Michele Gorga
Michele Gorga - Avvocato Cassazionista, Docente in Mediazione e Conciliazione presso l’Università Europea di Roma e Docente a.c. di Diritto Amministrativo presso l’Università dell’Aquila. Formatore e consulente giuridico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Progetto Italia degli Innovatori”, è Docente accreditato dal Ministero della Giustizia per la formazione dei Mediatori ed è responsabile scientifico di vari Enti di formazione e della piattaforma Juribit per la formazione e-learning degli Avvocati. Arbitro e Mediatore è autore di numerose pubblicazioni in materia di processo civile telematico, mediazione e conciliazione.
Il libro scientifico è un organismo vivente che si fonda su di un delicato equilibrio riassumibile negli elevati costi del lavoro necessario all’autore per la ricerca, la scrittura, la revisione. Nell’attività dei redattori, degli illustratori, dello stampatore e della catena di distribuzione dell’opera. Costi recuperabili solo se, in relazione al prezzo di copertina, si raggiunga un’elevata tiratura, ma come ben si sa in quest’epoca di globalizzazione informativa, il libro scientifico che induce alla conoscenza ragionata dei processi condizionanti la nostra quotidianità, è poco efficace rispetto all’informazione per spot e parole d’ordine. Ecco perché juribit ha deciso di lanciare la campagna a favore del libro scientifico finanziando parte del costo di produzione di questo lavoro.
Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution
Juribit srl promuove la campagna “affinché il libro scientifico non muoia mai”
ISBN: 978-88-6381-139-1
€ 15,00
Michele Gorga
Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution (fino alla direttiva Europea n. 52/2008)
Edizione riveduta e aggiornata 2011
L’autore in questo lavoro analizza il fenomeno delle Alternative Dispute Resolution dalle origine ai giorni nostri muovendo dal loro fondamento nello jus publicum fino alla loro trasformazione alle esigenze del capitalismo nei sistemi di Common law. Il volume partendo dall’attuale stato della giustizia in Italia, illustra le politiche legislative in materia di processo civile e dei metodi alternativi con ampi richiami al nuovo sistema delle alternative dispute resolution nell’esperienza europea e nazionale e alla loro trasformazione, nel sistema anglosassone, in Online Dispute Resolution. Infine vengono trattati i punti salienti dei principi della direttiva europea n. 52/2008 CE.
Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution ( fino alla direttiva Europea n. 52/2008)
Michele Gorga
Parte I Alternative Dispute Resolution
INDICE Parte I Alternative Dispute Resolution Sommario: 1.1. I precedenti storici delle ADR; 1.2. Le fonti e le esperienze internazionali delle ADR e quella USA in particolare; 1.3. I precedenti in Europa: il Mediatore Europeo; 1.4. Le origini delle ADR nel sistema anglosassone e la trasposizione nel sistema comunitario; 1.5. I vari tipi di ADR e la loro caratteristica di strumenti alternativi alla giurisdizione nel sistema di Common law ; 1.6. La crisi della giustizia in Italia e l’introduzione delle ADR; 1.7. Le esperienze dei singoli paesi Europei in tema di ADR; 1.8. La mancanza di una formazione in materia di ADR degli operatori delle professioni legali in Italia.
Parte II Online Dispute Resolution Sommario : 2.1. Premessa: il percorso di trasformazione e le relative politiche comunitarie e nazionali presupposte; 2.2. L'utilizzo dell'informatica ed internet nei singoli Paesi Europei; 2.3. La trasformazione delle ADR in ODR; 2.4. ADR telematiche e ODR strictu sensu; 2.5. Le tipologie di ADR telematiche: l’arbitrato e la mediazione online; 2.6. Le tipologie di ODR in senso stretto: la blind negotiation e la peer pressure ; 2.7. Il regolamento ADR della CONSOB.
Parte III La direttiva Europea n. 52/2008 Sommario : 3.1. Il limite applicativo della direttiva : materia e Territorio; 3.2. Le definizioni date dalla direttiva; 3.3. La qualità della mediazione ; 3.4. Il ricorso alla mediazione e l‘esecutività dei relativi accordi; 3.5. La riservatezza della mediazione; 3.6. Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza e l‘informazioni al pubblico.
Alternative Dispute Resolution Sommario: 1.1. I precedenti storici delle ADR; 1.2. Le fonti e le esperienze internazionali delle ADR e quella USA in particolare; 1.3. I precedenti in Europa: il Mediatore Europeo; 1.4. Le origini delle ADR nel sistema anglosassone e la trasposizione nel sistema comunitario; 1.5. I vari tipi di ADR, la loro caratteristica di strumenti alternativi alla giurisdizione nel sistema di Common law; 1.6. La crisi della giustizia in Italia e l’introduzione delle ADR; 1.7. Le esperienze dei singoli paesi Europei in tema di ADR; 1.8. La mancanza di una formazione in materia di ADR degli operatori delle professioni legali in Italia;
1.1.
I precedenti storici delle ADR.
Nella cultura mondiale varie sono le esperienze alle quali possiamo far risalire l’archetipo dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Così esperienze dello stesso tipo possiamo individuare in alcune delle forme tribali di giustizia del continente Africano - dove la composizione delle controversie era rimessa agli anziani - a quelle dell’estremo oriente, come ad esempio in Giappone, dove vigeva l’antico costume di affidare al capo del villaggio la conciliazione delle dispute tra i suoi sottoposti. Anche in Cina la conciliazione, quale strumento alternativo alle procedure legali formali per la composizione delle controversie, non era sconosciuta in quanto in forza della dottrina di Confucio, che considerava i rapporti umani fondati sull’armonia della natura, si riteneva che quest’armonia una volta venuta meno dovesse essere ripristinata non in base alla forza della coercizione insita nel conflitto, ma tramite la persuasione e l’accordo volontario, conciliativo. In occidente gli antichi Romani per consuetudine legale prima di adire il Pretore cercavano di raggiungere un accordo amichevole ed in merito, in epoca più antica, lo stesso istituto del difensore civico1 pur avendo profonde radici nello jus publicun comunque era una forma di giustizia conciliativa. Sempre nell’antica Roma, è appena il caso di ricordare che alla Concordia e alla Pace erano eretti innumerevoli monumenti volti a celebrare proprio lo spirito della Conciliazione e delle Pace. La stessa cultura dell’antichità si fondava largamente sulla conciliazione e sulla concordia, così ad esempio tra Oriente ed Occidente numerose sono le testimonianze di Chiese e Templi dedicati alla Concordia e alla Conciliazione e dove esercitavano Sacerdoti, Rabbini, Ministri. Lo stesso Vangelo (Matteo 5:9) fa ampi riferimenti alla Pace così come la Prima lettera di S. Paolo ai Corinzi suggerisce di non portare le dispute in tribunale ma di conciliarle con l’aiuto di un terzo imparziale. In questo solco – quello cioè del cattolicesimo - abbiamo, infatti, copiosi esempi di conciliazione pontificie, sopratutto di stampo eminentemente diplomatico, in tutte le epoche storiche e specie in quella medievale dove la Santa Sede si caratterizzò sopratutto per le mediazioni internazionali. E‘ in quest’epoca che nasce anche la Curia mercatorum , primo esempio di Tribunale privato, non contenzioso ma conciliativo per la composizione delle controversie tra mercanti decise dai loro “colleghi“ di maggiore prestigio ed esperienza. 1
M. GORGA – Difesa civica e titolo V della Costituzione – Editore ITIS 2004 Salerno. << Contrariamente a quanto è stato ritenuto da parte di coloro che hanno considerato la figura come una originalità del sistema giuridico scandinavo, individuato nell‘Ombudsman , suo antenato era, infatti, sicuramente il Defensor civitatis sorto per arginare la dilagante corruzione dell’amministrazione pubblica. Il fenomeno della corruzione era così diffuso che si sentì il bisogno di porvi freno in qualche modo proprio con la istituzione di una sorta di garante dei cittadini che avesse il compito di farsi portavoce delle doglianze provenienti dalle classi vessate. I mezzi di cui disponeva il Defensor civitatis erano due: lo ius interdicendo ossia il reclamo al Governatore della provincia e lo ius agenti cum parti bus ossia il diritto di essere ricevuto dal Governatore per esporre le lamentele. L’istituto ebbe buona fortuna durante l'epoca repubblicana ed anche in epoca Giustinianea (VI sec. d.C.), ma poi man mano degenerò fino a divenire un intollerabile organo pletorico e fu abolito ( nell’anno 866-911), per decisione dell’ Imperatore d'Oriente Leone VI>>
Ben possiamo affermare, quindi, che man mano che le società primitive si sono allargate passando dalla famiglia al clan, alla tribù, ai Villaggi e alle città, i metodi alternativi di composizione degli interessi degli appartenenti al gruppo, che avevano avuto la missione storica di elidere il diritto del più forte, si sono sempre più standardizzati passando dalla decisione dei saggi a quelli della giurisdizione e quindi affermando così la forza del diritto di cui massima espressione è il potere Statale. In epoca recente invece lo sbocco della mediazione, come strumento per la risoluzione pacifica e concorde della risoluzione delle controversie internazionale, è approdata al diritto condiviso come strumento per la pacifica convivenza tra gli Stati. 2
1.2. Le fonti e le esperienze internazionali delle ADR e quella USA in particolare. Le ADR sono molto diffuse a livello internazionale e si può, in merito, agevolmente spaziare delle forme più sviluppate delle esperienze, teorizzate e praticate, nel sistema giurico-economico degli USA – che oramai è il punto di riferimento di quelle occidentali, e comunitarie in particolare – a quelle Australiane dove il sistema giuridico riconosce ampiamente le ADR come strumento per la risoluzione delle controversie e dove i Tribunali, a volte anche contro la volontà delle parti, fanno un massiccio ricorso alle ADR. Il limite però in quest’ultimo ordinamento giuridico è che i risultati della negoziazione e delle conciliazioni non sono mai vincolanti per le parti, mentre gli accordi sono esecutivi solo se è previsto dal contratto di conciliazione. In America latina in generale, come ad esempio in Cile, le ADR sono state introdotte solo di recente e gli accordi extragiurisdizionali sono esecutivi ed hanno il valore di transazioni contrattuali, mentre la conciliazione giudiziale, raggiunta in Tribunale, ha la forza esecutiva della sentenza. In Asia Orientale, in Giappone e in Cina, la cultura della conciliazione è considerata come la procedura da preferire per la risoluzione delle controversie, e la conciliazione è, quindi il principale metodo di risoluzione delle controversie in materia Civile. Per potervi fare ricorso occorre però il consenso delle parti così come occorre il consenso per garantirne la riservatezza. In generale, quindi, si può affermare che le ADR si caratterizzano per avere tratti comuni che possiamo qui riassumere soprattutto nella volontarietà e nella flessibilità delle procedure le quali proprio in ragione di queste loro specificità ben si adattano alle esigenze e alle necessità del commercio internazionale. E sono state proprio queste caratteristiche che hanno spinto verso l’utilizzo delle procedure di risoluzione alternative delle controversie nel campo del commercio transfrontaliero, sicchè le ADR che all’origine erano utilizzate per la risoluzioni dei soli conflitti nell’ambito dell’ordinamento domestico, ossia alla sola composizione degli interessi tra soggetti appartenenti allo stesso Stato, si sono man mano estese ed innovate sino ad imporsi come procedure necessarie soprattutto nell’ambito dei conflitti tra soggetti ed imprese appartenenti a Stati diversi. Vi è stato quindi un ampliamento dell’area di intervento delle Alternative Dispute Resolution che dalla tradizionale area di applicazione, originariamente nell’ambito del solo diritto Pubblico, si sono prima sviluppate soprattutto nel settore civile interno per poi approdare, nel momento in cui si è avuto l’affermazione planetaria del modo di produzione Capitalistica, al settore del commercio internazionale. Da qui la necessità di una normativa internazionale uniforme di settore ed in merito vari sono stati i tentativi di una regolamentazione del commercio internazionale. Così si ricorda che la commissione dell’ONU, per 2
Statuto delle Nazioni Unite Art. 33 (1 co.) Le parti di una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, o altri mezzi pacifici di loro scelta. (2 co.) Il Consiglio di Sicurezza, ove lo ritenga necessario, invita le parti a regolare la loro controversia mediante tali mezzi.
il diritto commerciale Internazionale, fu istituita3 proprio con lo scopo specifico di promuovere la progressiva armonizzazione ed unificazione del diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) per la soluzione delle relative controversie in modo alternativo alle singole giurisdizioni nazionali. Per convenzione però la nascita dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie viene fatta coincidere con un evento considerato un punto di svolta nella evoluzione della giustizia civile statunitense, e cioè nella Pound Conference ossia la conferenza celebrativa tenuta nel 1976, in occasione del settantesimo anniversario del discorso tenuto da Nathan Roscoe Pound,4 uno dei padri del diritto civile statunitense, dinanzi all’American Bar Association sul tema “The Causes of Popular Dissatisfaction with the Administration of Justice”. Pound con un discorso che possiamo ritenere di grande attualità, rispetto a quella che è la nostra attuale situazione del processo civile, aveva sostenuto, già settanta anni prima, che dopo cinquanta anni di riforme legislative, sia nella struttura dell’ordinamento giudiziario statunitense che nella disciplina del processo civile, nessun effetto positivo si era prodotto sul carico di lavoro delle Corti e dei Tribunali Americani che continuavano ad essere sommersi da cause alle quali non si riusciva a dare risposte in tempi accettabili. Da qui la sua idea di formulare proposte dirette a sottrarre alle Corti ed ai Tribunali Americani alcune categorie di controversie. Tali controversie poi, dovevano essere dirottate verso organismi di natura privata estranei all’apparato giudiziario e che avrebbero dovuto operare in base ad una procedura informale e flessibile. Secondo Pound tale flessibilità doveva essere tanto estesa fino ad avere per ogni causa una procedura ad hoc, con la logica conseguenza che le ADR devono essere tante quante le cause da decidere. Contrariamente a Pound, che aveva concepito gli strumenti conciliativi come alternativi alla giurisdizione Statale, Sander5 invece teorizzò il c.d. “Tribunale multi parte”, ossia un Tribunale
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Risoluzione dell’assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 2205 del 17 dicembre 1966. Pound nacque nel 1870 a Lincoln nel Nebraska negli Stati Uniti d'America. Prima studia Botanica ottenendo il dottorato di ricerca, poi legge ad Harvard ma non si laurea. Allo studio del diritto lo spinge il padre ed è proprio l’ esperienza ad Harward che lo segna e lo determina verso il diritto. Nel 1895 insegna giurisprudenza e diritto romano presso l'Università del Nebraska. Quattro anni dopo viene nominato assistente alla cattedra. Nel 1903 viene nominato preside dell’Università of Nebraska, College of Law che lascia nel 1907 per insegnare alla Northwestern Law School per due anni, poi all'Università di Chicago School of Law, ed infine nel 1910 ad Harvard dove insegna fino alla sua morte intervenuta nel 1964. Nel 1916 intanto era diventato preside della Harvard Law School e lo fu fino al 1936. Repubblicano liberale fu fautore del pragmatismo giuridico fondendo insieme le idee europee del diritto sociale e quelle liberali repubblicane progressiste e dando così vita alla cd. "giurisprudenza sociologica ". Avversario del "formalismo", ossia dell'idea che la legge è una serie di concetti a partire dalla quale derivavano le regole giuridiche egli fu fervido sostenitore dell’approccio sociologico al diritto. Teorizzo, infatti, che la legge nasce dalla realtà sociale e politica che è sempre in continua mutazione con il mutare dei tempi essendo, la legge, solo un prodotto delle scelte umane che a volte sono solo scelte di parte. Scrive nel 1907 L’interpretazione spuria e nel 1907 Lineamenti di Lezioni di Giurisprudenza. Nel 1914 Lo spirito del Common Law, nel 1921 diritto e morale e nel 1930 La giustizia penale in America. Componente della fondazione e della redazione del primo giornali USA in materia di diritto comparato fu anche il fondatore del movimento per "giurisprudenza sociologica", e critico influente della Corte Suprema degli Stati Uniti. Fu uno dei primi leader del movimento americano dei “legali realisti” e sostenne la necessità di una interpretazione pragmatica del diritto e di una maggiore attenzione su come si svolge effettivamente il processo di formazione delle legge ed interpretativo e contrapponendosi all’arido formalismo giuridico, che in quel momento prevaleva nettamente nella giurisprudenza americana, teorizzo l’interpretazione sociologia della “composizione degli interessi”. A ciò lo determinò fortemente il fatto che nel 1920, per la prima volta, i consumi piuttosto che la produzione erano diventati la preoccupazione principale del mercato sicchè ebbe modo di verificare che fino a quel momento i legislatori, con il pretesto del formalismo avevano "coperto su ciò che l'ordinamento giuridico e quello che realmente era stato il diritto-maker e giudicare realmente stavano facendo di pesatura interessi sociali " osservò quindi che in questi calcoli non vi era alcun processo astratto di puro ragionamento giuridico, ma una serie di compromessi, di interessi sociali, vestito come forma giuridica. 5 Frank Sander - Università di Harvard -, in ordine alle ragioni della crescente insoddisfazione pubblica verso l’apparato giudiziario, teorizzo durante una conferenza tenutasi nel 1976 un approccio innovativo per alleviare il carico di lavoro delle Corti e dei Tribunali Americani. Egli definì in quell’occasione il concetto della multi-porta del palazzo di giustizia. Cioè immaginò un grande palazzo di giustizia nel quale la risoluzione delle controversie avvenivano mediante l’accesso a porte e programmi multipli. I casi cioè dovevano subire una preliminare diagnosi per individuare a quali porte avrebbero potuto accedere per trovare una loro pronta risoluzione. Detti programmi diagnostici potevano poi essere situati sia all'interno che all'esterno del palazzo di giustizia e comprendevano una infinità di soluzioni quali la conciliazione, la mediazione ed i servizi sociali e solo in ultima analisi la giurisdizione contenziosa. Dopo un attento studio del concetto di multi - porta, l'American Bar Association (ABA) individuò tre siti sperimentali del programma: Tulsa, Oklahoma, Houston e la Corte Superiore di Washington, dove ebbe inizio il programma nel 1985. Quattro anni dopo, e cioè nel febbraio 1989, l'ex Giudice Capo Fred B. Ugast dichiarò il pieno successo del programma e l’istituzione ad hoc di una divisione operativa presso la stessa Corte. Gli obiettivi del multi - porta è quello di consentire un 4
dove la fase della mediazione o di altri tipi di procedure ADR dovevano essere, invece, incorporate nella struttura di ogni giudizio ordinario, sicchè quest’ultimo avrebbe dovuto prospettare alle parti in lite un ventaglio di possibili soluzione della controversia, e con ampia facoltà, per chi vi faceva ricorso, di scegliere tra le diverse soluzioni prospettate. Quest’ultimo modello di Sander sotto alcuni profili si avvicina di molto alla riforma preparata dal Governo, quantomeno nella finalità del risultato “del contenzioso definitivo”, con lo schema di ddl del luglio del 2010, per la riforma del processo civile, disegno di legge ritirato e rinviato e nel quale era previsto “il progetto di sentenza” dell’assistente del giudice come soluzione endo-processuale per non giungere all’emanazione della sentenza definitiva da parte del giudice titolare della causa. Comunque in questa sede è da osservare che mentre in Italia il sistema dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie ha trovato, con il decreto legislativo n. 28/2010, con riferimento all’obbligatorietà per molte materie, un suo primo timido ma molto avversato6 ingresso, lo stesso movimento ADR, in USA ha, invece, segnato nel breve volgere di pochi decenni una vertiginosa evoluzione che ha visto anche l’affermarsi di nuovi procedimenti alternativi al procedimento giurisdizionale. In questo contesto si sono affermati accanto alle procedure di arbitrato, conciliazione, mediazione – predisposte dall’ American Bar Association o dal Judicial Arbitration and Mediation Services – altre procedure ADR sostenute da una miriade di associazioni, enti, uffici operanti nel settore dei metodi alternativi delle controversie che poi hanno concorso anche alla maggiore diffusione dei metodi più largamente applicati quali l’arbitrato e la mediazione. Questa ampia diffusione dei metodi alternativi ha comportato che i cittadini hanno avuto la concreta possibilità di accedere ad una giustizia quanto mai semplice che si riassume, nella sostanza, in un procedimento personalizzato, creato cioè sulla base della misura della controversia da risolvere e quindi sulla base dei diversi metodi per quanti sono i tipi di causa che possono sorgere.7 In verità, però, questo sviluppo delle ADR non si è minimamente basato solo su contenuti teorici e scientifici, ma semmai va inteso come espressione di quella che è stata la reazione emotiva e pragmatica a quelle che sono le incongruenza e le deficienze del sistema giurisdizionale USA . Reazioni che sono difficilmente comprensibili di chi non si è formato nel sistema8 di Common Law. 9 Negli Stati Uniti cioè la risoluzione delle controversie civili può avvenire, ordinariamente, o accesso alla giustizia e di ridurre il peso sulla giurisdizione contenziosa attraverso soluzioni alternative con eliminazione del carico di lavoro dai ruoli dei singoli giudici 6
L'avvocatura ha ritenuto la normativa sulla media-conciliazione penalizzante per il ruolo dell'avvocato e dannosa per la collettività. E’ stato ritenuto, infatti, non solo necessario rendere obbligatoria la presenza dell'avvocato nel procedimento ma anche renderne l’accesso alla mediazione solo facoltativo e non obbligatorio. Censurata anche la filosofia di fondo dell’istituto. 7
PROTO PISANI, Sulla tutela giurisdizionale differenziata, Riv. Dir. Proc., 536 e seguenti. TWINING, Alternative to What? Theories of Litigation, Procedure and Dispute Settlement in Anglo – American Jurisprudence: Some Neglected Cassics, 56 Mod. L.Rev., 1993, 380 e seguenti. 8
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Il sistema del Common law è un modello di ordinamento giuridico, di matrice anglosassone che si basa sulle decisioni giurisprudenziali, ossia sul cd “precedente” - stare decisis - giurisprudenziale anziché sui codici e sui decreti governativi. Il sistema del Common Law è attualmente in vigore in Australia, Canada (esclusa la regione del Quebec), nel Regno Unito (esclusa la Scozia), e negli Stati Uniti d’America (escluso lo Stato della Louisiana). Altre nazioni, peraltro, hanno adattato il sistema del common law alle loro tradizioni, creando così un sistema misto. Per esempio, l’India e la Nigeria attuano il sistema del common law frammisto a regole giuridiche di stampo religioso. Il sistema di Common law è contrapposto al sistema del Civil law, l'altra branca della tradizione giuridica occidentale. Il Common law si è sviluppato differentemente dal Civil law per una serie di ragioni strutturali quali: la formazione pratica del giurista di Common law (laddove invece il giurista di Civil law ha prevalentemente formazione universitaria; la selezione dei giudici avviene fra i migliori avvocati superiori, i barrister (laddove invece nei sistemi civil law la selezione dei Giudici avviene su base burocratica per il semplice superamento di un concorso di accesso all’impiego nella Pubblica Amministrazione, la centralizzazione e un elevato prestigio delle Corti superiori inglesi (laddove invece la frammentazione territoriale dei Tribunali e delle Corti nel Civil law comporta che ogni Corte o Tribunale decide con il vincolo della soggezione solo alla legge; Nei sistemi di Common Law ridotto è il ruolo della dottrina giuridica universitaria nella formazione del diritto (laddove invece la dottrina ha un elevato ruolo nel civil law) ; l'assenza della recezione del diritto romano, salvo influenze su opere dottrinali; la giurisprudenza è la principale fonte del diritto, con un ridotto intervento del diritto legislativo (il diritto legislativo è, invece, prevalente nei paesi di Civil law); la mancanza di codificazioni; l'obbligatorietà del principio dello stare decisis (a partire dalla metà del XIX secolo ); manca poi il notariato di tipo latino, essendo le relative funzioni svolte dagli avvocati.
facendo ricorso alla giurisdizione nelle Corti e dei Tribunali civili, oppure facendo, direttamente, ricorso ai metodi alternativi. In alcuni casi poi è stato addirittura previsto - come è stato introdotto nel nostro sistema per la mediazione obbligatoria - il preventivo esperimento delle procedure ADR quale condizione di procedibilità dell’azione dinnanzi al giudice ordinario. E‘ stato previsto ad esempio, che il preventivo esperimento del ricorso all’arbitrato endo-processuale nelle Corti federali, di primo grado,è obbligatorio per le cause di valore inferiore ai centocinquantamila dollari. Per questi tipi di cause se la parte è insoddisfatta del lodo endo-processuale non è che deve impugnare la pronuncia dell’arbitro ma deve solo adire il suo giudice naturale precostituito per legge ed iniziare la causa in primo grado. Per questi tipi di causa cioè, di non rilevante valore economico, la condizione di procedibilità è obbligatoria nell’esperimento ma non vincola nel risultato.
1.3. I precedenti in Europa: Il Mediatore Europeo. Con il trattato di Maastricht è stata introdotta nell’ordinamento Comunitario la figura del mediatore europeo10 al quale è stato attribuito il potere d’intervento nei "casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni o degli organi comunitari, fatta salva la competenza della Corte di Giustizia e del Tribunale di primo grado nell'esercizio delle loro funzioni giurisdizionali". Il Mediateur è un organo monocratico nominato dal parlamento europeo con mandato quinquennale rinnovabile. Nella sua attività non ha vincoli e la sua azione è improntata ai soli principi della indipendenza e dell’imparzialità e a fronte di queste ampie garanzie è stato previsto che deve rendicontare periodicamente al parlamento. Al Mediateur europeo possono fare ricorso non solo i cittadini di uno dei paesi membri dell’U.E. ma anche i semplici residenti in uno degli Stati membri dell’Unione, nonché le imprese e gli organismi che hanno la loro sede statutaria in Europa. La denuncia può essere presentata con lettera o con un modulo specifico e può essere redatta in una delle lingue in uso negli Stati membri con l’ allegata documentazione necessaria. La denuncia deve essere presentata entro due anni dal fatto di cui si chiede la verifica. Il Mediatore, in base alla denuncia ricevuta o anche d'ufficio, procede alle relative indagini nel corso delle quali segnala gli eventuali fatti di rilevanza penale alle autorità nazionali competenti. Nella sua azione il mediatore è tenuto prima di tutto a verificare se l’atto sottoposto alla sua attenzione è ricevibile e tanto sia con riferimento alla persona che la presenta che all'amministrazione interessata. Se la denuncia è ricevibile, esamina il caso e cerca una composizione amichevole, se il tentativo fallisce, ne informa le istituzioni interessate invitandole a risolvere la questione secondo i principi di diritto. Il ricorso al mediatore europeo deve limitarsi alla sola censura dei casi di cattiva, ritardata o omessa amministrazione delle sole istituzioni comunitarie avendo egli competenza solo su questa mentre è del tutto incompetente nei confronti sulle pubbliche amministrazioni nazionali, regionali o locali degli Stati membri aderenti all’Unione Europea. Sia per la denuncia che per l’intervento del mediatore non è necessario che si sia prodotto un danno. Una volta attivata la procedura di controllo il Mediatore è tenuto a trasmettere una relazione al Parlamento e all'istituzione interessata, comunicando al denunciante il risultato dell'indagine stessa. Ogni anno, poi, presenta al Parlamento europeo una relazione sui risultati generali della propria attività. Con lo Statuto, adottato nel 1994, sono state definisce le condizioni generali che regolano l'esercizio delle sue funzioni. 11 Orbene l’istituzione del mediatore Europeo, che richiama precedenti istituti di risoluzione delle controversie che storicamente sono stati sempre presenti nella 8 Il Mediatore Europeo è stato istituito con il trattato di Maastcht del 7 febbraio del 1992 agli articoli 8D e 138E 11
Le decisioni del Parlamento Europeo per l’esercizio delle funzioni del mediatore sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 9/4/1994.
nostra tradizione europea e nazionale, ci fanno bel comprendere che strumenti giuridici alternativi alla giurisdizione vera e propria ossia le ADR sono state sempre concepite per la difesa del cives rispetto al potere Statale sicchè ben possiamo sostenere che nella nostra tradizione giuridica gli strumenti alternativi alla risoluzione delle controversie hanno anche un fondamento di diritto pubblico.
1.4. Le origini delle ADR nel sistema anglosassone e la trasposizione nel sistema comunitario. Come abbiamo avuto occasione di dire (infra 1.2.) muovendo proprio dalla teoria sostenuta da Pound, parte della dottrina statunitense12 si fece promotrice della tesi del Tribunale “multi parte”, ossia di un “Tribunale” che offrisse, secondo varie alternative, ai soggetti di scegliere tra diverse possibili soluzioni conciliative. Dalla parziale prima attuazione delle proposte avanzate nella Pound Conference e dai successivi sviluppi teorici, furono perciò tratte le fondamenta di nuovi procedimenti alternativi al procedimento giurisdizionale. In tale contesto vennero ad esistere accanto alle procedure di arbitrato, conciliazione e mediazione una miriade di soluzioni alternative tutte volte ad assicurare una giustizia semplice, rapida e differenziata consistente in tanti metodi quanti i tipi di causa13. Orbene è evidente che un tale insieme di strumenti alternativi di giustizia, che si pretenda di impiantare sic et simpliciter in un paese di tradizione giuridica molto diverso da quello che le ha originate, giustifica la posizione di chi ha evidenziato come lo sviluppo dell’ADR, non avendo un retroterra teorico e scientifico, si siano potute affermare in quanto, preminentemente, reazione pragmatica, tipica dei sistemi di Common law, a specifici problemi strutturali di quel sistema sociale e giuridico. Quest’ultima affermazione è tanto più fondata se si considera che, allo stato attuale, negli Stati Uniti la risoluzione delle controversie civili può avvenire tanto attraverso il ricorso alla giurisdizione ordinaria, quanto mediante una tra le varie forme di ADR o di ODR Online Dispute Resolution delle quali parleremo nella seconda parte di questo lavoro. E proprio in considerazione dell’effetto deflattivo prodotto dalle ADR sul carico di lavoro delle Corti ordinarie, e del conseguente impatto positivo sull’efficienza dell’intero sistema,che il legislatore americano, e sulla scia di quest’ultimo numerosi altri paesi, hanno reso obbligatorio il preventivo esperimento delle diversificate procedure di ADR ponendole, sotto il profilo processuale, come condizione di procedibilità dell’azione dinnanzi al giudice ordinario.14 Sicchè già l’esperienza sino ad ora prodottasi, nei paesi anglosassoni e particolarmente nel sistema NordAmericano, dovrebbe costituire un valido motivo per stemperare l’avversione di chi oggi ritiene che l’obbligatorietà del preventivo ricorso alla mediazione in Italia sia addirittura un attentato ai diritti “Costituzionali“ dei cittadini. A tacere d’altro è appena il caso di ricordare che la Corte Costituzionale si è già espressa in materia ed ha ritenuto legittimo il perseguimento delle finalità deflattive, realizzate attraverso il meccanismo della condizione di procedibilità, quale misura che non impedisce affatto l’accesso alla giurisdizione,dato che si limita solo a differirne l’esperimento ( in tal senso : Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276; Corte cost. 4 marzo 1992, n. 82 e in relazione al giusto processo Corte cost. 19 dicembre 2006, n. 436). Ma anche a prescindere da tali decisioni della consulta in realtà la non conoscenza di fondo che pervade ampi settori dell’avvocatura rispetto all’istituto, e che palesa una visione molto limitata 12
F. E. A.Sander, Judicial (mis)use of ADR? A debate, in The University of Toledo Law Review, 1996, p. 885-895. A. Proto Pisani, Sulla tutela giurisdizionale differenziata, in Riv. Dir. Proc., 1979, pp. 536 - 591. 14 M. A. Weston, Checks on participant conduct in compulsory ADR: reconciling the tension in the need for good-faith participation, autonomy, and confidentiality, in Indiana L. J., 2001, pp. 591-645. 13
della sua mission, ridotta alla sola fase giurisdizionale, cioè ad una fase che efficacemente è stata definita come il trattamento “clinico“ dei diritti e degli interessi, in definitiva contrasta con la stessa natura dei c.d. “giuristi pratici“ i quali in questa occasione non tengono in alcun conto il dato empirico, che non percepiscono più in quanto è come l’aria della quale riconosciamo l‘importanza solo quando ne siamo privi. Sul punto basta ricordare che quando il nostro legislatore rese obbligatoria l’assicurazione sulla circolazione dei veicoli a motore la reazione di parte della società civile, in misura certamente maggiormente diffusa rispetto alle rigidità di una sola frange, minoritaria, dell’avvocatura, com’è invece oggi per la mediazione, protestò verso quella imposizione “obbligatoria“ denunziandola come un attentato alla proprietà e alla libertà di circolazione. Orbene oggi nessuno si sognerebbe di non essere più assicurato per la responsabilità civile anche qualora il nostro legislatore si determinasse ad abolirne l’obbligatorietà e ad introdurne la volontarietà. Lo stesso discorso va fatto in relazione alla mediazione obbligatoria, per le materie di cui al 1 co. dell’art. 5 del d. lgs. n. 28/2010. Un preventivo rodaggio per imporre l’istituto, anche sotto il profilo culturale e conoscitivo, è necessario, fermo restando che dopo un periodo di esperimento “obbligatorio“ ben potrà valutarsi l’esigenza di renderla solo volontaria. Occorre cioè considerare anche la funzione promozionale ed educativa del diritto in quell’ottica anche di orientamento sociale in relazioni ad aspetti patologici dell’attuale esperienza storica di abuso del ricorso alla giurisdizione. E qui il nostro legislatore si è inserito, chiaramente, nel solco di percorsi già sperimentati in altri ordinamenti in quanto nella media-conciliazione la condizione di procedibilità non sta a significare che le parti debbono obbligatoriamente conciliare, ma solo assolvere alla stessa la quale può concludersi positivamente o con un verbale negativo o con una proposta non accettate, senza pregiudizio cioè sul conseguente diritto di azione. Quindi,come nell’ordinamento statunitense anche in quello Italiano – fatte le dovute differenze - la condizione di procedibilità non è affatto vincolante nel risultato, non binding, ma è obbligatoria solo come condizione di procedibilità ma poi si può agire se non si è composta la lite mandatory.15 Nel contesto della più ampia problematica relativa all’accesso dei consumatori alla giustizia, anche nell’ambito della Comunità Europea, le procedure ADR hanno acquisito un sempre maggiore rilievo anche se il loro sviluppo ha risposto in Europa a dinamiche completamente differenti da quelle che le hanno generate negli Stati Uniti. Infatti, la ratio dell’introduzione delle procedure di risoluzione alternative delle controversie deve qui rinvenirsi nella politica volta a favorire la crescita del commercio elettronico e, quindi, della fiducia dei consumatori europei in questa nuova forma di mercato. Riprova di ciò è la circostanza che il primo atto comunitario ufficiale nel quale è stata affronta la problematica delle ADR è il Libro Verde del 1993,16 nel quale la Commissione Europea ha esaminato, per ciascuno Stato membro, le procedure giudiziarie applicabili alle controversie in materia di consumo. Questo studio comparato,a livello Europeo,ha evidenziato che nella maggior parte degli Stati membri le procedure giudiziarie applicabili alle piccole controversie erano state semplificate sia attraverso la riforma del codice di procedura civile sia per mezzo di procedure semplificate create ad hoc, mentre risultava molto limitato il ricorso agli strumenti deflattivi tipici come la mediazione e la conciliazione. In questa prospettiva particolare, oggetto dell’analisi delle istituzioni della Comunità Europea, sono state le procedure extragiudiziali ed i vari progetti pilota
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P.J. Baker, Binding arbitration: federal v. private, in Disp. Res. J., 200,pp. 19 -22. Libro verde L’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico, COM (93) 576 def. del 16 novembre 1993, ove a p. 68 si legge: “In mancanza di iniziative volte a migliorare l'accesso alla giustizia "pubblica", é da ritenersi che la tendenza anzidetta si svilupperà sempre più, in quanto, sotto li profilo economico, essa corrisponde ad una “domanda” effettiva”. 16
nazionali volti a dirimere le controversie, anche in relazione alle dinamiche di protezione degli interessi collettivi. 17 Con la direttiva del 20 maggio 1997, n. 7, relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, il legislatore comunitario, al fine di favorire l’accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato interno gli Stati membri, stabilì che quest’ultimi dovevano prevedere iniziative specifiche volte alla promozione dei procedimenti extragiudiziari. A questa direttiva fece seguito la Raccomandazione del 30 marzo 1998, n. 25718 con la quale la Comunità Europea stabilì i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo. Questa necessità era emersa dalla constatazione che l’unica via per ovviare all’incapacità dei Tribunali ordinari di comporre le causa in materia risiedeva proprio nella creazione di procedure extragiudiziali quali: la mediazione, la conciliazione e l’arbitrato. Il perseguimento dell’obiettivo, in base a quanto indicato dalla stessa Commissione, era possibile solo attraverso la previsione di procedure in grado di soddisfare criteri minimi che garantissero l’imparzialità dell’organismo, l’efficacia della procedura, la sua pubblicità e la sua trasparenza, ferma restando la preliminare necessità di rimuovere ogni sproporzione tra valore economico della controversia e costo del giudizio. Ed infatti proprio la difficoltà connessa alla domanda giudiziaria è nel caso dei conflitti transfrontalieri, forte disincentivo per il consumatore, dunque, implicitamente devastanti per la fiducia che si deve avere nelle transazione dell‘e–commerce. Dalle indicazioni fornite dalla Commissione emerge che la decisione stragiudiziale può essere adottata non solo sulla base di disposizioni di legge o dell‘equità ma anche dei codici di condotta, a condizione però che tali strumenti non vadano a diminuire il livello di protezione che, per le stesse questioni, assicurano ai consumatori i Tribunali. 19 Questa raccomandazione si segnala alla nostra attenzione perché in essa sono contenuti tutti quei principi comuni a cui le procedure di risoluzione delle controversie e degli organismi volti ad amministrarla devono, ancora oggi, attenersi. Successivamente, proprio per consentire lo sviluppo dello studio sulle ADR, l’Unione Europea propose, nel corso della Conferenza di Lisbona del 5 e 6 17
Cfr. R. Danovi, Le ADR (Alternative Dispute Resolutions) e le iniziative dell'Unione Europea, in Giur. It., 1997, pp. 326 - 339 Commissione europea, 30 marzo 1998, Raccomandazione sui principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle materie di consumo, in G.U.C.E., L 115, 17 aprile 1998, 31. 19 La Raccomandazione ha inteso stabilire una serie di principi applicabili al funzionamento delle procedure extragiudiziali a fini di garanzia, come la trasparenza, l’indipendenza ed il rispetto del diritto. In particolare: 1. Quando la decisione è adottata individualmente, il principio d’indipendenza è garantito nel momento in cui la persona designata: possiede la capacità e le competenze necessarie allo svolgimento delle sue funzioni; gode di un mandato di durata sufficiente a garantire l’indipendenza della sua azione e non può essere destituita senza giustificato motivo; non ha svolto attività lavorative, nel corso dei tre anni precedenti la sua entrata in funzione, per l’associazione professionale o l’impresa che la retribuisce o che l’ha nominata per questa funzione; 2. Quando la decisione dell’adozione è collegiale, il principio di indipendenza è garantito attraverso la rappresentanza paritaria dei consumatori e dei professionisti; 3. Il principio di trasparenza è garantito da varie misure, comprendenti: la comunicazione a qualunque soggetto che lo richieda: di una descrizione dei tipi di controversie che possono essere sottoposte all’organo; delle norme relative alla presentazione del reclamo all’organo; del costo eventuale della procedura per le parti; delle regole sulle quali si fondano le decisioni dell’organo (codici di condotta, disposizioni legali); delle modalità di adozione di decisioni; del valore giuridico della decisione; la pubblicazione di una relazione annuale relativa alle decisioni adottate; 4. Il principio d’efficacia comporta: l‘accesso del consumatore alla procedura senza essere obbligato a ricorrere al rappresentante legale; la gratuità della procedura o la determinazione di costi moderati; la fissazione di termini brevi tra la presentazione del reclamo all’organo e l’adozione della decisione; l’attribuzione di un ruolo attivo all’organo compente; 5. Il principio di legalità, secondo il quale l’organo extragiudiziale non può adottare una decisione che avrebbe come risultato di privare il consumatore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato sul territorio del quale l’organo è stabilito, deve essere a sua volta rispettato. Inoltre, le decisioni debbono essere motivate; 6. Devono inoltre essere rispettati i principi del contraddittorio (possibilità per tutte le parti interessate, di far conoscere il proprio punto di vista e di prendere conoscenza di quello della parte avversa), di libertà (scelta del consumatore di aderire alla procedura extragiudiziale) e di rappresentanza. La Raccomandazione ha cioè improntato un sistema di principi in tema di indipendenza dell’organo giudicante, di diritto al contraddittorio, di disponibilità delle prove, di trasparenza della procedura, cui devono sottostare tutte le iniziative extragiudiziali di composizione dei conflitti originati da rapporti di consumo e di utenza. Tali iniziative, gratuite, rapide, efficaci, sono caratterizzate dall’interposizione di un terzo, che non si limita ad invitare le parti ad intendersi ma prende una posizione concreta in merito alla risoluzione della controversia. 18
maggio 2000, la costituzione di una Rete europea per la soluzione extragiudiziale dei conflitti relativi ai consumatori, European Extra Judicial Network, con acronimo EEJ–NET.20 A questo progetto fu data attuazione con la Risoluzione del Consiglio Europeo del 25 maggio 200021 con la quale si delinearono gli elementi essenziali della rete. Ancora oggi i cittadini di ogni Stato dell’Unione Europea possono farvi riferimento per l’acquisizione di informazioni circa i sistemi nazionali di soluzione extragiudiziale delle controversie transfrontaliere, ed avere così accesso ai relativi strumenti. Per le stesse finalità fu emanata la direttiva n. 31,22 del giugno 2000, in materia di commercio elettronico, direttiva nella quale fu inserito l’art. 17,23 norma che rappresenta un esplicito riferimento alle forme di composizione extragiudiziale delle controversie attraverso l’utilizzo della rete. Con la nuova Raccomandazione adottata dalla Commissione il 4 aprile 2001, n. 310,24 fu poi non solo ripreso quanto già in precedenza era stato stabilito con la Raccomandazione del 1998, ma si posero anche i nuovi criteri minimi a presidio delle garanzie per la gestione delle controversie in materia di consumo a livello transfrontaliero.25 Con quest’ultima raccomandazione si stabili che il soggetto terzo, cui le parti si rivolgono per la soluzione della controversia, non deve emettere alcuna decisione ma solo limitarsi ad agevolare una soluzione conciliativa e a svolgere un attività riassumibile nel tentativo di fare incontrare le parti per convincerle a trovare una soluzione consensuale.26 Tutto il percorso sin qui sommariamente descritto culminò nella tappa del 19 aprile 2002, giorno in cui la Commissione adottò il Libro Verde27 nel quale fu descritto il fenomeno ADR, relativamente alle controversie civili e commerciali nell’ambito dello spazio giudiziario europeo. Nello stesso libro furono esaminate, per la prima volta, questioni relative alle procedure di conciliazione, quali l’efficacia del verbale di conciliazione e la chiamata del terzo, nonché i vari modelli di conciliazione. Sulla base di questo percorso storico-giuridico e del dibattito al quale lo stesso ha dato luogo si è avuta la proposta di direttiva28 la quale, in seguito ad alterne vicende e
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Comunicato stampa IP/01/1423, del 16 ottobre 2001. Risoluzione del Consiglio del 25 maggio 2000, Risoluzione relativa alla rete comunitaria di organi nazionali per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, in G.U.C.E., C 155, 6 giugno 2000. 22 Direttiva 2000/31/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, Relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, in G.U.C.E., L 178/1, 17 luglio 2000. 23 Direttiva 2000/31/CE, Art. 17 - Composizione extragiudiziale delle controversie: 1. I Stati membri provvedono affinché, in caso di dissenso tra prestatore e destinatario del servizio della società dell'informazione, la loro legislazione non ostacoli l'uso, anche per vie elettroniche adeguate, degli strumenti di composizione estragiudiziale delle controversie previste dal diritto nazionale. 2. Gli Stati membri incoraggiano gli organi di composizione estragiudiziale delle controversie, in particolare di quelle relative ai consumatori, ad operare con adeguate garanzie procedurali per le parti coinvolte. 3. Gli Stati membri incoraggiano gli organi di composizione estragiudiziale delle controversie a comunicare alla Commissione le decisioni significative che adottano sui servizi della società dell'informazione nonché ogni altra informazione su pratiche, consuetudini od usi relativi al commercio elettronico. 24 Commissione europea, 4 aprile 2001, Raccomandazione sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo, in G.U.C.E., L 109, 19 aprile 2001. 25 Sul tema: C. Morini, L'Unione europea verso la mediazione transfrontaliera, in Mediares, 2007, pp. 245-261. 26 Testualmente nella Raccomandazione, al Considerando n.6 è scritto che le nuove tecnologie possono contribuire allo sviluppo di sistemi elettronici di composizione delle controversie costituendo un organismo volto a risolvere efficacemente le controversie che interessano diverse giurisdizioni senza il bisogno di una comparizione fisica delle parti ed andrebbero quindi incoraggiate mediante principi volti ad assicurare standard coerenti ed affidabili a suscitare la fiducia degli utenti. 27 I Libri verdi sono documenti di riflessione su un tema politico specifico – raccolti appunto in un libro - pubblicati dalla Commissione. I Libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico. Talvolta fanno seguito a un libro verde pubblicato per promuovere una consultazione a livello europeo. Mentre i libri verdi espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico, i libri bianchi contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione. 21
dopo essere stata ampiamente emendata,29 è stata emanata, il 21 maggio 2008 con il n. 52,30 recante la disciplina della mediazione civile e commerciale della quale tratteremo nella terza parte di questo lavoro.
1.5. I vari tipi di ADR, la loro caratteristica di strumenti alternativi alla giurisdizione nel sistema di Common law. È già stato sottolineato, ut supra, che le ADR nascono nei sistemi di Common law. Da ciò consegue, logicamente, che nei sistemi di quest’ultimo tipo è maggiore la loro diffusione e di conseguenza vi è in tale sistema una maggiore differenziazione delle relative tecniche. Quindi, quando si parla di ADR, si intende fare riferimento a tutti quei metodi, ovvero procedimenti o sistemi che consentono di definire, secondo la previsione dei relativi ordinamenti giuridici, una controversia senza dover passare per un giudice. L’obiettivo, quindi, di comporre la lite può essere perseguito anche con procedimenti alternativi all’esercizio della giurisdizione così come intesa nei paesi di civil law. 31 Occorre, poi, precisare che le tipologie delle tecniche utilizzabili per la risoluzione delle controversie sono molto differenti e sono tra loro eterogenee, sicché allo stato ne è difficile una precisa ed esaustiva classificazione. Nello sforzo di ricondurne le diverse tipologie ad unità, una prima ripartizione la possiamo fare tra i due modelli fondamentali che vanno individuati, sulla base delle finalità quindi, a seconda che mirino a definire la controversia mediante un accordo tra le parti; oppure che mirino a definire la controversia mediante una vera e propria decisione 28
Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2004, COM (2004) 718 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Per un’analisi della proposta si veda: g. N. Giudice, Dalla commissione europea una scelta "flessibile" per il futuro della mediation, in Contratti, 2005, pp. 102-104. 29 Proposta di Direttiva presentata dal Consiglio Europeo in data 29 novembre 2005, 2004/0251/COD relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. 30 Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, Relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, in G.U.C.E., L 136/3, 24 maggio 2008. 31 In dottrina si usa contrapporlo correntemente ai sistemi anglosassoni detti di common law, ed è detto perciò anche "diritto continentale", sebbene vi siano alcune aree di mutua influenza sia sotto il profilo normativo che giurisprudenziale. A volte si parla anche di "famiglia dei sistemi romanisti" o di "diritto di tradizione romano-germanica". I sistemi di civil law si sono sviluppati nell’Europa continentale a partire dal diritto romano- giustinianeo. Sono basati su un ruolo importante dell’Università ossia della dottrina giuridica e sulle codificazioni. In questi sistemi il giudice deve attenersi, per quanto possibile, alla lettera della legge ed allo spirito del legislatore, sovrano in quanto direttamente eletto dal popolo fonte della legittimazione giuridica. In effetti, però con lo sviluppo del sistema giuridico ha sempre più maggiore autorevolezza la giurisprudenza, in particolare quella delle corti supreme. Le quali decisioni, pur non avendo forza di legge, sono utilizzate dai giudici di merito per sostenere nella motivazione le sentenze di merito. La tendenza della legislazione delle Corti supreme infatti si è andata poi caratterizzando in quanto le sentenze spesso riferimento a norme di ordine superiore quali, ad esempio, la Costituzione o trattati internazionali come quelli relativi ai diritti dell’uomo o ancora, ad esempio, le norme sovrannazionali europee sicchè le decisioni che si richiamano a detti principi sono detti di “diritto vivente” Ogni ordinamento giuridico, infatti, che lo si chiami “Stato di diritto”, “Rechtsstaat”, “Etat de droit”, “Rule of law”, si evolve autonomamente, seguendo le spinte economiche, sociali e civili del proprio Paese. Tali spinte, nel contesto attuale, sono analoghe a quelle degli altri Stati, e sempre più frequentemente si incrociano prescindendo dai confini nazionali, grazie ad una possente globalizzazione tecno-economica (si pensi ad es. che il call center per prenotare, anche dall’Italia, un ristorante a New York si trova in India). Ciò comporta una “globalizzazione” anche dei costumi, delle idee, dei valori e quindi dei diritti, con tutele che vengono ormai richieste e concesse non più solo dalle Corti nazionali, ma anche da quelle sovranazionali, soprattutto dalla CE di Lussemburgo e dalla CEDU di Strasburgo. A fronte della globalizzazione tecno-economica, il sistema delle tutele dei diritti non può restare confinato nel suo originario ambito nazionale. E cosi non e, in Italia, anche grazie al nuovo art. 117 Cost. (introdotto con l. cost. 3/2001), che prevede il rispetto, nell’esercizio della potestà legislativa, dei vicoli derivanti dall’ordinamento comunitario, “nonché” di quelli derivanti dagli obblighi internazionali. A tal proposito la Corte costituzionale (348/2007) ha ritenuto che l’art. 117, 1o comma, Cost. condiziona l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, fra i quali rientrano quelli derivanti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, le cui norme pertanto, cosi come interpretate dalla CEDU, costituiscono fonte integratrice del parametro di costituzionalità, e la loro violazione da parte di una legge comporta che tale legge debba essere dichiarata illegittima dalla corte costituzionale, sempre che la norma della convenzione non risulti a sua volta in contrasto con una norma costituzionale.
pronunciata da un soggetto terzo che, di regola, non è un giudice in senso proprio, ma che ne assume solo il ruolo. Il primo di questi due modelli è definito “metodo conciliativo“, il secondo“ metodo valutativo.” La mediazione è l’archetipo del metodo conciliativo, mentre l’arbitrato costituisce l’archetipo di quello valutativo. Le alternative riconducibili al primo modello (conciliativo) hanno avuto maggiore successo soprattutto a livello di diffusione presso gli operatori del commercio. Alla base del modello conciliativo, come metodologia, vi è la convinzione che qualunque controversia può essere composta attraverso una soluzione concordata tra le parti. L’accordo transattivo è cioè considerato preferibile ad una soluzione imposta da un organo statale. Punto di forza della conciliazione è la comunicazione. L’approccio qui descritto, in altri termini, porta le parti a trovare una soluzione in cui non vi è un vincitore, ma in cui entrambe le parti, attraverso un compromesso, sono soddisfatte dell’assetto dato ai loro interessi32 che vengono, quindi, composti su base volontaria e condivisa anche per il futuro. Al processo, inteso come strumento per mezzo del quale si attuano i valori incorporati nelle norme dell’ordinamento, - che attua cioè l’ordinamento - si preferisce una gestione privata di risoluzione delle controversie riconoscendo così alle parti una libertà assoluta - espressione dell’autonomia negoziale - nel determinare, nel caso concreto, il procedimento ritenuto più adatto, per il raggiungimento di un accordo. La controversia viene così definita in base a criteri scelti dalle parti, laddove, invece, la procedura giudiziaria non consente di essere scelta ma dove è il giudice, che vincolato al principio di legalità e soprattutto, al principio della domanda non può che attribuire ragioni e torti su base attributiva. Tale osservazione è importante al fine di stabilire se la decisione giudiziaria da un lato, e l’accordo, dall’altro, quale prodotto delle procedure alternative di tipo conciliativo, si trovino qualitativamente su un piano di parità tale da potere considerare l’accordo conciliativo come un equivalente funzionale della decisione giudiziaria. In altri termini si può ben sostenere che l’accordo raggiunto privatamente dalle parti equivale si al risultato che si raggiungerebbe con il processo, ma in più, la procedura alternativa comporta un notevole risparmio di tempo e di denaro, oltre ad assolvere, nella sostanza, sotto il profilo individuale la medesima funzione del processo, cioè quella di porre fine ad una controversia, cosa alla quale il processo non sempre riesce. Quello che in merito è l‘elemento critico, è che nel procedimento conciliativo non è affatto definita la figura che dovrebbe essere garante della correttezza del procedimento, funzione che il giudice statale, comunque, svolge, e che è elemento, invece, assente nelle trattative condotte direttamente dalle parti in preparazione di un accordo ma non certamente quando questa funzione è svolta dal “Terzo“ imparziale ossia dal mediatore. La decisione giudiziale però è strutturalmente ripetitiva del contenzioso tra le parti - dato la possibilità delle impugnazioni che riproduce il “conflitto sociale“ – e si pone in definitiva quasi sempre come strumento per un ripensamento dell’assetto degli interessi raggiunto con la decisione giudiziale. Un’altra classificazione, altresì, è possibile facendo riferimento da una parte agli strumenti che mirano esclusivamente a risolvere i conflitti e dall’altra a quelli finalizzati all’attuazione dei diritti. I primi mirano al risultato, ovvero all’eliminazione del contrasto di interessi senza dare particolare importanza al procedimento attraverso cui esso viene raggiunto, i secondi, invece, (attuazione dei diritti) sono fortemente vincolati al procedimento, ispirato ai principi processuali che costituiscono il nucleo dell’ordine pubblico, di ogni ordinamento statuale, ed al risultato prodotto, per quanto possibile, della verità dei fatti, attraverso l’applicazione delle norme giuridiche e della tutela giurisdizionale.
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E. Silvestri, Osservazioni in tema di strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1999, pp. 327 ss.
La vasta gamma dei rimedi alternativi di risoluzione può essere, ancora, ripartita in metodi cd. “vincolanti” e metodi “non vincolanti”, a seconda cioè che l’efficacia dell’atto che definisce la controversia sia basata o meno sull’esclusiva volontà delle parti in lite33 nel dargli esecutività. La forma più comune di ADR non vincolante è la “negoziazione”34 che si basa sulla trattativa diretta tra due o più soggetti. Alla stessa famiglia appartiene la cd. “facilitazione di negoziati” (dealmaking mediation35) la quale postula l’intervento di uno o più terzi – facilitatori esperti - che coordinano la conduzione di trattative particolarmente complesse. Non vincolanti sono, altresì, i cd. “incontri di partenariato” (partnering dialogue36) i quali vengono instaurati allo scopo di identificare e prevenire possibili cause di contenzioso attraverso l’assistenza prestata da uno o più terzi (esperti) neutrali negli incontri tra soggetti in procinto di realizzare un progetto, una partnership o una joint venture. Tra le forme di ADR, non vincolante, ad oggi quella più conosciuta in Italia è la “conciliazione” o “mediazione”37, procedura che si basa sull’intervento di un terzo neutrale chiamato a governare il processo negoziale delle parti, ponendole in reciproca comunicazione per una disamina costruttiva delle rispettive posizioni e dei punti oggetto di controversia, al fine di un eventuale accordo. La conciliazione o media-conciliazione o meglio il procedimento di mediazione che ha come fine quello di portare le parti verso la conciliazione, può essere attuata in forma privata oppure essere amministrata da enti od istituzioni, con o senza collegamenti col processo giudiziario. In Italia con il decreto legislativo n. 28/2010, il legislatore ha scelto quella “amministrata“ da Organismi appositamente autorizzati dal Ministero della Giustizia e ha strettamente collegata al processo imponendola come condizione di procedibilità. Nella macrocategoria delle ADR non vincolanti rientra la “valutazione neutrale preventiva” (early neutral evaluation38), che si sostanzia nella nomina di un terzo neutrale che, sulla base di documenti e testimonianze, emette un parere non vincolante sul merito delle posizioni espresse dalle parti, mentre la “valutazione dell’esperto” (expert evaluation39), consiste nel suggerimento di una soluzione in merito alla controversia tra le parti per mezzo di una consulenza tecnico-giuridica. Rientrano, da ultimo, tra le ADR non vincolanti i cd. “mini-trial”40 o “executive tribunal”, ovvero quelle forme di mediazione complessa, formale e valutativa, caratterizzate dalla presenza di regole procedurali simili a quelle di un processo ordinario. In questa forme di risoluzione le parti, di norma, sono assistite da legali o da consulenti, mentre il ruolo del valutatore può essere assunto da un terzo nominato ad hoc, da un giudice o da un gruppo di esperti. Passando, invece, all’analisi delle forme di ADR vincolanti deve, necessariamente, farsi riferimento alla figura dell’arbitrato41, ovvero a quella forma di processo privato gestito da arbitri appositamente delegati dalle parti per la definizione di una lite, in deroga alla giurisdizione 33
Cfr. AA.VV., ADR: la negoziazione assistita nei conflitti economici, Il Sole 24 Ore, Milano, 2005. Cfr. C. E. Cohen, Relative Satisfaction with ADR: Some Empirical Evidence, in Disp. Res. Jou., 2003, pp. 36-41; J. M. Davidson, Land Use ADR Report: Enforcing Compliance with Negotiated Agreements, in Urb. Law., 2003, pp. 749-757. 35 Cfr. N. A. Welsh, Making deals in court-connected mediation: what's justice got to do with it?, in Washington Uni. L. Quart., 2001, pp. 787 - 861. 36 Cfr. M. Herrmann, This is what Ìm thinking: a dialogue between partner and associate . . . from the partner, in Litigation, 1998, pp. 80-89; M. E. Gilles, This is what Ìm thinking: a dialogue between partner and associate . . . and from the associate, in Litigation, 1998, pp. 90-96. 37 Cfr. A. Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, in Riv. dir. comm. e obb., 1978, pp. 361-383; R. V. Miller, Mediation, step by step, in Trial, 2009, pp. 20-27. 38 Cfr. W. D. Brazil, Early neutral evaluation: an experimental effort to expedite dispute resolution, in Judicature, 1986, pp. 279285; D. I. Levine, Early neutral evaluation: a follow-up report, in Judicature, 1987, pp. 236-240. 39 Cfr. D. M. Risinger, The Irrelevance, and Central Relevance, of the Boundary between Science and Non-science in the Evaluation of Expert Witness Reliability, in Villanova L. Rev., 2007, pp. 679-722. 40 Cfr. L. J. Fox, Mini-trials, in Litigation, 1993, pp. 36-41; D. A. Henderson, Mini-trial of construction disputes, in Int. Const. L. Rev., 1994, pp. 442-465. 41 V. Pinchi, Alternative dispute Resolution: esperienze a confronto, in Riv. ita. Med. Leg., 2009, p. 599. 34
ordinaria. Nell'arbitrato “rituale” la procedura è disciplinata dal codice di procedura civile ed il giudizio degli arbitri equivale ad una sentenza. Nell'arbitrato “irrituale” vi è libertà di forme e la decisione arbitrale costituisce un mero contratto, che le parti si impegnano a rispettare. L’arbitrato può essere amministrato da un’organizzazione od un ente, oppure essere gestito dalle parti stesse. Dall’arbitrato come appena descritto si distingue l’arbitrato rapido (quick arbitration), forma arbitrale caratterizzata da una struttura informale, generalmente basata sul principio della oralità, l’arbitrato condizionato (high/low) invece, limita il ricorso all’arbitrato per fattispecie ricomprese tra limiti minimi - massimi di valore e la cui decisione può avere ad oggetto sia l’an che il quantum debeatur. Sempre della famiglia dell’arbitrato è il cd. “arbitrato per offerta finale” (baseball), ove l’arbitro è chiamato a decidere su conclusioni già presentate dalle parti all’inizio del procedimento, che è finalizzato solo alla raccolta delle relative prove all’esito del quale viene stabilito quale, tra le domande presentate, è la più fondata42. Parimenti vincolante è la “determinazione o aggiudicazione di un esperto”, detta anche perizia contrattuale, che prevede la nomina di un esperto neutrale che, sulla base di documenti e/o testimonianze, rilascia un parere vincolante per le parti, nonché il cd. “processo privato” (rent a judge/jury), nel quale le parti concordemente affidano la decisione della controversia ad un giudice e/o ad una giuria nominata per l’occasione, giuria, che segue una procedura del tutto simile a quella ordinaria. La scelta della forma più adeguata di ADR da esperire per la risoluzione di una specifica controversie discende da un’attenta analisi delle reali esigenze e necessità delle parti, attività che passa, necessariamente, da una preliminare delimitazione delle aree di intervento e degli strumenti operativi disponibili, nonché dall’individuazione delle competenze professionali più appropriate. Affinché una procedura ADR possa giungere a buon fine le parti devono avere la chiara rappresentazione e condivisione delle fasi di intervento, avendo già definito ed escluso le altre alternative percorribili. Deve, infine, sottolinearsi come nel corso dello svolgimento della procedura prescelta sia opportuna l’assistenza continua delle parti, anche ai fini della verifica dei risultati e della determinazione dei correttivi eventualmente necessari.
1.6. La crisi della giustizia in Italia e l’introduzione delle ADR. Si è già detto precedentemente che una delle finalità perseguite dal legislatore statunitense, attraverso l’introduzione delle ADR nell’ordinamento giuridico USA, è stata quella di deflazionare il contenzioso presso le Corti ordinarie. Sebbene tale prospettiva deflattiva non sia stata affatto presa in considerazione dal legislatore europeo, il quale, invece, è stato spinto verso le ADR per garantire lo sviluppo del commercio elettronico e, di conseguenza, per disciplinarne le relative controversie, è tuttavia innegabile che un beneficio indiretto sul carico di lavoro dei Tribunali Ordinari anche in Europa pure vi è stato. Partendo da questo dato, il legislatore italiano ha pensato di introdurre l’istituto della mediazione nel tentativo di rendere meno lenta la giustizia del nostro Paese. È innegabile, infatti, che la durata media di una causa, sia essa civile o penale, non è in linea con gli standard europei OCSE e prova inconfutabile ne è il numero dei procedimenti avviati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo dinanzi alla CEDU, che, sulla base di statistiche comunitarie, ammontano a circa 1.258 denuncie, per le quali sono state emesse ben 1.012 sentenze di condanna nei confronti del nostro Paese. Deve, tuttavia, sottolinearsi come la crisi della giustizia in Italia non sia dovuta alla carenza di risorse finanziarie, posto che in Italia si investono nella “macchina giustizia” 2.751.910.175 di euro, escluse le spese per i pubblici ministeri, le procure e i compensi dovuti per il gratuito patrocinio, cifra che ci fa attestare al primo posto per le spese giudiziarie in 42 O. Rabinovich-Einy, The Case for Greater Formality in ADR: Drawing on the Lessons of Benoams Private Arbitration System, in Vermont L. Rev., 2010, p. 540.
Europa43. È evidente, pertanto, che non essendo un problema di risorse economiche, le ragioni delle innumerevoli criticità del nostro sistema giustizia dipendono dai difetti dell’organizzazione e del metodo del lavoro giudiziario intorno al “fascicolo”44 più che alla carenza degli incentivi. 45 Tale stato di crisi della macchina giudiziaria comporta effetti negativi sulla definizione dei rapporti economici, sull’affidabilità degli investimenti, sulla praticabilità dei rimedi e sull’applicazione (esecuzione) dei provvedimenti ottenuti a seguito di processi lunghi e difficili, in fin dei conti sulla certezza del diritto. L’introduzione del processo telematico, la diffusione delle best practices46, nel settore giustizia, e delle ADR si inserisce, dunque, in un cammino volto al radicale cambiamento della giustizia, riforma che dovrà accompagnarsi necessariamente all’elevazione della qualità del “servizio giustizia”, alla semplificazione dei riti, all’informatizzazione dei magistrati, delle cancellerie e di tutto il personale ausiliario.47 Passando ad una più attenta analisi del processo legislativo volto all’introduzione delle ADR in Italia, il primo intervento da annoverare è quello fatto con la legge 29 novembre 1993, n. 580, in tema di riordino delle camere di commercio. Con questa legge il parlamento intese promuovere, presso tali istituzioni, le camere arbitrali e di conciliazione in grado di agevolare la risoluzione stragiudiziale delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori.48 Dopo questa legge numerose sono state le norme che hanno rinforzato il ruolo delle Camere di Commercio in materia di strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, sia pure mediante l’emanazione di normative di settore.49 Facendo una rapida ricognizione, merita una particolare citazione il progetto della Commissione “Vaccarella“, 50 che chiamata a riformare il processo civile, inserì nel disegno di legge delega un elenco delle linee guida da applicare alla conciliazione in linea con i principi internazionali e comunitari. La Commissione, tuttavia, non riuscì a terminare il disegno di riforma che non proseguì nel suo iter legislativo.
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I dati sin qui riportati sono stati acquisiti dal CEPEJ – Commission Europeenne pour l’Efficacitè de la Justice – “Italy: evaluation exercise” del 03.09.2008. 44 Michele Gorga - A. Contaldo, Le regole del Processo Civile Telematico anche alla luce della più recente disciplina del SICI Diritto dell’Internet n. 1/2008 IPSOA Editore –; 45
L. Rovelli, La crisi della giustizia civile. Diagnosi e terapie, in Dir. e prat. Trib., 2009, p. 1065. Michele Gorga - A. Contaldo, Il Processo Civile Telematico come occasione della diffusione delle best practices nel settore giustizia (in Rassegna dell’avvocatura dello stato n.4/2009). 47 Cfr. G. Alpa, Relazione inaugurale dell'anno giudiziario presso il Consiglio Nazionale Forense. Roma, 22 febbraio 2006, in Rass. for., 2006, pp. 823 – 869. 48 Legge 29 dicembre 1993, n. 580, art. 2, c. 4: “Le camere di commercio, singolarmente o in forma associata, possono tra l'altro: a) promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori ed utenti […]”. Cfr. A. Converso, Note minime in tema di strumenti alternativi per risoluzione delle controversie, in Giur. merito, 2000, pp. 719 – 734. 49 Si ricordano in ordine cronologico: L. 22 febbraio 1994, n. 146 - Comunitaria 1993, che ha modificato l’art. 1469 sexies c.c. con la quale viene affidata alle Camere di Commercio la competenza in materia di azione inibitoria di clausole abusive inserite in contratti con i consumatori; L. 14 novembre 1995, n. 481, istitutiva dell’Autorità per i servizi di pubblica utilità con la quale vengono designate le Camere di Commercio come possibili soggetti competenti in materia di risoluzione delle controversie tra utenti e gestori dei servizi (arbitrato e conciliazione); L. 18 giugno 1998, n. 192. in materia di subfornitura nelle attività produttive ove, all’art. 10, si prevede l’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione relativamente ai contratti di subfornitura presso le Camere di Commercio, con l’ulteriore previsione della possibilità di rimettere la controversia, in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, ad una commissione arbitrale istituita sempre presso le Camere di Commercio; D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, cd. Bassanini, in materia di lavoro, ove si prevede l’obbligo del tentativo di conciliazione prima di approdare al giudizio ordinario; L. 30 luglio 1998, n. 281, con la quale il legislatore ha inteso disciplinare i diritti di consumatori ed utenti stabilendo, all’art. 3, c. 2, che le associazioni dei consumatori e degli utenti possono attivare, prima di adire le vie giudiziarie, la procedura di conciliazione dinanzi alle Camere di Commercio; L. 29 marzo 2001, n. 135, legge di riforma della legislazione nazionale del turismo, che affida, ai sensi dell’art. 4, c. 3, alle commissioni arbitrali e conciliative delle Camere di Commercio il compito di risolvere in sede stragiudiziale le controversie tra imprese e tra imprese e utenti inerenti alla fornitura di servizi turistici. 50 Commissione di studio istituita con d.l. 23 novembre 2001 che prende il nome dal suo presidente, prof. Romano Vaccarella, per la predisposizione di uno schema di disegno di legge delega per la riforma del processo civile costituita presso l’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia. 46
Per rinvenire un provvedimento normativo, significativo, in materia si è, così, dovuto attendere l’emanazione del D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in tema di rito societario. Conseguenza del decreto fu l’introduzione nell’ordinamento italiano di una legislazione di settore, priva, tuttavia, di una normativa quadro di riferimento e quindi accanto al modello di conciliazione di diritto comune, incentrato sulla libertà negoziale lasciata all’autonomia dei privati, modello di conciliazione volontaria privo tuttavia di forza legislativa in grado di consentirne lo sviluppo, si introdusse l’altro quello della conciliazione societaria, rispettoso dei principi internazionali ma privo di una normativa quadro interna.51 L’emanazione dei successivi decreti attuativi52 non colmò la lacuna normativa. L’esigenza di una legge generale volta ad una disciplina organica della mediazione, e cioè a dare risposta alle numerose criticità palesate proprio dalla carenza di una normativa quadro, si era quindi imposta da tempo e a questa esigenza una prima, anche se ancora insufficiente, risposta è stata data con la legge delega e con il D. lgs n. 28/2010, che ha eliminato il mero rinvio alle norme del codice, ha attribuito valore legale di titolo esecutivo all’accordo conciliativo e ha predisposto meccanismi per la diffusione della cultura della conciliazione. Tutto ciò è stato possibile grazie al recepimento nel nostro ordinamento dei principi e dei criteri fissati con la direttiva europea n. 52/2008, di cui meglio si dirà,che ha favorito questa operazione di definizione dei principi generali delle ADR come recepiti nell’art. 60 della legge delega 18 giugno 2009, n. 69, proprio in materia civile e commerciale e rispetto alle quali materie, pur trattandosi di un ambito d’intervento estremamente ampio, comunque restano esclusi settori importanti, anche se solo parzialmente, come quello penale e tributario. Discorso a parte merita il ramo amministrativo, per il quale bisogna distinguere: se si tratta di interessi legittimi collegati all’esercizio del potere amministrativo, e cioè all’esercizio dei poteri jus imperi, rispetto ai quali l‘operatività della mediazione è da escludersi, anche se non sempre, mentre così non è se ci si riferisce a rapporti di diritto privato tra privati e pubbliche amministrazioni e tra P.A., e cioè ai rapporti jure privatorum della pubblica amministrazione dove la mediazione è sempre possibile e a volte obbligatoria. La delega conferita al governo in materia di ADR è stata esercitata, come già accennato, con il D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, con il quale il legislatore ha inteso avvicinare il sistema di risoluzione alternativa delle controversie italiano agli standard internazionali in merito. Ancorché non sia questa la sede per una compiuta analisi del decreto, si ritiene opportuno accennare, se pur brevemente, le più significative innovazioni apportate all’ordinamento. In via generale deve evidenziarsi che il provvedimento delinea la mediazione non solo come alternativa alla risoluzione delle controversie, ma come uno strumento complementare, integrativo della stessa giustizia civile, e proprio per evidenziare questo duplice profilo dell’istituto, e favorirne la capillare diffusione, è stato posto in capo agli avvocati l’obbligo di informare per iscritto i propri clienti, all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità di avvalersi della procedura conciliativa con la previsione della sanzione, per l’eventuale omissione, dell’annullabilità del relativo contratto professionale. Nel decreto poi oltre alla previsione della mediazione volontaria di natura “pattizia”, ed accanto a quella “delegata”, ossia quella che può essere consigliata dal giudice fino all’udienza di precisazione delle conclusioni o discussione della causa, è stata inserita
51 Per un’analisi dei provvedimenti normativi appena citati si veda L. Villata, Novelle legislative in tema di mediazione, in Mediares, 2004, pp. 53 – 73. 52 D.M. 23 luglio 2004, n. 222 - Determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; D.m. 23 luglio 2004, n. 223 Regolamento recante approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione a norma dell'articolo 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5.
la previsione, con individuazione delle materie, 53 della mediazione “obbligatoria“, ove il ricorso alla mediazione prescinde dalla volontà delle parti e funziona quale condizione di procedibilità per poter poi fare successivamente ricorso alla giurisdizione. Obbligatorietà si badi bene funzionalmente predisposta a far percepire alle parti, a chi le assiste e a chi le rappresenta, la concreta possibilità di risolvere i conflitti evitando l’azione in sede giudiziale ed in questa prospettiva – deflattiva e compositiva dell’intero rapporto litigioso che coinvolge le parti - va letta la norma sull’obbligatorietà del preventivo ricorso alla mediazione quale condizione di procedibilità, nonché la facoltà attribuita al giudice di desumere argomenti di prova dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo, ed ancora i diversi benefici di natura fiscali ed economici ed i particolari effetti in tema di spese processuali,ex art. 13 del decreto. Si è scelto, quindi, una duplice via: da un lato l’incentivo, mediante l’introduzione delle cosiddette sanzioni positive, con la previsioni di benefici di natura fiscale e tributaria e di facile e non costoso accesso alla procedura conciliativa; dall’altro la previsione di pesanti sanzioni in ordine al particolare regime dettato dall’art. 13 del decreto 28/2010, in tema di liquidazione di spese nel giudizio conseguente qualora non si sia accettata la conciliazione. In merito alla previsione di queste “facilitazioni“, ma soprattutto in merito a quelle che possiamo considerare come delle “punizioni“, che l’ordinamento sembra voler comminare a chi non aderisce alla conciliazione, ottenibile grazie alla predisposizione di questo percorso “alternativo”, si sono levate, da più settori, posizioni di forte dissenso che hanno posto in evidenza la tutela costituzionale dei diritti dei cittadini. Tutte queste posizioni però paiono infondate sia parchè la mediazione attiene alla composizione degli “interessi” e non dei “diritti“, essendo noto che non sempre diritto ed interesse coincidono, così come non sempre coincide diritto e giustizia, sia perché l’ordinamento e l’istituto della mediazione fanno sempre salva la tutela dei “diritti”, per i quali è sempre possibile il ricorso in sede giurisdizionale, posto che la mediazione è solo una condizione di procedibilità. Nel nostro ordinamento, poi, si è scelto il modello della conciliazione “amministrata”, in quanto le procedure di mediazione possono essere gestite solo da soggetti dotati di alta e qualificata specializzazione, operanti in “organismi” che possono essere diramazione di Enti pubblici o privati iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. I mediatori, poi, per poter esercitare presso l’organismo devono essere iscritti nelle apposite sezioni del registro A, B, C, qualora vogliano esercitare in materia civile e commerciale o internazionale o in materia di consumo. Tutti comunque , devono aver frequentato e superato un apposito percorso formativo erogato da enti di formazione accreditati dallo stesso Ministero della Giustizia. Il procedimento di mediazione è poi disciplinato dal regolamento dell’organismo prescelto che, in ogni caso, deve sempre garantire la riservatezza del procedimento e le modalità di nomina del mediatore, in modo che ne sia assicurata l’imparzialità e l’idoneità al corretto svolgimento dell’incarico. Particolare attenzione il decreto dedica alla riservatezza, ponendo il relativo obbligo non solo in capo al mediatore, ma anche in capo a tutti coloro che operano all’interno dell’organismo; nessuno di essi può essere chiamato a testimoniare, né le dichiarazioni rese nel corso del procedimento di mediazione, le informazioni assunte o i documenti possono essere utilizzate in giudizio. L’unico prodotto giuridicamente spendibile dell’intero iter di mediazione è solo il verbale o perché titolo esecutivo, se omologato dal Presidente del Tribunale della sede dell’organismo di mediazione,o perché “Titolo“ predisposto a dimostrare che la condizione di procedibilità è stata esperita con esito negativo.
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Norma la cui entrata in vigore è stata differita al Marzo 2011.
1.7. Le esperienze dei singoli paesi Europei in tema di ADR. La forte avversione che l’istituto della mediazione ha dovuto segnare in Italia, soprattutto per la ferma e propagandistica opposizione di parte dell’avvocatura, non ha consentito, ad oggi, un sereno confronto sull’istituto considerato che i detrattori hanno incentrato le loro critiche sull’eccesso di delega e sulla non obbligatorietà della conciliazione, nella previsione della direttiva n. 52/2008. Sicchè si è, falsamente, rappresentata questa scelta legislativa come una scelta estemporanea, estranea alla nostra tradizione giuridica e frutto di sistemi giuridici diversi, distanti dal nostro e quindi poco compatibile con esso. In verità la situazione reale è completamente diversa da quella che viene rappresentata e che se non è frutto di ignoranza, allora è sicuramente da ascrivere alla disonestà intellettuale di chi la sostiene. Ed infatti una seppur breve ricerca di quanto avviene negli altri paesi europei, in tema di metodologie extragiudiziale, mette in luce che oramai le dinamiche di sviluppo degli ordinamenti giuridici di Civil Law e Common Law, sono sempre più calibrate verso “l‘erosione“ delle differenze tra i due sistemi, e che, inoltre, la globalizzazione ha reso difficoltoso e a volte impossibile collocare, con certezza, le controversie presso i singoli sistemi giudiziari nazionali. Nel vecchio continente la peculiarità è che i due sistemi convivono, e mentre in quelli di Common Law la scelta di fondo è quella della mediazione endo-processuale, e ciò in vista della centralità che il giudice ha in quel sistema, e che l’istituto rafforza con il potere che gli attribuisce di deferire addirittura a terzi estranei alla giurisdizione la controversia affinché tentino la conciliazione, dall’altro evidenzia che spetta proprio alla giurisdizione di rendere il processo quale eccezione e non come regola. Nei sistemi di Civil Law questa centralità del giudice ha portato, invece, a una proliferazione di esperienze che vanno dalla conciliazione stragiudiziale a quella giudiziale e stragiudiziale endo-processuale. Le ultime due a volte sono facoltative, altre volte obbligatorie, mentre quella giudiziale si riassume sempre in una attività, svolta all’inizio del processo, sempre e solo del giudice. La conciliazione stragiudiziale endo-processuale, invece, rappresenta una evoluzione dei due tipi precedenti e sotto tale profilo è un vero e proprio tertius genus in quanto è “consigliata“ dal giudice, è organica al processo, e fa quasi sempre salva la volontarietà delle parti. Per quanto riguarda le esperienze delle singole Nazioni Europee, muovendo dalla Gran Bretagna è da dire che essa è particolarmente ricca di strumenti che impediscono l’accesso indiscriminato alla giurisdizione. In tale prospettiva si collocano i “pre action protocols“ o “l’offerta di transazione“, volti a facilitare gli incontri tra le parti e gli avvocati per consentire valutazioni transattive imparziali. Esistono poi specifiche organizzazioni come l’A.C.A.S. (Advisory Conciliation and Arbitration Services) istituto indipendente, che beneficia di finanziamenti pubblici, per la conciliazione delle cause di lavoro e il C.E.D.R. (Centre For Effective Dispute Resolution), che è la maggiore organizzazione per i corsi di formazione per mediatori accreditati. Il C.M.C (Civil Mediation Council) è un network che consente ai mediatori di aggiornarsi, di crescere professionalmente, confrontarsi conoscere le pubblicazioni specialistiche, accedere a linee guida. Inoltre esistono reti organizzate volte a favorire la conciliazione tra imprese ed imprenditori e lavoratori, nel campo della mediazione familiare, tra autorità pubbliche e professionisti. Per quanto attiene al tipo di conciliazione quello giudiziale è sempre riservato ai giudici mentre quello endoprocessuale e stragiudiziale è sempre rimesso a terzi privati - quindi singoli professionisti imparziali. In Francia invece esistono due modi alternativi di risoluzione delle controversie: la mediation e la conciliation. Queste due procedure hanno in comune il fatto di essere entrambe facoltative, volontarie ed alternative al processo essendo rivolte alla composizione stragiudiziale del conflitto. La mediation è definita come il tentativo del mediatore di avvicinare le parti per aiutarle a trovare una soluzione. Può avvenire in via stragiudiziale ed in questa ipotesi non è regolamentata, o nel
corso del procedimento giudiziario ed allora si svolge con la supervisione del giudice che, sulla base di un accordo, indirizza alla mediazione e individuato un mediatore terzo, imparziale ed indipendente, lo nomina per la conciliazione. Spetta al giudice stabilirne anche il compenso che pone a carico delle parti e che deve essere versato, in parte, all’inizio ed in parte alla fine della procedura che non può comunque essere superiore a tre mesi. La conciliation è, invece, rivolta a comporre la lite su base condivisa dagli intervenuti. E‘ definita come l’accordo in base al quale le parti grazie a trattative tra di esse, o con l’intervento di un terzo (conciliatore), compongono anche al di fuori del processo, se si tratta di diritti disponibili. Le parti possono farsi assistere da un legale nel corso della procedura, ma l’accordo per divenire titolo esecutivo deve essere riportato in un provvedimento del giudice. Il giudice d’istanza o di prossimità può sempre ingiungere alle parti di incontrare un Conciliatore per essere informate sulle procedure conciliative. Quindi, nel sistema Francese le possibilità di conciliazione si sostanziano sia nel cd. tentativo preventivo di conciliazione dinanzi ad un tribunale, sia nella conciliazione pattizia nel corso del processo. Nel primo caso la conciliazione è a istanza di parte e se riesce il relativo verbale firmato dal giudice, dal cancelliere e delle parti ha valore di titolo esecutivo. Nel secondo caso, con il consenso delle parti, è designato il conciliatore ed il tempo concesso, per conciliare, è brevissimo, un solo mese, ma tale termine è rinnovabile per un uguale periodo e nel caso in cui la conciliazione riesca il provvedimento viene omologato dal Presidente del Tribunale che gli attribuisce così natura di titolo esecutivo, come se fosse una sentenza. Nel caso in cui invece fallisce il giudizio riprende normalmente il suo corso. Nel sistema francese numerose sono le ADR in materia assicurativa, bancaria, locatizia ed in materia di mediazione familiare. Anche nel sistema Spagnolo coesitono i due istituti della Mediazione e della Conciliazione. La differenza strutturale tra i due istituti è che la Mediazione è una procedura nella quale un “terzo neutrale“ ed indipendente, riunisce le parti per farle comunicare tra loro e per cercare di aiutarle a risolvere la controversia. La conciliazione, invece, è una procedura nella quale la posizione centrale è svolta dalle parti con l’aiuto – marginale – del terzo neutrale che deve portarle verso una soluzione condivisa. In Spagna la Mediazione si estende ai settori del lavoro, dei conflitti di famiglia, delle assicurazioni, delle banche, della scuola, del consumo, della proprietà intellettuale, pubblicità, telecomunicazione, del diritto amministrativo, nel diritto penale e nel settore medico. Molto estesa è poi la mediazione per le controversie cd. Extramadura, ossia per quei conflitti che sorgono tra i soci e gli associati di cooperative e le rispettive federazioni. In Germania, invece, è conosciuta la sola “conciliazione giudiziaria“. Quest’ultima, nell’ordinamento giuridico tedesco trova molti incentivi sia con la previsione, per chi vi fa ricorso, a minori spese di giustizia e di una apposita udienza finalizzata proprio alla conciliazione, sia con la previsione di maggiori onorari per gli avvocati che conciliano, sia, infine, con la predisposizione di apposite procedure ad hoc che si sostanziano nel preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione, svolto in sede giudiziale, anche in fasi diverse da quella iniziale. Il giudice addirittura può formulare una sua proposta (che sarebbe quindi anticipatoria del giudizio) e la sottopone all’esame delle parti. Proprio in ragione degli effetti anticipatori, che i contenuti della proposta potrebbero avere sulla sentenza, è stato previsto che il giudice all’uopo, per la proposta, può delegare altro giudice del suo ufficio o di un ufficio giudiziario diverso sospendendo il giudizio in corso. Anche nel sistema tedesco l’accordo ha valore di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, mentre in materia stragiudiziale la mediazione è possibile nei settori della famiglia, del lavoro, penale ed ambientale. In Austria solo di recente sono stati previsti strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti in materia penale, familiare E nel settore ambientale. Per la conciliazione commerciale, invece, si stanno consolidando organizzazioni professionali specialistiche multidisciplinari (notai, avvocati, tributaristi ecc.) e per questi professionisti gli standard formativi, dei relativi corsi, sono molti elevati dovendo essere di durata non inferiore a 200 ore. Anche in Belgio le esperienze in tema di ADR sono recenti e vigilate dal Ministero della Giustizia. Il sistema Belga prevede accanto alla mediazione volontaria,
per la quale non è necessario un contenzioso giudiziale, quella giudiziale endo-processuale. Quest’ultima può essere richiesta dal giudice ma deve essere accettata dalle parti, e avviene mediante un mediatore che poi dovrà comunicare, al giudice, il risultato dell’opera prestata. Nella mediazione volontaria, invece, l’accordo non può mai essere contrario all’ordine pubblico, così come in quella familiare non può essere mai contraria agli interessi dei minori. In Olanda vi è l’IOC (Istituto Olandese di Conciliazione) che ha compiti divulgativi dell’istituto della conciliazione. Numerose sono le materie conciliabili tra queste vanno ricordate le controversie familiari, di lavoro, nel settore amministrativo e dei lavori pubblici. Infine l’ordinamento Danese il quale ha forme di ADR di origine molto vetuste e che sono disciplinate in modo non uniforme ma estese nel campo delle associazioni professionali ed imprenditoriali. La Danimarca si segnala altresì perché le principali facoltà di giurisprudenza della nazione offrono corsi di formazione per conciliatori che precedono specifici percorsi formativi.
1.8. La mancanza di una formazione in materia di ADR degli operatori delle professioni legali in Italia. Con l’ingresso nel nostro ordinamento della mediazione ai fini della conciliazione, che ha fatto coniare il termine di “media-conciliazione”, si è aperto in dottrina, e presso i giuristi pratici, un fecondo dibattito in ordine alle ragioni dell’assenza del retroterra teorico54 sulle ADR nei sistemi di civil law. A livello comunitario osservato che sono state censurate le differenze metodologiche e il monte-ore di frequenza obbligatoria dei corsi di formazione dei giuristi europei, siano essi mediatori, avvocati o magistrati, deve tuttavia evidenziarsi che la Commissione Europea ha poi ritenuto di non dover interferire nell'organizzazione dei singoli sistemi nazionali, anche se la stessa pare essere consapevole dell’importanza che tale diversa organizzazione, dei corsi, ha poi nella formazione dei giuristi europei. La Commissione si è così limitata ad indicare solo tre punti ai quali le autorità nazionali, competenti alla redazione dei programmi, dovrebbero attenersi, questi sono: a) la migliore conoscenza da parte degli operatori del diritto degli strumenti giuridici dell'Unione e, quindi, del diritto Comunitario e del diritto dell’U.E.; b) la migliore conoscenza reciproca dei sistemi giudiziari dei singoli Stati membri; c) il miglioramento della formazione linguistica. Per raggiungere tali obiettivi dovrebbero essere, poi, utilizzate metodologie pedagogiche diversificate55 ed in particolare occorrerebbe, a parere della Commissione, potenziare gli scambi tra gli operatori del diritto nei vari paesi membri dell’Unione Europea. In tale ottica si è stabilito di contribuire allo sviluppo della formazione continua giudiziaria nei singoli Stati membri con specifici programmi di finanziamento alle singole iniziative anche degli Ordini professionali, come dimostra il programma che attualmente è in atto, per il periodo 2007-2013, denominato “Diritti fondamentali e giustizia”. Programma non affatto compreso dai giuristi del nostro paese, anche in relazione a quella che è l’importanza della materia specifica, considerato che nell’ambito del predetto intervento comunitario è stato previsto un modulo “Lawyers in ADR” volto, specificatamente alla formazione 54
R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, Milano, 2001; Corso di ordinamento forense e deontologico, Milano, 2003; 55 Commissione delle Comunità Europee: Bruxelles, 29.06.2006 COM(2006) 356, p. 25: “Con riguardo al metodo, la formazione deve insistere sugli aspetti pratici che consentono un’applicazione corretta degli strumenti adottati. Oltre conferenze e seminari, occorre mettere a punto metodi che permettano una più ampia divulgazione dei risultati. In particolare,andrebbero organizzati più corsi per formatori, affinché si rendano conto della dimensione europea dell'azione giudiziaria e siano spronati a diffonderla. Va ricercato l'uso di strumenti di formazione riutilizzabili e accessibili, anche on-line, in particolar modo per quanto riguarda gli strumenti dell'Unione e le informazioni sui sistemi giudiziari nazionali cui dovranno avere accesso i professionisti interessati […]”.
in materia di tecniche alternative di risoluzione delle controversie. In particolare il progetto mira a rimuovere quegli ostacoli che impediscono agli avvocati di utilizzare e promuovere attivamente la mediazione, creando degli standard a livello europeo e stimolando la cooperazione nel settore della risoluzione alternativa di controversie tra gli avvocati dei vari stati membri. Le indicazioni fornite dalla Commissione però non sono state pienamente recepite dagli Ordini forensi italiani i cui programmi di formazione riservano alle ADR uno spazio irrisorio, nonostante costituiscano un elemento rilevante dei sistemi giudiziari di numerosi Paesi, si consideri, come detto nei paragrafi precedenti, gli Stati Uniti d’America, gli Stati dell’Asia orientale e l’Australia, e dello stesso ordinamento Comunitario.56 Così nel nostro sistema giuridico la carenza di formazione dell’avvocatura, in tecniche di mediazione, si somma alla disorganizzazione e l’inefficienza della macchina della giustizia. In questa prospettiva, la maggiore conoscenza delle ADR potrebbe favorire ed incentivare la sperimentazione di soluzioni alternative per la risoluzione delle controversie, che appare uno dei metodi più efficaci di alleggerimento del carico dei Tribunali57 e delle Corti in Italia.58 Appare evidente, invece, che non vi sia l’opportunità di una proliferazione delle tipologie di ADR come teorizzato da certa dottrina nord-americana, 59 né, tantomeno, che la mediazione e le altre forme di ADR siano incorporate strutturalmente in tutti e per tutti i giudizi ordinari, ma certo è che vie alternative devono essere perseguite al fine di interrompere il flusso negativo continuo di denegata giustizia, 60 di cui il sistema civile Italiano oramai è parco. Per colmare i vuoti di formazione degli operatori di diritto, pare opportuno rifarsi all’esperienza di quei Paesi in cui le ADR hanno visto la luce e si sono sviluppate, in una prospettiva di concreto accoglimento delle linee guida indicate dalla Commissione Europea.61
56
G. Scarselli, Sulla formazione continua degli avvocati, in Giur. it., 2010, pp. 1151. M. Gorga - A. Contaldo Il Processo Civile Telematico come occasione della diffusione delle best practices nel settore giustizia (in Rassegna dell’avvocatura dello stato n.4/2009). 58 C. Necchi, Sulle qualità del mediatore la parola ai decreti, in Guida Dir. - Dossier, 2010, p. 41. 59 Cfr. nota 3 60 A. Proto Pisani, op. cit., p. 541. 61 Cfr. M. Gorga, La formazione professionale continua dell'avvocatura anche alla luce della disciplina più recente, in Riv. Amm. Rep. It., 2009, pp. 499 – 545. 57
PARTE II
Online Dispute Resolution
Online Dispute Resolution Sommario: 2.1. Premessa: Il percorso di trasformazione e le relative politiche comunitarie e nazionali presupposte; 2.2. L'utilizzo dell'informatica ed internet nei singoli Paesi Europei; 2.3. La trasformazione delle ADR in ODR; 2.4. ADR telematiche e ODR strictu sensu; 2.5. Le tipologie di ADR telematiche: l’arbitrato e la mediazione online; 2.6. Le tipologie di ODR in senso stretto: la blind negotiation e la peer pressure; 2.7. Il regolamento ADR della Consob.
2.1. Premessa: il percorso di trasformazione e le relative politiche comunitarie e nazionali presupposte. In sistema descritto, nei paragrafi precedenti (infra 1.6.), delle strategia di politica legislativa, in materia processuale civile, poste in essere dal Parlamento e dal Ministero della Giustizia mediante l’utilizzo dei contributi comunitari Europei (FSE) per l’innovazione giudiziaria con l’introduzione del Change management e delle best practices nel campo del lavoro giudiziario, nonchè con la normativa in ordine all’attuazione del processo civile telematico, indipendentemente dalla loro effettiva realizzazione e messa a regime, non si palesano, allo stato dell‘ arte come sufficienti, a breve termine, per sollevare la giustizia civile Italiana dallo stato di crisi in cui versa. Rimedi a breve termine li possiamo, invece, trarre dalle esperienze Nord-Americane ed Europee in tema di ADR del tipo di quelle illustrate nella prima parte prima del presente lavoro e ciò nella consapevolezza che mentre in Europa, ed in Italia in particolare, approcciamo timidamente alcune forma di ADR nei paesi più avanzati in materia, e segnatamente in USA, già si è passati alle ODR ossia alle Online Dispute Resolution vale a dire alla gestione tramite i siti Web della risoluzione dei conflitti. Programmi cioè che gestiscono online le liti, sufficientemente snelli e di facile accessibilità e quindi elementari nel loro utilizzo, ma in grado di gestire procedure complesse e quindi che hanno caratteristiche di usabilità, vale a dire una buona organizzazione dei contenuti, e della navigazione e che quindi consentano il loro utilizzo a soggetti, che se pure esperti in materia di conciliazione o arbitrato possono essere anche sforniti di nozioni in ordine all’utilizzo degli strumenti informatici. Accessibilità nel senso che consento l’immissione dei dati in modo semplice attraverso un’interfaccia. Sicuri in ordine alla protezione dei dati personali degli utenti. Sistemi, quindi, che consenta a tutti, in ogni parte del globo, di poter comporre una controversia mediante il semplice utilizzo di un personal computer collegato alla rete internet. L’utilizzo in definitiva del cyberspazio come aula di mediazione ai fini della conciliazione di una controversia. In ordine a questa possibilità Ethan Katsh, Direttore del Center for information technology and dispute resolutions dell’Università del Massachussets Amherst, pioniere e fautore delle ODR, - acronimo di On line Dispute Resolution – affermava che “Il cyberspazio può essere un grande spazio, nel senso che non c’è quasi alcun limite ai soggetti che possono partecipare in esso ed alle attività che possono aver luogo on line“ ed inoltre un mezzo che può “ tramutarsi in uno spazio di risoluzione delle controversie”. Internet quindi può offrire al navigatore – che diventa consumatore acquirente- una gamma completa ed esauriente di servizi incluso quello di una soluzione rapida ed efficace dell’eventuale controversia insorta nel corso della navigazione stessa. Se questa è la situazione d’oltreoceano, in Europa, in ordine all’utilizzo dell’informatica nel settore giudiziario, non e che si è all’anno zero in quanto sono in corso avanzati programmi specifici in merito. Con il
termine e-justice62 (giustizia elettronica) si definisce, infatti, un progetto assai complesso ed articolato con il quale si intende far riferimento alla valorizzazione dell'utilizzo degli strumenti informatici nel settore della giustizia. L'idea è, più precisamente, quella di riuscire, attraverso progetti pianificati e strutturati in modo da essere realizzati attraverso fasi successive, ad attuare così l'ambizioso obiettivo di rendere la giustizia più accessibile, rapida e meno costosa. 63 I vantaggi derivanti dallo sviluppo di questo tipo di prospettiva sono stati percepiti già da tempo, infatti le modifiche indotte dalla telematica, sulle modalità di produzione e distribuzione di documenti informatizzati, hanno indotto a concentrare gli sforzi in questa direzione soprattutto a partire dagli anni Novanta, periodo caratterizzato dall’interconnessione delle reti in un ambito aperto come quello di internet. La possibilità di comunicare con qualunque altro computer, connesso all’interno di un sistema di collegamenti bidirezionali e l’attivazione di processi interattivi, ha contribuito a sdoganare l’idea che potessero essere costruiti processi di coordinamento fra i principali soggetti fornitori di dati rilevanti in vari ambiti, tra cui quello della giustizia, per consentire l’accesso standardizzato ai materiali ed ai diversi soggetti produttori. L’esperienza ha per altro dimostrato che l’applicazione dell’informatica determina, di per sé ed in senso positivo, una consistente revisione dei criteri organizzativi, obbliga ad una rimodulazione delle procedure che consente di superare i percorsi spesso tortuosi e farraginosi di prassi consolidate imposte da una mentalità burocratica, che spesso perde di vista l’obiettivo di fornire un servizio al cittadino. L'esigenza è avvertita, da tempo a livello europeo, in particolare da parte dei governi e degli apparati burocratici ed amministrativi dei singoli stati membri, tanto che in molti di essi, già da tempo, sono stati avviati progetti finalizzati a sfruttare, a servizio della semplificazione e dell'efficienza di sistemi complessi come quello della giustizia, le più recenti e sempre più avanzate tecnologie informatiche. Merita, sul punto, di essere menzionata anche l’esperienza italiana promossa e realizzata dal CED64 della Cassazione. E’ stata creata un ampia banca dati. A questo progetto ha fatto seguito la realizzazione della rete generale dell’amministrazione della giustizia (R.U.G.),65 che ha reso possibile lo scambio di dati ed informazioni con tutti gli uffici giudiziari, nonché la creazione del sito Web della Corte di Cassazione66 che ha rappresentato un momento qualificante nello sviluppo della tradizione informatica nel contesto della giustizia italiana. Vi è poi da aggiungere l’esperienza della stessa Corte di Cassazione, quale sede di sperimentazione del processo civile telematico,affiancata dalle molteplici esperienze che si stanno realizzando presso i vari tribunali in tutta Italia. Proprio perché, tuttavia, il grado di sviluppo dei singoli progetti cambia da paese a paese, a seconda anche degli ambiti in cui gli stessi sono stati utilizzati, ha fatto avvertire i limiti di un approccio
62
A. Contaldo – M. Gorga – L’arringa elettronica. Il foro virtuale come strumento di trasparenza e doverosa pubblicità nell’attività amministrativa di supporto all’esercizio del potere giurisdizionale, edizioneNetpol, Napoli n.1 2010. 63 Cf.Http://europarl.europa.eu. Tali obiettivi sono portati avanti dalla Commissione (in particolare esternati da Jaques Barrot, commissario europeo responsabile del portafoglio Giustizi, libertà e sicurezza) nel solco delle politiche sulla giustizia del Terzo Pilastro. Vedi al riguardo PARISI N., RINOLDI D., Giustizia ed Affari interni nell’Unione europea. Il Terzo Pilastro del Trattato di Maastricht, Giappichelli, Torino, 1996, spec. 72 ss.. 64
Il CED, Centro elaborazione dati, è un’unità organizzativa preposta al coordinamento ed al mantenimento in opera delle apparecchiature informatiche all’interno dei sistemi delle pubbliche amministrazioni. In particolare ci si riferisce al centro operativo posto a servizio dell’amministrazione della giustizia in diretto collegamento con la Corte di Cassazione. Vedi al riguardo le analisi di NOVELLI V., GIANNANTONIO E., Manuale per la ricerca elettronica dei documenti giuridici, Giuffrè, Milano, 1991, spec. 41 ss..; BORRUSO R., TIBERI C, L’informatica per il giurista, Milano, Giuffrè, 1991, spec. 83 ss.; BORRUSO R., MATTIOLI L, Computer e documentazione giuridica: teoria e pratica della ricerca. Giuffrè; Milano, 2000. 121 ss.. 65 Ci si permette di rinviare al riguardo alle analisi di CONTALDO A., GORGA M., Le regole del processo civile telematico alla luce della più recente disciplina del SICI, in Dir. Internet, 2008, n. 1, spec. 21 ss.. 66 Il sito, www.cassazione.net, creato nel 2004, è posto a servizio dei cittadini e degli operatori del diritto. E’ curato dall’Ufficio del Massimario che garantisce l’aggiornamento costante e la correttezza delle fonti riportate. Sul punto ci si permette di rinviare ancora a CONTALDO A., GORGA M., E-law. Le professioni legali, la digitalizzazione delle informazioni giuridiche e il processo telematico, cit., 172 ss..
esclusivamente di tipo decentrato. Le iniziative avviate a livello locale hanno, quindi ben presto, fatto sentire in modo netto il bisogno di un coordinamento delle stesse tanto che le istituzioni comunitarie si sono fatte carico di proporre piani d'azione in grado di far assumere agli sforzi organizzativi compiuti in modo frammentario ed a livello nazionale una dimensione unitaria, anche in vista di una più incisiva attuazione delle politiche comuni in materia giudiziaria. L'Unione Europea è soprattutto orientata a realizzare la creazione di un'unica piattaforma tecnica finalizzata a consentire a tutti gli Stati membri la condivisione delle informazioni utili relative al settore penale e civile, in particolare attraverso l'utilizzo di peculiari procedure, quali l'ordine di pagamento europeo e il mandato di arresto europeo; soprattutto si ritiene che l'accesso ai dati informatici debba essere consentito a tutti i cittadini; infine si vuole sviluppare ulteriormente il portale dell'Unione europea consentendo così una più rapida ed agevole la consultazione della stratificata legislazione dei sistemi giuridici dei diversi Stati da parte degli interpreti del diritto.67 I vantaggi di tale impegno comune sono molti, come del resto altrettanti sono gli ostacoli non mancano, per altro, vivaci dibattiti e valutazioni critiche espresse in merito alla bontà di alcune azioni già intraprese, così come, a fronte dei passi compiuti in questo settore, diventano più insistenti le voci dissonanti di coloro che si affannano a mettere in guardia gli operatori e gli organi coinvolti in quest'impresa, nonché gli ignari fruitori e veri destinatari finali del progetto ejustice.
2.2. L'utilizzo dell'informatica ed internet nei singoli Paesi Europei. Le principali strategie d’impiego degli strumenti informatici e d’Internet nell'ambito della giustizia si possono ricondurre dunque a due modelli d'uso principali. 68 Nel primo la rete viene intesa non solo come strumento utile per il reperimento delle informazioni e dei dati, ma anche come mezzo idoneo all’invio dei documenti legali necessari all'avvio e allo svolgimento di un procedimento. Il secondo modello, come già detto ( infra 2.1.), intende internet come luogo virtuale nel quale le controversie possono risolversi, in altri termini la concezione della rete telematica passa da mezzo a luogo. Conscia delle potenzialità derivanti dall’applicazione delle nuove tecnologie alla macchina giustizia, l'Unione Europea come accennato, è impegnata da diversi anni nella promozione di una fattiva cooperazione tra gli Stati membri al fine di implementare l’utilizzo delle tecnologie informatiche tra gli operatori del diritto. In questa prospettiva sono state create differenti banche dati a livello delle singole nazioni, ben strutturate e di facile accesso per il cittadino, basti citare il progetto RIS (Rechsintormationssystem) austriaco, il progetto italiano Norme in rete, il sito Web francese Legifrance, il Law Commission inglese. Oltre a questi progetti, un forte impulso allo sviluppo della materia in ambito comunitario deriva dalle politiche messe in atto in esecuzione dei Trattati di Maastricht del 199269 e di Amsterdam del 1997.70 In quest'ultimo, nello specifico, l'art. 25571 attribuisce a tutti i cittadini europei il diritto d’accesso a tutti i documenti degli organi
67
Vedi al riguardo le analisi di FALETTI E., E-justice.esperienze di diritto comparato, Giuffré, Milano, 2008,spec. 42 ss.. E. Falletti, E-Justice, Milano, Giuffré, 2008. 69 Trattato sull’Unione Europea. G.U. C 191 del 29 luglio 1992. 70 Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull'Unione Europea, i Trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi, sottoscritto il 2 ottobre 1997, entrato in vigore il 1° maggio 1999. G.U. n. c 340 del 10 novembre 1997. 71 Trattato di Amsterdam, art. 255 (ex art. 191 A): “1. Qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, secondo i principi e alle condizioni da definire a norma dei paragrafi 2 e 3. 2. I principi generali e le limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati applicabili al diritto di accesso ai documenti sono stabiliti dal Consiglio, che delibera secondo la 68
dell'Unione secondo principi generali contenuti nel Regolamento 1049/2001.72 Nella prospettiva di dare concretezza all’art. 255 è stato, così, sviluppato il motore di ricerca Eurlex, gratuito dal 2004, che consente il libero accesso a leggi, regolamenti e norme europee, alle Gazzette Ufficiali dell'Unione, grazie anche al collegamento alla banca dati Celex, esistente, quest’ultima, sin dal 1980. Nel 2008, con il comunicato 821 del 30 maggio,73 la Commissione Europea ha annunciato il varo di un programma di miglioramento dell’efficienza degli apparati di giustizia, elemento centrale di una strategia per la realizzazione di e-justice in ambito europeo attraverso un’efficace ed efficiente valorizzazione ed implementazione delle legislazioni già esistenti. Nei propositi della Commissione il programma dovrà essere reso compatibile a tutti i livelli nazionali, assicurare l'interoperabilità delle reti, consentire una significativa riduzione dei costi sia pubblici che privati. Tale sviluppo comporterà, nel lungo periodo cambiamenti fondamentali del diritto processuale, risultato cui si arriverà progressivamente, attraverso l'interoperabilità delle reti, successivamente con la realizzazione del processo telematico, ossia la gestione di tutte le informazioni, dall'atto di citazione alla sentenza, in forma digitalizzata. In questa prospettiva, deve parallelamente considerarsi che, attualmente, non tutti i cittadini europei dispongono di accesso ad Internet o di adeguata alfabetizzazione informatica, con la conseguenza che nel processo di implementazione del processo telematico si avrà un lungo periodo in cui tali sistemi avranno carattere supplementare e facoltativo in luogo dei sistemi convenzionali. I progetti europei della Commissione sono in questo momento volti a promuovere e realizzare l'interoperabilità dei sistemi all'interno di programmi quali l'IDABC - Interoperable Delivery of Pan European E-government Service to Pubblic Administrations - programma sovvenzionato dalla Commissione Europea, e lo sviluppo di strumenti indispensabili quali la firma elettronica e la carta d'identità elettronica, 74 rivolgendo particolare attenzione agli aspetti legati alla sicurezza e la protezione dei dati. Si segnala, da ultimo, la creazione del Portale Europeo della Giustizia Elettronica (e-Justice) che nasce dalla considerazione del fatto che ogni anno dieci milioni di cittadini europei sono alle prese con problemi di giustizia in un altro paese dell’Unione. Il portale si completerà di due passaggi già programmati: entro il 2011 saranno incluse e rese accessibili tutte le informazioni sui diritti delle vittime per ogni Stato membro dell’Unione, mentre entro il 2013 i cittadini saranno messi nella condizione di trovare un avvocato online, in grado di assisterli in eventuali contenziosi giudiziari, in ognuno dei ventisette Paesi membri. Nel progetto di implementazione del predetto portale è incluso anche l’accesso al servizio di mediazione telematica, Online Dispute Resolutions o ODR, che consentirà, nei casi transfrontalieri, di avviare il procedimento europeo per le controversie di modesta entità e di chiedere un’ingiunzione di pagamento online, rendendo così più efficaci i dispositivi giuridici di cui dispone l’Unione. Il portale offrirà facile accesso ai registri fallimentari, immobiliari e delle imprese, consentendo alle imprese di ridurre i costi grazie a procedure giuridiche online più immediate e semplificate. Gli organi giurisdizionali potranno trattare online richieste transfrontaliere e comunicare con attori e convenuti in singoli casi e con organi giurisdizionali di altri Stati membri.
procedura di cui all'articolo 251 entro due anni dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam. 3. Ciascuna delle suddette istituzioni definisce nel proprio regolamento interno disposizioni specifiche riguardanti l'accesso ai propri documenti.”. 72 Regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2001 relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, G.U.C.E. L 145, 31 maggio 2001. 73 Comunicazione Towards a European strategy on e-Justice del 30 maggio 2008, IP/08/821. 74 Si veda in questo senso il progetto S.T.O.R.K. (Secure idenTity acrOss boRders linKed) che mira a realizzare un sistema europeo di riconoscimento transnazionale dell'identità elettronica. Il progetto permetterà ai cittadini dell’UE di dimostrare la loro identità e di utilizzare sistemi nazionali d’identità elettronica (password, carte d’identità, codici PIN ed altri) in tutta l’UE, e non solo nel loro paese d’origine.
Anche a livello nazionale negli ultimi anni devono segnalarsi interventi legislativi75 e progetti di implementazione degli strumenti informatici nei tribunali italiani. In questo senso deve leggersi la creazione del portale banca dati del Polisweb, attraverso il quale gli avvocati possono consultare via internet i dati di registro relativi ai procedimenti civili, previa autenticazione forte sul proprio punto di accesso. Attraverso lo stesso portale è, inoltre, possibile il deposito telematico di documenti informatici a valore legale, firmati digitalmente e che vengono archiviati e conservati nel fascicolo informatico consultabile dalla cancelleria. 76 Nello stesso senso deve leggersi l’obbligo introdotto dall’art. 16, c. 7 del Decreto legge 29 novembre 2008, n. 185,77 convertito nella legge 2/2009, poi modificata successivamente sia dalla legge n.69 del 18 giugno 2009 e dal successivo d.l. n. 193/2009 poi convertito in legge,norme con le quali è stato imposto agli avvocati di comunicare all’Ordine di appartenenza l’indirizzo di posta elettronica certificata, la quale ha il valore legale della raccomandata A/R ai fini delle notifiche e comunicazioni telematiche nel corso del processo.78 Tuttavia allo stato attuale la diffusione delle tecnologie informatiche tra gli operatori del diritto è notevolmente limitata e compressa nelle sue potenzialità.
2.3. La trasformazione delle ADR in ODR. Come già anticipato, la nascita delle ADR è antecedente all’avvento delle tecniche di comunicazione telematiche e l’impatto che queste ultime hanno poi avuto sulla vita quotidiana ha prodotto ripercussioni anche nelle relazioni giuridiche. Orbene dato per acquisito il limitato peso che l’informatica e la telematica hanno nell’amministrazione della giustizia ordinaria nel nostro paese, completamente diversa è invece la situazione nel sistema giuridico Nord-Americano dove è agevole comprendere come le procedure di ADR si siano potute trasformare, in un contesto sociale particolarmente informatizzato. Le ODR che all’inizio oltre non erano se non “l‘aspetto telematico” delle ADR, oggi, invece, costituiscono una categoria autonoma a sé stante anche in forza delle spiccate “caratterizzazione” che hanno come metodo alternativo “tecnologico” di composizione del conflitto. Questa trasformazione è avvenuta in seguito alla diffusione del commercio elettronico la cui velocità delle transazioni online necessita di maggiore speditezza per la risoluzione delle controversie, requisito di cui risultavano carenti le altre tecniche di ADR 75
D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 - Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti; D.M. 17 Luglio 2008 Regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, in G.U. n. 180 del 2 agosto 2008 - Suppl. Ordinario n.184; D.M. 10 luglio 2009 - Adozione delle specifiche della strutturazione dei modelli informatici previste dall'art. 62, comma 2, del D.M. 17 luglio 2008, in G.U. n. 165 del 18 luglio 2009 - Suppl. Ordinario n.120; D.M. 22 Luglio 2010 - Modificazione dell'allegato 1 al D.M. 10 luglio 2009, recante caratteristiche specifiche della strutturazione dei modelli informatici previste dall'art. 62, comma 2, del decreto 17 luglio 2008, in G.U. n. 250 del 25 ottobre 2010. 76 Per un’approfondita analisi degli interventi legislativi in materia di processo telematico si rinvia : A. Contaldo, M. Gorga, Il processo civile telematico come occasione della diffusione delle best practices nel settore giustizia, in Rass. avv. st., 2009, pp. 309 – 361. 77 Testo del Decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, coordinato con la Legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”, art. 16, c. 7: “I professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato,consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni,i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.”. 78 Per un’approfondita sulle notifiche si rinvia: A. Contaldo, M. Gorga, Il processo civile telematico come occasione della diffusione delle best practices nel settore giustizia, in Rass. avv. st., 2009, pp. 346 e ss.
tradizionali. Infatti, la celerità delle ADR di cui si è detto si misura in relazione alla lentezza dei procedimenti tradizionali, ma su internet le transazioni commerciali sono ancora più veloci rispetto a quanto non accada nel mondo reale e, per questo, le metodologie di definizione delle liti devono essere parimenti rapide e “adeguate” al metodo utilizzabile. Deve sottolinearsi, tuttavia, come la ragione dello sviluppo delle ODR, specie negli Stati Uniti e specie nelle transazioni transfrontaliere, discenda non solo dalla velocità intrinseca nella strumento telematico, ma anche dalle distanze geografiche che così vengono annullate. Diversamente avremmo avuto che l’applicazione delle ADR, la cui natura è legata ad uno spazio fisico definito, ad esempio alla sede della camera di conciliazione, a transazioni de localizzate, avrebbe prodotto di fatto un rallentamento al loro sviluppo. Viceversa, la loro trasformazione in ODR le adegua al cosiddetto e-commerce perché le parti di una transazione elettronica possono essere domiciliate in luoghi diversi, in Stati diversi. La delocalizzazione di tali nuove procedure ha imposto che le ODR acquisissero caratteristiche sia sostanziali che procedurali indipendenti dalle normative peculiari di ciascuno Stato, pur mantenendo l’obbligo di rispettare tutti i principi di diritto relativi alla giustizia del caso concreto. Chiarita la ratio della nascita delle ODR, è agevole desumere come anche a livello comunitario la prima normativa che ha trattato il tema delle Online Dispute Resolution è stata la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico – cui è stata data attuazione in Italia con D. Lgs n. 70 del 2003 - ove all’art. 17 si afferma che “gli Stati membri provvedono affinché, in caso di dissenso tra prestatore e destinatario del servizio della società dell’informazione, la loro legislazione non ostacoli l’uso, anche per vie elettroniche adeguate, degli strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previsti dal diritto nazionale.”. Da subito si comprese, infatti, come lo sviluppo dell’ e-commerce comporti lo sviluppo delle controversie e delle relative tecniche di risoluzione. In questo senso, le procedure online vennero considerate lo strumento adeguato alle necessità moderne.79 La Commissione ha da subito manifestato il proprio favor verso le ODR attraverso varie forme di incentivo ad una maggiore cooperazione tra gli organismi extragiudiziari ed una maggiore visibilità nei confronti dei consumatori. Così si spiegano la successiva Raccomandazione 4 aprile 2001, n. 310, nella quale venne ribadito che, nell’ambito del commercio elettronico, l’esperimento delle procedure ODR deve ritenersi la soluzione naturale per le controversie che da esso originino,80 nonché la creazione, nell’ottobre dello stesso anno, della rete tra gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie EEJ-NET, di cui già si è detto. In seguito venne dato appoggio al progetto sviluppato dall’Università di Dublino ECODIR (Electronic Consumer Dispute Resolution),81 pensato per fornire un servizio gratuito per la risoluzione online dei conflitti tra imprese e consumatori. Da un punto di vista legislativo, del favor di cui si è dato venne data prova già nella direttiva del 2002, volta ad istituire un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica.82 Nella successiva direttiva 2008/52/CE, di cui già si è anticipato nei paragrafi precedenti, che ha disciplinato diversi aspetti relativi alla mediazione, il legislatore
79
E. Katsh, E-commerce,E-Disputes, and E-Resolution in the shadow of eBay law, in Ohio St. Jou. Disp. Res., 2000, p. 725; J. Rifkin, L’era dell’accesso, Milano, 2000, pp. 131 ss. 80 Commissione europea, 4 aprile 2001, Raccomandazione sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo, in G.U.C.E., L 109, 19 aprile 2001, considerando n. 6: “Le nuove tecnologie possono contribuire allo sviluppo di sistemi elettronici di composizione delle controversie costituendo organismi volti a risolvere efficacemente le controversie che interessano diverse giurisdizioni, senza il bisogno di una comparizione fisica delle parti, fermo restando che l’uso di tali procedure non deve privare i consumatori del loro diritto di adire i Tribunali a meno che essi non si dicano espressamente d’accordo con piena cognizione di causa e soltanto dopo che la controversia sia stata materializzata e sia stata definita una soluzione.”. 81 Cfr. F. Dini, L'alternative dispute resolutions e la mediazione on line, in Lav. giur., 2002, pp. 1039 – 1040. 82 Direttiva 2002/21/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002, G.U.C.E. L 108, 24 aprile 2002, art. 8, c. 4, lett. b): [Le autorità nazionali di regolamentazione promuovono gli interessi dei cittadini dell'Unione europea, tra l'altro] garantendo un livello elevato di protezione dei consumatori nei loro rapporti con i fornitori, in particolare predisponendo procedure semplici e poco onerose di composizione delle controversie espletate da un organismo indipendente dalle parti in causa”.
comunitario ha, da ultimo, inteso rimarcare l’utilità delle ODR,83 pur qualificandole, ancora, come una sub-categoria delle ADR. Nella medesima, limitata, prospettiva pare essersi mosso il legislatore nazionale nel recepire la direttiva sopra richiamata indicando espressamente, all’ultimo comma dell’art. 3 del D.lgs. 28 del 2010, che “la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo”. In altri termini, tanto a livello comunitario, quanto a livello nazionale, non si è voluto affrontare il tema lasciando spazio, almeno in questa prima fase di recepimento delle ADR, agli organismi accreditati per l’amministrazione delle ADR di trarre i profili essenziali delle ODR dall’esperienza consolidatasi in materia nei Paesi di common law. In tal guisa, tuttavia, resta agli operatori del diritto il compito di fare in modo che la rete non diventi un luogo in cui viene offerto un ciclo completo di servizi e di rimedi, nel quale le ODR sono prodotti peculiari di un sito specializzato o dello stesso sito che ha fornito il servizio, che ha fatto insorgere la controversia, mediante il quale parti che non si sono mai viste e che forse non si vedranno mai sono messe in contatto telematico per comporre il conflitto. Ciò che si ritiene debba scongiurarsi è, in altri termini, - ma in verità pericoli in tal seno non si intravedono ne per il medio ne nel lungo termine - che il rito processuale venga sostituito da un programma informatico e la sentenza da un accordo, prodotto dal programma o da questo guidato o sollecitato, cosa semmai auspicabile per la composizione degli interessi, ma giammai per l’affermazione dei diritti dato che l’intervento umano per la tutela dei diritti delle parti è indispensabile ed insostituibile, specie se il supplente designato è un software, ovvero un mero algoritmo anche se occorre sempre ricordare che il “programma” è sempre creazione dell’uomo e sua “volontà”,84 così come il libro è il pensiero pensato del suo autore.
2.4. ADR telematiche e ODR strictu sensu. Le tecniche di ODR, pur differenti una dall’altra, presentano tra loro caratteristiche comuni tra le quali deve evidenziarsi il costo contenuto, che è elemento essenziale dato l’esiguo valore delle controversie dei contratti stipulati in rete. Elemento comune a molte ODR è, inoltre, l’asincronicità della procedura, peculiarità che si giustifica agevolmente considerando il territorio dello Stato in cui queste tecniche sono venute alla luce, gli Stati Uniti d’America, dove si riscontrano oggettive difficoltà logistiche per la realizzazione di teleconferenze per la differenza di fusi orari sullo stesso, sterminato, territorio nazionale. Tale ultima caratteristica ha portato alla predisposizione di procedure gestite da organismi creati ad hoc – detti online ADR providers85 - i cui tratti comuni sono ravvisabili sia nell’elevato grado di automatizzazione delle procedure che nella differenza data, in ambito telematico, tra controversie che hanno un esito finale online ed un esito finale offline ed ancora nell’indipendenza dei gestori del servizio; nella trasparenza delle regole che governano le procedure di ODR. 86 Orbene tutto ciò premesso è ora possibile proseguire nell’analisi delle differenti tipologie di ODR che si sono sviluppate. La prassi statunitense si basa sul principio secondo cui esistono due tipologie diverse di ODR: la prima ricomprende i consueti procedimenti di ADR che si applicano in modo automatico alle controversie in rete tra le quali è utile citare, a titolo esemplificativo, l’arbitrato e la mediazione; la seconda tipologia si compone, invece, di tutti i 83
Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, G.U.C.E. L 136, 24 maggio 2008, considerando n. 9: “La presente direttiva non dovrebbe minimamente impedire l’utilizzazione di tecnologie moderne di comunicazione nei procedimenti di mediazione.”. 84 M. Gorga – A. Contaldo, E-Law, Rubbettino Editore 2006, Cfr. R. Borruso Prefazione pp. 4 - 6. 85 Cfr. K. Komaitis, Pandora's Box is Finally Opened: The Uniform Domain Name Dispute Resolution Process and Arbitration, in Intern. Rev. Law Comp. & Tech., 2005, pp. 99 – 116. 86 Cfr. A. M. M. Ahalt, What You Should Know About Online Dispute Resolution, in Prac. Lit., 2009, pp. 21 – 28.
sistemi di ADR tipicamente telematici, ovvero di tutte le procedure create ad hoc per la risoluzione delle controversie online che vengono, dunque, definite ODR in senso stretto. Deve segnalarsi però come l’esperienza statunitense evidenzi che non si tratta di singoli procedimenti arbitrali o specifiche procedure di mediazione bensì di procedure che si svolgono interamente in forma telematica senza l’incontro delle parti o l’invio di documenti cartacei.
2.5.
Le tipologie di ADR telematiche: l’arbitrato e la mediazione on line.
L’espressione “arbitrato telematico” indica variamente, ed a volte impropriamente, fenomeni tra loro diversi. 87 La locuzione è adottata, infatti, sia per identificare tutti quei sistemi di risoluzione delle controversie che si trovano su internet, sia per riferirsi all’utilizzo dello strumento informatico all’interno di un procedimento arbitrale ordinario condotto secondo le regole del codice di procedura civile. Tale considerazione è fondamentale in quanto è notevole la differenza dell’accezione con cui viene usata l’espressione. Difatti, l’analisi del valore di un arbitrato svoltosi per via telematica e della sua idoneità ad esplicare efficacia nell’ordinamento giuridico è attività diversa dalla verifica dell’utilizzabilità del mezzo informatico e telematico all’interno di un arbitrato. Ciò premesso, in questa sede ci si soffermerà unicamente sull’arbitrato telematico in senso stretto, ovvero sull’arbitrato che si sviluppa interamente per via telematica che, come la maggior parte delle procedure ODR, è prevalentemente amministrato da ODR provider. Come è noto, la disciplina prevista dai codici di rito di ciascun Paese si applica esclusivamente agli arbitrati che si svolgono sul territorio così come è, parimenti, ammesso che la nazionalità di un arbitrato derivi da una libera scelta delle parti. Una volta determinata la legge procedurale di riferimento, sarà in ossequio a quelle regole che l’arbitrato dovrà svolgersi. L’arbitrato dotato di nazionalità produce in esito un lodo suscettibile di circolazione all’interno della Comunità internazionale secondo quanto previsto dalla Convenzione di New York del 10 giugno 1958, a condizione che vengano rispettate i requisiti dettati dalla Convenzione stessa. Se sulla forma del patto compromissorio la tendenza internazionale è di ammettere che le prescrizioni convenzionali si intendano rispettate anche qualora l’accordo sia concluso in via telematica,88 sono emerse, tuttavia, pesanti criticità circa la disciplina da applicare agli arbitrati telematici “senza sede” ovvero a quegli arbitrati che si svolgono online e che non hanno, per scelta delle parti o delle istituzioni che li amministrano, alcun collegamento con un ordinamento statale. Privi di tale esplicito rimando, l’arbitrato telematico diverrebbe, infatti, uno strumento di risoluzione delle controversie svincolato da forme di controllo proprie di ordinamenti statali e, dunque, privo di alcun valore giuridico.89 Per le criticità evidenziate, l’arbitrato telematico 87
La prima esperienza di arbitrato virtuale risale al 1996 quando il Center for information and practice of the school of law dell’Università di Villanova in coordinamento con il National Center for Automated Information Research e con l’American Arbitration Association danno vita al V-MAG - Virtual Magistrate - con lo scopo di risolvere le controversie coinvolgenti i sysop, ovvero gli operatori di sistema. All’organo arbitrale, chiamato a pronunciarsi in seguito alla richiesta di un denunciante, valuta l’opportunità della rimozione dalla rete di messaggi illeciti, implicanti violazioni di diritti di proprietà intellettuale, di proprietà industriale, divulgazione di informazioni riservate, diffamazione, atti di concorrenza sleale, indicando poi allo sysop la soluzione adatta. L’adozione di questo sistema si rese necessaria in quanto la velocità di trasmissione dei dati è in netto contrasto con la tempistica necessaria per ottenere una decisione dell’autorità giudiziaria ordinaria con la conseguenza che verrebbe arrecato un grave danno al soggetto cui i dati si riferiscono in caso di ritardata cancellazione o, viceversa, all’autore dell’informazione in caso di rimozione unilaterale indiscriminata. Cfr. C. Cevenini, La composizione delle controversie on line, in Net Jus Bull., 1998. 88 In questo senso si è espresso l’Uncitral Model Law on International Commecial Arbitration 1985, with amendments as adopted in 2006 che ha dato una definizione ampia di forma scritta idonea a ricomprendere anche l’accordo raggiunto in via telematica. Viceversa il problema relativo alla produzione di copia autentica del lodo e del patto compromissorio, oltre che la necessità di dimostrare un effettivo coinvolgimento della controparte nel procedimento, deve essere risolto in funzione della legislazione propria dello Stato in cui il lodo è stato emesso. 89 Per queste ragione, si è più volte sostenuta l’esigenza di non scollegare totalmente il procedimento di arbitrato dai sistemi giuridici nazionali dando vita ad arbitrati apolidi, cd. floating arbitrations. Il problema consiste nel fatto che la parte vittoriosa
viene utilizzato a livello internazionale solo per la risoluzione di controversie in settori nei quali l’utilizzo dello stesso si è consolidato.90 A differenza dell’arbitrato telematico, la procedura delle mediazioni online postula l’intervento di un terzo neutrale, privo di un qualsiasi potere decisionale, che assiste i litiganti nel trovare una soluzione negoziata accettabile da entrambe le parti. Il conciliatore, il terzo neutrale, diversamente sia dal giudice che dall’arbitro, si limita ad aiutare le parti a trovare una soluzione senza prendere alcuna decisione vincolante per esse. Se dalla conciliazione scaturisce un esito positivo, verrà redatto verbale dell’accordo raggiunto online, il quale è dotato generalmente di forza contrattuale con la conseguenza che qualora non venga rispettato, il soggetto interessato potrà esercitare l’azione giudiziale per inadempimento.91 La mediazione online avviene in apposite chat rooms ove le parti virtualmente si incontrano al fine di comporre le rispettive pretese con l’ausilio del conciliatore. Per l’accesso alla procedura ciascuna parte paga una fee di entrata, proporzionata al valore della controversia, alla quale se ne può aggiungere un’altra in caso di raggiunto accordo.92
2.6. Le tipologie di ODR in senso stretto: la blind negotiation e la peer pressure. La blind negotiation o blind-bidding è la prima forma di ODR sviluppata negli Stati Uniti e si svolge, per sua natura, esclusivamente online.93 Colui che ritiene di avere diritto ad un risarcimento in denaro invia al sito web dell’ODR provider una richiesta per raggiungere la composizione transattiva della vertenza. L’ODR provider comunica l’esistenza della richiesta alla controparte e se quest’ultima accetta di tentare la composizione della controversia, ha inizio la procedura. Il software gestisce, quindi, lo scambio di offerte monetarie in sequenza tra le parti. Esse vengono a potrebbe avere ostacoli nell’eseguire il lodo in modo coattivo od ottenerne il riconoscimento, così come la parte soccombente rischia di vedersi privata della possibilità di impugnare il lodo davanti ad una autorità statale. Secondo alcuni si sarebbe in presenza di un non binding arbitration, quindi non di un lodo, ma di una sorta di raccomandazione che l’arbitro formula alle parti le quali si riservano di accettarla o meno, se l’accettano sono legate da un impegno di natura contrattuale, altrimenti possono adire liberamente l’autorità giurisdizionale statale. Evidente la scarsa utilità di questa forma di arbitrato e la sua incapacità ad assicurare vantaggi alle parti che l’hanno scelta. A. J. Schmitz, “Drive-Thru” Arbitration in the Digital Age: Empowering Consumers Through Binding ODR, in Bay. Law Rev., 2010, p. 191. 90 Un esempio di arbitrato telematico si è avuto a partire dal 1999 con la Uniform Dispute Resolution Policy (UDRP) per la risoluzione delle controversie aventi ad oggetto i nomi a dominio “.com”, “.org”, e “.net”. 91 Cfr. H. A. Haloush, The Liberty of Participation in Online Alternative Dispute Resolution Schemes, in Intern. Jou. Leg. Inf., 2008, pp. 102 – 117. 92 Nel 1996 il primo esperimento di conciliazione on line avvenne grazie ad un finanziamento della Hewlett Foundation con l’istituzione del Center for Information Technology and Dispute Resolution presso l’Università del Massachussets cui venne affidata la gestione del progetto Online Ombuds Office. Nel 1999 e-Bay decise di affidargli la risoluzione delle controversie che sorgevano sul suo sito tra venditori ed acquirenti delle aste on line. Nella prassi statunitense l’arbitrato è gestito da un arbitro selezionato dal programma. Costui entra in contatto con le parti mediante mail od apposite chat, riceve in via riservata le informazioni del caso e tenta entro settantadue ore una decisione motivata secondo equità. Oggi sono numerosi gli organismi che gestiscono la conciliazione on line, in Italia tale metodo è praticato dalla Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Milano che dal 2001 ha attivato il sito www.risovionline.it con l’obiettivo di fornire un servizio di conciliazione online per la risoluzione delle controversie legate al commercio elettronico. Tutta la procedura si svolge online in una apposita chat room protetta a cui le parti ed il conciliatore possono accedere grazie ad una password ed ad uno username, solo lo scambio conclusivo delle copie del verbale di conciliazione sottoscritte dalle parti non avviene online. 93 La blind negotiation nasce nel 1996, quando due avvocati americani Charles Brofman e James Burchetta, chiamati a difendere posizioni contrapposte in una causa di risarcimento danni, decisero, come per gioco, di annotare su due fogli di carta l’ammontare reale di denaro che erano disposti a versare per chiudere la controversia. Consegnarono i due fogli ad un terzo decidendo di transigere se la differenza tra le due somme fosse risultata inferiore ai mille dollari. E così avvenne. Nel luglio 1998 i due avvocati inauguravano una nuova attività commerciale consistente nel trasporre in rete il sistema rudimentale dello scambio di foglietti tramite la creazione di un sistema originale di risoluzione delle controversie, completamente amministrato da un software che gestisce la procedura attiva ventiquattro ore su ventiquattro. http://www.cybersettle.com.
conoscenza, in tempo reale, dell’arrivo dell’offerta della controparte, ma non del relativo ammontare, da cui la denominazione di modello cieco o doppio cieco della procedura. Si prosegue fino a che, raggiunto la differenza tra offerta e relativa contro-offerta predeterminato sulla base degli accordi contrattuali, si effettua una divisione che determina l’ammontare della transazione per l’esatto valore mediano tra le offerte delle parti. Ogni calcolo viene effettuato dal software dell’ODR provider che comunica alle parti asetticamente se l’accordo è stato raggiunto e per quale somma di denaro. Terminata questa fase, entro un lasso temporale predeterminato, la parte può effettuare una nuova proposta migliorativa, in misura non inferiore ad una determinata percentuale, ad esempio del dieci per cento. L’altra parte viene quindi a sapere che controparte ha effettuato una proposta più conveniente di almeno il dieci per cento ed a sua volta invia una proposta anch’essa migliorativa. 94 Tale procedura ha avuto negli Stati Uniti uno sviluppo sorprendente divenendo uno strumento di risoluzione delle controversie fondamentale, usato non solo dai consumatori, ma anche da imprese e dalla Pubblica Amministrazione.95 La blind negotiation o blind-bidding ha la seguente struttura: 1° TURNO: $20.000 – $50.000 nessun accordo / $25.000 – $45.000 nessun accordo (L’offerta è compresa entro il 30% della domanda) 2° TURNO: $5.000 – $20.000 nessun accordo / $7.500 – $17.000 nessun accordo / $10.000 – $15.000 accordo a $12.500 (La differenza tra offerta e domanda è compresa nei $5.000 ). La Peer Pressure è un metodo di ODR che può essere utilizzato esclusivamente nelle controversie tra consumatore e professionista. La Peer Pressure, la cui espressione significa letteralmente “pressione tra pari”, trae i suoi fondamenti dalla teoria sociologica che individua in determinati gruppi sociali composti da soggetti aventi la stessa fascia d’età, la tendenza all’autocorrezione in vista dell’adeguamento a comportamenti mantenuti da altri soggetti presi a modello. La procedura prevede che il consumatore che ha motivo di dolersi nei confronti di un venditore o di un fornitore di servizi, compili un modulo all’interno del sito internet dell’ODR provider, descrivendo il caso di specie e le relative pretese. Il gestore della procedura non compie in questa fase alcuna verifica e si limita ad inoltrare la richiesta al soggetto nei cui confronti la richiesta è stata rivolta. Qualora il denunciato non riconosca alcun valore alla denuncia ed in tal caso la pratica viene archiviata, mentre in caso contrario l’atto introduttivo viene pubblicato sul Web affinché ciascuna parte possa esporre liberamente la propria opinione. Qualora l’accordo venga raggiunto viene chiesto al professionista se intende renderlo pubblico attraverso la diffusione della trattativa su internet, al fine di una qualificazione dell’operatore commerciale in un’ottica di customer care.96 In questa prospettiva, la peer pressure può anche essere utile alle parti per conoscere l’eventuale impatto della propria richiesta su una giuria popolare che nella procedura assume la denominazione di mock jury - giuria fantoccio – in quanto attraverso la pubblicazione della vertenza su internet, la comunità virtuale, che costituisce, appunto, la giuria fantoccio, permette ai professionisti di valutare l’opportunità o meno di intraprendere un giudizio reale. 97
2.7. Il Regolamento ADR della Consob. L’art. 27, commi 1 e 2, legge 28 dicembre 2005 n. 262 ha delegato il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per l'istituzione, 94
Cfr. M. J. Heley, Mediation of Construction Cases Using “Blind Negotiations”: Can Providing Less Information Generate Better Results?, Will. Mitc, Law Rev., 2007, pp. 273 - 301. 95 Cfr. D. Miller-Moore, At the Forefront of ODR: Recent Developments at the AAA, in Disp. Res. Jou., 2007, pp. 34 - 39. 96 P. Zumbansen, The Law of Society: Governance Through Contract, in Ind. Jou. Glo. Leg. St., 2007, pp. 191- 233. 97 L. A. Williams, Measuring Internal Influence on the Rehnquist Court: An Analysis of Non-Majority Opinion Joining Behavior, in Ohio St. Law Jou., 2007, pp. 679 - 732
in materia di servizi di investimento, di procedure di conciliazione e di arbitrato e di un sistema di indennizzo in favore degli investitori e dei risparmiatori, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. I principi ed i criteri direttivi fissati nell’atto normativo sono: la previsione di procedure di conciliazione e di arbitrato da svolgere in contraddittorio, tenuto conto di quanto disposto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, - ora ai sensi della previsione espressa contenuta nell’art. 23 del Decreto legislativo n. 28/2010, da intendersi la mediazione disciplinata dallo stesso decreto - secondo criteri di efficienza, rapidità ed economicità, dinanzi alla Consob per la decisione di controversie insorte fra i risparmiatori o gli investitori, esclusi gli investitori professionali, e le banche o gli altri intermediari finanziari circa l'adempimento degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela; la previsione dell'indennizzo in favore dei risparmiatori e degli investitori, esclusi gli investitori professionali, da parte delle banche o degli intermediari finanziari responsabili, nei casi in cui, mediante le specifiche procedure del primo tipo la Consob abbia accertato l'inadempimento degli obblighi ivi indicati, ferma restando l'applicazione delle sanzioni previste per la violazione dei medesimi obblighi; la salvaguardia dell'esercizio del diritto di azione dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, anche per il risarcimento del danno in misura maggiore rispetto all'indennizzo riconosciuto; la salvaguardia in ogni caso del diritto ad agire dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria per le azioni di cui all'articolo 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, e successive modificazioni; l’attribuzione alla Consob, sentita la Banca d'Italia, del potere di emanare disposizioni regolamentari per l'attuazione delle disposizioni in questione. Il Governo e' stato pertanto delegato ad uno o più decreti legislativi per l'istituzione di un fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, secondo i principi e criteri direttivi riassumibili: a) destinazione del fondo all'indennizzo, nei limiti delle disponibilità del fondo medesimo, dei danni patrimoniali, causati dalla violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, delle norme che disciplinano le attività di cui alla parte II del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, detratti l'ammontare dell'indennizzo eventualmente erogato al soggetto danneggiato e gli importi dallo stesso comunque percepiti a titolo di risarcimento; b) previsione della surrogazione del fondo nei diritti dell'indennizzato, limitatamente all'ammontare dell'indennizzo erogato, e facoltà di rivalsa del fondo stesso nei riguardi della banca o dell'intermediario responsabile; c) legittimazione della Consob ad agire in giudizio, in rappresentanza del fondo, per la tutela dei diritti e l'esercizio della rivalsa ai sensi della lettera b), con la facoltà di farsi rappresentare in giudizio a norma dell'articolo 1, decimo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni, ovvero anche da propri funzionari; d) finanziamento del fondo esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni irrogate per la violazione delle norme di cui alla lettera a); e) attribuzione della gestione del fondo alla Consob; f) individuazione dei soggetti che possono fruire dell'indennizzo da parte del fondo, escludendo comunque gli investitori professionali, e determinazione della sua misura massima; g) attribuzione del potere di emanare disposizioni di attuazione alla Consob. Con il d.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179 è stata data attuazione alle previsioni della legge n. 62 del 2005 con l’istituzione delle procedure di conciliazione e di arbitrato, del sistema di indennizzo e del fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori ed ha previsto l’istituzione di una Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, che svolge la propria attività avvalendosi di strutture e risorse individuate dalla stessa Autorità, per l'amministrazione dei procedimenti di conciliazione e di arbitrato promossi per la risoluzione di controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori. Per queste finalità la Camera di conciliazione e arbitrato ha il potere di istituire un elenco di conciliatori e arbitri, scelti tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità, sia avvalersi con una sorta di outsourcing
di organismi di conciliazione iscritti nel registro previsto dall'art. 16 decreto legislativo n. 28 del 2010. La Consob comunque deve definire con regolamento, sentita la Banca d'Italia in ogni caso: a) l'organizzazione della Camera di conciliazione e arbitrato; b) le modalità di nomina dei componenti dell'elenco dei conciliatori e degli arbitri, prevedendo anche forme di consultazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all'articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e delle categorie interessate, e perseguendo l’iscrizione paritaria di donne e uomini; c) i requisiti di imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità dei componenti dell'elenco dei conciliatori e degli arbitri; d) la periodicità dell'aggiornamento dell'elenco dei conciliatori e degli arbitri; e) le altre funzioni attribuite alla Camera di conciliazione e arbitrato; f) le norme per i procedimenti di conciliazione e di arbitrato; g) le altre norme di attuazione della norma. Inoltre la clausola compromissoria inserita nei contratti, stipulati con gli investitori, relativi ai servizi e attività di investimento, compresi quelli accessori, nonché i contratti di gestione collettiva del risparmio, è vincolante solo per l'intermediario, a meno che questo non provi che sia frutto di una trattativa diretta. E’ previsto dall’art. 3 del d. lgs. n. 179 del 2007, che nel caso in cui risulti, a seguito dell'esperimento delle procedure conciliative e arbitrali, l'inadempimento dell'intermediario agli obblighi, è possibile riconoscere un indennizzo a favore dell'investitore per il ristoro delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dallo stesso inadempimento, che deve essere determinato con un ulteriore regolamento della Consob, sentita la Banca d'Italia. E' comunque fatto salvo il diritto dell'investitore di adire l'autorità giudiziaria ordinaria, anche per il riconoscimento del risarcimento del maggior danno subito in conseguenza dell'inadempimento, oltre all'indennizzo già stabilito. Il lodo arbitrale o il verbale di conciliazione con il quale viene disposto l'indennizzo acquista efficacia a seguito del visto di regolarità formale della Consob, ferma l'applicabilità dell'articolo 825 del codice di procedura civile. Per quanto riguarda la conciliazione stragiudiziale, gli investitori possono attivare la procedura di conciliazione, presentando, anche personalmente, istanza alla Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob. L'istanza di conciliazione non può essere presentata qualora: a) la controversia sia stata già portata su istanza dell'investitore, ovvero su istanza dell'intermediario a cui l'investitore abbia aderito, all'esame di altro organismo di conciliazione; b) non sia stato presentato reclamo all'intermediario ovvero non siano decorsi più di novanta giorni dalla sua presentazione senza che l'intermediario abbia comunicato all'investitore le proprie determinazioni. Il regolamento disciplina le norme di procedura nel rispetto dei principi di riservatezza, imparzialità, celerità e di garanzia del contraddittorio, fatta salva la possibilità di sentire le parti separatamente. In ogni caso il procedimento deve essere concluso nel termine massimo di sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza di conciliazione. La procedura prevista oggi è da intendere quella del d.l. n. 28/2010 . Le parti sono in ogni caso libere di assumere autonome determinazioni volontarie. Le dichiarazioni rese dalle parti nel procedimento di conciliazione non possono essere utilizzate. Con il regolamento sono determinate le modalità di nomina del conciliatore per la singola controversia e il compenso a questi spettante, i criteri in base ai quali la Camera di conciliazione e arbitrato può designare un diverso organismo di conciliazione, nonché l'importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di conciliazione stragiudiziale nel rispetto dei limiti indicati nel regolamento di cui all'articolo 39, comma 3, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. Il regolamento di cui all'articolo 2, comma 5, lettera f) del d. lgs n. 179 del 2007, disciplina altresì la procedura di arbitrato amministrato dalla Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob per la risoluzione delle controversie di cui al medesimo articolo 2, tenendo conto delle relative norme applicabili del decreto legislativo n.28/2010, nonché degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile, fermo in ogni caso il rispetto del contraddittorio. Il regolamento deve prevedere una procedura semplificata per il riconoscimento dell'indennizzo di cui all'articolo 3, comma 1, anche con lodo non definitivo, ferma restando l'applicazione dei commi 4 e 5 del medesimo articolo 3. La Consob determina altresì le modalità di nomina del collegio arbitrale o dell'arbitro unico, i casi di incompatibilità, ricusazione e sostituzione
degli arbitri, la responsabilità degli arbitri e gli onorari ad essi dovuti, oltre che le tariffe per il servizio di arbitrato dovute alla Camera di conciliazione e arbitrato. L'arbitrato amministrato dalla Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob ha natura rituale ed è ispirato a criteri di economicità, rapidità ed efficienza. Il lodo è sempre impugnabile per violazione di norme di diritto. Inoltre è fatta salva la legittimazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti di cui all'articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ad agire ai sensi dell'articolo 140 del medesimo decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Con il regolamento di cui al d.lgs. n. 179 del 2007, viene puntualizzato il funzionamento della Camera di conciliazione e arbitrato istituita ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179. La Camera in questione risulta composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra persone dotate di specifica e comprovata esperienza e competenza e di riconosciuta indipendenza, nominati dalla Consob. Essi durano in carica sette anni, senza possibilità di essere confermati, e non possono ricoprire incarichi presso altri organismi di conciliazione e di arbitrato, istituiti da enti pubblici e privati e operanti in qualsiasi settore, né esercitare attività di conciliazione o di arbitrato ovvero ogni altra attività che ne possa compromettere l'indipendenza e l'autonomia di giudizio. Due membri della Camera sono designati rispettivamente dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti e, congiuntamente, dalle associazioni di categoria degli intermediari maggiormente rappresentative. La designazione è comunicata entro sessanta giorni dalla ricezione di un atto di invito da parte della Consob. In assenza di designazione entro il termine indicato, la Consob provvede direttamente alla nomina dei due membri. Gli altri componenti della Camera sono individuati tra le seguenti categorie: a) avvocati iscritti agli albi ordinari e speciali abilitati al patrocinio avanti alle magistrature superiori; dottori commercialisti iscritti nella Sezione A) dell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili da almeno dodici anni; b) notai con almeno sei anni di anzianità di servizio; magistrati ordinari, in servizio da almeno dodici anni o in quiescenza; magistrati amministrativi e contabili con almeno sei anni di anzianità di servizio o in quiescenza; c) professori universitari di ruolo in materie giuridiche ed economiche in servizio o in quiescenza; dirigenti dello Stato o di Autorità indipendenti con almeno venti anni di anzianità di servizio laureati in discipline giuridico/economiche, in servizio o in quiescenza. I tre componenti designati dalla Consob, ivi compreso il presidente, sono di norma individuati all'interno di ciascuno dei gruppi di tali categorie. I componenti della Camera sono revocabili solo per giusta causa con provvedimento motivato della Consob. L'originaria inesistenza o la sopravvenuta perdita dei requisiti indicati ai commi 1 e 3, ovvero il grave inadempimento degli obblighi gravanti in capo ai componenti della Camera, importano la decadenza dalla carica. La decadenza è pronunziata dalla Camera entro trenta giorni dalla nomina o dalla conoscenza della perdita dei requisiti, ovvero dalla conoscenza dei fatti che integrano grave inadempimento degli obblighi. In caso di inerzia, la decadenza è pronunziata direttamente dalla Consob. Le deliberazioni della Camera sono adottate collegialmente con la presenza di almeno tre componenti. Salvo che non sia prevista una maggioranza diversa, le deliberazioni della Camera sono adottate a maggioranza dei votanti e, comunque, con non meno di due voti favorevoli. In caso di parità prevale il voto del presidente. La Camera delibera il proprio statuto contenente le norme di organizzazione e di funzionamento. Le deliberazioni approvate con la maggioranza di almeno quattro componenti, sono comunicate alla Consob che, entro trenta giorni dal loro ricevimento, può chiedere chiarimenti e modifiche. Decorsi trenta giorni dal ricevimento delle deliberazioni o dei chiarimenti e delle modifiche richiesti, queste si intendono approvate. La Camera ha sede presso gli uffici delle sedi della Consob e svolge la propria attività avvalendosi delle sue strutture e risorse. La Camera presenta alla Consob, entro il mese di febbraio, una relazione sull'attività svolta nell'anno precedente. La Consob può chiedere alla Camera informazioni sulle attività e sui compiti istituzionali svolti e può impartire direttive relative ai controlli sui requisiti richiesti per l'iscrizione negli elenchi. La Consob provvede alla copertura delle spese di amministrazione delle procedure di conciliazione e di arbitrato con le
contribuzioni versate dagli intermediari ai sensi dell'articolo 40, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e successive modificazioni, oltre che con gli importi posti a carico degli utenti delle procedure. La Camera amministra i procedimenti di conciliazione e di arbitrato promossi per la risoluzione di controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori. Essa non interviene in alcun modo, nel corso della procedura di conciliazione e del giudizio arbitrale, nel merito delle controversie. La Camera, in particolare: a) cura la tenuta degli elenchi dei conciliatori e degli arbitri e provvede ogni sei mesi al loro aggiornamento; b) stabilisce e aggiorna il codice deontologico dei conciliatori e degli arbitri e lo sottopone all'approvazione della Consob secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 3; c) organizza i servizi di arbitrato e di conciliazione anche con riferimento alla fase di composizione non contenziosa della lite di cui all'articolo 140-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206; d) promuove i servizi di arbitrato e conciliazione e ne diffonde la conoscenza mediante attività di documentazione, elaborazione dati e studio, anche attraverso la predisposizione di azioni comuni con altre istituzioni ovvero con associazioni economiche e altri organismi pubblici o privati attivi nel settore dei servizi finanziari e delle procedure di conciliazione e arbitrato; e) organizza corsi di formazione e aggiornamento per i conciliatori e per gli arbitri; f) esercita le altre funzioni ad essa attribuite dal presente regolamento. La Camera, al fine di risolvere questioni relative all'ambito delle reciproche competenze, stipula un protocollo d'intesa con il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 128-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Possono essere iscritti a domanda nell'elenco dei conciliatori i soggetti che sono in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità indicati dalla legge. La Camera, a seguito della ricezione della domanda di iscrizione nell'elenco, corredata dei documenti attestanti il possesso dei requisiti richiesti, ne verifica la regolarità e delibera l'iscrizione. Ogni sei mesi la Camera dispone l'aggiornamento dell'elenco, procedendo alle nuove iscrizioni e alla cancellazione di coloro che hanno perso i requisiti di cui al comma 1 o che sono incorsi nelle situazioni di incompatibilità di cui al comma 4, ovvero di coloro che ne hanno fatto domanda. La cancellazione può altresì essere disposta nei casi di grave inadempimento degli obblighi stabiliti dal codice deontologico o, comunque, connessi alla funzione svolta. La cancellazione, se non segue alla domanda del conciliatore, è pronunciata dalla Camera sentito l'interessato. I conciliatori non possono svolgere attività di conciliazione per più di due organismi di conciliazione e comunicano senza indugio alla Camera la perdita dei requisiti richiesti per l'iscrizione. L'istanza volta all'attivazione della procedura di conciliazione può essere presentata esclusivamente dall'investitore quando per la medesima controversia: a) non siano state avviate, anche su iniziativa dell'intermediario a cui l'investitore abbia aderito, altre procedure di conciliazione; b) sia stato presentato reclamo all'intermediario cui sia stata fornita espressa risposta, sia decorso il termine di novanta giorni, o il termine più breve eventualmente stabilito dall'intermediario per la trattazione del reclamo, senza che l'investitore abbia ottenuto risposta. L'istanza, sottoscritta dall'investitore e corredata della documentazione attestante le condizioni di ammissibilità di cui all'articolo 7 e il pagamento delle spese di avvio del procedimento, può essere formulata utilizzando l'apposito modulo predisposto che deve contenere: a) il nome, il cognome, il domicilio dell'istante persona fisica ovvero, per le persone giuridiche, la denominazione, la sede legale e il nome del legale rappresentante; gli indirizzi postali ed elettronici, i numeri telefonici e di telefax da utilizzare nel corso del procedimento; l'eventuale nomina di procuratori; b) la descrizione della controversia e delle pretese, con indicazione del relativo valore; c) l'impegno a osservare gli obblighi di riservatezza e le altre norme del presente regolamento. L'istanza deve essere comunicata all'intermediario con mezzo idoneo a dimostrarne l'avvenuta ricezione e depositata nei successivi trenta giorni. La Camera valuta l'ammissibilità dell'istanza entro cinque giorni dal suo deposito, invitando l'istante a procedere entro un congruo termine ad eventuali integrazioni e correzioni. Decorso inutilmente il
termine assegnato dichiara la inammissibilità dell'istanza dandone tempestiva comunicazione all'investitore e all'intermediario, ritenuta la ammissibilità dell'istanza, entro cinque giorni dal suo deposito ovvero delle integrazioni e correzioni richieste, invita l'intermediario ad aderire al tentativo di conciliazione, trasmettendo le eventuali integrazioni e correzioni. L'intermediario comunica alla Camera e all'investitore, con mezzo idoneo a dimostrarne l'avvenuta ricezione, non oltre i cinque giorni successivi alla comunicazione dell'invito della Camera, la propria adesione al tentativo di conciliazione con apposito atto contenente l'impegno a osservare gli obblighi di riservatezza e le altre norme del presente regolamento e corredato: a) dei documenti attestanti il pagamento delle spese di avvio della procedura; b) della documentazione afferente al rapporto contrattuale controverso, ivi compreso il reclamo proposto dall'investitore e le eventuali determinazioni assunte al riguardo. La Camera, decorso inutilmente il termine previsto nel comma precedente, attesta la mancata, tempestiva, adesione dell'intermediario al tentativo di conciliazione. Successivamente al deposito dell'istanza, la Camera procede senza indugio a nominare un conciliatore iscritto nell'elenco tenendo conto dei seguenti criteri: a) vicinanza territoriale all'investitore; b) numero di controversie pendenti avanti al conciliatore; c) esperienza maturata dal conciliatore sulle questioni specifiche oggetto della controversia; d) equa distribuzione degli incarichi; e) tendenziale parità di trattamento tra uomini e donne. Una volta ricevuta la adesione dell'intermediario, la Camera, comunica senza indugio la nomina allo stesso conciliatore e alle parti. Il conciliatore, ricevuta la comunicazione della nomina e la documentazione prodotta dalle parti, trasmette la dichiarazione di accettazione entro cinque giorni. In caso di mancata accettazione, la Camera provvede senza indugio a nominare un altro conciliatore. Quando per qualsiasi motivo venga a mancare il conciliatore nominato si provvede tempestivamente alla sua sostituzione. La procedura si conclude entro 60 giorni dalla data della sostituzione. Quando nella provincia dove l'investitore ha il domicilio o la sede non è presente un conciliatore iscritto nell'elenco ovvero i conciliatori presenti sono gravati da eccessivi carichi di lavoro e, comunque, in ogni caso in cui non è possibile assicurare un adeguato e sollecito svolgimento della procedura, la Camera può investire della controversia, con decisione motivata, gli organismi di conciliazione iscritti nel registro previsto all'art.17del D. leg.28/2010. La Camera designa l'organismo di conciliazione ritenuto più idoneo tenendo conto dei criteri individuati alle lettere a) e c) del comma 1. L'organismo di conciliazione è tenuto ad applicare le norme di procedura e le indennità previste dal regolamento Consob. Con la dichiarazione di accettazione il conciliatore attesta la permanenza dei requisiti per l'iscrizione nell'elenco e l'inesistenza di: a) rapporti con le parti e con i loro rappresentanti tali da incidere sulla sua imparzialità e indipendenza; b) personali interessi, diretti o indiretti, relativi all'oggetto della controversia. Nel corso della procedura il conciliatore è tenuto a comunicare tempestivamente le eventuali circostanze sopravvenute idonee a incidere sulla sua indipendenza e imparzialità. Il conciliatore osserva le norme del codice deontologico ed adempie agli obblighi comunque connessi alla propria funzione. La procedura di conciliazione si ispira ai principi dell'immediatezza, della concentrazione e dell'oralità ed è coperta da riservatezza in tutte le sue fasi. La Camera assicura adeguate modalità di conservazione e di riservatezza degli atti introduttivi della procedura di conciliazione nonché di ogni altro documento proveniente dai soggetti che hanno partecipato a qualsiasi titolo alla procedura di conciliazione o formatosi nel corso della procedura stessa. La procedura di conciliazione si ispira a principi di imparzialità e garanzia del contraddittorio, fatta salva la possibilità per il conciliatore di sentire separatamente le parti. La conciliazione si svolge, di regola, nel luogo in cui è il domicilio del conciliatore il quale fissa la data e la sede per la prima riunione non prima di cinque e non oltre dieci giorni dalla data di accettazione, dandone tempestiva comunicazione alle parti e alla Camera. Il conciliatore: a) conduce gli incontri senza formalità di procedura e senza obbligo di verbalizzazione e nel modo che ritiene più opportuno, tenendo conto delle circostanze del caso, della volontà delle parti e della necessità di trovare una rapida soluzione alla lite; b) può sentire le parti separatamente e in contraddittorio tra loro con lo scopo di chiarire
meglio i termini della controversia e far emergere i punti di accordo; c) può disporre l'intervento di terzi, dietro congiunta proposta delle parti e a loro spese. La procedura si conclude entro sessanta giorni dal deposito dell'istanza ovvero dal successivo deposito delle integrazioni e delle correzioni. Il conciliatore, con il consenso delle parti, proroga il termine per la conclusione della procedura per un periodo non superiore a sessanta giorni, comunicandolo alla Camera, quando: a) ricorrono oggettivi impedimenti del conciliatore o delle parti; b) è necessario acquisire informazioni e documenti indispensabili ai fini dell'esperimento del tentativo di conciliazione; c) vi è la ragionevole possibilità di un esito positivo della procedura. Il decorso del termine di sessanta giorni per la conclusione della procedura di conciliazione è sospeso dal 1° agosto al 15 settembre. Il conciliatore può, con il consenso delle parti, derogare a tale previsione. Se la conciliazione riesce, i contenuti dell'accordo sono riportati in apposito processo verbale, sottoscritto dalle parti e dal conciliatore. Se le parti non danno spontanea esecuzione alle previsioni dell'accordo conciliativo, il verbale, previo accertamento della sua regolarità formale, è omologato con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha avuto luogo la conciliazione e costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Quando non è raggiunto l'accordo, su istanza congiunta delle parti il conciliatore formula una proposta rispetto alla quale ciascuna delle parti, se la conciliazione non ha luogo, indica la propria definitiva posizione ovvero le condizioni alle quali è disposta a conciliare. Di tali posizioni il conciliatore dà atto in apposito verbale di fallita conciliazione. Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, il conciliatore redige un verbale di chiusura delle operazioni. Al termine della procedura il conciliatore trasmette gli atti alla Camera che provvede a rilasciarne copia alle parti che ne fanno richiesta, nel rispetto degli obblighi di riservatezza. Il valore della controversia è determinato ai sensi degli articoli 10 e seguenti del codice di procedura civile e rileva ai fini del calcolo delle indennità da porre a carico delle parti. Le indennità per la fruizione del servizio di conciliazione sono costituite dalle spese di avvio della procedura, da corrispondere alla Camera, dal compenso del conciliatore e dalle spese da queste sostenute. Le spese di avvio della procedura sono versate dalle parti all'atto del deposito, rispettivamente, dell'istanza e dell'atto di replica. Quando la conciliazione riesce, il pagamento del compenso del conciliatore grava in capo alle parti, che vi sono tenute solidalmente fra loro. In caso di mancata conciliazione, la metà del compenso è posta a carico della Camera. L'ammontare delle spese di avvio della procedura e del compenso del conciliatore è determinato sulla base della tabella riportata nell'Allegato al regolamento. Infine la Camera, con atto sottoposto all'approvazione della Consob secondo quanto previsto all'articolo 3, comma 3, determina in via generale le spese necessarie per l'esecuzione dell'incarico, rimborsabili al conciliatore e dietro proposta del conciliatore viene liquidato il compenso ad esso spettante e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione dell'incarico.
Parte III
La Direttiva Europea n.52/ 2008CE
La Direttiva Europea n. 52/ 2008CE
Sommario: 3.1. Il limite applicativo della direttiva : materia e territorio; 3.2. Le definizioni date dalla direttiva; 3.3. La qualità della mediazione ; 3.4. Il ricorso alla mediazione e l’esecutività dei relativi accordi; 3.5 La riservatezza dalla mediazione ; 3.6. Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza e l‘informazioni al pubblico.
3.1. I limiti applicativi della direttiva: materia e territorio.
Come ampiamente anticipato nella prima parte di questo lavoro in Europa la sensibilità verso le metodologie di risoluzione alternativa delle controversie ha portato prima al Libro verde, poi alla Direttiva 2008/52/CE,98 in tema di mediazione in materia civile e commerciale. Quest’ultima rappresenta oggi il punto di arrivo dell’attenzione in europea per i sistemi ADR, anche se, per il vero, dovrebbe applicarsi solo alle controversie transfrontaliere, ma, come è stato ampiamente precisato dalle stesse Istituzioni europee, non è affatto vietato a che i suoi principi siano applicati anche alle singole ADR nazionali. La direttiva ha l’obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie, e di promuovere la composizione bonaria senza alcun pregiudizio procedimento giurisdizionale semmai favorendo un equilibrato rapporto tra i medesimi. Per comprendere cosa si intenda per equilibrata relazione tra procedimento giurisdizionale e mediazione, occorre muovere dall‘analisi dall‘art. 1 in relazione ai considerando nn. (1) e (2)99 della stessa Direttiva: ne deriva, allora, che l’obiettivo è quello di estendere all’Unione europea i sistemi ADR di promuovere la diffusione volta a salvaguardare il principio di accesso alla giustizia. La Direttiva dunque assegna alla mediazione l’importante funzione di migliorare il servizio giustizia negli Stati membri, e ciò mediante l’effetto deflattivo al quale è predisposta anche se la stessa, ma solo apparentemente, pare limitare la sua sfera d’intervento alle controversie transfrontaliere in “materia civile e commerciale”. Deve però osservarsi che il limite applicativo della Transnazionalità della controversia non impedisce che i principi della stessa siano applicati anche ai procedimenti di mediazione interni ai singoli Stati membri.100 Riguardo al campo d’azione questo è circoscritto alla sola materia civile e commerciale che è il tipico terreno dei diritti disponibili dalla parti in relazione ai quali è possibile mediare, restando esclusi i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla legge applicabile, primi fra tutti quelli “indisponibili“ relativi alle materie del diritto di famiglia e del lavoro. Con riguardo a quest‘ultime materie, però, atteso che esse coinvolgono diritti disponibili ed indisponibili dovrebbe, sotto il profilo dell’interpretazione logica e giuridica, ammettersi una generalizzata mediazione riguardo a tutti i diritti disponibili e quindi anche in materia di lavoro e famiglia purché relativi a diritti “disponibili“. Resta tuttavia sicuramente esclusa, per espressa previsione, la materia fiscale, doganale ed amministrativa oltre che la responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio dei pubblici poteri. L’esclusione per tali materie si spiega in considerazione del fatto che una parte del rapporto in controversia è una Pubblica amministrazione, che agisce per il perseguimento di finalità di pubblico interesse. In merito, però, mentre nessun dubbio sussiste circa l’esclusione della mediazione di controversie involgenti la responsabilità dello 98
Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (G.U.C.E., L 136, 24 maggio 2008, p. 3). 99
Considerando (1). La Comunità si è prefissa l’obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone. A tal fine, la Comunità deve adottare, tra l’altro, le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile necessarie al corretto funzionamento del mercato interno. Considerando (2). Il principio dell’accesso alla giustizia è fondamentale e, al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia, il Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha invitato gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali e alternative. 100 Considerando (8). Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni.
Stato nell’esercizio dei propri poteri, trattandosi di attività totalmente attratta nella sfera del pubblico interesse, lo stesso non è riguardo alla materia fiscale, doganale ma soprattutto amministrativa dove sicuramente va affermata la mediazione quando l’amministrazione agisce jure privatorum. Ulteriore limite all’applicabilità della Direttiva è individuabile per le trattative precontrattuali ed i procedimenti di natura arbitrale (ai reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone ed organismi che emetto una raccomandazione formale per la risoluzione di una controversia), secondo quanto previsto dal considerando n. (11).101 Come detto, pur facendo riferimento espressamente alla materia civile e commerciale “transfrontaliera” la direttiva non impedisce l’applicazione dei suoi principi anche ai procedimenti di mediazione interni ai singoli Stati membri, anche se occorre verificare quale portata ha l’aggettivo “(controversie) transfrontaliere”. Orbene con tale dizione solitamente si indica una controversia tra parti residenti o domiciliate in paesi differenti. Ma nella fattispecie però sembra che si voglia assegnare alla stessa dizione un significato più restrittivo, ancorato alla volontà delle parti, di guisa da non consentirne l‘applicazione all’ipotesi in cui una parte proponga la “mediazione”, ma l’altra non l’accetti. Tale scelta appare giustificabile alla stregua delle norme relativamente agli effetti della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza. Ed infatti, fermo restando che è previsto che almeno una delle parti sia domiciliata o risieda abitualmente102 in uno Stato membro diverso da quello delle altre, perché la controversia sia “transfrontaliera” , si richiede che i due litiganti stiano in Stati diversi. L’art. 3 della direttiva in esame contempla l’ipotesi dell’accordo in ordine alla mediazione solo dopo l’insorgere della lite; accordo che può essere espresso in forma scritta o, se tale formalità manca, mediante comportamento concludente, che va tenuto da tutte le parti coinvolte nelle controversia perché altrimenti non sussisterebbe l‘accordo che può essere raggiunto dalle parti anche prima dell’insorgere della lite, mediante la stipulazione di un contratto ad hoc, ovvero con l’inserimento in un contratto della “clausola di mediazione”. Quando, invece, il ricorso alla “mediazione” viene ordinato da un organo giurisdizionale - quindi a prescinde dal consenso delle parti - o qualora l’obbligo di ricorrere alla “mediazione” sorga a norma del diritto nazionale, sempre a prescinde dal consenso delle parti, allora se il giudice invita (e non obbliga) le parti a ricorrere alla “mediazione” per risolvere la controversia, demanda l’incombente ad un soggetto terzo. L’elemento della volontà, quindi, discrimina tra controversia “transfrontaliera” o meno. Quanto al luogo in cui si deve svolgere la mediazione nulla è disposto sicchè è verosimile, allora, credere che debba trovarsi nel territorio di uno degli Stati membri interessati dalla lite transfrontaliera, quantomeno nelle ipotesi in cui la procedura di mediazione venga ordinata da un organo giurisdizionale o sia imposta dalla legge. Diversamente si può concludere, relativamente all’ipotesi di mediazione concordata dalle parti, le quali potrebbero decidere di svolgere la mediazione al di fuori dei territori degli Stati membri per i quali la controversia rileva come “transfrontaliera”, sempre che quest’ultimi applichino tutti i precetti della Direttiva. Un’ultima questione è quella di verificare se si applichi alle controversie in cui una delle parti coinvolte ha residenza o domicilio in uno Stato membro e l’altra ce l’ha in uno Stato terzo. Parrebbe doversi escludere l’applicabilità non solo per il tenore letterale della norma, quanto per il fatto che nel paese non aderente all’Unione manca la concreta possibilità di applicarla, cosa che condurrebbe ad uno squilibrio tra la posizione delle parti in lite, specie per quanto concerne le disposizioni sull’esecutività degli accordi derivanti dalla mediazione e l’effetto di quest’ultima rispetto al decorso dei termini di prescrizione e decadenza.
101 Considerando n. (11). La presente direttiva non dovrebbe applicarsi alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia. 102 Il domicilio è da individuarsi ai sensi degli artt. 59 e 60 del Regolamento n. 44/2001/CE del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (G.U.C.E., L 12, del 16 gennaio 2001, p. 1), secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 3, della Direttiva.
3.2. Le definizioni date dalla direttiva. La Direttiva definisce la mediazione come un “procedimento strutturato” ove, indipendentemente dalla denominazione, data due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. La mediazione, dunque, viene definita come una serie di fasi, che si avvicendano secondo l’incedere di atti concatenati, che, a prescindere dal nomen iuris, consta del tentativo, gestito dalle parti di una controversia, di definire con un accordo avvalendosi dell’ausilio di un mediatore. Dalla definizione di mediazione si palesa la centralità della volontà privata, che si estrinseca a tre livelli: (i) non tanto e non solo in punto di possibilità di raggiungere un accordo risolutivo della controversia, che deve intendersi come contratto o negozio giuridico, (ii) e nella iniziativa delle parti di intraprendere il procedimento stesso, (iii) ma soprattutto nella gestione del procedimento alternativo ad opera delle parti, le quali sono le sole depositarie della facoltà di ricercare l’incontro di volontà, condotte in tale ricerca dal mediatore. Di contro da questa analisi emerge la natura di mera assistenza che la Direttiva sembra assegnare al ruolo del mediatore. Essa quindi assegna alla signoria della volontà delle parti un ruolo preminente nella procedura di mediazione, la quale si estrinseca nella completa gestione del loro conflitto. Tale signoria del volere privato è confermata anche dal considerando n. (13)103 che definisce la mediazione come “procedimento di volontaria giurisdizione”, con ciò volendo significare che è un procedimento gestito dalla volontà delle parti, le quali hanno libertà nell’organizzarlo e nel porvi termine. Invero, il richiamo alla volontaria giurisdizione è frutto di errore atteso che la mediazione, in quanto procedura ADR, non rappresenta un procedimento giudiziario ma un modo di risoluzione dei conflitti allocato al di fuori del contesto e dalla logica del giudizio104. Il ruolo preminente della volontà delle parti si spiega anche in ragione del fatto che si vede nella mediazione la possibilità che esse possano raggiungere un accordo stragiudiziale risolutivo della loro controversia il quale, proprio per le modalità cooperative con cui è stato perfezionato, ha maggiori probabilità di essere rispettato volontariamente e di preservare una relazione amichevole tra le parti. La stessa definizione, peraltro, disegna i ruoli delle parti e del mediatore in relazione alla procedura di mediazione, assegnando alle prime la gestione della stessa in termini di raggiungimento dell’accordo amichevole risolutivo, e al secondo la funzione di assistenza delle parti nella ricerca di detto accordo. Pertanto, come accennato, il ruolo del mediatore risulta essere quello di semplice facilitatore di un accordo che deve trovare fonte esclusiva nelle parti. Nel concetto di mediazione, come disegnato, rientra anche il procedimento condotto dal giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia oggetto di mediazione. Non vi rientrano, invece, i tentativi promossi dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della medesima. Del resto la definizione di mediatore, quale terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo imparziale (efficace e competente), non esclude la possibilità che tale incarico sia svolto dal giudice, che anzi per definizione è soggetto terzo ed imparziale. Pertanto, da quanto appena osservato si rileva come la Direttiva abbia tenuto presente la differente funzione del mediatore rispetto a quella del giudice, non per negare a quest’ultimo la possibilità di svolgere i compiti del mediatore ma per avvertire dell’impossibilità di svolgere efficacemente la mediazione nel contesto processuale: pertanto se il giudice può essere anche mediatore, deve di necessità esserlo in un contesto lontano dal giudizio sia dal punto di vista spaziale che di approccio metodologico. Ciò in quanto il processo, come luogo di scontro degli interessi in conflitto, si fonda su una loro composizione in forza di una decisione amministrata sulla base della distribuzione di torti e ragioni, non è idoneo alla definizione amichevole della controversia secondo il modello della mediazione, che presuppone invece una cooperazione tra le parti possibile solo in quanto le stesse si aprano rispetto ai 103
Considerando n. (13) La mediazione di cui alla presente direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento. Tuttavia, in virtù del diritto nazionale, l’organo giurisdizionale dovrebbe avere la possibilità di fissare un termine al processo di mediazione. Inoltre, l’organo giurisdizionale dovrebbe, se del caso, poter richiamare l’attenzione delle parti sulla possibilità di mediazione. 104 Ed infatti, il termine “volontaria giurisdizione” di cui al considerando n. 13 della Direttiva è reso come “processus volontarie” nella versione francese; “voluntary process” in quella inglese; “procedimento volontario” in quella spagnola.
loro reali interessi per una soluzione condivisa. Da quanto precede risulta chiara, inoltre, la linea tracciata dalla Direttiva tra mediazione, quale sistema A.D. R., e facoltà del giudice di tentare risoluzioni delle controversie, diverse dal iudicium, durante il procedimento giudiziario, così da definire i confini della mediazione quale procedimento alternativo alla giurisdizione condotto dal mediatore al di fuori del contesto del procedimento giudiziario. Infine occorre soffermarci brevemente sulla definizione di Mediatore. Dalla norma non pare evincersi se esso debba essere persona fisica e/o giuridica, sottolineandosi invece la necessità che sia terzo ed imparziale, ovvero estraneo agli interessi in contesa e super partes nell’adempimento del suo incarico di coadiutore nella ricerca dell’accordo di mediazione. Anche riguardo a questo profilo la normativa evidenzia la non rilevanza del nomen iuris, oltre che della professione svolta nello Stato membro e delle modalità di nomina o di indicazione a svolgere l’incarico di mediazione.
3.3. La qualità della mediazione. La disciplina della qualità della mediazione si spiega con l’esigenza di assicurare ad essa le migliori possibilità di successo, atteso che, nelle intenzioni del legislatore europeo, dovrebbe rappresentare un’agile alternativa di giustizia rispetto alla giurisdizione e non una alternativa deteriore, come evidenzia il considerando n. (19)105. Al fine di garantire una mediazione di qualità, si invitano i legislatori nazionali a predisporre sistemi formativi dei mediatori sia nella fase iniziale che in via permanente, e tanto per concorrere a determinare un servizio di mediazione efficace, competente e, si ribadisce anche in tale sede, imparziale. Pertanto, i requisiti necessari perché sia garantita una qualità minima sono da rinvenirsi nell’efficacia, imparzialità e competenza del mediatore, restando poi irrilevante la denominazione, la professione svolta da esso, le modalità di nomina o con cui viene designato a condurre la mediazione, coerentemente ad un approccio informale della procedura. A ben vedere, però, l’imparzialità non pare essere solo un requisito di qualità del servizio di mediazione, ma piuttosto suo elemento strutturale, in assenza del quale difetterebbe la stessa fattispecie o quantomeno sarebbe invalida con conseguente invalidità dell’accordo amichevole risolutivo. La qualità del “servizio mediazione” passa anche attraverso la necessità di rispettare codici di condotta, ovvero codici deontologici, disciplinanti l’attività dei mediatori come degli organismi che erogano il servizio di mediazione. A questo riguardo, seppur il legislatore europeo non richiami espressamente il “Codice europeo di condotta dei mediatori”,106 il considerando n. (17)107 sembra suggerirne una spontanea osservanza da parte dei mediatori. I meccanismi di controllo della qualità dei servizi di mediazione dovrebbero essere definiti dagli Stati membri, i quali dovrebbero astenersi dal fornire finanziamenti al riguardo, lasciando piuttosto che i servizi di mediazione siano selezionati dal mercato; detti meccanismi dovrebbero tendere alla preservazione della flessibilità del procedimento di mediazione e della autonomia delle parti nonché a garantire che la mediazione sia condotta in modo efficace, imparziale e competente.
105 Considerando n. (19). La mediazione non dovrebbe essere ritenuta un’alternativa deteriore al procedimento giudiziario nel senso che il rispetto degli accordi derivanti dalla mediazione dipenda dalla buona volontà delle parti. Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che le parti di un accordo scritto risultante dalla mediazione possano chiedere che il contenuto dell’accordo sia reso esecutivo. Dovrebbe essere consentito a uno Stato membro di rifiutare di rendere esecutivo un accordo soltanto se il contenuto è in contrasto con il diritto del suddetto Stato membro, compreso il diritto internazionale privato, o se tale diritto non prevede la possibilità di rendere esecutivo il contenuto dell’accordo in questione. Ciò potrebbe verificarsi qualora l’obbligo contemplato nell’accordo non possa per sua natura essere reso esecutivo. 106 Trattasi di un provvedimento formalmente non vincolante elaborato dalla Commissione. 107 Considerando n. (17). Gli Stati membri dovrebbero definire tali meccanismi, che possono includere il ricorso a soluzioni basate sul mercato, e non dovrebbero essere tenuti a fornire alcun finanziamento al riguardo. I meccanismi dovrebbero essere volti a preservare la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti e a garantire che la mediazione sia condotta in un modo efficace, imparziale e competente. I mediatori dovrebbero essere a conoscenza dell’esistenza del codice europeo di condotta dei mediatori, che dovrebbe anche essere disponibile su Internet per il pubblico.
3.4. Il ricorso alla mediazione e l’esecutività dei relativi accordi. L’accesso alla mediazione è possibile in base alla normativa europea, anche a procedimento giudiziario avviato, in termini di invito rivolto alle parti ad iniziativa dell’organo giurisdizionale tenuto conto di tutte le circostanze del caso. Tale disposizione di favore per la mediazione è volta ad incentivare, anche in una fase avanzata del procedimento giudiziario, e quindi quando è ancora possibile la composizione bonaria della controversia, il ricorso allo strumento conciliativo quando è ancora possibile comporre bonariamente la controversia senza dover giungere alla decisione giurisdizionale. Questo atteggiamento di favore per la mediazione si coglie anche dal considerando n. (14),108 il quale fa salva la legislazione nazionale in ordine l’obbligatorietà dell’accesso alla stessa. In ogni caso è principio presupposto quello in forza del quale è da ritenere che la previsione di incentivi e sanzioni, sempre nel rispetto del principio di accesso al sistema giudiziario, non deve essere di ostacolo al diritto di azione. Dunque la mediazione non è imposta ma è incentivata, ed è consentito agli Stati membri di prevederne al loro interno l’obbligatorietà o condizioni di induzione alla stessa per mezzo di incentivi e sanzioni. Nell’ottica di contemperare la diffusione dei sistemi A.D.R. col fondamentale principio dell’accesso alla tutela giurisdizionale, richiamato dalla Carta dell’Unione Europea, la Direttiva incentiva la mediazione fino a contemplarne l‘ obbligatorietà sempre che questa non si traduca in una elusione del principio fondamentale de quo. Anzi, la mediazione è intesa come uno strumento teso a migliorare l’accesso alla giustizia, i cui effetti deflattivi dovrebbero liberare il processo dalle lungaggini che inibiscono la tutela dei diritti. Questo favore insito nella filosofia di fondo che ha portato all’emanazione del provvedimento in esame si manifesta specialmente nella possibilità di rendere esecutivo l’accordo frutto dell’accordo conciliativo. Tuttavia anche se l’accordo derivante dalla mediazione è caratterizzato da una certa propensione all’adempimento, proprio perché è il frutto di un voluto incontro delle parti, non viene sottovaluta l’eventualità dell’inadempimento che di fatto potrebbe vanificare la stessa mediazione. È chiaro che un accordo non esecutivo ha minori possibilità di comporre efficacemente la controversia, in quanto l’adempimento degli obblighi nascenti da esso è lasciato alla volontà del soggetto obbligato e, in caso di inadempimento, occorre instaurare un giudizio di cognizione che conduca ad una decisione esecutiva. Sotto questo profilo la mediazione sarebbe uno strumento deflattivo claudicante. A ben vedere, però, la Direttiva all’art. 6, comma 1, lascia alla volontà delle parti la richiesta di esecutività dell’accordo, come è altresì evidenziato dal considerando n. (19),109 con ciò indebolendo sensibilmente lo strumento esecutivo approntato. Spetterà quindi al legislatore nazionale blindare l’accordo di mediazione attraverso la previsione di esecutività. Con riguardo alle modalità di concessione della esecutività, nulla però è stato previsto. Sul punto pare ragionevole ritenere che se l’esecutività dovesse essere concessa con provvedimento giurisdizionale, questo non dovrebbe essere emanato a seguito di un giudizio di cognizione, altrimenti verrebbero vanificati gli scopi della mediazione. Il legislatore europeo indica però due limiti alla dichiarazione di esecutività: il primo si sostanzia nella eventuale contrarietà dell’accordo alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta; il secondo nella mancata previsione da parte di tale legge della esecutività. Perciò anche se non detto espressamente si presuppone che l’autorità abilitata dalla legge nazionale a concedere l’esecutività effettui un controllo sul contenuto dell’accordo con riguardo ai due limiti in oggetto. La Direttiva, poi, consente al provvedimento che rende esecutivo il contenuto dell’accordo di mediazione di essere riconosciuto e reso esecutivo nell’Unione europea, in base alla normativa europea o nazionale applicabile. Ciò è esplicitato dal considerando n. (20),110 che all’uopo richiama il Regolamento CE 44/2001, che disciplina anche il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ed il Regolamento n. 2201/2003, avente la finalità del primo ma in materia matrimoniale ed in 108 Considerando n. (14). La presente direttiva dovrebbe inoltre fare salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario. Del pari, la presente direttiva non dovrebbe pregiudicare gli attuali sistemi di mediazione autoregolatori nella misura in cui essi trattano aspetti non coperti dalla presente direttiva. 109 Considerando n. (19) cit. 110 Considerando n. (20). Il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione reso esecutivo in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuto e dichiarato esecutivo negli altri Stati membri in conformità della normativa comunitaria o nazionale applicabile, ad esempio in base al regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale [4], o al regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
quella sulla responsabilità genitoriale. Riguardo al Regolamento n. 2201/2003, il considerando n. (21)111 precisa che gli accordi di mediazione, prima di essere riconosciuti e resi esecutivi in un altro Stato membro, devono essere riconosciuti e resi esecutivi nello Stato membro in cui sono stati conclusi: detta precisazione mira ad evitare che le parti dell’accordo pratichino azioni di forum shopping in materia di famiglia relativamente a controversie su diritti disponibili. La normativa in esame comunque, non pregiudica le norme vigenti negli Stati membri in materia di esecuzione degli accordi di mediazione, come risulta dal considerando n. (22).112 Tale previsione bilancia il limite, cui si è fatto riferimento, consistente nell’aver lasciato alla volontà unanime delle parti la richiesta di esecutività dell’accordo di mediazione. L’ottenuta efficacia degli accordi in questione, consentirà agli stessi di avere riconoscimento ed esecuzione anche nei paesi dell’Unione, grazie al disposto dell’art. 57 del Regolamento CE n. 44/2001, in forza del quale, su istanza di parte, gli “atti pubblici formati ed aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro” sono dichiarati esecutivi negli altri Stati, seguendo la medesima particolare procedura prevista a tal fine per le decisioni. Similmente dispone l’art. 46 del Regolamento n. 2201/2003, il quale considera non solo gli “atti pubblici” ma anche gli “accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva nello Stato membro di origine”.
3.5. La riservatezza della mediazione. Il tema della riservatezza è cruciale per il successo della mediazione, posto che è verosimile ritenere che le parti si inducano a tentare di mediare se sono certe che quanto rappresentato in sede di tentativo non avrà ripercussioni nell’eventuale giudizio; diversamente se esposte al rischio di “confessione“ degli “interessi“ e “ posizioni“, verosimilmente non affronteranno la mediazione con spirito cooperativo ma, piuttosto, quale necessario adempimento di un incombente formale da superare per giungere poi speditamente al giudizio, con conseguente fallimento della mediazione. Questa preoccupazione emerge espressamente dal Libro Verde113 oltre che dal considerando n. (23).114 Ecco perché i mediatori e gli altri soggetti coinvolti nel procedimento di mediazione sono esentati dall’obbligo di testimoniare nel procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso. Detto esonero non opera però nei casi in cui la testimonianza sia necessaria per proteggere superiori interessi relativi alla tutela dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona, oppure se la comunicazione del contenuto dell’accordo frutto di mediazione sia necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo. A ben vedere alla riservatezza, che pur è momento fondamentale della mediazione, viene garantita dalla Direttiva una tutela di base che si incentra nel solo divieto testimoniale, il quale peraltro non è assoluto. In primo luogo l’esonero, dalla deposizione per il mediatore e gli altri soggetti, concerne i soli procedimenti giurisdizionali o arbitrali, concernenti la materia civile e commerciale, e quindi facendo salva la deposizione in procedimenti penali. In secondo luogo, si consideri che il divieto di deporre è derogabile dalla volontà delle parti, trattandosi di diritti disponibili. In terzo luogo, comunque l’esonero dalla deposizione non opera in due casi tassativi: quando la deposizione è funzionale alla tutela di ragioni di ordine pubblico, come la tutela dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona; e quando la 111
Considerando n. (21). Il regolamento (CE) n. 2201/2003 prevede specificamente che, per essere esecutivi in un altro Stato membro, gli accordi fra le parti debbano essere esecutivi nello Stato membro in cui sono stati conclusi. Conseguentemente, se il contenuto di un accordo risultante dalla mediazione in materia di diritto di famiglia non è esecutivo nello Stato membro in cui l’accordo è stato concluso e in cui se ne chiede l’esecuzione, la presente direttiva non dovrebbe incoraggiare le parti ad aggirare la legge di tale Stato membro rendendo l’accordo in questione esecutivo in un altro Stato membro. 112 Considerando n. (22). La presente direttiva non dovrebbe incidere sulle norme vigenti negli Stati membri in materia di esecuzione di accordi risultanti da una mediazione. 113 Libro Verde della Commissione il quale ai punti 79 e 80 viene osservato che <<Nella maggioranza dei casi, le parti che ricorrono all’A.D.R. attribuiscono grande importanza al fatto che le informazioni scambiate, oralmente o per iscritto, nel corso della procedura, e persino a volte gli stessi risultati della procedura, rimangono riservati. La riservatezza sembra essere il perno del successo dell’A.D.R., in quanto contribuisce a garantire la franchezza delle parti e la sincerità delle comunicazioni nel corso della procedura […]>>. 114
Considerando n. (23). La riservatezza nei procedimenti di mediazione è importante e quindi la presente direttiva dovrebbe prevedere un grado minimo di compatibilità delle norme di procedura civile relative alla maniera di proteggere la riservatezza della mediazione in un successivo procedimento giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale.
comunicazione del contenuto dell’accordo è necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo. La riservatezza della mediazione non è fatta oggetto di specifico obbligo in capo al mediatore ed ai soggetti comunque coinvolti nella mediazione, ma ciò non vuol dire che una tale prescrizione sia avulsa dal sistema impostato dalla Direttiva. Al contrario, indici in questo senso si rinvengono dal considerando n. (16)115 il quale, per garantire la riservatezza, invita gli Stati membri ad incoraggiare, in qualunque modo ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e la introduzione di sistemi di controllo della qualità dei servizi di mediazione; e dall’art. 4, comma 1, della Direttiva che invita gli Stati membri ad incoraggiare, in qualsiasi modo da essi ritenuto appropriato, l’elaborazione di codici volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono servizi di mediazione nonché l’ottemperanza ai medesimi, dal momento che solitamente impongono doveri di riservatezza con effetti disciplinari. A ciò si aggiunga la previsione che fa salva la possibilità per gli Stati membri di adottare misure più restrittive per tutelare la riservatezza della mediazione, a conferma della importanza del profilo dell’obbligatorietà della riservatezza.
3.6. Effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza e l’informazione al pubblico. Da ultimo occorre qui affrontare alcune delle precisazioni che sembrano preoccupare il legislatore Europeo. La prima di queste è la preoccupazione di evitare che, durante il corso del tempo necessario ad espletare una mediazione inconcludente, venga pregiudicata la possibilità di adire la via giudiziaria. Ecco perché si invitano gli Stati membri ad attivarsi circa la regolamentazione degli effetti della prescrizione e della decadenza dei diritti oggetto di mediazione, onde evitare che la maturazione di dette cause estintive pregiudichi l’azionabilità della tutela giurisdizionale una volta fallita la mediazione. Ciò per la ragione che, altrimenti, siffatta procedura diverrebbe un azzardo che molti, probabilmente, non si sentirebbero di compiere. Dunque si invita gli Stati membri ad adottare le norme processuali idonee ad impedire che durante la procedura di mediazione decorrano i termini di prescrizione e decadenza dei diritti oggetto di controversia, demandando agli stessi Stati la completa disciplina di tale fattispecie. Proprio per raggiungere gli effetti deflattivi, ed in definitiva, di migliorare accesso alla giustizia il legislatore europeo poi si pone l’obbiettivo a che gli stati membri siano incentivati affinché incoraggino, nel modo più appropriato, la divulgazione fra il pubblico, in particolare via Internet, di informazioni sulle modalità per contattare i mediatori e le organizzazioni che forniscono servizi di mediazione. La previsione è tesa, non solo a consentire il rapido formarsi di una cultura della mediazione, ma soprattutto ad assoggettare la stessa alla legge di mercato, per consentire che la qualità del servizio relativo venga decretata non da aprioristici sistemi selettivi ma dal mercato, in un’ottica di liberalizzazione delle professioni. Il considerando n. (25) suggerisce un particolare modo di pubblicità della mediazione, ovvero la possibilità che i professionisti del diritto (avvocati, notai, etc.) informino i propri clienti circa l’opportunità della mediazione, infine è stata programmata una prima verifica dell’istituto al 2016, data in cui sarà rivisitata la direttiva con l’apporto dei correttivi necessari che si desumeranno dal “campo“ di questa primo periodo di sperimentazione.
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Considerando n. (16) cit.
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