità di Koki. Nonostante i rimproveri del padre, timoroso di poter sviluppare delle forme di dipendenza, i due rimangono in campeggio per recuperare il loro rapporto. Gjorce Stavreski scrive e dirige una black comedy che fonde intelligentemente un’ironia pungente, mai grossolana nonostante le sue trovate grottesche e macchiettistiche (si pensi ai litigi tra i due gangster), a un’amarezza che aleggia sulla realtà dei personaggi sin dall’inizio, inerente a un contesto sociale ed economico abbandonato a se stesso. Le condizioni di vita macedoni sono ricalcate da una regia che favoreggia un contatto con i soggetti rispetto ad ambienti e inquadrature paesaggistiche, privilegiando sequenze in interni,

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in cui spicca la decadenza dello stile di vita dei protagonisti; Vele emerge come antieroe solitario, finalizzato a combattere contro un fato inizialmente avverso, seguito dalla macchina da presa nelle sue balade quasi in un pedinamento neorealista. La mescolanza di registri, che vanno da un realismo amaro a nuance più superstizione e miracolose, si adatta perfettamente al contesto macedone che, imprigionato in un’apatia priva di speranza, quasi afflitto da una malattia incurabile come quella di Sazdo, preferirebbe la morte piuttosto che l’accettazione di una vita misera (l’amara richiesta della vicina che, nel vedere Vele nascondere il fucile del padre, gli chiede di ucciderli e salvarli da tale miseria), cercando una possibile apertura al futuro nella magia, con atteggiamento superstizioso e al contempo pregiudiziale (l’anziano che vorrebbe la ricetta per “guarire”l’omosessualità del nipote). Il rapporto tra la malattia (fisica per Sazdo, sociale ed esistenziale per i macedoni), la recessione economica e i tentativi di Vele di salvare il proprio genitore, non rassegnandosi alla sua decadenza fisica (al contrario dei macedoni nei confronti della propria condizione), fronteggiano un’instabilità che rende la criminalità l’unica via di salvezza per il soggetto, che torna a essere capace di prendersi cura di sé e dei propri cari, in un inferno in cui l’unico fine resta la mera sopravvivenza quotidiana. Leonardo Magnante


di Enrico Lando

SCAPPO A CASA

Origine: Italia, 2019 Produzione: Paolo Guerra, Medusa Film Regia: Enrico Lando Soggetto e Sceneggiatura: Aldo Baglio Interpreti: Aldo Baglio (Michele), Angela Finocchiaro (Ursula), Jacky Ido (Mugambi), Benjamin Stender (Babelle), Lana Vlady (Agota), Rocco Barbaro (Pasquale), Dino Longo (Seidovic), Mario Pupella (Pavelic), Awa Ly (Jamilah), Belani Mapunzo (Jamba), Giovanni Esposito (Il farmacista) Durata: 92’ Distribuzione: Medusa Uscita: 21 marzo 2019

A Michele piace la bella vita: donne, motori, denaro. Meccanico di un’officina meneghina di lusso, l’uomo prende in prestito le vetture aziendali per uscire con le ragazze rimorchiate su internet e inseguire un modello di vita che non può permettersi. Egoista, superficiale e razzista, il protagonista viene inviato a Budapest per lavoro. Dopo aver fatto bisbocce con alcune ragazze, viene rapinato da dei delinquenti locali che gli sottraggono, oltre all’automobile, anche il portafoglio, il cellulare e i documenti. Michele si rivolge così alla polizia ungherese, che lo confonde per un migrante e lo spedisce in un centro d’accoglienza. Sprovvisto di documenti, nessuno sembra credere al fatto che sia italiano. Michele decide quindi di evadere. Si imbatte così in Mugambi, medico-sciamano che progetta di fuggire in Italia. Una notte, i due riescono a rubare un’auto

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della polizia e a fuggire verso la Slovenia. Durante il tragitto, Michele e Mugambi si conoscono meglio, pur diffidando sempre l’uno dell’altro. Il protagonista si introduce in una casa per rubare del cibo, ma viene scoperto dal proprietario che fa fuoco con un fucile da caccia. Colpito al gluteo, l’uomo viene curato da Mugambi grazie ad alcune erbe naturali. Il medico racconta che sua moglie lo sta attendendo in Svezia da circa un anno, dopo essere fuggita dal paese natale per via della guerra. I due si dividono. Michele chiede un passaggio a una donna, che si scopre però essere un commissario di polizia. Arrestato, si imbatte nuovamente in Mugambi, anch’egli in cella. I due riescono a fuggire ancora, ma vengono bloccati da due contadini locali che li costringono a lavorare nella loro azienda agricola per pochi euro. Fanno così la conoscenza della splendida Babelle, di cui Michele si infatua immediatamente. I tre individuano un furgone abbandonato all’interno dell’azienda agricola e programmano la fuga. Michele ripara il mezzo grazie alle sue conoscenze da meccanico. I tre fuggono così in direzione del confine italiano. Il protagonista scopre tuttavia che Mugambi aveva già progettato la fuga grazie a un’automobile con soli due posti che lo attende in un albergo vicino al confine. La mattina successiva Mugambi e Babelle fuggono, abbandonando Michele alle furie di uno dei contadini sopraggiunto sul posto. L’uomo minaccia Michele con una pistola, ma il protagonista riesce a cavarsela ancora una volta. Raggiunto l’albergo in cui si trovano Mugambi e Babelle, Michele viene avvicinato dalla donna che sem18

bra essersi pentita del tradimento. Dopo averlo baciato dolcemente, tuttavia, Babelle neutralizza Michele, ruba le chiavi della macchina e fugge per conto proprio. Il giorno successivo il protagonista sente parlare la propria lingua e scopre che in albergo si sta tenendo un ritrovo di alpini. Michele ruba una divisa e riesce finalmente a passare il confine, almeno per un attimo. Smascherato per l’ennesima volta, viene malmenato dalla polizia italiana e consegnato nuovamente alle forze dell’ordine locali. Frattanto Mugambi e Babelle, in fuga, assistono alla scena senza aiutarlo. Caricato su un cellulare, il protagonista viene portato verso l’Ungheria, nonostante tenti ancora di spiegare di essere italiano. Momentaneamente sospeso per “pausa di riflessione” il rapporto con gli amici e colleghi Giovanni (Storti) e Giacomo (Poretti), Aldo Baglio si lancia in un’avventura tanto ardita quanto strampalata, che tenta di raccontare l’attualità sulle orme dei nuovi Nuovi mostri anticipati dalla comicità di Maccio Capatonda e portati avanti, prima su Mtv e poi sul grande schermo, da I soliti idioti. Non è un caso, dunque, che la regia del primo lavoro da protagonista del comico palermitano sia stata affidata a Enrico Lando, già creatore e autore, per l’appunto, del programma televisivo (e del film) con protagonisti Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, nel quale si rideva della bruttura e della mostruosità degli italiani. Aldo Baglio - presente anche in sceneggiatura assieme a Valerio Bariletti e Morgan Bertacca, stori-

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ci autori del Trio - mette la propria comicità e fisicità al servizio del film, interpretando Michele, ovvero la peggiore espressione di certo italiano bugiardo e superficiale, erotomane e corruttibile, il cui parrucchino e la cui vettura sottratta di nascosto all’azienda per abbordare ragazze facili, celano complessi sociali e personali, inadeguatezze fisiche ed eterne menzogne. Scambiato per un migrante dalla polizia ungherese, Michele passerà dal lato dei più deboli, comprendendo, per la prima volta, cosa significa essere ultimi. Similmente a Contromano di Antonio Albanese, il quinto lungometraggio di Enrico Lando insegue l’attualità, tentando di fotografare il complesso fenomeno dell’immigrazione e giocando sui rovesci e

sugli equivoci. Michele, costretto dagli eventi a stringere improbabili alleanze con altri migranti in fuga - gli attori francesi Fatou N’Diaye e Jacky Ido nei ruoli di Babelle e Mugambi - finirà per scoprire lati di se stesso che non sapeva neppure di possedere. Scappo a casa dà il meglio quando si affida al volto e all’esperienza comica di Baglio, che cadenza con naturalezza le varie situazioni che si susseguono, su tutte quelle di scambio con l’amico-nemico Mugambi. È in queste sequenze che emergono più forti le contraddizioni del protagonista e il conflitto interiore tra ciò che era prima di questa esperienza e ciò che sarà poi, riuscendo ad andare oltre i cliché del road-movie stravagante a tinte politico-sociali. Più in gene-

rale, invece, il film zoppica sul piano drammaturgico, vittima delle eccessive svolte narrative e della trama arzigogolata, prigioniera degli innumerevoli “colpi di scena” e di un finale che non sembra neppure un finale. Baglio dimostra a ogni modo di sapersi muovere anche da solista, poggiandosi di volta in volta sulle efficaci spalle dei colleghi - tra gli altri, si segnala la partecipazione di Angela Finocchiaro - e regalando momenti di piacevole comicità. Per il resto, nulla di nuovo. Prodotto da Paolo Guerra per Agidi Due, girato tra Milano e Budapest e distribuito da Medusa, Scappo a casa è uscito nelle sale italiane nel marzo 2019. Giorgio Federico Mosco

di Philippe de Chauveron

NON SPOSATE LE MIE FIGLIE 2

Origine: Italia, 2018

Claude e Marie Verneuil, ricca famiglia conservatrice e nazionalista francese, hanno accettato i matrimoni multietnici delle quattro figlie e sono in procinto di far visita alle famiglie dei generi; tornati, si mostrano piuttosto delusi dai paesi visitati, valorizzando la loro terra. In pensione, Claude scrive un’autobiografia su un poeta del Pireneismo e Marie si dedica al Nordic Walking. I generi comprendono che la Francia non ha più nulla da offrire loro: David vuole tornare in Israele per investimenti più strategici, idea accettata dalla moglie Odile, desiderosa di convertirsi all’ebraismo; Rachid è stanco di seguire casi di donne col burqa in quanto magrebino, per cui propone a Isabelle, anch’essa avvocato, di andare in Algeria, dove potrebbe aiutare nella rivoluzione per i diritti femminili; Chao, terro-

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rizzato dalle ondate di razzismo asiatico, vuole trovare lavoro in una banca a Pechino, sostenuto da Ségolène, che crede che i suoi dipinti lugubri possano riscuotere più successo in Cina; Charles accetta di recarsi in India, dove è stato offerto un posto di lavoro a Laure, desideroso di sfondare a Bollywood. Le sorelle comunicano ai genitori la decisione di partire, destabilizzandoli. Viviane, la sorella di Charles, decide di sposarsi con la sua compagna Nicole, residente a Parigi, ma non sa come fare outing con la sua famiglia e soprattutto con il rigido padre André, ancora adirato per il matrimonio del figlio con una donna bianca; il matrimonio si svolgerà in Francia e il ricevimento a casa dei Verneuil. In occasione del parto di Laure, Viviane e la famiglia si dirigono a Parigi e Charles tenta di convincere la sorella a non sposarsi per non devastare ulteriormente André. 19

Produzione: Les Films Du 24 Regia: Philippe de Chauveron Soggetto e Sceneggiatura: Guy Laurent, Philippe de Chauveron Interpreti: Christian Clavier (Claude Verneuil), Chantal Lauby (Marie Verneuil), Ary Abittan(David Benichou), Medi Sadoun (Rachid Benassem), Frédéric Chau (Chao Ling), Noom Diawara (Charles Koffi), Frédérique Bel (Isabelle Verneuil), Julia Piaton (Odile Verneuil), Émilie Caen (Ségolène Verneuil), Élodie Fontan (Laure Verneuil), Pascal Nzonzi, Salimata Kamate, Tatiana Rojo, Claudia Tagbo Durata: 99’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 7 marzo 2019

Marie e Claude architettano un piano per non far partire i generi, organizzando per loro un weekend nella periferia francese, nella valorizzazione delle sue meraviglie. Pagando ingenti somme di denaro, i coniugi sistemano le situazioni economiche dei ragazzi: Claude investe sul frigo-piastra portatile di David e gli trova un posto in fabbrica, dopo aver pagato un uomo


Sequel dell’omonima commedia francese del 2014, il film non delude le aspettative di un pubblico desideroso di confrontarsi nuovamente con la serie di equivoci e imprevisti della famiglia Verneuil, ripresentando alcune situazioni tipiche del primo capitolo, dalle continue tensioni tra l’ebreo David e il magrebino Rachid, oppure l’odio reciproco tra Claude e André. Quella che potrebbe apparire una semplice commedia di intrattenimento, in realtà fa emergere un’ambigua rappresentazione della Francia, veicolata attraverso uno sguardo altamente nazionalistico, ridondante sin dall’inizio (l’attaccamento ossessivo alla propria terra) e intensificato in un finale in cui il benessere francese viene costruito artificialmente attraverso un’immagine falsata e manipolatoria. La prima parte appare piuttosto efficace nel delineare il clima contraddittorio e teso che i personaggi sono costretti a vivere, nel contatto quotidiano ed esperienziale con il proprio territorio, in particolar modo i generi Verneuil che si percepiscono come degli esclusi e vittime di stigmatizzazioni e stereotipi tatuati in maniera indelebile sulla loro identità sociale; emerge un clima di tensione costante, ma rappresentato in maniera ludica attraverso i codici della commedia, inerente a problematiche contemporanee come l’immigrazione (la copertina de Le Figaro letto da Claude) o al clima di terrore conseguente agli omonimi attentati

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per demoralizzarlo in merito alle condizioni di Israele, valorizzando lo stile di vita francese; dopo una visita a un vigneto, Rachid decide di difendere le cause delle cantine locali, sottomesse al peso della globalizzazione; raccomandatosi con il capo della banca in cui lavorava, Claude trova un posto a Chao, a cui vengono esposte in maniera falsata le condizioni bancarie della Cina, Paese in cui non può rientrare per un Photoshop creato da Marie che lo implica in un corteo tibetano, spacciandolo per un nemico di Stato; Charles viene scelto per interpretare Otello in seguito al pagamento di una regista teatrale. Sebbene gli uomini scoprano il piano dei suoceri, accettano di rimanere. Scoperta l’identità di Nicole, André ha un malessere e decide di non partecipare al matrimonio, fingendo di stare sempre peggio; nonostante le divergenze, Claude convince l’odiato consuocero a prendere parte alla cerimonia. Tre mesi dopo, Claude pubblica il suo libro, dedicandolo ai suoi generi, felice per essere riuscito a tenere unita la sua famiglia.

di Francesco Invernizzi, Vito Salinaro

(l’ossessione di Claude per Arash, rifugiato arabo ospitato da Marie, ritenuto un kamikaze dell’Isis). Se inizialmente l’immagine della Francia si delinea attraverso le difficoltà vissute quotidianamente dai personaggi, il piano architettato da Claude e Marie per tenerli ancorati alla loro nazione (specchio della famiglia Verneuil, esplicitato da Claude che si descrive simbioticamente come un tutt’uno con la Francia) fa emergere uno sguardo radicalmente nazionalistico, pronto a falsare l’immagine degli altri paesi (gli uomini pagati per svalutare le condizioni di vita all’estero) a vantaggio del proprio territorio, valorizzato subdolamente attraverso la corruzione; la sceneggiatura appare piuttosto furba nel presentare una risoluzione edulcorata, in cui le figlie risultano liete di rimanere, malgrado un intero film incentrato sul loro desiderio di partire nonostante i timori. La valorizzazione della propria nazione è appannaggio solo di chi ha il capitale necessario per costruirne un’immagine falsata, attraverso strategie accettate in maniera fin troppo rassicurante (i generi consapevoli del piano dei suoceri); il film non descrive un’evoluzione dei personaggi che, messi a confronto con le difficoltà del proprio Paese, adottano strategie per risolverle, ma li colloca sugli allori della benestante condizione economica della loro famiglia, nel sostentamento e valorizzazione di una bugia ipocrita e altamente patriottica.

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MATHERA - L’ASCOLTO DEI SASSI

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Origine: Italia, 2018 Produzione: Magnitudo Film Regia: Francesco Invernizzi, Vito Salinaro Soggetto e Sceneggiatura: Vito Salinaro, Elena Baucke, Stefano Paolo Giussani Durata: 90’ Distribuzione: Magnitudo Film con Chili Uscita: 21 gennaio 2019

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Matera ha ottomila anni. Condivide con Aleppo e Gerico una lontananza nel tempo che l’ha resa unica ai nostri occhi e a quelli dell’UNESCO che l’ha dichiarata capitale della cultura dal 19 Gennaio 2019. 20

È proprio Pietro Laureano, esperto UNESCO per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo, ad accoglierci nel suo studio e a illustrarci la storia di una città e della sua cultura che

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affonda le radici nel Paleolitico e dell’esempio che può oggi costituire per tutte le zone difficili del mondo. I tempi in cui Togliatti e De Gasperi (erano i primi anni ’50) giudicarono “una vergogna nazionale” la situazione di vita nelle grotte di esseri umani e animali insieme, sono ormai lontani: è lo stesso sindaco, Raffaello De Ruggieri, a farci lasciare quei commenti terribili per percorrere con lui una strada d’arte e cultura fin dal suo ritrovamento giovanile della Cripta del Peccato Originale, una sontuosa ed emozionante parata d’affreschi scoperta tra i cunicoli delle cave rupestri. Altri personaggi si affiancano ai primi due: l’architetto Acito, figlio di genitori di Matera e che, una volta laureato a Firenze, è tornato ad abitarvi per dimostrare che i sassi non erano una vergogna ma qualcosa di unico, da valorizzare. E ancora l’Arcivescovo, il panettiere, la guida turistica, i muratori, tutti contribuiscono con i loro ricordi, le loro considerazioni a comporre la magia di un quadro paesistico unico al mondo. Il cartapestaio Raffaele si unisce alla magia con un tocco di mistero perché è lui, insieme alla sorella, a preparare il carro della Festa della Bruna; la processione della Madonna della Bruna, protettrice della città, accomuna il rito religioso alle primordiali e istintuali inclinazioni dell’uomo: il carro con le immagini rituali è assalito e distrutto alla fine del suo percorso in un vero e proprio sacrificio cannibalico che strazia e purifica l’uomo

d’oggi al termine di un prodigio millenario. Magnitudo Film, la casa cinematografica fondata nel 2011 da Francesco Invernizzi e Aline Bardella e Chili, l’azienda europea che opera nell’ambito dell’entertainment, hanno realizzato, dopo Bernini e Dinosaurus il terzo appuntamento d’arte consolidando ancora di più il loro impegno di divulgazione culturale in Italia e nel mondo. L’interesse per quest’ultimo lavoro è stato subito grande: settantaquattro Paesi hanno dimostrato la loro adesione a questa proiezione in 8K, una composizione tecnologica d’altissima qualità che non sarà doppiata per mantenere intatto il fascino e il mistero di un sito unico al mondo. È bene aggiungere, con grande soddisfazione, che Mathera è stato presentato negli Stati Uniti, una settimana prima degli Oscar, nell’ambito dell’omaggio agli ottant’anni di Francis Ford Coppola, la cui famiglia ha origine, appunto, nella provincia di Matera. Francesco Invernizzi, regista del film, ha scelto una strada ben precisa per il suo racconto d’arte: ha evitato ogni possibile accostamento a immagini “cinematografiche” in senso stretto, come potevano essere date dalla Passione di Cristo di Gibson e dal lontano Vangelo di Pasolini, entrambi girati nel mondo contadino lucano. Quello che ha interessato Invernizzi è stato far riaffiorare le voci e i sassi dei luoghi,

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rievocare la vita degli abitanti della roccia, riportare alla luce le antiche tradizioni sepolte nel tempo e convertire il tutto in un unicum verso il futuro, cosa che sembrava davvero impossibile. Per fare questo Invernizzi si è affidato alle storie raccontate direttamente dalla gente, alle antiche facce delle persone confuse con quelle dell’oggi, a feste, ricordi, sassi, polvere, aridità, cunicoli, scavi, caverne, grotte, misteri e affreschi senza tempo. Particolarmente straziante e coinvolgente la distruzione del carro professionale della Madonna della Bruna. Un racconto che affonda nella notte dei tempi e che ripropone gli stessi misteri connessi alle origini della cultura “moderna”: il culto di Dioniso, il sacrificio del capro, il dialogo con il sacerdote intermediario del dio, la prima definizione dell’attore, la recitazione come virtù salvifica della sofferenza umana. Tutto questo abbiamo visto nel lavoro di Invernizzi, una composizione filmica di alto livello, di spessore umano, sensibilità e ampio sguardo nel passato e nel futuro. Fabrizio Moresco

di Ben Stassen

REX – UN CUCCIOLO A PALAZZO Origine: Belgio, 2019

Alla corte di Buckingham Palace è entrato a far parte della famiglia reale un altro cucciolo di gorgi, la razza preferita dalla regina Elisabetta II. Il suo nome è Rex, ha la

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pancia morbida e un musetto irresistibile. Sin da subito entra nelle grazie della regina, diventando il suo preferito e provocando gelosie nel resto del gruppo di gorgi, già facente parte della famiglia reale: Nelson, Charlie e Margareth. 21

Produzione: Ben Stassen per Belga Productions, Coprodotto da Nwave Studios Regia: Ben Stassen Soggetto e Sceneggiatura: Rob Sprackling, John R. Smith Durata: 92’ Distribuzione: Eagle Pictures Uscita: 14 febbraio 2019


Con il passare del tempo Rex diventa un cucciolo indisciplinato e terribilmente viziato, soprattutto dalla regina la quale non nasconde la sua predilezione. Tant’è che lo nomina suo preferito e ordina gadget aventi la sua immagine. Durante l’incontro diplomatico a Buckingham Palace con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Rex fa la conoscenza di Mitzy la cagnolina gorgi della famiglia presidenziale. Durante la cena, il presidente Trump e la Regina decidono di far rimanere da soli Mitzy e Rex affinché i due si conoscano meglio. Rex, anche se consapevole dei compiti ai quali deve adempiere il prediletto dalla regina, è contrariato e fa di tutto per divincolarsi dalla grinfie della gorgi Mitzy. Infatti durante una fuga rocambolesca, Rex provoca un piccolo incidente diplomatico che manda all’aria la cena e la sua futura unione con Mitzy. La famiglia presidenziale, offesa, lascia il palazzo reale e annulla la visita. Rex viene messo in punizione dalla regina e questo provoca in lui un terribile sconforto che lo porta a pensare che la cosa migliore da fare sia andarsene. Charlie, essendo suo amico, decide di aiutarlo a uscire da palazzo. Ma qualcosa non va per il verso giusto: Charlie gli tende una trappola buttandolo giù dal ponte e lasciandolo annegare nelle acque ghiacciate del Tamigi. Charlie torna a palazzo e inscena la morte del piccolo Rex mentre quest’ultimo, ancora privo di

conoscenza, viene salvato e portato in canile. Al suo risveglio Rex si trova in cella insieme ad alcuni cani randagi rinchiusi lì come lui. Durante il soggiorno in canile, Rex, inizia a fare amicizia con la maggior parte dei cani lì presenti e si invaghisce anche di Wanda una cagnolina randagia dal portamento elegante e le orecchie lunghe. Wanda però è la fidanzata di Tyson, un pitbull terrier sottratto alle lotte clandestine, che nel canile la fa da padrone bullizzando tutti facendo leva sul suo aspetto e sulla sua forza. Venuto a conoscenza delle avances che Rex fa a Wanda e sentitosi minacciato, Tyson lo invita a combattere. Intanto a Buckingham Palace dopo il finto funerale di Rex, Charlie ottiene quello che ha sempre desiderato: diventare il preferito della regina. Dopo una lunga preparazione, grazie anche ai suoi amici, per Rex è arrivato il giorno dell’incontro con Tyson, incontro che però fortunatamente finisce con l’arrivo dei guardiani del canile che ordinano ai cani di rientrare nelle celle. Tyson non ci sta e promette a Rex che non riuscirà a passarla così liscia. Dopo le minacce di Tyson, Rex e Wanda devono trovare il modo per uscire. Ma accade che il giorno delle visite Rex viene scelto da una bambina e portato fuori dal canile. Rex, però, riesce a fuggire e torna nel canile dove ha uno scontro con Tyson ma grazie alla solidarietà dei suoi amici, Rex riesce ad avere la meglio. Rex e Wanda riescono a fuggire e il loro obiettivo è giungere a palazzo e risolvere il conto in sospeso con Charlie. Per questi entrare a palazzo sembra quasi impossibile e amareggiato getta la spugna. Wanda ha un’idea e chiama in aiuto il resto della banda che senza esitare vanno in soccorso del piccolo Rex. A Palazzo è il giorno dell’incoronazione di Charlie come il cucciolo preferito di corte, ma qualcosa va storto perché 22

Rex e Wanda riescono ad entrare a palazzo, smascherano Charlie e mandano a monte l’incoronazione. Rex e la regina finalmente sono di nuovo insieme ma resta di Charlie il posto da preferito, visto che l’unica cosa che Rex desidera è rimanere a corte insieme ai suoi nuovi amici che la regina accoglie senza esitazione. Charlie ha avuto quello che ha sempre desiderato dimenticando però che tra i compiti del preferito c’è anche quello del matrimonio combinato. Rex - Un cucciolo a palazzo è un cartone animato belga che si intrufola tra i corridoi lussuosi di Buckingham Palace e indaga sulla vita dei piccoli amici pelosi della Regina Elisabetta II, i gorgi. Un film che punta sulla dolcezza di una razza canina considerata una tra le più tenere e simpatiche. Una razza giocherellona e irriverente che Rex, il protagonista, rappresenta con fierezza nel racconto divertente, con piccole pillole di avventure rocambolesche. Una storia sceneggiata a quattro mani da Jhon R. Smith e Rob Sprackling, che ripropone il tema dell’amicizia senza allontanarsi troppo dalle classiche sceneggiature che hanno l’amicizia come tema principale. La pellicola punta molto sulla qualità grafica dei disegni, infatti sia la Regina Elisabetta II, sia il principe Filippo e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump sono riportati graficamente in modo molto riuscito. Peccato che la pellicola non racconti nulla di nuovo, tra tematiche trite e ritrite e una sceneggiatura che non sa bene bilanciare l’aspetto fanciullesco e quello che, secondo gli autori, dovrebbe far presa anche su un pubblico più adulto. Una disgiunzione che si nota subito con il siparietto tra Trump, che nella pellicola è fortemente caricaturale, e la regina. Un siparietto che fa capire sin

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da subito in quale direzione voglia andare l’aspetto ironico della pellicola, purtroppo lontano dalla comprensione dei più piccoli e che quindi indebolisce il cartone animato, proprio lì dove avrebbe potuto puntare di più. Anche il tema dell’amicizia, fulcro della pellicola, è trattato senza

alcuna intuizione brillante, procedendo nella maniera più classica possibile. L’incontro e l’amore tra Rex e Wanda strizzano l’occhio a un classico della Disney, Lilli e il Vagabondo. Siamo però lontani da quelle sequenze canine che tuttora ci appassionano come l’indimenticabile scena della cena a lume di

candela che si conclude con il “bacio degli spaghetti”. Rex - Un cucciolo a palazzo nel complesso è un film che diverte e che nel suo racconto tocca temi importanti senza però mai andare in profondità. Flora Naso

di Valerio Mastandrea

RIDE Nettuno, oggi. Madre e figlio fanno colazione. Sembra una mattina qualunque, ma non lo è. Sono infatti passate poche ore dalla morte di Mauro: padre, marito e operaio trentacinquenne nella fabbrica locale in cui ha perso la vita. Frattanto, Cesare, padre di Mauro, anch’egli ex operaio, prepara il pranzo assieme a due amici. I compagni cercano di fargli forza nel lutto. Carolina, questo il nome della protagonista, resta a casa sola. La donna non si capacita di non riuscire a piangere per la morte del marito. Tenta quindi di ascoltare una canzone a cui è affezionata e si siede sul divano fazzoletti alla mano, ma niente. Nessun effetto. Nel frattempo il piccolo Bruno, figlio della vittima, si prepara ad affrontare le domande dei giornalisti che saranno presenti al funerale. La notizia della morte del padre è infatti rimbalzata su tutti i telegiornali. Aiutato da un giovane amico, Bruno si allena a rispondere alle domande di rito con l’intento di fare colpo su una compagna di classe. Grazie alle interviste diventerà famoso e quindi più appetibile. Lo stacco porta al campanello di casa che introduce l’arrivo di una visita inaspettata. È la prima fidanzata di Mauro che, visibilmente scossa, abbraccia Carolina con forza. La protagonista osserva con invidia le lacrime sincere della donna. Poco dopo è la volta di una coppia di amici di Mauro

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e Carolina. I due raccontano alla donna che hanno deciso di lasciarsi a seguito del tradimento di lui. Ciononostante sono lì per l’affetto e il dispiacere nei riguardi dell’uomo defunto. Carolina sembra vivere il tutto con incolpevole distacco, come fosse spettatrice e non protagonista di quanto sta accadendo. La terza visita è quella della vicina di casa, una donna buffa ed elegante, che costringe la giovane vedova a subire una sessione di trucco. “Non devi dimenticarti di essere una donna. Domani, durante il funerale, dovrai essere la più bella e la più forte”. Queste le sue parole, prima di abbandonare la casa e fratturarsi il femore per via di una caduta. Carolina accoglie l’ambulanza e scopre che uno degli infermieri era amico di Mauro. Tornata in casa, viene sorpresa dall’arrivo improvviso del fratello della vittima. L’uomo misterioso, criminale recidivo, è in fuga da anni. I due si abbracciano a lungo. Carolina può finalmente confessare a qualcuno di non riuscire a piangere per la morte del marito. La donna spiega che, dalla morte di Mauro, nulla è cambiato nella sua vita: dorme bene, mangia con appetito, ride guardando le vecchie foto. L’uomo la ascolta senza giudicarla. Si è fatta sera. L’uomo si è ora recato dal padre. I due non si vedono da molti anni. Il fratello della vittima accusa Cesare di aver ucciso Mauro, avendolo indirettamente costretto a fare il suo stesso lavoro; un lavoro pericoloso e malpagato. 23

Origine: Italia, 2018 Produzione: Simone Isola, Paolo Bogna per Kimerafilm, con Rai Cinema Regia: Valerio Mastandrea Soggetto e Sceneggiatura: Valerio Mastandrea, Enrico Audenino Interpreti: Chiara Martegiani (Carolina), Arturo Marchetti (Bruno), Renato Carpentieri (Cesare), Stefano Dionisi (Nicola), Milena Vukotic (Ada), Mattia Stramazzi (Ciccio), Walter Toschi (Ictus), Giancarlo Porcacchia (Morbido), Silvia Gallerano (Sonia), Emanuele Bevilacqua (Aldo), Milena Mancini (Marta), Giordano De Plano (Paolo), Lino Musella (Mauro) Durata: 95’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 29 novembre 2018

L’uomo risponde che l’unico figlio che aveva è morto da qualche ora perché l’altro è “nato morto”. Il fratello della vittima perde così le staffe e gli punta contro un’arma, trascinandolo poi all’obitorio per mostrargli il cadavere di Mauro. Di fronte al corpo privo di vita dell’uomo, i due scoppiano in lacrime, poi il figlio riceve alcuni schiaffi dal padre e viene messo in fuga. Frattanto Bruno è tornato a casa e si confronta con la madre. Il giovane accusa la donna di non essere abbastanza triste per la morte


del padre. Lei prova a giustificarsi. Bruno decide quindi di inforcare la bicicletta e lanciarsi per le strade di Nettuno, strappando dalle pareti le affissioni che annunciano la morte del padre. Quando torna a casa, trova la madre in un mare di lacrime. Bruno le si avvicina con un ombrello - le lacrime sono talmente tante che cadono direttamente dal soffitto - e la abbraccia. Il giorno seguente Cesare porta la bara di Mauro in fabbrica. I compagni e colleghi della vittima lo salutano un’ultima volta. In voice over, l’uomo recita una lettera di scuse per tutte le sue assenze e i suoi difetti da genitore. Carolina, pronta a recarsi in chiesa, prepara il pranzo. Quando si gira, Mauro è seduto a tavola. Si sta ripetendo l’ultima volta che lo ha visto. L’uomo consuma la sua pasta con gioia, poi si alza e la bacia per andare a lavoro. I due ridono felici. Giunge così Bruno che finisce la pasta avanzata. In sottofondo si fa largo “E sei così bella” di Ivan Graziani. Carolina e Bruno guardano fissi in macchina, poi lo stacco al nero e la dedica del regista “A chi resta”. Valerio Mastandrea debutta nel lungometraggio ampliando il discorso accennato in Trevirgolaottantasette - il numero indica la media delle persone decedute, in Italia, sul posto di lavoro -, corto realizzato nel 2005 e scritto al fianco di Danie-

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le Vicari. Con Ride, presentato al Torino Film Festival 2018, l’attore e regista romano diluisce in 95’ di durata la riflessione riguardante gli incidenti sul lavoro, concentrando il suo sguardo sulle ventiquattro ore antecedenti al funerale di Mauro, padre del piccolo Bruno, marito della giovane Carolina, figlio dell’ex operaio militante Cesare e lavoratore della fabbrica locale morto durante un turno di notte. Con ironia amara Mastandrea ride dell’assurdità della perdita improvvisa e dei riti che, come in una catena di montaggio, si innescano appena si perde qualcuno: le lacrime da dover versare, i parenti inconsolabili, la scelta del necrologio, la selezione dell’abito da indossare durante la funzione e via dicendo. Protagonista e spettatrice, Carolina - volto, nuca ed espressioni di Chiara Martegiani - osserva inerme quanto le sta accadendo attorno, protetta da un meccanismo di rifiuto che le permette di sopravvivere, nonostante tutto. A piangere sono quindi gli altri - un costante via vai di amici, ex fidanzate e parenti della vittima interpretati, tra gli altri, da Milena Vukotic, Giordano De Plano e Milena Mancini - mentre la protagonista, da consolata, diviene consolante, genuinamente invidiosa delle lacrime (altrui) che proprio non riesce a versare. Mastandrea, affiancato in scrittura da Enrico Audenino, non si limita tuttavia a raccontare il do-

di Louis Garrel

Regia: Louis Garrel Soggetto e Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Louis Garrel, Florence Seyvos (collaborazione) Interpreti: Laetitia Casta (Marianne), LilyRose Melody Depp (Eve), Joseph Engel (Joseph), Louis Garrel (Abel) Durata: 75’ Distribuzione: Europictures Uscita: 11 aprile 2019

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L’UOMO FEDELE

Origine: Francia, 2018 Produzione: Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat per Why Not Productions

lore (o l’impossibilità di esprimerlo) della giovane vedova, ma tenta, ora inseguendo la commedia, ora inseguendo il cinema militante, di espandere il discorso, strutturandolo su tre piani: la gestione del lutto da parte della moglie (sempre all’interno delle mura domestiche), la preparazione in vista del funerale da parte del figlio (con annessa critica alle strumentalizzazioni mediatiche delle morti sul lavoro) e i bilanci (di vita e di lotta) della classe operaia di allora e di oggi (rappresentata dalla durezza di Renato Carpentieri, qui costretto a recitare in improbabile romano). A lungo andare, l’opera prima di Mastandrea risente del peso della struttura e dell’eccessiva necessità di raccontare tanto, forse troppo. In questo senso stona l’invasione inaspettata del fratello della vittima e l’inefficace scontro con il padre (con tanto di pistola che, colpevolmente, non sparerà mai), così come un’incapacità, a tratti, di imbroccare il giusto tono con il quale raccontare quanto mostrato. A conti fatti Ride offre certamente spunti originali e buone intuizioni visive, pur non risultando, nell’insieme, all’altezza delle ambizioni dell’autore. Candidato al David di Donatello come miglior opera prima, il lungometraggio di debutto di Valerio Mastandrea, distribuito da 01, ha incassato poco meno di cinquecentomila euro.

L’affascinante Abel viene scaricato all’improvviso da Marianne, sua compagna, che gli annuncia di essere incinta di Paul, il miglior amico di Abel. Così Abel fa le valige e riprende la sua vita. Dopo otto anni incontra di nuovo la donna al funerale di Paul, deceduto anzitempo e fa

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la conoscenza del figlio di lei Joseph. Al funerale c’è anche Eve, la sorella di Paul da sempre innamorata di Abel che ora si è fatta donna. Questo tragico evento si rivela in realtà di buon auspicio: Abel e Marianne tornano insieme. Così

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facendo, però, suscitano la gelosia di Joseph; il ragazzino inizia ad inventare storie strane e racconta ad Abel che è stata la madre ad uccidere Paul e che la donna ha avuto una relazione con il loro medico di famiglia. Mano a mano che la convivenza va avanti, malgrado le gelosie di Joseph, Abel inizia a sospettare che il ragazzino sia piuttosto suo figlio. Così chiede chiarimenti a Marianne e la donna gli confessa di non saperlo esattamente: una volta rimasta incinta, forse di Abel o forse di Paul con cui lo tradiva, ha tirato a sorte ed è uscito Paul! Nel frattempo a contendersi l’amore e l’attenzione di Abel c’è Eve che affronta Marianne a muso duro, le confessa di amarlo e di volerlo tutto per sé. Marianne non si scompone più di tanto e, piuttosto, cerca di spingere Abel tra le braccia di Eve. Di nuovo il giovane fa le valigie e si trasferisce nel mini appartamento di Eve. Dopo un primo momento di travolgente passione, la storia tra i due inizia a sgonfiarsi poco a poco. Marianne così facendo ha praticamente vinto la partita e si riprende Abel che torna da lei. I due vanno poi al cimitero a salutare Paul.

Con L’uomo fedele Louis Garrel, enfant prodige del cinema francese qui alla sua seconda regia dopo Due amici del 2015, racconta una storia di un uomo conteso da due donne in un bizzarro menage à trois, ritagliandosi il ruolo principale. Meglio conosciuto alle cronache per il suo recente matrimonio con Laetitia Casta che è la co-protagonista nel ruolo di Marianne, Garrel focalizza la sua attenzione sui risvolti e sulle sfumature che sottendono alle relazioni sentimentali. Commedia ironica, delicata, dai contorni romantici, a tratti divertente il film di Garrel, scritto insieme allo sceneggiatore premio Oscar Jean Claude Carrière, esplora in modo asciutto, senza scadere nel cinismo, situazioni e triangoli amorosi al limite del paradossale; indaga con ironia sulle dinamiche dell’amore di coppia, tra incontri, seduzione, gelosie attraverso siparietti gustosi grazie anche a dialoghi mai banali. Un film tipicamente francese, di un cinema cioè che lavora molto sui caratteri e sui personaggi. Il suo Abel perennemente imbambolato sembra un pesce fuor d’acqua, che si lascia travolgere dagli eventi e dagli umori delle sue

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pretendenti, piuttosto che esserne artefice. Sbalordito da tutto ciò che gli capita, nello stile dei grandi eroi dell’era del muto come Buster Keaton a cui Garrel sembra essersi ispirato. Il regista sceglie, volutamente, di mantenere sotto traccia emozioni e sentimenti dei suoi personaggi preferendo affidarne la descrizione a voci fuori campo. Espediente sicuramente efficace a tale scopo ma che spesso adombra una padronanza del mezzo ancora incerta. Nel complesso l’operazione funziona, il film pur nella sua brevità (solo 75 minuti, una vera rarità attualmente) è esauriente e gli attori se la cavano bene, soprattutto Lily-Rose Depp molto convincente nel ruolo della capricciosa ed instabile Eve. Cristina Giovannini

di Giovanni Luca Gargano

RAPISCIMI

Origine: Italia,Portogallo, 2019

In un paesino sperduto dell’Aspromonte, quattro disoccupati, sfaticati e pigri, la combinano grossa, finendo con l’inimicarsi tutto il resto della comunità. Incaricati di fare i fuochi durante la festa patronale, invece che spararli si fumano la polvere da sparo e sotto l’effetto colpiscono la statua della Madonna. Sono ora obbligati a trovare velocemente un escamotage per radunare abbastanza soldi e ripaga-

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re il danno fatto. Così uno di loro, convinto di aver avuto l’idea del secolo, coinvolge il resto della combriccola in un’attività quanto meno originale: un’agenzia che organizza rapimenti su commissione, indirizzati a tutte quelle persone facoltose che sono annoiate dalle solite vacanze e sono alla ricerca di esperienze estreme. Aiutati da Giulia, un hacker di abilità straordinaria, tornata dal Portogallo per il funerale della nonna, riescono a creare il sito dell’agenzia e ad ottenere il 25

Produzione: Alba Produzioni, Arbalak, Check The Gate, in Associazione con Rete Televisiva Portoghese Regia: Giovanni Luca Gargano Soggetto e Sceneggiatura: Umberto Carteni, Vincenzo Di Rosa, Giovanni Luca Gargano, Paolo Logli, Alessandro Pondi Interpreti: Pietro delle Piane, Paolo Cutuli, Carmelo Caccamo, Vincenzo Di Rosa, Massimo Olcese, Rocco Barbaro, Alexia Degremont, Virgílio Castelo, Paulo Pires, Sao Jose Correia, Riccardo Carrico Durata: 93’ Distribuzione: Whale Pictures Uscita: 18 aprile 2019


primo incarico. Peccato che quando arriva il cliente ci sia uno scambio di persona. Infatti Giulia per vendicarsi del suo datore di lavoro, Pedro, che l’ha licenziata in quanto non accettava le sue avances, gli offre la possibilità di essere il primo cliente. Ma all’aeroporto prelevano l’uomo sbagliato, un altro Pedro, un povero portoghese che doveva trasportare in Italia un innovativo modello di water. Una serie di vicissitudini porta i ragazzi a vivere un’avventura delirante, che capovolge i ruoli in gioco. Da rapitori infatti si trovano ad essere ostaggi loro stessi di un burbero brigante sulle montagne calabresi, che chiede loro un riscatto di centomila euro. Giulia riesce ad estorcere alla moglie del povero Pedro i soldi del riscatto, che divide con gli altri. Lei se ne andrà con Pedro a fare la bella vita su uno yacht, mentre gli altri continueranno a fare affari con la nuova attività.

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Rapiscimi è l’opera prima del regista cosentino Giovanni Luca Gargano, il

quale, dopo una lunga gavetta tra la regia di cortometraggi, spot pubblicitari e una serie di esperienze come aiuto regista per fiction, riesce finalmente a far sentire la sua voce nel panorama del cinema nostrano. Gargano mette in scena un film colorato e goliardico, con una sceneggiatura un po’ confusa e volutamente irreale. Attraverso inquadrature e fotografie western, vengono portate sullo schermo le condizioni di vita di tutti i nati nell’entroterra meridionale, dove mancano i soldi, ma non la fantasia. Rapiscimi è uno schietto ritratto della realtà dei paesini dell’entroterra italiano, piegati dalla disoccupazione e dalla mafia. Immaginare una vita nuova è però un diritto che non viene precluso e i quattro protagonisti del film non si arrendono alle difficoltà. Il film si divide in tre parti creando tre atmosfere diverse: nella prima viene presentato il paesino tipicamente del sud, in cui la vita scorre spensierata. Il regista dimostra di conoscere bene il territorio della Calabria, individuando location che aderiscono con efficacia alla storia narrata. Le impervie montagne diventano spazi in cui far agire questa banda di balordi. Poi si passa all’attuazione del piano dei quattro ragazzi e la pellicola prende una piega più frammentata, in cui l’azione si sposta tra Lisbona, Roma e il bosco calabrese. Infine il terzo e ultimo atto, in cui

di Adriano Giotti

Marla, studentessa spagnola in Erasmus a Roma, Soggetto e Sceneggiatura: Adriano Giotti incontra Simone mentre Interpreti: Francesco Maccarinelli sta tornando a casa dopo (Simone), Nataly Beck’s (Marla), Vito una sbronza; tra i due scatta imNapolitano (Giancarlo), Federico Rosati mediatamente la scintilla, tanto (Bidini), Francesca Renzi da andare a vivere insieme nel Durata: 70’ giro di poco tempo. Giancarlo, il Distribuzione: InthelFilm proprietario dell’appartamento da Uscita: 17 gennaio 2019 loro affittato, stufo dei continui riRegia: Adriano Giotti

Veronica Barteri

SEX COWBOYS

Origine: Italia, 2016 Produzione: Giampietro Preziosa, Marco Puccioni per InthelFilm

si passa alla messa in scena di un rapimento delirante e grottesco. Il risultato è un film i cui fili narrativi si perdono perché troppo deboli e perché soppiantati alla lunga da una narrazione molto poco armoniosa e confusionaria, poco credibile negli interpreti e nei repentini cambiamenti di trama. La volontà di far ridere comunque e per forza ricade soprattutto sui quattro protagonisti, presentati come macchiette e niente di più. Risultato riuscito a metà perché l’alchimia si avverte a tratti, ma tolta la parte demenziale rimane ben poco. Un film per sdrammatizzare e far sorridere sia sulla condizione della disoccupazione giovanile al Sud, sia su un tema delicato come la ’ndrangheta. L’atmosfera che spesso si respira in quel Sud dimenticato, i silenzi, le sospensioni temporali, gli sguardi a volte di sfida o di complicità, la desolazione della strada principale del paese, sono tutti elementi che si fondono con l’azione del film e l’irrequietezza di alcuni personaggi. Poi c’è il bosco, altro personaggio importante. Il bosco nasconde insidie e sorprese e opera come una mano proveniente dall’alto, che muove i fili del destino dei personaggi. Infine la scelta di dare un respiro internazionale (coproduzione portoghese) è fondamentale per esportare il film fuori dal confine italiano.

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mandi del pagamento, dà loro un mese di tempo per saldare il debito. Lara, amica di Marla, li invita a trovare un’attività in cui poter mettere in pratica ciò per cui sono maggiormente portati, alludendo al sesso. Simone chiede al suo migliore amico Bidini di prestargli una GoPro per girare video porno

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con Marla e postarli online; la ragazza inizialmente non è d’accordo, spaventata che qualcuno possa riconoscerla. In segreto, Marla sta registrando dei video diari, testimonianze dei suoi drammi interiori, in cui evidenzia le conseguenze autodistruttive dei suoi attacchi di panico, compresi gli atti di autolesionismo. Marla si convince a girare il loro primo filmato ma Simone, nonostante la sua apparente sicurezza, è inibito dalla presenza della videocamera, che la ragazza accende solo a rapporto inoltrato; i due mostrano il video a Bidini e Laura, che li invitano a osare di più, giocando maggiormente con l’utente, per esempio attraverso giochi erotici. Nei video diari, Marla racconta il suo dolore per la morte del suo fidanzato, vittima di un incidente stradale, chiedendosi costantemente cosa abbia pensato prima dello schianto; la ragazza è convinta di non poter amare più nessuno e che quanto sta facendo con Simone sia solo sesso occasionale. I video dei protagonisti diventano sempre più elaborati, ma non acquisiscono ancora notorietà tra il pubblico online, per cui Lara consiglia una “fidelizzazione del cliente”, ossia portare l’utente a spendere il più possibile con richieste che solo loro sono in grado di soddisfare. Seguendo il consiglio di Lara, i ragazzi realizzano filmati più perversi, a seconda delle richieste dei clienti, da rapporti sadomaso al travestitismo. Questo tipo di mercato virtuale stimola sempre di più Simone, che inizia a vendere i loro video, mentre Marla inizia a essere stanca, intenzionata a cercare un lavoro onesto. Nonostante Marla voglia ritrovare quell’intimità ormai perduta, Simone vuole sfruttare la piattaforma online per guadagnare sempre di più, tanto da accettare un rapporto omosessuale con un cliente che ha richiesto un ap-

puntamento con lui in cambio di un’abbondante ricompensa in denaro, decisione da cui la ragazza rimane disgustata. Durante il rapporto sessuale con il cliente, Simone è talmente ripugnato da obbligarlo a vestire abiti femminili e da portare a termine il rapporto in maniera rapida e violenta, fino a umiliarlo, sputandogli. Delusa e amareggiata, Marla decide di andarsene definitivamente, mentre Simone paga Giancarlo e rimane a vivere nell’appartamento, passando le sue serate con Bidini, ubriacandosi e riflettendo sui suoi errori. Il protagonista contatta Lara per sapere dove si trova Marla, ma la ragazza lo rimprovera per non aver compreso lo sforzo dell’amica di tornare ad amare dopo l’incidente al suo precedente fidanzato, di cui Simone non sa nulla, sebbene abbia notato i tagli sul suo corpo. Deciso a riconquistare Marla, Lara gli dice dove trovarla; Marla appare diffidente nei confronti di Simone che, per dimostrarle il suo amore, distrugge la sua moto, odiata dalla sua compagna. Superati i loro conflitti, i due tornano insieme. Adriano Giotti realizza il suo primo lungometraggio intorno al tema della mercificazione del corpo, un aspetto molto attuale, vista l’estrema facilità d’accesso alla pornografia grazie alle numerose piattaforme online, trattato recentemente nell’horror Cam di Daniel Goldhaber, targato Netflix, in cui il corpo cade vittima del potere nullificante delle nuove tecnologie. Il film si apre immediatamente su un rapporto sessuale tra Simone e Marla, il che esplicita sin da subito la centralità del sesso nella vicenda, descritto in maniera piuttosto esplicita (ovviamente non raggiungendo mai la radicalità di un Nymphomaniac di Lars Von Triero di un Love di GasparNoé)

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e inscritto nello spazio privilegiato della camera da letto, costellata da poster cinematografici (emblematico quello de La grande bellezza, strappato in modo tale da lasciar intravedere solamente il titolo, ossimorico rispetto alla realtà descritta) e di fotografie dei loro momenti più romantici, un ambiente paradisiaco nella sua ordinarietà, in cui si abbandonano a quell’intimità che saranno costretti a perdere momentaneamente pur di salvaguardarla. Nel processo di spersonalizzazione a cui entrambi andranno incontro, i due si rapportano alla propria fisicità in maniera differente: Marla riversa il suo dolore sul corpo, territorio considerato non accessibile a chiunque (spesso dichiara di non essere una ragazza “facile”), tanto da intraprendere con Simone un percorso di riscoperta di sé e di quell’amore che credeva di aver dimenticato, soffrendo del deperimento di quell’intimità raggiunta; Simone invece considera il corpo come un feticcio mercificato, un mero oggetto da utilizzare per il proprio tornaconto, ma al contempo non è in grado di leggere il corpo altrui, tanto da non interrogarsi sulle ferite di Marla. Le riprese amatoriali, in totale accordo con la visualità tipica del contesto mediale contemporaneo, hanno una duplice valenza: da un lato scandiscono la discesa agli inferi della coppia, costretta a video sempre più perversi, dall’altra è il luogo in cui Marla riesce a ritrovare un brandello di intimità con se stessa attraverso i video diari, in cui si confronta con il suo passato e con i suoi timori più abissali.


Il finale risulta la parte più debole del film, a causa della diegeticamente forzata riappacificazione tra i due, conclusa con la retorica

esplosione della moto di Simone, mente non perfetto in maniera alsegno del suo amore incondiziona- quanto superficiale e artefatta. to per la ragazza, scelta narrativa Leonardo Magnante e visiva che chiude un film sicura-

di Simone Spada

DOMANI È UN ALTRO GIORNO

Origine:Italia, 2018 Produzione: Manuel Tedesco, Maurizio Tedesco per Baires Produzioni Regia: Simone Spada Soggetto e Sceneggiatura: Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo Interpreti: Valerio Mastandrea (Tommaso), Marco Giallini (Giuliano), Anna Ferzetti (Paola), Andrea Arcangeli (Leo), Massimo De Santis (Il veterinario), Jessica Cressy (Sophie), Barbara Ronchi (Caterina), Maria Bulgherini (Ragazza del parco), Stefano Fregni (L’oncologo), Paolo Giovannucci (Sergio), Paola Squitieri (La moglie di Sergio) Durata: 100’ Distribuzione: Medusa Film Uscita: 28 febbraio 2019

Tommaso e Giuliano sono due amici per la pelle. Uno vive in Canada, l’altro a Roma. Tommaso vive da tempo in Canada e insegna robotica. Giuliano è rimasto a Roma e fa l’attore. Entrambi sono romani seppur con caratteri molto diversi: Giuliano estroverso ed esuberante, Tommaso riservato e taciturno. Entrambi hanno una famiglia, ma Giuliano è separato da tempo e ha un figlio che vive e studia a Barcellona. Giuliano fa l’attore seduttore ed è innamorato della vita, ma è condannato da una diagnosi terminale e, dopo un anno di lotta, ha deciso di non combattere più. Ai due amici di

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una vita rimane un solo compito, il più arduo, dirsi addio. Tommaso così supera la paura di volare e va a trovare l’amico a Roma per passare insieme quattro giorni. Quando Tommaso arriva a Roma bastano poche battute per ritrovare la complicità e la capacità di scherzare, fondamentale in questo momento per esorcizzare l’inevitabile. Inizia così per i due amici un percorso di ricordi, fatto di lacrime, ma anche di risate e di abbracci. Quattro giorni di piccoli bilanci e scoperte, in cui Giuliano riceve parole di conforto da chi meno se lo aspetta, si vede voltare le spalle da presunti amici, si gode le ultime occasioni di spensieratezza, ma affronta anche i primi terribili sintomi della fine imminente. Vicino a lui c’è anche sua sorella Paola, la quale non riesce ad accettare la scelta del fratello di non curarsi più, e tantomeno il fatto che Tommaso, dopo un timido tentativo di dissuadere il suo amico, alla fine lo appoggi. Con loro c’è sempre un terzo incomodo, Pato, un cagnone peloso che per Giuliano rappresenta praticamente un figlio. Il primo dei conti da chiudere, è trovare una sistemazione proprio a lui. Trovare una famiglia che possa accudirlo con l’amore che ha avuto Giuliano. Ma nessuno sembra rispondere ai requisiti giusti. In secondo luogo bisogna far capire a un’ammiratrice invadente che è il momento di farsi da parte. Poi bisogna vedere come se la cava l’attore che ha preso il posto di Giuliano al teatro e scegliere il modello di bara. Un giorno i due 28

amici decidono di prendere un volo per andare a pranzare a Barcellona con il figlio di Giuliano e la ragazza, per dargli un ultimo abbraccio. Le ultime serate invece li vedono insieme tutti e tre, come ai vecchi tempi, a bere e scherzare e Tommaso ne approfitta anche per andare a letto con Paola. I giorni della loro ritrovata amicizia però sono finiti, Tommaso sta per prendere l’aereo e non si vedranno mai più. Ma il vecchio istrione Giuliano non può lasciare che l’amico gli rubi la scena neanche l’ultima volta e quando lo accompagna all’aereoporto gli affida Pato. A dirigere il remake del film argentino Truman-Un vero amico è per sempre è Simone Spada. Il tema è amaro, ma il regista ha il privilegio di consegnarlo a due professionisti capaci di fare in modo che la storia non ceda mai alla disperazione. Domani è un altro giorno è un dialogo a due voci malinconico e scanzonato, un valzer degli addii che si basa sulla perfetta alchimia tra due personaggi. Parla di morte, ma è in realtà un inno alla vita, una bella storia di amicizia al maschile in cui vengono fuori tante cose, tra cui il fatto che se si è amici nella vita lo si è per sempre e ci si ama soprattutto perché si è diversi. Un senso d’impotenza pervade tutto il film, e infine di serena accettazione, da parte di Giuliano innanzitutto, poi di chi lo circonda, dei suoi amici e di suo figlio.

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I personaggi infatti sono volutamente agli antipodi: da una parte un carattere molto estroverso, dall’altro uno più chiuso e riflessivo. La conoscenza tra i due non è più soltanto un dramma privato, ma diventa una sorta di riflessione sui rapporti e sull’esistenza, che fa anche sorridere lo spettatore. Non a caso il titolo rinvia all’idea dell’accettazione della morte, per cui poi le cose vanno avanti. Il film lo fa in modo diretto, in un modo originale, leggero, credibile, ironico ed emozionante, passando dalla graffiante ironia alla commozione. E alla fine non resta la disperazione, ma una gran voglia di condividere e coltivare quelle relazioni umane, che donano speranza e consolazione, come l’ultimo sorriso di Tommaso, quando sta ripartendo. Sembrano scritti apposta per loro, per Marco Giallini e Valerio

Mastandrea, i personaggi di Giuliano e di Tommaso, amici anche nella vita da più di vent’anni. L’esuberante e istrionico Giuliano, e il più riservato e riflessivo Tommaso, sembrano rispecchiare la personalità dei loro interpreti, e l’alchimia tra i due è innegabile. I due attori si palleggiano le battute con la consumata confidenza di due vecchi compagni di squadra, e colorano situazioni ed espressioni con quella comunicazione non verbale, figlia della complicità maschile, e con il tenero disincanto figlio della loro comune romanità. Giallini non è un attore mimetico, non diventa i suoi personaggi, ma anzi riesce a interpretarli rimanendo se stesso, eppure è di volta in volta un personaggio diverso, un poliziotto o un delinquente, un padre amorevole o un donnaiolo, come in questo caso. Senza dubbio

è alla sua miglior prova di attore: dà sfoggio a tutta la sua abilità incredibile nel cambiare continuamente tono ed espressione, passando nel giro di pochi attimi dal riso al pianto, dall’angoscia all’ironia più graffiante. Tuttavia è sempre credibile. Mastandrea recita con la medesima tecnica, anche se la intende con un po’ più di morbidezza, non disdegna una certa mimesi fisica, anche se poi cerca sempre di fare affidamento sulla propria parlata e sulle proprie movenze per creare un personaggio. Tuttavia è Giallini a prendere la scena e Mastandrea vive in maniera composta, ma onnipresente vicino al suo amico. In questo mettersi in luce e agire da dietro, in ombra, c’è un meccanismo umanissimo, che è il vero senso della vita. Veronica Barteri

di Mike Leigh

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Origine: Gran Bretagna, Stati Uniti, 2018

Inghilterra - 1818/1819. Sono anni terribili, dolorosi, con gran parte della popolazione alla fame e gravata dalle tasse sugli elementi più semplici e di prima necessità. La vittoria su Napoleone a Waterloo di qualche anno prima (da cui ritorna sfinito nel fisico e nell’animo uno dei ragazzi del film) non aveva dato quei frutti di prosperità che erano rimasti un sogno. Giorgio Augusto Federico di Hannover, obeso, dissoluto e dipendente dal laudano era reggente per la dichiarata patologia mentale del padre Giorgio III (causata da una forma di avvelenamento protratto negli anni o da una malattia congenita del casato); il suo potere, però, non esisteva ed era

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pienamente esercitato dal primo ministro Lord Liverpool che, attraverso i suoi ufficiali di polizia e i suoi magistrati teneva il regno sotto un tallone di ferro. Basta pensare che era sufficiente la bevuta di una bottiglia di vino della cantina del padrone per essere frustati, il furto di un orologio per essere spediti in quel penitenziario naturale che era, allora, l’Australia o il furto di un cappotto per finire sulla forca. In questo clima sociale così deteriorato (aggravato dalla situazione debitoria dello stato che aveva avuto la bella idea di premiare il Duca di Wellington, il vincitore di Napoleone, con settecentocinquantamila sterline, una somma mostruosa per l’epoca) nascono movimenti di protesta che si allargano in tutta la nazione: non solo

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Produzione: Georgina Lowe per BFI Film Fund, Film4, Thin Man Films Regia: Mike Leigh Soggetto e Sceneggiatura: Mike Leigh Interpreti: Rory Kinnear (Henry Hunt), Maxine Peake (Nellie), Pearce Quigley (Joshua), David Moorst (Joseph), Rachel Finnegan (Mary), Tom Meredith (Robert), Simona Bitmate (Esther Ogden), Robert Wilfort (Lord Liverpool, il Primo Ministro), Karl Johnson (Lord Sidmouth, Ministro degli interni), Sam Troughton (Mr. Hobhouse), Roger Sloman (Mr. Grout), Kenneth Hadley (Mr. Golightly), Tom Edward-Kane (Mr. Cobb), Lizzy McInnerny (Signora Moss), Alastair Mackenzie (Generale Sir John Byng) Durata: 154’ Distribuzione: Academy Two Uscita: 21 marzo 2019

contro i crescenti livelli di povertà ma anche per promuovere una riforma elettorale e politica di tutto il sistema Paese.


Manchester è il centro dove si riuniscono tutti quelli che sono decisi ad andare fino in fondo e a portare, se fosse necessario, la protesta direttamente al Reggente. Alcuni hanno studiato e sanno usare la forza delle parole, altri con minor cultura non sono meno convinti della necessità di un’apertura democratica delle Istituzioni. Tutti si riuniscono, discutono, parlano, cercano di convincere il vicino titubante, dimostrano con esempi convincenti ciò che si potrebbe fare. A dare forza a Joshua e John Knight, le due anime più illuminate della protesta, giunge Henry Hunt, battagliero capopopolo che già in altre città dell’Inghilterra aveva sollevato ribellioni e organizzato manifestazioni per far sentire al potere le voci dei deboli. Il 16 Agosto 1819, però, a Manchester tutto è inutile; la libera e pacifica manifestazione, composta anche da donne e bambini convinti che si trattasse di una giornata di festa è soffocata nel sangue: le cariche disordinate della Guardia Nazionale e, addirittura, di un reggimento di cavalleria con le sciabole d’assalto procurano venti morti e centinaia di feriti mentre tanti altri sono arrestati. Una delle pagine più buie lungo l’evoluzione democratica della Gran Bretagna.

Conosciamo Mike Leigh e i suoi film che ci parlano della classe popolare (ricordiamo uno su tutti Vera Drake del 2004, vincitore a Venezia); conosciamo Mike Leigh e il suo modo anarchico di esaminare i rapporti tra gli umili e la superiorità degli uomini al potere, l’opposizione concettuale di questi nel trattare i comuni problemi della vita di tutti i giorni come il lavoro, i soldi, l’affitto, la scuola, la sanità. Tutto ciò è divenuto in questo film racconto storico che approfondisce non solo i rapporti di potere tra chi aveva tutto e chi niente ma la comunicazione delle parole e delle idee che diventano parte integrante della storia dell’uomo. Anzi Leigh evidenzia come proprio alla nascita dell’industrializzazione del mondo occidentale appartenga il formarsi di idee progressiste e di quella consapevolezza di uomo e di popolo che non verrà mai meno. Il film è, quindi, nettamente politico, coerente nel tracciare una linea ben precisa che deve unire ogni spirito libero e raziocinante nell’individuare la presenza manifesta o subdola di ogni espressione del potere. Politico non è solo l’umano desiderio di vedere abolita la tassa sul pane, destinata a ingozzare i vizi dei ricchi ma il capire la necessità di formarsi una “cultura” democratica capace di trasmettere idee, valori, progetti. Anche la cultura può prendere la strada sbagliata, ci dice Leigh nel disegnare il personaggio di Henry Hunt, suscitatore d’idee e di azioni ma pervaso dalla stessa insopportabile oratoria paternalistica e offensiva della classe che diceva di combattere: come dire che il disprezzo per il popolo, l’ostinazione nello sfruttamento del più debole può diventare una peste estremamente contagiosa. La ricostruzione di questo immenso squilibrio sociale va di pari passo con la ricostruzione millime-

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trica degli ambienti, le povere case del popolo e i ricchi luoghi del potere. Tutto senza enfasi né compiacimento in una trattazione scarna e priva di emotività, una declinazione didascalica di contatti, promesse, ribellioni che assume presto il brutto aspetto della pedanteria. È facile, infatti, che la comunicazione verbale si trasformi in verbosità e l’insistenza su come fosse difficile farsi capire dal popolo finisce per esprimere la difficoltà di reggere a lungo l’interesse dello spettatore che non risulta mai coinvolto nelle due ore e trentaquattro minuti di questa lunghissima pellicola. Ciò che è disarmante è dato, soprattutto da due elementi: Leigh ha trasformato i personaggi del potere, re, ministri, poliziotti, giudici in maschere tragiche, grottesche, dai tratti lugubri, animaleschi come le figurine di Goya, ottenebrati dalla sopraffazione senza senso, incubi capricciosi e ghignanti, privi di ragione. Non c’era bisogno, per condannare la violenza cieca del potere, di affidarsi a burattini surreali nella loro brutalità. L’altro elemento è dato dal fatto che l’asciugare il più possibile il racconto da ogni epica e retorica è andato oltre, fino tenere a bada ogni emozione: gli ultimi venti minuti sono occupati da quell’insensata carica di cavalleria che a colpi di sciabola abbatte uomini, donne e bambini. Perché non si prova turbamento né tenerezza? Perché non si partecipa a quest’orribile spargimento di sangue da cui non si resta colpiti né nei sentimenti né nella ragione? La costruzione finale quindi è debole, malfatta, per niente coinvolgente. Peccato che l’opera di questo maestro di cinema e del ragionamento democratico debba sciogliersi nel disinteresse. Fabrizio Moresco

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di Riccardo Milani

MA COSA CI DICE IL CERVELLO Origine: Italia, 2019

Giovanna, agente segreto della Sicurezza Nazionale, vive sotto l’identità di impiegata al ministero, derisa da sua madre Agata, donna di mezz’età alla ricerca di una gioventù perduta. La protagonista parte per Marrakech per catturare un noto terrorista, Eden Bauer, giunto in Marocco per la compravendita di un ingrediente con cui terminare un’arma di distruzione di massa; l’operazione fallisce e Bauer fugge con l’ingrediente. Enrico, pilota militare ed ex marito di Giovanna, le consiglia di parlare con la loro figlia Martina, che inizia a risentire delle continue trasferte della madre, e di cominciare a vivere nel mondo reale, senza usare il lavoro come copertura dal quotidiano, per cui la donna accetta di partecipare a una rimpatriata di liceo organizzata dalla sua amica Tamara insieme agli inseparabili Marco, Francesca e Roberto, vecchia fiamma di Giovanna, ricordato da tutti per il suo fisico atletico, ormai scomparso a causa di qualche chilo di troppo. Gli amici, sebbene deridano l’impiego al ministero di Giovanna, la invidiano per la monotonia della sua professione: Tamara lavora come hostess e deve scontrarsi continuamente con un ricco passeggero che non intende spegnere il cellulare durante il decollo, tanto da aggredirla fisicamente; Marco, allenatore di una squadra di calcio per ragazzi, è stato assalito da Carocci, padre di un bambino, convinto di essere più competente; Francesca deve discutere costantemente con Anita, madre di una bambina che ha in cura, in quanto convinta di avere più competenze mediche grazie al web; Roberto,

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docente di lettere, è spesso aggredito da un suo studente, Edoardo, ogni volta che valuta la sua preparazione insufficiente. Giovanna sfrutta le sue doti investigative per punire i quattro loschi individui, dopo che Roberto finisce in ospedale a causa di Edoardo: inseriti nel sushi ordinato da Anita dei gamberetti a cui è allergica, costringendola a precipitarsi in ospedale per paura di una crisi, Giovanna si finge infermiera e le consegna una fiala di cortisone e una di antistaminico, invitandola ad affidarsi alle sue competenze “mediatiche” per scegliere la cura adeguata, terrorizzandola ulteriormente; allontanato Marco con uno stratagemma, la donna invita Carocci a sostituirlo, dimostrandone l’inadeguatezza; bloccato l’accesso a internet di Edoardo, Giovanna hackera il suo computer, costringendolo a rispondere a delle domande di cultura generale per riacquisire la connessione; travestitasi da hostess, la donna dà la colpa delle spaventose turbolenze al cellulare acceso del manager, spingendo i terrorizzati passeggeri ad aggredirlo. Sospesa dal lavoro per tali operazioni, Giovanna passa più tempo con Martina e accetta di partire per Siviglia con gli amici per ripercorrere i luoghi visitati durante una vacanza liceale. In Spagna, Roberto cerca di confessare il suo amore per Giovanna ma la donna si accorge dell’arrivo di Bauer grazie a un video di Tamara che li avverte di essere arrivata in stazione, pronta a raggiungerli; inoltrato il video ai suoi colleghi, la donna è riammessa e si precipita alla stazione, seguita da Roberto, che scopre la sua identità segreta. Infiltratasi nel cellulare del criminale, Giovanna lo spinge 31

Produzione: Lorenzo Gangarossa, Mario Gianani, Lorenzo Mieli per Wildside, Vision Distribution Regia: Riccardo Milani Soggetto e Sceneggiatura: Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi, Riccardo Milani Interpreti: Paola Cortellesi (Giovanna), Stefano Fresi (Roberto), Tomas Arana (Eden Bauer), Emanuele Armani (Edoardo), Teco Celio (Gerard Colasante), Remo Girone (Comandante D’Alessandro), Chiara Luzzi (Martina), Vinicio Marchioni (Marco), Lucia Mascino (Francesca), Ricky Memphis (Dario Carocci), Paola Minaccioni (Anita), Giampaolo Morelli (Enrico), Claudia Pandolfi (Tamara), Alessandro Roia (Manager), Carla Signoris (Agata) Durata: 98’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 18 aprile 2019

verso uno spettacolo di flamenco dove sono presenti i suoi amici, a cui invia una foto del terrorista, spacciandolo per uno scippatore che le ha rubato la borsetta, chiedendo ai tre di bloccarlo, dando il tempo alle squadre speciali di intervenire. Bauer viene arrestato e Tamara, Marco e Francesca se ne prendono i meriti. La notizia fa scalpore; sebbene la cinica Agata affermi che i tre avrebbero dovuto farsi gli affari propri, Martina condivide l’opinione di sua madre in merito alla necessità di rompere il silenzio e combattere qualsiasi ingiustizia. Grazie alla protagonista, i quattro amici possono svolgere il loro lavoro senza più intromissioni. Finalmente Giovanna e Roberto si dichiarano il loro amore reciproco. La nuova commedia di Riccardo Milani presenta tutti gli ingredienti per garantirsi un forte appiglio sul pubblico (confermato dall’enorme successo al botteghino), a partire dal ritorno della poliedrica

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Paola Cortellesi (collaboratrice alla sceneggiatura), che si conferma come una delle regine della commedia italiana contemporanea, circondata da un cast dilettevole che va da Claudia Pandolfi a Stefano Fresi (già in coppia con Cortellesi nel recente La befana vien di notte), da Vinicio Marchioni a Lucia Mascino, fino ad Alessandro Roja, Ricky Memphis e Paola Minaccioni nel ruolo degli arroganti bulli.

Ma cosa ci dice il cervello è perfettamente in linea con il precedente Come un gatto in tangenziale, proiettando nuovamente il suo sguardo sulla realtà sociale italiana, sulle sue bassezze e cafonaggini, non più collocate nel tradizionale ambiente di borgata (immaginario tipico del nostro cinema) ma trattate attraverso una rielaborazione di generi, che vede lo spy movie percorrere capillarmente il registro della commedia senza essere sovrabbondante, anzi accentuandone le gag surreali in merito alle molteplici identità di Giovanna, quasi una rievocazione parodica della Jennifer Garner della serie televisiva Alias. Nuovamente Milani sembra invitare a rompere un silenzio

di Paolo Zucca

catalizzatore di prepotenze e sopraffazioni, spingendo a mettersi in gioco in prima persona e a lottare attivamente senza rinunciare alla propria identità e al proprio ruolo sociale, nel rispetto dei diritti e dei doveri che ne conseguono; in una Roma abbandonata al suo degrado fisico e culturale, la Cortellesi incarna nuovamente il volto di una presa di coscienza mirata ad abbattere lo spirito tracotante e solipsista che sembra dominare una società sempre più arrogante e ignorante, sebbene la risoluzione di tale conflitto si risolva in un finale eccessivamente retorico e in un didascalismo da cui in realtà non era avulsa neanche la tanto osannata commedia precedente.

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Leonardo Magnante

L’UOMO CHE COMPRÒ LA LUNA

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Origine: Italia, Albania, Argentina, 2018 Produzione: Amedeo Pagani, Nicola Giuliano, per La Luna, Indigo Film Con Rai Cinema, Coprodotto Daniel Burman, Genc Permeti per Ska-Ndal Production, Oficina Burman Media Pro Regia: Paolo Zucca Soggetto: Paolo Zucca Sceneggiatura: Paolo Zucca, Barbara Alberti, Geppi Cucciari Interpreti: Jacopo Cullin (Agente Kevin/ Gavino Zoccheddu), Francesco Pannofino (Dino), Stefano Fresi (Pino), Benito Urgu (Badore), Ángela Molina (Teresa), Lazar Ristovski (Taneddu) Durata: 102’ Distribuzione: Indigo Film Uscita: 4 aprile 2019

Due agenti segreti italiani ricevono un’informativa riservata circa l’acquisto della luna da parte di qualcuno in Sardegna. I due reclutano un biondo soldato milanese, Kevin Pirelli che nasconde la propria identità sarda: si chiama, infatti, Gavino Zuccheddu, nome cambiato per problemi politici avuti dal nonno.

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Non basta, però, il vecchio nome: il giovane è messo nelle mani di un vero sardo doc, Badore, che deve insegnargli ogni elemento della “sardità” (comportamento, lealtà, durezza, modo di vestire e di camminare, gusto nel bere e nel mangiare) che possano permettergli di passare inosservato e ritrovare in Sardegna chi ha osato comprare la luna. Alla fine dell’apprendistato Badore è ucciso dai due agenti che non vogliono lasciare traccia del loro piano cosicché Kevin si ritrova nell’isola in balia di se stesso. È presto fatto oggetto di scherno e pestaggi da parte della popolazione locale che non crede alla sua vera sardità, individuandolo presto come straniero pericoloso e mentitore. Sta di fatto che Kevin, alla fine di una fuga a dorso di asinello, è salvato da un pescatore, Taneddu, che vive appartato in una casa sul mare con la moglie Teresa. 32

È proprio questo il personaggio ricercato: è lui che cinquant’anni prima ha fatto domanda in tutti gli uffici del mondo per occupare la luna (res nullius nello spazio), tranne la parte con la bandiera americana, per farne regalo alla moglie. Naturalmente nessuno gli ha risposto e Taneddu pensa davvero di avere la proprietà del satellite. Un gruppo di marines americani, guidati dai due agenti segreti dell’inizio, sta per sbarcare per rendere vani con le armi tutti i desideri del pescatore. È la moglie Teresa a sbaragliare gli invasori alzando e abbassando le maree con l’aiuto della sua amica luna e a permettere a Kevin di salutare tutti gli eroi sardi riuniti sulla superficie lunare (i sardi non vanno in paradiso ma sulla luna). Per Kevin/Gavino è giunto il momento di capire e apprezzare sul serio la magica diversità dell’isola e dei suoi abitanti.

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Un po’ di fantasia e di fantascienza, un po’ di western e di assurdità e una divertente presa in giro della Sardegna, dei sardi e del loro modo sincopato di parlare e di comportarsi. Il regista, però, Paolo Zucca, è cagliaritano e non può offendersi nessuno per una presa in giro così consapevole e seria. Zucca riporta come protagonista nella sua terra amatissima il suo attore Jacopo Cullin (dopo L’arbitro, 2013) insieme a un altro feticcio isolano Benito Urgiu, avvalendosi della collaborazione per la sceneggiatura di Geppi Cucciari, un’altra cagliaritana doc. Non occorre più nulla, quindi,

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per un’operazione straniata e straniante che va oltre ogni definizione che può costringere nelle favole o nel dramma, nel surreale o nella commedia o nella sequenza on the road e che ha al suo termine la rivalutazione di una cultura volutamente dimenticata e relegata ai margini di un normale sviluppo societario. Gli stereotipi sono, però, eccessivi e appesantiscono in più di un momento la narrazione che s’ingolfa nell’insistenza di tipi e situazioni che diventano monotoni. Il film ha, naturalmente, sbancato i botteghini della Sardegna come un altro Avengers: l’esplosione di un desiderio di rivalsa e di pretesa di un territorio che ha ra-

gione di voler superare l’interesse turistico agostano e ottenere il suo spazio nello scacchiere più ampio della civiltà. Fabrizio Moresco

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di P.B. Shemran

IL PROFESSORE E IL PAZZO In piena Inghilterra vittoriana due storie si presentano all’attenzione dello spettatore: quella del Prof. Wiliam Chester, americano, ex ufficiale dell’esercito nordista durante la Guerra di Secessione che, in preda alle sue ossessioni (rappresentate sempre da qualche fantasma del passato), uccide a pistolettate il marito innocente della signora Merrit, lasciandola con sei figli da mantenere. La seconda è data dalla compilazione del più grande dizionario della storia commissionato dalla Philological Society di Londra a James Murray. Questo riceve l’incarico, nonostante privo di alcun titolo accademico, solo per la sua mostruosa conoscenza di quasi tutte le lingue del mondo che lo indica un maestro senza pari della ricerca filologica. Naturalmente racchiudere in un dizionario tutte le parole in lingua inglese conosciute fino ai confini dell’Impero e che abbiano

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avuto un percorso filologico lungo i secoli è un lavoro immane che ha la necessità del coinvolgimento di numerosi collaboratori, non solo quelli che compongono la squadra di Murray. L’idea di questi è di far partecipare all’individuazione delle parole il maggior numero possibile di persone: non solo insegnanti, librai, funzionari di biblioteche ma anche gente comune, giovani e vecchi potranno spedire lettere e bigliettini con il significato di tutte le parole che credono di conoscere bene. Sarà poi il gruppo di Murray ad assemblare il tutto secondo un criterio filologico più specialistico e tecnicamente formale. Intanto l’americano Chester, giudicato colpevole del suo assassinio ma non in grado di intendere e di volere, è rinchiuso in un manicomio criminale. Il caso vuole che lì salvi la vita a un poliziotto che si stava dissanguando colpito da una pesante cancellata, amputandogli una gamba con coltello e sega. Il 33

Origine: Irlanda, 2019 Produzione: Bruce Davey, Mel Gibson, Nicolas Chartier per Fastnet Film, Icon Entertaiment, 22H22, Voltage Pictures Regia: P.B. Shemran Soggetto: dal romanzo ‘The Professor and the Madman’ di Simon Winchester Sceneggiatura: P.B. Shemran, John Boorman, Todd Komarnicki, Simon Winchester Interpreti: Mel Gibson (Professor James Murray), Sean Penn (Professor William Chester), Natalie Dormer (Eliza Merrett), Eddie Marsan (Mr. Muncie), Jennifer Ehle (Ada Murray), Steve Coogan (Frederick Furnivall), Stephen Dillane (Richard Brayn), Ioan Gruffudd (Henry Bradley), Jeremy Irvine (Charles Hall), Laurence Fox (Phili Lyttelton Gell), Anthony Andrews (Benjamin Jowett) Durata: 124’ Distribuzione: Eagle Pictures Uscita: 21 marzo 2019

mondo carcerario, per esprimergli la propria gratitudine, cerca di rendergli la vita un po’ più confortevole in quei luoghi infami. Chester, a conoscenza del progetto linguistico di Murray, partecipa all’individuazione delle pa-


role inglesi ottenendo una grande quantità di libri da consultare e un falegname che gli predispone un sofisticato sistema di assi e pannelli che gli permettano il reperimento e la classificazione dei termini più difficili e introvabili. Il contributo di Chester, pur periodicamente devastato dalle sue crisi ossessive, è enorme: un flusso immenso di carta arriva al centro studi di Murray, permettendogli di proseguire il progetto nonostante le invidie di alcuni componenti del senato accademico di Oxford che tentano di fermarlo. Intanto Chester è devastato dai sensi di colpa per l’assurdo assassinio commesso e non riesce ad avere nessun contatto con la vedova Merrit che ha sdegnosamente rifiutato i soldi della sua pensione di militare che l’avrebbero aiutata ad andare avanti. Solo l’intervento di un secondino dal volto umano riesce a convincerla a prendere cibo e soldi e, addirittura, a farla entrare in manicomio per un faccia a faccia con il recluso. Dopo i primi incontri colmi di disperazione e di rabbia, le visite della Merrit diventano sempre più frequenti tanto da far pensare che la sua disponibilità possa pian piano trasformarsi in qualcosa di più profondo. Una frase da lei scritta su un foglietto che potrebbe ipotizzare l’esistenza di una specie d’amore scatena in Chester una crisi devastante che lo porta a ferirsi fino all’evirazione e a distruggersi psichicamente.

La sua vita in manicomio muta del tutto, è assoggettato alle mostruose terapie in uso a quei tempi, ha la proibizione di qualsiasi visita, anche dell’amico Murray, consapevole di quanto gli sia debitore per il lavoro svolto. La crisi delle due storie sembra stemperarsi soprattutto per il successo che la pubblicazione della prima parte del dizionario ha in giro per il mondo. L’importanza e la fama raggiunte permettono a Murray di andare a perorare con Churchill, allora giovane politico in ascesa, la soluzione per la vita del povero Chester. Questi, rimesso in piedi dalla sua condizione vegetativa è imbarcato su una nave verso la sua famiglia d’origine in America. Murray proseguirà la stesura del dizionario nel suo impegno e la sua dedizione alle parole e alla carta stampata. È una storia incredibilmente vera in cui la parte più concreta della realizzazione del dizionario di Murray si specchia nella reclusione in manicomio del povero Chester in un’affascinante compartecipazione a specchio di incubi e sogni, sacrificio e perseveranza, sconforto e fiducia. “Lei pensa sia matto, dottore?” chiede il recluso allo psichiatra con cui ha iniziato la detenzione. “Non lo siamo un po’ tutti, in qualche misura?” risponde il medico. “Di cosa avete paura?” chiede Murray agli ipocriti membri del senato accademico “che un uomo malvagio possa redimersi?” Ecco queste due battute racchiudono il senso del film e possono travalicarlo anche nell’esprimere qualcosa che riguarda tutti. La follia e la “normalità”, il genio e il sentire comune sono mosaici indefinibili di una stessa strada, quella dell’umano e quotidiano tentativo d’inventarsi credibilmente l’impulso per vivere. Un malato di mente, un assas-

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sino, qualcuno che, nonostante i suoi tentativi di riparazione ha causato la rovina di una donna e dei suoi figli risulta il collaboratore più straordinariamente adatto alla stesura del dizionario. Pare che proprio le sue allucinazioni creino quello sgorgare di fantasia e cultura che sommergono di carta e parole gli estensori delle pagine che man mano prendono vita. Tutto questo è concretizzato in un’amicizia che si forma subito tra il filologo che sta fuori e il pazzo che sta dentro: lontani, che più lontani non si può ma uniti da una passione divorante per le parole e le loro definizioni, per gli approfondimenti e le immagini in grado di migliorare la storia dell’uomo. “Quando leggo riesco a volare fuori da questo posto sulle ali dei miei libri e cavalco fino alla fine del mondo. Le parole mi hanno tenuto in vita fino ad oggi” dice ancora Chester che da matto e recluso indica la strada maestra per gli uomini liberi: le pagine scritte come strumenti per guardare il mondo, perché il nostro capitale immateriale possa contribuire a un nuovo impianto di civiltà nel futuro di tutti. Niente, però, è senza sofferenza: il racconto fin qui indicato ha un’impennata improvvisa, forse, addirittura, poco comprensibile. Ci riferiamo alla terribile involuzione di Chester, sconvolto fino all’ossessione e all’impazzimento senza ritorno che esplode nel momento in cui è nominata la parola amore: l’equilibrio con se stesso, così faticosamente (apparentemente?) ritrovato va in pezzi e tutto è spazzato via. Perché? Perché un palpito d’amore che avrebbe potuto riaccendere l’autostima utile verso una maggiore serenità ha, invece, un effetto dirompente per un individuo da questo momento incapace e, praticamente, interdetto alla vita?

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Si tratta di una scelta morale la strada presa dagli autori? Vuol dire, forse, che il cammino di riconquista umana iniziato dal recluso deve comprendere l’impegno, il lavoro, la fatica, il sacrificio, l’abnegazione ma non l’amore che aprirebbe le porte verso una rivalutazione dell’abisso spirituale in cui versa il personaggio e che il personaggio non merita? È qui che getta la maschera quella paura di redenzione espressa all’inizio dal senato accademico? Non è facile dare una risposta

alla svolta dell’azione cui due magnifici attori come Mel Gibson e Sean Penn hanno fornito tutte le sfaccettature accademiche della loro presenza scenica sempre molto incisiva; arriviamo, anzi, a pensare che la dinamica narrativa, ovviamente presente nel romanzo omonimo di Simon Winchester da cui il film è tratto, abbia avuto una sottolineatura monumentale proprio dalla recitazione da star che i due attori hanno avuto, nel sovradimensionare ciò che invece prevedeva un

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Fabrizio Moresco

di Giuseppe Stasi, Giancarlo Fontana

BENTORNATO PRESIDENTE Sono passati otto anni dalla sua elezione al Quirinale e l’onesto bibliotecario Peppino Garibaldi vive in una baita tra i monti piemontesi con Janis e la piccola Guevara di sette anni. Dopo aver dato le dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica e aver rinunciato alla carica di Papa, ha ripreso la sua vita precaria, ma allegra. Nel suo piccolo paese ha recuperato il suo hobby della pesca, le sue serate con gli amici e i pomeriggi in allegria con i bambini. Peppino infatti adora la vita semplice, mentre Janis invece è sempre più insofferente per questa vita troppo tranquilla e soprattutto non riconosce più in lui l’uomo appassionato che voleva cambiare l’Italia. Richiamata al Quirinale, nel suo ruolo di funzionario, nel momento in cui il Paese è alle prese con la formazione del nuovo governo e appare minacciato da oscuri intrighi, Janis lascia Peppino e torna a Roma con la figlia. Disperato, l’uomo dopo tre mesi trascorsi a tagliare legna per smaltire la rabbia, decide di recuperare il rapporto e ricostituire la famiglia. Tuttavia il Paese è allo sbando tra

accostamento più leggero e sottile. Da rilevare la sensibilità intensa e vibrante di Natalie Dormer come vedova Merriet e la seria e composta umanità di Eddie Marsan come la guardia Muncie. Di derivazione teatrale e in alcuni punti statica la regia di P.B. Shemran, pseudonimo di Farhad Safinia, cosceneggiatore di Gibson per Apocalypto e per quest’ultima pellicola.

corruzione, debiti e manovre sbagliate. Tra l’indecisione generale e l’assenza di un candidato realmente capace di sanare la situazione, è Peppino Garibaldi colui che potrebbe riportare l’ordine. Ritenuto perfetto dai vari ministri per essere manovrato come un burattino, pur di restare accanto a Janis, l’uomo accetta la carica come Presidente del Consiglio di un governo che ha bisogno di un capo che metta d’accordo i due partiti di maggioranza. Peppino così si trova a doversi barcamenare con il leader del partito Precedenza Italia, un tizio mite che diventa aggressivo alla prima telecamera accesa, e quello del Movimento Candidi, un liceale che non ha fatto il liceo. Poi c’è un leader della sinistra, di Sovranità Democratica, che si sente molto più furbo degli altri. Il rapporto con Janis è bizzarro, con i suoi modi strambi ed estremamente divertenti instaura con la donna un amore-odio, che porta a continui contrasti e collaborazioni proficue. Nonostante sia un po’ egoista per natura, Peppino però è anche una persona onesta a cui piace rimboccarsi le maniche e quando inizia a vedere del torbido cerca di capire cosa c’è dietro. Così 35

Origine: Italia, 2019 Produzione: Carlotta Calori, Francesca Cima, Nicola Giuliano per Indigo Film e Vision Distribution Regia: Giuseppe Stasi, Giancarlo Fontana Soggetto e Sceneggiatura: Fabio Bonifacci Interpreti: Sarah Felberbaum (Janis), Cesare Bocci (Politico bello), Claudio Bisio (Peppino Garibaldi), Ivano Marescotti, Pietro Sermonti (Ivan), Paolo Calabresi (Teodoro Guerriero), Massimo Popolizio, Roberta Volponi, Guglielmo Poggi (Danilo Stella), Antonio Milo (Antonio Cucciolina), Antonio Petrocelli (Presidente della Repubblica), Marta Gastini (Sandrina), Franco Ravera (Luciano), Marco Ripoldi (Vincenzo Maceria), Francesco Zenzolam (Freelance Sabino) Durata: 96’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 28 marzo 2019

si trova a dover affrontare anche la lotta alla corruzione per salvare l’Italia da un attacco economico da parte di alcuni speculatori. Parla in Parlamento e riesce a far approvare delle leggi per cui tutto si sistema e l’Italia viene comprata dalla Germania, finalmente diventando un paese vivibile. Partendo da Benvenuto Presidente del 2013 il produttore Nicola Giuliano e lo sceneggiatore Fabio Bonifacci hanno realizzato un sequel,

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Bentornato presidente, che tanto ci ricorda la situazione politica attuale. Peppino Garibaldi, dopo essere stato proclamato accidentalmente Presidente della Repubblica, diventa Presidente del Consiglio alla guida di un paese allo sbando. Il nome non è affatto casuale e riprende quello dell’omonimo eroe risorgimentale italiano, noto per il suo contributo all’Unità d’Italia. Allo stesso modo, tra scoraggiamento e forte spirito patriottico, il protagonista tenterà di fare chiarezza in ogni aspetto del paese. Molto più legata alla realtà rispetto al primo film e densa di significati, la commedia fa un ritratto della contemporaneità senza scrupoli. È evidenziata l’impreparazione culturale di certi parlamentari, il loro analfabetismo funzionale e certi atteggiamenti poco consoni alla carica che ricoprono. Il tutto è realizzato attraverso una satira politica che fa sorridere, ma è anche un po’ amara, perché ritrae l’Italia in tutte le sue maccheroniche incongruenze. Fare un sequel dopo il primo film,

che ha avuto successo, non era così scontato, ma l’esperimento sembra esser andato a buon fine. La trama è consecutiva a quella del primo film e le due parti andrebbero viste come un’opera unica, un tracciato di storia lineare che non può essere diviso come due periodi differenti. I leader dei partiti di maggioranza sono la versione caricaturale di qualcosa che è già grottesco all’origine, mentre il quadretto che incornicia l’opposizione è la ciliegina sulla torta. C’è il leader del Movimento dei Candidi, che richiama Luigi Di Maio, che arriva al Parlamento in autobus, il leader del partito Precedenza Italia che è chiaramente Matteo Salvini, che arriva al lavoro con due Hummer. Poi c’è un leader della sinistra, di Sovranità Democratica, che evoca Matteo Renzi, in mezzo a tanta corruzione. Nel film ci sono battute e gag, ma anche molti momenti seri e discorsi che spingono alla riflessione. Un aspetto molto importante è soprattutto la rottura della quarta parete, in particolar modo nella scena finale del discorso sul pagare le tasse di Garibaldi in Parlamento, in cui il pubblico viene lasciato con un messaggio di unità e dovere personale per il bene del paese. Oltre alle varie tematiche di attualità e di politica, la pellicola ha

di Sameh Zoabi Origine: Lussemburgo, Francia, Israele, Belgio, 2018

Veronica Barteri

TUTTI PAZZI A TEL AVIV

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Tel Aviv brucia, fiction palestinese di grande successo, segue le vicende di Rachel, spia araba Regia: Sameh Zoabi contesa sentimentalmente tra un Soggetto e Sceneggiatura: Dan generale sionista, Yehuda, di cui Kleinman, Sameh Zoabi deve scoprire i piani d’attacco, e Interpreti: Kais Nashif (Salam), Lubna Marwan, combattente della resiAzabal (Tala), Yaniv Biton (Assi), Nadim stenza araba, all’alba della Guerra Sawalha (Bassam), Maisa Abd Elhadi (Mariam), Salim Daw (Atef), Yousef ‘Joe’ dei Sei Giorni del 1967. Sweid (Yehuda), Amer Hlehel (Nabil), Ashraf Salam, giovane senza grandi Farah (Marwan), Laëtitia Eïdo (Maisa) doti o aspirazioni, viene assunto Durata: 97’ come esperto di cultura israeliana Distribuzione: Academy Two per la consulenza ai dialoghi graProduzione: Bernard Michaux per Samsa Film, Gilles Sacuto, Miléna Poylo per TS Productions, Amir Harel per Lama Films, Patrick Quinet per Artémis Productions

una costruzione in cui risaltano parecchio gli aspetti che caratterizzano le pellicole americane. Il montaggio frenetico e articolato ha un ruolo fondamentale e dà un taglio diverso al film. I temi della politica e dell’eccessiva presenza di quest’ultima nei social network sono ben costruiti e, in particolar modo, è interessante come vengono mostrati a livello umano i politici, che hanno una grande facciata da esibire a tutto il paese, ma restano comunque esseri umani con emozioni, passioni e rimpianti. I messaggi lasciano il pubblico a guardarsi allo specchio e a prendere coscienza dei propri doveri verso il proprio paese e gli altri cittadini. Nel cast Claudio Bisio, con la professionalità che lo contraddistingue, si dimostra anche questa volta il Presidente che tutti vorremmo avere. Al suo fianco Sarah Felberbaum (che prende il ruolo che fu di Kasia Smutniak) è invece piuttosto rigida nel suo ruolo. Pietro Sermonti si sta specializzando nella parte dell’impenitente burocrate. Il resto del cast è macchiettistico al massimo con Massimo Popolizio, Paolo Calabresi, Cesare Bocci, Ivano Marescotti, Antonio Petrocelli, Guglielmo Poggi e Marco Ripoldi.

Uscita: 9 maggio 2019

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zie a suo zio Bassam, produttore della soap. Costretto a spostarsi quotidianamente da Gerusalemme a Ramallah, Salam deve attraversare un checkpoint, in cui viene fermato per un equivoco linguistico e condotto dall’ufficiale israeliano Assi, la cui moglie è una fan della serie. Fingendosi un autore, Salam consegna il copione della puntata successiva e Assi, sebbene contrario al messaggio antisionista del programma ma desideroso di re-

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cuperare la stima di sua moglie, corregge la sceneggiatura, affinché emerga lo spessore militaresco ma al contempo romantico di Yehuda, che i finanziatori vogliono oscuro e minaccioso in quanto sionista. Salam riscrive i dialoghi tra Rachel e Yehuda seguendo i consigli di Assi, innervosendo la sceneggiatrice, che abbandona il set e viene sostituita dal protagonista, incaricato della stesura del romance, dimostrandosi inadeguato e costretto a chiedere aiuto ad Assi. L’ufficiale accetta, a condizione che Rachel sposi Yehuda, affinché l’unione tra un’araba e un ebreo possa sensibilizzare le tensioni arabo-istraeliane, stufo dell’occupazione e del suo incarico al checkpoint. Dal momento che la serie deve valorizzare il dovere e non l’amore, Bassam accetta l’idea del matrimonio, a patto che Rachel si faccia esplodere in un attentato che uccide Yehuda e i suoi uomini. Contrariati dal bacio tra i due personaggi, i finanziatori, sostenitori di Marwan, sono disinteressati all’aumento dell’indice d’ascolti e vogliono che Salam renda il generale più minaccioso e che aumenti la melodrammaticità attraverso la diagnosi del cancro di Rachel, la cui scoperta fa infuriare la moglie di Assi, che non crede più alle promesse del marito in merito al matrimonio; furioso, l’ufficiale preleva Salam e gli confisca il documento d’identità, che gli verrà restituito solo dopo le nozze con Yehuda. Tala, l’attrice protagonista, non accetta la malattia del suo personaggio, per cui minaccia di tornare a Parigi; Maisa, la costumista, chiede a Salam di sostituire Rachel con una nuova protagonista, interpretata da lei. Salam invia dei messaggi attraverso la serie a Mariam, la sua ex fidanzata, per dichiararle il suo amore e farsi perdonare per gli errori passati, per cui la ragazza accetta di uscire a cena, sebbene il protagonista sia costretto a rimandare

a causa dei capricci di Tala, che lo obbliga a scrivere tutta la notte la sceneggiatura delle nozze con Yehuda, giustificate dalla diagnosi errata della malattia di Rachel. Bassam accetta il copione della puntata finale, a patto che nel bouquet Rachel nasconda il comando per azionare la bomba. Nel frattempo, Salam si riappacifica con Mariam e, nonostante le divergenze, tornano insieme. Per recuperare il documento d’identità, Salam propone un nuovo accordo ad Assi: prima dell’attentato di Rachel, il rabbino, interpretato da Assi, si rivela un ufficiale sionista che fa arrestare sia la donna che Yahuda, considerato un traditore, nell’idea che un matrimonio tra fazioni nemiche non avrebbe storicamente senso in un anno come il 1967, viste le conseguenze che la guerra comporterà. Il finale ha un grande successo e la serie viene rinnovata per una seconda stagione, con Assi come protagonista e Maisa come nuova femme fatale.

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Presentato a Venezia 75 nella sezione Orizzonti (aggiudicandosi il premio per la miglior interpretazione maschile per Kais Nashif nel ruolo di Salam), il film di Sameh Zoabi gode immediatamente di un ottimo consenso di pubblico e di critica grazie a un’ironia pungente, capace di riflettere su una divisione e un’incomunicabilità tra popoli che ancora oggi sembra non trovare alcuna risoluzione. Mentre il titolo italiano rivela immediatamente la dimensione ludica e frizzante che caratterizza la pellicola, giocando su titoli piuttosto noti come Tutti pazzi per Mary o addirittura fiction italiane come Tutti pazzi per amore, il titolo originale (Tel Aviv on Fire, titolo della soap diegetica) risulta geniale nel deviare le aspettative di un pubblico che aspetta di trovarsi di fronte a un’ennesima trattazione dello scontro tra Israele e Palestina, sullo 37

sfondo di una Tel Aviv “in fiamme”, ipotesi totalmente smentita dalla prima sequenza, che svela l’artificiosità delle immagini iniziali dello sceneggiato (scandite da una luce patinata, una musica eccessivamente enfatica e una recitazione ai limiti del melodramma), proiettandoci sul set del programma, corrispettivo palestinese de Gli occhi del cuore di Boris. La sceneggiatura è sicuramente il punto di forza del film, strutturandosi attorno a un’ironia intelligente e surreale, capace di non imporsi come mero divertissement fine a se stesso, ma in grado di muovere riflessioni politiche, ideologiche, sociali e storiche attraverso un linguaggio iperbolico, che accentua e deforma l’esistenza non per costruire una realtà ex novo, ma per svelare le contraddizioni insite all’interno della quotidianità palestinese (si pensi agli equivoci attorno alla parola “bomba”). Metalinguisticamente, la vita si struttura come meccanismo in grado di mandare avanti una finzione che è funzionale alla vita stessa, come dimostrato dal potere narcotizzante della serie nei confronti del pubblico (con tutti i suoi rischi, compresa la propaganda antisionista denunciata da Assi) e proprio perché capace di penetrare capillarmente nell’esistenza ordinaria dell’individuo, lo spettacolo diventa l’unico appiglio per garantire la speranza dell’annientamento di barriere fisiche e mentali, nel tentativo di ritrovare quella pace ricercata tanto dai civili quanto dai militari. Leonardo Magnante


di Daniele Luchetti

MOMENTI DI TRASCURABILE FELICITÀ

Origine: Italia, 2018 Produzione: Beppe Caschetto per IBC Movie, Rai Cinema Regia: Daniele Luchetti Soggetto: liberamente tratto dai libri “Momenti di trascurabile felicità” e “Momenti di trascurabile infelicità” di Francesco Piccolo Sceneggiatura: Daniele Luchetti Interpreti: Pif - Pierfrancesco Diliberto (Paolo), Thony (Agata), Renato Carpentieri (Impiegato Paradiso), Angelica Alleruzzo (Aurora), Francesco Giammanco (Filippo), Vincenzo Ferrera (Carmine), Franz Santo Cantalupo (Giuseppe), Manfredi Pannizzo (Filippo) Durata: 93’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 14 marzo 2019

Paolo, ingegnere a Palermo con una bella moglie affettuosa, Agata e due figli sfida ogni giorno in moto il magico istante in cui, a un incrocio, il semaforo rosso sembra coesistere per tutti i sensi di circolazione. Se per tanti giorni la fortuna gli è vicina permettendogli di passare indenne l’incrocio, una volta gli è fatale: Paolo, preso in pieno da un camion, vola nell’aldilà dove si trova ad aspettare in una sala tipo ufficio pubblico caotico e dispersivo la sua definitiva sistemazione tra i defunti. L’impiegato del Paradiso, nel controllare i conti di tutta l’esistenza di Paolo, si accorge però di avere tralasciato il numero delle centrifughe che lui diligentemente sorbiva a casa ogni mattina. Tutto questo costituisce per lui un “bo-

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nus” di un’ora e trentadue minuti da potere sfruttare ancora sulla terra. Così Paolo si ritrova giù di nuovo e cerca di capire meglio i momenti cruciali della propria vita e di apprezzare maggiormente l’amore della moglie e dei figli. Scorrono le immagini di tutti i suoi anni: gli amici al bar con cui seguire in televisione le avventure della loro squadra, il Palermo; gli amori e le conquiste femminili sempre presenti e la moglie, la grande passione della propria vita, la dolcezza fatta persona con cui Paolo ha avuto due simpaticissimi ragazzi. È ovvio, per lui, non volere abbandonare tutto questo di cui solo al momento comprende la grandezza e lo spessore; contemporaneamente con comica concentrazione cerca di trasmettere ai suoi la drammaticità della situazione che non è, però, compresa. Il tempo passa, i minuti scorrono senza pietà mentre l’impiegato del Paradiso accompagna Paolo a quello che dovrebbe essere l’addio definitivo: insieme sono sulla moto e percorrono la strada che porta all’incrocio maledetto dove nulla avviene. Sono in leggero anticipo e così Paolo riesce a passare prima dell’arrivo del camion che l’avrebbe ucciso. Paolo frena la moto, può riprendere la propria esistenza, è felice; chi, invece, è terrorizzato dal modo di guidare sulla terra è l’impiegato del Paradiso che fugge per allontanarsi quanto prima da questo mondo di pazzi.

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Già Francesco Piccolo, autore del libro con lo stesso titolo da cui è tratto il film, aveva dimostrato con altri suoi scritti (sceneggiature, collaborazioni, soggetti e libri) 38

la passione, perché di passione si tratta, per l’essere umano e la sua “normalità”: dalle storie quotidiane di ognuno è possibile (così ci diceva, ad esempio, il suo Il desiderio di essere come tutti) desumere non solo il meglio e il peggio dell’intimità personale ma proprio il significato storico di un’intera società e l’apprezzamento più profondo circa la continua evoluzione del sentirsi uomini. Ovvio, quindi che Piccolo abbia scritto per cineasti animati dalla sua stessa forza e onestà intellettuale come Moretti, Soldini, Virzì, Archibugi etc. Daniele Luchetti non poteva mancare in questa serie per la sua capacità di raccontare con gioia il quotidiano che, pur nella sua semplicità, riesce a costituirsi come maestro di vita. La voce narrante fuori campo di Pif, protagonista della storia, contribuisce all’affresco di questa realtà fatta di piccoli gesti, del piacere di trovare insieme la strada che possa portare serenità; il piacere di continuare a smarrirsi di fronte al comportamento dei figli dalle cui esigenze e convinzioni ci si può sentire spesso allontanati. La delicatezza è padrona in questo film nel trattare passioni, sentimenti, sciocchezze giornaliere e tradimenti e anche nel raccontare le manie, le fisime, le fissazioni che occupano le vite e le case di tutti, tutti i giorni. Anche la morte e quello che avviene nell’aldilà è trattata, per non ferire né rattristare, in un disegno grottesco e antieroico, con un disegno amichevole, ironico: la sala d’aspetto dell’ipotetico Paradiso sembra davvero un ufficio postale di trent’anni fa’, pronto ad accogliere litigi sulle file, incomprensioni, impazienze, nonostante la

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presenza dei monitor, forse vecchi, di seconda mano. La recitazione sublime di Renato Carpentieri rende la situazione antimoderna, a portata di mano, priva di ieraticità: anche un povero impiegato del Paradiso può sbagliare e sbaglierà ancora nella previsione del risultato della partita del Palermo, potrà solo fuggire

a gambe levate dall’impossibilità di avere ragione degli uomini sulla Terra. Pif è perfetto nel suo ruolo, accattivante, pronto a parlare e spiegare la normalità della morte a cui si dirige con fantasia surreale e quel pizzico d’inquieta malinconia che porta il personaggio tra di noi. Bello, concreto, dolcissimo nel

suo fascino “normale” il personaggio di Agata, la moglie, a cui Thony regala ancora un’altra figura di donna (dopo La notte è piccola per noi) pronta alle difficoltà, all’amore, allo smarrimento e alla fiducia con la stessa forza seduttiva del suo incantevole sguardo. Fabrizio Moresco

di Pierre Salvadori

PALLOTTOLE IN LIBERTÀ

Origine: Francia, 2018

In una città della Costa Azzurra, la detective Yvonne è la giovane vedova del capo della polizia Santi, diventato un vero eroe locale. Tutte le sere, prima di andare a dormire, la donna racconta a suo figlio delle storie eroiche sul papà che esce indenne da ogni situazione di pericolo. Nel porto della città viene eretta una statua in memoria di Santi, morto durante un’operazione di polizia con la pistola in mano. Poco dopo però, Yvonne viene a sapere che il marito non era lo stinco di santo che tutti credevano. La donna confida all’amico e collega Louis (innamorato segretamente di lei) che suo marito era un uomo disonesto che durante una missione aveva mandato un innocente in prigione. Una rapina in gioielleria era in realtà una truffa: serviva un capro espiatorio e ci andò di mezzo Antoine, un giovane che lavorava nel laboratorio. Il ragazzo finì in prigione pur essendo innocente. Dopo aver scontato una pena di otto anni, Antoine esce di galera. Assalita dai sensi di colpa, Yvonne si apposta fuori dal carcere e lo segue. Il giovane torna a casa dalla moglie Agnès che resta confusa. Dopo aver cenato in un ristorante con la moglie, Antoine si allontana per andare a comprare le sigarette; Yvonne lo segue. La giovane

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poliziotta continua a pedinarlo in una discoteca. Fuori dal locale Antoine aggredisce due uomini. Yvonne segue l’uomo che continua a parlare da solo confessando che tutte le notti sogna di aver rapinato davvero la gioielleria in cui lavorava. Antoine continua a vagare seguito da Yvonne. Il giovane, disperato, si butta in mare; Yvonne lo segue e lo trascina sulla spiaggia. I due battibeccano, Antoine confessa che vuole uccidersi perché gli hanno rubato otto anni di vita per un crimine che non ha commesso. Da quando è uscito di prigione crede di essere diventato un mostro; Yvonne gli dice che i suoi atteggiamenti sono normali, visto quello che gli è successo. Antoine ruba un’auto insieme a Yvonne. Poco dopo, le dice che ha diritto a un po’ di lei e prova a baciarla ma la ragazza scappa. Tornata a casa, Yvonne si fa baciare da Louis. In commissariato, Louis, ancora sconvolto per il bacio, ascolta distrattamente la confessione di un uomo che dice di aver assassinato sua zia e di averne portato i pezzi in sacchetti di plastica. Poco dopo, Antoine viene arrestato e portato in centrale. Yvonne chiede a Louis di farlo uscire. Fuori la ragazza incontra di nuovo Antoine. Il giovane la invita a cena e le dà appuntamento in un ristorante. Yvonne non arriva e nel locale scoppia un incendio. Yvonne trova 39

Produzione: Philippe Martin, David Thion per Les Films Pelléas Regia: Pierre Salvadori Soggetto e Sceneggiatura: Benjamin Charbit, Benoît Graffin, Pierre Salvadori Interpreti: Adèle Haenel (Yvonne), Pio Marmaï (Antoine), Audrey Tautou (Agnès), Vincent Elbaz (Santi), Damien Bonnard (Louis), Hocine Choutri (Mariton), Octave Bossuet (Théo), Norbert Ferrer, Martin Pautard, Emmy Stevenin, Christophe R. Tek (Buttafuori) Durata: 107’ Distribuzione: Europictures Uscita: 30 maggio 2019

Antoine ferito. La giovane lo porta in un appartamento dove qualche giorno prima era stata fatta una retata che aveva portato all’arresto di un gruppo di persone dedite a incontri sessuali sadomaso. Yvonne fa credere ad Antoine di lavorare lì. Il giovane le dice che loro hanno molte cose in comune, sono due bersagli della violenza degli altri. Intanto Agnès va alla stazione di polizia a denunciare la scomparsa di Antoine, poi confessa la sua disperazione per come suo marito sia cambiato totalmente dopo la prigione. Tornata a casa, trova Antoine che le confessa di aver provato a tornare l’uomo che era prima senza riuscirci, sente di dover ricominciare daccapo con qualcuno che non lo conosce. Antoine va nell’appartamento degli incontri sadomaso dove c’è Yvonne: i due si travestono con costumi


di lattice nero e vanno a rapinare una gioielleria. Durante la rapina lei gli confessa di essere una poliziotta e di essere la vedova di Santi. Antoine le dice addio, arriva la polizia. Antoine porta alla moglie i gioielli frutto della rapina. Yvonne sconta una pena in prigione. Uscita poco tempo dopo, la donna torna da Louis. Nella scena finale, Yvonne racconta al figlio un’altra storia sul papà. Il bambino vede apparire il papà nella sua stanza e lo saluta prima che esca dalla finestra verso nuove imprese. Che le vecchie distinzioni di genere da tempo non esistano più al cinema è un fatto acclarato, contaminazioni di tutti i tipi sono ormai una consuetudine ricorrente. Affermazioni ancora più valide se si tratta di una pellicola come Pallottole in libertà (in originale solo En liberté) diretto dal francese Pierre Salvadori. Commedia con venature di dramma, ‘polar’ sui generis con in-

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cursioni nel rosa, action mescolato al thriller, film comico con tratti grotteschi e poetici. Tutto questo è frullato insieme in un film curioso e non completamente riuscito nel suo strano mix di registri e toni. Il fil rouge della vicenda è certamente il senso di colpa della protagonista Yvonne, vedova di un poliziotto disonesto che ha mandato in prigione un uomo innocente. La donna cerca per tutta risposta di evitare la verità e di nasconderla: a suo figlio, al suo collega innamorato di lei, all’innocente ingiustamente incarcerato. Sensi di colpa, maschere e menzogne sono temi ricorrenti nel cinema del regista Pierre Salvadori, basti pensare a commedie come In amore c’è posto per tutti, Ti va di pagare? e Beautiful Lies In questa strana commedia tutti mentono, cambiano personalità e all’unico che dice la verità (o almeno tenta di dirla), ossia il killer che confessa di aver ucciso sua zia e ne trascina dietro i resti in sacchetti di plastica, non si dà attenzione. Pallottole in libertà è un film dal grande ritmo con spruzzate di romanticismo, scene poetiche e incursioni nell’assurdo. Gli attori sono in parte, in particolare i due protagonisti Adèle Haenel e Pio Marmaï, perfetti nel dar corpo alla poliziotta Yvonne e all’innocente Antoine che ha scon-

di Bonifacio Angius

tato una detenzione ingiustamente. A completare il trio, segnaliamo la partecipazione di Audrey Tautou (musa del regista con cui ha lavorato già in Ti va di pagare? e Beautiful Lies) capace di infondere al personaggio della triste Agnès un fascino quasi lunare. I riferimenti intenzionali nelle scene d’azione spaziano dai ‘polar’ di Melville con Belmondo fino a James Bond, ma non solo: nel colorato caleidoscopio di Salvadori entrano in gioco anche precisi rimandi ad alcune ‘folli’ commedie anni ’80 di Jonathan Demme come Qualcosa di travolgente e Una vedova allegra... ma non troppo. Stessa stilizzazione, stesso colore, stesso ritmo frenetico, stessa attenzione per personaggi femminili fortemente caratterizzati. Pur non pienamente riuscito, Pallottole in libertà è un film cui non manca la giusta dose di follia e senso dell’assurdo. Si gioca con il tema dell’importanza della finzione e con pulsioni come il senso di colpa, il rancore verso qualcuno che ha indossato per anni una maschera, il desiderio e insieme la frustrazione nel tentativo di recuperare il tempo perduto, la voglia di qualcosa che spinga fuori dalla piatta e insoddisfacente quotidianità. Elena Bartoni

OVUNQUE PROTEGGIMI

Origine: Italia, 2018 Produzione: Andrea Paris, Matteo Rovere per Ascent Film

In un isolato chiosco sulla spiaggia Alessandro suona Regia: Bonifacio Angius e canta canzoni in dialetto Soggetto e Sceneggiatura: Bonifacio sassarese per un piccolo Angius, Fabio Bonfanti, Gianni Tetti pubblico annoiato. Torna Interpreti: Alessandro Gazale (Alessandro), con un anziano fisarmonicista che Francesca Niedda (Francesca), Antonio Angius (Antonio), Gavino Ruda, Teresa lo accompagna da anni nelle sue Soro, Mario Olivieri, Anna Ferruzzo tournée in giro per il territorio. AcDurata: 94’ campando qualche scusa - la moglie Distribuzione: Ascent Film malata, la propria stanchezza - anUscita: 29 novembre 2018 nuncia al suo cantante il proprio ritiro dal gruppo. Alessandro non la

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prende bene per niente, si fa lasciare davanti a un bar, dove scarica la sua rabbia tra alcol e slot machine. Non affrancato dalla frustrazione, corre in discoteca dove continua a bere disperatamente. All’uscita incontra tre ragazze ben più giovani di lui, con cui sniffa cocaina. Poca, parrebbe, ne serve dell’altra per continuare la serata. Servono duecento euro.

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Alessandro, spaccone eccitato, sostiene che i soldi li ha lui, a casa. Si fa accompagnare dalla brigata femminile, sale e fruga nel cassettone della camera materna. La madre si sveglia con il viso stanco, e gli dice di smetterla con le solite scene pietose. È il colmo, per Alessandro: dà in escandescenza, perde la ragione e mette a soqquadro la casa. La madre, spaventata, chiama la polizia municipale che decide per un trattamento sanitario obbligatorio, lo dirottano coattivamente al reparto sanitario dell’ospedale di Sassari. Dopo un momento di calma disperazione, tra personaggi astratti dal mondo, Alessandro conosce una piccola donna che, senza aver alcun filtro e vergogna, gli fa dei complimenti e gli offre suggerimenti su come affrontare il colloquio con il medico psichiatra. Suggerimenti che lui applica, quasi meccanicamente. Forse funzionano, perché verrà dimesso a breve. Con lui, in contemporanea, anche la giovane donna, Francesca, che gli aveva confessato di avere un figlio che la aspettava fuori di lì. Insieme attendono, fuori dall’Ospedale, l’arrivo di qualcuno, di un mezzo da prendere, forse. Lei gli dice, ferma: io vado via, prendo mio figlio e vado a Barcellona a fare gelati, lontana da tutte le maldicenze di questo piccolo territorio ingrato. Si decide a salire su un bus e Alessandro, con delle incertezze, la segue sul mezzo: inizia il loro viaggio insieme. Arrivano in una casa fuori città, una villetta. È la casa di Francesca, dove lei vuole prendere Antonio, suo figlio, e portarlo con sé. Purtroppo non c’è, l’hanno portato via i servizi sociali, a Cagliari, così dicono, in mezzo al tormento di tutti, i genitori di Francesca. Lei, su tutte le furie, scappa via. Vuole trovarlo a costo di subire qualunque cosa. Alessandro ha un’idea: chiederà la macchina, solo per poche ore, all’anziano amico e

compagno di musica che lo aveva lasciato pochi giorni prima. Con qualche difficoltà ottiene il prestito, ed eccoli sulla strada, pronti al viaggio. Fanno tappa a un chiesa campestre, dove Alessandro compra delle birre nel chiosco poco fuori. Francesca entra per pregare, seguita dal compagno di viaggio: lei prega e, dopo essersi voltata per guardare alle sue spalle, vede Alessandro trasfigurato in un angelo. Proseguono verso Cagliari, assolata come tutto quello che sta loro attorno. Arrivati alla struttura in cui Antonio è ospite vengono però respinti: non possono vedere il bambino. Con grande rabbia e liti vanno via ma, percorso qualche chilometro, ritrovano Antonio nella loro auto: li aveva visti arrivare dalla spiaggia accanto alla struttura. Decidono di portarlo con sé e, dopo una sosta in un autogrill e la sensazione di essere inseguiti dalla polizia, la coppia litiga furiosamente. Francesca ed Antonio prendono la loro strada, a piedi, Alessandro rimane solo. Fa quello che sa fare: arriva in un paese, inizia a bere e ad attaccare briga. Nella piazza vede un palco, è un concerto del suo vecchio trio, con un nuovo cantante che lo sostituisce. Ecco un altro raptus: il sostituto viene chiuso in bagno prima del concerto da Alessandro, che si prende la scena e il microfono. Tra il pubblico c’è il piccolo Antonio. Alessandro, stupito dalla presenza del bambino, scende dal palco e lo segue fino alla stazione, dove trova Francesca addormentata. Decidono di provare a partire, nonostante sia arrivata la notizia della loro fuga anche nei telegiornali. Arrivano alla stazione marittima, Alessandro ha un’idea. I controlli all’ingresso della nave sono stringenti. Mentre l’auto con Francesca e Antonio è in fila per imbarcarsi, lui mette in difficoltà la pattuglia di controllo facendo domande fuori luogo, fino ad arri41

vare, al culmine della tensione, a picchiare un poliziotto: arrivano i colleghi a mettere fine alla rissa e ad arrestare Alessandro, mentre nel caos, indisturbata, l’automobile con Francesca e Antonio si imbarca sul traghetto per Barcellona. Opera seconda che arriva sulla scorta del successo di critica di Perfidia, rivelatosi in concorso al festival di Locarno, Ovunque proteggimi trova ad accoglierlo la competente platea del Torino Film Festival. Anche in questo caso tanti applausi e recensioni convincenti. Un fenomeno originale, il cinema di Angius, che si ritaglia con merito un piccolo posto luminoso nel chiaroscuro delle opere italiane che girano nel limbo della cattiva, o inesistente, distribuzione dei film nelle sale. I motivi sono tanti, lo erano con Perfidia e ancor di più con l’ultimo film. Un cinema fuori moda, innanzitutto, e già questo basterebbe a confortare l’annoiato spettatore delle sale. Ovunque proteggimi è un melodramma della classe media, dove la parte sconfitta è, per paradosso, quella che si dichiara vincitrice. Vincono i perdenti, dunque: vitali, reattivi, eversivi senza freni e dunque capaci del pieno amore, senza il solito filtro del sesso che, spesso, inquina a sproposito molti film locali. È un film locale, e di questi è pieno il mondo, ma non localistico, e questo è già un fatto raro. Quanti film sono stati capaci di

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dimostrare un radicamento territoriale - nelle piccole cose preziose, come un modo di dire, una canzone, una chiesa sulla strada - senza scadere nella caricatura folk? Anche la malattia mentale, che potrebbe essere uno dei temi del film, è sovvertita nella sua concezione comune: i protagonisti, con lo stigma del ricovero coatto, sono

in realtà stati rinchiusi, probabilmente, per eccesso di vita: qualcuno diceva che chi prima andava in manicomio è perché sapeva riconoscere la verità e, forse, anche in questo caso è così. Ovunque proteggimi ha poi un pregio raro: è ottimamente recitato da tutti, dai ruoli principali - Alessandro Gazale e Francesca Niedda sempre

di Stéphane Brizé

credibili ed emozionanti - alle seconde file, qualcosa in più di colore e caratterizzazioni. Un film che non teme di essere fragile come i suoi protagonisti, come forse il suo autore, e che mostra un religioso attaccamento alla vita, sia quel che sia. Sergio Scavio

IN GUERRA

Origine: Francia, 2018 Produzione: Christophe Rossignon, Philipp Boëffar con la Collaborazione di Dxavier Mathieu, Ralph Blindauer, Olivier Lemarie per Nord-Ouest Films, France 3 Cinéma, Vincent Lindon, Stéphane Brizé Produttori Associati Regia: Stéphane Brizé Soggetto e Sceneggiatura: Stéphane Brizé, Olivier Gorce Interpreti: Vincent Lindon (Laurent Amédéo), Mélanie Rover (Mélanie – Sindacalista), Jacques Borderie (M. Borderie, Direttore), Olivier Lemaire (Sindacalista), Bruno Bourthol (Sindacalista), Sébastien Vamelle (Sindacalista), Valérie Lamond (Avvocato degli operai), Jean Grosset (Assistente sociale), Guillaume Draux (Signor Censier) Durata: 112’ Distribuzione: Academy Two Uscita: 15 novembre 2018

Gli 11.000 dipendenti della fabbrica Perrin Industries di Agen hanno appena ricevuto la notizia che la loro fabbrica specializzata in apparecchiature automobilistiche chiuderà in via definitiva. I lavoratori si sentono traditi. Due anni prima la dirigenza si era impegnata a mantenere aperta l’attività in cambio della soppressione di diversi bonus e del passaggio a 40 ore settimanali senza aumenti degli stipendi: i dipendenti lavoravano 40 ore ed erano pagati per 35. Gli operai sono disgustati. La fabbrica è una filiale francese del gruppo tedesco Dimke e l’anno precedente ha generato 17 milioni di Euro di utili. Ma il diret-

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tore finanziario dello stabilimento, Jacques Borderie, parla ai rappresentati sindacali di mancanza di competitività. I dipendenti, capitanati dal portavoce Laurent Amédéo, chiedono il rispetto dei patti di due anni prima; mantenere il posto di lavoro per cinque anni. I lavoratori si sono sacrificati per il bene della fabbrica: il totale delle loro rinunce ammonta a 14 milioni di Euro. L’accordo doveva servire a farli tornare competitivi ed evitare la chiusura della fabbrica. Gli operai hanno deciso di bloccare la produzione se la dirigenza non manterrà la parola data. Lo sciopero è in atto da due settimane. Dopo ventitrè giorni di stop, i rappresentanti sindacali incontrano Jean Grosset, il Consigliere Speciale dell’Eliseo mandato dal Presidente che afferma che lo Stato ha le mani legate perché un intervento statale darebbe un messaggio negativo per gli investitori stranieri. Per di più la magistratura ha respinto la richiesta di annullamento della chiusura della fabbrica. La direzione promette una buonuscita superiore al minimo legale. Grosset riferisce ai rappresentanti sindacali che il Ministro del Lavoro proverà a chiedere un incontro dei lavoratori con il signor Hauser, amministratore delegato tedesco della Dimke. Dopo un mese di sciopero gli ope42

rai invadono la sede dell’Organizzazione delle Imprese di Francia ma non riescono a farsi ricevere dalla Presidenza. Il braccio di ferro continua. I dirigenti dicono che un’azienda deve stare al passo col mercato, Laurent afferma che non è possibile che la fabbrica sia in difficoltà e cita i resoconti. Il signor Censier, amministratore delegato della Perrin Francia, propone misure di accompagnamento, ma i rappresentanti del sindacato CGT capitanato da Laurent non ne vogliono sapere. Si crea una spaccatura tra la CGT e la sigla SIPI i cui rappresentanti Olivier e Bruno hanno trattato con i dirigenti la buonuscita, Laurent ritiene che accettare quei soldi equivalga a vendersi. Olivier invece è soddisfatto perché la loro protesta ha fatto aumentare la buonuscita e invita Laurent ad accettare la realtà. L’uomo dice che litigando fanno il gioco della dirigenza che vuole creare una spaccatura tra di loro. Si apre una lotta tra chi vuole tornare a lavorare e la linea dura: arriva la polizia, vengono tolti i sigilli alla fabbrica. I rappresentanti della SIPI vogliono tornare al lavoro, quelli della CGT cercano di bloccare le macchine. Lo stabilimento è teatro di violenti scontri. Intanto Censier comunica di aver ottenuto da Hauser la disponibilità a incontrare i

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rappresentanti della fabbrica di Agen alla presenza del Consigliere Grosset. Laurent comunica ai suoi compagni la notizia e dice che presenteranno a Hauser la proposta della società Alcam di rilevare lo stabilimento. L’incontro tra i rappresentanti sindacali e Hauser avviene a porte chiuse. La proposta della Alcam di rilevare la fabbrica, nonostante sia sostenuta dal governo, viene rifiutata perché non presenta elementi che permettono la fattibilità del progetto. La legge francese non obbliga a vendere al potenziale acquirente. Viene confermata la chiusura della fabbrica e il licenziamento di 1.100 dipendenti. Uscito dall’incontro Hauser viene caricato dai manifestanti e rimane ferito. 13 dipendenti che hanno partecipato alle violenze vengono licenziati senza buonuscita. Ora l’azienda rifiuta qualsiasi dialogo. I capi della SIPI accusano Laurent: ora nessuno otterrà la buonuscita che erano riusciti a concordare. Laurent ammette la sconfitta, poi, distrutto, va a trovare la figlia che ha appena partorito. Quella sera trova una scritta ingiuriosa sul muro davanti casa sua e un vetro rotto. Dopo aver tolto gli effetti personali dal suo armadietto, Laurent va davanti alla sede della Dimke in Germania, si cosparge di benzina e si dà fuoco. Un pugno duro nello stomaco, un messaggio forte, un grido rivolto in difesa dei più deboli. Presentato nella Selezione Ufficiale del Festival di Cannes 2018, In guerra è un film importante, un’opera che mostra con disarmante realismo quella rabbia alimentata da un senso di umiliazione e disperazione, accumulata da settimane di lotta da un gruppo di operai di una fabbrica di componenti per le automobili che rischiano il licenziamento. La rabbia sì, quella che rivela spesso una spro-

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porzione colossale tra le forze in campo, fra due parti lontane, una forte, l’altra debole. Una situazione che contrappone la dimensione umana contro gli interessi economici. Con questo film il regista Stéphane Brizé pone un quesito cruciale: come possono combaciare queste due differenti interpretazioni del mondo? Possono anche solo coesistere ai giorni nostri? In guerra analizza con lucidità e senza alcuna presa di posizione politica un sistema oggettivamente coerente dal punto di vista degli azionisti ma altrettanto oggettivamente incoerente dal punto di vista umano. Il film mostra un fenomeno di cui notiziari TV e giornali parlano di continuo: delocalizzazione e fine della serenità da posto fisso sono la realtà del mondo del lavoro di oggi. Ma si va anche oltre, mostrando i meccanismi che sono dietro alla chiusura di quelle fabbriche che cessano l’attività pur essendo in attivo. Con un attento studio di situazioni come queste in fase di sceneggiatura, Brizé e Olivier Gorce hanno raccolto informazioni dalle persone che vivono questa realtà: operai, responsabili delle risorse umane, dirigenti d’azienda, avvocati specializzati nella tutela dei lavoratori e nella difesa degli interessi delle imprese. Il regista si è avvalso anche della consulenza di Xavier Mathieu, ex leader sindacale della Continental, che ha testimoniato il conflitto che lui stesso aveva vissuto nel 2009. Il risultato è un vero film ‘di guerra’ che mette sul piatto le diverse ragioni mostrando un confronto durissimo, sorretto da solide argomentazioni da entrambe le parti. Forte di una struttura narrativa solida, il film porta in scena un uomo forte e il suo gruppo ‘in guerra’ per salvare il proprio posto di lavoro. La battaglia portata avanti dagli operai della Perrin Industries non vede un’opposizio43

ne semplicistica tra operai buoni, padroni e politici cinici: si tratta di un lucido ritratto di un sistema economico gestito da persone i cui interessi non coincidono con quelli dei lavoratori. Ma la cosa più grave, mostrata con chiarezza, è che esiste uno squilibrio delle forze in campo: se una legislazione permette a un’azienda che produce profitti di chiudere, il rapporto di forze è compromesso. La conclusione del film è tragica e paradossale: se da un lato l’azienda che chiude è obbligata per legge a essere messa sul mercato, dall’altro la legge permette anche al proprietario di non vendere. I lavoratori non hanno possibilità di vincere la loro guerra, vittime della loro fragilità economica e degli scarsi mezzi legislativi, e non possono impedire la chiusura dello stabilimento. Dopo aver già trattato temi come la delocalizzazione e i meccanismi di costrizione del mondo del lavoro nel suo precedente film, La legge del mercato (2015), interpretato sempre da Lindon, Brizé questa volta va oltre, firmando un film asciutto e rabbioso. Vincent Lindon, capace di mescolarsi alla perfezione con gli altri interpreti non professionisti, si cala nel ruolo del portavoce delle battaglie degli operai Laurent Amédéo offrendo una prova memorabile. Rivolgendo lo sguardo indietro, alla storia della settima arte, la Francia vanta un’illustre tradizione di esperienze di cinema inteso come espressione di militanza e impegno politico: nel lontano 1913 la fondazione del Cinéma du


peuple aveva l’intento di realizzare film che raccontavano storie di proletariato e le sue pene, “delle angosce, delle speranze di moralizzazione, di una morale che è l’esaltazione del lavoro libero e affrancato”, come recitava il programma. Anni dopo, tra il 1934 e il 1937, si

colloca l’esperienza del Cinema del Fronte Popolare negli anni in cui la Francia era attraversata da una grande speranza rivoluzionaria e da un sogno di libertà e giustizia che coinvolse tutto il popolo. Nel cinema di quel periodo si riunirono tensioni e movimenti che sem-

di Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli

bravano destinati a svilupparne tutte le possibilità rivoluzionarie, artistiche ma soprattutto “umane”. Le stesse tensioni che si respirano nel duro, intenso, potente film di Stéphane Brizé. Elena Bartoni

DOVE BISOGNA STARE

Origine: Italia, 2018 Produzione: Stefano Collizzoli, Andrea Segre per Zalab Film, in Collaborazione con Annamaria Catricalà e Fabio Mancini per Rai3-DOC3 Regia: Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli Soggetto e Sceneggiatura: Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli Interpreti: Jessica Cosenza, Lorena Fornasier, Georgia Borderi, Elena Pozzallo, Andrea Franchi, Jahanzeb Momand, Marina Escosso, Elena Silvia Massara, Monica Gagliardi, Davide Rostan, Renato Sibille, Drammeh Musa, Marilù Sansica Durata: 98’ Distribuzione: Zalab Film Uscita: 17 gennaio 2019

Quattro donne, di quattro diverse città della penisola italiana, raccontano e abitano i luoghi dove si svolge la loro attività quotidiana: aiuto pratico, e su diversi fronti, ai migranti. Bardonecchia e Briançon, qui vive Elena, e questo è l’inizio del viaggio. Ultimo lembo della Val di Susa nella parte italiana, dall’inizio dell’inverno del 2018, molti migranti che non trovano la possibilità di attraversare il confine blindato di Ventimiglia/Menton si sono riversati a Bardonecchia per tentare di giungere in Francia affrontando

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la neve e il gelo delle montagne. Si tratta di una zona abituata da sempre a mobilitarsi per lotte vecchie e nuove e ad affrontare con movimenti nati dal basso situazioni difficili. Elena lavora presso un istituto superiore che si occupa di formazione, e conduce una vita intensa e impegnata, ma nonostante tutto non si è tirata indietro quando si è trattato di affrontare forse uno dei casi più difficili: un giovane camerunense salvato in extremis da alcuni volontari sulle montagne che ha corso il rischio dell’amputazione dei piedi per congelamento. Dopo una degenza in ospedale occorreva trovare una soluzione temporanea ma stabile ed Elena ha aperto la sua piccola casa al ragazzo decidendo di ospitarlo e seguirlo fino a quando non riuscirà a trovare almeno una sua autonomia di movimento. Seconda tappa del viaggio: Como, terra di frontiera con la Svizzera appena fuori dal centro cittadino. A luglio 2017 la guardia di frontiera cambia politica e respinge sistematicamente i migranti che, nel giro di pochi giorni, cominciano ad accamparsi fra la stazione ferroviaria San Giovanni ed il parco antistante. Georgia ha 26 anni e fa la segretaria in uno studio medico; saputo dell’arrivo dei primi migranti in stazione ha comprato una decina di spazzolini e qualche tubetto di dentifricio; si è trovata davanti 80 persone. Ha deciso di spenderci le ferie e oltre. Stessa sorte di Lo44

rena, 64 anni, psicologa clinica e psicoterapeuta di Pordenone. Da poco più di due anni è in pensione e con il suo compagno Andrea, ex professore di filosofia, conducono gli autori in una vecchia area industriale ormai vuota di Pordenone che tutti chiamano “jungle”. Qui trovano riparo pakistani, afghani e bengalesi che non riescono ad entrare nei percorsi di accoglienza istituzionali. L’area è delimitata da alte reti di alluminio in cui dei piccoli cartelli bianchi vietano l’accesso per pericolo di crollo. Nonostante l’età, Lorena e Andrea scavalcano con agilità cancelli e inferriate e vanno a rendersi conto di chi manca all’appello e di chi ha bisogno di cosa. I ragazzi, per lo più pachistani, li accolgono con grande affetto. Gli aiuti, le informazioni e l’attenzione di Lorena diventano fondamentali. Jessica, la più giovane delle quattro, ventiduenne, è il centro di gravità di una grossa occupazione abitativa di Cosenza. In via Savoia, dentro un edificio abbandonato che ospitava gli uffici dell’ATER, vivono quasi ottanta persone. Famiglie, singoli, gambiani arrivati da poco in Italia, marocchini, italiani. Bambini, adulti e anziani. Non fa alcuna differenza. Per Jessica non ci sono italiani e stranieri: ci sono persone che condividono un bisogno radicale, ossia quello abitativo, e che si organizzano per risolverlo dialogando con gli altri abitanti del quartiere e con le au-

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torità. Non c’è umanitarismo nelle sue motivazioni: se occupa non è per dare una mano a qualcuno più sfortunato di lei; è perché lei stessa ha questo bisogno. Casa sua è una stanza al primo piano, un bagno condiviso con altri tre nuclei, lo spazio comune dell’occupazione, che è una stanzetta in cima alle scale, un vasto cortile di cemento, e la guardiola all’ingresso in cui a turno gli occupanti stanno di guardia, cantano, chiacchierano e fumano sigarette, per non farsi trovare impreparati di fronte a un possibile sgombero. È merito di Medici Senza Frontiere se, tra le tante opere, azioni e reazioni all’esistente, ha visto e sottolineato en passant un dato affatto marginale: sono principalmente operatrici, volontarie, psicologhe coloro che si fanno carico dell’assenza dello Stato italiano prestando soccorso ai migranti una volta arrivati sulla terraferma, una volta abbandonati a sé stessi, una volta licenziati, respinti, negati. Zalab, nota associazione padovana di produzione e distribuzione di cinema sociale, e la già citata MSF, producono e distribuiscono Dove bisogna stare, per la regia di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli, scegliendo di dedicare

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le loro risorse anche a questo dato specifico. A occuparsi dei danni tangibili e quotidiani della politica salviniana ci sono Elena, Giorgia, Jessica, Lorena. Quattro exempla che mostrano con la propria vita ‘dove bisogna stare’. Un cinema di testimonianza, dunque, che sceglie come stile lo sconfinamento di più stili - ingaggiando talvolta la via dell’espediente, senza tuttavia lasciarsene limitare. “Questo documentario” sottolineano i registi “non racconta l’immigrazione dal punto di vista di chi sceglie di partire o è costretto a farlo: è innanzitutto un film su di noi, sulla nostra capacità di confrontarci con il mondo e di condividerne il destino”. Tale presupposto indica che parola e gesto - narrazione e immagine - debbano mettersi a servizio del “posto” che il cinema stesso è qui chiamato a creare, e di fatto crea, a partire dal suo stare dove bisogna, ossia dentro il vissuto delle sue quattro protagoniste. Nel fracasso socialmediatico quotidiano in cui ci muoviamo allibiti e sterili in faccia a chiusure dei porti, decreti sicurezza e altri immondezzai della ragione, il solo venire a conoscenza del fatto che, lontano dalle tastiere del pc, esista un tale ‘dove’ è una chiamata a farsi carico, riferire, restituire il bene di cui si è portatori. In tutta sempli-

cità. Sopraffatti dagli onanismi di presunti buonismi, infatti, siamo stati inghiottiti dall’unico ‘ismo’ che perdura. Le parole di Lorena fanno centro in questo senso. “Io come potevo dire: faccio finta di niente, volto la faccia dall’altra parte, continuo la mia vita normale? Ma come potevo? Sono andata in pensione, anche Andrea a 82 anni, perché non immaginare vacanze, cose così? Non ci interessa. Ma non perché abbiamo il senso di colpa e di sacrificio. Non ci interessa”. È il ‘non ci interessa’ di chi sceglie di guardare un documentario come questo, così come quello di chi sceglie di dedicarsi ai problemi altrui. È la scelta di quel dove - instabile, doloroso, molesto - che accetta la santa frustrazione di sapersi mai abbastanza. A chi cerca conforto nelle piazze anziché sui social network, nei cinema, anziché le piattaforme private di streaming, questo film pare dedicato. Con la speranza che un passaggio televisivo in orari diversi da quelli delle civette - il miracolo sarebbe al posto del tg - contribuisca a mitigare l’alienazione feroce dei “tempi cupi”, come li definiscono a ragione gli autori, che ciascuno di noi, anche restando sul posto, può contribuire a rischiarare. Carmen Zinno

di Valerio Mieli

RICORDI?

Origine: Italia,Francia, 2017

Durante una festa due ragazzi s’incontrano, Lei e Lui, non avranno nome, s’innamorano e cominciano a partecipare profondamente l’uno della vita dell’altra, quasi nel raggiungimento di una forma di simbiosi. Lui è tormentato, dedito a scavare ogni aspetto della vita e del

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rapporto con lei che vorrebbe catalogare in qualcosa a cui non sa dare un nome. Lei è felice, innamorata e pronta a progettare per il loro futuro un lavoro, un’attività, una casa. Lui sente che proprio nel momento culmine della loro relazione, è possibile che questo rappresenti il proprio passato e dimostri presto il tarlo della distruzione: come dire che quando tutto è pro45

Produzione: Angelo Barbagallo, Coprodotto da Laura Briand per Bibi Film ‐ Les Films D’Ici, con Rai Cinema, in collaborazione con Cattleya Regia: Valerio Mieli Soggetto e Sceneggiatura: Valerio Mieli Interpreti: Luca Marinelli (Lui), Linda Caridi (Lei), Giovanni Anzaldo (Marco), Camilla Diana (la ragazza rossa) Durata: 106’ Distribuzione: Bim Uscita: 21 marzo 2019


Bastano bei momenti, belle immagini, belle atmosfere per fare un bel film, anche solo un film? No, non bastano perché un film è soprattutto una storia, resa dal regista e dagli autori come meglio credono ma impossibile da eliminare come telaio portante della narrazione. Valerio Mieli, nell’esordio del 2009 con Dieci Inverni ci aveva già dimostrato la sua capacità e il suo piacere personale nel farci avvicinare a una storia d’amore tra due ragazzi, una specie di rito d’iniziazione dall’età giovanile a un’età più adulta. Qui i ragazzi sono più grandi e hanno già consolidato le proprie convinzioni, i propri modi di essere: lui, un tormentato Luca Marinelli d’autore, bello e dannato, legato ai ricordi famigliari e alle proprie sofferenze; non riesce a utilizzarle per progettare, con se stesso o con altri, giorni diversi e più illuminati

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prio molto bello, immediatamente nulla potrà essere come prima. Lei non vuole seguirlo in una strada densa di emozioni ma autodistruttiva, senza ritorno. Si lasciano, si riprendono, si lasciano. S’incontrano dopo un po’ di tempo: lei ha iniziato a lavorare come insegnante, ha una vita di cui ha mosso solo i primi passi, è soddisfatta. Lui è consapevole del tempo passato e della sua improduttività, ha nostalgia di qualcosa che è nato e si è esaurito nel suo nascere. Per loro il futuro è proibito.

di Francesco Micciché Origine: Italia, Gran Bretagna, 2018 Produzione: Roberto Cipullo, Mario Pezzi, Camaleo, in Coproduzione con Green Film, Stemo, Rhino, Prisma Production Regia: Francesco Micciché Soggetto e Sceneggiatura: Michela Andreozzi, Alessia Crocini Interpreti: Lorenzo Zurzolo (Sposo), Grace Ambrose (Sposa), Vincenzo Salemme (Gaetano), Diego Abatantuono (Diego), Dino Abbrescia (Tito), Valeria Bilello (Claudia), Elda Alvigini (Mia), Rosita Celentano (Amelia), Susy Laude (Michela), Sergio Friscia (Comandante dei Carabinieri), Carolina Rey (Carolina), Irene De Matteis (Ilaria), Federico Rossi (Matteo), Francesco Buttironi (Francesco) Durata: 90’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 24 gennaio 2019

Il porto è il loro banco di sfida. Diego e Gaetano, uno del Nord e l’altro del Sud, litigano per via di un tonno. Inizia così lo scontro dei due capifamiglia protagonisti,

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ma preferisce restare ancorato a un buco nero, a una voragine da cui non riesce (non vuole) tirare fuori la testa. Come se i ricordi perdessero il senso di quello che sono per divenire realtà e impedire che l’oggi possa essere diverso e migliore. Lei, una giovanissima Linda Caridi, dolce espressiva, disponibile e sorridente, forse troppo, per fare da contraltare a lui, sembra, all’inizio, un po’ infantile ma non lo è anzi intuisce e capisce quel gorgo in cui non vuole sprofondare. Due esistenze che non possono marciare insieme pur dopo tanta attrazione. Restano le immagini a testimoniare quell’innamoramento che non è capace di trasformarsi in amore (nonostante i tanti “Ti amo” sentiti). Resta l’intensità struggente e scomposta per un qualcosa che poteva essere e non è stato. Fabrizio Moresco

COMPROMESSI SPOSI due uomini che dopo un anno si ritrovano a incontrarsi ma in altre circostanze. Due papà ma soprattutto due culture a contatto: da una parte Diego, ha un’azienda di famiglia e due figli, il giovane Riccardo, un ragazzo bergamasco che aspira a fare il cantautore e la sorella maggiore Claudia, la quale è più interessata alla gestione della società. Il padre non ha minimamente contemplato per la figlia quel tipo di futuro. Intanto a Gaeta il sindaco, Gaetano, ha diverse grane. A causa della sua fama di uomo integerrimo sono in tanti a chiedergli dei favori. In particolare le forze dell’ordine avrebbero bisogno di cambiare sede vista la fatiscenza della loro caserma ma il sindaco non concede niente a nessuno, neppure alla propria madre. Un giorno il suo aiutante dall’aria poco sveglia gli comu46

nica che in comune è arrivata la pubblicazione di un matrimonio ed è così che scopre che è la giovane figlia Ilenia a sposarsi, famosissima influencer e fashion blogger. I due giovani innamorati Riccardo e Ilenia si sono infatti conosciuti durante un falò in spiaggia a Gaeta e in una notte decidono di sposarsi proprio nella località dove si sono conosciuti. Così tutta la famiglia di Riccardo si mette in viaggio per andare a conoscere i parenti di lei. Ma aldilà della diversa provenienza geografica, vanno ad incontrarsi due famiglie totalmente diverse. Una snob e borghese, l’altra popolana e trash. È però la famiglia di Ilenia (in particolare la mamma) a essere quella più aperta all’accoglienza, al cambiamento e pronta sin da subito a iniziare il

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dialogo. All’inizio tra gli uomini è duro scontro: Diego e Gaetano se ne dicono di tutti i colori ma poi si coalizzano per far saltare il matrimonio. Le donne non sanno nulla: Mia e Amelia cominciano a conoscersi e a entrare ognuna nel mondo dell’altra proprio mentre i mariti stanno cospirando contro il matrimonio dei ragazzi. Il loro piano diabolico entrerà in azione durante l’addio al celibato e nubilato. Gaetano avrà bisogno di tutti quei favori che non ha mai concesso ai propri concittadini. Ilenia è alla festa di addio al nubilato dove il padre Gaetano manda il suo assistente - ex della figlia - in tenuta serale per poterla corteggiare. In più lo zio Tito le scrive un sms facendo la spia, mentendole a proposito di un fittizio tradimento di Riccardo. Si crea così una situazione di grande confusione perché sempre Tito spiffera al ragazzo che ha visto in un locale la fidanzata con un altro. In questo trambusto Diego e Gaetano capiscono che le cose si stanno mettendo male, ci ripensano e cercano di sistemare. Intanto Tito viene trovato dai suoi creditori. La ragazza trova il suo abito stracciato: è stata Claudia, la sorella di Riccardo, che non accettava questo matrimonio. Alla fine quando tutto è pronto e gli sposi si stanno dirigendo verso l’altare, Claudia confessa al padre tradizionalista di essere omosessuale e di volersi sposare presto con la sua compagna mentre i giovanissimi Riccardo e Ilenia decidono di non sposarsi più. Dopo i precedenti Loro chi? e Ricchi di fantasia, Francesco Micciché porta in sala un altro film che parla di un amore contrastato. Il film, nato da una coproduzione italo-inglese, è ispirato a Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi. Rispetto a Matrimonio al Sud questa pellicola ha una trama più originale e dialoghi meno volgari

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(anche se il linguaggio di Ilenia è troppo forzato e pesante) mentre se pensiamo a Benvenuti al Sud di Luca Miniero la sceneggiatura qui sembra tentare un’allegoria dell’attuale situazione politica italiana, con un matrimonio innaturale tra due entità apparentemente lontanissime tra loro. La politica è presente in maniera sottile nei dialoghi dei protagonisti ed in qualche modo la troviamo nell’analogia dello scontro come anche in quella opposta in cui i due trovano un punto d’incontro, o meglio un obiettivo comune. La sceneggiatura curata da Michela Andreozzi è vivace, piena di battute dal ritmo incalzante che puntellano le tante battaglie verbali - che avrebbero funzionato bene anche a teatro - e che non sono esclusivamente quelle stereotipate sul confronto nordsud. I modelli del polentone preciso e del terrone caciarone sono ribaltati. Gaetano e Diego si prendono in giro senza mai esagerare. Compromessi sposi contiene molte elementi dell’Italia di ieri ma c’è anche tanto presente. E proprio in questa commistione sta la forza ma anche la debolezza del racconto di Micciché. In questo gioca un ruolo fondamentale - in senso negativo anche una fotografia da fiction televisiva che conferisce alla storia un linguaggio poco cinematografico e molto più affine al piccolo schermo. Sicuramente della tv abbiamo diversi volti: ad esempio Valeria Bilello appartiene alla generazione dei trentenni/quarantenni che al tempo vedevano Mtv. E poi la conduttrice e cantante Carolina Rey, volto di Rai uno, che nel film canta due suoi pezzi inediti: uno è la title track Compromessi Sposi e l’altro è La parte più viva di me, brano che la stessa dedica il giorno delle nozze alla sua amica che sta per sposarsi. Lorenzo Zurzolo lo abbiamo già visto in Sconnessi ma le giovani lo adorano per la sua partecipazione alla serie Baby di Netflix. Come molti critici han47

no affermato, in questo film è molto importante il ruolo e la bravura dei personaggi secondari: Sergio Friscia, nei panni del Comandante dei Carabinieri, Dino Abbrescia, e la vera forza, i due protagonisti Abatantuono e Salemme, due fuoriclasse che per la prima volta si incontrano in un intero film. Come spesso accade nei meccanismi della commedia, è il personaggio più istintivo ( in questo caso pure donna) ad essere quello più aperto all’accoglienza e al cambiamento. Parliamo di Elda Alvigini nei panni di Mia, come anche straordinarie sono Rosita Celentano e il personaggio della wedding planner interpretato da Susy Laude: ben delineato, simpatico e molto aderente alla realtà, spesso al centro di altre commedie europee. Insomma punto forte, spesso nella mente e nella penna della Andreozzi sono le donne e la loro straordinaria intelligenza e sensibilità. Qui sono le anime della famiglia, le risolutrici di guai e le sognatrici, seppur con una rappresentazione discreta delle loro personalità. La pecca della sceneggiatura è la mancanza di fluidità in alcuni snodi e la superficialità rispetto ai tanti spunti che avrebbero avuto la necessità di più spazio: la tematica omosessuale, la satira politica e l’espressione di realtà sociali e retroterra culturali molto lontani spesso dati per scontati. Compromessi sposi è una vicenda manzoniana ambientata al giorno d’oggi, una commedia senza tante pretese che riesce a scherzare omaggiando dei classici. Giulia Angelucci


di Giorgio Romano

DETECTIVE PER CASO

Origine: Italia, 2018 Produzione: Daniela Alleruzzo, Susi Zanon, Guia Invernizzi Cuminetti per Addictive Ideas SRL Regia: Giorgio Romano Soggetto: Daniela Alleruzzo - (idea originale) Sceneggiatura: Aurora Piaggesi, Giorgio Romano Interpreti: Emanuela Annini (Giulia), Alessandro Tiberi (Piero), Giulia Pinto (Valeria), Giordano Capparucci (Panico), Matteo Panfilo (Sandro), Giuseppe Rappa (Oreste), Lorenzo Salvatori (Antonio), Tiziano Donnici (Alex), Massimiliano Bruno (Poliziotto Surrozzo), Tony Cairoli (Se stesso), Claudia Campagnola (Cognata di Ivan), Luca Capuano (Giovanni), Paola Cortellesi (Ispettore Bellamore), Paola Tiziana Cruciani (Mamma di Ivan) Durata: 85’ Distribuzione: Medusa Uscita: 18 marzo 2019

Giulia e Piero sono cugini. Sono cresciuti insieme e sono come due fratelli. Giulia è goffa, golosa di dolci, sogna di fare la detective e lavora nell’ufficio oggetti smarriti di una stazione ferroviaria. Come ogni venerdì sera, Giulia, Piero e i loro amici Valeria, Panico, Oreste e Sandro si vedono alla discoteca San Salvador. Nel locale i ragazzi assistono a una litigata tra Alex, uno dei proprietari, e Marta, una bella ragazza che ha la fama di essere una poco di buono con problemi di droga. Mentre i ragazzi proseguono la serata, Pietro lascia il locale. Gli amici punzecchiano Giulia chiedendole perché non ha fatto loro

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conoscere Antonio, il ragazzo che frequenta. Fuori, Pietro assiste al pestaggio di due ceffi ai danni di Marta. Lui la difende ma prende botte. I due si allontanano e Pietro soccorre la ragazza. Valeria, la migliore amica di Giulia, li vede insieme. Intanto Giulia, amareggiata da ciò che le ha detto Valeria, si concentra sul lavoro e si allena a fare la detective immaginando i dettagli sui proprietari degli oggetti smarriti. Una sera, durante una festa al San Salvador, Giulia e Pietro discutono. La ragazza scappa mentre Pietro si ubriaca. Uscito fuori per vomitare, il ragazzo cade sulla moto del famoso motociclista Tony Cairoli ma si allontana senza tirarla su. Il mattino seguente Giulia viene svegliata dal citofono: è zio Giuseppe, padre di Pietro, che le chiede notizie del ragazzo. Pietro quella notte non è tornato a casa. Subito dopo la polizia li convoca. Al commissariato l’ispettore Bellamore e il detective Palmieri li informano che Pietro è indagato per una rapina al San Salvador. Nel video di sicurezza si riconoscono l’auto di Pietro usata per scappare e si vede il viso del ragazzo. Giulia però crede all’innocenza del cugino. La risposta la trova grazie alla sua eroina: la detective Ramona protagonista dello sceneggiato Occhio privato. La donna va all’ufficio Oggetti smarriti in cerca della sua borsa e le ricorda che non esiste “niente che una buona indagine non possa risolvere”. Giulia convoca a casa i suoi amici per organizzare l’indagine. I ragazzi sospettano che Pietro fosse entrato in un brutto giro. Giulia pensa che devono cercare Marta per avere elementi in più. 48

Nel frattempo Pietro si sveglia e si accorge che non si trova a casa sua. Scende di sotto e trova una cucina: davanti a lui un tale di nome Ivan e sua mamma che lo invitano a mangiare con loro. Giulia e i suoi amici vanno a casa del nonno di Marta dove la ragazza vive ma non la trovano. Ottengono un blocco di disegni della ragazza. Antonio riconosce in alcuni schizzi Ostia. Intanto Pietro, ubriaco, viene messo a dormire da Ivan. Ma poco dopo la madre ricorda al rapitore che domani “lui” arriverà e non possono fare finta di niente. Il mattino dopo Giulia e i suoi amici vanno a Ostia con il furgoncino di Valeria. Giulia incontra Marta in una clinica di disintossicazione. La ragazza confessa a Giulia di avere un cospicuo debito ma non crede che Pietro si sia fatto coinvolgere in un crimine per aiutarla. Marta è agitata e un infermiere manda via Giulia. Nel covo dove viene tenuto segregato, Pietro tenta di scappare. Ma sulla porta si blocca perché ha visto qualcuno che conosce. Intanto l’ispettore Bellamore intima a Giulia e ai suoi amici di non indagare perché stanno facendo solo danni mettendosi in mezzo. I ragazzi, abbattuti, tornano a casa. Il giorno dopo, la detective Ramona, involontariamente fornisce alla ragazza la chiave del mistero. Nel frattempo Ivan entra nella stanzetta di Pietro pronto a ucciderlo. Ma la polizia fa irruzione prima che la madre di Ivan spari a entrambi gli uomini. Ivan scoppia a piangere, felice di non dover uccidere Pietro, confessa il furto e racconta di non avere ideato lui il piano: gli hanno dato 2000

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euro per fare una finta rapina e consegnare il malloppo. Intanto Giulia, che ha capito tutto, va dal vero colpevole, Giovanni, il socio di Alex al San Salvador, per farlo confessare. Giulia ricostruisce i fatti. Giovanni si vede scoperto e insegue Giulia per il locale. La ragazza riesce a nascondersi e a mandare con lo smartphone indizi ai suoi amici. La polizia arriva e arresta Giovanni. Giulia e Pietro si abbracciano. Dopo qualche mese, rivediamo tutti gli amici felici e sorridenti su una spiaggia. Detective per caso è un film molto particolare, un’opera unica e mai realizzata prima: è il primo film con attori professionisti disabili che non tratta assolutamente di disabilità. Il progetto nasce da un’idea di Daniela Alleruzzo, presidente dell’Accademia L’Arte nel Cuore, un luogo dove si dà la possibilità di esprimersi artisticamente a persone disabili e anche normodotate. Il fatto che l’Accademia miri a valorizzare talenti emergenti, superando qualsiasi stereotipo di

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diversità, è già una grande nota di merito. Quando poi si arriva a dare, anche a ragazzi diversamente abili, ruoli da protagonisti in un film che è una commedia dai risvolti gialli e che tratta anche temi sociali importanti con leggerezza, non si può far altro che applaudire. Diretto da Giorgio Romano (al suo primo lungometraggio dopo numerose esperienze televisive) e sostenuto economicamente dalla Fondazione Allianz Umana Mente, Detective per caso è un ammirevole tentativo di abbattere le barriere e di spostare confini: non ci sono ruoli, né gerarchie e soprattutto non c’è sano né malato. Come è ricordato nelle note sul film: “Ci sono solo esseri umani che vivono le proprie ambizioni e i propri sogni”. Tutti i personaggi non sono per nulla patetici ma sono “ironici, maliziosi, furbi, spregiudicati”. Ragazzi e ragazze normali, con i loro difetti e le loro debolezze, ma tutti messi sullo stesso piano. La sfida di scegliere, per ruoli generalmente affidati a interpreti affermati, attori con diversi tipi di disabilità, è stato anche un modo

per far comprendere a questi ragazzi le loro potenzialità. L’applauso più grande va alla protagonista Emanuela Annini, una ragazza down trentaduenne che ha studiato per anni presso l’Accademia L’Arte nel Cuore che dà vita alla protagonista Giulia. Accanto a lei, oltre ad alcuni giovani colleghi di Accademia, uno stuolo di nomi noti che hanno accettato di partecipare a titolo gratuito al progetto: da Claudia Gerini a Paola Cortellesi, da Valerio Mastandrea a Stefano Fresi, da Lillo a Massimiliano Bruno, da Paola Tiziana Cruciani alla nota conduttrice radiofonica Rosaria Renna. Rigorosamente low budget, il film è stato realizzato in sole quattro settimane di riprese e ha beneficiato dell’aiuto in fase di post-produzione di alcune società che hanno collaborato gratuitamente. Al di là di un intreccio facile e dall’esito scontato, Detective per caso resta un esperimento ammirevole, fatto con il cuore e capace di lanciare un messaggio educativo di grande valore sociale. Elena Bartoni

di Trevor Nunn

RED JOAN Londra, 2000. La vecchia signora Joan Stanley è improvvisamente arrestata dal Servizio Segreto inglese con l’accusa di alto tradimento e di spionaggio: le si addebita di avere trafugato, durante e dopo la seconda guerra mondiale, gli studi segreti riguardanti la fissione nucleare e averli consegnati all’Unione Sovietica. Durante l’interrogatorio Joan rivive i passi importanti della sua

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gioventù e delle sue scelte di vita: il racconto, quindi, alterna passato e presente verso una conclusione inevitabilmente conosciuta fin dall’inizio ma ugualmente ricca di dolore e passione. Joan entra giovanissima come studentessa di fisica nell’università di Cambridge dove muove i primi passi ricchi di soddisfazioni e pieni di aspettative. Conosce Sonya e Leo, due ebrei comunisti fuggiti prima dalle persecuzioni russe e poi dalla Germania di Hitler: sono seducenti e misteriosi, sembrano appartenere a mondi 49

Origine: Gran Bretagna, 2018 Produzione: David Parfitt per Trademark Films in Associazione con Cambridge Pictures Company; Coproduttori Alice Dawson, Ivan MaCTaggart Regia: Trevor Nunn Soggetto e Sceneggiatura: Lindsay Shapero Interpreti: Judi Dench (Joan Stanley), Sophie Cookson (Joan giovane), Stephen Campbell Moore (Max Davis), Tom Hughes (Leo Galich), Ben Miles (Nick), Kevin Fuller (Detective Philips), Stephen Boxer (Peter Kierl) Durata: 101’ Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 9 maggio 2019


che Joan non conosce, hanno delle idee ben precise su come potrebbe (dovrebbe) procedere la storia dell’umanità secondo una strada di eguaglianza e di libero rispetto per tutti. Joan ne risulta affascinata e se da un lato è incuriosita e interessata ai modi ultramoderni e liberi di vivere e vestire di Sonya, dall’altro non può non innamorarsi dell’irresistibile Leo e delle sue idee pacifiste che la turbano non poco. Joan e Leo diventano subito amanti ma mentre per lei questo rappresenta un amore e una dedizione profonda, è poco chiaro cosa significhi per lui, forse, addirittura un modo per servirsi della ragazza per altri scopi. Joan, intanto, finisce brillantemente gli anni accademici ed è subito inserita dal professor Max Davis nel suo progetto di studi nucleari, un complesso di ricerche che lei capisce porterà presto a una bomba dagli effetti devastanti. Sono anni di guerra, il comportamento di Sonya e Leo nei confronti di Joan diventa sempre più pressante e qualcosa delle loro idee comincia a far breccia nel cuore e nel pensiero di Joan: occorre che le nazioni più potenti del mondo oltre l’America abbiano la bomba per bilanciare la minaccia e mantenere un equilibrio di pace. Il culmine dell’ansia e dell’indecisione della ragazza è raggiunto e superato quando lei e il prof. Max, diventati ormai amanti nonostante la difficile si-

tuazione matrimoniale di lui, si recano in Canada per partecipare a un summit di scienziati sui nuovi studi atomici. Nel frattempo la guerra sta finendo, Hiroshima e Nagasaki costituiscono l’orrore finale e mentre è chiaro che l’America non farà mai partecipi i russi degli studi sulla nuova arma, Joan ruba i documenti più segreti e li passa a Sonya e Leo. Ben presto la situazione è scoperta, il colpevole è individuato nel prof. Max che finisce in carcere per alto tradimento. Joan si rivolge a un suo vecchio amico degli anni universitari, ora ai piani alti del ministero degli esteri che, in cambio di alcune foto compromettenti che lo riguardano, fa uscire Max di prigione e permette la fuga dei due in Australia; contemporaneamente Leo è trovato impiccato, suicida, forse, nel suo appartamento e Sonya è del tutto sparita. Il resto appartiene ai giorni nostri: la vecchia signora ha confessato, pur insistendo nel non voler ammettere il tradimento ma la realizzazione di un ideale umanitario non riconosciuto dall’occidente. A difenderla sarà suo figlio, avvocato di grido, dopo un primo istante di smarrimento e dolore. Joan non andrà in carcere, in considerazione della sua età avanzata; mediterà a casa per i pochi anni che le restano, sulla validità delle sue azioni. A prima vista viene da chiedersi perché sia stata chiamata per la parte di Joan anziana la grande Judi Dench. Sembrerebbe una celebrazione alla carriera (come talvolta lo sono i premi cinematografici), un timbro d’arte impresso a una storia che è tutt’altra cosa e che di lei non ha bisogno. Non è invece così, perché la grande “Dame” dello

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spettacolo inglese che recita stando seduta davanti al tavolo degli interrogatori di polizia o sul divano di casa è una presenza forte che ci dà in ogni momento la sua fatica di dimostrare i motivi di quel tradimento che non vuole sia considerato tale. Cerca in continuazione, con sguardi, lampi di smarrimento, mezzi sorrisi e piccole reminiscenze d’amore di spiegarci le sue convinzioni e tutti i suoi sforzi fatti per contribuire al mantenimento della pace. Forse la presenza di un’altra attrice avrebbe posto la figura ai margini, fuori del telaio narrativo ma durante tutto il film, nel lungo racconto in cui la Dench non c’è, affiora sempre il dilemma etico che ha scosso il personaggio per tutta la sua vita e che l’attrice inglese ci restituisce con un lungo, dolorosissimo sguardo. Bene dunque ha fatto il regista Trevor Nunn a utilizzare la sua forte ascendenza teatrale (per oltre vent’anni direttore della Royal Shakespeare Company e poi del National Theatre) nella creazione di una protagonista che diventa il cuore del film proprio grazie alla luce recitativa della grande attrice britannica. La storia parte dalla vera esistenza di Melita Norwood (1912/2005), messa in un romanzo tumultuoso e intrigante dell’inglese Jennie Rooney, che aveva davvero abbracciato la causa comunista, convinta dal messaggio equivoco pubblicizzato dal sistema totalitario sovietico. Qui, come abbiamo visto, le motivazioni di fondo sono molto diverse e assumono una valenza civile e sociale di particolare spessore. L’evoluzione di Joan, il consolidamento della sua consapevolezza ha come scenario di fondo la bellissima ambientazione universitaria, l’asettica concentrazione dei luoghi di sperimentazione scientifica e la normalità, perfettamente ritratta, dei sobborghi, birrerie, stanze in

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affitto dove potersi amare, cabine telefoniche etc. Il tutto, naturalmente, condito da intrighi, equivoci, spiate, documenti che vanno e vengono e, al culmine dei rapporti e della suspence, il tradimento: delle persone, dell’amore e di chi si ama, del Paese.

Sophie Cookson (giovane attrice inglese, protagonista di serie televisive e film d’azione) tiene con padronanza le briglie della parte che le compete, interpretando la giovane Joan con sensibile e credibile forza espressiva. Le dimensioni narrative sono

dunque due, non si elidono né si disturbano nella composizione di un’unica struttura filmica che mostra la padronanza di mistero e di pathos condotta dagli autori con assoluta professionalità. Fabrizio Moresco

di Alexis Michalik

CYRANO MON AMOUR

Origine: Francia, 2018

Parigi 1895. La Princesse lontaine, commedia di Edmond Rostand, pur giudicata male da alcuni critici, viene portata al successo in teatro da Sarah Bernhardt. Due anni dopo, nel 1897, l’attrice chiede allo scrittore un’opera per il più celebre attore del momento Constant Coquelin, che insiste nel voler recitare in una commedia di Rostand. L’attore vorrebbe farla debuttare in sole tre settimane. Ma lo scrittore è in crisi d’ispirazione. Monsieur Honoré, il proprietario di un caffè dove Rostand si è rifugiato, gli fornisce involontariamente l’ispirazione e il nome dell’eroe della sua storia, Cyrano. Edmond si precipita da Coquelin e gli comunica di aver scritto poche righe della sua nuova commedia intitolata “Cyrano de Bergerac”. L’attore lo stimola a scrivere tre atti. Subito dopo lo scrittore va al Café Chantant dove l’amico Léo Volny ha invitato due ragazze. Nel locale arrivano altri scrittori tra cui Georges Feydeau autore di farse di successo. Poi, con solo una paginetta scritta della sua commedia, si reca da Coquelin. Una sera, per strada, Edmond aiuta per caso Léo a pronunciare parole d’amore all’indirizzo della bella costumista Jeanne, affacciata ad un balcone. Le parole suggerite all’amico funzionano e lo scritto-

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re ha un’illuminazione: inserire quel pretesto come base della sua commedia. Elettrizzato dall’idea di avere in mano il suo “Cyrano de Bergerac”, Edmond si reca da Coquelin convinto che la messa in scena della commedia risolleverà le sorti del teatro Saint Martin. L’attore affretta i tempi coinvolgendo due produttori: il giorno seguente avranno inizio le prove. Il tempo stringe e Rostand deve terminare gran parte del testo. Intanto i due produttori ingaggiano per il ruolo della protagonista Roxane la nota attrice ed ex amante di entrambi Maria Legault. Mentre porta avanti la stesura della pièce, Edmond scrive una lettera a Jeanne fingendo di essere Léo. Animato e ispirato dal sentimento crescente per Jeanne, Edmond termina la stesura della commedia. Nel frattempo Jeanne confessa di essersi innamorata dell’autore delle bellissime lettere che riceve. Ma alla commedia servono altri due atti. In teatro intanto Jeanne viene assunta come costumista di Maria Legault. Dopo le prove e un colloquio con Edmond, Jeanne capisce che le lettere che riceveva sono opera dello scrittore e non del suo spasimante Léo. Edmond confessa che lei è la sua vera musa ispiratrice: Jeanne stupita lo bacia. Lo scrittore le dice che insieme possono fare tutto, persino costruire imperi. 51

Produzione: Benjamin Bellecour, Vanessa Djian, Alain Goldman per Légende Films, Rosemonde Films, Umedia Regia: Alexis Michalik Soggetto e Sceneggiatura: Alexis Michalik Interpreti: Dominique Pinon (Lucien), Alexis Michalik (Georges Feydeau), Simon Abkarian (Ange Fleury), Olivier Gourmet (Constant Coquelin), Blandine Bellavoir (Suzon), Mathilde Seigner (Maria Legault), Guillaume Bouchéde (Le Bret), Antoine Duléry (L’Arrogante), Alice de Lencquesaing (Rosemonde Gérard), Thomas Solivéres (Edmond Rostand), Clémentine Célarié (Sarah Bernhardt) Durata: 109’ Distribuzione: Officine Ubu Uscita: 18 aprile 2019

Tornato a casa, Edmond trova la moglie Rosemond disperata perché ha rinvenuto le lettere scritte a Jeanne. Lui le dice che la ama ancora e che quella ragazza era solo la sua ispirazione, poi le chiede di concedergli tempo fino alla messa in scena della prima della sua commedia.


Mentre Edmond scrive l’ultimo atto, arriva un emissario della Comédie Française con un decreto che proibisce a Coquelin di recitare. Per di più anche Maria Legault abbandona le prove. Sfiduciato, Edmond si reca al caffè di Monsieur Honoré dove viene spronato a dare valore al Teatro Saint-Martin. Tutta la compagnia torna in teatro e riprende di forza le prove; anche Maria torna per sfidare l’autorità e combattere. Manca solo una settimana al debutto. Con diversi espedienti Edmond e gli attori trovano il modo di riempire il teatro. La sera della prima rappresentazione “Cyrano de Bergerac” va in scena affrontando mille emergenze. Maria si fa male cadendo dal palco. Jeanne, che conosce a memoria la parte, va in scena recitando nel ruolo di Roxane. È il 28 dicembre 1897: la commedia ottiene un grande successo e diventerà la pièce con il più alto numero di rappresentazioni nella storia del teatro francese. La magia del teatro, il potere della scrittura, la forza di un’idea, la spinta di un’ispirazione. Tutto questo e molto di più è Cyrano mon amour, film davvero originale, una sorta di ‘making of’ di quella pietra miliare del teatro francese che è il “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand. La genesi di Cyrano mon amour ha una storia non semplice. La prima “scintilla” nella mente del giovane regista Alexis Michalik si accese nel 1999 dopo la visione del film Shakespeare in Love. In quella pellicola pluripremiata John Madden raccontava come il giovane Bardo sommerso dai debiti ritrovava, grazie a una giovane musa, l’ispirazione a scrivere una delle sue opere più immortali, “Romeo e Giulietta”. Unendo la fascinazione per que-

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sto film con un dossier in cui si raccontavano le circostanze in cui prese vita la prima stesura di “Cyrano”, Michalik ebbe l’idea di raccontare la genesi della storia più nota del teatro francese. Ma la sceneggiatura del trentenne Michalik non trovò un finanziatore disposto a realizzarne il film. Tempo dopo, il regista riprese in mano il progetto riscrivendolo per il teatro e trovando il Théãtre du Palais Royal disposto a rappresentare l’opera. Grazie al successo dello spettacolo teatrale (record di spettatori e incetta di premi Molière), il regista riuscì a ottenere il budget per il film. Cyrano mon amour mescola verità e finzione per dar vita a una storia dal fascino immortale restituendo un efficace ritratto di Edmond Rostand inventore di un personaggio unico a soli 29 anni. Cyrano de Bergerac è un uomo privo di bellezza e ambizioni, che vive di sotterfugi ma che possiede un quid particolare: come ha sottolineato Michalik è “un mix di brio, eleganza e destrezza”. È un uomo che non ha paura di mettere in primo piano i sentimenti, è di aspetto sgradevole ma ha l’ambizione di essere amato. Usando le categorie di oggi, Cyrano sarebbe un ‘loser’. Il primo merito del film è senz’altro quello di restituire in pieno la chiave del successo della pièce che ha per protagonista il sempreverde eroe dal naso enorme e l’atmosfera in cui nacque. Di più. Cyrano mon amour è uno spettacolo che parla della messa in scena di un altro spettacolo. Tutto qui è autentico show. Portando sul grande schermo la sua stessa pièce teatrale, Michalik conserva il ritmo da farsa del palcoscenico: tanto movimento (porte che si aprono e chiudono), tanti attori, numerosi cambi di scena. E ancora, battute argute, emozione, ritmo, poesia. Nelle intenzioni del regista il film doveva rappresentare una 52

dichiarazione d’amore verso il teatro, i suoi interpreti, i suoi artigiani e le sue illusioni. Davvero in ogni scena sembra di respirare la polvere dei palcoscenici di fine Ottocento. Non solo Rostand dunque, ma anche Feydeau, Courteline, la divina Sarah Bernhardt,il divo Coquelin e molti altri artisti. Nel diciannovesimo secolo le nuove opere teatrali, ha sottolineato Michalik, erano accolte con lo stesso entusiasmo delle super-produzioni di oggi. Il debutto sulla scena nel 1895 del Cyrano provocò le stesse reazioni entusiaste che, a detta del regista, nel 2011 hanno accolto la serie televisiva Game of Thrones. Il fatto di essere lo stesso autore della pièce teatrale Cyrano mon amour ha permesso al regista di dare al film, grazie all’uso della Steadycam, la stessa energia e fluidità con cui si susseguono le scene a teatro. E così ecco tutta la fibrillazione del processo creativo di Rostand (anche se a onor del vero “Cyrano” non fu scritto in tre settimane come si mostra nel film): dalla crisi all’ispirazione, fino agli imprevisti, agli ostacoli della burocrazia, alle bizze degli attori, al coraggio di alcuni, ai tonfi di altri, ai salvataggi provvidenziali e al trionfo assoluto della prima rappresentazione. Oltre al ritmo della messinscena, alle arguzie della scrittura (di Rostand e Michalik), il film vive di rimandi, primo fra tutti fra lo spirito di un autore e la sua creatura. Cyrano mon amour si muove sul filo sottile che divide l’impossibile dal possibile: un amore impossibile da un successo possibile. Commedia romantica, film storico e tragicommedia, Cyrano mon amour è un film dall’innegabile ‘tocco’, capace di andare in fondo al cuore come la lama del suo spadaccino. Elena Bartoni

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di Joe Cornish

IL RAGAZZO CHE DIVENTERÀ RE

Origine: Gran Bretagna, 2019

Estratta Excalibur dalla roccia magica di Merlino, Artù divenne il legittimo erede del defunto re Uther, placando le tensioni britanniche ma destando l’ira della sorellastra Morgana, strega desiderosa del trono che, relegata negli inferi, giurò di risorgere nel momento in cui il Paese sarebbe stato nuovamente senza una guida, preda dell’incertezza che, secoli dopo, è percepibile nell’Inghilterra contemporanea. Il giovane Alex estrae una misteriosa spada da una roccia di un cantiere abbandonato e, insieme al suo migliore amico Bedders, scopre che apparteneva a re Artù. L’incisione cita la città di Tintagel, la stessa in cui Alex incontrò per la prima e ultima volta suo padre, che gli donò un libro sulle avventure arturiane, dedicandolo a lui e definendolo “re eterno”, sebbene troppo piccolo per ricordarlo. Credendo in una coincidenza, i due stanno al gioco e Alex nomina Bedders suo cavaliere. Martin, un nuovo allievo, cerca di convincere Alex, in quanto prescelto, a sconfiggere Morgana, destinata a tornare sulla terra per impossessarsi di Excalibur durante l’eclissi solare prevista tra quattro giorni; il ragazzo non gli crede, fino a quando non viene attacco da un Mortes Milles, cavaliere della strega, salvandosi grazie a Martin, in realtà Merlino. Alex confessa a sua madre che il padre aveva previsto il suo destino da re, il che la terrorizza, credendo che stia perdendo il contatto con la realtà. Lance e Kaye, due bulli della scuola, scoprono i protagonisti al cantiere e si prendono gioco di loro, inginocchiandosi ad Alex, divenendo di conseguenza due nuovi

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cavalieri; i quattro sono attaccati dai Mortes Milles, che emergono di notte facendo scomparire gli umani, a parte il prescelto e i suoi cavalieri. Sconfitti i nemici, Alex capisce di star ripercorrendo la storia di Artù, che fece dei suoi nemici suoi alleati, associando Lance e Kaye a Lancillotto e Sir Kay. Avventuratisi per raggiungere Tintagel alla ricerca della porta per gli inferi, Merlino insegna ai quattro il codice cavalleresco, il cui mancato rispetto comporterebbe il fallimento della missione: onorare chi si ama, non offendere, dire la verità e perseverare in ogni impresa. Il mago è costretto ad allontanarsi, indebolitosi in seguito a un incantesimo per proteggerli da un agguato di Morgana. L’arroganza di Lance prende il sopravvento, tanto da rubare Excalibur e proclamarsi re; durante un duello con Alex, Lance erroneamente spezza la spada, che viene riparata dalla dama del lago, creatura che vive negli specchi d’acqua della Britannia. Lance si scusa per la sua prepotenza e riconosce Alex come re. A Tintagel, Alex incontra sua zia Sophie, che gli racconta dell’alcolismo di suo padre, rivelandogli che il libro su Artù gli fu regalato dalla mamma per preservarlo dall’abbandono paterno. Deluso da sua madre, egli non vuole proseguire l’avventura, non ritenendosi più speciale, ma Merlino lo convince a proseguire, ricordandogli che Excalibur l’ha scelto per il suo cuore e la sua mente. Trovata la porta per gli inferi nel castello di Morgana, Alex trafigge la strega e getta la spada in uno stagno, affinché la dama la custodisca. Dopo aver scoperto che Morgana è ancora viva per il mancato rispetto del primo principio 53

Produzione: Nira Park, Tim Bevan, Eric Fellner per Big Talk Productions Regia: Joe Cornish Soggetto e Sceneggiatura: Joe Cornish Interpreti: Louis Ashbourne Serkis (Alex), Dean Chaumoo (Bedders), Tom Taylor (Lance), Rhianna Dorris (Kaye), Angus Imrie (Merlino, giovane), Rebecca Ferguson (Morgana), Patrick Stewart (Mago Merlino), Denise Gough (Madre), Nathan StewartJarrett (Mr. Kepler), Genevieve O’Reilly (Sophie) Durata: 120’ Distribuzione: 20th Century Fox Uscita: 18 aprile 2019

cavalleresco, dato il rancore di Alex verso su madre, il ragazzo si riappacifica con il genitore e le svela la verità, riempiendo la vasca d’acqua e chiedendo alla dama di riconsegnargli Excalibur. Sotto l’influsso di Merlino, la preside convince la scolaresca ad arruolarsi all’esercito di Alex; durante l’eclissi, mentre la scuola è attaccata dai Mortes Milles, Alex riesce a decapitare Morgana, comportando la distruzione dell’esercito dei morti. Merlino dona la magia a Bedders, si complimenta per la redenzione di Lance e Kaye e per la nobiltà d’animo di Alex, donando loro la nuova versione del libro, riscritto in base alle loro gesta.

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Joe Cornish reinterpreta uno dei più celebri racconti britannici (presentato nel prologo attra-


verso un ricorso all’animazione), calando il suo immaginario nel contesto europeo contemporaneo, dominato dallo spaesamento e dall’incertezza (siamo nell’Inghilterra della brexit), in una sorta di “eterno ritorno dell’uguale” nietzschiano, in cui il soggetto, incapace di imparare dalle gesta di nobili esempi passati, è costretto a perpetuare i propri errori. I notiziari della BBC rendono esplicite le tensioni che caratterizzano il nostro presente, dalle svolte dittatoriali di alcuni paesi alla lontananza tra individui, sempre più discriminanti nel nome del “normativo”, che relega le minoranze a meri soggetti da sottomettere; Alex e Bedders rispecchiano questa sottomissione, entrambi prede di

Lance e Kaye, un topos narrativo inerente alle difficoltà quotidiane dell’eroe, soggetto inizialmente sfiduciato rispetto a verità e e giustizia, vessato dalla vita (nonché privato di una figura genitoriale), prima della scoperta delle proprie responsabilità e del significato di diventare uomo. A fronte di tali discriminazioni, il film risponde con la formazione di un gruppo eterogeneo e inclusivo che, sebbene definisca il soggetto bianco maschile come principale agente d’azione, si muove verso un’integrazione razziale e sessuale attraverso Bedders (ragazzo britannico, di origine presumibilmente orientale) e Kaye (alter ego femminile e di colore del personaggio di Sir Kay).

La giovinezza è elogiata come dimensione che, nonostante le sue contraddizioni, è capace di farsi carico delle bruttezze dei nostri tempi, con sguardo fiabesco e avventuroso che rievoca esplicitamente pellicole come Stand by Me o I Goonies, fino alle nuove saghe di Harry Potter o Il signore degli anelli (citate esplicitamente da Bedders); le nuove generazioni possono auspicare a un futuro migliore attraverso un’azione consapevole e responsabile, che rende i quattro protagonisti un riflesso di giovani personalità dei nostri tempi, come l’ormai nota Greta Thunberg, capaci di lottare attivamente per l’avvenire del nostro mondo. Leonardo Magnante

di Phaim Bhuiyan

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BANGLA

Origine: Italia, 2018 Produzione: Domenico Procacci per Fandango, Annamaria Morelli per Timvision Regia: Phaim Bhuiyan Soggetto e Sceneggiatura: Vanessa Picciarelli, Phaim Bhuiyan Interpreti: Phaim Bhuiyan (Phaim), Carlotta Antonelli (Asia), Alessia Giuliani (Carla), Milena Mancini (Marzia), Simone Liberati (Matteo), Pietro Sermonti (Olmo), Davide Ornaro (Fede), Sahila Mohiuddin (Navila), Nasima Akhter (Nasima), Rishad Noorani (Shipon), Fabian Durrani (Fayruj), Sanija Shoshi Haque (Shoshi), Tangir (Se stesso), Raja Sethi (Rifat) Durata: 86’ Distribuzione: Fandango Uscita: 16 maggio 2019

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Phaim è un ragazzo musulmano di ventidue anni di origini bengalesi che vive nel popolare quar-

tiere romano di Torpignattara con la sua famiglia: madre energica dittatrice (“Prima lavoro, poi matrimonio, poi figli” è il credo che ama ripetere sempre), padre mite con banco di biancheria e abbigliamento multicolore, sorella che sta per sposarsi con un fidanzato storico scelto dalla famiglia. Phaim lavora come steward in un museo e suona in un gruppo etnico: è proprio in occasione di una riunione del gruppo che conosce Asia. L’attrazione tra i due è immediata ma, mentre per la ragazza i passi successivi potrebbero avviarsi senza problemi nel frequentarsi, confidarsi, darsi l’uno all’altra, per Phaim la situazione è più intricata. Il ragazzo, infatti, pur nella sua spigliata appartenenza al mondo dei giovani, sente molto e ne è particolarmente imbrigliato, le regole della sua religione e le convenzioni famigliari: niente sesso prima del matrimonio. Così tra i due inizia una specie di tira e molla fatto di simpatia, 54

piacere e negazione. Neanche la presentazione di Phaim alla famiglia di lei, padre dai mille mestieri, separato da una moglie che vive con una donna lontano da Roma, fa segnare un passo avanti a una storia che potrebbe essere bellissima e che sembra come imbalsamata. Solo nel finale, quando Phaim capisce di aver praticamente perduta Asia, corre da lei a perdifiato dopo una lunghissima corsa a causa dello sciopero degli autobus e la trova depressa e con la febbre, davvero male in arnese. Finalmente sono insieme, la porta della stanza da letto si chiude lentamente sulla loro unione. Phaim Bhuiyan è giovanissimo, neanche venticinque anni e si è già cimentato, praticamente da ragazzino, nella produzione di cortometraggi, vincendo premi e ottenendo menzioni e

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attestati positivi per la sua attività di cineasta. Qui, sceneggiatore, regista e interprete del suo esordio nel lungometraggio ci mostra un’idea fondamentale: il cocktail di etnie rappresentato dal quartiere di Torpignattara non ha lo scopo di raggiungere alcun tipo d’integrazione, non s’immette nella strada dell’omologazione o dell’integrazione spesso condotta oggi con buonismo d’intenti e con poca credibilità nei risultati, ma segna un’altra possibilità, moderna, intelligente, estremamente facile nella sua ovvietà.

La possibilità di restare quello che si è e, nello stesso tempo, stare insieme con chi è diverso. Alla ragazza Asia, una Carlotta Antonelli ricca di spessore umano nonostante la sua giovane età, per cui vediamo un positivo futuro d’interprete, tutto questo non interessa, è già andata oltre. D’altra parte le donne arrivano sempre prima, quindi Asia accoglie subito questo pianoforte di colori, sapori, ironie, tradizioni, timidezza, humour, desiderio e negazione con la semplicità umana di chi si trova di fronte qualcuno che non sa scegliere.

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Fabrizio Moresco

di Francesco Mandelli

BENE MA NON BENISSIMO

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Cosa si può fare? Esserci, dimostrarsi solida e tollerante di fronte alle difficoltà, convinta che la sfrontatezza, la verità del rapporto con il giovane bengalese avrà la meglio su ogni tensione. Ottimo il lavoro di Phaim Bhuiyan che si muove davanti e dietro la macchina da presa con abilità consumata e semplice originalità di significati e d’intenti profondi. Forse è la strada giusta per seppellire le assurdità del mondo d’oggi.

Origine:Italia, 2018

Candida è un’adolescente paffutella e orfana di madre che vive col padre Salvo in un piccolo paese siciliano. La ragazza nutre una vera passione per il rapper Shade e sogna di incontrarlo. Costretta a trasferirsi con il papà a Torino, Candida deve adattarsi a una vita tutta nuova. La ragazza e suo padre trovano un alloggio di fortuna nella soffitta della pizzeria dello zio Salvo. Candida non perde mai il suo buonumore anche quando deve vedersela con alcuni bulli della sua nuova classe che la prendono di mira fin dal primo giorno di scuola. La ragazzina nota che l’unico che non le rivolge la parola è il solitario e introverso Jacopo. Anche durante una partita di basket, il ragazzo se ne sta da solo perché preso in giro dai bulli Cosimo e Niccolò. Ma proprio grazie a un suggerimento di Jacopo, Candida porta la sua squadra alla vittoria. Col passare dei giorni, tra Candida e Jacopo nasce una spontanea amicizia. Il ragazzino è figlio del ricco imprenditore Vittorio e abita in una bella casa. Candida

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inizia a frequentare Jacopo anche se il papà del ragazzo non vede di buon occhio quella ragazzina meridionale e di umili origini. Candida e Jacopo diventano compagni di banco. I due sono però bersagli degli atti di bullismo da parte di Cosimo e Niccolò. Decisa ad avere un po’ di soldi per sé, Candida trova un lavoretto come dog-sitter. Sempre più inseparabili, i due ragazzi vanno al Museo Egizio. Alla chiusura, Jacopo suggerisce a Candida di restare da soli nel museo. Ma una disattenzione di Candida provoca l’azionamento dell’allarme. Jacopo e Candida vengono trattenuti nell’ufficio del direttore con i genitori. Vittorio è molto seccato. Tornato a casa, l’uomo fa una scenata alla moglie Luisa dicendo che il figlio dovrebbe frequentare amicizie migliori. La donna difende Candida dicendo che è orfana di madre e ne loda il coraggio e la forza. Il giorno dopo Jacopo aiuta la sua amica offrendole 500 Euro prelevati dalla sua carta di credito per permetterle di andare in Sicilia sulla tomba della mamma. Ma Vittorio si accorge dell’operazione e fa una scenata a Candida 55

Produzione: Pierpaolo Piastra, Riccardo Neri, Fabio Troiano, Vincenzo Terracciano per Viva Productions, Lupin Film Regia: Francesco Mandelli Soggetto e Sceneggiatura: Fabio Troiano, Vincenzo Terracciano, Laura Sabatino Interpreti: Francesca Giordano (Candida), Gioele Dix (Vittorio Barberis), Euridice Axen (Luisa Barberis), Rosario Terranova (Salvo), Ian Schevchenko (Jacopo), Giordano De Plano (Vito), Gisella Donadoni (Prof. Matematica), Ugo Conti (Sacerdote), Shade (Se stesso), Emanuele Succa (Ossani), Luca Zunic (Niccolò), Francesco Bottin (Cosimo), Ilary Vavassori (Cameriera), Paolo Mazzini (Prof. Ginnastica), Maria Di Biase (Mamma di Candida) Durata: 100’ Distribuzione: Europictures Uscita: 4 aprile 2019

e al papà. Poco dopo la ragazzina confessa al papà che sta lavorando come dog-sitter per procurarsi i soldi per una messa in memoria della mamma in Sicilia. Intanto il suo cantante preferito Shade, dopo averla vista vittima di bullismo mentre firmava autografi in una libreria, ingaggia la ragazza per farle fare da dog-sitter al suo cane. Con l’avvicinarsi del compleanno di Jacopo, la mamma gli propone di fare una festa nella loro villa.


Ma il ragazzo è triste perché i suoi compagni hanno sempre boicottato i suoi inviti. In classe, Jacopo lascia gli inviti a tutti tranne che a Candida con la quale non condivide più il banco. Cosimò, Niccolò e altri bulli fanno una pericolosa gara sdraiandosi sui binari dei treni in arrivo. Uno di loro invita Candida a quella sfida. Dopo aver ritagliato diverse foto di vittime del bullismo morte suicide, la ragazzina si reca sui binari dai compagni e fa loro un discorso spiazzante. Loro le fanno tristezza perché hanno solo dolore dentro e lei preferisce essere felice, poi li invita a fare quella stupida sfida tra di loro e va via, accompagnata dallo zio. Alla festa di Jacopo, a sorpresa arrivano tutti i compagni. Candida riesce a far venire Shade a cantare: i ragazzi ballano tutti insieme. Vittorio convoca Candida per ringraziarla e le chiede di esprimere un desiderio: la ragazza vorrebbe tornare in Sicilia ma suo padre non ha più un lavoro. Sicilia, qualche tempo dopo. Candida porta Jacopo sulla tomba di sua mamma e lo ringrazia: è merito suo se lei è riuscita a tornare nella sua terra. Grazie all’intervento di Vittorio, Salvo ha un nuovo lavoro nel banco salumeria di un nuovo centro commerciale. Candida e Jacopo si abbracciano in riva al mare. “Il fenomeno del bullismo è dovuto a una maggiore forma di cinismo sviluppata dai giovani”, è il lucido incipit di un’intervista al

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filosofo e psichiatra Umberto Galimberti. La ragione di tanti atti vili e violenti sarebbe da rintracciare, secondo l’analisi del professore, nella fretta con cui i giovani vogliono realizzare i loro sogni, per di più “la scuola non educa più e la famiglia è frigida”. In questo contesto non ci si dovrebbe meravigliare del forte rigurgito della violenza giovanile e di fenomeni come bullismo o cyberbullismo. “Ragazzi e ragazze si affidano all’indifferenza e al controllo dei sentimenti e delle emozioni per evitare che le passioni diventino un ostacolo all’autoaffermazione”, osserva ancora Galimberti. Ed è proprio qui che questo film centra il bersaglio. Nascosto sotto la superficie di un film leggero, Bene ma non benissimo, esordio alla regia in solitaria di Francesco Mandelli (dopo aver co-diretto La solita commedia - Inferno con Fabrizio Biggio e Martino Ferro), dimostra di saper cogliere in pieno l’essenza di un problema sempre più grave. I ragazzi che nel film prendono di mira la protagonista Candida hanno forte controllo su sentimenti ed emozioni. Essi agiscono esclusivamente in base a pulsioni. I bulli sono giovani carenti di quella che è stata definita “risonanza emotiva”, ovvero sono incapaci di distinguere il bene dal male. Per questo lascia davvero spiazzati il discorso che nel finale del film la protagonista fa a un gruppo di bulli smascherando il dolore nascosto che hanno dentro. La loro aggressività sarebbe una conseguenza della frustrazione, quella che alcuni studi psicoanalitici hanno definito “una disfunzione affettiva dell’ambiente, incapace o indisponibile a offrire delle relazioni valide”. Ed è proprio qui che arriva la mano tesa della protagonista del film: la ragazzina capace di rispondere con sorrisi ma anche con fermezza alle provocazioni, di mettersi a lavorare come dog-sitter pur di guadagnare qualche soldo 56

per tornare nella sua Sicilia sulla tomba della mamma, di riuscire a far uscire dal suo guscio il compagno di scuola ricco e problematico e di farsi notare dal suo idolo, il rapper Shade (che qui appare come special guest). Merito del film, diretto con mano lieve da Mandelli, risiede proprio nell’aver messo in luce il lato debole dei bulli. Come ha osservato il regista “i ragazzi sono sempre vittime, sia il bullizzato che chi bullizza”. Ed ecco che entra in gioco il valore fondamentale dell’amicizia. Quello che salva la bullizzata Candida, ma non solo, anche l’introverso Jacopo e tutti gli altri ragazzi protagonisti della vicenda, è la percezione dell’amicizia come unica ancora di salvezza. Apprezzabile esordio alla regia dell’ex comico Mandelli (diventato popolare grazie alla sit.com I soliti idioti), Bene ma non benissimo ha dalla sua anche il vantaggio di una protagonista indovinata. La giovane Francesca Giordano, che si era già fatta notare nella serie televisiva La mafia uccide solo d’estate di Pif, è capace di donare al ruolo di Candida, ragazza cicciottella e meridionale catapultata in una scuola borghese di Torino, un carattere deciso e ricco di sfumature, restituendo il ritratto di una giovanissima dall’alto profilo morale ma anche piena di umorismo. Basato su un’idea dell’attore Fabio Troiano, il film si regge su una sceneggiatura firmata dallo stesso Troiano insieme a Vincenzo Terracciano e Laura Sabatino. Al di là dei suoi difetti e di alcuni luoghi comuni e stereotipi (come la facile contrapposizione ricchi-poveri), Bene ma non benissimo resta una favola piena di sogni (come il canestro magico centrato dalla protagonista all’ultimo secondo) che arriva dritta al cuore con la stessa semplicità disarmante del sorriso della sua protagonista. Elena Bartoni

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di Malgorzata Szumowska

UN’ALTRA VITA - MUG

Origine:Polonia, 2018

Un centro commerciale viene assaltato, durante il periodo dei saldi natalizi sulla biancheria intima, da un gruppo di persone che, spogliatisi dei loro abiti, si gettano brutalmente su dei televisori imballati. Jacek vive con la sua numerosa famiglia nel paesino rurale di Swiebodzin, desideroso di trasferirsi a Londra per nuove opportunità, nonostante le opposizioni dei suoi parenti, a esclusione di sua sorella Iwona. Nel frattempo, Jacek e la sua compagna Dagmara decidono di sposarsi. Il protagonista lavora nel cantiere edile in cui si sta costruendo la statua del Cristo Re, più alta di quella di Rio, finanziata dalla Chiesa grazie alle offerte degli abitanti del paese. Condotto in ospedale in seguito a un grave incidente sul lavoro, Jacek viene salvato per miracolo; gravemente sfigurato, egli subisce un trapianto di viso, intervento sperimentale che diviene immediatamente un caso mediatico. La riabilitazione è lunga e difficoltosa, dal momento che Jacek necessita di ulteriori operazioni per riacquisire tutte le capacità perdute; non potendo esprimersi in maniera comprensibile, il ragazzo si affida a Iwona, che lo assiste per tutta la convalescenza. In paese sono tutti sconvolti dal ritorno di Jacek a causa del suo cambiamento fisico, dalla famiglia che lo osserva come un estraneo a Dagmara che inizia a frequentare un altro uomo, tanto che la madre della ragazza gli ordina di non farsi più vivo. Il marito di Iwona risente delle attenzioni che la moglie riserva verso il fratello, tanto che confessa al parroco di essersi masturbato guardando un porno

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per non tradire sua moglie e compensare la sua carenza di affetto. Dal momento che lo Stato non si fa carico delle spese dei trattamenti e delle cure di Jacek, al quale viene negata la pensione di invalidità nonostante i suoi gravi handicap, il ragazzo è costretto ad accettare di fare da testimonial per un prodotto per cicatrici e bruciature, al fine di guadagnare qualche soldo. Iwona tenta di convincere Dagmara a contattare Jacek, ma la madre della ragazza non vuole averlo come genero (definendolo mostruoso) per paura che i futuri nipoti possano assomigliargli. Una sera, Jacek incontra Dagmara in un bar, ubriaca mentre si spoglia per dei clienti e, nel tentativo di portarla via, viene deriso dalla ragazza; quest’ultima confessa al parroco di sentirsi in colpa per non amare più Jacek e per la sua nuova storia, di cui il prete vuole insistentemente sapere i particolari più intimi. Rispetto a suo marito, la madre di Jacek non è in grado di accettare il cambiamento del figlio e confessa al parroco di credere che il donatore fosse un pervertito e, per paura che delle forze maligne si siano impossessate del ragazzo, richiede un esorcismo; Jacek finge inizialmente una possessione, per poi deridere i sacerdoti. La madre del donatore prende parte a un programma televisivo, Donna dell’anno e, al fine di essere televotata, confida la sua speranza di incontrare Jacek per poter rivedere il volto del figlio. Per fronteggiare le difficoltà economiche, Jacek e Iwona chiedono aiuto al parroco, il quale durante la messa chiede un’offerta per il ragazzo, raccogliendo non più di pochi spiccioli. 57

Produzione: Jacek Drosio, Malgorzata Szumowska, Michal Englert per Nowhere SP. Z O.O., in Coproduzione con Nina, KBF, TVN, Dreamsound SP Z O.O., di Factory, Platige Films SP Z O.O., Piramida Film, Lesnodorski, Slusarek I Wspólnicy, Kino Swiat Regia: Malgorzata Szumowska Soggetto e Sceneggiatura:Malgorzata Szumowska, Michal Englert Interpreti: Mateusz Kosciukiewicz (Jacek), Agnieszka Podsiadlik (Sorella di Jacek), Malgorzata Gorol (Dagmara), Roman Gancarczyk (Prete), Dariusz Chojnacki (Fratello di Jacek), Anna Tomaszewska (Mamma di Jacek), Martyna Krzysztofik (Cognata di Jacek), Robert Talarczyk (Cognato di Jacek) Durata: 91’ Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 29 aprile 2019

Ubriacatosi durante la festa per la comunione dei nipoti in cui è presente Dagmara con il nuovo compagno, il protagonista immagina di riconquistarla, tornando fisicamente come prima. In seguito alla morte del padre di Jacek in famiglia iniziano i primi scontri per l’eredità; stufo della sua vita, una mattina il protagonista sale su un autobus e se ne va. I sacerdoti, a lavoro ultimato, si accorgono che la statua guarda nella direzione sbagliata, per cui richiedono una modifica, ruotando la testa di novanta gradi.

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Mug è un film senza pietà, senza compassione e soprattutto senza speranza di redenzione in


un contesto sociale abbandonato a se stesso, alle proprie credenze e superstizioni, in cui la religione non si offre come dimensione di apertura e misericordia, ma come maschera perbenista in grado di celare le contraddizioni e le fragilità dell’animo umano, nonché un male e un’indifferenza in antitesi con i suoi insegnamenti (si pensi alla croce nell’ufficio della Commissione che reputa Jacek non idoneo alla pensione di invalidità). Il film si muove su una dialettica tra glacialità ed empatia, realismo e grottesco, restituendo uno sguardo piuttosto ambiguo e contraddittorio sulla realtà messa in scena, per gran parte del tempo estraneo e cinico nei confronti di quanto raccontato, ma al contempo compartecipe alla tragicità

degli eventi vissuti dai protagonisti. Questa pluralità è restituita da una regia che pare osservare in maniera fredda e distaccata i fatti, senza amplificazioni pietistiche, ma al contempo ricorre a una selettiva messa a fuoco che si focalizza solamente su determinati elementi del profilmico; tale scelta fotografica restituisce uno sguardo che appare costantemente lacrimoso e non sempre capace di cogliere limpidamente quanto accade sulla scena, oggettivando (quasi in maniera impressionista) il dolore silenzioso del personaggio, sebbene non manchino momenti in cui la soggettività di Jacek viene esplicitata (dalle sue soggettive in seguito all’incidente alle sue visioni di Dagmara). La religione è dipinta in maniera cinica, grottesca e spietata,

di Renato De Maria

nella sua piena esibizione di sé (la realmente esistente statua del Cristo Re) e del suo potere (renderla la più alta nel mondo), totalmente indifferente alla tragicità umana, a partire dai suoi fedeli (che preferiscono finanziare il progetto ma non aiutare il prossimo) fino ai sacerdoti stessi (ancora legati a pratiche arcaiche come gli esorcismi); emblematica la scelta di riprendere l’incidente di Jacek dall’alto, quasi un punto di vista di Dio, che osserva la caduta del personaggio nella statua (ancora priva di testa), in una fatalistica fagocitazione da parte di un Cristo privo di compassione, più interessato alla propria grandiosità che alle vittime di tale ambigua e falsa sontuosità. Leonardo Magnante

Regia: Renato De Maria Soggetto: ispirato al romanzo “Manager Calibro 9” di Pietro Colaprico e Luca Fazzo Sceneggiatura: Renato De Maria, Valentina Strada, Federico Gnesini Interpreti: Riccardo Scamarcio (Santo Russo), Sara Serraiocco (Mariangela), Alessio Praticò (Slim), Alessandro Tedeschi, Marie-Ange Casta, Fulvio Milani (Alfonso Barbieri), Fabio Pellicori (Ciccio Gaetani), Fortunato Verduci (Henchman) Durata: 107’ Distribuzione: Netflix Uscita: 8 aprile 2019

“Non c’era tempo per discutere, dovevamo morire tutti”. È con questa frase che si apre la scena iniziale de Lo Spietato dove una Lamborghini Diablo gialla, insieme al protagonista Santo, occupa lo sfondo di Milano per i primi cinque minuti della pellicola. Il film, caratterizzato da una narrazione circolare, si apre rac-

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contando il 1990 per poi proseguire andando a ritroso nel tempo: 1967, 1978, 1981, 1984, per poi tornare all’anno di partenza. 1967. Il giovane Santo Russo, con il fratello Luigi ed i genitori, è su una cinquecento diretta a Milano, città del boom economico e della crescita. Una volta raggiunto il capoluogo lombardo, fa di tutto per integrarsi nella comunità milanese e si sforza fin da subito d’imparare la cadenza della zona per mimetizzare il suo accento calabrese. Qualche giorno dopo stringe amicizia con un ragazzo, Mario Barbieri, che gli farà conoscere il mondo della malavita per la prima volta. 31 Dicembre 1967. Santo non è presente alla cena di capodanno organizzata dai familiari, lui e il suo amico Barbieri sono tra le vie di Milano dove vengono poco dopo arrestati dalla polizia e portati alla centrale per aver rubato una mac58

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LO SPIETATO

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china. Abbandonato dalla famiglia che rinnega il figlio lasciandolo alla polizia, viene quindi portato nel carcere minorile dove si scontra con un gruppo di giovani delinquenti con il quale si ritrova a vivere inizialmente un rapporto conflittuale. 1978. Santo è diventato amico di Silm, pericoloso criminale, che lo coinvolge nel mondo della criminalità. Infatti, una volta uscito dal carcere diventa nel giro di poco tempo parte integrante di una potente banda. Grazie alla sua spietata crudeltà, si rende protagonista di diverse rapine che gli permettono non solo di arricchirsi nel giro di un paio di anni ma anche di farsi un nome nella malavita diventando uno dei criminali più crudeli. 1981. Santo diventa sempre più losco ed aggressivo. Decide di spingersi oltre alle rapine e ai sequestri, ed inizia a sporcarsi le mani in ogni tipo di attività ille-

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Origine: Italia, 2019 Produzione: Angelo Barbagallo, Matilde Barbagallo per Bibi Film con Rai Cinema

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cita, cimentandosi dal traffico di stupefacenti al riciclaggio. Inoltre, grazie alla sua abile capacità imprenditoriale, Santo riesce a intuire un nuovo business nel mondo della droga che gli permette di avere una vita sempre più fuori dagli schemi, fatta di sesso, di lusso e di altri eccessi. Una volta diventato un imprenditore di tutto rispetto conosce Annabelle, artista francese, che diventerà poco dopo la sua amante. 1984. Santo è sposato e ha un figlio. La sua vita, però, è ora divisa in due: da un lato Mariangela, sua moglie, che nonostante abbia intuito i suoi loschi affari, non riesce ad abbandonarlo e si dedica esclusivamente alla crescita del loro figlio; dall’altra ha il volto dell’amante Annabelle, spensierata ed affascinante, che riesce sempre a rasserenarlo e a capirlo. Santo cerca disperatamente di tenere queste due vite separate, cercando di tenere lontano il più possibile la moglie dal suo lato più oscuro. Mariangela e Annabelle, così diverse e lontane tra loro, rappresentano perfettamente la vita complessa di Santo, scissa e conflittuale. Inevitabile prevedere uno scontro finale che, come anticipato dalla frase iniziale, è caratterizzato con un confronto drastico con le scelte sbagliate di una vita intera.

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na alla regia. Ispiratosi al libro di Pietro Colaprico e Luca Fazzo, De Maria riesce a dare voce al genere poliziesco italiano degli anni Cinquanta e Settanta grazie a una attenta ricostruzione dell’ambientazione, precisa in ogni singolo dettaglio, che la rende credibile per tutta la durata della narrazione. Merito soprattutto della scenografia, attenta e scrupolosa, dove le macchine, più che semplici elementi estetici, diventano quasi protagoniste della messinscena, dato che caratterizzano la crescita finanziaria di Santo: la pellicola si apre con una Lamborghini gialla per poi passare a una 500 negli anni Sessanta, terminando nuovamente con una Lamborghini negli anni Novanta. Una seconda menzione va anche alla direzione della fotografia, abile nel creare il taglio giusto, nel realizzare al meglio l’atmosfera cupa o sognante, che rafforza perfettamente la potenza estetica trasmessa dai singoli elementi scenografici. Lo spietato è quindi una pellicola intrigante, che riesce a rendersi credibile, grazie all’intelligente regia di De Maria che prende spunto, o meglio, che omaggia grandi pellicole da Le Iene di Quentin Tarantino - per la violenza o per il background - a C’era una volta il West di Sergio Leone, per le pose statiche prese dai personaggi che Dopo sei anni di silenzio spiccano soprattutto nella scena Renato De Maria ritor- iniziale e finale; per finire con l’e-

splicita citazione di Milano Calibro 9 nella scena del locale e delle ballerine e a Cani arrabbiati per il registro violento, sanguinoso. De Maria sceglie poi tutti volti giusti, dal protagonista fino alla semplice comparsa, sono tutti volti credibili. Riccardo Scamarcio è perfetto nel ruolo di Santo, dalle scene violente a quelle romantiche, funziona grazie all’equilibrio che è riuscito a costruirsi. Grazie a questo ruolo, si allontana definitivamente dalla parte del classico belloccio. Ottime anche le scelte musicali: il film copre tre decenni e tre epoche diverse, ed è sempre accompagnato da melodie giuste, dal taglio melodico in Come prima di Tony Dallara fino al ritmo dinamico e coinvolgente degli anni Ottanta. Meno funzionale è la narrazione. La sceneggiatura non riesce a essere all’altezza. fa perdere il ritmo allo sviluppo del racconto, sfiorando la banalità dell’articolazione dell’intreccio. Velitchka Musumeci

di Dominique Marchais

NESSUN UOMO È UN’ISOLA

Origine:Francia, 2017

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Su fondo nero il titolo: Nessun uomo è un’isola. Una lunga e lenta panoramica ci mostra i dettagli dell’Allegoria del buo-

no e del cattivo governo, affresco dipinto da Ambrogio Lorenzetti sulle pareti del Palazzo Comunale di Siena. Chiara Frugoni, storica, descrive l’opera in tutte le sue parti allegoriche: la città 59

Produzione: Mélanie Gerin, Paul Rosemberg per Zadig Films Regia: Dominique Marchais Soggetto e Sceneggiatura: Dominique Marchais Durata: 96’ Distribuzione: Kitchen Film Uscita: 13 marzo 2019


non è fatta solo di città ma anche di campagna, ed è così che per la prima volta il paesaggio diventa soggetto narrativo. Il regista passa poi a inquadrare il “cattivo governo”, che vede una città fantasma, distrutta dall’odio e dalla guerra. Sullo sfondo, l’Etna. Un aereo atterra e squarcia il paesaggio. Una serie di enormi multinazionali contrastano con la campagna brulla. Siamo in provincia di Catania. Antonio Grimaldi, agricoltore e membro della cooperativa Galline Felici, mostra tramite Google Earth quanto sia cambiato il territorio negli ultimi 15 anni. Nel frattempo, un altro aereo atterra in mezzo al cemento. Casa di Roberto Li Calzi, fondatore della cooperativa: Roberto raccoglie le fave insieme a Mustaf, suo dipendente, e racconta al regista l’oscillazione dei prezzi. Poi si dirige al capannone, dove si trovano i furgoni per il trasporto. Ogni cassetta di arance ha la sua destinazione: Venezia, Parigi, Vienna, Nantes. I furgoni partono, dopo essere stati caricati, e Roberto li osserva. L’idea della cooperativa, racconta il fondatore, è nata per liberare gli agricoltori e le piccole aziende dalla morsa della grande industria. Ha luogo in un casolare l’assemblea del consorzio. I membri delle Galline Felici discutono sui bilanci, sulle nuove proposte: vogliono investire su quel territorio che tanto gli ha donato. Barbara Piccioli, produttrice di agrumi,

cammina lungo una strada sterrata. Racconta quindi al regista che ogni estate i campi vengono incendiati; forse per bloccare il loro lavoro e intimidirli, dice. Ma non importa: per Piccioli nulla può distruggere i loro ideali di cooperazione. Anche Gabriele Proto, produttore di erbe aromatiche, spiega quanto Galline Felici li abbia resi consapevoli di non essere soli. I rapporti con realtà europee simili alla loro li ha spinti a credere in un sistema che non è semplicemente burocratico, ma soprattutto cooperativo. Lasciamo la Sicilia, con Roberto che osserva il paesaggio squarciato dal cemento e dalla nuova autostrada, per raggiungere Malans, in Svizzera. L’architetto Gion A. Caminada dialoga con un gruppo di studenti del Politecnico di Zurigo e mostra loro le grandi potenzialità del “riuso” architettonico. Ci spostiamo a Vrin, cantone dei Grigioni. Qui Gion racconta di un salone, edificato nel 1995, totalmente costruito con materiali semplici e locali. Bernardo Bader, altro architetto, cammina per la foresta e descrive una torbiera: una sorta di camera oscura, una scatola in legno su misura da cui osservare uno spicchio di paesaggio. Spiega poi come il Bregenzerwald sia da sempre una regione povera sopravvissuta grazie all’artigianato. È da qui, dice Bader, che bisogna partire per rivalutare il territorio: non impianti di risalita o piscine, ma percorsi guidati tra le torbiere. Il suo scopo è infatti quello di costruire in armonia con la valle, con la natura. Dello stesso parere è Markus Faißt, falegname: la sua attività, per scelta, rimane molto piccola e locale perché è nel piccolo che le situazioni possono essere controllate. Faißt cammina tra gli abeti bianchi, tipici della zona, e racconta il suo amore, la sua passio60

ne per i cicli biologici degli alberi. Non esiste altro modo per vivere se non quello di rispettare l’ambiente circostante. Della stessa opinione è Josef Marhis, sindaco di Zwischenwasser dal 1980 al 2013, che ci mostra una splendida scuola materna interamente costruita col legno delle loro foreste e riscaldata a energia solare. Il viaggio di Marchais termina a Bregenz. Manfred Hellrigl, dell’Ufficio Affari del Futuro, spiega i loro metodi per consapevolizzare le popolazioni sui problemi ecologici e climatici. L’unica via, racconta Hellrigl, è “creare il desiderio di un futuro che valga la pena”; bisogna evitare di dire alle persone cosa fare, ma farle partecipare. Dalle immagini della valle del Reno si torna ai dettagli dell’affresco. Una lenta panoramica analizza le colline del Buon Governo.

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Dopo aver ricevuto il Gran Prix Janine Bazin al Festival du Film de Belfort - Entrevues e uscito nelle sale italiane il 13 marzo scorso, Nessun uomo è un’isola riconferma la grande capacità narrativa di Dominique Marchais. Al suo terzo lungometraggio, il regista e critico cinematografico approfondisce ancora una volta il complesso rapporto tra uomo e paesaggio, passando attraverso diversi esempi di nuove politiche sociali. Nul homme est un île arriva infatti dopo altri due documentari di Marchais, Le Temps des Grâces e La Ligne de Partage des Eaux, entrambi incentrati sull’agricoltura in Francia e sulle continue modifiche del paesaggio. Tutto il documentario, ricchissimo di materiali visivi e di testimonianze, con un montaggio che non lascia nulla all’immaginazione, è una grande allego-

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ria: non a caso, l’inizio e la fine coincidono con delle lente panoramiche sull’Allegoria del buono e del cattivo governo. Marchais sembra voler sottolineare la ripetitività della storia, al di là degli insegnamenti passati; nulla cambia, in sostanza. L’affresco, risalente al 1338, viene scandagliato in ogni suo particolare: dal cittadino che taglia la legna all’angelo della morte che veglia sulla parte di città malgovernata. Stessa cosa accade quando Marchais visita le campagne si-

ciliane, ricche di dettagli e toni contrastanti, fino ad arrivare in Austria, quando la camera non si ferma soltanto sui volti dei cittadini ma sconfina nel verde, nelle foreste. Il titolo dell’opera si ispira al poema di John Donne, No Man is an Iland, contenuto nelle Meditazioni, in cui l’autore scrive: “Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto [...]”. In questi versi è racchiuso il significato del film. Quando Mar-

chais intervista Markus Faißt, il falegname, o dialoga con Roberto Li Calzi, la differente provenienza degli interlocutori non cambia la morale. Esiste solo un modo per intendere la natura, il paesaggio e l’ambiente che circonda l’uomo: pensarlo come un bene comune e rispettarlo in quanto tale. Il messaggio arriva forte e chiaro: senza una vera consapevolezza di sé non si avrà mai una coscienza del tutto. Matteo Calzolaio

di Leonardo D’Agostini

IL CAMPIONE

Origine: Italia, 2018

Christian Ferro è un calciatore, un grande calciatore che milita nelle file della A.S.Roma, squadra amatissima della capitale e seguita da un tifo senza freni, passionale, primigenio, istintuale. Christian è, ovviamente, pieno di soldi, di donne e di figuri che gli stanno intorno pronti a succhiargli i guadagni facendo finta di agire per il suo bene; abita in una villa lussuosa con piscina cui hanno accesso i suoi amici borgatari, violenti, spavaldi e senza futuro, uniti solo dal fatto di partecipare alla vita del loro mito. Oltre il calcio, a occupare la vita di Christian sono le trasgressioni, come i furti nei centri commerciali da cui scappa vittorioso con i suoi amici, le automobili d’alta velocità distrutte una dopo l’altra e tante bevute: il tutto in un’atmosfera priva di morale, di ogni ragionamento e di ogni disciplina che possa dirsi tale. Il presidente della società non ne può più: mette sotto contratto un professore di lettere, Valerio,

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che dovrà impartire a Christian le lezioni adatte a fargli superare gli esami di maturità; insieme alla sua assistente, il presidente intende verificare l’impegno e i progressi del calciatore con un esame la settimana altrimenti la Domenica successiva questi è fuori squadra. All’inizio il rapporto tra il calciatore e il professore è terribile: il primo, affogato nella sua vita di distrazioni e profittatori non ha un minuto di tempo per studiare; il secondo non sa come avvicinarsi al ragazzo per suscitare, in qualche modo, il suo interesse. La svolta avviene quando Christian mostra a Valerio gli schemi di gioco di una partita per i quali si trova sveglio, presente e intelligente. Valerio capisce che l’apprendimento del calciatore (forse anche dislessico quando frequentava le scuole da bambino) è visivo: mette quindi sulla lavagna, inquadrati secondo gli schemi di una partita di calcio, i vari passaggi del corso di storia e di letteratura. Gli esami settimanali sono brillantemente superati e Christian sembra avviato su una strada più

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Produzione: Matteo Rovere, Sydney Sibilia per Groelandia con Rai Cinema Regia: Leonardo D’Agostini Soggetto: Leonardo D’Agostini, Antonella Lattanzi Sceneggiatura: Giulia Steigerwalt, Leonardo D’Agostini (collaborazione), Antonella Lattanzi (collaborazione) Interpreti: Andrea Carpenzano (Christian Ferro), Stefano Accorsi (Valerio Fioretti), Massimo Popolizio (Tito), Anita Caprioli (Cecilia), Mario Sgueglia (Nico), Giulio Maroncelli, Camilla Semino Favro (Paola), Giorgio Ridarelli, Yuliia Sobol, Sergio Romano, Gabriel Montesi, Mariano Coletti Durata: 105’ Distribuzione: 01 Distribution Uscita: 18 aprile 2019

consapevole che lo fa maturare e gli impedisce di cadere nelle provocazioni degli avversari durante una partita e di reagire in maniera violenta. Tra Valerio e Christian il legame umano si approfondisce e permette al primo di rivelargli il dramma della sua vita: la morte del figlio per una meningite fulminante, la separazione dalla moglie, la caduta nel bere.


Christian gli parla della sua vita di borgata, dell’incapacità a scuola, della presa in giro dei suoi compagni; della morte della madre amatissima per un tumore al seno che ha tentato di riscattare con la costituzione di una fondazione per la cura di persone in difficoltà con i proventi della vendita di magliette e gadget. È proprio questo a presentare una svolta drammatica: i soldi della fondazione sono stati frodati dal padre di Christian, un nullafacente ubriacone che dopo anni di silenzio si è rifatto vivo come ladro e parassita. Christian non riesce ad allontanare il padre, Valerio non riesce a convincerlo a dare un’ultima forma di governo alla sua vita. Il rapporto sembrerebbe finire a questo punto. Il presidente cede Christian agli inglesi del Chelsea per ricavarne un bel guadagno; il ragazzo si sente tradito e, nello stesso tempo, traditore della città, e della squadra anche se l’ingaggio inglese è sontuoso. Il giorno della presentazione ufficiale a Londra Christian non si presenta: Valerio lo trova all’ingresso della scuola dove sosterrà, con piena fiducia il suo esame di maturità, l’esame della sua vita. Il calcio rappresenta nel nostro Paese l’industria più forte (una volta era il cinema…) nella costituzione di uno star system universalmente conosciuto e dai riflessi

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mediatici enormi, capace di travolgere passioni, equilibri, comportamenti e la più sfrenata emotività. Stranamente i film dedicati a questo sport sono stati pochi e di scarsa fortuna; solo Avati, con il suo Ultimo minuto (1987) era riuscito a fare del mondo del calcio un racconto poetico e spregiudicato, vero e coinvolgente, con una gradevole venatura di malinconia. In questo film di oggi troviamo invece una bella unione di elementi, tutti positivi che portano a un ottimo risultato costruito sul lavoro, la professionalità, la serietà, l’ispirazione e, sembra strano usare questa parola in questo contesto, la cultura. Il regista, cosceneggiatore e anche soggettista, è Leonardo D’Agostino, alla sua opera prima ma con un solido passato di editor, sceneggiatore e regista di fiction per Mediaset; l’altra soggettista, anche cosceneggiatrice è Antonella Lattanzi (Fiore, 2013 – 2Night, 2016); insieme a Giulia Steigerwalt, autrice e sceneggiatrice statunitense di film e serie tv che vive e lavora a Roma. Produttori Matteo Rovere (Veloce come il vento, 2016 e Il Primo re, 2019) e Sydney Sibilia, innumerevoli le sue produzioni cinematografiche e televisive, candidato e pluripremiato in varie manifestazioni e tanti palcoscenici. Interpreti: Stefano Accorsi che ci dà ancora un’interpretazione amara e struggente, razionale e umana con quel sottotesto d’indecifrabilità che appartiene solo ai grandi attori. Andrea Carpenzano poi, giovanissimo che fin dai suoi esordi (Tutto quello che vuoi, 2017) aveva dimostrato una freschezza d’interprete controllata da intelligenza e fantasia, qui arricchita da un pizzico di consapevole sfrontatezza. Due linee guida costituiscono l’asse portante del film: la ricostruzione perfetta dell’universo calcio e di tutto ciò che gli gira intorno, avvenuta, paradossalmente, a ope62

ra, come abbiamo indicato prima, di due donne, abitualmente relegate lontano dall’immaginario (maschile). L’idolo che ipnotizza la città senza avere la libertà di uscire per farsi un panino con una ragazza senza essere fermato, fotografato, “selfizzato”, baciato, toccato come un santo che scioglie voti e preci; la villa, sontuosa nella sua dislocazione e ampiezza ma ammobiliata da pezzi kitsch e sovrastrutture ultramoderne senza capo né coda, invase e occupate da amici barbari e ragazze consolatrici adoranti, prigioniere di contatti telefonici di ogni tipo. Chi può, prende, un po’ di denaro, un po’ di fama, un po’ di divertimento nella convinzione di partecipare alla vita che conta senza dare nulla in cambio. Forse la descrizione e il linguaggio delle due ottime sceneggiatrici non riguarda solo il mondo del calcio ma qualsiasi mondo, perché cambiando il contesto e la storia, tutto è uguale e sovrapponibile. L’altra linea guida è data da un bel complesso emozionale: i due protagonisti, il calciatore e il professore hanno quel vuoto nel loro passato che sta compromettendo il loro equilibrio affettivo, rendendoli entrambi fragili e pieni di amarezza, bisognosi di quel calore alla cui realizzazione non credono ormai più. Il loro incontro, pur nella lontananza siderale e inconciliabile delle loro vite, li rende più forti, più consapevoli della loro sofferenza ma certi e meravigliati entrambi che lo studio di storia e letteratura possa permettere di vedere per loro un futuro diverso e migliore. La cultura ha partenze umili e misconosciute, sembrano dirci gli autori del film, ma possiede una forza granitica pronta a frangersi in mille sfaccettature e a portarci lontano, molto lontano. Fabrizio Moresco

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di Pier Belloni

IL SILENZIO DELL’ACQUA Origine: Italia 2019

PRIMO EPISODIO La serie si apre con una giovane ragazza seminuda che si tuffa nel mare. Un’ombra si appropinqua verso di lei, proiettandosi sul suo corpo. Siamo a Castel Marciano, sulla costiera friulana. È in corso la sagra del paese e il poliziotto locale, Andrea Baldini, si sta dirigendo in centro per questa occasione. Egli nota che, tra tutti gli stand montati per la festa, uno solo è ancora chiuso e non c’è nessuno a presidiarlo. È lo stand di Anna che, raggiunta al telefono da Andrea, si mostra sorpresa, dal momento che doveva essere sua figlia, Laura, ad aprire il gazebo in sua attesa.Nella sequenza successiva vediamo due uomini dall’aria misteriosa in un furgone. “Non devono vederci insieme”, dichiara uno dei due che, scendendo dal veicolo, si dirige alla festa. Nel frattempo Anna continua a chiamare Laura, che persiste nel non rispondere. Andrea chiede a due degli amici di Laura, suo figlio Matteo e la di lui fidanzata Grazia, se hanno notizie riguardo l’apparente scomparsa della ragazza. Grazia dice di aver pranzato con lei e di averla poi accompagnata da Max, al centro immersioni, intorno alle due del pomeriggio. A questo punto, Andrea si reca sul posto, ma Max nega di averla vista, nonostante avesse in programma un’immersione con lei. Laura Mancini è quindi ora ufficialmente scomparsa; Andrea ne da comunicazione pubblica in piazza, dove avrebbe dovuto aver luogo il tradizionale falò annuale. Inizia a piovere, ed iniziano pure le indagini della polizia, nelle persone del vicequestore Andrea e del collega Dino. Essi cominciano

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a setacciare le immagini della video-sorveglianza; quelle del lungomare sono fuori uso, ma quelle di una stazione di servizio hanno catturato una ragazza di spalle, con una felpa con su scritto “Guardati le spalle”. L’auto su cui la giovane donna sale risulta essere di Nico Grimaldi, il bidello della scuola alberghiera frequentata dalla maggior parte dei ragazzi locali, nonché una delle due misteriose figure del furgone di inizio puntata. L’altro oscuro personaggio è Franco, attuale compagno di Anna, con cui sembra avere una tormentata relazione. I due amanti infatti litigano, per poi lasciarsi andare ad un bacio appassionato. Nel mentre, Andrea fa visita a Nico che confessa di aver dato un passaggio a Laura ma di averla lasciata sulla strada provinciale. Prima di congedarsi, Andrea chiede di poter usare la toilette. Qui, casualmente, sotto un asciugamano trova un reggiseno di piccole dimensioni e certamente di una ragazza. Il mistero si infittisce ancora di più quando arriva una telefonata anonima, che esorta la Polizia, se vuole trovare Laura, a recarsi presso la Dama Bianca. Andrea non ci pensa due volte. In quello che sembra il luogo del delitto, infatti, trova molto sangue fresco: da questo momento le ricerche si focalizzano su un corpo senza vita. Difatti, durante una ricerca in mare, viene trovato il cadavere della giovane ragazza. Il paese è sconvolto, la madre di Laura, Anna, è disperata. Dal canto suo, Andrea è furioso. È sicuro della colpevolezza del bidello, che dunque arresta in maniera molto brusca, esplicitando nei suoi comportamenti un forte coinvolgimento emotivo nella vicenda. Questo è il motivo per cui Dino chiama la Squadra omicidi, 63

Produzione: Velafilm e RTI Regia: Pier Belloni Ideazione: Jean Ludwigg, Leonardo Valenti Cast: Ambra Angiolini (Luisa Ferrari), Giorgio Pasotti (Andrea Baldini), Valentina D’Agostino (Anna Mancini), Carlotta Natoli (Maria), Fausto Maria Sciarappa (Don Carlo), Thomas Trabacchi (Giovanni), Camilla Filippi (Roberta), Mario Sgueglia (Franco Pirani), Diego Ribon (Paolo Galasso), Giordano De Plano (Nico Grimaldi), Lorenzo Adorni (Max), Claudio Castrogiovanni (Dino Marinelli), Caterina Biasiol (Laura Mancini), Riccardo Maria Manera (Matteo), Sabrina Martina (Grazia) Durata: 4 episodi Uscita: dall’8 marzo 2019 su Canale 5

mentre Andrea vorrebbe conservare il totale controllo sul caso. Intanto, nell’aula scolastica, una battuta critica su Laura da parte di un’altra ragazza, Francesca, sfocia in una lite. A sedarla è Andrea, che poi interroga questa ragazza irrispettosa della defunta, che si mostra molto dura nei riguardi di Laura. Il vicequestore, successivamente, incontra Eva, figlia di Nico, che vive a Trieste con la madre ma incontra spesso il padre, di nascosto. Questi, infatti, ha un ordine restrittivo di non avvicinarsi alla figlia. Si scopre che Nico aveva mentito alla polizia: la ragazza con il giubbotto di pelle vista dalle telecamere era proprio Eva. Nico aveva rubato il giubbotto a Laura per fare un regalo alla figlia, e non l’aveva rivelato alla Polizia, per non perdere la possibilità di esercitare il ruolo di padre.


Andrea torna sulla scena del crimine, trovandola affollata di forze dell’ordine. Infatti, la vicequestore della Squadra mobile-Sezione Omicidi Luisa Ferrari è stata assegnata al caso. Nonostante esprima la volontà di imporre la sua linea nelle indagini, è manifestamente desiderosa di andarsene il prima possibile. Intanto Franco e Nico si sentono al telefono; Franco dice che Anna non sospetta di nulla. Laura viene portata via dall’obitorio e Luisa, chiedendo piena collaborazione ad Andrea, si stabilisce in commissariato. I due vicequestori, insieme, iniziano ad indagare su Laura. Visitano Anna e scoprono quanto Laura fosse ribelle, originale e non molto popolare presso i coetanei. Nata da una relazione estiva con un turista straniero, è stata cresciuta da una ragazza madre, che si è trovata impreparata e sola nel crescere una figlia. Luisa è decisamente severa e mette alla prova Anna, che cede ad un pianto sofferente. Mentre Franco e Nico persistono nel telefonarsi, Luisa ed Andrea interrogano nell’ordine Max, Grazia e Francesca. Del primo notano una ferita alla mano, spiegabile con l’attività che svolge quotidianamente; la seconda,incalzata riguardo ad eventuali fidanzati di Laura, allude a Matteo, finora escluso dalle indagini. Matteo e Grazia si incontrano; si mostrano ancora molto scossi dall’uccisione della loro amica. Franco, che ora ci appare sempre più sospetto, torna a casa di Anna. Di notte, cerca di uscirne, ma viene scoperto dalla compa-

gna, che gli parla della visita della Polizia, a cui, comunque, dice, non ha accennato della loro relazione. Franco è evidentemente un pregiudicato, o non ha in tutti i modi una buona nomea. Luisa sta per lasciare le indagini, sennonché le arriva la notifica dei risultati dell’autopsia. Nel sangue di Laura sono state trovate lievi tracce di cocaina; la causa della morte è stata un’emorragia interna dovuta ai colpi al ventre che, e questa è la notizia sorprendente, hanno ucciso anche il feto che portava in grembo. Del resto, né la migliore amica Grazia né Anna sapevano niente della gravidanza. Dalla farmacista, però, vengono a sapere che Max, negli ultimi tempi, aveva comprato un test di gravidanza. Con il ritrovamento dello stesso nell’armadietto di Laura al centro immersioni, Luisa è sicura del movente passionale e arresta il nuovo indiziato Max, che viene poi però scarcerato, in quanto la perquisizione viene invalidata dal Pm. Anna, nel frattempo, riceve la visita del parroco, il quale, fino a questo momento, è rimasto abbastanza in ombra e si è lasciato andare ad atteggiamenti ambigui, come ad esempio allontanarsi da casa di Anna al sopraggiungere di Andrea. Ora, tuttavia, dichiara di aver vinto la paura di parlare con la madre della vittima. Anna, in seguito, è invitata a cena presso i genitori di Grazia, Giovanni e Maria. Un’ambigua allusione al passato rapporto tra lei e Giovanni la porta ad allontanarsi, imbarazzata, e scatena la furia di Maria, che si rende conto che il marito ha sempre continuato ad amarla. Franco in questo frangente fa irruzione in Casa Mancini, portando con sé, in una busta nera, i pupazzi di Laura e, soprattutto, quelle che sembrano due buste di cocaina. Sono destinate a Nico, che si esprime nei riguardi di Laura, come di “un problema che qualcuno ha risolto”. Arriva il risultato della 64

localizzazione della chiamata anonima; è stata fatta da una cabina telefonica nei pressi del centro di Max. Ancora una volta il giovane nega. Non è stato lui a fare la chiamata, ma ha visto chi era: Matteo, il figlio del vicequestore. SECONDO EPISODIO Il secondo episodio si apre con un sogno. Andrea si immagina il figlio uccidere Laura e scaraventarla giù dalla scogliera. Ad un primo interrogatorio da parte del padre e di Luisa, Matteo nega che sia stato lui a fare quella telefonata anonima, dichiarando di essere rimasto tutta la notte in stanza. I sospetti maggiori rimangono quelli nei confronti di Max, del quale trovano una ricevuta di pagamento dell’orario della morte di Laura. Ciò presuppone che sia uscito di casa quel giorno, mentre aveva sempre affermato di essere rimasto in spiaggia tutta la giornata. Il ragazzo si giustifica dicendo che era andato a fare benzina, ma ad un controllo dell’auto il serbatoio risulta vuoto. Nonostante non abbia ancora elaborato il lutto, è già venuto per Anna il momento di riaprire il bar al porto. “Laura sta tornando” esclama alla notizia della consegna del feretro dopo le analisi del caso. Il passaggio dell’auto funebre desta commozione in tutto il paese, perfino in Luisa, che per la prima volta, forse, appare particolarmente coinvolta emotivamente dall’indagine. Matteo si dimostra un mentitore, poiché la sera della chiamata anonima non era in stanza, come raccontato alla Polizia. La verità si rivela: è stato proprio lui ad avvertire le forze dell’ordine di recarsi alla Dama Bianca, dove era stato poco prima. Infatti si era spinto fino a lì nella speranza di trovarla, essendo quello uno dei luoghi preferiti da Laura; ad aspettarlo invece c’erano solo delle vistose tracce di sangue. Continua intanto la frequentazione fra Nico e Fran-

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co. I due sono in barca e Franco si vuole assicurare che Nico non lo tradisca, invitandolo al silenzio e tacciandolo di debolezza (“Non hai il coraggio di chiedermi se sono stato io ad uccidere Laura”). Vengono svolti poi i vari test del Dna per stabilire chi fosse il padre del bambino che Laura portava in grembo. Il primo ad esservi sottoposto è Max, che non si oppone. Poi è il turno di Matteo che invece si rifiuta. Ma un’altra novità colpisce gli ispettori: un fotografo locale ha casualmente catturato l’immagine di Laura al porto, intorno alle 15, seduta su un muretto. Questo indizio suggerisce che la vittima si sia allontanata da sola dopo che Grazia l’aveva lasciata nei pressi della spiaggia. Poco dopo vediamo Nico con la figlia Eva al mare; mentre Franco, sospettoso, li osserva da lontano, Nico riceve una telefonata. È il commissariato, che lo informa che è convocato il giorno successivo. Con la comparizione di Matteo nella lista degli indagati, Andrea viene estromesso dalle indagini, in quanto troppo coinvolto. Del resto, la sua unica premura è quella di scagionare il figlio, mentre Luisa gli obietta che dovrebbe essere imparziale e valutare tutte le possibilità sul tavolo. Il vicequestore Baldini, però, non riesce a stare lontano dalle indagini; preleva quindi da un pettine un capello di Matteo, consegnandolo poi alla collega Ferrari. Viene quindi riammesso nelle indagini. È ormai arrivato il momento del funerale. Di fronte alla totalità dei personaggi che abbiamo conosciuto, il parroco accusa il paese di aver sempre giudicato Laura, producendo in lei quell’allontanamento che l’ha infine uccisa. Dopo la messa, Don Carlo cede alla disperazione e, fra le lacrime, arriva a distruggere anche un crocifisso. Finalmente sappiamo l’origine della ricevuta trovata da Max. Proviene dall’hotel Lido, che era solito frequentare in compagnia

di una donna, fatta sempre entrare dal retro e mai vista dai gestori della struttura. Una perquisizione nella camera solitamente usata dai due porta alla luce una chiave, con un portachiavi molto simile a quello del centro immersioni. La scena successiva vede Franco puntare una pistola alla testa di Nico: è sospettoso della sua chiamata ricevuta dalla Polizia e vuole vederci chiaro. La sequenza che segue è altrettanto sconvolgente. Il dna del feto corrisponde a quello di Matteo. Andrea è imbufalito, tanto per le bugie raccontatagli dal figlio, quanto dal possibile coinvolgimento dello stesso nell’omicidio. Matteo vuole comunicare la notizia a Grazia per primo. Questa non la prende affatto bene e corre via da casa sua lasciando sgomenti i genitori. È sullo spigolo dello scoglio, sembra che si voglia buttare di sotto. Ma all’improvviso (che tempismo!) sopraggiunge don Carlo, con cui si confida. Lo stesso prete le rivela che ha iniziato anch’egli a dubitare dell’esistenza di Dio e afferma: “Noi due siamo più simili di quanto tu creda”.Un’altra scioccante rivelazione aspetta di palesarsi allo spettatore: Matteo non è il vero figlio di Andrea. Questa notizia serve, nell’economia dell’episodio, a far dichiarare a Roberta, moglie di Andrea, che se fosse stato suo figlio biologico, Matteo non sarebbe stato oggetto dei sospetti del marito. Nel frattempo Luisa fa visita al bar di Anna. Le confida che tiene molto al caso per questioni personali. Come vedremo in un flashback successivo, infatti, Luisa ha subito un’aggressione simile a quella di Laura, che presumibilmente le ha fatto perdere un figlio. Nico e Franco, ancora in barca. Il compagno di Anna consegna una borsa piena di denaro al bidello, affermando che è il necessario per ricominciare una nuova vita con la figlia. Il resto dovuto gli sarà consegnato una volta raggiunta 65

la destinazione, lontano da Castel Marciano. Il giorno dell’interrogatorio ufficiale a Matteo è arrivato, ma questo all’ultimo scappa da casa, portando con se la pistola del padre, che subito parte all’inseguimento del ragazzo. Il giovane, giunto alla Dama Bianca, vuole spararsi alla testa ma il padre riesce a farlo desistere, e lo porta al commissariato. Qui finalmente racconta la verità. Dice di aver scoperto di essere padre il giorno della festa, quando si è incontrato con Laura sugli scogli. Tuttavia, Laura non era sicura che fosse proprio lui il padre, dal momento che stava portando avanti anche un’altra relazione, con un uomo adulto, con cui si sarebbe incontrata più tardi il giorno stesso. Sentendosi responsabile per averla lasciata sola, Matteo scoppia in lacrime e Luisa lo lascia andare libero. Mentre Andrea è ancor più furioso per tutte le fandonie raccontate dal figlio, Luisa indaga sulla chiave trovata all’hotel. Si scopre essere della preside della scuola, che confessa di avere una relazione con Max. Quest’ultimo, quindi, viene scagionato, avendo peraltro un alibi per l’omicidio di Laura. In conclusione di puntata, tre incontri di Andrea risulteranno molto interessanti. Il primo è con Anna, che appare scontrosa con Andrea, reo di nascondere e difendere a tutti i costi il figlio, verso cui si sta chiudendo il cerchio della colpevolezza; il secondo con Carlo, che viene interrotto proprio mentre sta per vedere un video di Laura,


che fa in tempo a dire solamente: “ Carlo, io....”, prima che il pc venga spento dal prete, sempre più misterioso; il terzo con Franco. Nella foto che documenta la presenza di Laura al porto, si vede, di fronte, sulla sua barca, quello che sembra essere Franco. Alla visita da parte di Andrea, egli nega di essere stato al porto quel pomeriggio, ma di essere andato alla festa, dove i due si sono pure incontrati. Non soddisfatto, Andrea segue Franco; lo vede entrare in casa di Anna e baciarla. La loro relazione è scoperta. TERZO EPISODIO Franco e Anna sono a letto. Anna dice di essere stanca di Castel Marciano e di aver sempre il dito puntato addosso; per Franco, che ha qualcosa da nascondere, sarebbe l’ideale scomparire nel nulla. I due pensano a una fuga, di andarsene via per sempre. In effetti, ora Franco ha gli occhi di Andrea puntati addosso. Già arrestato 10 anni prima per ricettazione e contrabbando, anche in questo caso non appare del tutto innocente. Andrea sa che ha mentito, sia per quanto riguarda la sua presenza al porto il pomeriggio dell’omicidio, sia per quanto riguarda la sua “vaga” conoscenza di Laura, ovvero la figlia della compagna. Per questi motivi, Luisa e Andrea vanno a fare alcune domande a Franco, presso la sua barca. Il pregiudicato confessa la relazione con Anna e dichiara di essere stato tutto il pomeriggio al porto, prima di andare alla festa e di non aver visto Laura. Dino ci informa che Eva, la figlia del bidello Nico, è

scomparsa un’altra volta. Nico non appare particolarmente preoccupato. Intanto, Grazia va a prendere i vestiti di Laura, di cui Anna vuole liberarsi, in vista di un eventuale trasferimento. Giovanni, vedendo la figlia con i vestiti della vittima, si reca da Anna e percepisce le intenzioni della donna. Grazia, infine, restituisce i vestiti, che le fanno ricordare troppo l’amica e rimprovera Anna di sedurre il padre. Anche i due poliziotti fanno visita ad Anna, chiedendole informazioni su una presunta relazione fra Franco e la figlia, rigettata ai mittenti con rimproveri. La situazione in casa Baldini è sempre più tesa. Andrea non riesce più a comunicare tanto con Roberta quanto con Matteo. Assistiamo all’avvicinamento di altri due personaggi: Grazia e don Carlo. La ragazza si rammarica per “essere sempre stata rapita da tutti gli uomini della sua vita”, ovvero dal fidanzato Matteo e dal padre Giovanni. In don Carlo vede una figura rassicurante, un amico che la fa stare bene. L’ambiguità del prete cresce sempre di più, a maggior ragione ora che manda avanti il video sul pc registrato da Laura, che dice di “aver preso una decisione importante”. Ma anche questa volta Carlo non ce la fa a continuare. Dopo un serata al bar, Luisa e Ferrari la mattina successiva perquisiscono, questa volta sotto mandato del magistrato, la barca di Franco. Trovano la pistola e portano via l’uomo. Analizzando il cellulare di quello che è diventato ora un indiziato, scoprono che quella sfortunata domenica lui e Laura si era sentiti per messaggio. Si erano anche visti e avevano parlato della relazione fra Franco e Anna. Laura aveva accusato il patrigno di rovinare la vita alla madre, e i due si erano congedati in malo modo. Nonostante le menzogne raccontate in precedenza, Franco viene lasciato a piede libero e ha quindi la possibilità di avvertire Nico ed 66

esortarlo a partire con la figlia. Il focus passa quindi sul bidello che, tornando a casa, dice alla figlia Eva, che sta nascondendo, che il giorno dopo sarebbero partiti. Anna, che progressivamente si sta convincendo della necessità di partire, viene convocata in centrale. Viene posta di fronte alla realtà e alle bugie del compagno su Laura. Lei non può crederci e, una volta uscita, se la prende con Franco, accusandolo e rimproverando a se stessa di essersi fidata di lui. Intanto, la fuga dei Grimaldi è stata scoperta e Dino porta in commissariato Eva, che viene sottoposta ad alcune domande. Le viene chiesto se conosce un tale Franco, amico del padre, e lei nega. Ma, incalzata, rivela che quell’uomo ha consegnato al padre del denaro per la loro fuga. Ad ogni modo, la Polizia aveva già scoperto un intenso traffico telefonico fra Nico e Franco, sempre più fitto dopo la morte di Laura. Il Grimaldi confessa di essere in combutta con Franco e di spacciare cocaina insieme a lui. Il giorno fatidico della scomparsa di Laura, si trovava sulla barca di Franco, sottocoperta. Ebbene, ha sentito i due litigare animosamente e ha visto l’uomo accompagnare la ragazza, in macchina, alla Dama Bianca. Ora, Luisa e Andrea hanno un movente. È arrivato il momento di arrestare Franco, ma i due solitari poliziotti se lo lasciano scappare. Il fuggitivo riesce perfino a ferire e stordire Luisa, che cade accidentalmente nella baia del porto. Andrea la soccorre e poi passa all’inseguimento di Franco, che si è mosso verso la casa di Anna. Franco non ne vuole uscire vivo e costringe Andrea a neutralizzarlo; la ferita riportata dal colpo di pistola finirà per ucciderlo. Mentre Luisa viene ricoverata in terapia intensiva, Andrea partorisce dei dubbi circa la colpevolezza di Franco. A tal proposito, si confronta con Carlo, il quale gli conferma

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che un uomo, seppur non credente, non mente in punto di morte. Franco, prima di essere colpito, si era dichiarato innocente; Andrea gli ha creduto e ha fiducia nel suo istinto. Matteo nel frattempo è diventato sospettoso di Grazia; già l’aveva seguita e scoperta a incontrarsi con don Carlo. Ora però, pedinandola, la vede salire sull’auto del parroco. Lui documenta tutto con il cellulare e appare visibilmente sorpreso da questa strana amicizia. Il padre di Matteo è invece altrettanto sgomento da un altro annuncio. A Castel Marciano è arrivato il capo della sezione Omicidi di Trieste,Paolo, che vuole imporre la sua linea. Il primo provvedimento è quello di estromettere una seconda volta dalle indagini Andrea, sebbene questi abbia salvato la vita alla Ferrari. La seconda decisione, invece, consiste nella perquisizione dell’abitazione di Matteo, durante la quale vengono trovate delle tracce di sangue su un paio di scarpe del ragazzo. Nell’interrogatorio che segue Matteo confonde di nuovo le carte: “ Ve la state prendendo con la persona sbagliata. Parlate a chi piacciono tante le ragazzine!”, esclama, alludendo alle foto con Grazia e Carlo. A questo punto due indagini proseguono parallele. Mentre il capo della Omicidi vuole incastrare Matteo, che ha quasi tutti gli indizi contro, Luisa vuole vederci chiaro riguardo al prete. Interroga Anna circa i rapporti di Laura con Carlo, venendo a sapere che questi si erano intensificati nelle due settimane precedenti all’omicidio. Luisa si reca anche dai genitori di Grazia, con lo stesso quesito. Grazia non è in casa, ma è in compagnia di don Carlo; a scoprirlo è Giovanni, che le vieta di vedere ancora il parroco. Anche Andrea viene messo al corrente del nuovo sospetto di Luisa. Del resto, ora che è tornato a casa con Roberta e Matteo, vuole essere sicuro dell’innocenza del ragazzo. Le tracce di sangue trovate

sulle sue scarpe, però, dalle analisi risultano essere di Laura. In una scena fortemente patetica, assistiamo all’arresto di Matteo. L’episodio si chiude con una perquisizione non consentita di Andrea a casa di Carlo. Il vicequestore Baldini, tuttavia, trova il video sul computer di Carlo; prima che questi si accorga della era tesa e spaventata. Inoltre, non sua presenza, lo prende e se lo porta aveva voluto vedere l’ecografia del feto e affermava di voler abortire. con sé. In conclusione, aveva restituito al QUARTO EPISODIO medico la cartellina con l’ecograAssistiamo subito ad un fla- fia e se ne era andata con Carlo. shback. Vediamo Matteo che sco- Il prete viene dunque messo di pre in mare il corpo senza vita di fronte alla teoria degli indagatori. Laura e la l’abbraccia per un’ulti- Timoroso che il bambino di Laura ma volta. D’altronde, è quello che avrebbe rivelato a tutto il paese la racconta in un nuovo interrogato- sua relazione con la vittima, quanrio, in cui viene incalzato da Paolo do la ragazza ha cambiato idea e a confessare l’omicidio. Ma non è ha deciso di tenerlo, Carlo avrebstato lui a commettere il delitto be ucciso la ragazza. Carlo però e, tra le lacrime, ci tiene a sottoli- non nega e rimane in silenzio. Ma neare come i capelli della ragazza gli ispettori hanno bisogno di una profumassero “di cannella e sale”. confessione. Paolo propone quindi Matteo, ancora una volta, non è ad Andrea di interrogare Carlo, incriminato; tuttavia è ancora in cella; magari davanti a un suo iscritto nel registro degli indaga- conoscente sarebbe stato più loti. Il racconto di Matteo regge, dal quace. Così è, infatti. Carlo rivela momento che sulle sue scarpe, ol- di aver saputo da Laura della sua tre al sangue, erano state trovate maternità e della sua intenziotracce di alghe. E alghe ce ne sono, ne di abortire. Afferma di averla effettivamente, sulla spiaggia sot- portata dalla ginecologa per farle to la Dama Bianca. sentire il battito e di essere staAndrea è in commissariato. Sta to contento di scoprire che Laura aspettando Luisa e Paolo, a cui aveva fatto marcia indietro sull’inmostra, una volta arrivati, il video terruzione di gravidanza. Ma non trovato sul pc di Carlo. Finalmen- è tutto; conferma quanto detto da te lo vediamo nella sua interezza. Matteo, cioè che Laura aveva un “Ho deciso di tenere il bambino”, amante più adulto. dichiara Laura nel filmino. AnCarlo può quindi tornare in lidrea ora ha più fiducia in Matteo bertà, ma attira gli sguardi mae gli crede. liziosi di tutto il paese. È altresì Proprio mentre sta parlando vittima di un’aggressione da parte con Anna, che lo sta interrogan- di Matteo, che non vede l’ora di esdo circa le sue frequentazioni con sere scagionato e sperava nell’arLaura, Carlo viene visitato dalla resto del parroco. Questi decide coPolizia, che perquisisce il suo ap- munque di non sporgere denuncia. partamento. Tra le sue carte, troIn una scena precedente, intanvano un biglietto da visita di una to, avevamo scoperto che il figlio ginecologa. Questa, sottoposta alle perso da Luisa era di Paolo. Il capo domande di Luisa e Paolo, riferisce della Sezione Omicidi, però, espriche la ragazza e il prete-“ non sem- me dei dubbi circa la gravidanza brava per niente un prete”- erano di Luisa, dicendo di non aver mai venuti da lei. Dice che la ragazza visto un’ecografia. Luisa è turbata 67


da questa affermazione ed è venuto per lei il momento di confidarsi con Andrea, che capisce ora l’interessamento della donna per il caso. Inizia la ricerca del compagno più adulto di Laura. Andrea e Luisa hanno dei sospetti su Giovanni, ex fidanzato di Anna e da sempre geloso delle sue relazioni. Ma i due non hanno prove e le domande all’interessato non portano a nulla di concreto. Quando la polizia lascia l’abitazione dell’uomo, assistiamo a una lite fra Giovanni, Maria e Grazia, che finisce con una profetica battuta di quest’ultima: “Siamo tutti colpevoli!”. Matteo, nel frattempo, passa la notte in cella, per volere della madre, nonostante non sia stato denunciato da don Carlo. Luisa e Paolo mettono definitivamente fine alla loro relazione (“Non voglio un figlio da te, Paolo”, esclama Luisa). Prima del violento (ed illusorio) epilogo finale, siamo testimoni di uno stravagante incontro fra Anna e Giovanni, con quest’ultimo che rimprovera alla donna di non essere riuscita a proteggere la figlia. Seguiamo da questo momento due paralleli narrativi. Da una parte, Anna scopre, in uno scrigno sul fondo dell’acquario di Laura, una serie di lettere che la ragazza conservava. Dall’altra, vediamo Giovanni prepararsi al suicidio. Saluta la figlia e la moglie che dormono e scrive una lettera d’addio, in cui confessa tutto, dalla relazione con Laura alla sua uccisione. Il ritrovamento del cadavere è scioccante per le due donne, così

come lo è per Anna scoprire quei biglietti nell’acquario. La polizia raggiunge la madre di Laura prima, poi fa visita al salotto in cui Giovanni si è tolto la vita. La calligrafia dei messaggi conservati da Laura coincide con quella della lettera scritta dall’uomo prima di togliersi la vita. Tutti i tasselli sembrano ormai essere a posto; un lungo flashback vuole mettere ordine. Il giorno prima della morte di Laura, Giovanni sta bevendo un caffè al bar dove la ragazza lavora. Le lascia un biglietto: “incontriamoci domani alle 17 alla Dama Bianca”. In casa, più tardi, Laura litiga con la madre che esige che la figlia, il pomeriggio successivo, sia alla festa ad aprire lo stand. Come se non bastasse, arriva Franco a scatenare il risentimento di Laura, che si ritira in camera sua. Il giorno dopo, Laura va prima in parrocchia, dove lascia il famoso messaggio video a Carlo, poi al porto da Franco, a cui chiede della cocaina e di accompagnarla alla Dama Bianca. Si incontra quindi con Matteo, a cui comunica la notizia della sua gravidanza, e poi con Giovanni. Il padre di Grazia, venuto a sapere che Laura non vuole più abortire, mentre questa sta chiamando la madre, le strappa il telefono, lo frantuma e infine sbatte Laura contro la roccia, uccidendola, per poi buttarla nel mare. Il caso appare chiuso; i poliziotti mettono tutte le prove e le foto dentro agli scatoloni. Paolo sta partendo, Luisa lo farò il giorno dopo. Anna e Carlo vanno sulla tomba di Laura e cercano di elaborare il lutto, ora che si conosce il colpevole. Tuttavia, Andrea si accorge di un particolare nel video sul PC di Carlo: il braccialetto di Laura, mai trovato sulla scena del crimine. Andrea scopre che questo era stato acquistato da Maria, il giorno del compleanno di Laura. Un nuovo movente viene ipotizzato da Luisa e Andrea: Maria, scoperta la relazione fra Laura e 68

il marito, ha ucciso la prima, per poi riprendersi il braccialetto che le aveva regalato. Maria, alla fine, confessa. Il caso sembra ora definitivamente chiuso, sennonché subentra un altro colpo di scena. Ad annunciarlo è Matteo, che rivela che il braccialetto era un regalo di Grazia, non di Maria, per Laura. Andrea lo scopre solo quando Grazia, ospite dei Baldini dopo l’incarcerazione della madre, ha lasciato la cena per recarsi a casa sua. Qui, però, Andrea non la trova. È infatti a casa di Anna, con l’intenzione di ucciderla con un lungo coltello. La ferma, giusto in tempo, proprio Andrea. Un nuovo, questa volta conclusivo, flashback, fa luce sulle vicende, una volta per tutte. Alla Dama Bianca, quella domenica, Giovanni aveva sì litigato con Laura, ma non l’aveva uccisa. Ad ammazzarla era stata Grazia che, vedendola baciare il padre, era tanto gelosa per questo quanto per Laura. Infatti, in un colloquio conclusivo con padre Carlo, Grazia confessa di essere stata sempre innamorata di Laura, che però era “troppo” in tutto, troppo più bella, troppo più capace di lei. Suggella questa affermazione una scritta che Grazia dipinge con il sangue,sulle pareti della cella del carcere: “ L+G= cuore”. Maria viene quindi scarcerata e giustizia è fatta. Anna può finalmente lasciare un luogo che le ricorda così tanto la figlia defunta; Andrea e Luisa si godono il paesaggio. Il Silenzio dell’acqua vanta la presenza di due star della fiction di Mediaset, Giorgio Pasotti e Ambra Angiolini, oltre che di un cast pieno di volti noti della televisione italiana. Punto di forza della serie è sicuramente l’ambientazione sulla bellissima costiera triestina. Le riprese, infatti, sono state effettuate nel territorio di Duino e Muggia e una delle location più belle è rappresentata dalla Dama Bianca,

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un castello medievale diroccato da cui, si dice, si sia buttata una cortigiana suicida. A colpire è altresì la caratterizzazione dei personaggi, che risultano pressoché sempre credibili e capaci di dare spessore alle varie sottotrame che si intrecciano. La profondità della definizione psicologica dei protagonisti è inoltre arricchita da un interessante focus sul “coro” del paese; da puntata a puntata rimane costante la voce, malevola e maliziosa, di un ambiente chiuso e carico di pregiudizi. Niente di originale, beninteso, dato che la televisione è

ormai zeppa di gialli ambientati in provincia ( a partire dal racconto dell’omicidio di un’altra Laura, quella di Twin Peaks di David Lynch). Il ritmo della narrazione, come richiesto dal genere, tiene, e i due colpi di scena finali danno un brio aggiuntivo al tutto. Il Silenzio dell’acqua non verrà certamente ricordata per essere un capolavoro, sebbene rimanga una fiction apprezzabile e decisamente godibile. puntata (con uno share del 15,30%) La tenuta degli ascolti e dello e alla quarta erano 3.143.000 con share testimonia di un buon gra- uno share del 14,40%. dimento da parte degli spettatori che sono stati 3.364.000 alla prima Ludovico Romagnoli

di Monica Vullo e Riccardo Mosca

OLTRE LA SOGLIA PUNTATA 1 CAP.1 Tosca e Marica stanno giocando a poker: all’improvviso Marica minaccia di farsi saltare la carotide con una penna ma Tosca vince la partita e la costringe a prendere i farmaci per cacciare gli alieni che dice essere nella sua testa. Appena uscita dall’ambulatorio, Tosca incontra il suo Alter ego e iniziano da subito a litigare. Nel frattempo un ragazzo corre in skateboard e frantuma il vetro di una macchina: stupito, vede Tosca parlare da sola prima di essere arrestato. La mattina seguente Tosca, in ambulatorio, incontra di nuovo il ragazzo, Jacopo, il quale le confida di fare finta di sentire delle voci per non andare in riformatorio; Di Muro, il Procuratore della Repubblica del Tribunale per i minorenni, è convinto si tratti di un criminale recidivo. Ma Jacopo ha una violenta crisi e Tosca decide di tenerlo in reparto per una valutazione. Il ragazzo cerca di ricattare Tosca dicendole di averla vista parlare da sola. Tosca gli spiega che il ricovero non è finalizzato a rinchiuderlo e intuisce le sue abili-

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tà matematiche quando minaccia di buttarsi dal terrazzo calcolando le possibili traiettorie. Tosca inizia a fare delle ipotesi sulla diagnosi di Jacopo poi, tornata a casa, viene tormentata dalle sue allucinazioni. Iniziamo a conoscere i vari personaggi: Marica che vede gli alieni, Antonio con crisi di rabbia che entra ed esce dalle comunità perché nessuno lo vuole ed anche il personale paramedico tra cui Paolo e Maria. Jacopo ha un’altra crisi e tenta di impiccarsi con una cintura: Tosca gli confida che a 15 anni le hanno diagnosticato una schizofrenia paranoide e, a sua volta, Jacopo le confida come si sente; Loreto, il direttore sanitario, le rimprovera di non essere riuscita a prevenire il tentato suicidio, evento che avrebbe potuto danneggiare l’immagine dell’ospedale. I servizi sociali rintracciano la madre affidataria di Jacopo che però non ha intenzione di prendersi cura del ragazzo: Tosca decide di recarsi a casa sua e in camera trova appesa alle pareti una complessa serie di calcoli matematici. Tosca intuisce che Jacopo è un ragazzo prodigio non capito e non 69

Origine: Italia 2019 Prodotta da: Mario Mauri per Paypermoon Italia. Diretta da: Monica Vullo (ep 1-6) e Riccardo Mosca (7-12). Ideata da; Laura Ippoliti. Soggetti: Laura Ippoliti, Michela Straniero, Stefano Reali. Sceneggiature: Laura Ippoliti, Michela Straniero, Stefano Reali, Lorenzo Bagnatori, Eleonora Bordi e Flaminia Padua. Interpreti: Gabriella Pession (Tosca Navarro),Giorgio Marchesi (Piergiorgio Di Muro), Alessandro Tedeschi (Francesco Negri), Paolo Briguglia (Alessandro Agosti), Massimo De Lorenzo (Achille Loreto), Nina Torresi (Barbara Cappello), Aurora Giovinazzo (Marica De Luca), Camilla Ferranti (Mirta Tonutti), Matteo Savino (Mario Conti), Nicolò Bertonelli (Bruno Santini), Naya Manson (Charu), Ida Sansone (Maria Pulli), Arianna Becheroni (Tosca a 15 anni), Ludovico Tersigni (Jacopo Colarusso), Sofia Iacuitto (Dora Toso), Martina Cerroni (Silvia Saccato), Michele Spadavecchia (Roberto Baroni), Maria Mosca (Anna Barberi), Gabriele Fiore (Tommaso Alessi), Giacomo Colavito (Diego Mariani),Virginia Diop (Adila Sanau), Giulia Salerno (Emma Costantini), Zoe Flora Brumoro (Lea Villa), Lorenzo Vigevano (Valerio Austoni), Giulia Sangiorgi (Francesca Rinaldi), Riccardo Russo (Antonio Greco), Alessandro Volpes (Andrea Marino), Luna Miriam Iansante (Alice Fontana), Miriam Guaiana (Ricky Donati), Caterina Leopre (Beatrice De Mei), Distribuzione: Mediaset Canale 5 Durata: 12 episodi da circa 50 minuti Messa in onda: dal 6 novembre 2019 al 17 dicembre


supportato dalla famiglia e gli procura dei test per accedere all’università. Jacopo li risolve facilmente utilizzando tutto il muretto del terrazzo come lavagna per i calcoli. L’assistente sociale consiglia a Tosca di parlare col giudice per far concedere a Jacopo delle attenuanti. Tosca ottiene dal giudice la sospensione delle ingiunzioni penali per Jacopo e si scontra inevitabilmente con il Procuratore che non è d’accordo. Il resto dell’équipe discute sull’operato di Tosca e sulle sue capacità di dirigere il reparto di neuropsichiatria: Barbara, la psicologa, viene raggiunta al termine del turno dal marito mentre Tosca incontra Di Muro e tra i due scoppia una passione selvaggia: fanno sesso nel bagno del locale. PUNTATA 1 CAP. 2 Dora ha paura che qualcuno entri nella sua camera e tagli a metà la porta. Tosca discute con Loreto della possibilità di permettere ai ragazzi di utilizzare il terrazzo e alla fine, suo malgrado, Loreto accetta. Nel frattempo ricoverano Dora che ha avuto un episodio delirante. Tosca parla con la madre della ragazza chiedendole informazioni su quanto avvenuto prima del ricovero. La madre della ragazza le spiega che da un mese non porta la figlia agli incontri protetti con il padre alcolizzato, organizzati dagli assistenti sociali. Prima di avere la crisi, Dora aveva ricevuto sul cellulare un messaggio del padre in cui le

chiedeva di ricostruire il loro rapporto. L’ équipe decide i test a cui sottoporre la ragazza e stabilisce che il Dottor Negri contatterà il padre. Dora nella stanza osserva con circospezione l’ambiente e appena si accorge della presenza della videocamera di sorveglianza pensa di essere spiata ed ha un’altra crisi paranoica. Tosca, per tranquillizzarla, invita la ragazza a distruggerla e, Marica, con cui dividerà la stanza, si lamenta di non poter fare neanche una telefonata mentre a Dora viene permesso tutto. In corridoio il collega e amico Alessandro chiede a Tosca se sta seguendo la sua terapia farmacologica ma Tosca evita la risposta con la scusa di andare in laboratorio a prendere i risultati delle analisi di Dora, da cui risulta che non fa uso di sostanze. Il padre della ragazza parla con Negri e con Tosca e rivela agli specialisti che è già il secondo accesso in ospedale nel giro di poco tempo. Marica aiuta Dora ad integrarsi nell’ambiente e la rassicura quando la vede entrare di nuovo in crisi. Alessandro aggiorna Tosca e Negri sulla terapia di gruppo: Mario migliora nel suo disturbo da accumulo, Francesca peggiora con l’anoressia e Andrea non riesce a dormire. Dora sembra essersi ripresa e interagisce con Marica che però la mette in crisi quando la pone di fronte a una semplice scelta tra due smalti. Inizia così la riunione tra i pazienti, la psicologa e Tosca: Andrea riferisce di non riuscire a dormire per paura di smettere di respirare, Antonio osserva i ragazzi rabbioso, Dora riesce a comunicare la sua paura di essere tagliata a metà e chiede di poter vedere la madre. L’incontro viene concesso ma Tosca lo osserva dalla telecamera e sente la madre chiederle se le hanno fatto domande su di lei, ma Dora nega. Tosca e Alessandro si incon70

trano al bar The Plaza: Tosca gli confida di aver avuto un rapporto sessuale nel bagno del locale e di aver paura di incontrare di nuovo la persona di cui non dice il nome per paura di legarsi. Tosca rientra in reparto affamata e Maria le prepara qualcosa da mangiare mentre i ragazzi si svegliano, osservano il suo spuntino e si uniscono a lei. Dora in bagno pensa di essere spiata dalla madre e quando Marica le si avvicina, la colpisce urlando di non toccarla: accorrono Tosca e tutto il personale. Marica rivela che Dora ha rubato il cellulare alla madre durante la visita. Maria suggerisce a Tosca di rimettere la videocamera di sorveglianza nella stanza di Dora ma Tosca non è d’accordo e preferisce trasferire Marica nella stanza di Francesca. Mentre Tosca medica Marica, quest’ultima le dice che Dora l’ha colpita mentre aveva le allucinazioni e l’ha scambiata per la madre. In riunione i medici parlano con l’assistente sociale per capire l’entità e le motivazioni degli incontri protetti tra Dora e il padre. Negri e Tosca discutono sull’eventualità di somministrare i farmaci antipsicotici a Dora e alla fine Tosca concorda su questa linea di intervento. Tosca parlando con il suo Alter ego, visita i dintorni della casa di Dora e si accorge della presenza di diverse videocamere; chiama allora il Procuratore chiedendogli di raggiungerla. Con uno stratagemma, i due riescono a guardare i filmati della sorveglianza di un’autofficina fino a quando vengono scoperti dal proprietario e scappano. Appena raggiungono un luogo sicuro, Di Muro ordina a Tosca di scendere dalla macchina accusandola di essere matta, e lei nella fretta dimentica lì le sue pillole. Mentre Tosca visiona i filmati, Dora esce dalla sua stanza con un cuscino in mano e gli inservienti

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la raggiungono pensando che abbia una crisi: invece Dora voleva solo addormentarsi vicino a Marica. Tosca dai filmati scopre che Dora vedeva il padre di nascosto, così le svela di aver capito le sue difficoltà nella scelta impossibile tra i due genitori: il conflitto tra di loro e il dover scegliere hanno innescato l’episodio psicotico. Era dunque il difficilissimo conflitto di lealtà a farla stare così male e viene raccomandato a entrambi i genitori di proteggerla e aiutarla. Dora viene dimessa. Alla fine del turno Tosca ha delle allucinazioni e si rende conto di aver dimenticato le pillole nella macchina del Procuratore ma Di Muro ha già chiesto informazioni e ha scoperto che sono antipsicotici. PUNTATA 2 CAP.1 Silvia a scuola mangia una merendina e subito dopo riceve dei messaggi in cui viene schernita “perchè mangia come un maiale”. Perde le staffe, butta uno zaino dalla finestra e come sdoppiata si vede da fuori. Tosca gioca a poker con i paramedici dell’ambulanza, vince e chiede di utilizzare i soldi per comprare del materiale per il reparto. Viene ricoverata Silvia che spiega a Tosca e Negri di essersi vista da fuori mentre aveva la crisi di rabbia ma che è stato l’unico episodio. Rimasta da sola con Tosca, Silvia spiega di essersi rifiutata di farsi prelevare il sangue per non mostrare i segni di diversi tagli sul braccio, tra cui anche un cuore, fatti “solo per provare”. Al colloquio, i genitori riferiscono a Tosca e ad Alessandro di essersi accorti di un aumento del nervosismo della figlia che avrebbe legato poco con i compagni. In bagno Tosca ha le allucinazioni e il suo Alter ego la mette in guardia sulle possibili azioni del procuratore che ora sa dei farmaci: potrebbe farla rinchiudere o

denunciarla a Loreto. Alla visita con Alessandro e Barbara, Silvia di fronte alla bilancia ammette di farsi schifo percheé grassa; l’équipe si interroga sulla possibile diagnosi della ragazza. Intanto quest’ultima conosce i ragazzi ricoverati ma teme che nessuno possa comprenderla e si lamenta dell’attività di gruppo data da Barbara in cui ognuno deve evidenziare una caratteristica dell’altro. Tosca, confrontandosi con Barbara, evidenzia come la ragazza abbia un problema con l’immagine di sé. Nel frattempo, i paramedici iniziano a sistemare il terrazzo e i ragazzi discutono su come vorrebbero utilizzarlo: Silvia innesca una lite e poi sviene. Il gruppo di lavoro cerca di fare chiarezza e Tosca decide di parlare apertamente con la ragazza sulle ragioni che l’hanno portata a reagire in modo violento ma Silvia risponde di non aver mai avuto delle reazioni del genere; Tosca cerca con lei un’alleanza capendo che la ragazza è molto spaventata. In reparto arriva anche Caterina, una sua compagna di scuola, che chiede di vedere Silvia per fare delle foto da mandare al gruppo classe. Dalla Tac di Silvia emergono dei segni di fratture protratte nel tempo che potrebbero indicare dei maltrattamenti, ma Loreto intima a Tosca di trovare maggiori elementi prima di denunciarlo alle autorità. Tosca e Barbara vanno a scuola di Silvia a parlare con l’insegnante, Caterina riferisce che è il padre il responsabile dei maltrattamenti, ma Tosca non ci crede e fa sbloccare il telefonino della ragazza dove trova dei video in cui viene bullizzata dai compagni. Di fronte all’evidenza Silvia confida a Tosca tutti gli episodi di bullismo subiti e che Caterina li diffonde sui social: la diagnosi è disturbo da stress post-traumatico. La stessa Silvia, i genitori e To71

sca denunciano al Procuratore le violenze e quest’ultima richiede al tribunale una perizia psichiatrica su Caterina che non è pentita ma anzi compiaciuta. Il ragazzo di Marica va a farle visita, ma la stessa si rende conto da come schernisce Antonio che considera matta anche lei e lo caccia via. Alessandro cerca di convincere Tosca a non essere sempre così sulla difensiva e a fidarsi intraprendendo una relazione seria con la persona che sta frequentando. Tosca e Di Muro si confrontano sulla richiesta di perizia per Caterina, lei lo invita a casa sua e poi ha una crisi: il suo Alter ego le intima di stare attenta ad affezionarsi. PUNTATA 2 CAP.2 Di Muro chiede a Tosca se ricorda di essersi sentita male la sera prima. Roberto durante un esame di chitarra al conservatorio, cambia l’esecuzione di un pezzo e viene portato dal padre in neuropsichiatria in piena crisi maniacale. Il padre riferisce a Tosca che il ragazzo ha perso la madre, anche lei musicista, e che da tempo soffre di attacchi di panico seguiti da crisi di angoscia durante le quali suona in modo ossessivo. A 13 anni gli avevano diagnosticato un disturbo d’ansia generalizzato. I ragazzi in reparto lo osservano e Tosca gli chiede cosa abbia provato durante la crisi. In équipe discutono il caso e Negri annuncia l’ingresso di un nuovo paziente che soffre di anoressia nervosa: Bruno, figlio di un di un manager di una nota casa farmaceutica. Di Muro chiede


all’assistente sociale informazioni personali su Tosca. Intanto Roberto domanda a Maria di riavere la sua chitarra. Al gruppo i ragazzi si confrontano sui loro vissuti attraverso delle fotografie e Roberto, rivela una grande sensibilità e il desiderio di poter suonare. Francesca manifesta un interesse per il ragazzo. Un calo nel tono dell’umore di Roberto fa ipotizzare ai medici un disturbo bipolare. Di Muro invita a cena Tosca che però è ossessionata dalle sue allucinazioni. Bruno corrompe l’inserviente per accedere al terrazzo con gli altri ricoverati e Roberto ha una crisi. L’inserviente viene licenziato, Tosca torna di corsa in reparto e quando vede l’esito negativo delle radiografie capisce che il problema di Roberto è legato alla necessità di individuare una strada personale diversa rispetto alla madre concertista. Barbara rivela ad Alessandro che Tosca avrebbe cambiato atteggiamento nei confronti del procuratore, insinuando che ci sia una relazione tra loro. Il gruppo di lavoro propone di dimettere Roberto con una riduzione progressiva dei farmaci. Tosca e i ragazzi si occupano di pulire il terrazzo, mentre Roberto suona per salutarli e annuncia la sua intenzione di lasciare il conservatorio pur continuando a fare musica. Intanto il padre di Bruno elargisce un finanziamento che permette di rimodernare il terrazzo. Mirta, l’assistente sociale avrebbe trovato un posto in una comunità per Antonio e confida a Tosca che Di Muro le ha chiesto informazioni personali su di lei. Tosca irritata da queste invadenze lo lascia. Antonio trova nel terrazzo un posto

sicuro, disegnando una spirale Anna ha visto il video di una ragazza ricoverata e ne ha condiviso dove rifugiarsi. il pensiero delirante. Viene proPUNTATA 3 CAP.1 posta una psicoterapia di supporAlice si trucca e si veste bene to individuale e familiare. Tosca, per poi gettarsi dalla finestra e inoltre, in accordo con il medico atterrare su un tendone, sotto cui della clinica, fornisce ad Anna il si trova Anna. Per fortuna Alice numero della ragazza ricoverata riprende subito i sensi. Un cagno- e la dimette. Un uomo dal passato lino vicino a loro li guarda. In re- torna nella vita di Tosca ma lei lo parto arriva il nuovo infermiere evita. che sostituisce Paolo e tutti pensano sia stato assunto da Loreto per PUNTATA 3 CAP.2 Tommaso viene trovato in bacontrollarli. Alice viene portata dalla madre in reparto insieme ad gno dai genitori con le vene taAnna e al suo cane Biscotto. Anna gliate e viene portato d’urgenza si rifiuta di fornire le sue generali- in neuropsichiatria, Tosca e Alestà perché crede di essere ricercata sandro parlano con i suoi genitoda istituzioni non governative e ri dei comportamenti autolesivi di avere dei poteri taumaturgici; del figlio ma questi minimizzano inoltre non vuole separarsi dal suo il problema. Tommaso, legato al cane perché teme che possa morire letto, chiede di non essere liberasenza di lei. Nel gruppo di lavoro to. Dopo aver parlato con Tosca, cercano di capire se Anna deli- Tommaso si tranquillizza e inizia rasse già prima dell’incidente e la a disegnare lupi. Bruno rivela a portano a fare una Tac ma nel tra- Marica di essere omosessuale, lei, gitto manifesta tic e pensieri sui- intanto, rimane affascinata da cidari. Rivela inoltre di essere già Tommaso e dai suoi disegni. Tostata ricoverata ma i medici non sca e Alessandro si confrontano riescono a capire chi sia, perché su Alice. La luna piena risveglia il non ci sono denunce di scomparsa. disturbo di Tommaso che reagisce Tosca comunica all’assistente so- male alle avance di Marica menciale di non voler dimettere Anto- tre quest’ultima confida a Tosca nio, perché finalmente sta facendo di avere degli atteggiamenti disidei progressi. Anna prova a guarire nibiti che non riesce a gestire. La Alice senza riuscirci. Mario, in ter- mattina seguente Tosca parla con razzo cerca di fare canestro prima Tommaso e ipotizza che il ragazzo di essere dimesso mentre Antonio abbia paura di una parte di sè su rimane seduto all’interno del sua cui non ha il controllo. Alessandro scopre che l’uomo che cerca Tosca spirale disegnata. Il nuovo inserviente aiuta il è suo fratello e prova a parlarne gruppo di lavoro a identificare con lei che però reagisce male. Anna, trovando un veterinario per Una nuova paziente, Ricky ha una leggere il chip del cane. Di Muro crisi legata alla sua identità di geraggiunge Tosca e accetta di stare nere e minaccia la madre di morcon lei senza fare troppe domande. te, Negri la convince a ricoverarsi Trovato l’indirizzo della ragazza, per qualche giorno. Intanto TomTosca si reca a casa di Anna dove maso esce dal reparto di nascosto. scopre maggiori informazioni sul- Negri, Alessandro e Barbara lo la clinica in cui sarebbe stata ri- scoprono quasi subito. Saverio, il coverata. I genitori vengono mes- fratello di Tosca riesce finalmensi a conoscenza dei disturbi della te a parlarle e le comunica che la ragazza. La visione del video della madre è molto malata e vorrebbe clinica permette ai medici di fare rivederla ma Tosca rifiuta categouna diagnosi: follia a due cioè ricamente. Tosca avvisa Di Muro 72

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della scomparsa di Tommaso e Loreto la rimprovera per questa ulteriore omessa sorveglianza e le ordina di dimettere Antonio per mancanza di personale. Tommaso viene ritrovato per strada nudo e Tosca lo convince a farsi ricoverare di nuovo. L’équipe cerca di comprendere i sintomi di Tommaso che crede di essere un licantropo mentre Ricky con la disforia di genere viene assegnata a Negri. L’assistente sociale comunica a Tosca che il tribunale ha ottenuto il nulla-osta per le dimissioni di Antonio. PUNTATA 4 CAP.1 Diego dopo un combattimento corpo a corpo con un altro ragazzo, si mette a tirare pugni al sacco fino a collassare. Tosca dopo una notte di passione con Di Muro teme che se ne sia andato senza dire niente ma eccolo tornare con i cornetti al cioccolato per la colazione: si baciano appassionatamente. In reparto Tosca viene chiamata a fare un consulto in cardiologia, perchè Diego non ascolta i segnali del suo cuore sotto sforzo; ricoverato, conosce gli altri ospiti del reparto: Andrea e Bruno con cui viene messo in stanza perchè Andrea deve iniziare a dormire da solo. Dopo la riunione di équipe, Tosca si confronta sulla sua reazione alla paura di essere stata abbandonata che ha provato la mattina stessa con Alessandro il quale le consiglia di parlare a Di Muro della sua malattia e di andare a salutare il fratello Saverio ma lei rifiuta entrambi i suggerimenti. A pranzo con i ragazzi Diego vorrebbe dei cibi più proteici e nota che Bruno mangia da solo, tra loro c’è tensione. Il padre di Diego va a trovarlo in reparto e gli porta un poster da appendere. Le analisi rivelano che Diego non fa uso di anabolizzanti e così Tosca cerca di ricostruire cosa stava facendo esattamente Diego prima di sentirsi male: l’équipe ipotizza che

il disturbo derivi da un padre troppo ingombrante e pressante. Bruno confida a Diego di essere omosessuale e Diego infila una sequela di pregiudizi, clichè e distinguo tra “noi” e “voi”. All’orario di visita Bruno resta da solo in un angolo perché è l’unico a non ricevere visite dai parenti. La sera Alessandro si ferma a controllare i test di Diego e si confronta con Barbara; Tosca invece rimane seduta sulla panchina mentre il fratello parte. Intanto i ragazzi si ritrovano insieme per festeggiare le dimissioni di Marica: tutti si truccano e quando Andrea dice a Ricky “col trucco, sembri quasi una donna”, lei scappa via piangendo. Bruno trucca Diego e poi in camera prova a baciarlo ma Diego reagisce male e gli rompe il naso: Loreto se la prende con il gruppo di lavoro per quanto accaduto a Bruno. Intanto il gruppo di lavoro si interroga sulla diagnosi di Diego che Tosca inquadra come vigoressia, un disturbo alimentare molto raro, in cui l’ossessione per il corpo viene “mascherata” come “salutare” attenzione per un’alimentazione corretta e per esercizi fisici. Saputo dell’incidente, il padre di Bruno si presenta in clinica: Bruno pensa che finalmente lo voglia tenere con sé ma appena capisce che vuole solo portarlo in un’altra clinica, si spoglia e ha una crisi di pianto davanti al padre che decide di lasciarlo lì con le sue “problematiche”. Marica è spaventata all’idea di essere dimessa e ne parla con Tosca che la rassicura e le dà il numero di Tommaso. Diego guarda Bruno da lontano senza avere il coraggio di entrare nella sua stanza e come reazione mette a fare degli addominali, esagera ed ha una crisi cardiaca ma viene salvato dallo stesso Bruno che dà l’allarme. Tosca si reca nella palestra di boxe per cercare di capire quale sia stata la mossa di pugilato che ha messo in crisi Diego; provandola, capisce che la chiave è il contat73

to ravvicinato con un altro corpo maschile. Tosca parla apertamente con Diego della possibilità che lui sia omosessuale e di come sia importante riconoscere quello che sente nonostante il timore di deludere la famiglia altrimenti la vigoressia continuerà ad avere la meglio. I genitori vorrebbero portarlo a casa ma lui insiste per rimanere sotto ricovero guardando Bruno con un sorriso. PUNTATA 4 CAP.2 Adila con alcuni amici sta fumando erba, vede una donna estrarre qualcosa dalla borsa, e pensando sia una pistola la aggredisce perché temeva volesse fare una strage. Interviene un vigile urbano che chiarisce l’equivoco: Adila ha una crisi nervosa e viene ricoverata ma nega di aver preso droga. Arrivano i genitori, originari del Burkina Faso, padre mediatore culturale, madre docente universitaria in Italia da una ventina d’anni, che la descrivono come una ragazza tranquilla, con pochi amici perchè ha valori diversi: l’unico problema fisico che ha è la mancanza di ciclo mestruale. Adila conosce i ragazzi, ma appena si accorge di non avere la sua giacca aggredisce il personale. Durante il pranzo, Bruno mangia un maccherone dal piatto di Diego poi si accarezzano e si baciano. Tosca va a trovare Di Muro perchè ha bloccato la perizia psichiatrica di Caterina e lo avvisa che la faranno comunque. Il test però non è utilizzabile in quanto Caterina ha mentito sulle domande di controllo: Barbara però vuole trovare un modo per aiutare la ragazza,


Alessandro le assicura il suo appoggio e i due si baciano. Appena uscita, Tosca ha le allucinazioni ed il suo Alter ego le fa presente che Di Muro ha ragione sulla colpevolezza di Caterina. Adila continua a strapparsi i capelli da sotto la fascia, e pensa che dal bocchettone dell’aria condizionata esca gas: Andrea la trova in piena crisi. Ricky confida al gruppo di tagliarsi perchè vorrebbe avere una corazza e fare la muta: sentite queste parole, anche Adila afferma timidamente che per lei è lo stesso; poi ha di nuovo episodi psicotici che terrorizzano Andrea. A questo punto Alessandro lo raggiunge e gli chiede di aiutare Adila a razionalizzare le sue paure. Tosca e Alessandro parlano con Adila che conferma di aver avuto paura: durante l’équipe viene ipotizzato un esordio psicotico. Scoprono che ha bigiato e ha un cellulare segreto così Tosca va a incontrare gli amici di Adila che le dicono che lei è stata adottata e confessano che quella mattina stavano fumando uno spinello con un’erba sintetica di nome Space. Nel frattempo Diego viene dimesso e davanti ai genitori saluta Bruno con un bacio appassionato ed inequivocabile. Tosca parla con Adila che ammette le sue difficoltà a integrarsi nel gruppo dei pari perchè i genitori le stanno inculcando valori molto diversi e le chiede di tacere sull’uso della cannabis; inoltre si scopre che Adila ha il ciclo ma che lo nasconde perché teme ulteriori compressioni alle sue già scarse

libertà. Nella consueta riunione di équipe, si confrontano sul fatto che l’uso di Space possa spiegare i deliri e le allucinazioni. I genitori vogliono riportarla a casa ma la ragazza ha un’altra crisi pensando che l’acqua che sta per bere la madre sia avvelenata: tutti si rendono conto della gravità della situazione che Tosca imputa a un delirio transitorio attivato dallo stress di condurre una doppia vita per non dispiacere i genitori e l’uso prolungato di stupefacenti ha slatentizzato questo disturbo. Ma visto che “integrarsi non vuol dire omologarsi” viene fatto un rito africano di passaggio col fuoco, simbolo di morte e di rinascita. Ognuno decide di abbandonare qualcosa di importante ma ormai relegato al passato: per Bruno è il libro “I dolori del giovane Werter”, per Ricky la fascia con cui si schiaccia il seno per appiattirlo il più possibile mentre per Adila è la fascia con cui nasconde la sua tricotillomania, cioè lo strapparsi i capelli. Nel finale Di Muro lascia Tosca per mancanza di fiducia. PUNTATA 5 CAP.1 Emma, che vive in una casa-famiglia, vede una sua compagna che si sta strozzando con un pezzo di cibo: non riesce neppure ad urlare, rimane impietrita e viene ricoverata. Nella riunione del gruppo di lavoro si decide di finire la perizia psichiatrica di Caterina - che si lega sempre più a Barbara - e si sottolineano i progressi di Bruno che vorrebbe poter comunicare con Diego. Tosca sta male e rischia l’overdose da farmaci ma continua a confidarsi con Alessandro raccontandogli degli ultimi sviluppi con Di Muro e poi passa la notte giocando a carte con i ragazzi. Nel frattempo Caterina si confida con Ricky e cerca di allontanarla da Alice, Emma riprende a parlare e mangiare senza ricordare nulla, Marica salta la visita di controllo 74

e bigia per andare da Tommaso: quando però lui la rifiuta, lei butta le pillole e scappa via. Tosca va in casa-famiglia per avere un quadro generale e la storia clinica di Emma; scopre così che la madre era in cura da uno psichiatra per un disturbo di personalità multiple. Non solo: i genitori sono morti in un incendio con Emma presente; il padre l’ha salvata ma poi è morto cercando di salvare anche la madre. Tosca parla con Emma dei suoi sintomi, e le chiede di ripercorre il suo vissuto traumatico: non è riuscita a gridare aiuto mentre la casa era invasa dalla fiamme. Questo ha creato una scissione tra due personalità in conflitto, una remissiva e una dominante. Ricky cerca di integrare Caterina nel gruppo mentre Andrea viene dimesso. Alessandro e Barbara si baciano ma poi lei se ne va con il marito che è passato a prenderla. Tosca e Di Muro fanno l’amore e poi lui le confida di amarla. PUNTATA 5 CAP.2 Intanto Marica ricomincia ad avere le allucinazioni chiusa negli spogliatoi della spiaggia, e pensa che gli alieni stiano venendo a prenderla. Viene ricoverata nello stesso momento in cui Tommaso va a fare la visita di controllo. Mentre Tosca parla con i genitori sull’importanza dei farmaci e propone di iniziare una terapia familiare, Marica crea confusione in corridoio e ne approfitta per scappare con Tommaso. Loreto parla con i genitori, mentre Tommaso e Marica vanno in giro in motorino, Tosca chiede aiuto a Di Muro ma sta sempre peggio. I due ragazzi si fermano a mangiare un panino lungo la strada e Marica convince Tommaso a non prendere i farmaci. Bruno viene dimesso e Diego lo va a prendere invitandolo a pranzo dai genitori. Tosca e Di Muro si mettono alla ricerca dei ragazzi che scappano senza pagare i pani-

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ni e amoreggiano in spiaggia e tra le onde ma poi litigano e Marica si allontana di nuovo. Nel frattempo in ospedale Alessandro cerca di parlare con Barbara che gli ribadisce di amare il marito, Caterina con una scusa distrae l’infermiere e usa il suo cellulare per creare una pagina Facebook contro Silvia, già sua vittima di cyber-bullismo. Marica cerca di mostrare a Tommaso dove pensa che gli alieni andranno a prenderla ma un guardiano li sorprende e durante la colluttazione che segue, viene ferito e i ragazzi vanno nel panico pensando di averlo ucciso. Tosca capisce dove potrebbero essere grazie alla chiave dello stabilimento che Marica aveva con sé; lei e Di Muro trovano la guardia ferita, chiamano l’ambulanza mentre ricevono la telefonata di Tommaso in cui piangendo dice che lui e Marica sono tornati in ospedale. Precipitatasi lì, Tosca trova Marica sul terrazzo che vuole buttarsi di sotto, le si avvicina, le parla a cuore aperto e con uno stratagemma la mette in salvo. Di Muro tornando a casa con Tosca le chiede perchè abbia detto a Marica che “loro due sono uguali” ma Tosca ha una crisi violentissima: a casa arriva Alessandro che le fa un’iniezione e rimane con lei mentre Di Muro preferisce andarsene. PUNTATA 6 CAP.1 Tosca si sveglia e Alessandro cerca di rassicurarla; più tardi viene informato da Barbara che la guardia giurata ha fatto causa all’ospedale; Loreto riprende tutto il gruppo di lavoro sulla gravità del fatto, e inizia a diffondersi l’ipotesi di licenziare Tosca, considerata la principale responsabile. Lea al funerale della nonna, corre e ride tra le tombe pensando di vederla e di parlarle così viene ricoverata. Tosca si confronta con Alessandro che le racconta cosa è successo la sera prima: decide allo-

ra di confidarsi con Di Muro sulla sua schizofrenia e sul perché glielo abbia taciuto fino a quel momento. Nel gruppo dei pazienti si affronta il tema della paura e Alice guardando negli occhi Caterina, dice che non le piacciono le persone che fingono di essere chi non sono. Caterina chiede di poter rifare i test. Alessandro e Barbara sono preoccupati per Tosca che continua ad avere le allucinazioni. Alla riunione di équipe si discute di Lea che ha compilato i test a caso. Alessandro e Tosca parlano degli sbalzi di umore di Lea ai suoi genitori che continuano a minimizzare la gravità dei sintomi. Barbara parla ad Alessandro dei suoi sentimenti e del fatto che sente di amare due persone contemporaneamente: lui e il marito. Caterina inizia a insinuare in Ricki l’idea che nessuno nel reparto vuole che loro siano felici, Tommaso e Marica vengono sorpresi a baciarsi e chiedono a Tosca rassicurazioni sulla possibilità di farcela come coppia. Il padre di Silvia informa Di Muro che sono ricominciati i messaggi di bullismo contro la figlia. Durante il pranzo Lea inizia a familiarizzare con gli altri ospiti mente Alice si comporta in modo strano dopo le minacce di Caterina. Tosca, Barbara e l’assistente sociale affrontano Caterina, la quale nega di essere stata lei ad aver mandato i messaggi, ma Tosca capisce che sta mentendo e che ha preso di mira, Ricky, la persona più influenzabile del reparto. Lea in preda al delirio inizia a vedere delle persone che le dicono di distruggere la torre di mattoncini che gli altri ragazzi stavano costruendo. Tosca confida a Lea di avere anche lei delle allucinazioni e Lea le racconta di tutte le sette voci che sente con le loro diverse personalità. Tosca le suggerisce di ascoltare solo le voci che la fanno stare bene perché lei può avere il controllo su 75

di loro. Tosca e Alessandro parlano del fatto che Lea non abbia avuto un episodio psicotico isolato ma una schizofrenia il cui prezzo, come sa bene Tosca, è la solitudine. Alessandro parla della diagnosi ai genitori e dell’importanza che Leo non rimanga da sola, con l’obiettivo di una buona qualità di vita. Dopo aver scoperto che il cellulare da cui è stata creata la pagine Facebook contro Silvia, è quello di Tullio, il procuratore dispone le dimissioni di Caterina e la sua imputabilità. Barbara si dispiace di non aver capito il gioco della ragazza. Di Muro si scusa con Tosca per come ha reagito alla notizia della sua schizofrenia ma le chiede del tempo per riflettere: nel frattempo viene riportato in clinica Antonio. PUNTATA 6 CAP. 2 Un ragazzo viene trovato morto sul selciato mentre Valerio chiuso nella sua stanza aggredisce la madre. Viene poi nominato un ispettore sanitario, Mattei, per un’inchiesta sul reparto da parte del ministero della sanità: Loreto chiede la massima collaborazione a tutto lo staff perché la situazione e’ molto grave. Valerio viene ricoverato in modo coatto: Tosca riesce a parlare con la madre del ragazzo la quale, dopo molte reticenze, le confida che Valerio rimane sempre chiuso in camera sua al computer. In ospedale, nonostante le ripetute sollecitazioni di Tosca, Valerio non collabora, fa dei gesti strani e ripetuti ma si rifiuta di parlare. L’équipe pensa che sia un caso di hikikomori.


Sul terrazzo Antonio si siede nella sua spirale ma Tosca riesce ad avere un contatto con lui, Di Muro parla con Alessandro che gli dice che la malattia di Tosca non ha mai interferito con la sua capacità clinica. Loreto individua come possibile successore di Tosca, Negri che pero’ rifiuta l’offerta. Ricky si scusa con Alice per essersi fatta influenzare da Caterina. Barbara racconta a Tosca di aver confessato al marito quanto accaduto con Alessandro. Intanto Tosca organizza un’uscita di gruppo per andare al concerto di Roberto. Alessandro parla all’ispettore sanitario di come Tosca abbia salvato la vita a Marica e ricorda a quest’ultima che anche lei deve sottoporsi all’inchiesta. Il marito di Barbara si reca in ospedale e colpisce con un pugno Alessandro. Tosca esamina attentamente la camera di Valerio e ne requisisce il computer che consegna poi a Di Muro per farlo analizzare: mossa risolutiva perché si scopre che Valerio, seguace di una setta ha istigato al suicidio il ragazzo trovato morto. Tosca guardando alcune foto nella stanza di Valerio, le usa per far credere a quest’ultimo di essere anche lei un membro della setta, cosi Valerio le spiega di essere vicino a compiere la missione e confessa il suo crimine. Ma quando si accorge di essere stato ingannato cerca di strangolare Tosca che viene salvata da Antonio. Valerio viene sedato e Tosca va a parlare con l’ispettore saniario e gli spiega come i suoi metodi servano solo ad arrivare prima che i ragazzi oltrepassino la soglia della normalità ma lui ribatte che pro-

prio i suoi metodi legati alle eccezioni possano aver spinto Marica a tentare il suicidio. Gli ex ospiti, i ragazzi e il personale vanno tutti al concerto di Roberto mentre Di Muro viene sentito da Mattei. Tosca si avvia da sola pacifica insieme al suo Alter ego.

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Oltre la soglia è un medical drama diretto da Monica Vullo e Riccardo Mosca, il cui focus è mettere in scena la malattia mentale in adolescenza. La story line verticale è incentrata sulla storia di un adolescente e del suo disturbo mentre la story line orizzontale riguarda Tosca e il rapporto con il suo Alter ego e la conflittuale storia d’amore con Di Muro; attorno a questo le storie degli altri colleghi e dei ragazzi ricoverati. L’idea di partenza per accattivare un pubblico televisivo generalista è quella di utilizzare come protagonista Tosca, primario perspicace e ribelle di un reparto all’avanguardia nella cura di adolescenti con disagi psichici, che nasconde un passato difficile e una diagnosi di schizofrenia. Questo escamotage narrativo ripetuto fino a diventare prevedibile, rivela una conoscenza molto superficiale se non addirittura irrealistica della schizofrenia, vista da un lato come “superpotere” per entrare in empatia e, dall’altra, in modo didascalico in stile “pubblicità progresso” per lanciare dei messaggi anche giusti ma buonisti. È apprezzabile il tentativo di sensibilizzare le persone ai disturbi mentali in adolescenza che vengono spesso minimizzati con l’idea che l’adolescenza sia solo un periodo difficile ma transitorio o etichettati come indice di irrecuperabilità. Tuttavia il risultato non è all’altezza delle aspettative: i disturbi sono abbozzati, resi con effetti speciali di scarso livello (porte che sbattono, luci a intermittenza per rendere le allucinazioni...), gli interventi clinici lasciati spesso a 76

una spettacolarizzazione dei protagonisti medici che in 50 minuti, si trasformano in investigatori, diventano migliori amici dei pazienti, risanano torti, risolvono ingiustizie, si giocano a poker con i pazienti la compliance farmacologica (nella prima puntata Tosca sconfigge Marica a poker che perde così la possibilità di uccidersi e deve accettare la cura farmacologica). Vi è inoltre una disparità importante nell’evoluzione narrativa tra il caso trattato nel singolo episodio (con sintomi, storia clinica, colloqui con i genitori, visite domiciliari...) e le storie dei personaggi e dei disturbi dei lungodegenti che rimangono sullo sfondo, anche se poi hanno un ruolo rilevante nel gruppo dei pari per il risvolto terapeutico di se stessi e dei nuovi protagonisti dei capitoli. Da segnalare la colonna sonora scelta per accogliere il gusto dei giovani e le nuove tendenze trap e indie rock, così, nella serie si trovano brani di artisti come Coez, Gemitaiz, Gazzelle e Achille Lauro, oltre a canzoni originali di musicisti emergenti, tra le quali Starò bene, il pezzo scelto per chiudere l’ultimo episodio della serie. Dopo quattro puntate, causa bassi ascolti, Oltre la soglia è stata sostituita da All Together Now e spostata alla domenica. Mentre, la sesta puntata, è stata mandata in onda in seconda serata di martedì 17 dicembre 2019. Tale variazione si può notare dai dati di ascolto sotto elencati. - puntata 1 2.348.000 spettatori - 11.3% di share; - puntata2 1.840.000 spettatori 9.2% di share; - puntata3 1.820.000 spettatori 8.9% di share; - puntata4 1.810.000 spettatori 8.9% di share; - puntata 5 1.483.000 spettatori - 6.5% di share; - puntata 6 1.577.000 spettatori - 7.3% di share. Maria Antonietta Vitiello


Pubblicato a cura del Centro Studi Cinematografici è un bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola con più di trent’anni di vita. Si rivolge agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi con la fruizione di film (serie televisive, immagini in genere), recensioni di libri, dvd e proposte veicolate da internet. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 35.00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org

Euro 6,00 · Poste italiane SpA. Sped. in a.p. 70% - DCRB-Roma - Anno XXXV - nuova serie - Periodico bimestrale - n. 136/137

Il Ragazzo Selvaggio CINEMA, TELEVISIONE E LINGUAGGI MULTIMEDIALI NELLA SCUOLA

136/137 LUGLIO-OTTOBRE 2019

Venezia 76 Un cinema in movimento Il ritratto negato, Martin Eden Joker, C’era una volta a… Hollywood La vita invisibile di Eurídice Gusmão Panorama Festival La fiamma del peccato Gruppo di famiglia in un interno Cupo tramonto

Il Ragazzo Selvaggio Pubblicato a cura del Centro Studi Cinematografici è un bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola con più di trent’anni di vita. Si rivolge agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi con la fruizione di film (serie televisive, immagini in genere), recensioni di libri, dvd e proposte veicolate da internet. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 35.00 Per abbonamenti: Centro Studi Cinematografici Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Tel. 06.6382605 - email: info@cscinema.org

Speciale Centenario Cinema e Grande Guerra Il 24 maggio 2015 abbiamo ricordato l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Gli anniversari sono sempre fonte di rivisitazione e di stimolo verso più meditati giudizi su quanto è avvenuto. Lo Speciale propone un saggio e una raccolta di schede che fanno riferimento alla Prima Guerra Mondiale. Pur nella loro diversità tutti gli articoli possiedono un fil rouge che li unisce e che passa attraverso due diverse chiavi interpretative: il rapporto tra Cinema e Storia e il Cinema come elemento che contribuisce esso stesso a creare la Storia. Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org


Giuseppe Gariazzo, Giancarlo Zappoli Gli schermi e l’Islam 400 film Centro Studi Cinematografici, Roma 2016 pp. 204, euro 10.00 Un libro per conoscere senza pregiudizi i mille volti dell’Islam raccontati tanto dai musulmani quanto dagli occidentali. Scheda 400 film, ognuno comprendente cast e credits, un’ampia sinossi e l’indicazione della distribuzione italiana o estera per la reperibilità delle copie. L’intenzione è, prima di tutto, divulgativa. Il lavoro è stato infatti concepito come strumento utile non solo per gli addetti ai lavori, ma per insegnanti, educatori, associazioni al fine di comprendere in modo chiaro ed essenziale un argomento di estrema e complessa attualità.

L’invisibile nel cinema Falsopiano/Centro Studi Cinematografici Alessandria 2017 pp.206, euro 10.00 Il cinema che produce pensiero non è quello che mostra ma quello che occulta, che suggerisce, che interpella sull’oltre dell’immagine. Il cinema che invita a vedere, fra gli interstizi della narrazione per immagini, nelle ellissi, nei falsi raccordi di montaggio, nel fuori campo, nella sospensione del racconto. Il volume aggiunge voci diverse e diverse sensibilità di studiosi ai non pochi contributi usciti in questi ultimi anni su questo stimolante argomento.

Anno XXV (nuova serie) - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70% - DCB - Roma

Flavio Vergerio (a cura di)

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