Organismi di mediazione e formatori per la mediazione

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Michele Gorga

Michele Gorga

Organismi di Mediazione e Formatori per la Mediazione

Avv. Michele Gorga - Cassazionista, Docente in Mediazione e Conciliazione presso UER e Docente a.c. di Diritto Amministrativo presso l’Università dell’Aquila. Formatore e consulente giuridico, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per il ”Progetto Italia degli Innovatori” è Docente accreditato dal Ministero della Giustizia per la formazione dei Mediatori ed è responsabile scientifico di vari Enti di formazione e della piattaforma Juribit per la formazione e-learning degli Avvocati. Arbitro e Mediatore è autore di numerose pubblicazioni in materia di processo civile telematico, formazione, ADR, mediazione e conciliazione.

€ 15,00

Organismi di Mediazione e Formatori per la Mediazione Fino al parere sulle modifiche al d. m. 180/2010 da parte della Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, Adunanza del 9 giugno 2011

L’autore muovendo dall’attuale stato della giustizia in Italia, illustra le politiche legislative dell’innovazione in materia di processo civile e dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Partendo dalle ADR, rese necessarie dalla nostra attuale situazione emergenziale, vengono richiamati i precedenti di composizione alternative alla giurisdizione sia con riferimento alla nostra tradizione giuridica che alle esperienze, più recenti, fatte nei sistemi di cammon law. Il volume ripercorre le tappe fondamentali della mediazione, come recepita dal legislatore nazionale con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, fino alla normativa di attuazione del D.M. 180 del 4 novembre 2010 e dall’ultimo schema di modifica del regolamento attuativo e relativo parere del Consiglio di Stato del 9 giugno 2011. Il volume prosegue poi nella ricognizione precisa e puntuale della normativa degli organismi di mediazione e degli Enti di formazione; dei criteri e dei requisiti necessari per l’iscrizione al registro; delle problematiche relative alla formazione dei mediatori, al loro aggiornamento e alla loro specializzazione. Ampi ed approfonditi sono i riferimenti alle esperienze formative dei mediatori negli altri paesi dell’Unione Europea, delle quali il volume offre uno spaccato comparativo, e alla stessa normativa dell’Unione Europea in tema di formazione dei mediatori. L’analisi prosegue sui contenuti dei programmi formativi di base e di aggiornamento, ai requisiti dei docenti e del responsabile scientifico e alla disciplina transitoria di riconversione dei mediatori e dei formatori. Il lavoro si conclude con una puntuale illustrazione delle esperienza delle ODR.


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MICHELE GORGA

Organismi di Mediazione e Formatori per la Mediazione Fino al parere sulle modifiche al d. m. 180/2010 da parte della Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato, Adunanza del 9 giugno 2011


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I N D I CE PARTE PRIMA 1.1. 1.2.

Premessa : l’attuale stato della Giustizia Civile in Italia. La prima scelta strategica: le politiche dell’ innovazione in campo giudiziario e le best practices. 1.3. La seconda scelta strategica : l’impiego degli strumenti informatici nel processo. 1.4. La terza scelta strategica: il riconoscimento degli strumenti Alternativi di Risoluzione delle Controversie. 1.5. La mediazione in Italia e l’ambito applicativo del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28. 1.6. Il Procedimento di Mediazione. 1.7. La conciliazione amministrata. 1.8. Il regime tributario della mediazione, il credito d’imposta ed il regime fiscale dei corsi di formazione per mediatore.

PARTE SECONDA 2.1. Premessa : il decreto ministeriale 4 novembre 2010 n. 180 attuativo dell’art. 16 d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28. 2.2. Il Registro degli organismi. 2.2.1. Criteri per l’iscrizione e procedimento d’iscrizione al registro. 2.2.2. L’iscrizione al registro: l’obbligo a cui devono adempiere i responsabili degli organismi ai sensi del D.M. 180/2010. 2.3. I requisiti del mediatore nella previsione del D.M. 180/2010. 2.4. Considerazioni sui requisiti di formazione dei mediatori. 2.5. La formazione dei Mediatori nei singoli paesi Europei. 2.5.1. La formazione dei mediatori familiari. 2.6. La mancanza di una formazione in materia di ADR degli operatori delle professioni legali in Italia. 2.7. La normativa Europea in materia di formazione dei mediatori. 2.8. L’esperienza Italiana : I requisiti professionali dei mediatori nel previgente sistema della mediazione societaria. 2.9. La formazione nella previsione del decreto n. 180 del 4 novembre 2010. 2.10. Regolamento di procedura: obblighi degli iscritti e contenuto conforme alla previsione normativa. 2.11. Le sedi secondarie di organismi nazionali. 2.12. Sospensione e cancellazione dal registro degli organismi. 2.13. I servizi di mediazione, la prestazione del mediatore ed i


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criteri di determinazione delle indennità spettanti agli organismi. 2.14. Gli enti di formazione ed i formatori dei mediatori: l’istituzione dell’apposito elenco ed i criteri per l’iscrizione. 2.15. La nuova figura del responsabile scientifico degli Enti di Formazione previsto ai fini del loro accreditamento. 2.16. I formatori : la disciplina transitoria anche alla luce del decreto ministeriale n. 180 del 2010. 2.17. Le recenti proposte di modifiche al decreto ministeriale 180/2010. 2.18. Mancata previsione di una disciplina della mediazione telematica. Bibliografia


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PARTE PRIMA 1.1.

Premessa: l’attuale stato della giustizia civile in Italia.

La crisi della giustizia civile in Italia da almeno due decenni è oggetto di continue analisi sia giornalistiche che sociologiche, volte alla valutazione delle conseguenze negative che la grande mole di processi pendenti ha sul sistema economico del paese1. Tale stato della giurisdizione civile altro non segnala se non l’arretratezza procedurale e strutturale dell’attuale arcaico metodo di organizzazione del lavoro nel processo civile imperniato ancora intorno al “fascicolo.”2 A questo stato di cose il legislatore ha tentato di porre rimedio, da un lato, con l’introduzione dei riti alternativi quali l’arbitrato, la mediazione finalizzata alla conciliazione, o alle poco garantiste forme di riscossione coattiva - e, dall’altro, lo stesso legislatore è intervenuto a piene mani, con la modifica del rito 1 La relazione di apertura dell’anno giudiziario 2010 ha rappresentato una situazione allarmante per la giustizia civile italiana: 977 giorni per una causa civile di cognizione ordinaria di primo grado davanti ai tribunali; 837 giorni per le cause di previdenza; 628 giorni per le cause di lavoro non pubblico; 740 giorni per il lavoro pubblico; 270 giorni per i procedimenti esecutivi mobiliari; 1.213 giorni per i procedimenti esecutivi immobiliari. Esistono poi delle differenze quantitative e di composizione della domanda di giustizia tra Nord, Centro e Sud che disegnano un profilo di litigiosità del Sud non solo quantitativamente superiore ma anche sistematico per tutti i tipi di controversia analizzati. Siamo passati da 10 milioni di fascicoli, depositati nelle cancellerie di corti e tribunali italiani, a circa 11 milioni di fascicoli con una media di un cittadino su cinque in attesa di giudizio. Più della metà riguarda cause civili, che insieme a quelle di lavoro, superano quota 5 milioni e mezzo (incremento del 6% rispetto al 2009). Il confronto di questi dati in campo internazionale ci viene offerto dalla Banca Mondiale che ha elaborato una classifica attraverso il Rapporto Doing Business per il 2010. Per completare una procedura di recupero crediti sono necessari: 1.210 giorni in Italia; 515 giorni in Spagna; 406 giorni in Cina; 399 giorni in Inghilterra; 394 giorni in Germania; 331 giorni in Francia; 300 giorni in USA. I ritardi sono poi destinati ad aumentare perché nel confronto con paesi omogenei per dimensioni, livello di sviluppo economico e caratteristiche dei sistemi legali, l’Italia ha un tasso di litigiosità maggiore. Secondo i dati del Rapporto Cepej 2009, i conflitti sono tre volte e mezzo quelli della Germania e 2 volte e mezzo quelli di Francia e Spagna. 2 GORGA M. – CONTALDO A., Le regole del processo civile telematico anche alla luce della recente disciplina del SICI - in Diritto dell’Internet, fasc. n. 1/2008 IPSOA editore. M. CAMMARATA, Giustizia: il fascicolo informatico, in www.interlex.it; C. MATTIOLI, Il processo telematico, in www.foroeuropeo.it; G. BRIGANTI, Il cd. processo telematico, in www.foroeuropeo.it; Niger, Il processo telematico:speranze e prospettive, in www.diritto.it;


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tanto che allo stato attuale unanime è la richiesta degli operatori del diritto per l’unificazione, a poche fattispecie, delle tipologie procedurali e dei modi per affrontare una causa. L’unificazione dei riti nel processo civile è oramai un’emergenza irrinunciabile dato che vi è stata, fino ad oggi, una proliferazione caotica degli stessi. In merito basti qui ricordare che al rito disciplinato dal codice del 1942, per le cause iniziate prima del 30 aprile 1995, fece seguito la novella del 1990, per le cause iniziate dopo il 30 aprile 1995, quest’ultimo fu modificato dalla legge sulla competitività, la n. 80 del 2005 per le cause iniziate dopo il primo marzo 2006. Quest’ultima riforma fu poi disciplinata sulla falsariga del rito societario per le cause iniziate dopo il 1 marzo 2006. Recentemente poi si è intervenuti con una profonda riforma del rito che è stata fatta con legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha introdotto anche il rito sommario di cognizione, ed altre importanti novità ivi compresa l’abolizione del rito societario, a cui hanno fatto seguito il decreto legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito in legge 22 febbraio 2010 n. 24, con il quale si è modificato il regime delle notifiche telematiche. Tutte queste riforme, per adesso, hanno trovato ulteriore percorso con il decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28, con il quale si è introdotto, per molte materie, il tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda. A questo stato di cose devono poi essere aggiunti i vari riti speciali introdotti nel corso degli anni per singole tipologie di controversie in materia di lavoro, società, famiglia. Il solo processo ordinario di cognizione conta oggi ben quattro riti ai quali sono da aggiungersi quelli speciali per un totale di circa trenta modi diversi per affrontare una causa civile. Tutto ciò sottacendo delle altre riforme processuali quali ad esempio in materia di esecuzioni mobiliari, o la riforma del giudizio davanti alla Corte di Cassazione. Da qui nasce l’esigenza di una ricostruzione di tutto il modo di pensare alla giustizia civile, ricostruzione di cui, oggi, si sente l’assoluta necessità quando si deve purtroppo prendere atto - come si è costretti a fare - che la Giustizia, di cui il diritto costituisce il supporto, è in crisi profonda con tutta una serie di conseguenze negative di carattere sociale, economico e politico. Basti pensare all’intollerabile lungaggine dei processi, specie nelle aree meno infrastrutturate e di maggiore malessere economico del paese, con la conseguenza di fatto di un vero e proprio diniego di Giustizia, di ritardi e lentezze che non sono state affatto recuperate con la semplicistica soppressione delle garanzie per il cittadino, come è stato fatto con la sostituzione del giudice collegiale con quello monocratico che, invero, ha eliminato il contraddittorio tra i giudici decidenti in camera di consiglio che era l’elemento che distingueva l’attività giudiziaria da quella amministrativa come garanzia dell’imparzialità dei giudizi. Questo stato di cose è poi oggi sempre più aggravato dal fatto che la stessa legislazione


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concorre a porre in crisi il sistema nel suo complesso, anche attraverso la soppressione di elementari garanzie per la generalità dei consociati, come avviene per innumerevoli fondamentali compiti di benessere a cui è tenuta la P.A., o fondamentali servizi pubblici, o di mancanza di ogni tutela giurisdizionale dinanzi alle pretese tributaria e fiscale di un’amministrazione finanziaria sorda alle giuste istanze dei cittadini, basti pensare in merito all’attuale ibrida disciplina della formazione dei ruoli esattoriali. Questo stato di cose ha reso, nel tempo, sempre più determinate l’interpretazione della legge da parte dei giudici in funzione correttiva e integrativa, e quindi, sempre più decisiva la loro attività di ermeneutica inevitabilmente anche di scelta politica finendo, così, per modificarli geneticamente giacché gli stessi giudici non sono più soggetti alla legge, come il 2° comma dell’art 101 della nostra Costituzione prescrive, ma sono al di sopra della legge dovendola spesso completare, modificare o addirittura integrare per renderne più razionale l’applicazione. A questo stato di crisi del processo si è tentato di far fronte mediante il ricorso a una generalità di soluzioni, tra queste anche l’informatica. Ma l’uso dell’informatica da parte del giurista, sebbene oggi sia abbastanza diffuso nell’ambiente forense, raramente è accompagnato da nozioni tecnico-scientifiche che dovrebbero essere possedute da chiunque voglia farne un uso consapevole. Questa cultura sostanziale oggi ancora manca e non solo perché esistono pochissimi corsi universitari della disciplina, ma soprattutto perché è assente una seria programmazione didattica universitaria, sulla propedeuticità dell’insegnamento disciplinare specifico, non potendosi ritenere che vi possano sopperire gli scarni moduli didattici delle Scuole di Specializzazione delle Professioni Legali e gli asfittici moduli sul processo civile telematico. Così come inammissibile è l’assenza dell’obbligatorietà della formazione continua specialistica per l’avvocatura sulla disciplina.3 Il processo telematico nell’attuale esperienze storica, alla luce di queste considerazioni strategiche di fondo versa perciò in reali difficoltà, nonostante che con lo stesso oggi si miri al raggiungimento di obiettivi molto limitati, riassumibili nella duplice, ma diversa, possibilità di usare l’informatica nel diritto in una applicazione immediata che possiamo chiamare di “automazione formale”. Quest’ultima più superficiale, consistente nel far svolgere talune operazioni di rilievo giuridico attraverso il computer al fine precipuo di guadagnare in termini di tempo e di comodità (come, ad esempio, nel caso in cui si ricorra alla telematica per eseguire le notifiche), o nel liberare le cancellerie dal lavoro sul fascicolo per abbattere i tempi del c.d. “attraversamento”. Altra cosa, invece, da 3

GORGA M., la formazione professionale dell’avvocatura anche sulla luce delle discipline più recenti in Riv. amministrativa. Repertorio Italiano, 2009, 499 ss.


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divenire in tempi non immediati, è il suo utilizzo come “automazione sostanziale” ben più rivoluzionaria, per ripensare, in occasione dell’uso del computer e valorizzando tutte le sue caratteristiche e notevoli potenzialità, tutto il “modus operandi” prescritto dalle leggi per ricostruirlo su basi più razionali, più economiche, più democratiche, più rispondenti alle esigenze del tempo d’oggi.4 Quindi posto che le carenze della nostra giustizia civile, non sono denunciate dalle sole critiche interne, ma sono segnalate anche da studi internazionali, testimoniate dal disagio dei cittadini e delle imprese e nella durata dei processi, occorre, se pur brevemente, richiamare qui il confronto internazionale che si presenta, per la nostra giurisdizione, impietoso.5 Va rilevato, infatti, l’impressionante numero di condanne emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo - la CEDU - nei confronti del nostro Paese. E tuttavia deve essere qui segnalato che la crisi della giustizia non è affatto dovuta tanto alla carenza di risorse quanto ai difetti dell’organizzazione e nella carenza degli incentivi. L’Italia è, infatti, il paese che per il costo procapite del servizio giustizia spende più di ogni altro Paese preso a paragone.6 Orbene posto che la crisi della giustizia comporta effetti negativi sulla definizione dei rapporti economici, sull’affidabilità degli investimenti, sulla praticabilità dei rimedi e che l’enforcement dei provvedimenti ottenuti a seguito di processi lunghi e difficili7, e che in fin dei conti vanificano e 4

Vedi RIEM G., SICORRI GAUDENZI A., la giustizia italiana e le procedure informatizzate, Rimini ,2005 ,101 ss.. vv. anche CONTALDO A., GORGA M., E-LAW, le professioni legali la digitalizzazione delle informazioni giuridiche e il processo telematico. Soveria Mannelli 2006. 5 Nell’elenco della Corte Europea dei diritti dell’Uomo CEDU, i dati si riferiscono al 2006, ed il numero si riferisce alle denunce di violazioni : Albania 1; Andorra 0 ; Armenia 0 ; Austria 62; Belgio 44; Bulgaria 40; Danimarca 16; Francia 305; Germania 38; Grecia 204; Italia 1.258. Mentre per la spesa pro capite del servizio giustizia nei singoli paesi risulta che tra quelli presi a paragone l’Italia è lo Stato che spende di più e con servizio peggiore. 6 Nonostante i dati sulla durata del processo siano molto negativi, non sono da meno i dati relativi ai costi della giustizia. Spendiamo molto di più rispetto ad altri paesi europei che in cambio hanno tempi molto minori e vengono annoverati a livelli più alti nella classifica. I dati provengono dai rapporti come il Doing Business della Banca Mondiale e il Cepej, della speciale commissione costituita in seno alla Ue che deve valutare e mettere a confronto il livello di efficienza della giustizia nei paesi europei. Costo annuo della giustizia: Italia Francia Spagna Olanda rispettivamente € 4.088.000.0000; € 3.350.000.000; € 2.983.000.000; € 1.613.000.000. Il risultato è che ogni italiano spende 70 euro all’anno per l’amministrazione giudiziaria, contro i 53 dei francesi, i 68 degli spagnoli, i 106 euro dei tedeschi e 99 degli inglesi ma con la differenza che una controversia commerciale in Italia si conclude in 1.210 giorni mentre Francia e Spagna sono nella media europea di 472 giorni. 7 Secondo una classificazione fatta dalla Banca Mondiale nel rapporto Doing Business l’Italia figura, per il 2010, al settantottantesimo posto per durata del procedimento nelle controversie commerciali, in calo rispetto al 2009 e distante dagli altri paesi sviluppati. Per la Banca d’Italia un’impresa


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banalizzano la certezza del diritto, il problema che si è posto è stato quello della ricerca di soluzioni strategiche nell’immediato e nel medio periodo per risolvere la crisi del sistema giustizia. Economisti e giuristi attenti al diritto “in azione” s’interrogano sulla capacità di risolvere in modo rapido e giusto le controversie tra gli operatori e quelle tra gli operatori e consumatori, sicchè si sono autoimposte scelte strategiche che sono stati individuate nelle politiche dell’innovazione e nella riorganizzazione del sistema del lavoro giudiziario, nello sviluppo delle ADR, della mediazione e conciliazione e nella definitiva realizzazione del processo civile telematico. 1.2.

La prima scelta strategica:le politiche dell’innovazione in campo giudiziario e le best practices.

Le politiche per la sviluppo della ricerca dell’innovazione e per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, hanno un ruolo strategico nel settore vitale dell’amministrazione della giustizia essendo, più di altre, il motore per far crescere la competitività del Paese e superarne così i ritardi. La scarsa capacità innovativa del settore pubblico in generale – e di quello giudiziario in particolare - costituisce, infatti, una delle principali fonti del ritardo di competitività del Paese. Proprio per superara questo ritardo notevoli sono le spinte della politica regionale, comunitaria e nazionale volte ad evidenziare la necessità dell’ innovazione e dell’applicazione della conoscenza e al migliore utilizzo del potenziale applicativo delle nuove Tecnologie. Le attuali debolezze, dunque del sistema “giustizia” appaiono proprio dovute all’inadeguato clima concorrenziale e di assenza di valutazione del merito dell’amministrazione pubblica in generale e di quelle della giustizia in particolare, e quest’ultima amministrazione rispetto alle altre, pare che voglia godere all’infinito di una non più tollerabile rendita di posizione che la proiettano ai livelli di competenza più bassi in ordine al servizio reso. Questo stato di cose scaturisce dallo scarso coinvolgimento dei lavoratori del settore giustizia al processo innovativo, nonostante le nuove opportunità offerte dalle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e dalla difficoltà a tradurre, nel sistema del lavoro giudiziario, queste nuove tecnologie in innovazioni in Italia per avere giustizia in una controversia commerciale deve aspettare in media 1.995 giorni (5 anni 4 mesi e 8 giorni) e tra Nord e Sud la media sale a 2.226 giorni (oltre 6 anni) mentre nel Nord Ovest i tempi si riducono a 1.826 giorni. Le imprese dalle procedura d’insolvenza riescono a recuperare solo il 51,60% del capitale. Nei primi mesi del 2010 i fallimenti sono aumentati del 46% .


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organizzative, dato che si reitera in esse il geloso mantenimento di metodi lavorativi arcaici in capo alla classe forense, alla magistratura e al personale amministrativo, categorie che appaiono poco incline alle innovazioni e ad accettare trasparenze e valutazioni dell’operato. Il mondo giudiziario in generale, e le singole unità operative dell’amministrazione della giustizia quali Corti, Tribunali, Procure, pongono non poche resistenze ai nuovi ed innovativi metodi di organizzazione del lavoro giudiziario e alle nuove regole offerte dalla Tecnologia. Si concepisce cioè il software, il computer come qualcosa di alieno non solo per non conoscenza, ma sopratutto per distanza culturale rispetto alle nuove procedure informatizzate del lavoro giudiziario e ciò in ragione del fatto che gli operatori del settore giudiziario si sono formati e sono stati selezionati e reclutati in epoche in cui le abilità informatiche non erano richieste. Ecco perché occorre un ripensamento del lavoro giudiziario, che non può prescindere dall’innovazione tecnologica e della massiccia immissione di capitale umano, istruito all’uso degli strumenti della tecnologia, in modo da rivoluzionare totalmente l’ accesso alla giustizia, attraverso tutta una serie di servizi fruibili solo on line, cosi come quasi tutte le altre attività dovrebbero essere fruibili nella stessa modalità, riducendo così l’accesso fisico al servizio giustizia solo per la trattazione orale delle cause e per l’istruttoria integrativa. E’ di tutta evidenza che ciò potrà essere assicurato con interventi programmatori e attuativi rivolti a promuovere, o comunque indurre la massima sensibilizzazione della domanda da parte dei cittadini per la diffusione dei servizi on line. In questo senso l’amministrazione della giustizia può svolgere un fondamentale ruolo di traino e di stimolo alla diffusione e all’uso delle Tecnologie attraverso un’erogazione efficace ed efficiente del servizio ai cittadini-utenti (front office). L’attuale configurazione a compartimenti stagni del sistema organizzativo dei Tribunali rende oggi particolarmente difficoltoso la diffusione delle best practices che pure esistono all’interno del sistema come dimostrano i casi delle esecuzioni immobiliari, e di alcuni Tribunali particolarmente attenti alla programmazione del lavoro, si vedano ad esempio in proposito le esperienze del Tribunali di Torino e della Procura di Bolzano che sono state molto pubblicizzate a livello nazionale, ma alle quali non hanno fatto seguito esperienze significative a livello generale. Trasparenza, conoscenza, informazione e risultati messi a disposizione di tutti in tempo reale, facilitano i percorsi di benchmarkinge favoriscono i processi di apprendimento organizzativo basati non su modelli astratti bensì su “prassi virtuose”, sperimentate da altri operatori del sistema e che possono essere assunte, modificate, arricchite e adattate. L’attuale configurazione organizzativa del processo,


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dei Tribunali, e relative relazioni con gli avvocati impedisce l’acquisizione di una cultura e di una logica dei servizi che metta al primo posto la relazione organizzazione-utente (stakeholder), l’individuazione delle responsabilità, la definizione in tempi certi, i diritti dell’utente e la ricerca della qualità del servizio stesso. L’utilizzo sistematico delle nuove tecnologie comporterà, invece, inevitabilmente un aumento della trasparenza in tutto ciò che è prodotto dai singoli e dall’organizzazione del suo complesso. L’approccio sistemico all’organizzazione del lavoro giudiziario e delle procedure lavorative richiede, quindi, un disegno si diceva, non casuale ma scientifico, retto da una filosofia innovativa del servizio pubblico e un raccordo organico tra tutte le componenti organizzative, tecnologiche e regolamentari del sistema 8 giustizia. Un approccio multidisciplinare nell’ottica di studio e verifica delle nuove soluzioni, con ricorso ad un percorso di progettazione, che sulla base di un programma generale gestibile a livello nazionale, veda a livello locale le singole realtà giudiziarie, tra loro raccordate, nelle soluzioni informatiche di analisti di organizzazione dei processi lavorativi il più alto coinvolgimento di esperti nelle differenti discipline dell’informatica e del diritto quali avvocati, giudici e cancellieri. Questi sono i veri attori-utenti principali del settore giustizia e questi sono i lavoratori del settore giudiziario e non è concepibile una riorganizzazione senza la partecipazione dei principali utenti del sistema. Occorre quindi un modello generale volto a superare le mere esperienze dei c.d. “progetti pilota” che non hanno mai avuto attuazione definitiva, nelle varie sedi, di sperimentazione in giro per l’Italia dato che sono rimasti solo dei “progetti”. La metodologia da utilizzare, invece, è quella che deve rivolgersi in primis a tutti gli operatori del sistema giustizia è all’organizzazione dei loro processi lavorativi, alla loro formazione sia frontale che in modalità e-learning e quindi, in quest’ultima modalità, in modo continuo e permanente. In secundis la finalità è quella di costituire un sistema valido dal punto di vista tecnico e dal punto di vista funzionale, verificabile nelle sue specifiche e nelle sue modalità operative, allo scopo di renderlo replicabile su scala nazionale. Occorre, perciò, coinvolgere, oltre al personale tecnico gli esperti in processi di organizzazione del lavoro, gli esperti delle misurazioni statistiche, i contabili e sopratutto quelli che saranno gli utilizzatori e i fruitori del sistema giustizia e cioè giudici, cancellieri avvocati, personale di Cancelleria. In definitiva una metodologia che rappresenti una inversione a U rispetto a tutte le altre metodiche che sino ad oggi sono state utilizzate per realizzare il processo telematico nella giustizia civile. Queste 8

Vedi ZAN S., Fascicoli e Tribunali . Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna , 2003, 82 ss.


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metodologie, infatti, sono state adottate da tecnici asettici calati in una realtà dagli stessi non pienamente conosciuta ed impiegati alla costruzione di modelli rivolti ad operatori della giustizia totalmente esclusi da ogni partecipazione ai processi di raccolta dei dati e dei bisogni, di progettazione e realizzazione di “modelli” calati dall’alto e destinati al fallimento in assenza di ogni coinvolgimento e formazione del personale delle cancellerie e degli operatori della giustizia.9 E’ bene sottolineare che aspetto completamente innovativo del lavoro e dell’organizzazione giudiziaria è quello dello sportello virtuale ossia la strutturazione dei servizi delle Corti e dei Tribunali, delle cancellerie virtuali, delle segreterie virtuali, l’ufficio virtuale, fascicolo, rubriche e registri virtuali.10 È pleonastico asserire come la dematerializzazione spaziotemporale delle informazioni relazionali – digitalizzazione –, con sostituzione della carta nelle relazioni tra giudici-avvocati, cancellieri-uffici esterni, consente di effettuare per via telematica operazioni sino ad oggi fatte di persona. Inoltre la piena e puntuale conoscenza, aggiornata in tempo reale, del ruolo di udienza e la possibilità di “organizzare” e “selezionare” le informazioni, ha dei vantaggi immediati ed innegabili, nell’esercizio dell’attività difensiva, oltre a liberare il personale di cancelleria dalla manipolazione della carta. Ancora ogni giudice potrà organizzare il proprio ruolo e l’agenda delle udienze in modo da poter dare decisioni immediate con una significativa riduzione dei rinvii e delle riserve con maggior spazio per i tentativi di conciliazione, con benefici effetti sui tempi della resa decisione. Una causa programmata e preparata dal giudice, grazie agli strumenti telematici, rende immediatamente accessibile tutti gli atti del fascicolo informatico e trasforma così l’udienza da mero momento di ricerca ed aggiornamento “documentale”, tra giudice ed avvocati in ordine allo stato dell’arte della causa, a vero momento di discussione nel merito della stessa con un recupero assoluto della dimensione orale del processo e delle rispettive funzioni costituzionalmente tutelate della difesa e dall’esercizio della giurisdizione.11 L’applicazione delle nuove tecnologie, che di per sé riduce solo alcuni dei tempi e delle attività del processo, di converso libera anche le intelligenze di tutti coloro, cancellieri in primis, che oggi sono costretti a dedicare una parte cospicua del loro tempo alla semplice “manipolazione” e gestione del fascicolo che non dà alcun 9

Vedi FADDO S., L’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, in Diritto delle nuove tecnologie informatiche e dell’internet, a cura di CASSANO G., Milano, 2001, 1507 ss. 10 Ancora ZAN S., op. et. loc.supra cit. 11 Ci si permette di rinviare al nostro,E-law, cit.121 ss.;MORO P., L’informatica forense. Verità e metodo, Cinisello Balsamo (Milano), 2006 96 ss.; BUONOMO G., il nuovo processo telematico, Milano, 209, spc. 92 ss.


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valore aggiunto alla sostanza del processo.12 Considerando che in una qualsiasi struttura di servizio il capitale umano è da considerarsi risorsa principale, liberare intelligenze significa arricchire notevolmente le dotazioni di base del sistema a parità di costi. Ciò è particolarmente vero in un sistema organizzativo, come quello dei Tribunali e delle Corti d’appello, dove rilevanti quote di personale laureato è prioritariamente dedicato ad attività di tipo segretariale. L’obiettivo è quello di realizzare la progressiva sostituzione degli sportelli fisici e delle tradizionali modalità di accesso all’ufficio ed ai fascicoli, sostituendo l’accesso fisico con l’accesso telematico ai”portali” delle sedi giudiziarie, “portali sul web” che dovranno consentire non solo lo scambio documentale, ma anche informativo e di servizio.

1.3. La seconda scelta strategica: l’impiego degli strumenti informatici nel processo. Le strategie d’impiego degli strumenti informatici nell'ambito della giustizia le possiamo ricondurre a due modelli principali di utilizzo: un primo come semplice linea d’accesso alla maggiore quantità possibile di informazioni sulla giustizia, alle leggi e regolamenti, alle informazioni sulle procedure, alle possibilità di opposizione date dai singoli ordinamenti, alle banche dati sulle sentenze, nonché come mezzo di invio dei documenti legali necessari all'avvio e svolgimento di un procedimento; l’altra come luogo virtuale dove avviare e sviluppare un procedimento, come è avvenuto ad esempio per le A.D.R. trasformatesi nel sistema americano in ODR13 ossia in on-line dispute resolutions. L'Unione europea grazie alle 12

Vedi BUONOMO G., La firma digitale e il processo telematico, Milano, 2004,121 ss. 13 A proposito di quest’ultima Ethan Katsh, Direttore del Center for information technology and dispute resolution dell’Università del Massachussets Amherst, pioniere e fautore delle ODR, - acronimo di On line Dispute Resolution - diceva che “Il cyberspazio può essere un grande spazio, nel senso che non c’è quasi alcun limite ai soggetti che possono partecipare in esso ed alle attività che possono aver luogo on line. Tuttavia, è anche un ambiente in continua crescita e cambiamento ed è improbabile che queste condizioni non contribuiscano a creare conflitti… Seppure abbiamo costruito meravigliose e facilmente accessibili risorse per il lavoro, per il commercio, per l’insegnamento ed il gioco on line, abbiamo però trascurato di progettare sistemi per risolvere le dispute che si sarebbero presentate ed essendo il cyberspazio anche un luogo dove mezzi sempre più potenti per la comunicazione, lo stoccaggio ed il trattamento di informazioni vengono continuamente sviluppati, per questo, a ben vedere, può tramutarsi in uno spazio di risoluzione delle controversie”. Internet che è stato definito “il più grande centro di esperienza collettiva noto all’umanità” può offrire al navigatore – che diventa consumatore-acquirente - una gamma completa ed esauriente di servizi incluso quello di una soluzione rapida ed efficace dell’eventuale disputa insorta nel corso della navigazione e segnatamente a seguito dell’approdo e della visita con contrattazione in un sito commerciale.


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politiche messe in atto in esecuzione dei Trattati di Maastricht del 1992 e di Amsterdam del 1999, ha promosso e promuove la cooperazione in materia di sviluppo delle tecnologie informatiche in materia di amministrazione della giustizia basti pensare ai numerosi finanziamenti messi in atto, e tra questi vanno menzionati sicuramente quelli rivolti alla costituzione di banche dati valide, ben strutturate e di facile accesso per il cittadino, basti citare il progetto RIS austriaco, il progetto italiano Norme in rete, il sito Web francese Legifrance, quello inglese di Law Commission. Per quanto riguarda il trattato di Amsterdam, l'art. 255 dispone il diritto d’accesso da parte di tutti i cittadini europei a tutti i documenti degli organi dell'Unione secondo principi generali contenuti nel regolamento 1049/2001. E’ sulla base di detta normativa che è stato così sviluppato il motore di ricerca Eurlex, gratuito dal 2004, che consente il libero accesso a leggi, regolamenti e norme europee, alle Gazzette Ufficiali dell'Unione europea, grazie anche al collegamento alla banca dati Celex, esistente quest'ultima sin dal 1980. Nel 2008 la Commissione europea ha annunciato il varo di un programma - che dovrà essere reso compatibile a tutti i livelli nazionali - di miglioramento dell'efficienza degli apparati di giustizia nazionali ed europeo, elemento centrale di una strategia per la realizzazione di una e-justice14 che non dovrebbe richiedere nuove iniziative legislative di modifica dei fondamenti giuridici esistenti, ma una efficace ed efficiente valorizzazione ed implementazione di quanto già esistente. Molte azioni quali il completamento della disponibilità degli ordinamenti on-line, il rendere disponibile la conoscenza di crimini e condanne, in particolare per le cause più significative ed il rafforzamento della cooperazione per favorire lo scambio d’informazioni, con gli esistenti database ed il ricorso alle videoconferenze sono già tutte modalità immediatamente attuabili. Con la raccomandazione 2008/2125 del Parlamento europeo alla Commissione si sono avviati, poi, i lavori per lo sviluppo ed il ricorso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) nel settore della giustizia, segnatamente mediante la creazione di un portale europeo.15 La creazione di un portale elettronico che applichi le TIC consente un migliore accesso alla giustizia ed una razionalizzazione e semplificazione oltre che una riduzione dei costi. Lo sviluppo di un tale processo va però messo in atto, come rilevato dalla Commissione europea per l'efficienza della giustizia, sotto un controllo istituzionale a livello strategico. Tale sviluppo comporterà, nel lungo periodo cambiamenti fondamentali del diritto processuale, la messa in 14

FALLETTI E. “E-Justice” Ed. Giuffrè 2008; Vedi anche A. CONTALDO – M. GORGA l’arringa elettronica. Op. cit. 15 Obiettivo prioritario e fondamentale se si pensa che è stato stimato che nel solo ambito UE circa 10 milioni di cittadini europei sono coinvolti in cause transfrontaliere.


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rete dei registri commerciali, catastali, risultato al quale si potrà arrivare, attraverso l'interoperabilità delle reti, successivamente con la realizzazione del processo telematico, ossia la gestione di tutte le informazioni, dall'atto di citazione alla sentenza, in forma digitalizzata, fino alla fase successiva di soluzione delle controversie più semplici via Internet come nel caso dell’ODR.(6) Quest’ultima è strumento molto usato, specialmente nelle transazioni commerciali. Con le ODR si procede per tappe, nel senso che si passa dalla fase iniziale della “transazione automatica”, fino alla “transizione assistita”, a mezzo provider che mette a disposizione delle parti un software che permette il dialogo, per giungere alla “conciliazione” per mezzo di un mediatore che formula pareri e raccomandazioni. Si pongono certo non marginali problematiche in ordine alle esigenze di controllo pubblico e di trasparenza e uguaglianza dinanzi alla legge. Un aspetto, poi, che la Commissione dovrà sicuramente curare è quello relativo al fatto che tutta la futura legislazione dovrà essere pensata e concepita per poter essere utilizzata in applicazioni on-line, ogni modulo dovrà essere disponibile in rete in versione digitale ed in tutte le lingue ufficiali dell'UE e dovrà essere assicurata l'assistenza on-line, con ricorso alla videoconferenza attraverso stanziamenti specifici prevedendosi la disponibilità di traduttori e interpreti, anche automatici online. Ciò comporta un ripensamento globale della legislazione esistente in materia civile in modo da renderla compatibile con la giustizia elettronica, semplificando quanto più possibile per rendere accessibile veramente la giustizia, soprattutto alle cause transfontaliere,16 concentrando l'azione sul diritto preventivo 16

Fonte : www.coe.intIl progetto S.T.O.R.K. E' un progetto pilota su grande scala, denominato S.T.O.R.K. (Secure idenTity acrOss boRders linKed) che mira a realizzare un sistema europeo di riconoscimento transnazionale dell'identità elettronica. Il progetto permetterà ai cittadini dell’UE di dimostrare la loro identità e di utilizzare sistemi nazionali d’identità elettronica (password, carte d’identità, codici PIN e altri) in tutta l’UE, e non solo nel loro paese d’origine. Tale progetto, pensato principalmente per i programmi di E-Government, porterà di riflesso indubbi benefici nell'ambito dei programmi di E-Justice europei. Mira ad avviare numerosi progetti pilota transnazionali basati sui sistemi nazionali esistenti. Grazie alla sua ampiezza e alla sua natura dinamica, permetterà di superare gli ostacoli tradizionali e favorirà il riconoscimento reciproco delle identità elettroniche d’altri paesi. Al termine del progetto, i cittadini dovrebbero poter eseguire questo tipo d’operazione utilizzando la propria carta d’identità elettronica nazionale. Il progetto avvicina l'Europa agli obiettivi di mobilità senza ostacoli tra i paesi dell'Unione europea in un mercato unico senza frontiere. Rappresenta anche un importante passo in avanti verso scenari futuri, poiché a oggi i vantaggi offerti dai servizi in linea scompaiono, quando un cittadino prova ad utilizzare una carta d'identità elettronica emessa in un paese per accedere ai servizi di un altro paese. Tale progetto mira ad avviare numerosi progetti pilota transnazionali basati sui sistemi nazionali esistenti. Le soluzioni sviluppate e l’esperienza acquisita dal gruppo del progetto saranno condivise con tutti gli Stati, indipendentemente dal fatto che partecipino o no al progetto pilota. Il nuovo


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evitando così le spese tipiche derivanti dal diritto internazionale privato. Il portale europeo di giustizia elettronico dovrà garantire l'accesso alle banche dati giuridiche, garantire la comunicabilità e, mediante links di collegamento agli elenchi d’avvocati, notai, revisori, traduttori, consentire operazioni quali la facile e rapida individuazione di un difensore civico, trovare un avvocato di un altro Stato membro che parli nella lingua necessaria. Il tutto garantendo livelli d’accessibilità differenziati, commisurati ai differenti ruoli del giudice, del cancelliere, dell’avvocato. Ma oltre a quelle che sono le politiche dell’U.E. in materia di “Giusinfonautica”17 pare utile qui analizzare per sommi capi alcuni dei modelli Nazionali dei paesi membri dell’Unione e ciò al fine di meglio comprendere l’informatizzazione del diritto processuale sia esso civile, penale, amministrativo, tributario o contabile. Muoviamo perciò dall’analisi di alcuni dei modelli nazionali maggiormente sviluppati in Europa. La Germania ad esempio18 è uno dei paesi che ha compiuto i maggiori sforzi nel settore dell'informatizzazione, sia a livello verticale, ossia fra organi centrali dello Stato che orizzontale, vale a dire, tra gli organi federali dei Länder. L'esperienza tedesca, una delle prime in Europa, è iniziata nel 1966 con la creazione della Commissione Federale e Statale per l'informatizzazione e razionalizzazione della giustizia (BLK) e dei primi progetti d’informatizzazione dei Länder fra gli anni '60 e '70, coi progetti di informatizzazione del catasto, e per la riscossione dei crediti. Di rilievo, nel settore della giustizia, l'istituzione del Gruppo di sistema, che non sostituirà i sistemi nazionali, permetterà ai cittadini di identificarsi in via elettronica in modo protetto e trattare con le amministrazioni pubbliche, sia da uffici pubblici, sia dal loro computer o da qualsiasi altro dispositivo mobile. Ciò significa, ad esempio, che uno studente potrà iscriversi ad un’università straniera tramite l’identità elettronica assegnatagli nel paese d’origine. Esistono già alcuni servizi transnazionali: un portale internet belga, ad esempio, permette alle imprese straniere di registrarsi per assumere cittadini svedesi. Al termine del progetto, i cittadini dovrebbero poter eseguire questo tipo d’operazione utilizzando la propria carta d’identità elettronica nazionale. Il programma sarà sviluppato nell'ambito del quadro per la competitività e l’innovazione (CIP) dell’Unione europea. Il programma di sostegno strategico in materia di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), uno dei tre programmi operativi del CIP, promuove l’innovazione e la competitività mediante l’adozione generalizzata delle TIC e il loro migliore utilizzo da parte dei cittadini, delle imprese e dei governi. Il progetto sostanzialmente mira a garantire la prestazione transnazionale di servizi basati sulle TIC già operativi a livello nazionale, regionale e locale. I progetti pilota su grande scala sono imperniati su questi ultimi per definire specifiche comuni che possono venire ulteriormente sviluppate ed essere oggetto di un più ampio consenso, per consentire ai vari sistemi nazionali di comunicare e interagire tra loro. 17 Giusinfonautica qui intesa come l’applicazione operativa dell’informatica e della telematica per la navigazione nel fascicolo sia esso civile, penale, amministrativo, tributario o contabile come momento di realizzazione del contraddittorio processuale. 18 FALLETTI . “E. Iustice” - Ed. Giuffrè, pp. 127 e ss.


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lavoro sul traffico giuridico elettronico, col compito di realizzare un sempre più stretto rapporto fra Rete e Giustizia. Il Ministero di Giustizia federale da anni poi dispone di collegamenti con tutte le Corti specializzate, con i Tribunali federali e con la Corte costituzionale. Il portale della giustizia offre un’elevata interazione con altri settori della pubblica amministrazione e notevoli sono i progressi nell'ambito del processo civile, con la procedura di identificazione del mittente dell'atto giuridico e la possibilità d’invio di atti giudiziari in forma elettronica anche da parte di chi non è titolare di firma digitale. In tale ambito la scelta del legislatore è stata quella di un’interpretazione flessibile delle norme processuali, rendendole quanto più possibile adattabile allo sviluppo tecnologico, con il raggiungimento dei più elevati standard di sicurezza. Altri elementi di rilievo sono l'introduzione della videoconferenza nelle udienze del processo civile e la gestione dell'archivio documentale dal computer di ogni operatore. Per i Decreti Ingiuntivi, in Italia siamo ancora agli albori, mentre l’automazione raggiunta in Germania è notevole, infatti, è stata accettata l'idea che l'interesse delle parti sia delegata a programmi software utilizzabili via Internet, e che lo svolgimento di tale procedimento, in alcune delle sue parti, quali ad esempio l’ istruttoria e lo scambio di memoria di replica sia gestito in modo on-line e ciò sin dal 2001. Il valore legale dei documenti è garantito dalle procedure di convalida stabilite dal giudice delle ingiunzioni. La tutela delle parti è garantita ex-post, in una fase successiva comparendo dinanzi all'organo giurisdizionale attraverso il meccanismo dell'opposizione.19 Notevolmente sviluppato è anche il procedimento fallimentare che è di competenza della Corte ordinaria, con trasparenza d’informazioni sui dati inerenti il patrimonio del debitore, che possono essere pubblicati per esigenze procedimentali, anche se a scapito del diritto alla riservatezza.20 I Tribunali elettronici e la casella di posta elettronica certificata rappresentano un importante progetto di riforma, avviato inizialmente in via sperimentale nel Land di Brema e che, nello specifico, consente di interagire elettronicamente con tutti gli organi di giustizia presenti nel Land.21 In Gran Bretagna l'innovazione tecnologica del sistema 19

I risultati ottenuti in Germania sono eloquenti, alla fine del 2006 il 96% delle richieste d’ingiunzione di pagamento avveniva tramite Internet, con evidenti benefici in termini economici e d’efficienza del servizio d’amministrazione giudiziaria. 20 Sono così resi pubblici dati quali nome, cognome, residenza, estremi della procedura fallimentare. La privacy soccombe in favore delle esigenze di trasparenza nei rapporti con i creditori, ma tale squilibrio viene in qualche misura temperato dalla garanzia del continuo e tempestivo aggiornamento delle informazioni, evitando al fallito una prolungata ed ingiustificata esposizione, comunque limitata ai tempi di svolgimento del procedimento. 21 Dopo la prima fase sperimentale si è esteso a tutti i Land. Per dare piena efficacia a tali innovativi sistemi elettronici la riforma è stata affiancata da


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giudiziario ha avuto uno sviluppo a fasi che possono essere riassunte sostanzialmente in due. Una prima fase, nella quale possiamo far rientrare quelle che sono state rivolte all’automazione interna del sistema giudiziario, e una seconda fase, nella quale possiamo far rientrare quelle rivolte all’ottimizzazione del sistema. Importante è stato in merito lo sviluppo delle Online Dispute Resolution che ha permesso di sottrarre un imponente numero di cause seriali alle Corti e ai Tribunali. Il primo modello inglese di realizzazione di una Corte virtuale è rintracciabile nel Money Claim Online (MCOL)22 nel quale le spese del procedimento sono anticipate dall'attore e pagate a mezzo della carta di credito. La prima fase della causa avviene esclusivamente on-line ed il convenuto, una volta ricevuta la notifica della Claim, può opporsi entro 14 giorni, sia telematicamente che in modo convenzionale. Il sistema calcola poi automaticamente l'importo della Claim comprensiva delle spese legali. La controversia è chiusa quando la controparte versa la somma stabilita, il sistema a questo punto segnala l'avvento pagamento, mettendo a disposizione delle parti gli estremi della sentenza. Sulla base dell’esperienza positiva del MCOL lo stesso metodo è stato applicato anche alle cause relative al possessorio, nonché al recupero della morosità nella locazione. Questo sistema è stato denominato Possession Claim Online (PCOL) nel quale decide il giudice competente per territorio. Il pagamento delle spese e le somme a titolo di risarcimento possono essere saldati a mezzo di carta di credito e sulla base dell’intervenuto pagamento viene generata automaticamente l'agenda delle udienze. La causa è iniziata Online e procede poi in aula davanti al giudice. Quest’ultima caratteristica differenzia il PCOL dal MCOL dove, invece, in assenza di opposizione dell’intimato la causa si svolge interamente Online.

1.4. La terza scelta strategica : il riconoscimento degli strumenti Alternativi di Risoluzione delle Controversie. La nascita ufficiale dei metodi alternativi per la composizione dei conflitti, ossia le c.d. Alternative Dispute Resolution23 modifiche ad hoc delle leggi federali, come la legge sulle comunicazioni giudiziarie e la notifica di atti e documenti processuali in via telematica. 22 Con questo sistema, che ha avuto inizio nel 2002, sono adesso avviate circa 600 cause a settimana. I vantaggi derivanti dal suo utilizzo si possono riassumere in una massimizzazione del recupero dei crediti, in un sostanzioso alleggerimento del sistema giudiziario da un consistente numero di cause seriali di recupero danni, consentendo così di impegnare al meglio tempo, uomini e risorse nelle cause più impegnative. 23 Il termine ADR è un acronimo derivante dalla lingua inglese il cui significato è Alternative Dispute Resolution cioè risoluzione alternativa delle controversie ed indica, con dizione generica, tutti i sistemi di


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(ADR), in USA viene, convenzionalmente, fatta coincidere con la Pound Conference, ossia con la conferenza celebrativa del settantesimo anniversario del discorso tenuto da Nathan Roscoe Pound,24 uno dei padri, con Sander25 del diritto civile risoluzione delle controversie diversi da quello statale. Secondo la definizione internazionalmente accettata Alternative Dispute Resolution refers to any means of settiling disputes outside of the courtroom. ADR typically includes arbitration, mediation, early neutral evaluation, and conciliation. La caratteristica delle ADR è quindi quella di essere un’ alternativa al sistema ordinario di risoluzione delle controversie. 24 Pound nacque nel 1870 a Lincoln nel Nebraska negli Stati Uniti ad Harvard. Allo studio del diritto lo spinge il padre ed è proprio l’ esperienza ad Harward che lo segna e lo determina verso il diritto. Nel 1895 insegna giurisprudenza e diritto romano presso l'Università del Nebraska. Quattro anni dopo viene nominato assistente alla cattedra. Nel 1903 viene nominato preside dell’Università of Nebraska, College of Law che lascia nel 1907 per insegnare alla Northwestern Law School per due anni, poi all'Università di Chicago School of Law, ed infine nel 1910 ad Harvard dove insegna fino alla sua morte intervenuta nel 1964. Nel 1916 intanto era diventato preside della Harvard Law School e lo fu fino al 1936. Repubblicano liberale fu fautore del pragmatismo giuridico fondendo insieme le idee europee del diritto sociale e quelle liberali repubblicane progressiste e dando così vita alla cd. "giurisprudenza sociologica ". Avversario del "formalismo", ossia dell'idea che la legge è una serie di concetti a partire dalla quale derivavano le regole giuridiche egli fu fervido sostenitore dell’approccio sociologico al diritto. Teorizzo, infatti, che la legge nasce dalla realtà sociale e politica che è sempre in continua mutazione con il mutare dei tempi essendo, la legge, solo un prodotto delle scelte umane che a volte sono solo scelte di parte. Scrive nel 1907 L’interpretazione spuria e Lineamenti di Lezioni di Giurisprudenza. Nel 1914 Lo spirito del Common Law, nel 1921 diritto e morale e nel 1930 La giustizia penale in America. Componente della fondazione e della redazione del primo giornale USA in materia di diritto comparato fu anche il fondatore del movimento per "giurisprudenza sociologica", e critico influente della Corte Suprema degli Stati Uniti. Fu uno dei primi leader del movimento americano dei “legali realisti” e sostenne la necessità di una interpretazione pragmatica del diritto e di una maggiore attenzione su come si svolge effettivamente il processo di formazione delle legge ed interpretativo e contrapponendosi all’arido formalismo giuridico, che in quel momento prevaleva nettamente nella giurisprudenza americana, teorizzo l’interpretazione sociologia della “composizione degli interessi”. A ciò lo determinò fortemente il fatto che nel 1920, per la prima volta, i consumi piuttosto che la produzione erano diventati la preoccupazione principale del mercato sicchè ebbe modo di verificare che fino a quel momento i legislatori, con il pretesto del formalismo avevano coperto ciò che realmente era stato il diritto-maker ossia un mero calcolo di interessi sociali. Osservò quindi che in questi calcoli non vi era alcun processo astratto di puro ragionamento giuridico, ma una serie di compromessi, di interessi sociali, vestiti in forma giuridica. 25 Frank Sander - Università di Harvard -, in ordine alle ragioni della crescente insoddisfazione pubblica verso l’apparato giudiziario, teorizzo durante una conferenza tenutasi nel 1976 un approccio innovativo per alleviare il carico di lavoro delle Corti e dei Tribunali Americani. Egli definì in quell’occasione il concetto della multi-porta del palazzo di giustizia. Cioè immaginò un grande palazzo di giustizia nel quale la risoluzione delle controversie avvenivano mediante l’accesso a porte e programmi multipli. I casi cioè dovevano subire una preliminare diagnosi per individuare a quali porte avrebbero potuto accedere per trovare una loro pronta risoluzione. Detti programmi diagnostici potevano poi essere situati


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statunitense, dinanzi all’associazione degli avvocati americani, sul tema relativo alle cause della disaffezione popolare verso l’amministrazione della giustizia in America. Pound, con un discorso che per la nostra esperienza storica, in ordine a quello che è lo stato della giurisdizione civile, possiamo ritenere di grande attualità, muovendo da semplici premesse in ordine alla condizione della giurisdizione nel sistema Nord-Americano, osservava come nonostante cinquanta anni di riforme sia dell’organizzazione giudiziaria, che nella disciplina del processo civile, nessun buon risultato si era prodotto sull’arretrato del contenzioso civile giacente presso le Corti ed i Tribunali Americani. Sulla base di dati inconfutabili in ordine all’arretrato giudiziario, i suoi allievi formularono una serie di proposte volte a sottrarre alle Corti civili americane alcune categorie di controversie. Tali controversie sarebbero state poi affidate a organi di decisione estranei all’apparato giurisdizionale, organismi di natura privata che operando sulla base di procedure flessibili l’avrebbero composte senza fare ricorso alla giurisdizione. Ed è proprio grazie all’affermazione di queste proposte che ebbero modo di svilupparsi, nel sistema nord-americano, accanto alle procedure di arbitrato, conciliazione e mediazione tutta una miriade di associazioni, enti, uffici che cominciarono ad operare nel settore dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. I cittadini ebbero così la possibilità di accedere ad una giustizia semplice e rapida ottenuta attraverso un procedimento personalizzato. Attualmente negli Stati Uniti la risoluzione delle controversie civili può avvenire quindi attraverso due vie maestre : o mediante l’ordinario sistema del ricorso in sede giurisdizione e quindi adendo una Corte civile o un Tribunale; o mediante il ricorso a uno qualsiasi dei sistemi alternativi di risoluzione della controversia. Per talune fattispecie è poi stato addirittura previsto, come obbligatorio, il preventivo esperimento delle procedure alternativa (ADR) che si pone quale condizione di procedibilità per poter poi adire un giudice dello Stato in sede giurisdizionale.26 sia all'interno che all'esterno del palazzo di giustizia e comprendevano una infinità di soluzioni quali la conciliazione, la mediazione ed i servizi sociali e solo in ultima analisi la giurisdizione contenziosa. Dopo un attento studio del concetto di multi - porta, l'American Bar Association (ABA) individuò tre siti sperimentali del programma: Tulsa, Oklahoma, Houston e la Corte Superiore di Washington, dove ebbe inizio il programma nel 1985. Quattro anni dopo, e cioè nel febbraio 1989, l'ex Giudice Capo Fred B. Ugast dichiarò il pieno successo del programma e l’istituzione ad hoc di una divisione operativa presso la stessa Corte. Gli obiettivi del multi porta è quello di consentire un accesso alla giustizia e di ridurre il peso sulla giurisdizione contenziosa attraverso soluzioni alternative con eliminazione del carico di lavoro dai ruoli dei singoli giudici 26 La parte insoddisfatta del lodo endo-processuale non ha bisogno di impugnare la pronuncia arbitrale essendo sufficiente che adisca il giudice naturale ed inizi in tal modo il processo di primo grado essendo soddisfatta la condizione processuale del previo esperimento dell’arbitrato. L’arbitrato


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In Europa, invece, nel quadro del contesto della più ampia problematica relativa all’accesso dei consumatori alla giustizia, le procedure ADR hanno acquisito progressivamente un certo rilievo. Il loro sviluppo, in Europa, è avvenuto grazie a direttive e raccomandazioni comunitarie volte soprattutto a garantire la fiducia nel commercio elettronico. Il momento iniziale della loro affermazione lo possiamo far risalire all’adozione del Libro Verde del 1993, relativo alla protezione degli interessi collettivi, realizzabile tramite l’intervento delle associazioni dei consumatori.27 Con la Direttiva 20 maggio 1997, n. 7, in tema di protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, furono poi previste specifiche iniziative per la promozione dei procedimenti extragiudiziari. Con la Raccomandazione 30 marzo 1998, n. 257, invece furono segnati i percorsi per la mediazione e la conciliazione.28 Per endo-processuale non è dunque vincolante nel risultato – non binding – pur rimanendo obbligatoria l’attivazione – mandatory-. Da rimedi con fondamento giuridico consensuale essi divengono per legge endoprocessuali cioè momento prodromico del processo ordinario. Il sistema nord - americano ha in tal modo sussunto nell’ambito della giustizia pubblica forme di giustizia privata. Tecniche e metodi sviluppatisi principalmente in campo privato sono stati incorporati in istituzioni pubbliche. Le diverse forme di giustizia hanno poi seguito un procedimento di normazione processuale in base alle cosiddette local rules. 27 Libro Verde della Commissione Europea del 16 novembre 1993 relativo all’accesso dei consumatori alla giustizia ed alla risoluzione delle controversie in materia di consumo nell’ambito del mercato unico. Sul punto vedi G. Rossolillo, I mezzi alternativi di risoluzione delle controversie (ADR) tra diritto comunitario e diritto internazionale, in Dir. U.E., 2008, 2, 349 ss. 28 La Raccomandazione ha inteso stabilire una serie di principi applicabili al funzionamento delle procedure extragiudiziali a fini di garanzia, come la trasparenza, l’indipendenza ed il rispetto del diritto. In particolare: 1. Quando la decisione è adottata individualmente, il principio d’indipendenza è garantito nel momento in cui la persona designata: possiede la capacità e le competenze necessarie allo svolgimento delle sue funzioni; gode di un mandato di durata sufficiente a garantire l’indipendenza della sua azione e non può essere destituita senza giustificato motivo; non ha svolto attività lavorative, nel corso dei tre anni precedenti la sua entrata in funzione, per l’associazione professionale o l’impresa che la retribuisce o che l’ha nominata per questa funzione; 2. Quando la decisione dell’adozione è collegiale, il principio di indipendenza è garantito attraverso la rappresentanza paritaria dei consumatori e dei professionisti; 3. Il principio di trasparenza è garantito da varie misure, comprendenti: la comunicazione a qualunque soggetto che lo richieda: di una descrizione dei tipi di controversie che possono essere sottoposte all’organo; delle norme relative alla presentazione del reclamo all’organo; del costo eventuale della procedura per le parti; delle regole sulle quali si fondano le decisioni dell’organo (codici di condotta, disposizioni legali); delle modalità di adozione di decisioni; del valore giuridico della decisione; la pubblicazione di una relazione annuale relativa alle decisioni adottate; 4. Il principio d’efficacia comporta: l‘accesso del consumatore alla procedura senza essere obbligato a ricorrere al rappresentante legale; la gratuità della procedura o la determinazione di costi moderati; la fissazione di termini brevi tra la presentazione del reclamo all’organo e l’adozione della decisione; l’attribuzione di un ruolo attivo all’organo compente; 5. Il principio di


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quest’ultima Raccomandazione divennero essenziali quelle procedure che dovevano soddisfare quei criteri minimi volti a garantire l’imparzialità dell’organismo, l’efficacia della procedura, la sua pubblicità e la sua trasparenza. La decisione poi poteva essere adottata non solo sulla base di disposizioni di legge, ma anche di giudizi d’equità ed infine anche sulla base di codici di condotta a condizione che ciò non conducesse ad una diminuzione del livello di protezione relativamente alla possibilità di applicare poi le disposizioni in diritto alle stesse questioni da parte dei Tribunali. L’accesso dei consumatori alle procedure alternative di risoluzione delle controversie è stato poi agevolato anche dall’elaborazione, da parte della Commissione europea, di un modulo standardizzato di reclamo, reperibile in Rete, in ogni lingua dell’Unione Europea.29 Questa Raccomandazione la possiamo perciò considerare il primo serio tentativo volto a stabilire regole comuni a cui gli organismi dovevano adempiere. Con la Raccomandazione adottata dalla Commissione il 4 aprile 2001, n. 310, furono, invece, stabiliti i criteri minimi che dovevano essere garantiti nella gestione delle controversie in materia di consumo a livello transfrontaliero con la previsione della volontarietà ed il consenso30 delle procedure di composizione alternativa. Con la direttiva 2008/52/CE,31 del legalità, secondo il quale l’organo extragiudiziale non può adottare una decisione che avrebbe come risultato di privare il consumatore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato sul territorio del quale l’organo è stabilito, deve essere a sua volta rispettato. Inoltre, le decisioni debbono essere motivate; 6. Devono inoltre essere rispettati i principi del contraddittorio (possibilità per tutte le parti interessate, di far conoscere il proprio punto di vista e di prendere conoscenza di quello della parte avversa), di libertà (scelta del consumatore di aderire alla procedura extragiudiziale) e di rappresentanza. La Raccomandazione ha cioè improntato un sistema di principi in tema di indipendenza dell’organo giudicante, di diritto al contraddittorio, di disponibilità delle prove, di trasparenza della procedura, cui devono sottostare tutte le iniziative extragiudiziali di composizione dei conflitti originati da rapporti di consumo e di utenza. Tali iniziative, gratuite, rapide, efficaci, sono caratterizzate dall’interposizione di un terzo, che non si limita ad invitare le parti ad intendersi ma prende una posizione concreta in merito alla risoluzione della controversia. Ancora G. Rossolillo , op. et loc. supra cit. 29 Il modulo di reclamo è su http://eu.int/com/dg24. 30 Testualmente nella Raccomandazione, al Considerando n.6 è scritto che le nuove tecnologie possono contribuire allo sviluppo di sistemi elettronici di composizione delle controversie costituendo un organismo volto a risolvere efficacemente le controversie che interessano diverse giurisdizioni senza il bisogno di una comparizione fisica delle parti ed andrebbero quindi incoraggiate mediante principi volti ad assicurare standard coerenti ed affidabili a suscitare la fiducia degli utenti. Sul punto ci si permette di rinviare a F. R. Fantetti, A. Contaldo., Il sistema dell’ODR (On line Dispute Resolution) nell’ordinamento comunitario e nazionale, in Ciberspazio e diritto, 2010, 2, 279 ss. 31 Vedi al riguardo M.F .Ghirga, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto ?, (riflessioni sulla mediazione in


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Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, infine è stata compiutamente delineata la mediazione in materia civile e commerciale che è stata, con alcune varianti, pur previste dalla stessa direttiva, recentemente adottata in Italia.

1.5. La mediazione in Italia e l’ambito applicativo del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28. Il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28,32 sulla mediazione in materia civile e commerciale, disciplina il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti, in attuazione della delega legislativa conferita al Governo dall’art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, delega emanata nel pieno rispetto dei principi in tema di ADR sanciti proprio dalla direttiva n. 2008/52/CE.33 Per quanto attiene il contenuto è da osservare che il decreto ha previsto due tipologie di mediazione finalizzata alla conciliazione. La prima, quella da considerare come tipica, informata alla ratio della cultura della composizione “facilitativa” e amichevole, volta alla ricerca di un accordo per la composizione di una controversia che compone “sull’interesse” conteso, ma al tempo stesso con la finalità, dichiarata, di conservare il rapporto tra i soggetti, ossia la “relazione sociale” tra gli stessi per eliminare, anche per il futuro, ogni possibile conflitto. La seconda, che si sostanzia nella facoltà per il mediatore di formulare una proposta per la risoluzione della controversia è, invece, “attributiva” (Adversarial) e consistente nella mutazione genetica del mediatore che da “facilitatore” si trasforma, in sede di occasione della pubblicazione della direttiva 2008/52/CE), in Riv. dir. proc., 2009, 357 ss.; D. Borghesi, Conciliazione, norme inderogabili e diritti indisponibili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 121 ss.. 32 Per un primo commento al decreto legislativo in questione bisogna ricordare B. Sassani, F. Santagada , Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, Roma, 2010, 23 ss.; P.S. Nicosia , M.V. Susanna. G. Ceccacci, Mediazione e conciliazione civile e commerciale. Tecniche, pratica e normativa, Milano, 2010, 31 ss.; G. De Palo, L. D’urso, D. Golann, Manuale del mediatore professionista. Strategie e tecniche per la mediazione delle controversie civili e commerciali (ADR, Risoluzioni alternative delle controversie), Milano, II ed., 2010, 41 ss.; A .Luminoso, La mediazione, XCII Trattato civile e commerciale, Milano, II ed. 2010, 62 ss.; P. Mistò La nuova mediazione civile e commerciale. D. Lgs 4 marzo 2010 n. 28, Torino, 2010, 21 ss.; A .Iannini, Guida alla nuova mediazione e conciliazione, Roma, 2010, 61 s.; A. Baudini , N. Soldati, La nuova disciplina delle mediazioni delle controversie civili e commerciali, Milano, 2010, 31 ss.; F. Delfini, A. Castagnola, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010, 31 ss.; G. Sciancalepore , S. Sica , Codice della mediazione e della conciliazione, Torino, , 2010, III ss. 33 M. Gorga La nuova Mediazione, Napoli, 2010, pag. 79.


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strutturazione della proposta, che produrrà gli effetti ex art.13 sul regime delle spese, in un soggetto che relativamente alla vicenda “attribuisce” ragioni e torti, proprio come avviene in sede di decisione giudiziaria. Questo doppio ruolo potranno avere i mediatori, vale a dire questi nuovi professionisti della Conciliazione personale e sociale che, individualmente o collegialmente, svolgeranno tale attività, ed ai quali resta sempre preclusa l’adozione di decisioni vincolanti nel procedimento di mediazione che potrà attivarsi sia su istanza del singolo, che congiunta di entrambi le parti, ossia di quei soggetti che intendano evitare la lite giudiziale.34 Dal punto di vista del metodo e dei rapporti con il processo, il decreto legislativo distingue tre specie di mediazione: la mediazione obbligatoria, nella quale la volontà delle parti, in relazione al necessario esperimento quale condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, non ha alcun rilievo, assumendo, invece, rilievo la volontà conciliativa; quella volontaria dove è l’autonomia delle parti a determinarne l’effettività con la previsione della clausola del preventivo esperimento del tentativo conciliativo; ed infine quella “delegata” ossia quella consigliata dal Giudice ed esperita su suo invito non obbligatorio, ma certamente non sottovalutabile sotto il profilo dell’efficacia dato che il giudice può fare inviti a volte, anche in termini molto convincenti. La mediazione è obbligatoria nelle materie elencate al co. 1 dell'art. 5 d. lgs. n.28 del 2010, ossia in materia di condominio (materia il cui esperimento del tentativo di mediazione è stato differito al marzo 2012), di diritti reali, di divisione e successioni ereditarie, di patti di famiglia, di locazione, di comodato, di affitto di aziende, di risarcimento del danno derivante sia dalla circolazione di veicoli e natanti ( per quest’ultima materia la mediazione diverrà obbligatoria dal marzo 2012), sia per la responsabilità medica e la diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, nonché nei contratti assicurativi, bancari e finanziari. In tutte queste materie quindi chi intende fare ricorso alla giurisdizione deve necessariamente assolvere alla condizione di procedibilità esperendo, preventivamente, il tentativo di mediazione. Tuttavia va precisato che nell’ipotesi di omesso esperimento della mediazione l’improcedibilità della domanda deve essere sempre eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza, altrimenti la condizione di procedibilità si sana ed il processo prosegue normalmente. Com’è di tutta evidenza, per il tipo di materie per le quali la condizione di procedibilità è stata posta come obbligatoria, 34

M. Gorga La nuova Mediazione alla luce del regolamento n. 180 del 4 novembre 2010, Napoli, 2010-pag. 28 -30.


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appare evidente che siamo dinanzi ad un particolare gruppo di conflitti che vanno da quelli che possiamo far rientrare nei cd. “conflitti di civiltà”, condizione tipica della cause condominiali o di vicinato, di confine, di servitù prediali, ovvero in generale dei diritti reali, alle cd. liti di “interessi di sangue” all’interno del nucleo familiare come nel caso delle divisioni e successioni ereditarie ed i patti di famiglia, dove la composizione delle tensioni all’interno della “società familiare” spesso prescinde dall’affermazione del diritto rifacendosi al “ripristino” degli affetti, nonché ai rapporti di durata, com’è per la locazione, l’affitto, i contratti bancari, assicurativi e finanziari, dove l’interesse delle parti spesso non è quello di interrompere il rapporto ma di disciplinarlo in modo più soddisfacente. Inoltre gli altri ambiti interessati dalla “condizione di procedibilità” sono quelli della diffamazione e della responsabilità medica nelle quali il componimento conciliativo appare opportuno per la qualità dei soggetti coinvolti e gli interessi lesi, con tutela dell’interesse-diritto della persona offesa al risarcimento senza il pubblico ludibrio del soggetto danneggiante. Infine, come detto, vi è la responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, rispetto ai quali, anche per la natura, è particolarmente fertile il terreno della composizione stragiudiziale. Tutte le materie di cui all’art. 5 co. 1, hanno però in comune un’altra caratteristica che è quella che è resa evidente dal fatto che il rapporto tra le parti è destinato, per le più diverse ragioni, a prolungarsi nel tempo, anche oltre la composizione del singolo conflitto. La mediazione obbligatoria, con le eccezioni di materie riferita, è entrata in vigore il 20 marzo 2011, laddove invece quella volontaria e quella delegata sono entrate in vigore il 20 marzo 2010. Tra le novità, per i legali35, introdotte dal decreto n. 28/2010 è da ricordare l’obbligo per gli avvocati di dare l’informativa, obbligo già prontamente sanzionato dalla giurisprudenza.36 L’informativa deve essere resa sempre per 35

Vedi al riguardo P. CALAMANDREI, Istituzioni di diritto e procedura civile, Padova, 1941, 215. “ L’Istituzione del patrocinio forense risponde a due esigenze: una di ordine psicologico e una di ordine … Dal punto di vista psicologico la parte accecata assai spesso dalla passione e dal livore della contesa, non ha di solito la serenità disinteressata che occorre per cogliere, i punti essenziali del caso giuridico in cui si trova coinvolta e per esporre le sue ragioni in modo pacato ed ordinato: la presenza accanto a lei di un patrocinatore spassionato e sereno, che esaminano il caso colla distaccata oggettività dello studioso indipendente e senza il turbamento di personali rancori, sia in grado di scegliere con calma e ponderazione gli argomenti più confacenti allo scopo, garantisce alla parte una difesa più ragionata e più accorta, e quindi più persuasiva ed efficace, di quella che essa saprebbe fare da se stessa”. 36 Mediazione - Avvocato Informativa al cliente - Violazione dell'art. 4, comma 3, d.lgs 28/2010 - Omessa allegazione all'atto introduttivo del giudizio dell'informativa specifica sottoscritta dal cliente - Annullabilità del conferimento d'incarico - art. 1441 c.1 - Applicabilità (dal sito web del Tribunale di Varese) Trib. Varese, sez. I civ., ordinanza 1 marzo 2011. Ai


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iscritto e deve essere sottoscritta dall’assistito che deve essere informato non solo dell’esistenza dell’istituto della mediazione ma anche dei vantaggi fiscali e tributari che l’istituto offre. Il giudice, qualora rileverà la mancata allegazione del documento all’atto introduttivo del giudizio, informerà la parte della facoltà di chiedere la mediazione. In ogni altra materia, diversa da quelle previste come obbligatorie, la mediazione potrà essere avviata dalle parti su base volontaria, sia prima che durante il processo. La mediazione sollecitata dal giudice è prevista anche dalla direttiva comunitaria 2008/52/CE, e si affianca, senza sostituirla, alla mediazione giudiziale, che in verità non ha dato buoni risultata essendo la giurisdizione imperniata sul principio della domanda.37 Quando il processo è stato avviato, anche in sede di giudizio d’appello e fino a che non sia consumata l’udienza di conclusione o discussione della causa, il giudice potrà valutare se formulare l’invito alle parti a fare ricorso agli organismi di mediazione e rivolgerà l’invito valutando lo stato del processo; la natura della causa e il comportamento delle parti, così da non favorire strumentali dilazioni. L’invito del giudice deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito del giudice il processo verrà differito per il tempo strettamente necessario che nella previsione legislativa per il tentativo di conciliazione è fissato in tassativi quattro mesi. La mediazione, però, pur essendo obbligatoria non sempre è condizione di “procedibilità” preventiva dell’azione essendo state tipizzate dal legislatore ipotesi per le quali la mediazione pur essendo “obbligatoria” è “differita” ad una fase successiva. Sono queste le ipotesi previste dal comma 4 dell’art 5 d. lgs. n. 28 del 2010, laddove si è previsto che la condizione di procedibilità opera solo successivamente : a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle sensi dell'art. 4 comma III del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare chiaramente e in forma scritta l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 (oltre ai casi della mediazione cd. obbligatoria). In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito e' annullabile. Il testo legislativo, inserendo una ipotesi di "annullabilità" (e non nullità come nell'originario disegno di Legge) è nel senso di recepire integralmente la categoria codicistica, con il regime giuridico che ad essa si collega; anche, quindi, in punto di legittimazione ex art. 1441, comma I, c.c. Vigente l'attuale art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi, dunque, che trovi applicazione l'art. 1441, comma I, c.c. e, dunque, la annullabilità possa essere fatta valere solo dall'assistito che non ha ricevuto l'informativa e non anche dalla controparte processuale (Nella specie il convenuto aveva eccepito l'annullabilità del contratto di patrocinio conferito dall'attore al suo difensore). 37 M. Gorga Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution fino alla direttiva Europea n. 52/2008, Napoli, 2010, pag. 9.


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istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c.; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio; f) nell'azione civile esercitata nel processo penale. Ipotesi per le quali è evidente che l’ordinamento concede immediata tutele dell’interesse sicché la mediazione con i suoi tempi non pare poter svolgere alcuna funzione. E’ da rilevare, però, per quanto attiene ai casi riportati alla lettera a,b,c, che ben diversa sarà la posizione delle parti in ragione del fatto che hanno ottenuto o no, o gli è stato rifiutato o revocato, il provvedimento anticipatorio, ripristinatorio o cautelare, in ordine alla successiva trattativa in sede di mediazione. 1.6. Il procedimento di mediazione. Il procedimento di mediazione non è soggetto ad alcuna formalità ed è protetto da norme che assicurano alle parti l’assoluta riservatezza rispetto alle dichiarazioni e alle informazioni emerse. Tutte le dichiarazioni e le informazioni, infatti, che sono acquisite nel corso del procedimento, non sono utilizzabili in sede processuale e il mediatore è tenuto al segreto professionale su di esse. Quando il mediatore svolge sessioni separate con le singole parti, non può rivelare alcuna informazione, acquisita durante tali sessioni, all’altra parte, ma non può rivelarle neanche a chiunque altro sia esso privato o autorità giudiziaria, anche in sede penale, e rispetto a quest’ultima autorità può, se ritiene, volontariamente, rivelarla, ma non può mai esservi costretto per legge. La finalità della previsione, specifica rispetto a tutte le esperienze comparate a livello internazionale, è finalizzata a consentire alle parti di svelare ogni elemento utile al compromesso, senza timore che poi possa essere usato contro di sé. I soggetti coinvolti si sentiranno, e saranno, quindi liberi di manifestare i loro reali interessi davanti a un soggetto dotato di elevata professionalità, ai fini dell’attività conciliativa, che porrà in essere ogni opportuna comunicazione e relazione sempre nel rispetto della legalità. Il procedimento di mediazione come detto ha una durata non superiore a quattro mesi, trascorsi i quali il processo può iniziare oppure proseguire, se l’accordo viene in essere durante l’iter processuale o in una delle ipotesi previste al co. 3 e 4 dell’art. 5. Nel concreto per quanto attiene alla descrizione dell’iter, informale del procedimento, occorre dire che presentata la domanda presso l’organismo di mediazione spetta al responsabile dell’organismo designare un mediatore. Fissato il


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primo incontro tra le parti, che non può avvenire mai oltre quindici giorni dal deposito della domanda, e fatta la comunicazione alla controparte, il procedimento si attiva. Il chiamato in mediazione è libero di aderire o di rimanere assente. E’ tuttavia qui da precisare che se l’assenza della parte evocata in mediazione fosse ritenuto elemento idoneo a stabilire la riuscita o meno della mediazione, allora ci troveremo di fronte ad una sorta di “improcedibilità”, della mediazione, per volontà del chiamato e quindi nell’assurdo che il legislatore si sarebbe speso nella previsione dell’istituto deflattivo facendolo dipendere dalla mera volontà non collaborativa del soggetto “convenuto” in mediazione. A tale volontà sarebbe legata anche l’onerosa attività degli organismi di mediazione e l’ossequioso rispetto della legge fatta dall’istante che per altro sarebbe l’unico a doverne sopportare il costo. Logicamente è stato sostenuto che in assenza del soggetto “aderente” la mediazione “facilitativa” sarebbe una contraddizione in termini perché mancherebbe uno dei soggetti con il quale realizzarla. All’uopo la chiusura del cerchio, da parte dei sabotatori della mediazione, risiederebbe poi nell’assunto che in tali ipotesi il mediatore non potrebbe fare neanche la “proposta” sulla base degli atti e che addirittura l’aderente potrebbe rinunziare al procedimento pagando il solo costo di accesso alla mediazione se tale possibilità fosse stata inserita nel regolamento dell’Organismo di mediazione. La conseguenza sarebbe che la segreteria in siffatte ipotesi dovrebbe rilasciare verbale negativo (contra infra parte II 2.10). Comunque ritornando al procedimento è da dire che nella prima fase della sessione congiunta il mediatore cerca un accordo amichevole per la definizione della controversia, se la conciliazione riesce, il mediatore redige processo verbale, sottoscritto dalle parti e dallo stesso mediatore. Se l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. Nel verbale, contenente l’indicazione della proposta, si dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione. Dalla mancata partecipazione, senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 comma 2 c.p.c. Dal punto di vista del prodotto finale, l’accordo conciliativo avrà l’efficacia di titolo esecutivo solo se l’accordo sarà omologato dal Presidente del Tribunale il quale sarà tenuto a verificare sia la regolarità formale dell’accordo conciliativo, del quale si richiede l’omologazione, sia il contenuto sostanziale ossia della non violazione delle norme di ordine pubblico ed imperative. Il verbale, con l’accorso allegato omologato, costituisce quindi titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta


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del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti o per il ritardo nel loro adempimento. In caso di mancato accordo, all’esito del processo civile, se il provvedimento del giudice che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa non accettata, allora il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa, e la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente riferite al medesimo periodo, nonché al pagamento di una somma pari al contributo unificato,ed una somma corrispondente al contributo della mediazione ed eventualmente alle spese del consulente tecnico. Se la sentenza che definisce il giudizio non corrisponde interamente alla proposta allora si producono gli effetti ex co. 2 dell’art. 13 d. Lgs. n. 28/2010, e vale a dire, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Il giudice deve però indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese. Sono poi previste agevolazioni fiscali. Tutti gli atti, infatti, relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. In particolare, il verbale di conciliazione sarà esente dall’imposta di registro sino all’importo di 50.000 euro, diversamente l’imposta è dovuta per la parte eccedente tale somma. In caso di successo della mediazione, se la mediazione cioè ha avuto esito positivo, le parti avranno diritto a un credito d’imposta fino a un massimo di 500 euro per il pagamento delle indennità complessivamente versate all’organismo di mediazione. In caso contrario e cioè di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta per le parti è ridotto della metà. 1.7. La conciliazione amministrata. Il legislatore ha accolto nel nostro sistema giuridico il servizio di “conciliazione amministrata”, ciò significa che nel nostro ordinamento la “media-conciliazione” non può essere esercitata con una prestazione di tipo libero-professionale da parte del mediatore, come avviene negli altri ordinamenti, come ad esempio nel sistema tedesco, ma deve essere erogata da appositi organismi a ciò autorizzati con provvedimento del Ministero della Giustizia. Quest’ultimi dovranno avvalersi per svolgere il servizio di mediazione solo di soggetti dotati di alta professionalità, in quanto già esercenti una libera professione intellettuale, i quali, se in possesso di una specifica formazione professionale, acquisita attraverso un apposito corso formativo, potranno esercitarne l’attività. Si tenga presente che tali


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prestazioni potranno essere rese da questi mediatori, che possiamo sin d’ora definire come homus novus delle professioni legali, solo se titolari di un rapporto contrattuale con l’Organismo di mediazione al quale appartengono. Il decreto legislativo n. 28 del 2010 ha dettato, come detto, particolari norme in ordine alla figura istituzionale degli organismi di mediazione e ha stabilito, per l’iscrizione al registro degli organismi di mediazione il deposito del regolamento, in cui prevedere, anche le modalità telematiche di mediazione, le garanzie di riservatezza che si assicurano alle parti e al procedimento. Al regolamento dovranno allegarsi le tabelle delle indennità degli enti privati, mentre quelle degli enti pubblici sono stabilite con decreto Ministeriale. Nei casi di parti alle quali spetta, nel processo, il gratuito patrocinio, l’organismo privato dovrà fornire la relativa prestazione gratuitamente. Gli organismi pubblici, invece, poiché sono vincolati al principio della inderogabilità della tabella, siffatto beneficio non potranno riconoscere ai meno abbienti. Quanto agli enti pubblici coinvolti, è da osservare il particolare favore di cui godono i consigli degli ordini forensi i quali possono iscriversi a semplice domanda. Questi però devono far uso di personale proprio e di locali messi a disposizione dal Presidente del Tribunale. L’iscrizione a semplice domanda è subordinata comunque alla verifica, da parte del Ministero della giustizia, di alcuni requisiti minimi, che consentono all’organismo il materiale svolgimento dell’attività. Il decreto prevede poi la facoltà di istituire, previa autorizzazione, organismi di mediazione anche presso i consigli degli altri ordini professionali. Per il legislatore quest’ultima facoltà data agli ordini professionali diversi da quello degli avvocati risponde all’esigenza di sviluppare organismi in grado di dare rapida soluzione alle controversie in determinate materie tecniche. Anche tali organismi, così come quelli istituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, saranno iscritti a semplice domanda. La natura pubblicistica degli enti che istituiscono gli organismi offre, infatti, una garanzia di serietà ed efficienza. Anche in questo caso l’iscrizione a semplice domanda non priva l’amministrazione, che detiene il registro, dal potere di verificare l’esistenza dei requisiti minimi, né dei poteri di vigilanza successivi. Come detto il decreto legislativo in esame disciplina, tra l’altro, in modo specifico, al capo III, gli Organismi di mediazione, il registro degli Organismi di mediazione38 e 38

L’istituzione del Registro degli organismi di conciliazione è previsto dagli articoli 38-40 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 «Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366». Corrisponde a una più generale linea di tendenza del nostro ordinamento rivolta a individuare e disciplinare strumenti alternativi di definizione delle controversia, capaci di offrire, quando possibile,


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dell’elenco dei formatori39 generalizzando il sistema previsto dalla conciliazione societaria di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5. Sempre il decreto in parola stabilisce che la formazione del registro e la sua revisione nonché l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché, in particolare, l'istituzione di separate sezioni del medesimo registro, per i mediatori che trattino controversie particolari, tra soluzioni più spedite, agevoli ed economiche alle liti e, d’altra parte, di ridurre il contenzioso giurisdizionale, senza naturalmente rinunciare al carattere universale della relativa tutela, in conformità dei precetti costituzionali. In attuazione alle disposizioni normative dell’art. 38 sono stati emanati: a) - ai sensi dell’art. 38, co. 2, il d. m. 23 luglio 2004, n. 222, «Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5»; b)- ai sensi dell’art. 39, co. 3, il d. m. 23 luglio 2004, n. 223 «Regolamento recante approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione a norma dell’art. 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5». La procedura di conciliazione disegnata da tali fonti normative tende oggi a rappresentare un primo standard di riferimento per il legislatore, quando interviene a prevedere specifiche ipotesi di conciliazione regolata: così nell’art. 141 del Codice del consumo – d.lgs. 206/2005 – si rinvia alla procedura prevista dall’art. 38 d.lgs. 5/2003, nella recente norma istitutiva dei c.d. “patti di famiglia” (art. 768 octies c.c.). Vedi al riguardo F. Cuomo Ulloa , La nuova conciliazione societaria, in Riv. trim. dir. proc. civile, 2004, 1035 ss. 39 Secondo il d. m. 222/2004 il Responsabile del Registro stabilisce con propria determinazione i requisiti di accreditamento dei soggetti abilitati a tenere i corsi di formazione previsti dall’art. 4, comma 4, lett. a), per i conciliatori che non siano magistrati in quiescenza, professori universitari di ruolo, anche in quiescenza, in materie giuridiche o economiche o iscritti ad albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità di almeno 15 anni, anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari. I requisiti di accreditamento sono così stabiliti: a)- attestazione di impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, con le seguenti caratteristiche: b)almeno 32 ore di lezione, di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e Organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa; c)- almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all’art. 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; i riti societari di cognizione ordinaria e sommaria; 1)attestazione di disponibilità di strutture e locali idonei a consentire lo svolgimento dei corsi di formazione; )- attestazione di disporre di almeno 3 formatori che siano in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori e che abbiano maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche; 3)attestazione di impegno a svolgere, a pena di decadenza dall’accreditamento, almeno 90 ore annuali dedicate all’attività di formazione dei conciliatori. Tali requisiti potranno consentire per un verso alle strutture esistenti di adeguare i propri standard formativi e per altro verso ai nuovi soggetti e/o enti formatori di poter strutturare l’attività di formazione secondo gli standard minimi. Vedi al riguardo G. Romualdi, La conciliazione amministrata: esperienze e tendenze in Italia,in Riv. arb., 2005, n. 2, 401 ss.


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cui quelle disciplinate dall’art. 141 del codice del consumo e quelle che presentano elementi di internazionalità, nonchè la determinazione delle indennità, spettanti agli organismi, saranno disciplinati con appositi decreti ad hoc del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Sempre la norma in esame prevedeva poi che fino all'adozione degli appositi decreti continuavano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia del 23 luglio 2004, n. 222 e del 23 luglio 2004, n. 223, norme quest’ultime emanate per l’attuazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5 sulla conciliazione societaria, e alle quali disposizioni d’attuazione dovevano conformarsi, sino alla emanazioni degli appositi decreti attuativi, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall'art. 141 d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, (cd. Codice del consumo) e successive modificazioni. L'organismo con la domanda di iscrizione nel registro doveva – e lo deve anche in forza delle nuove norme di attuazione emanate con il D.M. n. 180/2010 - depositare presso il Ministero della Giustizia, espressione di esercizio di quell’autonomia normativa e regolamentare che il legislatore ha voluto riconoscere agli organismi stessi, un proprio regolamento di procedura di mediazione insieme ad un codice etico, e deve impegnarsi a comunicare, al responsabile della tenuta del registro, ogni successiva variazione della compagine dell’Ente o delle modifiche regolamentari o dell’attività svolte. Il nostro legislatore infine sensibile allo sviluppo delle ADR, che oramai sono divenute ODR40 nel sistema anglosassone,41 ha avuto modo di precisare che nel regolamento dovranno essere previste anche le procedure telematiche, di risoluzione delle controversie, eventualmente utilizzate dall'organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Sempre al predetto regolamento dovevano – e devono- essere allegate le tabelle delle indennità spettante all’organismo, che richiede l’iscrizione, se costituito sotto la forma di ente privato, nonché le tariffe per le quali deve essere richiesta l'approvazione del Ministero della giustizia, sulla base dei criteri stabiliti nei decreti attuativi della norma primaria insieme all’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, nonché alle maggiorazioni massime delle indennità dovute, comunque non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione e le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità per le materie di cui all’art. 5, comma 1 d. lgs. n. 28 del 2010. 40

M. Gorga D. Mula, ADR E ODR nell’Ordinamento Giuridico Italiano , Napoli NETPOL 2010, pag. 144. 41 M. Gorga, Alternative Dispute Resolution e Online Dispute Resolution, Napoli, 2010, pag.17.


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Gli organismi privati quindi, diversamente da quelli pubblici, hanno ampia possibilità di farsi concorrenza agendo sulla tariffa42 e variandola nei minimi e nei massimi rispetto a quelli fissati dalla norma di attuazione, laddove, invece, gli organismi pubblici restano vincolati alla fissità della tabella stabilita in sede ministeriale e approvata con la norma regolamentare attuativa. Per quanto attiene ai formatori è previsto che sempre presso il Ministero della Giustizia dovrà essere istituito, con decreto ministeriale, l'elenco dei formatori per la mediazione, con i criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, per lo svolgimento dell'attività di formazione, in modo da garantire quell’elevata qualità formativa dei mediatori, che possa costituire per il mediatore stesso requisito di qualificazione professionale. L'istituzione e la tenuta del registro e dell'elenco dei formatori avvengono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti, e disponibili presso il Ministero della Giustizia e il Ministero dello Sviluppo economico, per le rispettive competenze, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. In ottemperanza a quanto previsto dal predetto art. 16, il Ministero della Giustizia ha emanato il regolamento per disciplinare l’iscrizione e la tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori, nonché le indennità spettanti agli organismi stessi. Con il decreto ministeriale 4 novembre 2010 n. 18043, infatti, premesse alcune disposizioni generali, contenenti le definizioni, che coincidono con quelle di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 28 del 2010, è stato istituito il nuovo registro degli organismi di mediazione. Con il decreto sono stati specificati i criteri e le modalità di iscrizione nel medesimo, e sono stati stabiliti sia i requisiti degli organismi e dei regolamenti di procedura che dovranno essere adottati, sia i requisiti dei singoli mediatori che potranno operare presso gli stessi; inoltre, sono stati indicati i soggetti cui spetta di verificare la sussistenza dei requisiti e disciplinate le ipotesi di sospensione e cancellazione dal registro. Queste nuove disposizioni regolamentari hanno sostituito quelle del decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004 n. 222, che, si ricorda, sono state applicate per espressa previsione anche in costanza dell’abrogazione della normativa del rito sulla conciliazione societaria che dovevano attuare. Il nuovo 42 La World Bank assegna all’Italia la più alta incidenza percentuale dei costi processuali sul valore della controversia (29.9%) che le imprese sostengono per tutelare i propri diritti. Per la Confartigianato il costo per le imprese causato dai ritardi della giustizia è di 2,3 miliardi di euro e cioè 371 euro per azienda. 43

Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 258 del 4 novembre 2010.


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decreto pur riprendono in parte il contenuto, dei summenzionati decreti emanati nel 2004, introduce molte novità particolarmente significative tra le quali si ritiene utile, ricordare quelle relative alla necessità che gli organismi siano persone giuridiche (e non più persone fisiche) e che abbiano un patrimonio non inferiore a quello occorrente per la costituzione di una società di capitale a responsabilità limitata. Per quanto riguarda le indennità spettanti agli organismi, il decreto stabilisce l’importo minimo e massimo e i criteri per la determinazione delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti pubblici di diritto interno, mentre lascia agli enti privati la possibilità di fissare, come già detto, liberamente le proprie tabelle, che però devono essere comunque sempre approvate dal responsabile della tenuta del registro prima dell’iscrizione. Successivamente il decreto istituisce l’elenco dei formatori; specifica criteri e modalità di iscrizione nel medesimo e, come nel caso degli organismi di mediazione, fissa i requisiti degli enti, dei singoli formatori e dei responsabili scientifici che opereranno presso gli stessi; fissa, altresì, i requisiti dei percorsi formativi che dovranno essere garantiti dagli enti e prevede che al procedimento di iscrizione nell’elenco, alla sua tenuta e alla sospensione e cancellazione, si applicheranno le disposizioni relative al registro degli organismi di mediazione, in quanto compatibili. A questo punto è quindi matura l’analisi che dobbiamo fare sul D.M. 180/2010 al quale dedichiamo la seconda parte di questo lavoro, trattando però, per ultimo, in questa sede il regime tributario dei corsi di formazione.

1.8. Il regime tributario della mediazione, il credito d’imposta ed il regime fiscale dei corsi di formazione per mediatore. E’ da premettere, come già fatto cenno nei paragrafi precedenti (vv. infra 1.6.), che in forza della specifica previsione contenuta nel decreto legislativo 28/2010 tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Inoltre è previsto che il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, diversamente l’imposta è dovuta per la sola parte eccedente. Proprio in relazione al regime fiscale, è da osservare che la disciplina si completa con le previsioni dell’art. 20 del decreto in esame, in tema di credito d’imposta e delle altre agevolazioni fiscali dettata dall’art. 17 dello stesso decreto legislativo e ciò a testimonianza del favor per la mediazione espressa dal legislatore in primis in ordine alla previsione del riconoscimento, in caso di successo della mediazione, di un credito d’imposta commisurato all’indennità stessa fino a concorrenza di euro cinquecento ed, in caso di insuccesso, il suo degradare a duecentocinquanta euro.


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Inoltre è stato previsto che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del D.lgs., all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115. A tale fine, la parte è tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato. La ratio di questa previsione risiede nel fatto che l’obbligatorietà della mediazione, come condizione di procedibilità per i soggetti meno abbienti, finirebbe per ostacolare l’accesso alla giustizia con violazione, quindi, dell’articolo 24 della Costituzione e della stessa direttiva 2002/8/Ce del 27 gennaio 2003, che ha riconosciuto espressamente ai fini del gratuito patrocinio anche le consulenze nella fase precontenziosa, sicchè si è evitato così l’assurdo che si sarebbe prodotto laddove in favore della parte ammessa direttamente al beneficio del gratuito patrocinio non vi fosse stato poi, per la stessa, la possibilità di vedere retribuito il proprio difensore eventualmente nominato nella procedura. Per detti procedimenti stragiudiziali, quindi come la mediazione, quando il ricorso agli stessi è imposto per legge o ordinato dall’organo giurisdizionale, i soggetti meno abbienti vanno tenuti indenni dalle spese legali se non possono sostenerle e all’uopo possono vedere retribuiti i lori avvocati in forza del recepimento, da parte del legislatore nazionale, della direttiva con il d. Lgs. n. 116 del 27 maggio 2005, che espressamente all’art. 6 co. 2 e all’art. 10 prevede in tali fattispecie il gratuito patrocinio.

Per poter poi nel concreto utilizzare questo credito d’imposta è stata già introdotto nel modello 730/2011 dall’agenzia delle entrate la nuova sezione VI relativa al “Credito d’imposta per mediazioni”. Occorre però precisare che tale credito d’imposta non solo non può essere chiesto a rimborso all’Agenzia delle entrate, ma che lo stesso non concorre a formare il reddito ai fini delle imposte. Deve infatti essere precisato che il suo reale ammontare verrà stabilito con apposito decreto, mentre la quota effettivamente spettante sarà determinata in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate da parte del Ministero della Giustizia e, comunque, sempre nei limiti dell’importo, sicchè il credito d’imposta sarà recuperato solo in misura percentuale sulla somma a credito, giammai interamente. Si tenga inoltre presente che entro il 30 maggio di ciascun anno, il Ministero della Giustizia deve comunicare all’interessato l’importo del credito d’imposta spettante - relativamente alla dichiarazione presentata per l’anno precedente - e trasmette, in via telematica,


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all’Agenzia delle Entrate l’elenco dei beneficiari44 e i relativi importi a ciascuno spettante. Orbene considerando che il Ministero della Giustizia può comunicare il credito d’imposta spettante entro il 30 maggio e che la scadenza per la presentazione del 730 al sostituto d’imposta coincide con il 2 maggio, i soggetti interessati al credito d’imposta dovranno sempre necessariamente posticipare la presentazione del modello al 31 maggio 2011 servendosi all’uopo di un professionista o Caf, al fine di poter beneficiare del predetto credito fiscale sulle conciliazioni di controversie civili e commerciali. In pratica, poiché il Ministero della Giustizia dovrà comunicare entro il 30 maggio per iscritto di poter usufruire del credito d’imposta, e siccome è indispensabile usufruirne in quel momento impositivo, a pena di decadenza, la conseguenza è che se la comunicazione da parte del Ministero perviene dopo il 30/04 il modello 730/2011 non si può presentare mediante il sostituto d’imposta ma dovrà essere presentato solo tramite un professionista. Per quanto attiene al regime fiscale dei corsi di formazione degli Enti di formazione per mediatori si osserva che l’art. 132, lett. i)

della Direttiva 2006/112/CE prevede che gli Stati membri esentino da Iva le prestazioni di educazione, insegnamento e formazione effettuate da determinati enti ed organismi. Per quanto attiene alle forti interne in materia prevede l’art. 10, co. 1, punto 20) del D.P.R. 633/1972 che sono esenti da IVA le prestazioni educative, didattiche e di formazione che presentino specifici requisiti oggettivi e soggettivi. Con la Circolare Ministeriale n. 150/1994 è stato, poi, chiarito che l'esenzione dall’ IVA di cui all'art. 10, del D.P.R. 633/1972 viene applicata solo ai corsi di formazione tenuti da istituti e scuole riconosciuti da pubbliche Amministrazioni. Con le RR.MM. n. 73/1998, 77/E/2001, 53/E/2007 e 308/ E/2007 invece è stato esteso tale possibilità a tutti coloro che hanno ottenuto il riconoscimento da pubbliche Amministrazioni. Le RR.MM. n. 129/E/2001 e n. 205/E/2002 hanno previsto che il riconoscimento può essere rilasciato anche da soggetti diversi dalla pubblica Amministrazione, sempre che questi siano 44

Spetta quindi al Ministero stanziare, con apposito decreto, le risorse a copertura dello stesso e quindi individuare il credito d’imposta effettivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e comunicarlo all’interessato. Un meccanismo che non solo sulla carta appare piuttosto complicato e sul quale il decreto non fa alcuna chiarezza ma anche nella pratica risolve il credito d’imposta in uno specchietto per le allodole laddove rende il credito solo proporzionale, in percentuale, per ogni singolo affare alle risorse, in percentuale disponibili. Sicchè sotto tale profilo l’elencazione dei benefici della mediazione – in sede di monologo del mediatore – vanno resi in modo “temperato” atteso che il credito d’imposta è recuperabile nella percentuale delle “disponibilità” delle risorse messe a disposizione in sede Ministeriale e che non tutte le categorie possono godere del beneficio atteso che alcune ne sono escluse per legge.


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sottoposti al controllo e vigilanza del competente Ministero. Le attività della Pubblica Amministrazione si devono, quindi, sempre intendere esente da Iva. Con la R.M. n. 47/E/2011 è stato invece espressamente previsto l'esenzione da Iva per i corsi di formazione per mediatori professionisti tenuti dai soggetti iscritti nell'apposito Registro. Ancora in materia va sottolineato l’art 14, co. 10, della legge 24.12.1993, n. 537 la quale prevede l'esenzione generale da Iva per i corrispettivi pagati dagli enti pubblici per i corsi di formazione a favore del proprio personale. Con la C.M. n. 81/1990, e con la RR. MM. n. 164/2000 e n. 84/E/2003 è stato poi precisato che l'esenzione per i corsi organizzati ed effettuati da terzi devono essere quelli precisati nella R.M. n. 16/E/2006 è sono stati precisato i requisiti soggettivi ed oggettivi necessari per poter applicare il regime di esenzione di cui all'art. 14, co. 10, L. 537/1993. Inoltre, la C.M. 22/E/2008 ha previsto che siano riconducibili nell'ambito applicativo del beneficio dell'esenzione dall'Iva anche "le prestazioni educative, didattiche e formative approvate e finanziate da enti pubblici". E’ da notare che l'esenzione da IVA è riconosciuta, in generale, agli organismi che hanno natura di diritto pubblico ovvero riconosciuti dallo Stato anche in relazione alle spese connesse, quali l'alloggio, il vitto e la fornitura di libri e altro materiale didattico. La successiva R.M. 16/E/2006 ha, inoltre, precisato che, sotto il profilo soggettivo, la normativa in commento non pone alcun limite ai soggetti da parte di pubbliche Amministrazioni. Sotto il profilo oggettivo, invece, la medesima risoluzione ha previsto che sono riconducibili nel regime di esenzione dall'IVA i versamenti effettuati da enti pubblici a condizione che gli stessi siano relativi a corsi destinati al personale ossia per l'esecuzione di corsi destinati alla formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del proprio personale dipendente, tali somme infatti beneficiano dell'esenzione dall'Iva, ai sensi dall'articolo 14, comma 10 della legge 24 dicembre 1993, n. 537". Per quanto attiene specificamente ai corsi di formazione per mediatori relativamente al loro regime per l’esenzione IVA l'Agenzia dell'Entrate, con la R.M. del 18.4.2011, n. 47/E, ha chiarito che sono quelle iscritte nel registro previsto dal D.M. 23.7.2004 n. 222. Le quote di iscrizione ai corsi per mediatore possano beneficiare quindi del regime di esenzione da IVA, di cui all'art. 10, co. 1, n. 20), D.P.R. 26.10.1972, n. 633, nel quale, in generale, rientrano "le riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da Onlus, comprese le prestazioni relative”.


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PARTE SECONDA 2.1. Premessa : il decreto ministeriale 4 novembre 2010 n. 180 attuativo dell’art. 16 d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28. L’analisi dettagliata del contenuto delle singole disposizioni del decreto ministeriale 4 novembre 2010 n. 180,45 che qui di seguito sarà fatta, non può non tener conto della sua peculiare vicenda non solo relativamente alla prima fase della sua pubblicazione ma anche e soprattutto in relazione ai primi interventi interpretativi fatti anche in sede ministeriale. Per quanto riguarda il suo iter rispetto allo schema del regolamento si sono avuti infatti due diversi pareri del Consiglio di Stato: il primo parere di natura interlocutorio, è stato quello del 26 agosto 2010, con il quale il Consiglio ha censurato la nuova normativa sotto vari profili e vale a dire sia laddove non andava a verificare l’impatto tra le regole settoriali precedenti, di cui ai decreti ministeriali n. 222 e n. 223 del 2004, e le nuove regole dettate, sia laddove manifestava evidente contraddittorietà e assenza di chiarezza nella individuazione delle strutture di mediazione degli organismi come articolazioni interne degli Enti volti a garantirne l’autonomia sostanziale e formale. Il Consiglio di Stato, inoltre, ne censurava l’ implicita ammissione fatta della compatibilità tra la funzione di mediatore e quella di pubblico dipendente, ed anche la diversa fissazione delle indennità degli organismi costituiti da enti di diritto pubblico rispetto a quelli privati, sia, infine, l’eccessiva specializzazione dei requisiti professionali previsti in capo ai formatori della mediazione. Con il secondo parere del 20 settembre 2010 il Consiglio ha preso atto di quanto relazionato dal Ministero ed ha espresso definitivo parere favorevole con ulteriori osservazioni. E’ da precisare che il decreto ministeriale in esame tratta, gli aspetti più rilevanti dell’attività di mediazione in quanto disciplina sia l’istituzione del registro degli organismi di mediazione presso il Ministero, che i criteri e le modalità di iscrizione nel registro, ma anche la vigilanza sugli stessi il loro monitoraggio, la loro sospensione e cancellazione. La norma poi riporta nell’oggetto di interesse della normativa regolamentare l’istituzione dell’elenco dei formatori presso il Ministero; i criteri e le modalità di iscrizione nell’elenco, nonché la vigilanza, il monitoraggio, la sospensione e la cancellazione degli enti di formazione dall’elenco. Aspetto rilevante è poi la determinazione dell’ammontare minimo e massimo, nonchè il criterio di calcolo delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti pubblici di diritto interno e i criteri per 45

Pubblicato sulla G.U. n. 258 del 4 novembre 2010.


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l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti dagli enti privati. Bisogna anche in questa sede evidenziare che, secondo quella tecnica legislativa tipica di questi ultimi anni, anche il decreto in esame, sotto il profilo strutturale, esordisce definendo normativamente gli istituti che disciplina.46 Così all’art. 1 è subito precisato che per Ministero s’intende sempre quello della Giustizia e che per decreto legislativo il regolamento intende sempre il n. 28 del 4 marzo 2010. Quindi il legislatore della norma secondaria passa a dare le definizioni di “mediazione” definita come quell’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa; per “mediatore” la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo; per “conciliazione” la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione; e per “organismo” l'ente pubblico o privato, presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione. Corre l’obbligo di evidenziare che sostanzialmente e formalmente le enunciazioni e le riportate definizioni coincidono esattamente con le stesse definizioni riportate all’art. 1 del decreto legislativo n. 28 del 2010. Di seguito sempre all’art.1 del decreto attuativo si definisce: a) “regolamento” l’atto contenente l’autonoma disciplina della 46

Anche con il D.M. n. 222 del 23 luglio 2004, con il quale veniva dettata la normativa di attuazione al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, era prevista all’art.1, così come avviene per la normativa di attuazione al d. Lgs. n. 28/2010, la definizione, normativa, dei nuovi istituti introdotti. Così all’art. 1 si precisava che: Ai fini del presente regolamento si intende per: a) «ministero»: il Ministero della giustizia; b) «decreto»: il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; c) «registro»: il registro degli organismi costituiti da enti pubblici o privati, deputati a gestire i tentativi di conciliazione a norma dell'articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; d) «conciliazione»: il servizio reso da uno o più soggetti, diversi dal giudice o dall'arbitro, in condizioni di imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo di dirimere una lite già insorta o che può insorgere tra le parti, attraverso modalità che comunque ne favoriscono la composizione autonoma; e) «conciliatore»: le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la prestazione del servizio di conciliazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo; f) «organismo»: l'organizzazione di persone e mezzi che, anche in via non esclusiva, è stabilmente destinata all'erogazione del servizio di conciliazione;g) «ente pubblico»: la persona giuridica di diritto pubblico interno, comunitario, internazionale o straniero; h) «ente privato»: qualsiasi soggetto, diverso dalla persona fisica, di diritto privato; i) «responsabile»: responsabile della tenuta del registro nominato ai sensi dell'articolo 3 del presente regolamento; l) CCIAA: le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.


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procedura di mediazione e dei relativi costi, adottato dall’organismo; b) “indennità” l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornita dagli organismi; c) “registro”, non più quello istituito con decreto del Ministero della giustizia del 23 luglio 2004 n. 222 bensì, il registro degli organismi istituito presso il Ministero; d) “responsabile”, il responsabile del registro e dell’elenco; e) “formatore” la persona o le persone fisiche che svolgono l’attività di formazione dei mediatori; f) “enti di formazione” gli enti pubblici o privati ovvero le loro articolazioni, presso cui si svolge l’attività di formazione dei mediatori; g) “responsabile scientifico” la persona o le persone fisiche che svolgono i compiti di cui all’art. 18, comma 2 dello stesso decreto, assicurando l’idoneità dell’attività svolta dagli enti di formazione; h) “elenco” l’elenco dei formatori istituito presso il Ministero. Con l’ulteriore specificazione fatta con la normativa regolamentare si danno quindi precise definizioni utili per una corretta interpretazione letterale della disciplina riportata con il d.lgs. n. 28 del 2010.

2.2. Il Registro degli organismi. In base a quanto previsto nell’art. 3 del decreto ministeriale in esame, il registro di nuova istituzione è tenuto presso il Ministero della giustizia, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti presso il Dipartimento per gli affari di giustizia. Di questo registro ne è responsabile il direttore generale della giustizia civile ovvero una persona da questi delegata, con qualifica dirigenziale nell’ambito della direzione generale. Sulla base, quindi, del disegno tracciato dal co. 2 dell’art. 3 viene data attuazione al d. lgs. n.28 del 2010, senza aggravio di spesa per il Ministero in ordine alla istituzione e tenuta del registro. Lo stesso co. 2° specifica che, ai fini della vigilanza sulla sezione del registro relativa alla trattazione degli affari in materia di rapporti di consumo di cui al successivo comma 3, parte I) sezione C e parte II) sezione C, il responsabile esercita i poteri attribuitigli dallo stesso decreto sentito il Ministero dello sviluppo economico. Il registro è articolato in due parti una prima parte che è riservata agli enti pubblici, la quale a sua volta si suddivide in tre sezioni, la sezione A contenente l’elenco dei mediatori c.d. di base, sezione nella quale possono essere iscritti i mediatori che dopo aver superato il corso di formazione di 50 ore, ottenuta l’iscrizione possono esercitare la mediazione civile e commerciale; la sezione B contenente l’elenco dei mediatori esperti nella materia internazionale, e la sezione C contenente l’elenco dei mediatori esperti nella materia dei rapporti di consumo; la seconda parte, invece, relativa agli enti privati, si divide in quattro sezioni, le prime tre corrispondenti a quelle


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della prima parte, alle quali si aggiunge la sezione D contenente l’elenco dei soci, degli associati, amministratori e dei rappresentanti degli organismi. Il responsabile cura il continuo aggiornamento dei dati ed è previsto che la gestione del registro avvenga anche con modalità informatiche volte cioè ad assicurare la possibilità di una rapida elaborazione dei dati e ciò in vista della finalità connessa ai compiti di tenuta e quindi di certezza per gli esenti. Gli elenchi dei mediatori sono pubblici e l’accesso alle altre annotazioni è regolato dalle disposizioni di legge vigenti. 2.2.1. Criteri per l’iscrizione e procedimento d’iscrizione al registro. Nel registro potranno, quindi, essere iscritti, a domanda sia enti pubblici che privati oppure organismi da essi costituiti e spetterà al responsabile verificare la professionalità e l’efficienza dei richiedenti, sulla base di specifiche indicazioni. In particolare, ai sensi dell’art. 4 vanno verificate, in primo luogo, la capacità finanziaria e organizzativa del richiedente, nonché la compatibilità dell’attività di mediazione con l’oggetto sociale e lo scopo associativo. Il primo elemento, cioè la capacità finanziaria, deve essere dimostrato dal richiedente mediante il possesso di un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata; mentre, per dimostrare la propria capacità organizzativa, il richiedente deve attestare di poter svolgere l’attività di mediazione in almeno due regioni italiane o in almeno due province della medesima regione, anche attraverso accordi con altri organismi, naturalmente già accreditati dal Ministero della Giustizia, a svolgere il servizio di mediazione. I richiedenti devono, altresì, possedere una polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000,00 euro per la responsabilità a qualunque titolo derivante dallo svolgimento dell’attività di mediazione e attestare i requisiti di onorabilità dei loro soci, associati, amministratori e rappresentanti che devono essere conformi a quelli fissati dall’art. 13 del d.lgs. 24 febbraio 1995 n. 58. Il responsabile del Ministero, inoltre, dovrà verificare la trasparenza amministrativa e contabile degli organismi, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e i singoli mediatori e quindi della natura delle condizioni contrattuali; ed altresì dovrà verificare il rispetto delle garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione. Tuttavia, nel parere consultivo del 20 settembre 2010 il Consiglio di Stato, ritenendo il secondo comma, in generale, carente, laddove non fissava specificamente i requisiti delle strutture che possono essere iscritte come organismi costituiti da enti pubblici o privati, ha suggerito di modificare le disposizioni al riguardo, richiedendo


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la verifica della “trasparenza amministrativa e contabile dell’organismo, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e l’ente di cui eventualmente costituisca articolazione interna al fine della dimostrazione della necessaria autonomia finanziaria e funzionale” ed ancora richiedeva la verifica delle “garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione nonché la conformità del regolamento alla legge e al presente decreto, anche per quel che attiene al rapporto giuridico con i mediatori”. Tali esigenze tuttavia non sono, state accolte in sede di stesura definitiva del decreto che sotto tale profilo si è prestato a forti criticità che sono state ben evidenziate anche in sede di incidente di costituzionalità da parte del TAR Lazio47 Il responsabile deve, poi verificare la sede e che almeno cinque mediatori abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di mediatore per l’organismo richiedente. Per quanto riguarda questi ultimi, tuttavia, la verifica non è limitata al numero dei soggetti, dovendo il responsabile accertare anche i requisiti di qualificazione dei mediatori, che sono indicati nel terzo comma dell’art. 4. A tale stregua, deve perciò accertare che i mediatori possiedano un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale o, in alternativa, siano iscritti a un ordine o collegio professionale; che possiedano una specifica formazione e uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisito presso gli enti di formazione da considerarsi tali in base all’art.18 e che possiedano i requisiti di onorabilità che possiamo riassumere nelle condizioni di: a) non aver riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; b) non essere incorsi nell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; c) non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; d) non aver riportato sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento. Per i mediatori che intendono iscriversi negli elenchi dei mediatori 47

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) con Ordinanza sul ricorso iscritto al n. 10937 del 2010, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice). Ha, inoltre, dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza. Il Tribunale ha disposto la sospensione del giudizio e trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale.


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esperti nella materia internazionale, il responsabile deve, infine, verificare la documentazione idonea,quindi di possesso di titolo di studio legalmente riconosciuto,volto a comprovare le conoscenze linguistiche necessarie. Gli organismi costituiti dalle Camere di commercio e dai Consigli degli ordini professionali sono iscritti nel registro a semplice domanda, essendo richiesta, per l’organismo, la sola sussistenza della polizza assicurativa di cui al secondo comma, lettera b) dello stesso decreto ministeriale, che deve essere attestata mediante produzione di copia della medesima e, per i mediatori, dei requisiti predetti e di quelli di cui si dirà in relazione ai quali i mediatori potranno fare ricorso anche mediante all’autocertificazione. Nel caso in cui gli organismi siano costituiti da consigli degli ordini professionali, diversi da quelli degli avvocati, e vale a dire i consigli degli ordini professionali in generale, l’iscrizione è sempre subordinata alla verifica del rilascio dell’autorizzazione da parte del responsabile del registro, ai sensi dell’art. 1948 del d. lgs. n. 28 del 2010 e cioè quello di avvalersi di personale proprio e di locali di cui hanno la disponibilità, com’è anche per le Camere Commercio la cui autorizzazione è sempre nel rispetto della normativa vigente. Sotto questi profili quindi la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali risponde all’esigenza di sviluppare organismi in grado di dare rapida soluzione alle controversie in determinate materie tecniche (ad es. in materia ingegneristica, informatica, contabile ecc.). Diversa è invece la ratio della facoltà concessa ai consigli degli ordini degli avvocati che, si ricorda, hanno invece competenza generale nella trattazione degli affari di mediazione. Sotto questo profilo i Consigli dell’Ordine Forense si differenziano rispetto agli altri ordini professionali per la generalità e non per la specialità dei settori d’intervento, mentre non se ne differenziano sotto il profilo dell’istituzione dell’organismo essendo sempre richiesta la preventiva autorizzazione del Ministero della Giustizia e che non vi siano oneri logistici ed economici a carico dello Stato o di personale 48

Art. 19 Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio. 1- I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità. 2- Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16. potere di verificare l`esistenza dei requisiti minimi, né dei poteri di vigilanza successivi.


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che devono essere reperiti sempre dagli ordini stessi. La natura pubblicistica dell’ente, che istituisce gli organismi offre, infatti, solo una garanzia di maggiore serietà ed efficienza che si presume da parte del legislatore ma restano sempre le prescrizioni di autonomie organizzative a carico degli Enti. Anche a questi Enti e Organismi iscritti a semplice domanda si applicano le disposizioni relative alla sospensione e alla cancellazione contenute nell’ art. 10 del decreto attuativo della norma primaria. Ed infatti se dopo l'iscrizione, sopravvengono o risultano nuovi fatti che l’avrebbero impedita ovvero in caso di violazione degli obblighi di comunicazione di cui agli articoli 8 e 20, o di reiterata violazione degli obblighi del mediatore, il responsabile dispone la sospensione e, nei casi più gravi, la cancellazione dal registro di questi organismi anche ad iscrizione “speciale” che vi hanno dato causa. Il responsabile della tenuta del registro dispone altresì la cancellazione degli organismi che hanno svolto meno di dieci procedimenti di mediazione in un Triennio. Quest’ultima cancellazione dal registro impedisce, poi, allo stesso organismo di ottenere una nuova iscrizione, prima che sia decorso un anno dalla sua cancellazione. Spetta sempre al responsabile ministeriale della tenuta del registro degli organismi per le finalità di cui appena detto l'esercizio del potere di controllo,che viene esercitato anche mediante acquisizione di atti e notizie, nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti, di cui viene curato il preventivo recapito, anche soltanto in via telematica, ai singoli organismi interessati. Come previsto dall’art. 5, il responsabile approva il modello della domanda di iscrizione e fissa le modalità delle verifiche, con l’indicazione degli atti, dei documenti e dei dati di cui la domanda deve essere corredata. Delle determinazioni e dei provvedimenti adottati è data adeguata pubblicità, anche attraverso il sito internet del Ministero. Alla domanda con la quale attraverso la modulistica si chiede l’accreditamento dell’organismo, deve essere in ogni caso allegato il regolamento di procedura con la scheda di valutazione del servizio,quest’ultima da consegnare alle parti per la valutazione del servizio di mediazione e la tabella delle indennità, redatta secondo i criteri stabiliti nell’art. 16. Per gli enti privati l’iscrizione nel registro comporta anche l’approvazione delle tariffe del servizio di mediazione essendo gli organismi privati, diversamente da quelli pubblici, non tenuti alla fissità della tabella ministeriale, ma nell’ottica di concorrenzialità a farsi approvare tabelle con delle tariffe del servizio di mediazioni specifiche. La domanda e i relativi allegati, compilati secondo il modello predisposto, in sede ministeriale,49 devono essere 49

E sulla conformità dei modelli predisposti in sede Ministeriale a quanto previsto dalla norma si apre un profilo relativo alla loro correttezza tanto che il Ministero ha emanato in merito note e circolari correttive soprattutto in ordine ai requisiti dell’accreditamento dei docenti e del responsabile


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trasmessi al Ministero, anche in via telematica, con modalità che assicurano la certezza dell’avvenuto ricevimento.50 E’ previsto dal regolamento che il procedimento di iscrizione deve essere concluso entro quaranta giorni, che decorrono dalla data di ricevimento della domanda. Il responsabile del servizio può richiedere l’integrazione della domanda e dei suoi allegati per una sola volta e dalla data in cui risulta pervenuta la documentazione integrativa richiesta decorre un nuovo termine di soli venti giorni. Scaduti detti termini senza che il responsabile abbia provveduto in merito al rifiuto,deve procede comunque all’iscrizione dell’organismo.

2.2.2. L’iscrizione al registro: l’obbligo a cui devono adempiere i responsabili degli organismi ai sensi del D.M. 180/2010. In linea generale, si può ritenere che il decreto ministeriale n. 180 del 2010 ha dato risposte adeguate a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 16 del d. lgs. 4 marzo 2010 n. 28, perché disciplina, in modo abbastanza completo la formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi. Risponde, poi, anche a quanto richiesto dal quinto comma dello stesso articolo, la previsione ivi contenuta, in base alla quale sempre con decreto ministeriale è stato previsto che deve provvedersi alla istituzione dell’elenco dei formatori in base a quanto in esso stabilito in ordine ai criteri per l’iscrizione, sospensione e cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento di formazione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. E’ stabilita poi la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione prevista costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale. Inoltre rispetta senza dubbio le indicazioni del sesto e ultimo comma del richiamato art. 16, la previsione che stabilisce l’istituzione e la tenuta del registro e dell’elenco i quali devono avvenire nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti e disponibili presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva competenza, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. In tale ottica è stato previsto che i responsabili degli Enti di formazione e degli Organismi di mediazione devono scientifico in merito ai codici delle pubblicazioni. 50 Documenti in formato PDF trasmessi con posta elettronica certificata PEC.


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comunicare al Responsabile della tenuta del registro presso il Ministero della Giustizia: di aver istituito corsi di formazione, di adeguamento e di aggiornamento come previsti dalla normativa ministeriale allegandone il contenuto; di aver definito la durata dei corsi di formazione in 50 ore; di aver definito la durata dei corsi di adeguamento – dei precedenti percorsi formativi svolti con il monte-orario di 40 ore - in ulteriori 10 ore; di aver definito i corsi di aggiornamento professionali obbligatori biennali in 18 ore; di aver definito le caratteristiche dei percorsi di formazione e di aggiornamento formativo secondo le caratteristiche di cui alle lettere f) e g) del comma 2 dell’art. 17 del D.M. 180/2010. Di questi corsi gli Enti devono fare poi massima pubblicità sicchè la loro esistenza, durata e caratteristiche deve risultare anche dalla loro pubblicazione sul sito dell’Ente alla pagina “formazione”. E’ prescritto che gli Enti di formazione sono tenuti a individuare anche un responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie, che ha il compito di attestare la completezza e l’adeguatezza del percorso formativo e di aggiornamento, varato dall’Ente di formazione. Del responsabile scientifico i responsabili degli Enti di formazione poi devono trasmettere il curriculum e una sua attestazione che i corsi organizzati dall’Ente sono completi ed adeguati al percorso formativo e di aggiornamento, in base ai precetti del D.M. 180/2010, e inoltre certificare e garantire che i formatori in forza all’ Ente di formazione possiedono i requisiti di onorabilità. Inoltre deve garantire e certificare che i formatori possiedono i requisiti di cui alla lettera a) del 3 comma dell’art. 17 e che si sono obbligati a conformarsi alle direttive del responsabile scientifico che inoltre si sono impegnati a partecipare in qualità di discenti ad almeno 16 ore di aggiornamento nel corso di un biennio. Inoltre deve essere assunto l’obbligo,da parte del responsabile dell’Ente di formazione, di comunicare immediatamente al responsabile presso il Ministero della Giustizia tutte le vicende modificative dei requisiti, dei dati e degli elenchi già comunicati. Il responsabile dell’organismo di mediazione deve, invece, comunicare al responsabile presso il Ministero di Giustizia l’elenco dei propri mediatori, corredato: dalla dichiarazione di disponibilità ad esercitare la funzione di mediatore con l’indicazione della sezione del registro alla quale si chiede l’iscrizione corredata da curriculum sintetico di ogni mediatore con l’indicazione specifica dei requisiti di cui all’art. 4, comma 3 , lettere a) e b) dall’attestazione del possesso dei requisiti di cui all’art. 4, comma 3 lettera c) della dichiarazione, da parte del mediatore, di non essersi reso disponibile a svolgere la funzione di mediatore per più di cinque organismi e di obbligarsi a comunicare gli organismi presso i quali si è reso già disponibile, o presso i quali si renderà disponibile in futuro,


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sempre nel limite massimo di cinque organismi. Sempre il responsabile dell’organismo deve comunicare l’elenco dei propri mediatori esperti in materia internazionale e di consumo e predisporre la formazione di separati elenchi di mediatori suddivisi per specializzazioni in materie giuridiche. Deve inoltre inviare l’elenco dei soci, degli amministratori e dei rappresentanti legali dell’organismo. Il responsabile deve dichiara altresì che l’Ente ha un capitale sociale di 10.000,00 euro interamente sottoscritto e versato, di poter svolgere l’attività di mediazione in almeno due regioni italiane o in almeno due province della stessa regione e che è in grado di svolgere il servizio di mediazione, nelle regioni nelle quali non ha una propria organizzazione, attraverso accordi con altri organismi, ai sensi dell’art. 7, comma 2 lettera c) del D.M. in parola. Gli accordi stipulati con gli altri organismi sono resi noti, di volta in volta, al Responsabile presso il Ministero della Giustizia. Inoltre, sempre il responsabile, deve comunicare di avere stipulato una polizza assicurativa di importo di 500.000,00 euro per la responsabilità a qualunque titolo derivante dallo svolgimento dell’attività di mediazione e che i soci, associati, amministratori o rappresentanti hanno i requisiti di onorabilità conformi a quelli fissati dall’art. 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; che la trasparenza amministrativa e contabile dell’Organismo è garantita dalla tenuta di una regolare contabilità civile e fiscale, nonché dalla pubblicazione sul sito dell’Organismo di tutti gli accordi, contratti, regolamenti attinenti i rapporti giuridici interni ed esterni tra i singoli mediatori e l’Organismo. Il responsabile dell’Organismo deve, in forza delle nuove previsioni dettate con il D.M. 180/2010 come detto anche trasmettere la comunicazione di svolgere mediazioni nelle specifiche materie, chiaramente individuate, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 comma 2 lettera c), mentre per le altre materie non comprese nella specializzazione può svolgere il servizio di mediazione avvalendosi delle strutture, del personale e dei mediatori di altri organismi con i quali abbia raggiunto a tal fine un accordo generale o, anche per singoli affari specifici di mediazione, nonché utilizzando i risultati delle negoziazioni paritetiche basate su protocolli d’intesa tra le associazioni riconosciute ai sensi dell’art. 137 del Codice del Consumo e le imprese, o loro associazioni, aventi per oggetto la medesima controversia. In conclusione da quanto innanzi esposto ed illustrato deriva che il primo passo per la corretta formulazione della domanda di iscrizione sia nel registro degli organismi di mediazione che nell’elenco degli enti di formazione è indispensabile il pieno rispetto sia dalla normativa primaria che secondaria, e quindi segnatamente dal d.lgs. n. 28/2010 e dal regolamento di attuazione D.M. 180/2010. Occorre poi tenere in considerazione anche i modelli di domanda che, ai sensi di


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quanto previsto dall’art. 5 del regolamento, il direttore generale della giustizia civile, quale responsabile della tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco degli enti di formazione, deve approvare e rendere disponibili sul sito del ministero. In merito va evidenziato che sono stati previsti, in particolare, tre diversi tipi di modelli di domanda,che sono stati rapportati nello specifico tenuto conto delle diversità di disciplina contenuta nel decreto legislativo nonchè nel regolamento attuativo, tra gli enti pubblici e gli enti privati in materia di organismi di mediazione. Vi è infatti un modello di domanda da compilarsi per la iscrizione di organismi di mediazione da parte di soggetti privati; vi è un altro modello di domanda da compilarsi per la iscrizione di organismi di mediazione da parte di soggetti pubblici; vi è infine, un modello di domanda unico da compilarsi per la iscrizione degli enti di formazione indipendentemente della loro natura . Oltre che predisporsi il modello di domanda, per l’iscrizione al registro degli organismi di mediazione è stato previsto anche un atto riepilogativo dei dati e requisiti degli organismi di mediazione di cui si chiede l’iscrizione diviso in quattro sezioni e sei appendici nonché un atto riepilogativo degli allegati, diviso in cinque diversi schemi di allegati. Per l’iscrizione nell’elenco degli enti di formazione invece, alla domanda segue una parte relativa a quattro sezioni, una parte relativa alle appendici (in numero di quattro) ed una parte relativa agli allegati (in numero di tre). L’appendice terza, in particolare, è destinata alla indicazione dell’elenco dei formatori, mentre l’appendice quarta è destinata alle indicazione informative relative al responsabile scientifico nominato quale responsabile della formazione dell’Ente che chiede l’accreditamento.

2.3. I requisiti del mediatore nella previsione del DM 180/2010. Ai sensi dell’art. 6, alla domanda di iscrizione ( vv. infra 2.2.2.) deve essere allegato l’elenco dei mediatori che devono essere come già detto almeno cinque, disponibili allo svolgimento del servizio. Per ciascun mediatore deve essere allegata sia una loro dichiarazione di disponibilità sottoscritta contenente l’indicazione della sezione del registro alla quale si chiede l’iscrizione, sia il curriculum sintetico con indicazione specifica dei requisiti di qualificazione e di formazione di cui sono in possesso e del titolo di studio che non può essere inferiore al diploma di laurea universitaria triennale ovvero, in alternativa, l’iscrizione a un ordine o collegio professionale istituito per legge dallo stato, nonché il possesso di una specifica formazione – consistente in un percorso formativo, di durata


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complessiva non inferiore a 50 ore articolato in corsi teorici e pratici51 - e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, di durata complessiva non inferiore a 18 ore, consistente in corsi teorici e pratici avanzati, comprensivi di sessioni simulate partecipate ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione. I corsi di aggiornamento dei mediatori devono avere per oggetto le materie relativa alla normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore.52 Occorre inoltre l’attestazione del possesso dei requisiti di onorabilità, consistente nella condizione di non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; inoltre per diventare mediatore non bisogna essere incorsi nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezze non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento. Alla domanda d’iscrizione deve essere allegata la documentazione idonea a comprovare le conoscenze linguistiche richieste ai mediatori iscritti negli elenchi dei mediatori esperti nella materia internazionale. Ciascun mediatore può dichiararsi disponibile, come detto, a svolgere le proprie funzioni per non più di cinque organismi, mentre per il decreto ministeriale 23 luglio 2004 il limite massimo era stato fissato in soli tre organismi e per quel decreto il rapporto poteva essere addirittura anche con esclusiva per un solo organismo accreditato. E’ stato previsto che le eventuali violazioni degli obblighi inerenti le riportate dichiarazioni costituiscano illecito disciplinare, sanzionabile in base alle rispettive normative deontologiche, se commesse da pubblici dipendenti o da professionisti iscritti ad albi o collegi professionali. In forza di detta previsione deriva ad esempio che gli avvocati risponderanno della relativa violazione a norma del vigente codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale 51

I corsi teorici e pratici devono avere per oggetto le seguenti materie: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore. 52 M. Gorga, Mediazione e formazione, Napoli, 2010, pag.33.


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Forense e ciò si ritiene, in violazione all’obbligo assunto anche relativamente al regolamento approvato dal CNF in materia di aggiornamento obbligatorio continuo. Pertanto il dirigente responsabile della tenuta dell’Albo deve informare, delle relative violazioni, gli organi titolari del potere disciplinare competenti sui relativi professionisti anche mediatori. Quest’ultima disposizione si segnala all’attenzione in quanto con la stessa è stata riconosciuta, implicitamente, la sicura compatibilità della funzione di mediatore con quella di pubblico dipendente, mentre, sotto l’altro profilo dell’incompatibilità, allo stato, gli unici soggetti sicuramente incompatibilità all’esercizio della funzione di mediatori nel nostro ordinamento sono i Giudici di Pace.53 La compatibilità 53

Giudice di pace - Mediazione - Mediatore - incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non sia compatibile con le funzioni di giudice di pace sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale disciplinati dal D.m. 222/2004, sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale per i quali non si applica il suddetto decreto ministeriale, con riferimento all'intero territorio nazionale. (Consiglio Superiore della Magistratura Risposta a quesito del 6 ottobre 2010) Incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di giudice di pace e l'attività conciliativa. (Risposta a quesito del 6 ottobre 2010) Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 6 ottobre 2010, ha adottato la seguente delibera: "- letta la nota in data 21 aprile 2010 con la quale la dott.ssa …, giudice di pace nella sede di …, chiede di conoscere se sussista incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di giudice di pace e l'iscrizione nelle liste di organismi autorizzati alla conciliazione in genere e, in particolare, in quelle presso la Camera di Commercio e in quella della Camera di Conciliazione della Consob, rappresentando che l'eventuale attività conciliativa verrebbe svolta in qualità di avvocato; - considerato che, con delibere dell'11 dicembre 2008 e 11 febbraio 2009, il Consiglio ha affermato che l'incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non è compatibile con le funzioni di giudice di pace; - ribadito il principio secondo cui per i giudici di pace le specifiche cause di incompatibilità sono tipizzate dalla legge n. 374 del 1991 e non sono loro applicabili l'art. 16 R.d. 12/1941 e le ulteriori forme di incompatibilità previste dalle norme di Ordinamento giudiziario, anche in virtù del principio sancito dall'art. 51, comma 1, Cost., in base al quale tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, sicché l'ampliamento delle cause di incompatibilità, mediante l'applicazione di quelle previste per i magistrati professionali, realizzerebbe un'illegittima introduzione di limiti all'accesso all'ufficio pubblico (o alla permanenza in esso) non voluti dalla legge; - considerato che bisogna prestare particolare attenzione alla previsione di cui all'art. 7 del decreto ministeriale 23 luglio 2004, n. 222 contenente il “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all'art. 38 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5”, il quale, al comma 3, prevede che “in ogni caso, i giudici di pace, finché dura il loro mandato, non possono svolgere la conciliazione in forme e modi diversi da quelli stabiliti dall'art. 322 del codice di procedura civile”, ponendo una regola di carattere generale, che vieta ai giudici di pace di svolgere l'incarico di conciliatori durante tutto il periodo del loro mandato proprio perché essi svolgono l'attività conciliativa prevista dall'art. 322 c.p.c.; - rilevato che il Consiglio di Stato, nel rendere il parere di sua competenza sullo schema del regolamento in oggetto, all'esito dell'adunanza


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svoltasi il 5 aprile 2004, ha affermato che l'incompatibilità è “espressamente estesa all'attività conciliativa stragiudiziale del giudice di pace, come regolata dall'articolo 322 del codice di procedura civile, allo scopo di evitare il contemporaneo esercizio delle due funzioni conciliative”; - individuata la ratio legis del divieto posto dall'art. 7 D.m. 222/2004 nell'escludere che il giudice di pace, già istituzionalmente deputato ad espletare l'attività conciliativa stragiudiziale, possa rendere il medesimo servizio partecipando ad uno degli organismi di conciliazione previsti dall'art. 38 D.Lgs. 5/2003, appannando la propria immagine di imparzialità ed indipendenza, perché al magistrato onorario sarebbe consentito di svolgere la medesima attività in ambito “pubblico” e, al contempo, in ambito “privato”, peraltro percependo specifici compensi, corrisposti dalle parti secondo le tariffe stabilite per la conciliazione stragiudiziale;- considerato che l'art. 7 D.m. 222/2004 trova applicazione, per la conciliazione stragiudiziale, anche in materie diverse rispetto a quelle indicate dall'art. 1 D. Lgs. 5/2003 e cioè nelle controversie tra utenti ed operatori di comunicazioni elettroniche, fino alla completa attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 141, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (delibera del 19 aprile 2007, n. 173/2007/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) e nelle controversie in materia di affiliazione commerciale e di patto di famiglia e che non possono esservi dubbi in ordine alla sussistenza della incompatibilità tra l'incarico di conciliatore e l'ufficio di giudice di pace per tutte le materie in cui il procedimento di conciliazione stragiudiziale sia disciplinato dal D.m. 222/2004; - ritenuto che da tale conclusione possa desumersi anche l'incompatibilità assoluta del giudice di pace ad esercitare l'incarico di conciliatore, senza che possa operarsi alcuna distinzione in relazione alla materia oggetto della conciliazione stragiudiziale, poiché l'art. 322 c.p.c. non pone alcun limite alla competenza del giudice di pace in tema di conciliazione stragiudiziale e l'incompatibilità assoluta appare essere del tutto coerente in relazione alla funzione svolta dalla conciliazione stragiudiziale - quale forma alternativa di risoluzione delle controversie - ed alla ratio del divieto - salvaguardia della capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito, le funzioni di magistrato onorario, come previsto dall'art. 5, comma 3, L. 374/1991; - ritenuto, in conclusione, che appare del tutto ragionevole discostarsi, mutando indirizzo, da quanto deliberato in data 24 gennaio 2001, alla luce degli interventi normativi degli ultimi anni in tema di conciliazione stragiudiziale, i quali hanno riconosciuto alle camere di commercio un ruolo primario nell'erogazione di tale servizio (legge 14 novembre 1995, n. 481 recante “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”; legge 29 marzo 2001, n. 135 relativa alla “Riforma della legislazione nazionale del turismo”; decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 relativo alla “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366”; legge 6 maggio 2004, n. 129 dettante “Norme per la disciplina dell'affiliazione commerciale”; decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 in tema di “Codice del consumo, a norma dell'art. 7 della L. 29 luglio 2003 n. 229”; legge 14 febbraio 2006, n. 55 avente ad oggetto “Modifiche al codice civile in tema di patto di famiglia”; legge 22 febbraio 2006, n. 84 sulla “Disciplina dell'attività professionale di tinto lavanderia”) e hanno progressivamente allargato l'ambito applicativo della conciliazione, fino a comprendere, secondo l'art. 2 del D. Lgs. 4 marzo 2010 (attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) qualunque “controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili”; - tutto ciò premesso, il Consiglio delibera di rispondere al quesito proposto


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tra l’esercizio della funzione di dipendente (pubblico o privato) e quella di mediatore è stata però, come detto, censurata dal Consiglio di Stato, con il parere interlocutorio di luglio con il quale il Consiglio ha segnalato come la questione specifica della previsione, anche se soltanto implicita della compatibilità poneva profili di criticità. Tuttavia sul punto non solo non sono state apportate modifiche in sede regolamentare, ma anche nel parere del Consiglio di Stato del 20 settembre 2010 non sono state ravvisati ulteriori censure in merito a tale questione, rimaste prive di risposte, sicché è da ritenere che sia ammesso, almeno implicitamente, a svolgere le funzioni di mediatore pure il dipendente pubblico, cosa che di per sé - anche in caso di una previsione esplicita - potrebbe comportare dei problemi pratici, in ordine al coordinamento di tale previsione sia con la disciplina del rapporto di pubblico impiego sia con le disposizioni del decreto in commento relative ai requisiti di indipendenza ed imparzialità del mediatore.

2.4. Considerazioni sui requisiti di formazione dei mediatori. Mentre in Italia la formazione degli operatori del diritto pare ignorare completamente le ADR quest’ultime, invece, sono abbastanza diffuse a livello internazionale e si può, in merito, agevolmente spaziare dalle forme più sviluppate delle esperienze, teorizzate e praticate, nel sistema giuricoeconomico degli USA – che oramai il punto di riferimento di quelle occidentali, e comunitarie in particolare – a quelle Australiane dove molto sviluppati sono gli istituti di composizioni dei conflitti tra società civile e nativi, fino a quelle dell’Asia Orientale, Giapponese e Cinese in particolare dove la cultura della conciliazione è considerata come la procedura da preferire per la risoluzione delle controversie, che sempre di più si adatta e si modella sulle necessità del commercio internazionale facendo sintesi, per quanto possibile, tra i modelli occidentali ed orientali. Proprio quest’ultima esigenza di armonizzazione delle procedure risolutive delle controversie, nel campo del commercio trasfrontaliero, è all’origine delle ADR rivolte non più e non solo alle risoluzione dei conflitti di diritto domestico, ossia di composizione degli interessi tra i soggetti appartenenti allo stesso Stato, ma tra dalla dott.ssa …, giudice di pace nella sede di …, nel senso che deve ritenersi che l'incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non sia compatibile con le funzioni di giudice di pace sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale disciplinati dal D.m. 222/2004, sia in relazione ai procedimenti di conciliazione stragiudiziale per i quali non si applica il suddetto decreto ministeriale, con riferimento all'intero territorio nazionale."


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soggetti ed imprese appartenenti a Stati diversi. Vi è stato quindi un ampliamento dell’area di intervento delle Alternative Dispute Resolution che dalla tradizionale area di applicazione del diritto Pubblico ed Internazionale sono approdate, nel momento in cui si è avuto l’affermazione planetaria del modo di produzione Capitalistico, prima al settore del commercio internazionale e poi di quelle nazionale. Sono quindi, senza ombra di dubbio, i paesi anglosassoni quelli dove hanno avuto origine le ADR essendo stati tali metodi alternativi favoriti dal sistema giurisdizionale imperniato sul Common law,54 la rigidità invece, della procedura civile che caratterizza, i nostri sistemi europei di civil law,55 pare escludere la possibilità di una 54

Il sistema del Common law è un modello di ordinamento giuridico, di matrice anglo sassone, basato sulle decisioni giurisprudenziali, ossia sul cd “precedente” (stare dcisis) giurisprudenziale anziché sui codici e sui decreti governativi. Il sistema del Common Law è attualmente in vigore in Australia, Canada (esclusa la regione del Quebec), nel Regno Unito (esclusa la Scozia), e negli Stati Uniti d'America (escluso lo Stato della Louisiana). Altre nazioni, peraltro, hanno adattato il sistema del common law alle loro tradizioni, creando così un sistema misto. Per esempio, l'India e la Nigeria attuano il sistema del common law frammisto a regole giuridiche di stampo religioso. Il sistema di Common law è contrapposto al sistema del Civil law, l'altra branca della tradizione giuridica occidentale. Il Common law si è sviluppato differentemente dal Civil law per una serie di ragioni strutturali quali: la formazione pratica del giurista di Common law (laddove invece il giurista di Civil law ha prevalentemente formazione universitaria; la selezione dei giudici avviene fra i migliori avvocati superiori, i barrister (laddove invece nei sistemi civil law la selezione dei Giudici avviene su base burocratica per il semplice superamento di un concorso di accesso alla P.A.; la centralizzazione e un elevato prestigio delle Corti superiori inglesi (laddove invece la frammentazione territoriale dei Tribunali e delle Corti nel civil law comporta che ogni Corte o Tribunale decide con il vincolo della soggezione solo alla legge; ridotto è poi il ruolo della dottrina giuridica universitaria nella formazione del diritto (laddove invece la dottrina ha un elevato ruolo nel civil law) ; l'assenza della recezione del diritto romano, salvo influenze su opere dottrinali; la giurisprudenza è la principale fonte del diritto, con un ridotto intervento del diritto legislativo (il diritto legislativo è, invece, prevalente nei paesi di Civil law); la mancanza di codificazioni; l'obbligatorietà del principio dello stare decisis (a partire dalla metà del XIX secolo); la mancanza del notariato di tipo latino, le cui funzioni sono svolte dagli avvocati. 55 In dottrina si usa contrapporlo correntemente ai sistemi anglosassoni detti di common law, ed è detto perciò anche "diritto continentale", sebbene vi siano alcune aree di mutua influenza sia sotto il profilo normativo che giurisprudenziale. A volte si parla anche di "famiglia dei sistemi romanisti" o di "diritto di tradizione romano-germanica". I sistemi di civil law si sono sviluppati nell'Europa continentale a partire dal diritto romano-giustinianeo. Sono basati su un ruolo importante dell'università ossia della dottrina giuridica e sulle codificazioni. In questi sistemi il giudice deve attenersi, per quanto possibile, alla lettera della legge ed allo spirito del legislatore, sovrano in quanto direttamente eletto dal popolo fonte della legittimazione giuridica. In effetti, però con lo sviluppo del sistema giuridico ha sempre più maggiore autorevolezza la giurisprudenza, in particolare quella delle corti supreme. Le quali decisioni, pur non avendo forza di legge, sono utilizzate dai giudici di merito per sostenere nella motivazione le sentenze di merito. La tendenza della legislazione delle Corti supreme infatti si è andata


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proliferazione di procedure di ADR, ma certamente non potrà impedirne la sperimentazione rispetto ad un arretrato civile che ormai porta a picchi di vera e propria denegata giustizia. L’esperienza d’oltre oceano può quindi essere di riferimento per le nostre sperimentazione e va guardata con favore poiché accanto alle procedure di arbitrato, conciliazione e mediazione, esistono, in quell’esperienze, anche altre forme di ADR che sono volte a soddisfare le esigenze dell’utenza per una giustizia semplice e rapida attraverso un procedimento personalizzato, creato cioè su misura della controversia da risolvere. Si tratta cioè di una tutela civile differenziata in cui l’obiettivo da raggiungere è la creazione di tanti metodi alternativi quanti sono i tipi di causa che possono sorgere.56 Per quanto attiene all’esperienza nel contesto Europeo la problematica dell’accesso dei consumatori alla giustizia e alle procedure di ADR, ha spinto sempre più verso una loro valorizzazione.

2.5. La formazione dei Mediatori nei singoli paesi Europei.

poi via via caratterizzando in quanto le sentenze spesso riferimento a norme di ordine superiore quali, ad esempio, la Costituzione o trattati internazionali come quelli relativi ai diritti dell'uomo o ancora, ad esempio, le norme sovranazionali europee sicché le decisioni che si richiamano a detti principi sono detti di “diritto vivente”. Ogni ordinamento giuridico, infatti, che lo si chiami “Stato di diritto”, ”Rechtsstaat”, “Etat de droit”, “Rule of law”, si evolve autonomamente, seguendo le spinte economiche, sociali e civili del proprio Paese. Tali spinte, nel contesto attuale, sono analoghe a quelle degli altri Stati, e sempre più frequentemente si incrociano prescindendo dai confini nazionali, grazie ad una possente globalizzazione tecno-economica (si pensi ad es. che il call center per prenotare, anche dall’Italia, un ristorante a New York si trova in India). Ciò comporta una “globalizzazione” anche dei costumi, delle idee, dei valori e quindi dei diritti, con tutele che vengono ormai richieste e concesse non più solo dalle Corti nazionali, ma anche da quelle sovranazionali, soprattutto dalla CE di Lussemburgo e dalla CEDU di Strasburgo. A fronte della globalizzazione tecno-economica, il sistema delle tutele dei diritti non può restare confinato nel suo originario ambito nazionale. E cosi non e, in Italia, anche grazie al nuovo art. 117 Cost. (introdotto con l. cost. 3/2001), che prevede il rispetto, nell’esercizio della potestà legislativa, dei vicoli derivanti dall’ordinamento comunitario, “nonché” di quelli derivanti dagli obblighi internazionali. A tal proposito la Corte costituzionale (348/2007) ha ritenuto che l’art. 117, 1o comma, Cost. condiziona l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, fra i quali rientrano quelli derivanti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo, le cui norme pertanto, cosi come interpretate dalla CEDU, costituiscono fonte integratrice del parametro di costituzionalità, e la loro violazione da parte di una legge comporta che tale legge debba essere dichiarata illegittima dalla corte costituzionale, sempre che la norma della convenzione non risulti a sua volta in contrasto con una norma costituzionale. 56 PROTO PISANI, Sulla tutela giurisdizionale differenziata, Riv. Dir. Proc., 536 e seguenti.


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Come si è avuto modo di osservare la forte avversione che l’istituto della mediazione ha subito in Italia, non ha consentito un sereno confronto sull’assenza del retroterra dottrinale e scientifico delle procedure alternative e quindi nessuna ricerca è stata sviluppata sui relativi percorsi formativi dei mediatori. La stessa adozione dell’istituto nel nostro sistema giuridico è stata rappresentata come una scelta legislativa estemporanea d’istituti formatasi in sistemi giuridici diversi e ciò senza alcuna valutazione, da parte dei soggetti che hanno mosso tali critiche del processo di “erosione“ che da anni è in atto, tra gli ordinamenti giuridici di Civil Law e Common Law, e senza tener conto di quelle che sono state sino ad oggi le esperienze formative delle singole Nazioni Europee.57Occorre perciò, in questa sede, fare una breve panoramica sui sistemi di formazione della mediazione nei singoli paesi europei. Iniziando la comparazione dei sistemi formativi, o meglio di quello che possiamo definire il diritto comparato della formazione dei mediatori, è da osservare che in Belgio sul sito Web del Ministero si trovano informazioni sull’istituto della conciliazione soprattutto per quel che attiene ai vari aspetti della procedura della mediazione e dei relativi costi. Sempre sullo stesso sito vi sono anche informazioni concernenti la formazione dei mediatori erogata da Enti, Istituti e società private, vigilati dalla Commissione federale della mediazione. Per quanto attiene la formazione occorre distinguere nel sistema Belga: la formazione di base, disciplinata dalla normativa del 1° febbraio 2007, la quale fissa anche le condizioni e le procedure di certificazione dei centri di formazione oltre che delle formazioni di mediatori abilitati all’esercizio professionale che sono riconosciuti dalla Commissione Federale di Mediazione; da quella permanente che trova la sua fonte normativa, invece, nel provvedimento del 18 dicembre 2008, il quale definisce gli obblighi dei mediatori abituali, che hanno svolto il percorso di formazione continua, e stabilisce i criteri di riconoscimento dei contenuti del programma didattico di formazione continua. Riguardo il profilo in parola, e vale a dire degli Enti e Istituti deputati all’erogazione della formazione, si può affermare che allo stato attuale esistono alcuni tratti comuni tra il sistema Belga di formazione dei mediatori e quello Italiano perché anche in Italia la formazione dei mediatori ha fonte nella disciplina del programma ministeriale ed anche la stessa organizzazione della formazione dei mediatori è rimessa agli Enti privati, i quali debbono parimenti avvalersi di docenti appositamente autorizzati. Il monte-orario formativo nel sistema Belga è 57

M. Gorga Alternative Dispute resolutions e Online Dispute Resolutions – Ed. ScriptaWeb – Napoli 2010


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articolato in moduli ed è di complessive sessanta ore ripartite in non meno di venticinque ore di formazione teorica, con modulo comune per tutti i mediatori, e non meno di venticinque ore di formazione pratica. Per quanto attiene ai contenuti formativi, la parte teorica comune per tutti i mediatori riguarda: i principi generali di mediazione - etica e filosofia-; lo studio dei vari istituti alternativi; il diritto applicabile; gli aspetti sociologici e psicologici del conflitto e il procedimento di mediazione. La parte pratica, invece, comprende gli stessi casi trattati in sede di materie teoriche che vengono ulteriormente sviluppate con i cd giochi di ruolo, simulazioni di negoziazioni e con l’attività di comunicazione relazionale. Oltre a questa formazione di base in Belgio esiste anche un’ampia offerta specialistica, vi sono infatti programmi particolari per ciascun tipo di mediazione che si sostanziano in un percorso formativo di almeno trenta ore ripartite liberamente in attività teorica e pratica. Vi sono programmi specifici di mediazione per singoli settori come ad esempio, nel diritto di famiglia, nel diritto civile, in quello commerciale e societario. Per la certificazione dei mediatori la normativa regolamentare in Belgio prevede che occorre presentare un fascicolo nel rispetto della normativa dettata con la legge del 21 febbraio 2005. Il mediatore Belga è tenuto infine al rispetto del codice di buona condotta e soggiace alla revoca in ipotesi di violazione delle norme dello stesso codice. Anche in Bulgaria esistono organizzazioni private alle quali sono attribuiti compiti in materia di formazione per mediatori e quest’ultime la erogano sulla base delle procedura stabilita nella legge sulla mediazione e del regolamento del 15 marzo 2007. Vari sono poi i seminari di formazione nei quali sono trattate le tematiche riguardanti sia i procedimenti giudiziari che le norme etiche di condotta dei mediatori. Passando in Danimarca, invece, occorre dire che contrariamente a ciò che avviene nella maggioranza dei paesi Europei qui non esiste un sito Internet ufficiale volto a fornire informazioni sulla mediazione, né sono previsti, a livello nazionale, piani di formazione per i mediatori La formazione, infatti, in Danimarca è erogata non solo da associazioni, imprese e singoli individui ma anche dalle Università, quest’ultime vanno segnalate in quanto le singole facoltà di giurisprudenza di quelle più prestigiose offrono corsi di formazione per conciliatori che prevedono specifici percorsi formativi. Anche in Estonia non esiste un sito Internet specifico sulla mediazione, né esiste una normativa specifica sulla formazione dei mediatori e neanche un programma di formazione nazionale per mediatori. La formazione viene, infatti, fornita da singole


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organizzazioni private anche non riconosciute. Una delle associazioni più attive è proprio quella dei mediatori. Discorso ben diverso da fare, invece, è per la Spagna, dove i mediatori sono dei professionisti in possesso di una specifica formazione. Esistono poi leggi e regolamenti di Comunità locali che fanno specifica menzione alla necessaria della formazione soprattutto nel settore della mediazione familiare. In generale è richiesto per diventare mediatore il possesso di un titolo di studio Universitario, almeno triennale, e una formazione specifica in materia di normativa e tecnica della composizione conciliativa e ciò mediante la partecipazione a corsi di durata superiore a 100 ore e nei quali grande rilievo viene dato alla parte dell’insegnamento pratico. Quest’ultimo tipo di percorso formativo di norma è offerta dalle Università e dagli ordini professionali degli psicologi e degli avvocati. Anche in Francia non esiste, un sito web ufficiale sulla mediazione. Nell’attuale fase storica il diritto positivo francese non prevede alcuna formazione particolare per l’esercizio della professione di mediatore, ad eccezione della mediazione familiare dove invece in forza delle norme emanate con il decreto 2 dicembre 2003 e dell’ ordinanza del 12 febbraio 2004, esiste un percorso formativo che porta al conseguimento del diploma di mediatore familiare. In quest’ultima materia la legge prevede che l’attività di formazione deve essere offerta solo da enti riconosciuti. Il diploma abilitante è rilasciato dal prefetto della regione di residenza solo dopo che si è superato sia il tirocinio che i relativi test che certificano l’abilità conseguita. Il percorso di formazione è assicurata da centri riconosciuti dalla Direzione regionale degli affari sanitari e sociali (DRASS, Direction régionale desaffairessanitaires et sociales). In quest’ultimi centri, gli aspiranti mediatori devono seguire un corso di formazione di complessive 560 ore articolate in moduli didattici triennali di cui almeno 70 ore devono essere riservate al tirocinio al termine del quale se superate le prove si acquisisce il titolo di mediatore. La Lettonia è priva sia di un sito Internet specifico sulla mediazione, che di qualsiasi organismo nazionale deputato alla formazione dei mediatori. Anche nella Repubblica di Lituania non esiste un programma di formazione nazionale. Tuttavia, il centro di formazione del ministero della Giustizia (Teisingumoministerija), così come alcuni enti privati, ben regolamentati, offrono una formazione specifica per la formazione dei mediatori. In Lussemburgo l'università offre uno specifico percorso di formazione che porta al conseguimento di un diploma universitario in mediazione. A Malta il Centro Maltese per la mediazione organizza


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periodicamente corsi di formazione per mediatori e ciò sin dal 2008. Quest’ultimi corsi sono periodici trattano le varie tematiche e sono, di norma, finalizzati a fornire una formazione sulle competenze necessarie nella mediazione, con particolare riguardo agli aspetti psicologici, sociali e giuridici. Nei Paesi Bassi il Nederlands Mediation Institut (NMI) ha il compito istituzionale di fornire informazioni sulla mediazione e sui mediatori. Il Centro fornisce, su tutto il territorio nazionale, un servizio indipendente sia sul livello della qualità del servizio di mediazione che relativamente al comportamento dei singoli mediatori dei quali gestisce il pubblico registro degli iscritti. I mediatori iscritti al NMI sono anche tenuti a seguire un percorso formativo specifico che una volta svolto consente di ottenere la qualifica necessaria per agire in qualità di mediatore in conformità al regolamento del NMI. Per potere essere iscritto in quest’ultimo registro il mediatore deve essere in possesso di specifici requisiti quali ad esempio l’avere terminato con esito positivo un corso di formazione per mediatori accreditato da NMI; aver superato un esame per la valutazione delle relative conoscenze. Il Nederlands Mediation Institut ha, tra l’altro, anche il compito di accreditare gli istituti di formazione nel campo della mediazione. Per quanto attiene i programmi di formazione gli Istituti accreditati per la formazione normalmente prevedono un corso base di sei giorni totali e corsi della durata complessiva di 20 giorni ed anche di più. Partecipare, completandolo, uno di questi corsi di formazione, è ritenuta una delle condizioni pregiudiziali per poter essere iscritti nel registro dei mediatori del NMI. Il secondo requisito, per poter essere iscritti al registro, è proprio il superamento del test di valutazione delle conoscenze e competenze acquisite durante il corso. La valutazione, predisposta dal NMI, viene fatta presso l’Università di Leiden, nei Paesi Bassi e consiste nella corretta risposta a 50 domande a risposta multipla e a cinque domande aperte. I risultati di predetta valutazione sono pubblicati sul “Mediation Handboek” ovvero sul Manuale di mediazione, editore Sdu Uitgevers, dell’Aia. In Polonia sono disponibili informazioni sulla mediazione nella sezione dedicata alla mediazione del sito Internet del ministero della Giustizia. Il governo non organizza corsi specifici per mediatori, poiché il Centro nazionale per la formazione del personale eroga corsi soltanto per giudici e pubblici ministeri. I mediatori normalmente frequentano corsi di formazione presso centri privati per la mediazione, i cui programmi variano a secondo dell’ente di formazione scelto. Il ministero della Giustizia polacco si limita a raccogliere infatti i soli dati statistici sulla mediazione che sono divisi in tre categorie : la prima categoria riguarda le cause in cui è stato raggiunto un accordo; la seconda categoria riguarda le cause in cui non è


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stato raggiunto un accordo; la terza categoria analizza l’efficacia dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie. In Romania il sito Internet del Consiliul de Mediere è la principale fonte di informazioni sulla mediazione. La formazione è erogata solo da soggetti privati, ma è il Consiliul de Mediere che concede le necessarie autorizzazioni alle strutture private di formazione che così facendo mira ad assicurare che tutti gli Enti di formazione diano il medesimo livello di formazione ed identici contenuti sotto il profilo della didattica. Esiste poi l’elenco delle strutture autorizzate che è reso disponibile sul sito Internet ufficiale del Consiliul de Mediere. I corsi sono tenuti con regolare frequenza su di un programma di formazione iniziale per mediatori di 80 ore. Nel programma sono definiti sia gli obiettivi di apprendimento sia le competenze che l’aspirante mediatore dovrebbe avere acquisito al termine del percorso formativo nonché in ordine ai relativi metodi di valutazione. In questo momento ben otto sono le strutture private autorizzate dal Consiliul alle quali è stata anche attribuita la responsabilità della preparazione del materiale didattico degli esercizi da far svolgere e tanto in conformità con la programmazione di riferimento nazionale di formazione. In Austria, solo di recente, sono stati previsti strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti, ma solo per alcuni rami del diritto quale il penale e per il diritto di famiglia e dell’ambiente. Per la conciliazione commerciale, invece, si stanno consolidando organizzazioni professionali specialistiche multidisciplinari ossia organizzazioni costituite da notai, avvocati, tributaristi, per i quali gli standard formativi richiesti sono particolarmente elevati ed hanno durata non inferiore a 200 ore. In Finlandia dal sito internet del Ministero della Giustizia è possibile scaricare un opuscolo sulla mediazione giudiziale. Il Tervey denjahyvinvoinnin laitos (THL) organizza corsi di formazione per mediatori. L’istituto raccoglie inoltre dati statistici sulla mediazione delle cause civili e penali, controlla e conduce ricerche sulle attività di mediazione e coordina lo sviluppo nel settore. In Inghilterra e il Galles, all’interno del Regno Unito, esistono specifiche organizzazioni come l’A.C.A.S. (Advisory Conciliation and Arbitration Services), istituto indipendente, che beneficia di finanziamenti pubblici, per la conciliazione delle cause di lavoro e il C.E.D.R. (Centre For Effective Dispute Resolution), che è la maggiore organizzazione per i corsi di formazione per mediatori accreditati. Il C.M.C. (Civil Mediation Council) è un network che consente ai mediatori di aggiornarsi, di crescere professionalmente, confrontarsi conoscere le pubblicazioni specialistiche, accedere a linee guida. Inoltre esistono reti


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organizzate volte a favorire la conciliazione tra imprese ed imprenditori e lavoratori, nel campo della mediazione familiare, tra autorità pubbliche e professionisti. La National Mediation Helpline ha, invece, il compito di fornire informazioni sulla mediazione, i servizi e i costi, nonché sulla mediazione familiare, il patrocinio a spese dello Stato, le domande più frequenti (FAQ), e alcuni videoclip. Entrambi i servizi sono dati da dei siti Internet che sono sponsorizzati dallo Stato. Il ministro della Giustizia gestisce i predetti servizi, anche se l’amministrazione è stata esternalizzata. Non esiste alcun ente di formazione nazionale per i mediatori civili in Inghilterra e Galles in queste nazioni la formazione dei mediatori civili è rimessa i singoli mediatori come privati e non è soggetta ad alcuna regolamentazione. La professione è in regime di autodisciplina anche per quanto riguarda la formazione. I mediatori familiari vantano invece formazioni diverse, tra cui quella giuridica, psicoterapeutica o relativa ai servizi sociali e ad essi la legge non impone una formazione specifica. In Scozia i mediatori hanno una loro organizzazione specifica ed esistono disposizioni speciali in materia di formazione dei mediazione. La SMN dal 2004 offre sul proprio sito Internet una “mappa della mediazione”. Le informazioni rese dal sito sono aggiornate costantemente e ciò grazie ai finanziamenti concessi dal governo scozzese. Il link compare in una serie di opuscoli e pagine web. La mappa è stata collegata al Registro scozzese della mediazione in modo da offrire un unico punto di riferimento per l’individuazione di un mediatore qualificato. L’ufficio della SMN risponde anche a richieste telefoniche, che vengono dirottate agli specifici servizi di mediazione. La SMR stabilisce le qualifiche dei mediatori facendo si che le parti abbiano la disponibilità di informazioni dettagliate per la scelta del mediatore. In Scozia sono previsti programmi di formazione per settori diversi della mediazione e tutti questi programmi hanno una durata minima di 30 ore e comprendono i moduli di: Principi e pratica della mediazione ; Fasi del processo di mediazione ; Etica e valori della mediazione ; Eventuale contesto giuridico delle controversie ; Tecniche di comunicazione utili nella mediazione; Tecniche di negoziazione e loro applicazione ; Effetti del conflitto e relative modalità di gestione ; Diversità.

2.5.1. La formazione dei mediatori familiari. Occorre, a questo punto, ricordare che per quanto riguarda la formazione dei mediatori familiari, fin dai primi anni 90 la


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tendenza è stata quella di creare un sistema uniforme. Nel 1992 è stata realizzata, infatti, la Charte Europeen, vale a dire una convenzione tra i centri di formazione appartenenti ai diversi stati europei, tra cui anche l'Italia. Questa Carta Europea però ha avuto il pregio, ma anche il limite, di essere finanziata dall’ Association pour la Promotion de la Mediation Familiale, in sigla dalla APMF, ed è pertanto rimasta vincolata a questa singola associazione privata francese. In seguito, gli stessi centri di formazione e organismi costituenti la Charte si sono riuniti e, con una certa continuità rispetto al lavoro fatto nel '90 e nel '92, hanno dato vita al Forum Europeo di Formazione e Ricerca in Mediazione Familiare con sede a Marsiglia in Francia. Quest’ultimo forum, di carattere prettamente internazionale, è costituito sotto forma di associazione creata principalmente, se non quasi esclusivamente, da centri di formazione sulla mediazione familiare. Il Forum Europeo si proponeva, in assenza di regolamentazioni nazionali specifiche, di promuovere una formazione in tutta Europa, quindi l'intento non era quello di conferire primogeniture ai centri che ne facevano parte ma quello di accogliere, se possibile, tutti i centri di formazione in mediazione familiare per uniformare e elevarne gli standard della qualità formativa. In Italia, nel 2003, si contavano 55 centri di formazione sulla mediazione familiare, mentre il Forum Europeo annovera ben 12 paesi rappresentati, con evidenti difficoltà linguistiche e quindi di comunicazione, ma con l’unico scopo di percorsi formativi in materia di mediazione familiare. Per quanto riguarda la formazione in Italia, sono riscontrabili alcuni modelli formativi ben precisi. Uno è quello diffuso dall'AIMS, presente in tutta Italia con numerosi centri di formazione. C'è poi il modello SIMEF, anche il modello SIMEF è un modello molto diffuso, soprattutto, ma non esclusivamente, presso le ASL. Ci sono poi alcuni centri della scuola Morineau che, secondo la volontà della fondatrice, operano a 360 gradi, e dove la formazione ha la caratteristica volta a eliminare la violenza intradomestica.

2.6. La mancanza di una formazione in materia di ADR degli operatori delle professioni legali in Italia. Con l’ingresso nel nostro ordinamento della mediazione ai fini della conciliazione, che ha fatto coniare il termine di “mediaconciliazione”, si è aperto in dottrina, e presso i giuristi pratici, un fecondo dibattito in ordine alle ragioni dell’assenza del retroterra teorico58 sulle ADR nei sistemi di civil law. A livello 58

R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, Milano, 2001; Corso di ordinamento forense e deontologico, Milano, 2003.


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comunitario osservato che sono state censurate le differenze metodologiche e il monte-orario di frequenza obbligatoria dei corsi di formazione dei giuristi europei, siano essi mediatori, avvocati o magistrati, deve tuttavia evidenziarsi che la Commissione Europea ha ritenuto di non dover interferire nell'organizzazione dei singoli sistemi nazionali, anche se la stessa Commissione appare ben consapevole che la diversa organizzazione dei corsi ha un grosso impatto sulla formazione di diversi giuristi europei. La Commissione si è così limitata ad indicare solo tre principi ai quali le autorità nazionali, competenti alla redazione dei programmi, dovrebbero attenersi, questi sono: a) la migliore conoscenza da parte degli operatori del diritto degli strumenti giuridici dell'Unione e, quindi, del diritto Comunitario e del diritto dell’Unione Europea; b) la migliore reciproca conoscenza dei sistemi giudiziari dei singoli Stati membri; c) il miglioramento della formazione linguistica. Per raggiungere tali obiettivi dovrebbero essere, poi, utilizzate metodologie pedagogiche diversificate59 ed in particolare occorre secondo la Commissione, potenziare gli scambi tra gli operatori del diritto nei vari paesi membri dell’Unione Europea. In tale ottica si è stabilito di contribuire allo sviluppo della formazione continua giudiziaria nei singoli Stati membri con specifici programmi di finanziamento alle singole iniziative anche degli Ordini professionali, come dimostra il programma che attualmente è in atto, per il periodo 2007-2013, denominato “Diritti fondamentali e giustizia”. Programma che però non è stato affatto compreso dai giuristi del nostro paese, anche in relazione a quella che è l’importanza della materia specifica, considerato che nell’ambito del predetto intervento comunitario è stato previsto un modulo “Lawyers in ADR” volto, specificatamente alla formazione in materia di tecniche alternative di risoluzione delle controversie. Nello specifico il progetto mira a rimuovere quegli ostacoli che impediscono agli avvocati di utilizzare e promuovere attivamente la mediazione, creando degli standard a livello europeo e stimolando la cooperazione nel settore della risoluzione alternativa di controversie tra gli avvocati dei vari stati membri. Le 59

Commissione delle Comunità Europee: Bruxelles, 29.06.2006 COM(2006) 356, p. 25: “Con riguardo al metodo, la formazione deve insistere sugli aspetti pratici che consentono un’applicazione corretta degli strumenti adottati. Oltre conferenze e seminari, occorre mettere a punto metodi che permettano una più ampia divulgazione dei risultati. In particolare,andrebbero organizzati più corsi per formatori, affinché si rendano conto della dimensione europea dell'azione giudiziaria e siano spronati a diffonderla. Va ricercato l'uso di strumenti di formazione riutilizzabili e accessibili, anche on-line, in particolar modo per quanto riguarda gli strumenti dell'Unione e le informazioni sui sistemi giudiziari nazionali cui dovranno avere accesso i professionisti interessati […]”.


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indicazioni fornite dalla Commissione però non sono state recepite dagli Ordini forensi italiani i cui programmi di formazione riservano alle ADR uno spazio irrisorio, nonostante che quest’ultime costituiscano un elemento rilevante dei sistemi giudiziari di numerosi Paesi, basti considerare in merito quanto già detto nei paragrafi precedenti, per quanto attiene alla loro presenza nel sistema giuridico Nord-Americano e di molti stati Asiatici, per il continente Australe e dello stesso ordinamento Comunitario.60 Così nel nostro sistema giuridico la carenza di formazione dell’avvocatura, in tecniche di mediazione, si somma alla disorganizzazione e l’inefficienza della macchina della giustizia. In questa prospettiva, la maggiore conoscenza delle ADR potrebbe favorire ed incentivare la sperimentazione di soluzioni alternative per la risoluzione delle controversie, che appare uno dei metodi più efficaci di alleggerimento del carico dei Tribunali61e delle Corti in Italia.62 Appare evidente, invece, che non vi potrà essere proliferazione delle tipologie di ADR, come teorizzato da certa dottrina nord-americana,63 né, tantomeno, che la mediazione e le altre forme di ADR siano incorporate strutturalmente in tutti e per tutti i giudizi ordinari, come qualcuno ha pure teorizzato, ma certo è che vie alternative devono essere perseguite al fine di interrompere il flusso negativo continuo di denegata giustizia,64 di cui il sistema civile Italiano oramai è parco. Per colmare i vuoti di formazione degli operatori del diritto, pare opportuno rifarsi perciò all’esperienza di quei Paesi in cui le ADR hanno visto la luce e si sono sviluppate, in una prospettiva di concreto accoglimento delle linee guida indicate dalla Commissione Europea.65

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G. Scarselli,Sulla formazione continua degli avvocati, in Giur.it., 2010, pp. 1151. 61 M. Gorga - A. Contaldo Il Processo Civile Telematicocome occasione della diffusione delle best practices nel settore giustizia (in Rassegna dell’avvocatura dello stato n.4/2009). 62 C. Necchi, Sulle qualità del mediatore la parola ai decreti, in Guida Dir. - Dossier, 2010, p. 41. 63 Cfr. nota 3 64 A. Proto Pisani, op. cit., p. 541. 65 Cfr. M. Gorga, La formazione professionale continua dell'avvocatura anche alla luce della disciplina più recente, in Riv. Amm. Rep. It., 2009, pp. 499 – 545.


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2.7.

La normativa Europea in materia di formazione dei mediatori.

In tema di formazione dei mediatori nel diritto comunitario, norma fondamentale di riferimento, dalla quale bisogna partire, è sicuramente quella del Parlamento Europeo del 21.05.2008, direttiva 2008/52/CE, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.66 In questa direttiva al punto 16 del considerando è stabilito che al fine di garantire la fiducia reciproca necessaria in relazione alla riservatezza, all’effetto sui termini di decadenza e prescrizione nonché al riconoscimento e all’esecuzione degli accordi risultanti dalla mediazione, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito alla fornitura dei servizi di mediazione. Ancora all’Art. 3 della direttiva al punto b) è riportato che per "mediatore" si intende qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione. Ancora all’ Art. 4 co. 2 della stessa direttiva si prevede che gli Stati membri devono incoraggiare la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente. Ed è proprio il requisito della “competenza” che implica ed impone percorsi formativi qualificati e certificati per i mediatori. Sempre a livello Europeo lo stesso codice deontologico dei mediatori Europei impone all’art. 1 che i mediatori devono essere competenti e conoscere a fondo il procedimento di mediazione e che questa esigenza di conoscenza richiede ed ingloba una formazione adeguata e un continuo aggiornamento – necessità di formazione continua per i mediatori – sia della propria “istruzione” - quindi formazione teorica- che “pratica” - quindi formazione relativa alle tecniche di comunicazione ai fini della Conciliazione - nelle capacità di mediazione, avuto riguardo alle norme pertinenti e ai sistemi di accesso alla professione, quindi alla formazione “iniziale”. Ed è proprio sulla scia di questi principi dettati dalla normativa Europea, che vanno lette le norme di diritto dei singoli paesi dell’U.E. e di diritto domestico relativamente alla formazione dei mediatori nei singoli paesi Europei e nel nostro sistema sia relativamente al previgente sistema di formazione dei conciliatori societari ex decreto legislativo n. 5 del 2003, che sulla base del nuovo sistema dei mediatori professionisti. 66

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 24 maggio 2008, L136.


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2.8.

L’esperienza Italiana : I requisiti professionali dei mediatori nel previgente sistema della mediazione societaria.

L'articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5, in tema di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, aveva trovato attuazione con il decreto del Ministero della Giustizia del 23 luglio 2004, n. 222 67 Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione - normativa che anche in costanza, prima dell’abrogazione del rito societario, fatta con la legge di riforma n. 69 del 18 giugno 2009, e poi con la definitiva eliminazione, fatta con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, di ciò che dalla mannaia della riforma era residuato ossia gli articoli dal 38 al 40, ha continuato a regolare in punto di diritto, fino al 5 Novembre 2010, data di entrata in vigore del nuovo regolamento n. 180, tutto ciò che era relativo alla formazione e all’accreditamento, in sede Ministeriale, dei mediatori. Sicché s’impone un esame della pregressa disciplina dati gli evidenti collegamenti e le sinergie che la stessa ha con la nuova. In forza del decreto n. 222/2004 i requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori che non fossero stati professori universitari in discipline giuridiche o economiche, o professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero magistrati in quiescenza, richiedeva sempre il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati presso il Ministero della Giustizia in base ai criteri fissati a norma dell'articolo 10, comma 5 del medesimo decreto. Inoltre era richiesto il possesso, da parte dei conciliatori, di specifici requisiti di onorabilità e vale a dire che il mediatore non doveva avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione; non doveva avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi, ovvero essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici, di non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza, e non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento. Qualora l'ente 67

Gazzetta Ufficiale n. 197 del 23-8-2004


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fosse stato poi un'associazione tra professionisti o una società tra avvocati, all'organismo dovevano essere destinati, anche in via non esclusiva, almeno due prestatori di lavoro subordinato, con prevalenti compiti di segreteria, ai quali doveva essere applicato il trattamento retributivo e previdenziale previsto dal rispettivo contratto collettivo nazionale di lavoro. In ogni altro caso, i compiti dovevano essere svolti da almeno due persone nominativamente indicate con riferimento anche al tipo di trattamento giuridico ed economico applicato. Per il percorso formativo, invece, fu emanato il decreto dirigenziale del ministero della Giustizia del 12 febbraio 2007, con il quale fu stabilito che gli enti di formazione abilitati dovevano impegnarsi a svolgere corsi di formazione per mediatori, ciascuno per un numero massimo di 30 partecipanti, aventi caratteristiche di un percorso formativo di 40 ore di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, corsi in materia di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione, principi, natura e funzione della conciliazione ed esperienze internazionali oltre che i principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e organismi di conciliazione; tecniche e procedura di conciliazione e suoi rapporti con la tutela contenziosa. Erano, altresì, previste almeno 8 ore di lezioni in materia di conciliazione societaria e per gli Enti di formazione la disponibilità di strutture idonee, oltre che l’attestazione di almeno tre formatori in possesso dei requisiti di qualificazione professionale per conciliatore e che avessero maturato esperienza almeno triennale quali docenti in corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche. Gli Enti formativi dovevano anche impegnarsi a tenere almeno 90 ore annuali dedicate all’attività di formazione dei conciliatori. Questi criteri hanno consentito agli organismi, enti e società ed associazioni, iscritte nel registro ministerile, di tenere corsi sull’intero territorio nazionale per la formazione dei mediatori sino all’emanazione del regolamento n. 180 del 4 novembre 2010, attuativo del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010. Quest’ultimo regolamento innovando in materia ha rimodellato la formazione dei mediatori e ha anche operano, se pur timidi, richiami all’esperienza precedente che certamente non è stata mandata al macero. Si è posta, al momento dell’ingresso della nuova normativa, anche la problematica dei c.d. Conciliatori di “di diritto” ossia di quei soggetti che in possesso di specifica iscrizione quindicennale ad un albo professionale, secondo il precedente D.M. 222/2004, potevano essere iscritti come mediatori senza lo specifico corso di formazione. Si è posto, cioè, l’interrogativo se questi devono, nel mutato regime, comunque compiere l’intero corso di mediatore di 50 ore previsto dall’art.18 del D.M. n.180/2010. In merito vi è chi ha fatto


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osservare che la nuova disciplina tratteggiata dal legislatore con il recente intervento normativo si fonda su di una esigenza di verifica della effettiva capacità professionale del mediatore di conoscenza degli strumenti di tecnica della mediazione nonché della normativa nazionale e comunitaria in materia. La posizione dei mediatori di “diritto” deve essere letta, pertanto, alla luce della disciplina transitoria di cui all’art. 20 del D.M. n.180/2010. In base a quest’ultima norma i mediatori abilitati a prestare la loro opera presso gli organismi già accreditati possono continuare a svolgere la loro attività, ma devono acquisire, entro il termine di sei mesi dall’entrata in vigore del regolamento, i requisiti anche formativi previsti, ovvero, in alternativa attestare di avere svolto almeno venti procedure di mediazione, conciliazione o negoziazione volontaria e paritetica, in qualsiasi materia, di cui almeno cinque concluse con successo anche parziale. Sotto tale profilo la normativa transitoria trova sicuramente applicazione con riferimento ai quei conciliatori “di diritto” di cui all’art. 4, comma terzo, lett.a) del D.M. 222/2004, i quali, avendone i requisiti, sono stati inseriti negli elenchi degli organismi di conciliazione accreditati con provvedimento del direttore generale della giustizia civile senza il corso di formazione. Circa i nuovi requisiti formativi, il dato normativo di riferimento è costituito perciò dall’art.18, comma secondo, lett. f), secondo cui il percorso formativo deve avere una durata complessiva di almeno 50 ore. A questo punto preme evidenziare che, tenendo presente l’impostazione seguita nel D.M. n.222/2004, sussisteva, in diritto, una sostanziale assimilazione tra i requisiti formativi dei “conciliatori di diritto” e quelli la cui formazione in materia di mediazione conseguiva solo all’esito della proficua partecipazione al corso di formazione tenuto da enti accreditati presso il Ministero della Giustizia. Sotto questo profilo quindi essendosi la nuova normativa solo sovrapposta alla precedente non può non ritenersi che, posta la comune base di partenza circa la competenza in materia di mediazione tra i “conciliatori di diritto” ed i “conciliatori formatisi” presso gli enti di formazione accreditati, per entrambe le figure dovrà necessariamente prospettarsi una comune conclusione in merito alla determinazione di quali debbano essere i requisiti formativi che debbano necessariamente essere acquisiti durante il periodo transitorio, senza che possa farsi alcuna differenziazione tra mediatori di “diritto” e mediatori con percorso formativo ex D.M. 222/2004. Pertanto, in entrambi i casi, non potrà non essere richiesta una comune formazione aggiuntiva, di sole 10 ore, in linea con la previsione di cui all’art. 20 del regolamento, per come sarà in seguito più specificamente precisato.


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2.9.

La formazione nella previsione del decreto n. 180 del 4 novembre 2010.

Al capo quinto del decreto n. 180/2010, agli art. 17 e 18, è dettata come già in precedenza accennato, la disciplina degli Enti di formazione e dei formatori con la previsione di istituire il relativo elenco tenuto presso il Ministero della Giustizia.68 In detto elenco saranno iscritti gli enti pubblici e alla relativa sezione vi sarà l’elenco dei formatori, mentre i responsabili scientifici di detti enti saranno iscritti in un separato elenco. In una seconda parte sono iscritti gli enti privati e in una prima sezione vi è l’elenco dei formatori in altra quella dei responsabili scientifici e per quest’ultimi, contrariamente a quanto previsto per gli enti pubblici, l’elenco dei soci, associati, amministratori e rappresentanti di detti enti privati. In ordine ai formatori e alla nuova figura del responsabile scientifico è da osservare che poiché non è stata prevista alcuna incompatibilità specifica, e poiché la stessa incompatibilità non è desumibile da alcuna norma ne primaria ne secondaria, è da ritenersi la piena compatibilità tra la funzione di formatore e di responsabile scientifico, anche per lo stesso organismo di formazione, e non vi è motivo per negare anche la possibilità di avere una pluralità di rapporti, con enti diversi, per i responsabili scientifici e i formatori. L’interpretazione qui proposta, almeno per i docenti, è confortata da quanto avveniva nel pregresso sistema disciplinato dalla normativa abrogata. Una diversa interpretazione anche per quanto attiene alla nuova figura del responsabile scientifico, sarebbe perciò illogica priva di riferimenti giuridici. Per quanto attiene tutti i formatori questi debbono poi poter attestare di aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie; di aver svolto attività di docenza in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, università pubbliche o private riconosciute, nazionali o straniere. Si devono, inoltre, predetti docenti impegnare a partecipare in qualità di discente presso i medesimi enti ad almeno sedici ore di aggiornamento nel corso di un biennio. I docenti devono poi essere in possesso dei requisiti di onorabilità e vale a dire non devono avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; non essere in corso nell’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; non essere stati sottoposti a 68

Il responsabile della tenuta del registro cura il continuo aggiornamento dei dati e la gestione dell’elenco avviene con modalità informatiche in modo da assicurare la rapida elaborazione di dati. E’ stato previsto che gli elenchi dei formatori e dei responsabili scientifici sono pubblici.


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misure di prevenzione o di sicurezza; non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall’avvertimento. Per quanto attiene all’insegnamento della parte pratica i formatori oltre alle attestazioni innanzi dette debbono poter attestare, di avere operato, in qualità di mediatore, presso organismi di mediazione o conciliazione in almeno tre procedure. Due dati devono essere qui precisati e vale a dire in primo luogo, non può assumere rilievo qualunque attività compiuta in sede di procedimento di mediazione, ma ha rilievo solo quella svolta in qualità di mediatore, cioè, secondo quanto prevede l’art. 1 lett. c) e d) del regolamento, quale terzo imparziale volta ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione della controversia, ovvero nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa, rimanendo, comunque, privo del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio. In secondo luogo, è necessario che la suddetta attività di mediatore sia compiuta nei casi in cui il legislatore ha espressamente inteso fornire una specifica regolamentazione, sotto il profilo sia soggettivo, prevedendosi che l’attività di mediazione debba necessariamente svolgersi presso un certo soggetto (organismo) cui è demandato il compito di procedere all’attività di mediazione con effetti, in caso di conclusione positiva della conciliazione, che il prodotto dell’attività, ossia il verbale sottoscritto dalle parti e dal mediatore abbia valore di titolo esecutivo. Si tratta, a ben vedere, di tutte quelle ipotesi, diversamente disciplinate nel tempo, in cui si può fare applicazione del concetto di conciliazione o mediazione amministrata, nel senso che, per come visto, è il legislatore stesso che ha inteso porre taluni regole, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, in ordine allo svolgimento ed agli effetti dell’attività di conciliazione e di mediazione. Rientrano in tale ambito, ad esempio, l’attività di conciliatore compiuta presso organismi iscritti ai sensi del d.lgs. n. 5/2003 e successivo d. m. 222/2004 nonché del d.lgs. n. 28/2010 e successivo d. m. n. 180/2010. Ancora quelle attività del comitato consultivo di cui alla disciplina a tutela del diritto di autore ai sensi della legge 22 aprile 1941 n. 633. I procedimenti di conciliazione delle le camere di commercio ai sensi della legge 29 dicembre 1993 n. 580, nonché in materia di disciplina della subfornitura di cui alla 18 giugno 1998 n. 192. Ancora la commissione di conciliazione di cui all’art. 410 CPC relativamente ai rapporti di cui all’art. 409 CPC (oggi abolita). Sicchè tutte le procedure strutturate diversamente non possono essere fatte valere come procedure di conciliazione e mediazione presso procedure amministrate all’esterno dei rispettivi organismi deputati per legge allo scopo. Per quanto attiene al responsabile scientifico l’individuazione da parte dell’ente, di un responsabile scientifico di chiara fama


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ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie, che attesti la completezza e l’adeguatezza del percorso formativo e di aggiornamento dei docenti pone non pochi profili di criticità. Per quanto attiene invece i criteri per l’iscrizione questi sono disciplinati dall’art. 18, norma che contrariamente a quella precedente richiede, per l’iscrizione, la disponibilità di almeno cinque formatori e la previsione di un percorso formativo di durata complessiva non inferiore a 50 ore. Sulla base dell’inciso “non inferiore a 50 ore” si ritiene che i soggetti che partecipano ai corsi di formazione non hanno, contrariamente a quanto previsto dal precedente sistema disciplinato dal D.M. 223/2004, la possibilità di assentarsi durante la fruizione dell’offerta formativa circostanza quest’ultima confermata dal fatto che i corsi articolati in attività sia teorica che pratica, sempre con il limite massimo di trenta partecipanti per corso, devono essere comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti, “e in una prova finale di valutazione della durata minima di quattro ore”, articolata distintamente per la parte teorica e le parte pratica. Proprio questa infelice formulazione di un percorso formativo “non inferiore” aggiunto alla previsione “e in una prova finale … della durata minima“ spinge a ritenere che il percorso formativo dei nuovi mediatori non può essere programmato per una durata inferiore a 54 ore e, per ragioni di prudenza e serietà della modalità di svolgimento del percorso formativo, in un ulteriore numero di ore idonee a coprire le eventuali defezioni di orario che in un corso strutturato in 54 ore sempre potrebbero aversi. Questa interpretazione logica della normativa vigente ”di fatto” in una prima fase di applicazione della nuova normativa ha fatto si che molti Enti di formazione strutturassero il loro percorso formativo prevedendo un monte-orario minimo di 54 ore e ciò è avvenuto fino a quando il ministero con atto atipico ha precisato che stando alla lettera della previsione di cui all’art.18 del regolamento, l’intero corso è di durata complessiva di almeno 50 ore, articolato in corsi teorici e pratici ed in una prova finale di valutazione di quattro ore e che quindi da detta formulazione si ricaverebbe che la prova finale sarebbe da intendersi compresa nelle complessive 50 ore. In decreto prevede poi che i corsi teorici e pratici devono avere per oggetto sia la normativa nazionale che comunitaria ed internazionale, in tema di mediazione e conciliazione. In relazione a questa previsione si impone quindi lo studio comparato della mediazione civile e commerciale sicchè è prevedibile che nel giro di pochi anni potremmo avere un gruppo di giuristi specializzati nella “mediazione e conciliazione comparata”, studi comparati a livello internazionale e comunitario che potrebbero tornare utili per la


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strutturazione, anche teorica di quel retroterra dottrinale di cui la nostra scienza giuridica ancora oggi è priva. Si prevede inoltre che oggetto del corso sono anche le metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e delle relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, e ciò anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, nonché l’efficacia e l’operatività delle clausole contrattuali di mediazione e di conciliazione. Fa parte, poi, dell’obbligatorio programma anche lo studio della forma, dei contenuti e degli effetti che la domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione producono, nonché i compiti e la responsabilità del mediatore. Come si vede, anche sulla base di un sommario esame, più che di un programma strutturato in moduli formativi, il legislatore secondario si è limitato a una generica e lacunosa previsione di alcuni elementi del nuovo istituto senza minimamente preoccuparsi di strutturare un qualcosa di “organicamente” collegato agli istituti processuali e sostanziali sui quali le nuove norme avranno effetto. Si pensi solo all’omessa previsione, per lo stesso funzionamento dell’istituto, della problematica connessa alla rappresentanza, alla legittimazione degli istanti, alle problematiche in ordine al doppio termine di perfezionamento delle notifiche, la problematica in ordine ai presupposti processuali, a quella, sostanziale, della circolazione dei beni nel nostro ordinamento e a tutti gli altri dei quali qui per ragioni di sintesi ci si astiene dall’elencare. Si è poi, inopportunamente, distinta la fase teorica da quella pratica prevedendo diversificati requisiti in capo ai relativi docenti. Non si capisce come si possa aver concepito, per una formazione di altissimo livello, di professionisti pratici, la scissione, a livello di offerta formativa, dell’insegnamento pratico da quello teorico. Il nostro legislatore, in tema di formazione mostra così acerbità tanto da giungere a dimostrare di ignorare il principio racchiuso nella massima che risale al nostro Leonardo Da Vinci, in forza della quale “ogni buona pratica non può che fondarsi su una solida teoria” sicchè è evidente il collegamento funzionale e quindi didattico tra i due moduli teorico e pratico e la loro qualifica di necessario presupposto per la fase finale di verifica. E’ stato poi previsto, molto opportunamente, invece, che deve essere istituito un distinto percorso di aggiornamento formativo, di durata complessiva non inferiore a 18 ore biennali,69 articolato in corsi teorici e pratici avanzati, 69

L’esistenza e la durata e le caratteristiche dei percorsi di formazione e di aggiornamento formativo di cui alle lettere f) e g) devono poi essere rese note, anche mediante la loro pubblicazione sul sito internet dell’ente di formazione.


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comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione. Detti corsi di “aggiornamento continuo” dovranno, però, avere per oggetto le materie di cui allo stesso percorso formativo di base come elencate alla lettera f) del co. 2 dell’art. 18 del Decreto n. 180/2010, sicchè appare evidente che il legislatore ha concepito la formazione continua dei mediatori solo come “mantenimento” delle competenze acquisiti senza porsi minimamente il problema “dell’accrescimento professionale” degli stessi e la loro specializzazione che è stata concepita in termini di retroguardia, contrariamente a quanto avviene ad esempio per la formazione professionale degli avvocati dove invece la formazione ha proprio la finalità non solo di “mantenere” le competenze che si hanno e di “aggiornarle”, ma soprattutto di “accrescerle” e “specializzarle” ai fini della dichiarazione in ordine ai settori di esercizio “dell’attività prevalente”. Altra critica che deve essere qui evidenziata è che avendo eliminato la normativa attualmente vigente ogni riferimento alla specifica competenza nelle materie giuridiche ed economiche, dei requisiti di qualificazione dei mediatori, questi oggi sono da ritenersi piuttosto generici. Si richiede, infatti, una laurea triennale o in alternativa l’iscrizione a un ordine o collegio professionale, nonché una specifica formazione e uno specifico aggiornamento biennale, acquisito presso gli enti di formazione, ma non sono stati individuati precisamente gli obblighi deontologici cui questi soggetti sono tenuti in caso di violazione degli obblighi assunti. Ciò significa che non solo si può accedere alla professione di mediatore con una laurea triennale in una disciplina qualsiasi o anche senza una laurea, essendo iscritti ad un qualsiasi ordine o collegio professionale, ma nello stesso tempo nessun particolare percorso formativo è stato previsto per la crescita professionale dei relativi soggetti, ma sul punto è in arrivo la modifica proposta dal Ministero della giustizia e sulla quale recentemente il Consiglio di Stato ha già reso parere favorevole.70 Corre l’obbligo di precisare che con questo, non si pone in dubbio che, in linea di principio, determinate capacità e competenze si possano acquisire anche attraverso una formazione diversa da quella universitaria, ma si sottolinea la necessità che si sarebbe dovuta definire in maniera più specialistica le competenze della nuova figura professionale. Una necessità che è anche legata al funzionamento dell’istituto della mediazione, laddove questa, nella prospettiva della normativa primaria, è presentata e incentivata come un mezzo di risoluzione delle controversie alternativo rispetto a quello 70

Consiglio di Stato –Sezione Consultiva per gli Atti Normativi – adunanza del 9 giugno 2011. Numero sezione : 201102228. Parere su relazione n.3322 del 20.5.2011.


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giudiziario, nel quale operano soggetti che, all’opposto, sono altamente specializzati. Al riguardo è chiaro che il mediatore non deve possedere le stesse competenze di un giudice e non deve essere percepito come tale dai soggetti che si rivolgono agli organismi di mediazione, tuttavia si deve tenere presente però che, ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, l’attività del mediatore non è soltanto quella cosiddetta “facilitativa”, volta cioè a realizzare un accordo tra le parti in quanto in mancanza di quest’ultimo il mediatore, ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo, può e, se richiesto dalle parti deve formulare una proposta, che a sua volta produce gli effetti voluti dall’art. 13 del medesimo decreto, ossia produce il ribaltamento del principio della soccombenza e vale a dire il giudice escluda la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che l’ ha rifiutata qualora il provvedimento che definisce il giudizio corrisponda interamente o parzialmente al suo contenuto. Proprio in relazione a quest’ultima circostanza si pone la problematica della “diversificazione del mediatore” che all’uopo potrebbe essere garantita dall’organismo in modo “bivalente” ossia mediante la prassi dell’assegnazione del compito della proposta, in sede di mediazione “attributiva” ad un professionista in materia giuridica o economica, semmai anche specializzato in uno dei particolari settori giuridici della questione affidata, che avrebbe non solo il vantaggio di essere svincolato dalla conoscenza delle informazioni riservate apprese nel corso della mediazione “facilitativa”, ma che resterebbe anche alieno da ogni condizionamento, anche riflesso, e che ben potrebbe strutturare la proposta alla stregua del solo diritto, a prescindere dagli interessi in gioco e venire ad occupare così felicemente la stessa posizione del giudice che è chiamato ad affermare il diritto e che non deve affatto conoscere delle singole posizioni motivazionali delle parti in contesa. La “qualità” della decisione poi potrebbe essere sorretta a monte dalle linee guide di un “comitato scientifico” di esperti per le singole materie della mediazione attributiva. Questa regola della “bivalenza” tra mediazione “facilitativa” e “attributiva” sicuramente incentiva il ricorso alla mediazione come soluzione alternativa al processo, proprio nella misura in cui va a ritenere che il mediatore non sia condizionato quando formula la proposta, cioè che, in questa fase, egli tenda ad assumere la prospettiva che assumerebbe un giudice, per fornire una soluzione il più possibile corrispondente a quella che sarebbe fornita dallo stesso. In questo modo la parte che è motivata ad agire in giudizio perché è certa di avere ragione in base al diritto e quindi rifiuta la proposta, potrebbe essere disincentivata a farlo, sapendo che, nel caso in cui il giudizio si concluda con un provvedimento di contenuto favorevole ma identico a quello della proposta che ha rifiutato sarà costretta ad accollarsi tutte le spese processuali.


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Tale interpretazione, che implica che il mediatore abbia delle competenze specialistiche, non va affatto oltre l’intenzione del legislatore ordinario, ma pare posta propria, in maniera più esplicita, dal decreto n. 180/2010 il quale all’ art. 7, secondo comma, lettera b) stabilisce proprio che il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che, in caso di formulazione della proposta, la stessa può provenire da un mediatore diverso da quello che ha condotto sino ad allora la mediazione e sulla base delle sole informazioni che le parti intendono offrire al mediatore proponente, e che la proposta medesima può essere formulata dal mediatore anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione. In una diversa prospettiva questa norma potrebbe sembrare addirittura “stravagante”, come ha anche ritenuto recentemente il Consiglio Nazionale Forense in quanto nell’ottica di una mediazione non fondata sulla formulazione di un giudizio, ma esclusivamente sulla ricerca di una soluzione negoziata e discussa con le parti, la nomina di un mediatore terzo finisce con il vanificare l’opera stessa di mediazione e la ratio della stessa. Al contrario la previsione in parola si giustifica, se si ritiene che l’attività del mediatore si possa qualificare in due modi diversi, rispetto a due fasi (non in senso tecnico) diverse della mediazione. In quest’ottica, in una prima fase, il mediatore si limita a facilitare il raggiungimento dell’accordo tra le parti, mettendo a loro disposizione quasi esclusivamente le proprie capacità di comunicazione e le competenze peculiari della mediazione in senso stretto; lavora prevalentemente sugli interessi delle parti e non sui diritti spettanti loro per legge e, proprio per questo, la sua attività è molto diversa da quella di un giudice e la soluzione che le parti possono concordare si può discostare anche notevolmente da quella che potrebbe essere offerta da quest’ultimo, purché non siano violati i limiti posti dall’ordine pubblico e dalle norme imperative (cfr. art. 12 d.lgs. n. 28/2010). In una seconda fase, solo eventuale e subordinata all’esito negativo della prima, il mediatore si impegna per produrre una soluzione che potrebbe essere messa a confronto con una sentenza emessa da un giudice, con gli effetti dell’art. 13 allora è chiaro che a questo punto non può continuare a lavorare sugli interessi delle parti, alle quali non può sostituirsi, ma può lavorare sul quadro giuridico all’ombra del quale poteva essere raggiunto un accordo. In questa fase non utilizza tanto le proprie capacità comunicative, quanto le proprie competenze tecniche necessarie ad orientarsi rispetto a tale quadro normativo e potrebbe essere sostituito da un mediatore che non ha ascoltato le parti così come il giudice che non può e non deve ascoltare le parti prima e al di fuori del processo. Tutto ciò, però, presuppone che il mediatore sia un giurista, abbia delle competenze nelle discipline giuridiche ed economiche e che sia pienamente realizzata la ratio della legge,


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ossia che vi sia non già e non sempre l’accordo, ma un verbale che dia contezza del raggiunto o del mancato accordo con la conseguente responsabilità di chi fa “abuso” della giurisdizione in quanto vi ha fatto ricorso pur potendo accettare una proposta che è in tutto, o anche solo in parte, coincidente con la sentenza emessa dal giudice. Pur non essendo questa la sede per discutere quale sia la prospettiva migliore da adottare si deve osservare che la scelta in sede Ministeriale è la seconda. Ed è proprio quest’ultima scelta che chiarisce la filosofia di fondo che ha spinto il legislatore verso la conciliazione in vista del numero dei processi e della situazione della giurisdizione in Italia. 2.10.

Regolamento di procedura: obblighi degli iscritti e contenuto conforme alla previsione normativa.

In base al primo comma dell’art. 7, il regolamento dell’organismo deve contenere l’indicazione del luogo dove si svolge il procedimento, luogo, però, che è derogabile con il consenso di tutte le parti, che sono in mediazione, con il consenso del mediatore e del responsabile dell’organismo di mediazione. La possibilità di deroga comporta quindi che “luogo” dove si tiene la mediazione non è sempre quella dell’organismo nazionale o della sede secondaria autorizzata, ma può essere anche lo studio del mediatore, elemento quest’ultimo coerente con la possibilità data dalla normativa del decreto 180/2010 di scelta concorde del mediatore fatta da tutte le parti. Nel secondo comma dell’articolo in esame vengono indicate le previsioni che il regolamento può, facoltativamente, contenere, come quella che il mediatore debba sempre convocare personalmente le parti o che la formulazione della proposta, ai sensi dell’art. 1 d.lgs. n. 28 del 2010, possa provenire da mediatore diverso da quello che ha condotto sino a quel momento la mediazione, anche sulla base delle sole informazioni che le parti intendono fornire al mediatore proponente, inoltre che la proposta possa essere formulata anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione. Ancora, facoltativamente, il regolamento può prevedere la possibilità di avvalersi delle strutture, del personale e dei mediatori di altri organismi, con i quali abbia raggiunto all’uopo un accordo, anche per singoli affari di mediazione nonché la disciplina, la formazione di separati elenchi dei mediatori, suddivisi per specializzazioni in materie giuridiche71. In questo modo il decreto attuativo incentiva una sempre maggiore specializzazione dei mediatori, 71

In tal senso si veda anche: La Mediazione civile e commerciale alla luce del D.M. 180 del 4 novembre 2011 A. Contaldo , M. Gorga, S. Catanossi al Il Corriere Giuridico Speciale 2011, editore IPSOA, Milano.


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che può divenire elemento di differenziazione degli organismi in concorrenza fra loro. Stando al tenore letterale del comma successivo, il regolamento “stabilisce” le cause di incompatibilità allo svolgimento dell’incarico da parte del mediatore e disciplina le conseguenze sui procedimenti in corso della sospensione o della cancellazione dell’organismo dal registro. Il quarto comma esclude espressamente che il regolamento possa prevedere che l’accesso alla mediazione si svolga esclusivamente attraverso modalità telematiche. Il regolamento deve, invece, “in ogni caso” prevedere: che il procedimento abbia inizio solo dopo la sottoscrizione da parte del mediatore designato della dichiarazione di imparzialità di cui all’art. 14, secondo comma lettera a) del d.lgs. n.28 del 2010; che al termine del procedimento di mediazione a ogni parte viene assegnata idonea scheda per la valutazione del servizio, il cui modello deve essere allegato al regolamento e una copia della quale, con la sottoscrizione della parte e l’indicazione delle sue generalità, deve essere trasmessa per via telematica al responsabile, con modalità che assicurano la certezza dell’avvenuto ricevimento; infine, che le parti, di comune accordo, possano indicare il mediatore, ai fini della sua eventuale designazione da parte dell’organismo. Nel rispetto del dovere di riservatezza previsto dall’art. 9 del d.lgs. n. 28 del 2010, il regolamento deve garantire il diritto di accesso delle parti agli atti del procedimento di mediazione, che il responsabile dell’organismo è obbligato a custodire in apposito fascicolo debitamente registrato e numerato nell’ambito del registro degli affari di mediazione. Tale diritto di accesso ha per oggetto gli atti depositati dalle parti nelle sessioni comuni ovvero, per ciascuna parte, gli atti depositati nella propria sessione separata. Non sono consentite comunicazioni riservate delle parti al solo mediatore, eccetto quelle effettuate in occasione delle sessioni riservate. Ai sensi dell’art 8 del decreto in esame l’organismo iscritto è obbligato a comunicare immediatamente al responsabile del registro presso il Ministero tutte le vicende modificative dei requisiti, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione, compreso l’adempimento dell’obbligo di aggiornamento formativo dei mediatori. Il responsabile dell’organismo è, inoltre tenuto a rilasciare alle parti che gliene fanno richiesta il verbale dell’accordo raggiunto dalle parti, anche ai fini della sua omologazione, nonché a trasmettere la proposta formulata dal mediatore, qualora sia richiesta dal giudice che deve provvedere sulle spese processuali ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 28. Quanto agli effetti dell’iscrizione, disciplinati dall’art. 9, il relativo provvedimento è comunicato al richiedente con il numero d’ordine attribuito nel registro e dalla data di detta comunicazione l’organismo è tenuto a menzionare tale numero


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negli atti, nella corrispondenza e nelle forme di pubblicità consentite. Una volta avvenuta l’iscrizione, l’organismo e il mediatore designato non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione, se non per giustificato motivo e a partire dal secondo anno di iscrizione, entro il 31 marzo di ogni anno successivo, ciascun organismo trasmette al responsabile il rendiconto della gestione, utilizzando gli appositi modelli predisposti dal Ministero e disponibili sul sito internet di quest’ultimo. L’autonomia normativa regolamentare prevista come “valore” tuttavia si ritiene che non dia la possibilità ai singoli organismi di mediazione di prevedere l’inserimento, nel regolamento di procedura di una previsione in base alla quale, ove l’incontro fissato del responsabile dell’organismo non abbia avuto luogo perché la parte invitata non abbia tempestivamente espresso la propria adesione, ovvero abbia comunicato espressamente di non volere aderire e l’istante abbia dichiarato di non volere comunque dare corso alla mediazione, la segreteria dell’organismo possa rilasciare, in data successiva a quella inizialmente fissata, una dichiarazione di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata. Una siffatta previsione non può, infatti, essere considerata conforme alla disciplina normativa in esame. L’inserimento di una tale previsione nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione non potrebbe mai, infatti, essere ritenuta conforme con la norma primaria – in particolare all’art. 5 del d. lgs 28/2010- norma che esige, invece, per le materie elencate al 1 co., che la mediazione sia preliminarmente esperita o meglio che debba essere esperito “il procedimento di mediazione”. Ne consegue che deve compiersi effettivamente dinanzi al mediatore designato, il procedimento di mediazione è quest’ultimo è il solo legittimato a constatare la mancata comparizione della parte invitata e decide se esercitare la facoltà della proposta a comunicarla ed eventualmente, in caso di mancata adesione, a redigere il verbale negativo del tentativo di conciliazione. La mediazione obbligatoria è, infatti, tale proprio in quanto deve essere esperita anche in caso di mancata adesione della parte invitata e non può, quindi, dirsi correttamente percorsa ove l’istante si sia rivolto ad un organismo di mediazione ed abbia rinunciato, a seguito della ricezione della comunicazione di mancata adesione della parte invitata, alla mediazione. Ove, invece, si ritenesse legittima una tale previsione regolamentare, si produrrebbe l’effetto, non consentito, di un aggiramento della previsione che ha imposto l’operatività della condizione di procedibilità per talune materie. Sicchè ci troveremmo dinanzi all’eversione, introdotta con norma regolamentare secondaria contra legem, che avrebbe il solo scopo di eludere non solo la norma primaria introdotta con il d. lgs. n. 28 del 2010, e la norma attuativa introdotta con D.M. 180/2010, ma anche di far dipendere l’attuazione della


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legge e l’organizzazione dell’intero servizio di mediazione e l’atteggiamento collaborativo del soggetto rispettoso della norma - il soggetto istante in mediazione che accede al servizio in modo oneroso - dalla mera volontà non collaborativa di un soggetto che si sottrae volontariamente al principio di legalità. Deve quindi ritenersi che il rilascio da parte della segreteria di un organismo della dichiarazione di conclusione del procedimento non può assurgere ad atto valido ed efficace ai fini dell’assolvimento dell’onere di esperire previamente il tentativo di conciliazione e ciò in quanto la mancata comparizione anche del solo istante, dinanzi al mediatore, impedisce di ritenere correttamente iniziato e proseguito il procedimento di mediazione.72 A dare ulteriore conforto a questa impostazione, tenuta come detto anche in sede Ministeriale, è la circostanza che ex art. 11 del d. lgs. 28/2010 e ex art.7 del D.M. 180/2010, il mediatore può formulare la proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione. In ogni caso si evidenzia che è il mediatore che deve verificare se la controparte non si è presentata, le ragioni della non presenza, perché ad esempio non è andata a buon fine la comunicazione ecc., essendo, com’è noto la mancata partecipazione alla mediazione comportamento valutabile dal giudice nel giudizio successivo ai sensi dell’art.8, comma quinto, del d.lgs. 28/2010. E’, inoltre, rilevante considerare che, nel corso del procedimento di mediazione, il mediatore potrebbe ragionare con l’unica parte presente sul ridimensionamento o sulla variazione della sua pretesa da comunicare all’altra parte come proposta dello stesso soggetto in lite e non del mediatore. In definitiva è da ritenere che la previsione, per talune materie, di una condizione di procedibilità comporta che la mediazione debba essere effettivamente esperita dinanzi al mediatore con la conseguenza che, per ritenersi esperita la condizione di procedibilità, l’unico soggetto legittimato secondo legge a redigere il verbale di esito negativo della mediazione è sempre solo il mediatore e nessun altro soggetto. 2.11. Le sedi secondarie di organismi nazionali. Il co. 1 dell’art. 12 del d. lgs. 28/2010 prevede che la richiesta di omologa deve avvenire “con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo”. Questa sede è sicuramente quella legale, non potendo essere ovviamente quella ove è stata svolta la mediazione. Ai fini dell’omologa del verbale di conciliazione deve ritenersi infatti competente il Tribunale del circondario dove ha sede l’organismo che è stata 72

In tal senso anche Circolare del Ministero della Giustizia del 4 Aprile 2011.


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preventivamente indicata al Ministero al momento della richiesta di iscrizione. Le domande di mediazione infatti devono essere presentate solo presso la sede legale dell'organismo di mediazione e le sedi operative o secondarie sono destinate esclusivamente ad “eventuali incontri di mediazione.” In merito però è da osservare che nel testo della legge non si rintracciano qualificazioni diversa da quella di luogo ove si tengono gli incontri ed è solo con i PDG, emessi sino al 13/10/2010, che è stata utilizzata la formula: “Dalla data… l’elenco delle sedi secondarie deve intendersi ampliato di … nuove unità”, mentre nella modulistica predisposta dal Ministero, per l’accreditamento dell’organismo è comparso il termine di “articolazioni”. Per vero il decreto legislativo in esame all’art. 4 prevede che: “la domanda di mediazione… è presentata ... mediante deposito di una istanza presso un organismo.”A questo riguardo va sottolineata: 1) l’assoluta mancanza, nella legge, di alcun riferimento specifico al luogo di presentazione: infatti, accanto a “organismo” non è indicato “sede”, o altra dicitura, che possa far pensare che la presentazione debba essere fatta – esclusivamente - presso la “sede legale” come invece si ritiene in sede Ministeriale; 2) nulla è detto su quali siano le modalità di presentazione della domanda e vale a dire se a mano, per fax, per e-mail; 3) la legge prevede, invece, che le mediazioni si possano svolgere: “…presso la sede dell’organismo o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo” – ex art. 8, comma 2 del D. lgs e che “Il regolamento contiene l’indicazione del luogo dove si svolge il procedimento, che è derogabile con il consenso di tutte le parti, del mediatore e del responsabile dell’organismo” – ex art. 7, co. 1 dell D.M. n. 180/2010. Dal complesso normativo deriva che la domanda di mediazione deve essere presentata all’organismo e quindi, ovunque sia stata presentata (sede legale, sede secondaria, ufficio amministrativo, articolazione, sede operativa), è sempre trasmessa immediatamente alla sede legale dell’organismo, che la protocolla. Inoltre che le mediazioni possono essere svolte in qualsiasi luogo sia essa sede legale o sede secondaria o “operativa” tutte luogo “non vietato” per lo svolgimento della procedura. Una annotazione a parte va fatta invece per quanto attiene la disposizione contenuta nell’art. 12 del d. lgs 28/2010 riguardo il Presidente del Tribunale legittimato ad omologare il verbale di accordo, sebbene tale adempimento non sia di competenza né dell’organismo né del mediatore, la legge nulla dispone a riguardo della competenza territoriale, limitandosi a indicare che: “Il verbale di accordo… è omologato….con decreto del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo”, essendo per le società e le associazioni la


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“sede” quella legale non pare che possa dubitarsi che questa è quella del circondario del luogo ove ha sede legale l’organismo a nulla rilevando che la lettera a) del co. 2 dell’art. 4 del DM recita:” …. Il richiedente deve attestare di poter svolgere l’attività di mediazione in almeno due regioni italiane o in almeno due province della medesima regione” dalla quale non discende che il legislatore abbia voluto prescrivere che i verbali delle mediazioni svolte in regioni o province ove l’organismo non ha sede legale essendo la sede legale unica non debbano essere omologati unicamente dal Presidente del Tribunale del circondario ove ha “sede legale” l’organismo. Ora è chiaro però che una tale previsione normativa costringe le parti che abbiano svolto la mediazione in luogo diverso dalla sede legale dell’organismo, ad un oneroso adempimento,73 sicchè in attesa di giurisprudenza è di tutta evidenza che anche la affermazione “Le domande di mediazione devono essere presentate solo presso la sede legale dell'organismo…” contraddice l’operatività prevista dal citato 2 comma (lettera a) dell’art. 4 del D. M. 180/2010.

2.12.

Sospensione e cancellazione dal registro degli organismi.

In base al disposto dell’art. 10, del decreto ministeriale in esame nel caso in cui dopo l’iscrizione sopravvengono o risultano nuovi fatti che l’avrebbero impedita ovvero in caso di violazione degli obblighi di comunicazione, di cui si è detto, e di quelli previsti dal successivo art. 20, o di reiterata violazione degli obblighi del mediatore, il responsabile dispone la sospensione e, nei casi più gravi, la cancellazione dal registro. Viene disposta, altresì, la cancellazione degli organismi che hanno svolto meno di dieci procedimenti di mediazione in un triennio. Gli organismi cancellati, per una qualsiasi delle suddette cause, non possono essere nuovamente iscritti prima che sia decorso un anno dal provvedimento. Al fine di procedere alla sospensione o cancellazione di un organismo, al responsabile del registro è attribuito un potere di controllo, anche mediante acquisizione di atti e notizie, che viene esercitato nei modi e nei tempi stabiliti da circolari e atti amministrativi equipollenti, di cui viene curato il preventivo recapito, anche soltanto in via telematica, ai singoli organismi interessati. A tal fine, ai sensi dell’art. 11 del decreto, ogni anno il Ministero, anche attraverso i responsabili degli organismi, e sentito il Ministero dello sviluppo economico, per i 73

A contrario l’interpretazione del Ministero riportata al paragrafo precedente.


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procedimenti di mediazione inerenti gli affari in materia di rapporti di consumo, procede al monitoraggio statistico dei procedimenti svolti presso gli organismi medesimi. I dati raccolti vengono separatamente riferiti alla mediazione obbligatoria, volontaria e demandata dal giudice. Per ciascuna di tali categorie sono indicati i casi di successo della mediazione e i casi di esonero dal pagamento dell’indennità ai sensi dell’art. 17, comma 5 d.lgs. n. 28, ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Il Ministero procede, altresì, alla raccolta, presso gli uffici giudiziari, dei dati relativi all’applicazione nel processo dell’art. 13, primo comma del d.lgs. medesimo. Tutti i dati menzionati sono poi utilizzati anche ai fini della determinazione delle indennità spettanti agli organismi pubblici.

2.13. I servizi di mediazione, la prestazione del mediatore ed i criteri di determinazione delle indennità spettanti agli organismi. Come già fatto cenno nel decreto sono disciplinati non solo i servizi di mediazione e la prestazione del mediatore, ma anche una serie di adempimenti tipicamente “amministrativi”. In primo luogo l’art. 12 del d. lgs. n. 28 del 2010 prevede che ciascun organismo è tenuto a istituire un registro, anche informatico, degli affari di mediazione, con le annotazioni relative al numero d’ordine progressivo, i dati identificativi delle parti, l’oggetto della mediazione, il mediatore designato, la durata del procedimento e il relativo esito, occorre specificare che ai sensi dell’art. 2961, comma 1, c.c. è fatto obbligo all’organismo anche di conservare copia degli atti dei procedimenti trattati per almeno un triennio dalla data della loro conclusione. Il successivo art. 13 del decreto in parola, stabilisce che il giudice che nega l’omologazione del verbale di accordo, trasmette al responsabile del registro e all’organismo copia del provvedimento di diniego, tanto si ritiene non solo per la verifica, anche statistica, della qualità del servizio di mediazione, ma anche della qualità delle prestazioni del mediatore. All’art. 14, invece, è definita la natura della prestazione del mediatore designato per il singolo affare, il quale, secondo l’espressa previsione deve eseguire personalmente la sua prestazione. L’art. 15 pone, poi, all’organismo il divieto di assumere diritti e obblighi connessi con gli affari trattati dai mediatori che operano presso di sé, anche in virtù di accordi conclusi con altri organismi ai sensi dell’art. 7, comma, 2 lettera c), salvo quanto


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previsto circa la propria responsabilità professionale74. Quest’ultima norma ad amor del vero mal si raccorda con la possibilità che i singoli ordini professionali e gli stessi Consigli dell’Ordine forense, hanno in ordine al servizio di mediazione relativi ai settori professionali di competenza specifica essendo evidente per gli stessi quantomeno un potenziale conflitti d’interessi. La disciplina dei criteri delle indennità spettanti agli organismi sono definiti dall’art. 16 del decreto. Tale norma chiarisce innanzitutto che l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione. Per le prime è dovuto da ciascuna parte un importo di euro 40,00 (oltre IVA), che deve essere versata dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione, mentre identica somma, a titolo di spese di segreteria, deve essere versata anche dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. Inoltre oltre a tale somma fissa per ciascuna parte queste sono tenute, entrambe, a versare una somma di importo fissato in base al valore della lite e indicato nella tabella allegata al decreto. In merito si è stabilito che l’importo massimo delle spese di mediazione per ciascuno scaglione di riferimento, come determinato a norma della tabella, può essere modificato secondo un complesso e macchinoso sistema di versamenti per ogni scaglione di valore, sicchè può essere aumentato in misura non superiore ad un quinto, tenuto conto della particolare importanza, complessità o difficoltà dell’affare mentre deve essere aumentato in misura non superiore ad un quinto in caso di successo della mediazione. Ancora deve essere aumentato di un quinto in caso di formulazione della proposta da parte del mediatore, mentre deve essere ridotto in misura non inferiore a un terzo nelle materie per le quali la mediazione è obbligatoria ed infine deve essere ridotto di un terzo quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione partecipa al procedimento. Al riguardo potrebbero sorgere dei dubbi interpretativi circa la previsione dell’aumento di 1/5 per il caso di proposta del mediatore, infatti, non viene specificato se si debba procedere all’aumento in ogni caso in cui venga formulata la proposta, cioè anche quando il mediatore esercita la propria facoltà di farlo, o soltanto nei casi in cui il mediatore è obbligato a formulare la proposta, per avere ricevuto mandato dalle parti in tal senso. La norma precisa che si considerano importi minimi quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricompreso nello scaglione immediatamente precedente a quello effettivamente 74

In tal senso si veda anche: La Mediazione civile e commerciale alla luce del D.M. 180 del 4 novembre 2011 A. Contaldo , M. Gorga, S. Catanossi : Il Corriere Giuridico Speciale 2011, editore IPSOA, Milano.


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applicabile, mentre l’importo minimo relativo al primo scaglione è liberamente determinato e che gli importi dovuti per il singolo scaglione non si sommano in nessun caso tra loro. Quanto al valore della lite esso è indicato nella domanda di mediazione a norma del codice di procedura civile e, qualora dovesse essere indeterminato o indeterminabile ovvero vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’organismo decide il valore di riferimento e lo comunica alle parti stesse. Almeno la metà delle spese di mediazione deve essere corrisposta prima dell’inizio del primo incontro di mediazione e in difetto, l’organismo comunica la sospensione del procedimento e, una volta intervenuto il pagamento, il procedimento continua secondo le modalità previste dal regolamento di procedura dell’organismo. E’ da precisare che detto periodo di sospensione non si scomputa in ogni caso dal termine di durata massima del procedimento di mediazione, che giammai può essere superiore ai quattro mesi previsti dall’art.6 d.lgs. n.28 del 2010. Le spese di mediazione sono onnicomprensive e pertanto comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione, indipendentemente dal numero di incontri svolti e rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del procedimento ovvero di nomina di un collegio di mediatori, di nomina di uno o più mediatori ausiliari ovvero di nomina di un diverso mediatore per la formulazione della proposta. Le spese di mediazione indicate essendo dovute in solido da ciascuna parte che hanno aderito al procedimento, qualora non versate, sono recuperabili dall’organismo anche nei confronti di una sola parte che, una volta pagate, poi logicamente avrà il diritto di rivalsa nei confronti dell’altra, mentre quando più sono i soggetti in mediazione questi vanno considerati sempre, se rappresentano un unico centro di interessi, un’unica parte ai fini del versamento delle spese di mediazione. In chiusura, il comma 13 stabilisce che, ferma ogni altra disposizione dell’articolo, gli organismi diversi da quelli costituiti dagli enti di diritto pubblico interno possono liberamente stabilire gli importi di cui al comma 3, tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, tale previsione è in conflitto con la genericità del primo comma dell’art. 5, laddove è previsto che per gli enti privati l’iscrizione nel registro comporta l’approvazione delle tariffe, e quindi sarebbe dovuta essere oggetto di modifica nei seguenti termini: “ferma ogni altra disposizione di cui al presente articolo, gli organismi diversi da quelli costituiti dagli enti di diritto pubblico interno stabiliscono gli importi di cui al comma 3, previa approvazione del responsabile della tenuta del registro”. Con il decreto ministeriale sono stati quindi determinati sia l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici che il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti; che i criteri per l'approvazione delle


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tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati; ed anche le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione ed infine le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1 del decreto legislativo n. 28 del 2010. E’ qui però opportuno precisare che la riduzione di un terzo deve essere compiuta sulla base della tariffa prevista per gli organismi pubblici dalla tabella A di cui all’art. 16 del regolamento. In tal modo, vi è, sicuramente, uniformità di applicazione delle tariffe per i procedimenti di mediazione obbligatori, indipendentemente dal fatto che si tratti di organismi pubblici o privati.75 Quando la mediazione è condizione di procedibilità, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio gratuito a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115, ma di questo abbiamo già reso conto (vv. infra Parte I par. 1.8).

2.14. Gli enti di formazione ed i formatori dei mediatori: l’istituzione dell’apposito elenco e i criteri per l’iscrizione. Come l’elenco degli organismi, anche quello degli enti di formazione abilitati a svolgere l’attività di formazione dei mediatori è istituito e tenuto presso il Ministero della Giustizia, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti presso il Dipartimento per gli affari di giustizia, ai sensi dell’art.17 del decreto; ne è responsabile il direttore generale della giustizia civile o una persona da questi delegata, con qualifica dirigenziale nell’ambito della direzione generale. Tale elenco è articolato in due parti: una prima relativa agli enti pubblici, a sua volta divisa in due sezioni, la sezione A contenente l’elenco dei formatori e la sezione B contenente l’elenco dei responsabili scientifici; una seconda parte relativa agli enti privati, suddivisa in altre tre sezioni, di cui le prime due corrispondono a quelle previste per gli enti pubblici e la terza contiene l’elenco dei soci, associati, amministratori, rappresentanti degli enti. Il responsabile cura il continuo aggiornamento dei dati e la gestione dell’elenco avviene con modalità informatiche che assicurano la possibilità di rapida elaborazione dei dati. Gli elenchi dei formatori e dei responsabili scientifici sono pubblici, mentre l’accesso alle altre 75

In tal senso anche la Circolare del Ministero della Giustizia del 4 Aprile 2011.


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annotazioni è regolato dalle disposizioni di legge vigenti. Nel sistema previgente, ed anche in vigenza del d. lgs n.28 del 2010, sulla scorta del decreto ministeriale 23 luglio 2004 n. 222,76 e fino all’emanazione del decreto ministeriale n. 180 del 2010, i rappresentanti legali degli Organismi di conciliazione potevano ottenere l’accreditamento sulla base del decreto dirigenziale 24 luglio 2006 - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 febbraio 2007 n. 33 - che dettava i requisiti di accreditamento degli enti abilitati a tenere corsi di formazione per i conciliatori come previsto dall’art. 4, comma 4 lett a), del D. M. n. 222 del 2004. I formatori dei mediatori per potersi accreditare presso ogni singolo Ente di formazione dovevano, però, avere qualità soggettive particolari. Si era previsto infatti che questi formatori potevano essere o magistrati in quiescenza oppure professori universitari di ruolo, anche in quiescenza, in materie giuridiche o economiche, ma formatori potevano essere anche i docenti presso gli Istituti superiori di secondo grado abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche purché titolari di cattedra d’insegnamento specifica nella materia per almeno un triennio. Analogamente potevano esserlo, se in possesso dei requisiti predetti, i professionisti iscritti in albi professionali in materie giuridiche ed economiche i quali se con anzianità di almeno 15 anni d’iscrizione anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari, potevano di diritto essere iscritti come conciliatori professionisti. Per accreditarsi l'associazione, società o ente doveva presentare, per mezzo del rappresentante legale, domanda contenente l’attestazione dell’impegno a svolgere corsi di formazione per conciliatori, per un numero massimo di 30 partecipanti, aventi determinate caratteristiche,77 nonché l’attestazione di disporre di almeno 3 formatori. Quest’ultimi poi avrebbero dovuto dimostrare, mediante idonea certificazione o con autocertificazione ex art. 76

Il d. lgs n. 28 del 4 marzo 2010 n.28 all’art. 1 lettera d) registro: il registro degli organismi di conciliazione istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino al’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222. Vedi al riguardo A. Iannini ,op. et loc. supra cit. , 120 ss.. 77 Quali: corsi di almeno 32 ore di lezione, di cui non meno di 16 ore di pratica e 4 ore per la valutazione, con i seguenti contenuti minimi: strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione; principi, natura e funzione della conciliazione; esperienze internazionali e principi comunitari; compiti, responsabilità e caratteristiche del conciliatore; rapporti tra conciliatore e Organismi di conciliazione; tecniche di conciliazione; la procedura di conciliazione; rapporti con la tutela contenziosa; almeno 8 ore di lezione con i seguenti contenuti minimi: le controversie di cui all'art. 1 d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; i riti societari di cognizione ordinaria e sommaria; attestazione di disponibilità di strutture e locali idonei a consentire lo svolgimento dei corsi di formazione. Esibire titolo (contratto di proprietà, locazione, comodato ecc. oppure dichiarazione sostitutiva ex art. 47 d.P.R. 445/2000) con cui si detiene la sede.


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46 del D.P.R. n. 445 del 2000, sia di essere in possesso dei requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori, sia di aver maturato esperienza almeno triennale quali docenti titolari di corsi di formazione nelle materie giuridiche o economiche.78 I legali rappresentati degli organismi, invece, dovevano produrre attestazione di impegno a svolgere, a pena di decadenza dell’accreditamento, almeno 90 ore annuali dedicate all’attività di formazione dei conciliatori. I formatori che non erano in possesso dei requisiti previsti per i conciliatori – ossia quindici anni d’anzianità d’iscrizione all’albo - dovevano invece dimostrare di essere in possesso del diploma attestante la propria formazione a seguito di un corso per conciliatori svolto presso enti già accreditati79 dal Ministero della Giustizia. Questo sistema sin qui descritto risulta essere stato, con il decreto n. 180 del 2010, fortemente innovato in molti punti che possiamo ritenere essenziali; è da evidenziare che con la normativa d’attuazione, analogamente a quanto è stato previsto per gli organismi80 di mediazione, anche per gli Enti di formazione nell’elenco dei formatori possono essere iscritti, sempre a domanda, sia enti pubblici che privati ovvero gli Enti da essi costituiti, e la cui idoneità dei richiedenti deve essere sempre verificata dal responsabile dell’elenco. Orbene in merito è necessario premettere che nel sistema previgente non era neanche richiesta la natura di “persona giuridica” per poter ottenere l’accreditamento alla formazione e alla conciliazione, tanto è vero che accreditati risultavano singole “persone fisiche”. Sul punto invero il decreto nella sua travagliata gestazione ha sancito l’ esclusione di ogni persona fisica dalla possibilità di ottenere l’accreditamento, quale ente di formazione o mediazione e tanto sia sulla base della previsione fatta all’art. 1 del decreto ministeriale n.180 del 2010, che richiama quanto la figura dell’ “ente pubblico”, quale persona giuridica di diritto pubblico interno, comunitario, internazionale o straniero, quanto sulla base della figura dell’ “ente privato”, quale soggetto di diritto privato, diverso dalla persona fisica. Passando all’aspetto cruciale che qui interessa, vale a dire quello della capacità finanziaria e organizzativa dell’Ente richiedente, si è passati dal previgente sistema in cui non si doveva, in merito, dimostrare quasi nulla, tanto che accreditate risultano semplici associazioni e persone fisiche, ad un sistema 78

Da dimostrare con certificazione originale o con dichiarazione sostitutiva. Vedi B. Sassani F. Santagada., op. et loc. supr cit., 72 ss. 80 Ai sensi del decreto ministeriale n. 180 del 2010 : Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010, Art. 1 lettera f) «organismo»: l’ente pubblico o privato, ovvero la sua articolazione, presso cui può svolgersi il procedimento di mediazione ai sensi del decreto legislativo. 79


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che nell’originaria versione dello schema del decreto attuativo prevedeva, in ordine a detta capacità finanziaria e organizzativa un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria per la costituzione di una società a responsabilità limitata; ad una successiva versione dove si richiedeva il possesso, da parte del richiedente, di un patrimonio netto pari almeno a 100.000,00 euro, per poi ritornare, nella versione definitiva del decreto licenziato, a richiedere un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata nonché la compatibilità dell’attività di mediazione con l'oggetto sociale o lo scopo associativo ai fini della dimostrazione della capacità organizzativa. In secondo luogo, è stato previsto che il responsabile del registro deve sempre verificare che soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti enti possiedano i requisiti di onorabilità conformi a quelli fissati dall’art. 13 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58,81 ossia quei requisiti prescritti per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso Sim, società di gestione del risparmio, che devono possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti dal Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob. Ai sensi della lettera c) del secondo comma dell’art. 18, va verificata anche la trasparenza amministrativa e contabile dell’ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra questo e i singoli formatori, ma anche per questa parte, il Consiglio di Stato aveva mosso rilievi in ordine alla previsione dei requisiti degli enti di formazione con le stesse critiche sollevate circa i requisiti degli organismi, che doveva essere modificata in modo che si doveva verificare: “la trasparenza amministrativa e contabile dell’organismo, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e l’ente di cui eventualmente costituisca articolazione interna al fine della dimostrazione della necessaria autonomia finanziaria e funzionale”. Il responsabile verifica, inoltre, il numero dei formatori, che 81

Vedi al riguardo le analisi dei saggi contenuti in G. Alpa, F. Capriglione, Commento al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998, spec. 125. Al riguardo bisogna riguardare che l’art. 13 d. lgs. n. 58 del 1998 prevede che i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso Sim, società di gestione del risparmio, Sicav debbano possedere i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza stabiliti dal Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob. Il difetto dei requisiti determina la decadenza dalla carica. Essa è dichiarata dal consiglio di amministrazione, dal consiglio di sorveglianza o dal consiglio di gestione entro trenta giorni dalla nomina o dalla conoscenza del difetto sopravvenuto. In caso di inerzia, la decadenza è pronunciata dalla Banca d’Italia o dalla Consob.


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non può essere inferiore a cinque, che svolgano l’attività di formazione presso l’ente, - contrariamente al previgente sistema che ne prevedeva solo tre - nonché la sede dell’Ente, con l’indicazione delle strutture amministrative e logistiche per lo svolgimento delle attività didattiche. Per quest’ultimo profilo la norma non si discosta in modo radicale da quello precedente. Di centrale importanza risultano, invece, i requisiti attinenti ai percorsi formativi istituiti dagli enti, anche questi da verificare a cura del responsabile della tenuta del registro. In particolare, occorre che sia accertata la previsione di un percorso formativo di durata complessiva non inferiore a 50 ore articolato in corsi teorici e pratici, con un massimo di trenta partecipanti per corso, comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti e di una prova finale di valutazione della durata minima di quattro ore, articolata distintamente per la parte teorica e pratica. Come fatto cenno in precedenza e proseguendo nell’analisi della norme i corsi teorici e pratici devono avere per oggetto: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore. L’ente deve, inoltre, prevedere ed istituire un distinto percorso di aggiornamento formativo, di durata complessiva non inferiore a 18 ore, articolato in corsi teorici e pratici avanzati, comprensivo di sessioni simulate partecipate dai discenti ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione. Tali corsi devono avere ad oggetto le stesse materie di cui abbiamo appena detto. Il responsabile dell’elenco deve verificare anche che l’esistenza, la durata e le caratteristiche dei corsi di formazione e di aggiornamento siano rese note, anche mediante la loro pubblicazione sul sito internet dell’ente. Il richiedente dell’organismo che intende accreditarsi deve, infine, individuare un responsabile scientifico82 di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie, che attesti la completezza e l’adeguatezza di tali corsi. Anche questa norma pone problemi di trasparenza e di selezione non secondari in quanto per non essere esposti al totale arbitrio del responsabile del registro, che in verità non pare avere in merito stringenti poteri di interdizione, i requisiti di “chiara fama” vanno sicuramente individuati nell’essere il soggetto individuato e 82

M. Gorga, Mediazione e formazione. La formazione nella mediazione: comparazione con la disciplina del regolamento di formazione continua degli avvocati, Napoli, 2010, pag.35.


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proposto in possesso di particolari requisiti di cui diremo qui di seguito (vv. infra 2.15) ma al quale necessita comunque avere avere pregressa esperienza d’insegnamento o essere docente che già ha svolto certificata attività di formazione dei mediatori. E qui si apre un serio problema perché tra gli altri elementi da verificare, in merito alla qualificazione dei formatori, si pone la problematica della verifica del possesso, in capo agli stessi, dei requisiti di onorabilità previsti dall’art. 4, comma 3, lettera c), e della prova della loro idoneità alla formazione. In questa ottica si pongono le norme che tentano di fissare criteri “oggettivi” che attestino tale loro idoneità mediante la previsione per i docenti dei corsi teorici per mezzo dell’attestazione di aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie e per i docenti dei corsi pratici di aver operato in qualità di mediatore, presso organismi di mediazione o conciliazione in almeno tre procedure, mentre tutti i docenti devono attestare di aver svolto attività di docenza in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, università pubbliche o private riconosciute, nazionali o straniere, nonché di impegnarsi per partecipare in qualità di discenti presso i medesimi enti ad almeno 16 ore di aggiornamento nel corso di un biennio. I formatori già “accreditati” ai sensi del decreto ministeriale n. 222 del 2004 dovrebbero, invece, secondo una minoritaria interpretazione, acquisire entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto ministeriale n. 180 del 2010 i soli requisiti di aggiornamento professionale già evidenziati e vale a dire tenere le 16 ore presso una struttura Universitaria che abbia inserito nel proprio ordinamento corsi sulla mediazione e conciliazione ovvero corsi post-universitari sullo stesso tema. Nel frattempo l’art. 20 comma 4 d. m. n. 180 del 2010 precisa che gli stessi formatori possano continuare ad esercitare l’attività di formazione come prima e che dell’avvenuto aggiornamento gli enti di formazione danno immediata comunicazione al dirigente ministeriale responsabile dell’albo. Altra interpretazione invece richiede che anche i docenti accreditati nel vecchio sistema debbono, nei sei mesi, acquisire i nuovi requisiti previsti dal D.M. 180/2010 in tema di docenze e pubblicazioni. 2.15. La nuova figura del responsabile scientifico degli Enti di Formazione previsto ai fini del loro accreditamento. I responsabili degli Enti di formazione, alla stregua della normativa in esame, sono tenuti ad individuare, un “responsabile scientifico” della formazione offerta


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dall’organismo iscritto. Anzi questo requisito deve presiedere, necessariamente, all’accreditamento dei nuovi organismi di formazione che chiederanno l’iscrizione nell’elenco e, per quelli esistenti, nel termine di 30 giorni dalla richiesta di adeguamento, dovrà essere indicato. Anzitutto è da sottolineare che quest’ultima norma, di particolare pregio, si segnala per far fronte alle necessità che l’esperienza maturata, sotto la vigenza della pregressa normativa degli organismi di formazione ha evidenziato in termini emergenziali. Occorre tenere presente infatti che gran parte degli Enti di formazione iscritti, gestiti, con criteri manageriali e quindi d’impresa, prescindono dalla necessità di avere in capo ai responsabili degli stessi Enti una particolare competenza disciplinare nella formazione di professionisti che dovranno gestire la fase “sensibile” della “condizione di procedibilità.” Si tenga, inoltre, presente che il successivo esercizio dell’azione nella successiva sede giurisdizionale, in caso di proposta del mediatore, produce i noti effetti previsti dall’ art. 13 del decreto legislativo n. 28/2010 e vale a dire il ribaltamento del principio della soccombenza con spese a carico della parte che avrà ragione nel merito se questa corrisponde alla proposta del mediatore. Né invero l’esperienza di questi anni ha saputo sopperire alla necessità evidente che gli Enti di formazione hanno avuto nella costruzione di moduli asettici e ripetitivi dello striminzito programma ministeriale. Quello che però della norma non è accettabile è che predetto responsabile scientifico deve essere un soggetto “di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie”. Previsione quest’ultima fortemente censurabile sotto tre profili, due specifici di merito ed uno di legittimità. Il primo profilo di merito è che si intende rendere soggettivo un criterio che oggettivamente non omogeneo, per le note differenziazione che esistono nell’ambito del merito dei contenuti della scienza giuridica; il secondo, sempre di merito, è che nel nostro ordinamento, diversamente dai sistemi del common law, è assente la cultura della mediazione e della conciliazione tanto che il problema che attualmente si pone è proprio l’assenza del retroterra dottrinale in tema di mediazione e conciliazione e strumenti alternativi della controversie in generale. Sicchè, in questo settore specifico dire che uno è “di chiara fama” ed un altro “non è di chiara fama” è operazione assai difficile. Per quanto attiene al profilo di legittimità invece è stato detto, da parte di alcuni autori,83 che la genericità della nozione indurrà all’esercizio della “discrezionalità amministrativa” che imporrà, di rendere conto pubblicamente della credibilità delle scelte di cui si dovrà fare portatrice l’amministrazione competente del Ministero della Giustizia. In merito basta la semplice osservazione che per giurisprudenza 83

P. Porreca, ilsole24ore – Novembre 2010


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pacifica, anche di legittimità, la discrezionalità amministrativa non può mai essere tanto ampia fino a sfociare nell’arbitrio che non è un valore tutelabile dall’ordinamento. Allora vediamo quali dovrebbero essere le qualità soggettive di questo ”responsabile scientifico”. Innanzitutto dovrebbe trattarsi di un giurista pratico che abbia conosce del funzionamento della giurisdizione e quindi delle dinamiche del conflitto da condurre verso la conciliazione amichevole o attributiva, quale potrebbe essere la competenza acquisita sul campo ad esempio da un Avvocato Cassazionista con esperienza almeno quindicennale di iscrizione all’Ordine forense – condizione già apprezzata nella pregressa normativa del D.M. 223/2004 – e della quale esperienza il nuovo regolamento, in termini conservativi, deve sempre essere letto ed interpretato. Questo giurista pratico dovrebbe avere, però, anche esperienza nell’insegnamento di una materia giuridica o economica, ad esempio perché munito di specifica abilitazione pubblica per l’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche presso scuole pubbliche o private riconosciute o con il ruolo dell’Università o contratti d’insegnamento presso Università Pubblica o privata e pregressa esperienza d’insegnamento con Istituzioni Pubbliche nel settore dell’istruzione. Ancora una specifica esperienza nel settore della formazione e programmazione didattica ad esempio perché referente della formazione presso Consigli degli ordini professionali, per essere stato membro di Commissione di Pubblici Concorsi dell’Amministrazione dello Stato o essere componente di Commissione di formazione nel settore giudiziario. Ancora di aver Pubblicazioni e significativa pregressa esperienza nella formazione degli avvocati e dei mediatori svolta per organismi presso Ordini Professionali e docente già abilitato in sede ministeriale per la formazione dei conciliatori societari e dei mediatori professionisti ai sensi del decreto lgs. n. 28/2010. Questi requisiti oggettivamente verificabili porrebbero l’amministrazione a riparo da possibili interpretazioni eversive dettate da logiche puramente d’influenza momentanea, viziata da eccesso di potere per sviamento. Requisiti stringenti poi sono stati previsti non solo per il responsabile scientifico ma anche per la qualificazione dei formatori i quali devono provare l’idoneità alla formazione, attestando: per i docenti dei corsi teorici, di aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie; per i docenti dei corsi pratici, di aver operato, in qualità di mediatore, presso organismi di mediazione o conciliazione in almeno tre procedure; per tutti i docenti, di avere svolto attività di docenza in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, università pubbliche o private riconosciute, nazionali o straniere, nonché di impegnarsi a partecipare in qualità di discente presso i


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medesimi enti ad almeno 16 ore di aggiornamento nel corso di un biennio. Infine anche i docenti devono essere in possesso dei requisiti di onorabilità previsti dall’articolo 4, comma 3, lettera c), ossia di non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza. Occorre poi dare la prova di aver svolto attività in qualità di mediatore presso organismi di mediazione o conciliazione e di essere in possesso dei requisiti personali di cui all’art. 4, comma terzo, lett. c) del decreto ministeriale 18 ottobre 2010 n. 180 requisiti di onorabilità, che impongono la dichiarazione di impegnarsi ad attestare la completezza e adeguatezza del percorso formativo e di aggiornamento di cui all’art.18, comma secondo, lett. f) e g) del decreto ministeriale18 ottobre 2010 n.180. Il responsabile scientifico è poi chiamato a dare il consenso alla pubblicazione dei propri dati sul sito Internet del Ministero della Giustizia a pubblicità e garanzia della qualità del servizio. Deve poi essere allegato il curriculum professionale, l’autodichiarazione relativa alla pubblicazione di almeno tre contributi scientifici in materia di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa delle controversie aventi almeno diffusione nazionale e dotate di codice identificativo ISBN (ad esclusione delle pubblicazioni on line), con precisa indicazione del titolo, numero di pagine, sommaria illustrazione del contenuto, con allegazione di copia conforme della copertina iniziale, pagina iniziale del contributo, e copertina finale da cui evincere il codice ISBN nonché allo svolgimento di attività di docenza in corsi, seminari in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, unità pubbliche o private riconosciute, nazionali o straniere; autodichiarazione di possesso del titolo di studio; autodichiarazione dei requisiti di onorabilità di cui all’art.4, comma terzo, lett. c) del decreto ministeriale 18 ottobre 2010 n.180. Si deve inoltre dichiarare di non trovarsi in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall’art. 2382 del codice civile e di non esser stato sottoposto a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni ed integrazioni, fatti salvi gli effetti della riabilitazione. Ancora di non esser stato condannato con sentenza irrevocabile a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile e nel regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267. Ancora è richiesto che si deve essere esenti dall’aver subito provvedimenti restrittivi della libertà personale per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero


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per un delitto in materia tributaria e/o alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo. E’ richiesto che non sia mai stata applicata condanna su richiesta delle parti una delle pene previste nel punto 3 lettera a), salvo il caso dell’estinzione del reato. Il legislatore quindi pur non avendo fornito una specifica indicazione in ordine all’esatta interpretazione del duplice requisito sopra delineato, lascia tuttavia ritenere che in linea generale può dirsi che deve trattarsi di persona che, in relazione alla propria funzione ed attività professionale esercitata, abbia i requisiti ut supra evidenziati. Sicchè, in questa sede, due profili devono necessariamente essere chiariti: l’amministrazione, nella predisposizione dei modelli di domanda da utilizzare per la formulazione della richiesta di iscrizione dell’ente di formazione ha inteso procedere secondo una sorta di inversione dell’onere della prova, nel senso che ha devoluto alla parte istante l’onere di allegazione di tutto quanto ritenuto idoneo al fine di pervenire alla conclusione che si tratti effettivamente di persona di chiara fama ed esperienza. La seconda è che la chiara fama ed esperienza deve, comunque, essere strettamente collegata con l’attività di mediazione e di risoluzione alternativa delle controversie, nel senso che è stata la specifica dedizione, professionale o scientifica, alla materia della mediazione ad avere fatto conseguire la chiara fama ed esperienza del soggetto interessato. È senz’altro possibile che, poi, al fine della valutazione della chiara fama, si faccia valere, in sede di redazione del nel curriculum formativo, la circostanza di avere acquisito all’estero l’esperienza in materia di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa delle controversie. E’ stato poi posto il quesito se uno stesso soggetto può ricoprire contemporaneamente il ruolo di responsabile scientifico e di formatore e se il suddetto soggetto possa ricoprire contemporaneamente il ruolo di responsabile scientifico per più enti di formazione. Orbene, come già in precedenza detto, in merito non pare che vi siano ragioni per non consentire al responsabile scientifico di svolgere contestualmente l’attività di responsabile scientifico e di formatore e non è contestabile che lo stesso possa, altresì, assumere la funzione di responsabile scientifico per più enti di formazione. E’ evidente, però, che, alla luce della responsabilità che egli assume, anche tenuto conto della sua attività di supervisione e controllo, il numero degli enti di formazione dovrebbe anche essere limitato.

2.16. I formatori : la disciplina transitoria anche alla luce del decreto ministeriale n. 180 del 2010.


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Ai sensi dell’articolo 20 del decreto in esame, si considerano iscritti di diritto al registro gli organismi già iscritti nel registro previsto dal decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222. Per questi organismi il responsabile ministeriale verifica il possesso dei requisiti84 previsti dall’articolo 4 comunicando 84

Art. 4 (Criteri per l'iscrizione nel registro) 1. Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi di mediazione costituiti da enti pubblici e privati. 2. Il responsabile verifica la professionalità e l'efficienza dei richiedenti e, in particolare: a) la capacità finanziaria e organizzativa del richiedente, nonché la compatibilità dell’attività di mediazione con l'oggetto sociale o lo scopo associativo; ai fini della dimostrazione della capacità finanziaria, il richiedente deve possedere un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata; ai fini della dimostrazione della capacità organizzativa, il richiedente deve attestare di poter svolgere l’attività di mediazione in almeno due regioni italiane o in almeno due province della medesima regione, anche attraverso gli accordi di cui all’articolo 7, comma 2, lettera c); b) il possesso da parte del richiedente di una polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000,00 euro per la responsabilità a qualunque titolo derivante dallo svolgimento dell’attività di mediazione; c) i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti enti, conformi a quelli fissati dall'articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; d) la trasparenza amministrativa e contabile dell'organismo, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l'organismo e l’ente di cui eventualmente costituisca articolazione interna al fine della dimostrazione della necessaria autonomia finanziaria e funzionale; e) le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio di mediazione, nonché la conformità del regolamento alla legge e al presente decreto, anche per quanto attiene al rapporto giuridico con i mediatori; f) il numero dei mediatori, non inferiore a cinque, che hanno dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di mediazione per il richiedente; g) la sede dell'organismo.3. Il responsabile verifica altresì: a) i requisiti di qualificazione dei mediatori, i quali devono possedere un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale ovvero, in alternativa, devono essere iscritti a un ordine o collegio professionale; b) il possesso di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base all’articolo 18; c) il possesso, da parte dei mediatori, dei seguenti requisiti di onorabilità: a. non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa; b. non essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; c. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; d. non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento;d) la documentazione idonea a comprovare le conoscenze linguistiche necessarie, per i mediatori che intendono iscriversi negli elenchi di cui all’articolo 3, comma 3, parte i), sezione B e parte ii), sezione B. 4. Gli organismi costituiti, anche in forma associata, dalle CCIAA e dai consigli degli ordini professionali sono iscritti su semplice domanda, all’esito della verifica della sussistenza del solo requisito di cui al comma 2, lettera b), per l’organismo e dei requisiti di cui al comma 3, per i mediatori. Per gli organismi costituiti da consigli degli ordini professionali diversi dai consigli degli ordini degli avvocati, l’iscrizione è sempre subordinata alla verifica del rilascio dell’autorizzazione da parte del responsabile, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo. Nei casi di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, è fatto salvo quanto previsto dall’articolo 10. 5. Il possesso dei requisiti di cui ai commi 2 e 3, eccetto che per quello di cui al comma 2, lettera b), può essere attestato dall’interessato mediante autocertificazione. Il


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agli stessi le eventuali integrazioni o modifiche necessarie. Rispetto a tale ultima comunicazione se nel termine di trenta giorni l’organismo ottempera l’iscrizione viene confermata, diversamente se non si ottempera, l’iscrizione decade. In questo contesto viene anche dettata la normativa per l’adeguamento dei mediatori dovendo essi acquisire, entro sei mesi a decorrere dal 5 novembre 2010, i requisiti formativi previsti nel decreto 180/2010 per l’esercizio della mediazione o, in alternativa, in assenza di tale percorso formativo devono attestare di aver svolto almeno venti procedure di mediazione, conciliazione o negoziazione volontaria e paritetica, in qualsiasi materia, di cui almeno cinque concluse con successo anche parziale. In ogni caso gli stessi mediatori, fino alla scadenza del periodo transitorio dei sei mesi, continueranno ad esercitare l’attività di mediazione. Alla scadenza di questo semestre di transizione spetterà ai responsabili degli organismi dare comunicazione al ministero della regolarizzazione dei requisiti dei mediatori. Identicamente avviene per i formatori iscritti presso Enti accreditati presso il Ministero ai sensi del decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 per i quali è stato previsto un periodo temporale pari a sei mesi, dal 5 novembre 2010, “per adeguare i requisiti di aggiornamento indicati nell’articolo 18” e nel frattempo potranno continuare a prestare la loro attività presso gli enti di rispettivo accreditamento. Quindi la norma regolamentare espressamente prevede che i formatori fino alla scadenza dei sei mesi, possono continuare a esercitare l’attività di formazione, negli stessi enti mentre dell’avvenuto aggiornamento dei loro requisiti, ma solo dopo sei mesi dal 5 novembre 2010, se ne dovrà dare comunicazione al responsabile. Questo norma che de plano non pone dubbi interpretativi in ordine alla circostanza che solo dopo i sei mesi, a decorrere dal 5 novembre 2010, gli organismi accreditati, secondo il previgente decreto 223/2004, dovevano regolarizzare i loro docenti è stata stravolta dalla modulistica adottata in sede ministeriale. Quest’ultima, che dovrebbe valere solo per i nuovi accreditamenti, di fatto vale anche per quelli già esistenti, in quanto il numero dei docenti minimi per la sopravvivenza degli organismi è stata portata da tre a cinque, la qualcosa ha imposto che, nel termine di trenta giorni, gli Enti si son dovuti approvvigionare di almeno cinque docenti con i nuovi requisiti con il testacoda di diritto quesito dei docenti già abilitati che pur avendo il termine di sei mesi per adeguarsi ai nuovi requisiti in fatto e diritto vedrebbero “decadere” in trenta giorni l’ente di riferimento del loro accreditamento. Il disordine organizzativo in sede di possesso del requisito di cui al comma 2, lettera b), è attestato mediante la produzione di copia della polizza assicurativa.


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norma regolamentare oltre a segnalare la scarsa competenza del legislatore secondario evidenzia profili di assoluta irresponsabilità amministrativa. Per la fase transitoria di cui all’art. 20 del regolamento, al momento in cui è comunicata agli enti di formazione la richiesta di integrazione, questi nel termini di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di integrazione (di cui all’art. 20, comma primo e terzo, del regolamento) dovranno adeguarsi rispetto a quanto diversamente disciplinato rispetto alla precedente normativa di cui al d. m. 222/2004. Sicchè gli enti di formazione dovranno dare prova di possedere un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione è necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata ma anche di essere in condizione di svolgere l’attività in almeno due regioni o due province della stessa regione e di avere un numero minimo di formatori non inferiore a cinque, di avere individuato un responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza.

2.17. Le recenti proposte di modifiche al decreto ministeriale 180/2010. In vista delle censure sollevate in sede di incidente di costituzionalità in occasione del giudizio amministrativo dinanzi al Tribunale amministrativo del Lazio, l’ufficio legislativo del Ministero della giustizia ha elaborato uno schema di modifica al decreto ministeriale 180/2010, in ordine ai criteri e alle modalità di iscrizione sia nel registro degli organismi di mediazione che dell’elenco dei formatori per la mediazione, sia in ordine alle indennità spettanti agli organismi ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010. Orbene ricordato che l'art. 16 del citato decreto legislativo prevede che "la formazione del registro e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo ed internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministero della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico" e che a giudizio del Consiglio di Stato la riforma non incide sulla legittimità delle modifiche regolamentari proposte sul complesso della disciplina della mediazione in ordine alla questione di costituzionalità sugli articoli 5, comma 1 e 16, comma 1, del decreto legislativo, con riferimento agli articoli 24 e 77 della Cost., lo schema a giudizio del Consiglio di Stato è solo volto a risolve alcune delle criticità emerse in sede di prima applicazione della disciplina. In particolare ha ritenuto il CdS che con le modifiche proposte anzitutto si incrementa il supporto amministrativo dell'autorità di


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vigilanza sugli organismi di mediazione e sugli enti di formazione, così da garantirne l'effettività. In merito alla questione occorre però rilevare che già con la circolare del 13 giugno 2011 il ministero ha ritenuto di porre rimedio alle incongruenze derivante dall’applicazione alla subiecta materia della disciplina legislativa del silenzio assenso. Ed infatti ha ritenuto l’istituto applicabile alla fattispecie in quanto secondo la previsione di cui all’art. 5 e 19 del decreto interministeriale, il procedimento di iscrizione degli organismi di mediazione e degli Enti di formazione nel registro tenuto presso il Ministero della Giustizia, deve essere concluso entro quaranta giorni, decorrenti dalla data di ricevimento della domanda, o dalla data in cui risulta pervenuta la documentazione integrativa da cui decorre un nuovo termine di venti giorni scaduti i quali, senza che si sia provveduto, si deve comunque procedere all’iscrizione in forza dell’applicabilità delle previsioni normative del procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241, segnatamente nella parte in cui generalizza l’istituto del silenzio assenso ad ogni procedimento amministrativo. Orbene atteso che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere, quindi, ex art. 20 della legge in parola, di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso ove non siano previsti specifici termini entro il termine di trenta giorni ha ritenuto il ministero che nella fattispecie concreta l’unica via percorribile è quella dell’applicabilità della disciplina del silenzio assenso come modalità di conclusione del procedimento amministrativo pur in assenza di un provvedimento espresso d’iscrizione dell’organismo o dell’Ente di Formazione dei mediatori. Tuttavia ha osservato il ministero che d’altro lato ciò non vuol dire che l’amministrazione non possa, in seguito, intervenire sugli effetti dell’atto, ripristinando la situazione di legittimità nel caso in cui l’istanza non risulti adeguatamente supportata dai requisiti di legge previsti. Tale esercizio del potere in capo al ministero troverebbe, infatti, la sua forte sia nell’interesse pubblico di certezza delle situazioni giuridiche autorizzativi che al riferimento espresso nell’art. 20 della legge 241/90, secondo cui l’amministrazione tenuta all’adozione del provvedimento espresso può, nel caso in cui ha operato il silenzio assenso, assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies e quindi può sempre revocare l’atto amministrativo formatosi per silenzio assenso o annullare l’atto amministrativo illegittimo, nonché in forza dell’art. 21, comma 2 bis, secondo cui restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste dalle leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli artt.19 e 20.85 È proprio su tali poteri di intervento 85

In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato. Al secondo comma è poi previsto che “le sanzioni attualmente


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successivo da parte della pubblica amministrazione in capo alla quale sussiste sempre il potere di procedere alla revoca dell’atto ove, successivamente alla sua adozione, ovvero al maturarsi del silenzio assenso, sopravvengano fatti nuovi od un nuovo interesse pubblico che abilitano all’ annullamento di ufficio ove sussistano ragioni di pubblico interesse che va ricondotta nella fattispecie concreta l’espressa previsione dell’art.16 del d.lgs. 28/2010, che impone al responsabile del registro di vigilare sull’esistenza e sulla permanenza dei requisiti in capo agli organismi e Enti iscritti la fonte del potere di revoca dell’iscrizione anche se avvenuta per decorrenza dei termini.

Sempre in ordine alle modifiche proposte con lo schema del decreto di riforma altro aspetto rilevante è quello relativo all’incremento dell’ aggiornamento formativo biennale dei mediatori effettivamente insignificante nella previsione del decreto 180/2010 in relazione al monte orario per la formazione continua nelle altre professioni legali come ad esempio per i magistrati e gli avvocati non solo in sede di mantenimento ed aggiornamento dell competenze professionale ma anche di sviluppo e specializzazione attraverso esperienze formative anche europee. Con lo schema del disegno di riforma poi si incrementano le facoltà regolamentari degli organismi di mediazione e se ne consente l'idonea completezza, in specie imponendo ai regolamenti criteri predeterminati per l'assegnazione degli affari di mediazione rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia della laurea posseduta. La proposta di riforma poi mira anche a risolvere alcune criticità della disciplina delle indennità contenendone i costi nelle ipotesi di mediazione obbligatoria e contumaciale. E’ proposta poi la proroga dei termini per l'adeguamento dei mediatori e formatori di diritto ai requisiti della nuova normativa. In relazione all'art. 3 - che modifica, integrandolo, l'art. 7 comma 5 del decreto del Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010 n. 180 - alla lettera b) - che introduce la lettera e) al citato art. 7 , comma 5 il CdS propone specifiche integrazioni. In relazione all'art. 5 dello schema di regolamento che modifica l'art. 16 del decreto del Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010 n. 180 – ritiene sempre il CdS che pur dovendosi apprezzare l'innovazione introdotta alla lettera b) tesa a stimolare la professionalità dei mediatori, l’obbligo formativo per essi dovrebbe essere posto come inderogabile.

2.18. Mancata previsione di una disciplina della mediazione telematica. previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente”.


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Un ulteriore aspetto critico dell’attuale disciplina sulla mediazione che suscita perplessità è la mancata menzione nel testo ministeriale della mediazione per via telematica. Tale circostanza costituisce una vera e propria mancanza di attuazione della normativa primaria. Infatti, il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 si era limitato a prevedere, all’ultimo comma dell’art. 3, che la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo ma non ha demandato al Ministero uno specifico compito legislativo in materia. Il decreto avrebbe potuto introdurre almeno una disciplina minima proprio nell’ambito dei requisiti del regolamento di procedura, ad esempio, inserendo la mediazione telematica tra gli elementi che il regolamento avrebbe potuto prevedere. Si sarebbe così richiamata l’attenzione degli organismi su una modalità di mediazione, che se non obbligatoria, ove attivata, sarebbe potuta essere disciplinata dai singoli regolamenti di procedura. Non averlo fatto non implica di per sé la negazione di questa modalità di mediazione attraverso un atto ministeriale, che, peraltro costituirebbe un eccesso di delega, perciò, la mancata previsione regolamentare non impedisce agli organismi di offrire questo tipo di mediazione, magari compiutamente disciplinata nei regolamenti di procedura. In ogni caso pare che l’omissione sia il mero frutto di una svista che non può essere recepito come un invito a muoversi con cautela in questa direzione, magari aspettando di vedere gli esiti delle mediazioni di tipo più tradizionale, laddove non sussiste motivo di rallentare l’avvio di una modalità di mediazione, che potrebbe rivelarsi particolarmente funzionale soprattutto per alcune materie, come i rapporti di consumo, e soprattutto in vista di quella che è stata, nel sistema Nord-Americano, la radicale trasformazione delle ADR in ODR. Queste ultime nella nostra esperienza giuridica sono ben conosciute in quanto già con la Raccomandazione del 4 aprile 2001, n. 310 fu ribadito che, nell’ambito del commercio elettronico, il ricorso alle procedure ODR è la soluzione naturale delle controversie.86 La Commissione europea comunque già aveva incentivato una maggiore cooperazione tra gli organismi extragiudiziari ed una maggiore visibilità nei confronti dei consumatori. Nel maggio 2000 a tale fine era stata proposta la creazione di una rete tra gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie, l’European Extra Judiciary Net Work – EEJ 86

Testualmente la Raccomandazione afferma che le nuove tecnologie possono contribuire allo sviluppo di sistemi elettronici di composizione delle controversie costituendo organismi volti a risolvere efficacemente le controversie che interessano diverse giurisdizioni, senza il bisogno di una comparizione fisica delle parti, fermo restando che l’uso di tali procedure non deve privare i consumatori del loro diritto di adire i Tribunali a meno che essi non si dicano espressamente d’accordo con piena cognizione di causa e soltanto dopo che la controversia sia stata materializzata e sia stata definita una soluzione.


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NET-. Lo sviluppo dell’ e – commerce ha comportato uno sviluppo delle controversie ed al contempo la necessità di risolverle. Le procedure on line hanno rappresentato un nuovo strumento rispetto a quelli tradizionali.87 La disponibilità della Rete che offre un ciclo completo di servizi e di rimedi fa sì che nel cyberspazio si possano acquistare beni, servizi, ed anche soluzioni stragiudiziali delle controversie. In merito è poi facile riscontrare che le ODR si pongono come prodotti peculiari di un sito specializzato o dello stesso sito che ha fornito il servizio. Il rito processuale, ma anche la mediazione intesa come opera del terzo professionista, è sostituito così da un “terzo” che è un programma informatico e la sentenza è sostituita da un accordo, che e il prodotto, il risultato dell’attività di un programma. In detta modalità tutto ha inizio e tutto si conclude solo in Rete senza citazioni, istruttorie e sentenze, escludendosi tacitamente che un giudicante di un qualsivoglia Stato possa decidere la controversia nelle aule di un Tribunale in base al rito. La conciliazione o mediation on line, o anche negoziato professionale agevolato (NPA) è una procedura di risoluzione delle controversie in cui, quindi, un terzo neutrale privo di un qualsiasi potere decisionale assiste i litiganti nel trovare una soluzione negoziata accettabile da entrambe le parti. Il conciliatore-mediatore, diversamente sia dal giudice sia dall’arbitro, si limita ad aiutare le parti a trovare una soluzione che le stesse desiderano senza prendere alcuna decisione vincolante per esse. La conciliazione è tipicamente off line, ma ha avuto seguito anche nella forma on line. Qui la decisione viene raggiunta sulla base dell’accordo delle parti che decidono autonomamente sebbene in maniera più o meno etero diretta di risolvere una controversia insorta tra loro. La procedura si conclude comunque entro il tempo massimo di circa trenta giorni. Se dalla conciliazione scaturisce un esito positivo, verrà redatto verbale dell’accordo raggiunto on line, se tale accordo non sarà poi rispettato, l’unico rimedio sarà l’azione in giudizio per inadempimento. La conciliazione on line avviene in apposite chat rooms ove le parti virtualmente si incontrano al fine di comporre le rispettive pretese con l’ausilio del conciliatore. I servizi di conciliazione on line sono a pagamento, sono previste fees di entrata proporzionate al valore della controversia ed a carico di entrambe le parti. In caso di raggiunto accordo ulteriori provvigioni saranno stabilite a carico delle parti al di fuori di qualsivoglia ottica di soccombenza.88 87

Katsh, E-commerce,E-Disputes, and E-Resolution in the shadow of eBay law, in Ohio State Journal of Dispute Resolution, 2000, spec. 81 ss.; M. Gorga D. Mula op. et loc. supra cit. F. R. Fantetti , A. Contaldo., op. et loc. supra cit. 88 Nel 1996 il primo esperimento di conciliazione on line avvenne grazie ad un finanziamento della Hewlett Foundation con l’istituzione del Center for Information Technology and Dispute Resolution presso l’Università del


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I passaggi principali per l'avvio della procedura li possiamo riassumere sostanzialmente nell’iniziativa di una parte che Massachussets cui venne affidata la gestione del progetto Online Ombuds Office. Nel 1999 e-Bay decise di affidargli la risoluzione delle controversie che sorgevano sul suo sito tra venditori ed acquirenti delle aste on line. Nella prassi statunitense l’arbitrato è gestito da un arbitro selezionato dal programma. Costui entra in contatto con le parti mediante mail od apposite chat, riceve in via riservata le informazioni del caso e tenta entro settantadue ore una decisione motivata secondo equità. Oggi sono numerosi gli organismi che gestiscono la conciliazione on line, in Italia tale metodo è praticato dalla Camera Arbitrale della Camera di Commercio di Milano che dal 2001 ha attivato il sito www.risovionline.it con l’obiettivo di fornire un servizio di conciliazione on line per la risoluzione delle controversie legate al commercio elettronico. Tutta la procedura si svolge on line in una apposita chat room protetta a cui le parti ed il conciliatore possono accedere grazie ad una password ed ad uno username, solo lo scambio conclusivo delle copie del verbale di conciliazione sottoscritte dalle parti non avviene on line. Precisamente, per attivare il procedimento, la parte interessata deve compilare e trasmettere via web l'apposito modulo presente sul sito. Successivamente la Segreteria contatta l'altra parte nel più breve tempo possibile, invitandola a aderire al procedimento entro quindici giorni dal ricevimento dell'e mail. Nel caso in cui l'altra parte accetti di partecipare al procedimento, la Segreteria ne dà comunicazione alla parte proponente e individua il conciliatore on line. Nel caso in cui l'altra parte non accetti di partecipare al procedimento, il procedimento si conclude. In assenza di comunicazione contraria della parte proponente, trascorsi sessanta giorni dal contatto dell'altra parte senza che l'adesione sia pervenuta alla Segreteria, il procedimento viene archiviato. Il procedimento può svilupparsi, sin dall'inizio, tramite uno dei sistemi di comunicazione messi a disposizione dal servizio o anche, qualora il conciliatore on line lo ritenga possibile e opportuno, con l'utilizzo combinato di tali strumenti. Le parti partecipano di persona al procedimento. Possono farsi assistere da consulenti, legali o persone di fiducia. Nel caso in cui decidano di farsi rappresentare dovranno far pervenire alla segreteria un documento che attesti i poteri di conciliare del rappresentante e la sua identità. Le parti sono tenute al rispetto delle istruzioni fornite dal conciliatore on line relative alla tempistica e in generale alla gestione del procedimento. Il conciliatore on line ha la facoltà di comunicare singolarmente ed in via riservata con ciascuna delle parti. Se le parti lo richiedono espressamente il conciliatore può fornire ipotesi di accordo non vincolanti. Il procedimento si conclude in ognuna delle seguenti ipotesi: a. quando le parti o il conciliatore o la Segreteria ritengano che non sussistono gli estremi per proseguire; b. quando le parti raggiungono un accordo. In caso di accordo viene redatto un documento che le parti sottoscrivono e trasmettono alla Segreteria via fax o servizio postale. Interessanti sono i costi: 25,00 Euro per ciascuna parte per una lite del valore fino a 500,00 Euro, 40,00 Euro per ciascuna parte per un valore della lite da 501,00 euro a 1000,00 euro, 150,00 euro per ciascuna parte per una lite del valore da 5001, euro a 10.000,00 euro Da € 5.001 a € 10.000, 3000,00 euro per ciascuna parte per una lite del valore di oltre 250.001,00. Il pagamento è dovuto solo se la controparte contattata da RisolviOnline accetta di partecipare al procedimento. Le tariffe comprendono il costo del servizio, il compenso del conciliatore on line e l'IVA. Le Camere di Commercio di Firenze e Bari hanno attivato servizi analoghi. Sono in funzione altri modelli di conciliazione paritetica che si sono sviluppati sulla base di protocolli d’intesa tra associazioni di consumatori ed imprese od associazioni di imprese. Il meccanismo prevede una proposta di soluzione della controversia da sottoporre per l’accettazione al consumatore.


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direttamente, o anche per mezzo di un procuratore, deve compilare un modulo con il quale conferisce un mandato al responsabile del servizio di contattare la propria controparte con la finalità di proporre a quest’ultima di tentare una composizione della vicenda. Il responsabile del servizio sulla base della richiesta contatta la persona indicata al fine di valutarne la disponibilità alla partecipazione alla procedura e la invita a fornite le informazioni in merito alla stessa, ed eventualmente ad essere disponibile per un incontro se richiesto. Quindi invita entrambe le parti, una volta avutone il consenso, a formalizzare l'avvio della procedura e tramite un altro modulo viene concretamente avviata la procedura. Il provider assiste le parti nella scelta del terzo neutrale il quale una volta nominato diviene il responsabile dell’intera procedura conciliativa. Nell’ODR acquisiscono una loro importanza altresì i seals, che sono una sorta di sistema pre- contenzioso. Garantiscono la serietà del sito internet all’interno del quale ci si trova ad esercitare una attività commerciale. Sono una specie di marchi di fiducia, trust marks. L’apposizione del seal nella home page di un sito operante nel commercio elettronico o nelle home pages di diverse imprese aderenti ad un e-marketplace ha la finalità di attestare l’adesione del commerciante on line ad un codice di condotta consultabile dall’utente finale che, in caso di violazione, dovrebbe ottenerne facilmente il rispetto evitando il ricorso all’autorità giudiziaria. Alcuni seals oltre a garantire l’adesione ad un codice deontologico da parte dell’operatore commerciale, prevedono la possibilità di adire con facilità procedure di ODR ad essi collegate attraverso cui gli stessi operatori commerciali esponenti il seal si impegnano a risolvere le controversie. L’impresa chiede alla società che gestisce il seal di poterlo esporre sul suo sito internet, in tal modo soggiace al controllo da parte della società che perdura per tutta la durata del rapporto ed al versamento di un canone periodico. Nel momento in cui si verificano problemi tra un operatore commerciale ed un consumatore e questi non siano stati in grado di risolverli autonomamente il consumatore viene invitato a compilare un modulo nel quale espone le pretese violazioni del codice deontologico da parte dell’operatore commerciale. Se viene accertata la veridicità di quanto affermato dal consumatore, può scattare la sanzione della revoca all’operatore commerciale della concessione del seal. Si tratta di seals unilateralmente adottati dalle imprese in un’ottica di autoregolamentazione tesa a rinsaldare la fiducia tra commercianti e consumatori in materia di e-commerce.89 La maggior parte di seals è dedicata al business to consumer anche 89

Esistono anche seals derivanti da intese tra associazioni dei consumatori ed organizzazioni di imprese in un’ottica di autoregolamentazione; esistono anche seals garantiti da organi governativi.


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se esistono seals riguardanti il business to business.90 In definitiva come appare evidente da quanto qui descritto il futuro delle procedure ODR è legato all’evoluzione del commercio elettronico e allo sviluppo della società dell’informazione. Tale sviluppo renderà “normale” l’affermarsi di un modello differente ed alternativo di giustizia rispetto alle forme tradizionali e ciò non potrà che condurre verso utilizzi in ulteriori contesti di largo impiego telematico. Il privilegiare una soluzione transattiva rapida contro un modello giurisdizionale rigido va certamente incontro alle esigenze del mercato economico, a tacere di quello telematico.91 Costituendo in tal modo un modello di efficienza che finirà col fare da traino ed esempio anche in altri ambiti del diritto civile.92 Al riguardo, pare opportuno ricordare che anche di recente la Commissione europea ha richiamato l’attenzione sull’importanza ODR, in particolare, nella comunicazione intitolata “Un’agenda digitale europea” (COM(2010) 245 def., del 19.05.2010), il cui scopo generale è quello di ottenere vantaggi socio economici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su internet veloce, dopo aver descritto le opportunità che possono derivare dall’uso delle nuove tecnologie (e non solo in ambito commerciale), la Commissione ha sottolineato che non basta la fibra ottica per sfruttare tali opportunità. Questo perché, nonostante esista un corpus legislativo fondamentale che regola il mercato unico per quanto riguarda il commercio elettronico, le norme sono applicate nei vari Stati membri in modo disomogeneo e ciò non ispira fiducia nel digitale da parte di imprese e consumatori, tutti problemi che la Commissione stessa ha deciso di risolvere attraverso diverse azioni, tra cui l’istituzione di un sistema di risoluzione delle controversie online applicabile a tutta l’UE per le operazioni di commercio elettronico obiettivo da realizzare entro il 2012.

90

M. Gorga D. Mula op. et loc. supra cit. M. Gorga, Alternativa dispute Resolution e Online Dispute Resolution , Napoli, 2010, pag. 70. 92 La rete, grazie alla interattività, può cioè ambire a costituire uno spazio giuridico autonomo rispetto agli ordinamenti statuali, in applicazione della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici. Ci si permette di rinviare al riguardo a G. Cassano., A. Contaldo , Internet e la tutela della libertà di espressione, Milano, 2009, spec. 92 ss.. 91


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