JUST KIDS - #07 - Maggio 2013

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4,50 euro Anno I - n. 02

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1 S1/RM

JUST KIDS

Maggio 2013

[DAMO SUZUKI] [PERTURBAZIONE] [TONI BRUNA] [LILIES ON MARS] [ADRIANO VITERBINI] [FRAGIL VIDA] [ROCKSTERIA] Damo Suzuki . Perturbazione . Lilies On Mars . Adriano Viterbini . Fragil Vida . Rocksteria . David Bowie. Radio Days. My Bloody Valentine . De Gennaro - Der Maurer . Diego Nota . Berserk! . Selton . Zolle . Veracrash . Not Ordinary Dead . Vasco Brondi . Spiral69 . Cosmo . Kutso . The Venkmans . COMPILATION IN FREE DOWLOAD LONGSONGRECORDS . Radiohead On Air . L’ Intelligenza Strumentale Dello Scimpanzè Raccolta (Pioggia) . Serena Dissimulazione . Ignazio Canaglia Incespica Con Me . Sulla Porta . “Avec Ça?”. Dovrebbe Rinnovare L’arredamento . La Bontà Del Male . Gli Amanti Passeggeri . Educazione Siberiana . La Madre . Aldomorto54 . In Bilico Stato . Bran Marshall . La Partita Di Calcetto . L’effetto Farfalle È Un Pugno Allo Stomaco . La Tatcher, Il Cambiamento E L’energia Femminile . La Via Lettea . Non Ho Avuto Tempo .


JUST KIDS

è una rivista autoprodotta che puoi sfogliare gratis on-line e acquistare in formato cartaceo justkidswebzine.tumblr.com


SOMMARIO [Musica] INTERviste

06 |Damo suzuki_ita di Anurb Botwin e Claudio Delicato 14 |Damo suzuki_eng di Anurb Botwin e Claudio Delicato 22 |Damo suzuki’s network go dai fest|KU di Grace Of Tree 27 |pERTURBAZIONE di Gianluca Conte 32 | TONI BRUNA di James Cook 39 |LILIES ON MARS di Alina Dambrosio 43 |ADRIANO VITERBINI di Alina Dambrosio 46 |FRAGIL VIDA di Manuele Palazzi 50 |rocksteria di Anurb Botwin e Grace of Tree

RECENSIONI

61 | david bowie|the next day di Antonio Asquino 62 |radio days|get some action di Antonio Asquino 63 |my bloody valentine|mbv di Antonio Asquino 64 |de gennaro, der maurer|1940/19'40'' di Nadia Merlo Fiorillo 66 |diego nota|anarchia chordis di Andrea Serafini 67 |Berserk!|Berserk! di Andrea Barbaglia 68|selton|saudade di Andrea Barbaglia 69|zolle|zolle di Andrea Barbaglia 70|veracrash|my brother the godhead di Andrea Barbaglia 71|not ordinary dead|tragic technology inc, di Andrea Barbaglia 72|vasco brondi, andrea bruno|come le scie che lasciano gli aerei di Flavia Tucci 73|spiral69|ghosts in my eyes di Thomas Maspes

recensioni delicate di Claudio Delicato 74|cosmo|disordine 75|kutso|decadendo (su un materasso sporco) 76|the venkmans|good morning sun 77|compilation

in free dowload longsongrecords Live report

78 |radiohead on air di Maria Antonietta Truppa e Mara Camera

[immaginario] 80 |la dimensione eroica del microbo

di Maura Esposito|L’ intelligenza strumentale dello scimpanzè 82 |punto focale di Giulia Blasi|Raccolta (pioggia) 84 |parola immaginata di Davide Uria|Serena dissimulazione 86 |sommacco di Luca Palladino|Ignazio canaglia incespica con me 88 |sommacco di Giorgio Calabresi|Sulla porta 89 |sommacco di Francesca Gatti Rodorigo|“Avec ça?” 90|sbevacchiando pessimo vino di Paolo Battista|Dovrebbe rinnovare l’arredamento

[POESIA] 93||scrap

di Cristiano Caggiula|La bontà del male

[CINEMA] 94 |Lo spettatore pagante

di Antonio Asquino|Gli amanti passeggeri|Educazione siberiana|La madre

[teatro - LIBRI] 97|l'occhio

di Sabrina Tolve | Aldomorto54 | In bilico stato |Bran Marshall

[STERILITA' DEL BENPENSARE] 100 |parodia della volonta’

di Edoardo Vitale|La partita di calcetto 102 |verderame di Claudio Avella| L’effetto farfalle è un pugno allo stomaco 104 |la nuova era e' adesso? di Sara Fusani| La Tatcher, il cambiamento e l’energia femminile 107 |cattivi pensieri di Franco Culumbu|La via Lettea 108 |sexon di Catherine|Non ho avuto tempo


JUST KIDS

Ci pensavamo come Figli della Libertà col compito di preservare, proteggere e rinnovare lo spirito rivoluzionario del rock ‘n ‘roll. Temevamo che la musica che ci aveva sfamato corresse il pericolo di una carestia spirituale. La sentivamo perdere il senso dei suoi proponimenti avevamo paura che stesse finendo preda di mani ingrassate, avevamo paura che arrancasse nel pantano della spettacolarizzazione, dell’economia e di un’insulsa complessità tecnologica. Ripescammo dalla memoria l’immagine di Paul Revere che cavalcava la notte americana, incitando le persone a svegliarsi, a imbracciare le armi. Anche noi avremmo imbracciato le armi, le armi della nostra generazione: la chitarra elettrica e il microfono.” da “Just Kids”, Patti Smith

JUST KIDS KIDS è una rivista di musica, immagini, poesia, cinema, libri, storie, racconti. Nasce dalla voglia di raccontare le proprie passioni e la propria forma d’arte. Direttore editoriale Anurb Botwin justkids.redazione@gmail.com Responsabile musica e social network James Cook - justkids.james@gmail.com Responsabile rubriche Giorgio Calabresi - justkids.rubriche@gmail.com Responsabile distribuzione cartaceo Catherine - justkids.distribuzione@gmail.com Versione sfogliabile on-line www.issuu.com/justkidswebzine justkidswebzine.tumblr.com Facebook facebook.com/justkidswebzine Scrivono Alina Dambrosio, Andrea Barbaglia, Andrea Serafini, Antonio Asquino, Anurb Botwin, Catherine, Claudio Avella, Claudio Delicato, Cristiano Caggiula, Davide Uria, Edoardo Vitale, Francesca Gatti Rodorigo, Franco Culumbu, Gianluca Conte, Giorgio Calabresi, Gaia Caffio, Giulia Blasi, Giulia Palummieri, Giuseppe Losapio, Grace of Tree, James Cook, Luca Palladino, Maura Esposito, Nadia Merlo Fiorillo, Paolo Battista, Sabrina Tolve, Thomas Maspes Hanno collaborato a questo numero Flavia Tucci, Manuele Palazzi, Mara Camera, Maria Antonietta Truppa, Sara Fusani Cover by Simone Cecchetti JUST KIDS

Registr. Tribunale di Potenza n.120/2013 ISSN 2282-1538 Mensile, Anno I - n. 02 Direttore responsabile Rocco Perrone Editore Kaleidoscopio edizioni via San Rocco, 40 85050 Satriano di Lucania (PZ) 0975/841077

Stampatore DM Services S.r.l. Via di Valle Caia Km 9.900 00040 Pomezia (RM) JUST KIDS


editoriale di Anurb Botwin

Come vanno le vendite? Mi hanno chiesto.

Male, ovviamente. La gente non ha soldi per fare la spesa, figuriamoci per comprare una rivista mensile, di musica, di racconti, di poesia, di illustrazioni, fatta con la collaborazione di soli appassionati, che si sfoglia gratis on-line, che non si trova in edicola, che devi comprare tramite pagamento pay-pal, che ti arriva a casa dopo un mese dalla pubblicazione sul web, che non ha pubblicità, che è autoprodotta e costa 4,50 euro! Siamo pazzi? Si, effettivamente un pò lo siamo. Ma da quando abbiamo preso tra le mani la prima copia cartacea di Just Kids è stato un pò come fissare un momento, fare una foto che si può toccare, definire una macromolecola tangibile che non scompare tra indirizzi IP e nevrotici click. Questo ha significato dare un senso più “umano” alla rete di cui Just Kids si compone. Con questi presupposti è ovvio che l’obiettivo non è il guadagno selvaggio, bensì la sola ambizione di far arrivare le nostre parole tra le mani delle persone. Certo, è del tutto fuori moda questa idea perchè il futuro è nell’etere, nelle cose virtuali che non si toccano. La velocità con cui ci arrivano input di ogni tipo e la velocità di fruizione è oramai cosa a cui non facciamo neanche più caso: è parte di noi e il tempo durante il quale ogni input rimane tra le nostre sinapsi, è esattamente proporzionale a quanto veloce è stato il suo passaggio. Si, siamo dei lobotomizzati. A quanto pare lo accettiamo e non lo consideriamo neanche più un problema che ci riguarda. Ma, posto questo e posto che anni di percorsi di atrofizzazione e fascismo intellettuale di ogni tipo ci hanno relegato davanti a schermi pixelati, si può sempre decidere di estrapolare il meglio. Anche se il mondo cambia e i tempi ci travolgono, l’arte, la musica, le idee rinascono sempre e si rigenerano continuamente. Noi cerchiamo di raccontarvi qualcosa attraverso le nostre sensazioni. Potete anche toccarle, queste sensazioni, comprando il cartaceo. E se le vendite vanno male è solo perchè “L’editoria è una farsa, penso, ma almeno il mio letto è caldo.”

Buona lettura! JK | 5


[Musica] INTERviste

damo suzuki di Anurb Botwin e Claudio Delicato

|ph by Simone Cecchetti JK | 6


[Musica] INTERviste

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[Musica] INTERviste

D

ietro le sembianze di un delicato sciamano si cela una delle personalità più preziose e meno spettacolarizzate che è inevitabilmente parte integrante della storia della musica

Damo Suzuki

dagli anni ‘70 ad oggi. Lui è . Probabilmente ha vissuto molte vite ma di sicuro in una di queste è stato prima musicista con i Can e poi ideatore del Damo Suzuki’s Network, una rete di anime musicali disseminate in tutto il mondo. Ogni concerto è una composizione istantanea carica di un’incredibile estemporaneità comunicativa, oltre che sonora. Un modo per creare flussi spazio-temporali e scambi di energia di quella materia incomprensibile di cui siamo fatti.

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[Musica] INTERviste

Pensa che l’ultima volta che sono stato in Svezia c’era un artista di nome Simon, un mio buon amico svedese che vive a Stoccolma. Stava portando avanti una specie di progetto sulle mie attività di quando ero là, e molte cose che sono venute fuori non le ricordavo assolutamente. E’ strano, non so neanche se quelle cose siano successe davvero. A volte non so neanche se io stesso sono davvero Damo Suzuki. E’ strano, ma è così...

|ph by Luca Carlino

H

ai cominciato la tua attività di musicista come artista di strada. Ricordi più le persone o i suoni di quel periodo della tua

vita? Eh, queste sono storie molto vecchie... In realtà non ricordo molto. Probabilmente sono l’unico a non ricordare la storia di Damo Suzuki. Forse le persone mi conoscono meglio di me e per questo motivo in fondo non sono obbligato a ricordare. Non vuoi ricordare o non puoi? No, non è che non voglio. E’ davvero non ci riesco.

C’è stato un periodo in cui sei sparito dalla scena musicale. E’ stato un tuo modo di isolarti dal mondo? No, non mi sono isolato dal mondo. Isolarsi dal mondo è una cosa abbastanza difficile, non credo che qualcuno possa riuscirci. In realtà in quel periodo non volevo isoalrmi dal mondo, ma soltanto allontanarmi dalla musica. A volte hai bisogno di fare qualcosa di nuovo. Allora avevo solo 23 anni, c’erano così tante cose da fare e da sviluppare, non c’era solo la musica. Molta gente crede che la musica sia la cosa migliore che si possa fare, io non la penso così. Forse è tra le migliori ma non la migliore in assoluto, c’è anche un’altra vita oltre quel mondo. In quel periodo ho lavorato in un hotel, ho fatto un lavoro di strada, sono stato impiegato in una compagnia giapponese. Ho fatto tante esperienze che andavano oltre la musica. A posteriori posso dire che questo mi ha aiutato a fare il tipo di musica che faccio adesso perchè credo che fare musica come composizione istantanea come quella che faccio io - ha molto a che fare con le esperienze di vita. Forse se non avessi fatto queste esperienze che andavano oltre la musica, mi sarei annoiato molto presto. E dico questo perchè penso che la musica sia un business e questo aspetto non mi piace. Sempre nella mia vita, in ogni luogo in cui sono stato, sono stato un provocatore, anche se questo non ha nulla a che vedere con la violenza. Sono sempre stato contro le autorità, contro l’establishment, contro il sistema perché tutte queste sovrastrutture non hanno fatto mai niente per aiutarmi. Anche se non direi mai a nessuno “devi fare questo o quello”, mi piacerebbe che le persone riuscissero a trovare se stesse anche facendo una vita oltre la musica e non solo attraverso la musica. Le persone dovrebbero aprire la mente per trovare la propria strada, perché molte cose del sistema moderno sono governate dai mass media solo per spingere la gente

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[Musica] INTERviste

a pensare determinate cose . Mi rendo conto che è un pensiero un pò come il vostro MoVimento5Stelle, ma c’è qualcosa di vero in questo! Non si possono avere sempre le stesse vecchie facce come Berlusconi, ad esempio. A me lui non piace molto, non trovo che sia una persona interessante! In un altro paese d’Europa una persona che ha giornali o reti televisive non potrebbe mai presentarsi in politica, perché avrebbe troppa influenza sulle persone. Ma in Italia pare che si possa fare e non riesco a concepirla questa cosa...non mi pare che sia una buona idea farsi governare da chi ha così tanti giornali! Non è positivo per un Paese.

Perché la musica è comunicazione. In questa comunicazione, uno dei fattori più importanti è proprio il pubblico. Percepisco l’energia delle persone e cerco di condividere la mia. È proprio uno scambio di energie e se non c’è, vuol dire che qualcosa non funziona. Deve esserci un feeling tra chi fa musica e chi ne fruisce. La musica è una delle cose più importanti, e comunica attraverso lo spazio e il tempo. Puoi creare tante cose durante la composizione istantanea. In quel momento la creatività è una cosa illimitata. Puoi andare ben oltre l’universo in cui stai vivendo in quel momento temporale. È pura Musica - mi piace chiamarla così - che va oltre la temporalità del momento. Va oltre il sistema e oltre Come hai visto cambiare il mondo durante le il posto fisico in cui ti trovi. tue esperienze di vita? Il mondo cambia in continuazione. Non saprei dire in Nella tua incredibile vita artistica avrai avuto che modo è cambiato o come stia cambiando. la fortuna di incrociare tante altre vite. Pensi Mi sembra che siamo stati condotti in un tunnel ma che esista una sorta di “legge” dell’universo stiamo guidando bene! che fa si che ciò accada o è tutto casuale? Forse c’è. Ma non riesco a credere a questa cosa. Tu hai creato questo strano modo di fare mu- Le persone sono esseri viventi liberi, nessuno li forza. sica con composizioni istantanee, come è nata Non credo ci sia qualcosa che forzi le persone ad avequesta idea del Damo Suzuki’s Network? re un “destino”. Quando è nato il Damo Suzuki’s Network mi esibivo Credo invece molto di più nelle infinite possibilità di con degli amici musicisti sempre diversi ogni sera e ognuno. Nessuno controlla questa energia perchè, improvvisavamo composizioni sonore. appunto, è infinita. Ognuno trova se stesso a prescinIl concetto di questa idea si è potenziato ancora di più dere da qualunque legge. dal 2003. In quel periodo c’è stato l’attacco degli USA all’Iraq e per me da quel momento è cambiato tutto. Ci ...e cosa pensi del Karma? furono tante manifestazioni in tutto il mondo, che sono Non credo nel karma, perché viene dall’induismo. state completamente ignorate. Non ci credo perché gli induisti hanno le caste e se Quando qualcuno sta lottando per una giusta causa, nasci povero, rimarrai sempre povero. Non credo sia deve essere ascoltato. E’ una cosa importante essere una buona religione perchè è senza speranza, nel ascoltati. E quella era una causa importante, la gente senso che è una religione in cui c’è la rassegnazione. manifestava per la vita delle persone. Mi dispiace molto per gli Indiani, ma non credo in queHo sentito molta ingiustizia in quel momento storico, ste cose. perchè nessuno ha ascoltato cosa avevano da dire E poi l’induismo viene da una religione molto antica, le persone. Io credo che i terroristi siano da odiare di più di duemila anni prima di Cristo forse e dice cose ma probabilmente i veri terroristi non sono quelli che diverse. Inoltre anche le raffigurazioni induiste sono pensiamo: i terroristi sono gli USA. cose che non esistono nella realtà ma sono frutto delDiciamo che da quel momento, nell’idea del Damo la fantasia e sono distorte rispetto all’idea originale. Suzuki’s Network è cresciuta ancora di più la voglia Se vedi la differenza con Gesù Cristo è che lui aveva di “ascoltarsi” e creare una comunicazione reciproca una missione reale sulla terra. Ha aperto i cuori, ha attraverso la musica istantanea... detto cose molto belle e ha fatto cose splendide... Infatti si crea un’energia molto speciale, una specie di scambio. La percepisci dalle persone che assistono allo spettacolo? Certo, si. Percepisco molto questa cosa!

E’ stato un rivoluzionario per te, Gesù Cristo? Non dico questo, ma credo che la sua venuta sia stata uno degli avvenimenti più importanti della nostra storia. Ma non credo nel Vaticano. Non sento di apparte-

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[Musica] INTERviste

|ph by Luca Carlino

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[Musica] INTERviste

nere a nulla sulla terra. Non mi piace sentirmi parte di qualcosa, mi fa sentire legato. Ma nonostante il Vaticano, credo molto nella Bibbia. E’ una sorta di punto di partenza e di guida allo stesso tempo. Nella vita hai bisogno di una direzione, altrimenti ti perdi. Leggo la Bibbia quasi ogni giorno perchè è una specie di pensiero che mi guida. Non pensi che la religione sia stata in fondo un’invenzione degli uomini per ovviare all’insofferenza dell’uomo? Sì, potrei crederlo ma penso anche che il messaggio della Bibbia, o almeno quello che io percepisco leggendola, sia che ognuno debba trovare la propria libertà perchè tutti abbiamo i mezzi per farlo. Per questo i regni come Babilonia sono sbagliati. Tutte le forme di tirannia, di monarchia, di dittatura sono sbagliate proprio perchè non ti consentono di trovare liberamente la tua libertà. E come collochi la natura in questo aspetto religioso della tua vita? Non posso vivere senza. Sono molto legato alla Natura perchè Dio ha creato la natura prima dell’uomo. Ogni cosa è stata preparata per l’uomo. E l’uomo non fa altro che distruggere la grande madre e lo fa per soldi. L’uomo distrugge la natura per soldi. E’ questa, per me, la cattiveria intrinseca dell’uomo. Molta gente non conosce i danni che sono stati fatti alla natura perché la gente non ne parla. Mi vengono in mente i test nucleari fatti negli anni ’50-’60 dagli Stati Uniti a centinaia di Km dalla terra per rispondere a loro volta ad un altro esperimento nucleare dell’Unione Sovietica. Queste cose non sono sempre conosciute. Ma come abitante della terra, io voglio sapere queste cose perchè mi interessa sapere da dove vengo e chi sono. È importante conoscere le cose perchè solo così puoi sapere da chi devi difenderti per preservare la tua identità.

Anche la crisi economica adesso per me non è più così spaventosa. Se tu hai davvero voglia di vivere, puoi sopravvivere a tutto. Chiunque può farcela. Sei sempre in giro per il mondo, immagino... qual è il significato della parola “casa” per te? La casa per me non è un luogo geografico. La casa è dove ti senti bene. Può essere qui in Italia con te in questo momento, perché sto bene. La casa non è un posto speciale ma è un posto dove faccio la musica che amo con la gente che amo. La casa è dove mi sento a casa. Non c’è un significato geografico per me. Anche se mi piacciono molto le montagne e i fiumi... Dove vivi? In Germania, non la mia casa quindi! Forse me ne andrò in Austria... chissà, lì ci sono molte montagne e molti fiumi! Nel lontano futuro, c’è un modo in cui vorresti essere ricordato? Sì...ci sono stati tanti bei momenti nella mia vita con cui potrei essere ricordato... Ma in realtà non me la sento neanche di paragonarli. Le esperienze non si possono paragonare perchè ci sono sempre in gioco le persone e ognuna si contraddistingue nel suo modo. Però, io ho vissuto la mia vita onestamente facendo ciò che mi piace fare e questa è la cosa più importante per me. Anche se in fondo non penso molto al passato. Ho ancora tante cose interessanti davanti a me. Se dovessi sintetizzare la tua vita in poche parole? Provocazione. La mia vita è sempre stata provocazione. Politica..? Di qualsiasi tipo. Ma sempre contro il sistema. Capitalismo, islamismo, non mi riguarda. Per tutta la vita ho vestito i panni di Damo Suzuki e tutt’ora vivo in questi panni e sono felice così. Ringrazio mia madre e Dio che mi ha dato vita. Se sei grato per ciò che hai, può vivere in maniera più positiva senza essere aggressivo. Ad esempio, ho smesso di mangiare carne da settembre...

C’è un avvenimento particolare nella tua vita che ti ha cambiato? Sì, c’è una cosa che mi è accaduta e mi ha stravolto. All’inizio degli anni ’80 ho avuto un cancro. Mi sono operato senza prendere medicinali, molta gente diceva che non sarei durato a lungo senza prendere medicine, senza fare le trasfusioni ecc ecc. Ma sono ancora qui, dopo 28 anni. Perché questa scelta? È stato un momento importante della mia vita. Se vivi Perchè ho pensato che non è così interessante manun momento del genere puoi superare tutto. giare animali, nè ucciderli.

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[Musica] INTERviste

|ph by Dania Gennai Damo Suzuki w. Stearica

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[Musica] INTERviste

È un modo di rispettare la vita? Non rispetto solo gli animali, ma tutta la natura, perché la natura è stata fatta per noi prima che venissimo sulla Terra, quindi dovremmo rispettarla. Ci sono tante cose interessanti in natura che possono tenerti in salute, come erbe e piante. Ma alle industrie questo non interessa perché non possono farci soldi. Io credo che si possa possa sopravvivere alle malattie, anche a certi tipi di cancro, grazie a ciò che trovi in natura. Pensi che in un sistema come il nostro, abbiamo più bisogno di risposte o di porci più domande? Abbiamo sicuramente bisogno di domande. Ognuno di noi dovrebbe pensarci, ce ne sono molte. Ad esempio, ora mi viene in mente...A cosa serve il Vaticano e soprattutto perchè esiste? Io conosco già le risposte. Tutto quel mondo è un’invenzione. Il cattolicesimo è nato dall’unione di molte credenze e il risultato finale, a cui spesso assistiamo, non ha molto a che vedere con la Bibbia... La Bibbia però non ci libererà dalle religioni, nè dalla insofferenza dell’uomo da cui si sono originate queste credenze... Sì, concordo. Perché quasi tutte le religioni sono false, soprattutto quando diventano un’istituzione. Però io penso che nonostante Dio sia lontano da questa sfera materiale e fisica, credere sia una cosa fondamentale nella vita, che ti aiuta moltissimo. C’è un ragazzo iraniano, David, che fa fumetti. Ha fatto una vignetta con un uomo nero davanti a una chiesa che chiedeva “Oh Dio! Fammi entrare in chiesa, così non andrò in prigione!” e Dio risponde “Ci sto provando da una vita!” [ ] Un particolare ringraziamento a chi ha reso possibile questo incontro.

English version

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ehind a delicate shaman lies one of the most precious characters of the history of music from the ‘70s onwards: his

Damo Suzuki

name is . He himself is not able to say how many lives he has lived, but in one of these, he played with Can and created the Damo Suzuki’s Network, a network of sound-carrying souls from all over the world. Each concert is an instant-composing performance with an unbelievable communication value in which anything can happen. A way to create streams of space and time and energy exchanges of the unknown matter we are made of. JK | 14


|ph by Dania Gennai Damo Suzuki w. Stearica

[Musica] INTERviste

Y

ou started your music carrier as a busker. What do you remember the most from that period: sounds or people? These are old stories… I cannot actually remember quite much. I am probably the only one that doesn’t know much about Damo Suzuki’s history. Maybe many people know me better than me, and for this reason, I don’t have to remember.

Sweden I met a good friend of mine, an artist called Simon who lives in Stockholm. He was doing some kind of project about what I used to do when I was in Sweden, and many things that came out of his work were totally unknown to me. It’s weird, but I’m not even sure all of those things actually happened. Sometimes I think I’m not Damo Suzuki. It is strange, but it is…

For some years, you just disappeared from the You don’t want to remember or you cannot? scenes. Were you trying to isolate yourself I want to remember but I cannot. Last time I was in from the world? JK | 15


[Musica] INTERviste

No, I wasn’t. Isolating yourself from the world is quite difficult and nobody can make it. In that period, I wasn’t trying to do that. I was trying to abandon music for a while. Sometimes you just need to do something else. I was only 23 and there were so many things to be developed, not only music. Many people think music is the best thing you can do, but I’m not sure it’s true. I guess it is one of the best things, but not the best. There is a whole life beyond music. In that period I worked in a hotel, I worked on the street, I worked for a Japanese company… I had a whole lot of other experiences than music. Now I can say that those experiences helped me making the music I do now, since instant composed music has a lot to do with real life experience. Maybe, if I had missed those opportunities outside the music, I would have got bored really soon. I say this because music is a business, even if I don’t like this. I have always been a provoker, but not in a violent way, I have always been against authorities, against the establishment and the system, because these “superstructures” have never done anything to help me. Even if I can’t say people “you must do this or this,” I’d like people to find themselves by living beyond music and not only through it. People need to open their minds because most of our world is controlled by mass media, that push them to believe in some specific things only and tells them which way they should go. It seems quite a “5 Star Movement” view, but I think there is something true in this. You cannot always see the same old faces such as Berlusconi, just to mention one of them! I don’t like it, he is not an interesting personality! In other European countries, if you were the owner of newspapers or broadcasting companies, you could not be a politician because you can influence people with your means. But it seems that in Italy this is possible and I cannot understand why… it’s not a good idea, he has so many newspaper! It’s not a positive thing for a country!

every night, and we spent a lot of time improvising instant compositions. But since 2003, this idea got more powerful. In that period, USA was bombing Iraq and everything changed for me. There were many demonstrations but people responsible ignored them. When someone is fighting for something right, it must be heard. People were “fighting” for the life of other people. I felt what was happening was unfair, because no one was interested in what people had to say. I believe that terrorism is to be hated, but the United States are the real terrorists now. From that moment, the Damo Suzuki’s Network was feeling the desire to “listen” to the people and create a two-way communication through the instant composition. There is a special energy in such communication, such exchange. Do you feel this from people? Yes, sure! I feel this. Music is communication. During this communication, one of the most important factors is the audience. I strongly feel the audience, I feel their energy and I try to share mine. Yes, it is some kind of exchange. If it’s not there, it means that something isn’t working. Music is one of the most important things for me and it can communicate through space and time. You can create so many things through instant composition and your creativity is unlimited. You can go beyond the universe and the system in which you physically are at the moment. It is pure music, I like to call it this way.

In your incredible life, you met so many other lives. Do you think there is a kind of “law” in the universe that roles this or is it casual? Maybe there is a lay, but I won’t believe it. People are free and there is no one who forces them to do anything or binds them to have a written destiny. Instead, I believe much more in the infinite possibilities of each person. No one controls this energy because it is endless. How has the world changed during your life? Everyone finds himself, regardless of any applicable The world keeps changing. I don’t know how it has law. changed throughout my life or how it is changing now. Honestly, it seems to me that we have been driving in …and what do you think about the word a tunnel, but now we’re driving well! “karma”? I don’t believe in karma because it comes from How was the idea of Damo Suzuki’s Network Hinduism. I don’t believe in Hinduism because there born? are casts there and if you are born poor, you are When Damo Suzuki’s Network was born, I was going to die poor. I don’t think it is a good religion, it’s performing with some musician friends, it was different quite a hopeless one.

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[Musica] |ph by Luca Carlino INTERviste

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|ph by Giovanna Onofri

[Musica] live report

I’m sorry for Indian people but I don’t believe in these things. To tell the truth, Hinduism is an ancient religion, more than two thousand years before Christ, and it also says other things. Hindu representations, for example, do not exist in reality. They come from fantasy and are distorted if you compare them to the original idea. The difference with Jesus Christ is that he had a real mission on earth. He opened hearts, said powerful and wonderful things… Do you think Jusus Christ was a revolutionary man? I don’t say he was revolutionary, but overall his came was one of the most important events of our history. But I don’t believe in the Vatican. I don’t feel I belong to anything on the earth. I don’t like to be part of something, it makes me feel not free. Apart from the Vatican, I believe in the Bible. It is a kind of guide for me. I think we need to have a direction not to get lost. I read the Bible every day, it is a kind of driving thought for me. Don’t you think that humanity has created

religion to overcome suffering? Yes, I can believe it. But I also think that the message of the Bible, or at least what I understand of it, is that everyone should find his own freedom because we have everything we need to do it. For this reason I think that kingdoms (as Babylon, for example), are wrong. All forms of tyranny, monarchy and dictatorship are wrong just because they do not allow us finding our freedom. And from this religious point of view, what about the nature? I can’t live without it. I’m very tied to the nature because God created it before human beings. Everything was prepared for them, and the man does nothing else than destroying the Great Mother just for the money. Man destroys nature for the money. This is, by my point of view, the real wickedness of man. Many people do not know the damages we make to the nature because people do not talk about them. For example, I think of the nuclear tests USA did in the 50s and the 60s, hundreds of km away from the earth, just because USSR had don’t them before. There things are not always well know.

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[Musica] INTERviste

But, as an inhabitant of the earth, I want to know them because I want to know where I come from and who I am. It is important to know things, because it is the only way you can understand from what or who you should defend yourself and save your identity.

live in these shoes, and I’m happy. I thank God and my mother who gave me my life. If you’re grateful for what you have, you can live in a more positive way without being aggressive. For example, I haven’t been eating meat since September.

Was there a specific event that influenced your life? Yes, something changed me. In the early 80s I had a cancer. I had surgery without taking drugs. Many people said I would not last long without chemical medicines, transfusions, etc. but I’m still here after 28 years. It was an important moment in my life. If you live such a moment, you can face everything. Even the economic crisis doesn’t scare me so much. If you really want to live, you can survive anything. Anyone can make it.

Why? Because I started thinking that it is not so interesting to eat animals or killing them.

Is this a way to respect life? I not only respect animals, but all the nature, because it was created for us before we came to earth, and that’s why we should respect it. There are so many interesting things in nature which can keep you healthy, like herbs and plants, but the industry doesn’t care because they cannot earn out of this. I believe you can to survive disease, even certain You have always been around the world… types of cancer, thanks to many things that you can what is the meaning of “home” to you? find in nature. Home for me is not a geographic place. Home is where you feel good. It may be here in Italy with you right Do you think our society needs more answers now, because I’m fine. Home is not a special place, or more questions? it’s just the place in which I make the music I like with We need questions! We should think about it, there are people I like. Home is where I feel at home. There is no many questions to ask ourselves. For example, what geographical sense for me. Even if I love mountains is the utility of the Vatican and why does it exist? I and rivers! already know the answer… That kind of world is fake. Catholicism was born as a Where do you live? mix of many religions and the final result, which we see In Germany, so not my home country! Maybe I’ll go to very often, does not have much to do with the Bible. Austria… there are many mountains and rivers there! However, the Bible will not deliver us from Is there a way you would like to be remembered? religions, neither from the suffering caused by Yes… there were so many wonderful moments in men that the same Bible has created… my life! But I don’t actually like to compare them. Yes, I agree with you because all religions are fake, Experiences of your life cannot be compared because especially when they become an institution, as the they come from people, and each person stands out Vatican. But I also think that God is far away from this, in its own way. However, I have lived my life honestly, and I’m quite sure that believing is very important doing what I love to do and this is the most important and helps us a lot. There’s this Iranian boy, David, he thing for me. Also, I don’t like so much thinking about makes comics. He made a comic with a black man in the past. There are still so many interesting things front of a church asking “Oh, God! Please let me into waiting for me. the church, so that I won’t go to jail” and God answers “I’ve been trying to do this for a longtime!” [ ] Your life in a few words…? Special thanks to who made this meeting possible. Provocation. My life has always been provocation. Political provocation? Any kind of provocation, as long as it was against the system. Capitalism, Islamism… doesn’t matter. I have been Damo Suzuki for my whole life and I still

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[Musica] INTERviste

|ph by Luca Carlino

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[Musica] INTERviste

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Damo Suzuki’s Network GO DAI FEST | KU di Grace Of Tree

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l vuoto sembra tranquillo e calmo su scala macroscopica come appare piatto e uniforme il mare visto da un aereo che vola ad alta quota, mentre se si stesse su una barchetta esso si mostrerebbe ben diverso, con onde e flutti anche di notevoli proporzioni. Allo stesso modo, se lo potessimo guardare da vicino, il vuoto apparirebbe un mare in tempesta ribollente di ogni sorta di manifestazioni stravaganti, fenomeni che avverrebbero da sempre e in ogni dove. Lo spazio vuoto appare tale solo perché la creazione e la distruzione incessante di particelle si verifica in esso su intervalli temporali brevissimi (istantaneamente ed improvvisamente). All‘interno del Go Dai Fest, il Vuoto Istantaneo ed Improvviso di Xabier Iriondo si è riempito di musica, pittura, visual e danza per smaterializzarsi, infine, con una delle tappe italiane del

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Damo Suzuki’s Network.

AI PAURA DEL VUOTO? Ecco, se dovessi dare un titolo alla quarta giornata del Go Dai Fest | Ku - Vuoto, saccheggerrei il titolo dell’album tanto caro al suo direttore artistico, l’eclettico e geniale sperimentatore del suono di nome Xabier Iriondo. All’interno dello spazio romano interculturale dell’Angelo Mai Occupato, Xabier ci ha lasciato fluttuare nella sua personale interpretazione del Ku - Vuoto grazie ad affascinanti rappresentazioni artistiche in cui le definizioni di enti come lo spazio ed il tempo, il suono e la luce sono state scardinate a favore di un’anarchica geometria delle idee cardinali, complici il nonsense e il nichilismo che incombevano silenti. Così come nell’Horror Vacui la natura rifugge continuamente il vuoto tentando di riempirlo di gas o li-

quidi e saturandone ogni spazio, allo stesso modo, nel corso della serata, il pubblico dell’Agelo Mai è stato bombardato da numerose suggestioni sensoriali volte ad indagaresulla natura dello spazio (esterno ed interiore) che ci contiene, ci attraversa e che noi stessi produciamo in un eterno e irrazionale divenire delle cose. Vuoto come magma creativo e dstruttivo, dunque, ed anche spazio dinamico in cui onde, fluidi e particelle hanno dato origine ad un affascinante e misterioso spettacolo della vita e della morte, per ripiombare, subito dopo, nell’oblio di sè. Nel corso della serata il “vuoto istantaneo ed improvviso“ di Xabier Iriondo si è manifestato attraverso la musica, la pittura, il cinema, il visual e la danza, grazie alle performance di Mistaking Monks, Giano, Fuzzorchestra e Damo Suzuki’s Network alla

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[Musica] live report

cui composizione istantanea hanno preso parte Manuel Agnelli, Cristiano Calcagnile, Roberto Dell’Era, Rodrigo D’Erasmo, Xabier Iriondo, Gianni Mimmo. Ad aprire la serata la sorprendente miscela di visual e suono proposta dai Mistaking Monks che, in modo estemporaneo ed evocativo, musicavano le immagini suggestive, proiettate alle loro spalle, tratte dal film “Sayat Nova - Il colore del melograno”, noto film del regista di culto armeno-georgiano Sergei Parajanov. Mentre il film raccontava iconograficamente la vita e le opere di Sayat-Nova, un cantore armeno del XVIII secolo, i Mistaking Monks - attraverso Il pathos avvolgente del soprano-sax di Mimmo, le percussioni incessanti di Calcagnile e le tensioni elettroniche di Iriondo- riuscivano nell’intento ardito e ambizioso di sorreggere la struttura visionaria e onirica del film. Il film percorreva un viaggio nell’inconscio attraverso una serie di dipinti in movimento, quadri viventi, nature morte e simbolismi mistico-religiosi, quasi a simboleggiare il vuoto come un abisso interiore da scandagliare nell’oscurità del sonno della ragione, traghettati unicamente dalle sonorità amniotiche del gruppo. L’improvvisazione musicale, come le suggestioni visive, si facevano dapprima lente e dilatate come i movimenti degli attori dalla gestualità delineata e quasi ieratica, per poi divenire più intensi, stranianti e infine metallici nei momenti di maggiore drammaticità immortalati nella perfetta geometria di questi quadri dell’io. Al termine di questa performance visual-free jazz venivamo attirati da una frequenza ipnotica che ci conduceva nella sala attigua a quella del palco, dove prendeva vita la rappresentazione teatrale di danza e suoni offerta da Giano, un sodalizio artistico composto dal performer Giordano Giorgi, la danzatrice di butoh Maddalena Gana, e il musicista Marco Carcasi.Richiamati dai suoni magnetici di Carcasi, ci ritrovavamo al cospetto di uno spiazzante allestimento futuristico del vuoto composto da una vasta superficie di domopak che rivestiva il pavimento e quattro enormi teli di plastica sospesi su di essa quasi a delimitarne lo spazio.In un’enigmatica investigazione sulla dualità maschile-femminile, la superficie metallica generava e assorbiva l’alternarsi di lenti movimenti vitali ed improvvise frenesie distruttive della danza della Gana mentre il performer Giorgi percorreva in un continuo andirivieni lo stesso spazio lineare, disseminando e raccogliendo alternativamente delle lanterne illuminate. Alla continua e lenta traslazione delle particelle fluttuanti dell’emozionante danza femminile si

contrapponeva e raramente si intersecava la ritualità del gesto maschile intrappolato in una ripetizione ossessiva, cadenzata e lineare della sua ordinarietà. Lo stesso Iriondo descrive la sua concezione di vuoto con queste parole: “La meccanica quantistica immagina il vuoto pervaso da continue fluttuazioni energetiche dalle quali si genera materia. Materia ed energia che emergono dal nulla in modo spontaneo e senza motivo un istante dopo essere apparse vengono distrutte e ritornano nel nulla.” Un vuoto “spazio-temporale”, dunque, in cui l’apparente staticità delle cose nascondeva una frenesia di vita consumata in brevissimi intervalli di tempo. Aggiungerei però, approfondendone la visione, anche una concezione del vuoto come divisione, frattura e incomunicabilità dei sessi. Tutta la tensione accumulata nello svolgersi della performance dei Giano riusciva finalmente a trovare sfogo in quell’esplosione poderosa di suono, “sangue” e sudore dei tre ragazzi in giacca e cravatta della Fuzz Orchestra. Le imponenti sonorità avant heavy rock della band, unite alla sovrapposizione strategica di frammenti cinematografici e documentaristici, strapazzavano i nostri animi, ipnotizzati e vagamente intorpiditi dall’esibizione precedente, lasciandoci catapultati virtualmente nel mezzo di furiose rivolte che hanno caratterizzato la nostra storia socio-politica dal risorgimento sino ad oggi. La chitarra ”fuzz”, le percussioni furiose e il noise-piano riuscivano a saturare ogni spazio del palco con verticose accelerazioni e furiose collisioni di suoni che, come flussi improvvisi di energia e particelle, si scontravano generando e distruggendo al contempo la materia sonora. Quello rappresentato in quel momento somigliava ad un macroscopico Vuoto sociale forse, delle istituzioni, quello lasciato dai valori traditi di tante generazioni che trovavano nella rivolte, nell’anarchia e nella contrapposta difesa violenta delle proprie idee l’unico modo per non soccombere ai poteri precostituiti. Insomma i momenti più incisivi e insanguinati della nostra storia riproposti con un’energia poderosa e sanguinaria, la stessa che la Fuzz Orchestra ha ampiamente impresso nel suo ultimo lavoro “Morire per la patria”. Il gran finale della serata è stato lasciato all’attesissima esibizione dell’ormai mito vivente di nome Kenji Damo Suzuki, che proseguendo nel suo progetto artistico Damo Suzuki’s Network si è avvalso questa volta di una rete preziosissima intessuta da persona-

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[MUSICA] live report

lità artistiche imponenti come questi artigiani e sperimentatori del suono: Manuel Agnelli (tastiere), Cristiano Calcagnile (percussioni), Roberto Dell’Era (basso), Rodrigo D’Erasmo (violino), Xabier Iriondo(Mahai Metak) e Gianni Mimmo (sax). Certe persone, ancor prima che artisti, sono destinate a diventare dei miti loro malgrado. E Damo è proprio uno di questi. La sua storia è affascinante e parla di libertà, perseguita e coltivata con una tale determinazione da permettergli di fare scelte artistiche radicali pur restando, indiscutibilmente, un continuo riferimento per le passate e future generazioni del rock. Non sono bastati i Can a farlo fermare con i tre celebrati album come “Tago Mago”, “Ege Bamyasi” e “Future Days” pubblicati nei primi ’70. Gli stessi Can che furono conquistati dalla sua esibizione su un marciapiede e intravidero in lui un degno sostituto di Malcolm Mooney, il tormentato componente della band tedesca, che li aveva appena abbandonati per un esaurimento nervoso. Damo, dopo aver scritto con loro ben tre autentici capolavori seminali della storia della musica, decise di riprendere il suo viaggio personale che lo portò ad approfondire la sua spiritualità, unendosi ai Testimoni di Geova e superare una difficile malattia. Da allora Damo prosegue il suo “Never Ending Tour”, un percorso musicale senza sosta che ha portato le sue avanguardistiche improvvisazioni nelle location più disparate dai musei ai teatri, alle gallerie e ai club più intimi, appoggiandosi ad un sapiente network di musicisti in ogni paese che lo ospita. Nel corso della serata Damo, col suo stile da umile sciamano giapponese, ha dato vita, insieme ai suoi eccezionali sound-carriers italiani, ad improvvisazioni e loop sonori reiterati che lui stesso chiama “composizioni istantanee”. Appoggiato sul microfono, con la capigliatura lunga e fluente ed il suo ciondolo magico che lo protegge dalle energie negative - come lui stesso ci ha raccontato prima di salire sul palco -, Damo sfoderava la sua voce senza tempo e si arroccava su qualche parte incontaminata dello spirito risuonando come una litania misteriosa nell’estemporaneità creativa dei suoi compagni. Non era molto chiaro quel che dicesse, sembravano più flussi di coscienza che veri e propri testi ma la carismatica performance dell’artista giapponese e il flusso sonoro entropico dei suoi compagni sembravano dilatare il tempo e sovvertire i riferimenti spaziali di un luogo in espansione e, al contempo, inconsistente. Il suo Vuoto era decisamente un pieno, uno spazio che forse lui ha fatto dentro se stesso per

ospitare le esperienze e le persone che ha incontrato nei suoi viaggi e con cui ha scelto di donarsi su un palco in modo istintivo e senza filtri. Ogni energia che attraversava il suo corpo e il suo spirito, divenuti improvvisamente cassa armonica di quel vuoto-pieno, diventava parte di quel canto indefinito e ammaliante che ci destrutturava e sembrava sussurrarci “I don’t feign anything”. Concludendo posso dire che queste quattro interpretazioni del vuoto proposte da Iriondo mi hanno davvero stupito, portandomi in un non-luogo inatteso, universale e allo stesso tempo personale, decisamente lontano da quanto io sia solita abitare e che ora sento incredibilmente vicino. Sapevo che assistendo alla serata avrei partecipato a qualcosa di nuovo e sorprendente per me, e così è stato, confermandomi l’idea che solo facendo il vuoto dentro di sè si può essere pronti a rinascere nel caos e nella continua meraviglia di se stessi. Il mio Big Bang musicale, per ora, è terminato. [ ]

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|ph by Giovanna Onofri

JK | 25 Damo Suzuki w. Manuel Agnelli, Cristiano Calcagnile, Roberto Dell’Era, Rodrigo D’Erasmo, Xabier Iriondo, Gianni Mimmo.


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di Gianluca Conte

perturbazione

[Musica] INTERviste

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' mercoledì sera, incontro con il mio amico

Perturbazione

Gigi Giancursi dei , nel nostro solito punto di ritrovo, il Casseta Popular. A farci compagnia il nostro solito corredo di birre e sigarette. Ma stavolta non ci dilungheremo in chiacchiere sugli argomenti più disparati. Sul tavolo c'è un registratore e l'argomento è ben preciso: parlare del nuovo disco dei Perturbazione, in uscita nelle prossime settimane, "Musica X". La prima domanda me la fa lui: “Qual è la canzone che ti è piaciuta di meno?”. Io rispondo e concordiamo sul fatto che è una domanda che non viene mai fatta in nessuna intervista. Concordiamo anche sulla risposta, ma questa rimarrà tra noi. Tutto il resto lo troverete da qui in poi.

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uale è stato il processo che vi ha portato a scegliere come produttore artistico di questo ultimo lavoro Max Casacci. Immagino non sia stata una scelta immediata, ma abbia comportato tutta una serie di riflessioni, dubbi, ripensamenti, entusiasmi e grossi stimoli. Ed inoltre, come mai non avete mai pensato, data l’esperienza tua e di Cristiano come produttori, di autoprodurvi i dischi? La scelta di Max Casacci è strettamente collegata al nostro ritorno in Mescal. Quando abbiamo cominciato a parlare concretamente del nuovo disco la Mescal ci ha detto che, secondo loro, in questa fase della nostra carriera, avremmo avuto bisogno di un produttore come Max Casacci. Inizialmente ci era sembrata un’idea un po’ bizzarra, ma ripensandoci razionalmente abbiamo capito che poteva essere un’idea molto stimolante. Ciò che più ci rendeva fiduciosi è che il consiglio della Mescal era del tutto disinteressato e non di certo dovuto a strategie di bottega, dato che le strade di Mescal e Casacci negli ultimi anni si erano divise. Riflettendoci più a fondo abbiamo realizzato che la scelta di Casacci poteva essere davvero ottimale per i nostri obiettivi, perchè nella sua figura risiedevano diverse caratteristiche che noi ricercavamo: è un produttore che, come insegna la sua storia nel panorama musicale italiano, sa creare della musica che sa inserirsi benissimo nel circuito cosidetto mainstream, senza tuttavia snaturarsi, che conosce Torino, il suo contesto musicale, e di conseguenza conosce anche la nostra storia. Noi eravamo fortissimamente alla ricerca di un produttore che avesse delle sonorità diverse dalle nostre, ma senza fare esageratamente un salto nel buio. A quel punto abbiamo cominciato a lavorare su tre brani, per capire se la collaborazione potesse essere soddisfacente e funzionale per tutti. Il risultato è piaciuto a tutti e da lì abbiamo cominciato a lavorare spediti sul disco. Per quanto riguarda la domanda sull’autoproduzione c’è da dire che io e Cristiano come produttori artistici secondo noi funzioniamo bene, però nel gruppo siamo in 6 e il gruppo funziona bene perchè siamo tutti equidistanti. Se due persone cominciano a prendere un peso eccessivo all’interno del gruppo si rischia di creare delle dinamiche che potrebbero minare l’equilibrio interno ed è per questo che abbiamo sempre pensato di affidare la produzione artistica ad un settimo paio di orecchie che, a sua volta JK | 27


[Musica] INTERviste

equidistante dagli altri sei, possa tirare fuori il meglio ne vuoi parlare? E’ per questo che avete decidai nostri brani. L’abbiamo sempre fatto con Magi- so di chiamare il disco così? strali, con Benvegnù e ora con Casacci. “Musica x” è un pezzo dirompente rispetto al nostro percorso e come hai detto tu è uno dei brani che più Hai parlato della ricerca di una contaminazio- manifesta il percorso, che stiamo affrontando in quene. Se questo era l’obiettivo, direi che Musica sto periodo, di avvicinamento verso l’elettronica. X è un disco che rappresenta un’ottima con- In questo momento della nostra storia, dopo dieci taminazione tra la sonorità dei Perturbazione anni di carriera, dopo un disco abbastanza complesso e nuove sonorità apportate da Casacci. Ma c’è come “Del nostro tempo rubato”, con 24 brani, dove stato il momento in cui vi siete chiesti se que- abbiamo dato sfogo a tutto ciò che sapevamo fare, sta nuova vostra veste potesse piacere al vo- abbiamo deciso di fare un lavoro più compatto e censtro pubblico? trato su cose che ci cambiassero completamente. Non Certamente. E’ la classica fase della perdita dell’in- a caso è un disco relativamente breve, poco più di 35 nocenza, che comunque noi abbiamo superato ormai minuti con 10 canzoni, in totale controtendenza col da tempo. I Perturbazione sono stati “innocenti” con nostro precedente lavoro. “In circolo”, dopo sono stati una mediazione tra ciò Uno dei nostri obiettivi con questi che sapevano di poter ottenere e quello che stavano nuovi brani era quello di sorprenderfacendo in maniera autentica. ci, era la cosa che ci affascinava più Non mi fraintedere, questo non vuol dire corrompersi di tutte. Non sappiamo cosa faremo o vendersi, bensì è dovuta alla consapevolezza del- nel prossimo disco, magari faremo la fase di crescita in cui ti trovi. Se “In circolo” era un lavoro minimale o totalmente una raccolta di canzoni scritte per la tua cameretta, elettronico, non abbiamo assolutasuccessivamente componevi sapendo di avere un po- mente idea. E’ proprio per questo tenziale pubblico e non prendere in considerazione che abbiamo scelto il titolo di questa questo elemento sarebbe doppiamente ipocrita. canzone come titolo del disco, per Non a caso il primo singolo del disco, “La vita davan- sottolineare l’indeterminatezza della ti”, dice “hai tutta la vita davanti, credi nelle mezze nostra musica, vista come punto di bugie dei cantanti”, perchè in fondo noi siamo quello forza e di creatività e non certo di che pensiamo di essere e di dare in pasto a chi ci debolezza. ascolta, ma sappiamo perfettamente di aver scelto noi di darci in pasto. A proposito di indeterminatezAd un certo punto tu sai che quando fai una canzo- za anche le collaborazioni prene questa canzone ha una vocazione un pochettino senti in questo disco sono difpiù grande di quella che avevi fatto precedentemen- ficilmente inquadrabili, dal momento che Luca te perchè nel frattempo hai fatto un salto, e sarebbe Carboni, I Cani ed Erica Mou appartengono a molto più disonesto far finta di non aver interiorizzato tre generazioni diverse e ad altrettanti diversi questo cambiamento. L’atto puro della composizione contesti musicali. E’ stata una scelta studiata di una canzone rimane sempre uguale, come dieci o avvenuta spontaneamente? anni fa e come sarà tra dieci anni, perchè si riconduce In effetti è così ma non ci avevamo fatto caso. La scelad un’urgenza che è immediata, ma la levigazione, la ta è stata abbastanza casuale. messa a punto, l’arrangiamento deve sempre essere La collaborazione con Carboni nasce da lontano. Lo mediato dal fatto di sapere esattamente chi sei e in avevamo già corteggiato tempo fa, per il nostro proquale fase della tua carriera ti trovi, una razionalizza- getto “Le città viste dal basso”, ovviamente per darci zione insomma del processo istintivo. E’ così nella vita la sua chiave di lettura di Bologna, ma in quel periodo di qualsiasi persona, a maggior ragione anche nella ci sembrava, per certi versi, abbastanza irraggiungimusica. bile. Invece poi le cose sono andate molto più facilmente di quanto pensavamo: siamo riusciti ad avere Per continuare a parlare di contaminazione un il canale per poter parlare con lui, lui sinceramente brano che rappresenta, a mio parere, in ma- non ci conosceva e lo ha anche reso pubblico in un niera ottimale questa ricerca è “Musica x”. Me tweet in cui esprimeva la piacevole sorpresa dei Per-

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[Musica] INTERviste

turbazione, gli abbiamo mandato tre pezzi, tra i quali poi abbiamo scelto quello che ha eseguito nel disco, “I baci vietati”. E’ stato molto bello lavorare con lui, ci interessava particolarmente perchè Luca Carboni ultimamente non ha seguito le strategie comunicative che hanno scelto per esempio altri artisti del suo calibro, rimanendo apparentemente un pò ai margini ma continuando tuttavia a fare la sua musica. Erica Mou è un astro nascente, una persona che non ha ancora espresso tutto quello che può e vuole fare e che in tempi non sospetti ci aveva contattato per fare un concerto insieme a Milano, che poi non era andato in porto. Avevamo tra le canzoni scelte per il disco una che in particolare ci sembrava adatta ad un dialogo tra una voce maschile ed una femminile, “Ossexione” ed allora abbiamo deciso di richiedere la sua partecipazione. Per I Cani il discorso è ancora diverso. Loro sono un fenomeno dirompente, che ha fatto un botto pazzesco in questi ultimi anni nel contesto indie e che io non conoscevo inizialmente e sul quale probabilmente avevo anche qualche pregiudizio. Un giorno mi sono messo volutamente ad ascoltarli per capire le ragioni di questo fenomeno, mi sono imbattuto nella canzone “Velleità” ed ho pensato subito che fosse la radiografia perfetta di più generazioni. I Cani sono per me un gruppo fantastico, sono un gruppo che probabilmente ami o odi e se odi forse è perchè sotto c’è una sorta di invidia latente, perchè vorresti essere come loro e non lo puoi essere fino in fondo. In effetti ripercorrendo un pò la vostra carriera musicale, a partire dal vostro secondo disco ci sono stati molti cosiddetti featuring, dai Baustelle a Dente, da Manuel Agnelli ai Giardini di Miro’ che, a differenza di altri featuring visti in questi anni, mi sembrano meno mirati e finalizzati ma più corrispondenti ad un’esigenza di autentico scambio. E’ una sensazione mia o è davvero così? La verità, come in tante altre cose, sta nel mezzo. Prendiamo il caso di Dente; è un caso che abbia cantato con noi in “Buongiorno buonafortuna” e bisogna inoltre ricordarsi che i dischi vengono concepiti molto prima rispetto all’uscita pubblica. Quando Dente ha

registrato con noi non era ancora il Dente esploso pochi mesi più tardi, ma dobbiamo anche ammettere che il suo successo si è riverberato poi anche sul successo di quella canzone, e la cosa ovviamente non può che farci piacere La stessa cosa è successa ai tempi con i Baustelle, che non erano ancora molto conosciuti e la collaborazione era nata perchè avevamo fatto un pò di concerti insieme. Collaborare è sempre un arricchimento personale, ti permette di scambiare idee, di creare situazioni, e soprattutto di divertirsi. Per ritornare ad uno dei featuring che abbiamo già citato in precedenza mi ha colpito molto la canzone “I baci vietati”, insieme a Luca Carboni, in particolare la frase “siamo figli finchè un giorno diventiamo anche noi genitori”... Sì, questa frase l’ho scritta io ma ispirandomi esplicitamente ad una frase di Remo Remotti. In un suo libro sostiene che non c’è mai un momento della nostra vita in cui riusciamo ad essere contemporaneamente figli e genitori, arriva sempre un momento in cui smetti di essere figlio ma diventi immediatamente genitore. Questo concetto aveva affascinato in particolare Rossano e, successivamente, anche me e gli altri che hanno lavorato a questo testo, cioè ci siamo posti la domanda: come si fa a non replicare mai gli errori che ti hanno portato ad essere quello che sei? Un freudianesimo facile fa ricadere tutti le colpe sul rapporto con i genitori, ed in parte è vero, ma quando arriverà il momento in cui saremo abbastanza adulti da riconoscere che forse in tutti quegli errori c’è anche un nucleo che dipende da noi? Perchè poi arriverà il momento in cui diventeremo genitori e non sappiamo se replicheremo gli stessi errori e qualcun altro se ne lamenterà. A me ascoltandola è sembrata un’ottima metafora della vostra situazione attuale sia come persone singole, nella “normalità” di ogni giorno, sia come gruppo. Mi ha dato la sensazione che anche da un punto di vista della vostra storia musicale ci sia il bisogno e la voglia di diventare genitori, il chè si rifà anche un pò alla vostra inclinazione ad essere un gruppo molto aperto ad interagire con i gruppi cosiddetti emergenti... Ciò che hai detto è bellissimo, non ci avevo mai pensato. E’ una delle domande più belle che mi sia mai stata fatta in un’intervista...!

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Effettivamente ci sta di brutto. Per esempio, per quanto riguarda il rapporto con i gruppi più giovani, con i ragazzi alle prime esperienze musicali, vale lo stesso discorso che con i figli. Cosa gli possiamo dire, se non augurargli tutto il bene possibile e cercare di offrire loro ciò che hai fatto ed imparato, per quel che può servire. Ed è esattamente come con i figli. Cosa posso dire a mia figlia? E’ una cosa che ti fa rimettere in gioco ogni giorno, un qualcosa di bellissimo ed altrettanto difficile che ogni tanto ti fa venire il desiderio di poterti ritagliare uno spazio tuo, in cui sei libero di sbagliare, di ritornare un pò figlio. E, come Perturbazione, per

quanto riguarda la nostra fase di crescita, è vero, sentiamo probabilmente l’esigenza di diventare finalmente “adulti” in un certo senso. E’ molto giusto ciò che hai detto, me la rivendero’ in altre interviste...! Per quanto riguarda il live come sarà strutturato? Riarrangerete le vecchie canzoni cercando di riadattarle alle sonorità espresse in questo disco oppure quale tipo di scelta avete fatto? Abbiamo scelto una mediazione anche a livello sonoro tra tutto quello che sono stati i Perturbazione finora e le novità espresse in questo disco. In alcuni casi abbiamo apportato delle novità a livello

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[Musica] INTERviste

di sonorità ad alcuni dei brani dei precedenti dischi, per rendere il suono un pò più omogeneo, ma allo stesso tempo ne abbiamo lasciati altri completamente fedeli a come sono stati creati e suonati finora. E’ giusto che i fan che ci hanno seguito con tanto affetto finora possano ascoltarsi le loro canzoni preferite dei Perturbazione come le hanno sempre ascoltate. Abbiamo detto spesso in questa intervista di quanto sia bello riscoprirsi, fare cambiamenti, reinventarsi, sorprendersi ma è altrettanto vero che devono esistere anche dei punti fermi. Io credo che i nostri fan vogliano ascoltarsi l’”Agosto” che era, e forse è anche giusto che sia così. [ ]

Ad un certo punto vengono a chiamarci, è ormai tardi ed è ora di chiudere. Continuiamo le nostre chiacchiere fuori dal locale, non parliamo più del disco ma ricominciamo a ruota libera. Come era stata la prima volta che ci siamo parlati ormai molti anni fa. E torno a casa pensando che, per quanto possano cambiare, evolversi, crescere, i Perturbazione rimarranno sempre gli stessi.

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toni bruna [Musica] INTERviste

di James Cook

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rtigiano della musica, con originalitĂ

Toni Bruna

e coraggio, ha scelto di accompagnare le proprie melodie dai richiami decisamente sud americani con testi rigorosamente in dialetto triestino. Just Kids non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di incontrare da vicino questo nuovo, innegabile talento, e lo ha fatto a Milano, al termine della sua esibizione live presso l’auditorium Demetrio Stratos di popolare network.

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[Musica] INTERviste

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[Musica] INTERviste

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i piacerebbe conoscere qualcosa di più della tua storia: ho letto che fai il falegname, che hai vissuto in Sudamerica… Hai già detto tu, non ho granché da raccontare in realtà. Si è trattato di una scelta abbastanza casuale, avvenuta in un certo periodo in cui in Italia, un progetto musicale al quale tenevo tantissimo è andato in vacca. In quel momento mi si è un po’ sgretolata la vita. Allora, mi son detto: “non ho niente da perdere, vado un mese in Uruguay e vediamo cosa succede“. Alla fine sono rimasto 3 anni: da un mese a due, poi tre… quando è scaduto il biglietto di ritorno ho deciso di rimanere lì e di viaggiare un po’. Argentina, Perù, Cile dove mi sono fermato, perché, per casualità, ho trovato gente che faceva un lavoro interessante. Quello era un periodo della vita nel quale non volevo fare scelte definitive, seguivo l’onda del momento, vivevo e accettavo le occasioni come si presentavano. Dal punto di vista musicale sono stati tre anni molto sterili, pensavo fosse la fine, non mi usciva più niente. Poi, per scherzo, ho cominciato a scrivere canzoni in dialetto, pensando: “tanto qui non mi capisce nessuno”. Ho iniziato questo gioco con un amico: lavorando troppe ore quotidianamente, non riuscivamo mai a suonare, allora, per tenerci in allenamento, abbiamo deciso che, un giorno per l’altro, avremmo dovuto scrivere una canzone. Arrivati a casa, accendevamo il multi tracce e componevamo una canzone completa (musica, arrangiamenti, testo). Il mio amico, in realtà, non ne ha fatta nemmeno una, mentre io ci ho preso gusto. Ogni giorno ne scrivevo una…cazzate, ma ci si allena parecchio. Se le riascolto adesso fanno schifo, però mi rendo conto che sono state l’occasione per far venir fuori delle idee. In questo momento mi sembra l’unica strada possibile. In Sudamerica ho provato mille lavori, facendo la fame, finché non sono arrivato da un inventore. Creava prototipi di macchinari vari per la ricerca medica ed anche installazioni artistiche, era super geniale. Io, molto portato da sempre per il lavoro manuale, sono diventato il suo aiutante per due anni. Ora faccio il falegname, una passione che ho fin da ragazzino quella di usare le mani. Quando son tornato dal Cile mi son chiesto: “cosa faccio, mi trovo un lavoro giusto per guadagnare e riuscire a suonare o scelgo qualcosa che anche mi piaccia?”. Al momento soldi non ne entravano dalla falegnameria ma ho deciso comunque di dedicarmi ad un’attività che son contento di gestire. Ho lasciato il lavoro di imbianchino, che non mi piace-

va tanto, poi, pian piano, sono cresciuto professionalmente. Adesso ho un laboratorio mio e mi sento molto indipendente. Chi è Toni Bruna? E’ tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, ma in realtà il nome appartiene a un mio antenato istriano che si chiamava Antonio. Il suo cognome, che non diremo, era uguale al mio, e Bruna era il soprannome. Nel paese di mio padre, Dignano D’Istria, hanno tutti un soprannome perché si chiamano con lo stesso cognome e di nome fanno Antonio, Giuseppe o Giovanni, per cui automaticamente è nato “Toni Bruna”. Non ho mai saputo perché fosse questo il soprannome del mio parente… Cantare in dialetto triestino è una modalità “controcorrente” e probabilmente inedita, a livello nazionale, che mi ha incuriosito da subito… Si è vero non c’è nessun altro a livello nazionale. Questo progetto mi è piaciuto cosi tanto da subito ma, allo stesso tempo, nella mia testa, pensavo che al momento non avesse possibilità di affermarsi. Quando ho iniziato ad inciderlo mi son detto: “guarda te che buona occasione per bruciarsi tutti i risparmi e dedicarsi a qualcosa che non ha futuro”. E così ho fatto… ho rotto addirittura un salvadanaio delle elementari che avevo, mi son comprato i microfoni e ho registrato il disco. La scelta del dialetto ha influenzato anche il tipo di musica che suoni? Beh, non saprei, credo che si contaminino a vicenda. Penso che guardandole adesso da una certa distanza, le cose che mi son successe, le vedo come il frutto di un processo avvenuto a livello inconscio. Cioè, in un certo senso, prima accadono poi, in un secondo tempo, mi rendo conto che sono successe. Sono convinto che, tutta la parte che richiama il sud America, ovviamente, sia conseguenza dell’esperienza che ho vissuto in quel paese. Lì ho ascoltato tantissima musica, mi sono innamorato veramente di certi ritmi e suoni, poi ti dico, le cose sono davvero andate insieme da sole. Cosa significa esattamente “folk immaginario”, definizione con cui classifichi la tua musica? Sicuramente questa definizione è un furto che ho fatto da qualche parte, ma non ricordo dove. Son andato

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anche a cercare in giro per internet se esistono progetti con questo nome. In effetti, ci sono vari personaggi e situazioni che usano il termine di folk immaginario. Mi piace questa idea, io credo di fare folk, cioè musica che appartiene al popolo. Mi sento parte del popolo triestino, gente che vive la mia città. L’ho abbinato al termine immaginario perché un folklore vero e proprio, intendo vivo, come esiste in Latino America, noi non ce l’abbiamo. Loro non hanno il problema che abbiamo noi, realizzano le cose spontaneamente, senza farsi grossi problemi. Tanto di quello che ho sentito là mi fa schifo, ma per loro è normale comporre dl’istinto, senza badare al risultato finale. Invece, per noi triestini, in particolar modo, scrivere seriamente in dialetto, non è facile. Ce ne sono veramente pochi che lo fanno, penso a musicisti come Stefano Schiraldi, o i Maxmaber Orkestar e scrittori come Pietro Isoni. In ogni caso non rappresentano la massa, mentre se vai in latino America trovi dei cantautori conosciuti da tutti, delle vere rock star… Ti hanno definito “artigiano della musica”. Ha a che fare con la professione di falegname? Ci sta… si, si perché più che altro non mi piace il termine artista, non mi vedo come tale. Gli artisti secondo me, e anche generalmente parlando, credo siano tali quando raggiungono un livello elevato. Io non mi sento di esserci ancora arrivato, ma spero che succederà. Non è che dico: “ahh, no, io no”, per cui artigiano, a mio modo di vedere, mi sembra più coerente. Intuisco che il testo di “formigole” si riferisce alle formiche. Di cosa parla e perché hai intitolato così il disco? Come ti dicevo prima a proposito del nome, qui entriamo in una sfera oscura, sconosciuta, oserei dire occulta, quasi, da una parte, preferirei non risponderti… dall’altra, beh, formigole è una canzone che parla delle formiche e degli esseri umani, mettendo a confronto le due condizioni. Si può anche tradurre il testo se vuoi, dice che le formiche, nonostante alle volte si pizzichino e scontrino, alla fine finiscono col vivere “in armonia” (fra virgolette). Stanno lì nel formicaio, lavorano tutte insieme, partecipano, a differenza degli uomini che invece restano ognuno arroccato sulle sue posizioni. A volte gli umani si avvicinano a chi è diverso da loro ma poi iniziano a guardarsi di brutto, si incazzano e finiscono col restare separati. Ad osservare bene, in realtà,

anche le formiche si massacrano e magari gli uomini, invece, vanno d’accordo per cui boh...in definitiva non so. Sono particolarmente legato a questi concetti che mi piace sviluppare, ma, se penso al mio processo creativo, mi rendo conto che non riesco a fare scelte coscienti, pensate a tavolino. Le mie composizioni “arrivano” da luoghi che non saprei neanche individuare, tutto avviene sempre in modo vuoi casuale, vuoi inconscio, vuoi accidentale. Succede, lo sento e basta… Nelle tue canzoni preferisci affrontare temi personali o sociali? Quello che possiamo fare è analizzare a posteriori i contenuti delle singoli canzoni del disco. Così, adesso, non saprei scegliere, non ho un argomento che mi piace più di un altro. In quello che propongo sicuramente emerge l’amore per la natura, questo attaccamento anch’io lo scopro adesso. Mentre scrivo mi dico: “eh quante canzoni che scrivo, ci son proprio attaccato a sta roba“. Poi, si, c’è anche tutta la parte che ha a che vedere con la gente, quelli che se vuoi chiamiamo i temi sociali. L’evoluzione dell’uomo deve ancora avvenire, i filosofi, i pensatori ci son già arrivati a certi concetti, ma prima che ci arrivi la società, cazzo! Noi non ci arriveremo mai...certamente questo è un tema che mi interessa, spesso mi ritrovo a discuterne con gli amici, per cui, evidentemente, ritorna anche nelle mie canzoni. Come sei arrivato a Niegazowana? Ci sono arrivato, credo, attraverso Ricky e Elisa Russo, due giornalisti di Trieste. Loro, conosciuto il progetto, hanno fatto il mio nome ai ragazzi dell’etichetta. So che Elisa sta scrivendo un libro su Edda, i Ritmo Tribale e la scena musicale di quegli anni a Milano se ho capito bene, perché sono ignorante in materia. Conosco Edda, mi piace, lui è incredibile dal vivo, ma non so niente di cosa sia successo prima… Le collaborazioni con Gionata Mirai (chitarrista de “Il teatro degli orrori”) proseguiranno? Io spero di si, a livello personale penso sia un “dritto”, una persona sincera e coerente, questo è la prima cosa, davvero molto importante per me. Non riuscirei a suonare con qualcuno che non rispetto, con cui non ci sia feeling. Le poche volte che l’ho incontrato si è dimostrato un tipo in gamba, poi ci troviamo bene an-

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che a suonare, spero che succeda di nuovo. Non so ci siamo esibiti dietro il bancone assieme ai baristi, in bene se potrà accadere perché viviamo in città diverse un’ora in cui gli unici clienti erano dei vecchietti, pere, direi, anche i tempi sono diversi. ché lo si fa così, solo per il gusto di fare. Penso che, alle volte, abbia più valore suonare in queHai fatto tua l’idea dei CCCP che si deve fare sto modo piuttosto che suonare in situazioni di merda, uno sforzo quando si va ad un concerto, sce- poi magari venir qua o andare alla Scighera (locale di gliendo di contaminare luoghi inediti come un Milano, ndr). Ci sono anche dei posti in cui sono contram, un salotto di casa, una galleria di un tre- tento di suonare, però in generale, ti trovi in situazioni no... cosa intendi comunicare? che veramente dici: ”ma perché non andate a fare un Ehhh saperlo! L’idea di contaminare luoghi che non altro lavoro?“. Io penso che la musica non sia solo sono consueti per suonare ce l’ho sempre avuta. guadagnare sul biglietto o sul bere, c’è anche un’altra Diciamo che lo spunto dei CCPP l’ho avuto vedendo componente, anche se a noi esibirci così, al momento, un documentario bellissimo al festival del cinema di non porta nessun soldo, anzi comporta delle spese. Trieste. In questo filmato il gruppo diceva che i loro Torno a dirti, ci son dei locali che, oltre a pensare a concerti all’inizio erano così intensi da richiedere uno guadagnare, mostrano anche interesse a promuovere sforzo da parte del pubblico. un certo tipo di situazioni. Non si trattava di qualcosa di semplice tipo tu vai e Mi vengono in mente dei posti incredibili a Berlino o a ti sembra di stare a guardare la tv. Dovevi andare lì New York che “fan le robe con due robe”. A trieste la partecipe e convinto di voler rimanere fino alla fine; situazione classica è che aprono un locale per suonaquesta idea mi è piaciuta e in un certo modo l’ho fatta re e non hanno l’impianto, non dico il fonico. mia. Se vuoi, la puoi leggere anche come una critica Tu vai, suoni, accendi l’ampli e c’è tutto un riverbero alla situazione dei locali a Trieste che, secondo me, che dici: “ragazzi, perché?”. sono messi abbastanza male. Non è una città che da Invece, da altre parti puoi trovare un locale con un soddisfazioni, soprattutto la gente non ha visione a impianto di merda però vedi che l’hanno aggiustato, lungo termine, non si vuole mettere in gioco. Spesse magari con le scatole delle uova ma si sente decente volte si potrebbe fare qualcosa, ma non si fa. e fan dei concerti fighissimi. Allora, il problema non è Queste situazioni mi fanno incazzare… allora ho pen- che non si può, è che non si vuol fare. Questo mi fa sato: “perché devo venire nel tuo locale a suonare, incazzare! a portarti dei soldi, a farti bello. Allora i concerti me li organizzo dove voglio io. Magari non guadagno un Cosa ha significato per te suonare a Barcellocazzo, però, perlomeno, mi diverto, son contento e na, San Francisco, New York? non mi viene la rabbia di aver fatto un favore a te, E’ stato bellissimo, super figo. Secondo me, questo visto che proprio non mi va di fartelo. progetto è partito talmente col freno a mano, nel senMagari vengo a suonare e non mi dai nemmeno un so che non pensavo di arrivare da nessuna parte, che bicchiere d’acqua, neanche mi saluti quando entro, tutto quello che “arriva” per me è festa. allora vaffanculo! Quindi, seguendo questa idea ab- Si è vero, funziona, continua a funzionare, alla gente biamo fatto tutta una serie di concerti particolari, ma piace e io ne sono contentissimo. ce ne sono altri. Ne abbiamo organizzato uno in una web radio, un live Che rapporto hai con i social network e con incredibile, in vetrina, con le cuffie. La radio era den- internet in generale? Non hai una pagina facetro questo posto stretto, due metri per due, che si book ufficiale, ma un bellissimo sito in triestiaffacciava su una strada ultra trafficata. Stavamo in no/inglese... tre, c’erano cinque o sei cuffie appese al muro con dei Dunque, si, c’è questa pagina di facebook che non gechiodi, chi passava poteva ascoltare da fuori. stisco io, ma so chi la cura, l’ha aperta un mio super Ci siamo divertiti a creare varie di queste situazioni, fan. Immagino che questo sia un mezzo di comunicaanche in un locale dove non c’era corrente elettrica ( zione potente, anzi mi rendo conto che è potentissimo tra l’altro sempre gestito dagli stessi della web radio). però non so, magari fra un paio di anni mi conformerò Il tutto è avvenuto a lume di candela, tra l’altro senza anch’io, ma al momento proprio non mi va. avvisare nessuno. Internet mi piace un sacco, mi va l’idea di avere un sito Oppure in un bar super “scrauso” sotto casa nostra, perché non ti porta via tanto tempo. Tu carichi quello

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che ti interessa. Ci sono le foto, le canzoni, se uno va se le guarda, è qualcosa di meno invasivo. Facebook, invece, è più impegnativo. arrivi a casa, ti metti al pc, se hai un account vuoi che ti arrivi materiale, però a me non va. Ho già visto quando ero da qualcuno che aveva aperto la pagina e diceva : “ahh, ma guarda, questo cosa fa?!”. E’ fighissimo ma non finisci più, preferisco fare altro, ecco… Cosa pensi possa succedere al progetto Toni Bruna in un futuro prossimo? Guarda, non so, ti dico la sincera verità, spero che si vendano i dischi o che per lo meno si suoni e, quindi, si riesca a campare così. Oppure, andrebbe bene anche vincere la lotteria così non avrei bisogno di guadagnar soldi e potrei suonare tranquillamente. Ecco, però, più che altro, visto che se faccio il falegname non suono perché il mestiere porta via tanta energia e tanto tempo, sto cercando di lavorar meno e suonar di più, ma è difficile. Inoltre, andando avanti, ti accorgi che più suoni e più ti riesce meglio, mentre se suoni poco il risultato è frustrante. Poi, ti senti stanco e allora è un disastro, molto romantico mah, una rottura di coglioni! Queste canzoni le hai registrate oltre 2 anni fa ne hai molte altre nuove? Si, certo che ne ho... E qualcuna forse l’hai anche fatta stasera .. Si, in proporzione penso metà e metà, rispetto al disco, o almeno credo, non ho la scaletta. L’intenzione sarebbe di registrare il nuovo disco in estate. Ti dico, per come stanno andando le cose, non lo so come andrà a finire, ma comunque io ci spero. [ ]

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lilies on mars

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di Alina Dambrosio

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ILilies on mars

n occasione del Record Store Day incontro le brit-sarde

, Lisa e Marina, al N’importe quoi. Dopo il loro live in un’atmosfera così intima, come il loro sound, davanti a uno spritz facciamo qualche chiacchiera, immerse nei libri e nella musica. A prima vista portano tanto della loro acquisita Londra sul corpo: capelli arruffati, tatuaggi “eccessivi” e un’eleganza sui generis, un’eleganza rock. Sembrano delle bad girls, ma hanno una dolcezza insita nella loro voce, oltre che nel loro spirito.

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nnanzitutto raccontateci un po’ com’è nato DOT TO DOT: sensazioni, composizione dei pezzi. Lisa (L): Dopo poco l’uscita del nostro secondo album “Wish You Were a Pony” nel 2011, abbiamo iniziato a comporre per questo disco in Inghilterra, con la collaborazione di Valentina Manganetti alla batteria e abbiamo registrato prettamente batteria e percussioni varie e poi l’abbiamo completato in Sardegna, dove è stato fatto tutto il missaggio. Marina (M): Avevamo proprio bisogno di vivere la nostra terra in un modo diverso, perché stando da dieci anni fuori l’abbiamo vista un po’ come turiste. L: Siamo andate nella casa al mare, adibendola a studio. Nel disco ci sono i suoni della Sardegna, ad esempio il suono delle onde del mare, messo in reverse. Oltre alla Sardegna, però nel vostro disco si percepiscono influenze di respiro internazionale, quali sono state le influenze maggiori? M: sicuramente vivendo a Londra abbiamo sentito qualsiasi cosa, qualsiasi genere, andavamo spesso a concerti. L’ispirazione artistica di altri musicisti ha influito sulla nostra ispirazione, questo disco racchiude tutto quanto, tutte le nostre emozioni, tutto quello che abbiamo recepito dall’ambiente esterno. Poi avevamo bisogno di tagliare con la caducità londinese e di riprenderci la nostra calma. Forse per questo è meno spigoloso rispetto a ciò che c’è nei dischi precedenti Negli ultimi anni si sono formate molte più band al femminile, penso alle dum dum girls, alle ladytron segno che forse qualcosa sta cambiando. Secondo voi ci sono generi in cui le donne si possono esprimere maggiormente o dipende dalla personalità di ognuno ?

M: Dipende dalla personalità di ognuno, basta sapersi esprimere, non c’è un genere che si addice alla donna, ovviamente il timbro di una donna è diverso da quello di uomo, ma quella è solo una differenza, ci sono uomini che sono più eterei e magari donne che usano il growl. Ad oggi pensate che sia ancora un modo maschilista quello musicale? L: Magari in passato abbiamo vissuto un po’ questa cosa, però ad oggi non ci possiamo soffermare sulla differenza maschio/femmina, perché le difficoltà ci sono e le viviamo tutti, indipendentemente dal genere. M: In questi tempi è difficile fare qualsiasi cosa, in ogni campo. Questo disco vede la partecipazione di Battiato, in particolare nel brano Oceanic landscape, com’è nata questa collaborazione? Come avete fuso queste tre anime musicali all’apparenza molto diverse? L: Noi abbiamo conosciuto Battiato nel 2007 durante un suo concerto all’Arciboldi di Milano, dove ci ha ospitate, quindi eravamo tra le primissime file. In quel periodo avevamo lunghi dreadlocks colorati e attiravamo un po’ l’attenzione, soprattutto perché nelle prime file ci sono altri tipi di personaggi, c’era tutta la politica di Milano. Lui ci ha invitate in camerino, stava cercando due voci femminili per la performance nel film “ Niente è come sembra”. Pochi giorni dopo ci ha inviato un brano di Tchaikovsky e noi lo abbiamo riarrangiato in una sola notte. Da lì è nato tutto, abbiamo suonato nel suono disco “Il vuoto”, abbiamo fatto un anno e mezzo di tour (noi nasciamo come chitarriste in realtà) e poi è nata un’amicizia. C’è una stima musicale reciproca, lui è molto incuriosito da quello che facciamo, fino a che gli ab-

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biamo inviato il brano “Oceanic landscape” ed eccolo nel disco. Le lilies on mars nascono primo o dopo l’incontro con Battiato? M: Io e lisa abbiamo suonato insieme in altri progetti, ci conoscevamo comunque da tanti anni, poi ci siamo ritrovate a Londra per altri motivi. L: Lilies on mars nascono dopo aver fatto il tour con Battiato. Siamo tornate carichissime, avevamo voglia di suonare e molto naturalmente abbiamo iniziato a comporre, cosa che prima facevamo, però in un altro modo e pian piano abbiamo iniziato a usare tutti gli strumenti che avevamo. Lilies on mars sono nate in una maniera naturalissima. Siete al terzo disco quanto e come vi sentite cresciute? L: C’è stato un percorso di maturazione. Negli ultimi anni abbiamo cercato il suono più vicino a noi. Questo disco ci rappresenta molto, parla molto di noi dai suoni. M: La ricerca ci ha aiutato a crescere. Poi la collaborazione con Battiato, l’avere avuto a che fare con un personaggio del genere, l’aver visto come lavora ci ha ispirato, ci è venuta voglia di sperimentare nuovi suoni fino a Dot to Dot, che ha raggiunto l’apice della sperimentazione (per il momento). Ad esempio costruire canzoni basate su suoni di giocattoli è anche un nostro modo per non prendersi troppo sul serio e trovare suoni inconsueti contribuisce alla nostra ricerca. Credo che non sentirsi mai arrivate porti alla continua ricerca,è uno stimolo in più, in modo tale che il suono non diventi plastico, freddo. M: Spero non ci venga mai questa malattia. L: Ci piace giocare con gli strumenti, con la musica, lo si fa anche per esorcizzare momenti disperati, però se finisce la voglia di sperimentare, finisce la musica. In alcune recensioni hanno “giudicato” questo album profondamente femminile, in quanto va a toccare mille corde legate appunto alla complessità della donna. Secondo voi in qualche modo limita il vostro target? M: Magari non arriverà a chi segue xfactor e the voice. L: Arriva a chi ha voglia di recepire anche un disco come quello che ti riporta sempre alla sperimentazione, a suoni molto ricercati, nuovi. È per questo tipo di pubblico, per chi ha voglia di ascoltare la musica. La nostra non è una musica che si può sentire in radio

commerciali. Avete collaborato anche con il mondo del cinema, si parlava di comporre colonne sonore. L: Abbiamo composto una colonna sonora in 48 ore per un lungometraggio di un “matto” inglese, che è andato in Cina e ha fatto un film meraviglioso, che probabilmente non uscirà mai, o per lo meno è uscito in alcune sale cinesi (ridono n.d.r.) M: Si trattava di un film muto, noi con la musica dovevamo comunicare quello che le immagini esprimevano. E’ stato molto divertente Attingete anche a quel serbatoio di immagini per i vostri dischi? L: Il nostro immaginario è molto spaziale, c’è un legame con i suoni che vengono dallo spazio, quando qualcuno prova a fare qualcosa con un sintetizzatore, ti arriva, ma è difficile arrivare a quel suono particolare, che esiste e chi meglio di Stockhausen, per dire, è riuscito a fare una cosa del genere. Ci intriga tantissimo, però questo lo lasciamo ai geni come lui. Nel nostro piccolo lo recepiamo e lo facciamo a modo nostro. Per quanto riguarda il tour invece? M: il disco è uscito prima in Italia il 25 marzo, poi uscirà anche all’estero, quindi organizzeremo anche il tour fuori. Per ora suoneremo in Italia, dopo tanti anni sentivamo anche la mancanza, quindi ci fa piacere rimanere un po’ di più nel nostro paese. E come avete trovato il vostro paese d’origine dopo tanti anni? La cosiddetta fuga dei cervelli, è ormai un fenomeno che colpisce i giovani in un’Italietta che sembra toglierci il futuro. Voi avete scelto Londra come meta per un motivo prettamente musicale che si avvicina di più alle vostre sonorità? Cosa avete trovato a Londra che in Italia non c’era? M: Tredici anni fa era diverso. Noi veniamo dalla Sardegna e all’epoca non c’erano tante prospettive, l’unica prospettiva era quella di partire e trovare nuovi territori, perché non c’era nessuna via d’uscita. Siamo partite in un altro stato. Poi si cantava in inglese, che è una lingua universale, perché l’idea è sempre stata l’internazionalità, riuscire a comunicare con più gente, più paesi. Cantare in italiano significa rimanere circoscritti in Italia, il che va bene per alcuni artisti. A noi interessava raggiungere un determinato

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circuito, ci è sempre piaciuto viaggiare e conoscere nuove culture. L: Se l’Italia riuscisse a trasportare la musica e non essere conosciuta nel 2013 per “Volare” di Modugno, con tutto rispetto, però sono passati 60 anni circa. Se l’Italia si svecchiasse un po’, magari non ci sarebbe venuto in mente di cantare in inglese per raggiungere un determinato pubblico. M: Dipende comunque dal tipo di musica che si fa. È un mercato molto difficile quello della musica, quella inglese e quella americana hanno un po’ il monopolio, quindi è difficile emergere, però forse bisognerebbe provare di più ad esportare artisti. Adesso l’inglese non è più filtro per pochi, non è più problema, poiché più ragazzi lo conoscono, ti dà più possibilità. [ ]

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adriano viterbini

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di Alina Dambrosio

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n silenzio sacrale. I più si accomodano immersi nella musica per cogliere ogni arpeggio, ogni nota e assistere a

quell’unica

Viterbini

essenza,

alla

fusione

di

Adriano

e la chitarra in una sola cosa, avidi di quei suoni. Gli applausi non si fanno attendere e lui ringrazia, sempre in punta di piedi, emozionato per tutta quella gente accalcata solo per ascoltarlo, è quasi stupito. E’ un lungo viaggio per i deserti americani, per i posti familiari, che alterna momenti di isolamento meditativo. JK | 43


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Goldfoil è un ritorno all’origine, ad una relazione primitiva con la “Chitarra”. Cos’è questo disco, oltre ad essere un omaggio al Blues? Goldfoil è un diario di appunti , di inflessioni musicali che ho voluto segnare nel mio tempo. Sono sicuro che se fossi andato avanti avrei perso alcuni momenti, quelli in cui hai lucidità e familiarità con un linguaggio. Ecco perché ho voluto salvare il momento in un disco. Avevo bisogno di fare un disco che parlasse sottovoce, che non avesse la pretesa di sfondare i timpani e di arrivare chissà dove. Ho voluto semplicemente tirare fuori una parte di me, mettendo un punto su questa cosa che sentivo. Questa è stata la premessa.

i luoghi dove ha avuto origine la musica che più mi affascina, ed in parte l'ho fatto. Questo disco mi rilassa e per anni, quando ritornavo nei luoghi dove sono cresciuto ho provato la stessa sensazione di pace... Imprimere questa sensazione pura nel disco e' stato un processo fondamentale.

Questo è un disco solista che però vanta la collaborazione con Alessandro Cortini dei Nine Inch Nails. Com’è nata la scelta di un featuring? Premesso che sono un grande fan dei NIN, li seguo da anni e mi piace la musica di Alessandro in tutte le sue sfaccettature, il suo modo di intendere la musica, la sua strumentazione, in questo caso il Buchla. E' un Il percorso solista era un’esigenza più che onore enorme ed una grande opportunità aver potuto musicale forse personale? condividere un brano insieme a lui. E’ stata un’esigenza musicale molto legata ad un’esigenza personale e legata a come sono. Mi Sei reduce da un live infinito con I Bud, come piaceva fare una cosa molto vicina a come sono in vivi la situazione live? realtà come persona. Il concerto è il momento della verità, dell'onestà. Cerco di dare il meglio, ogni volta. Non mi sembra vero che le Perché hai scelto Kensington Blues per il lancio sale in cui suono si riempiano di persone, ogni volta è dell’album? un sogno che si avvera. In realtà il brano è stato scelto dall'etichetta con cui collaboro - Bomba Dischi - probabilmente per l'alto Il tuo album, totalmente strumentale, sarà impatto emozionale, legato ad un video altrettanto distribuito anche all’estero. Pensi che la sola importante. In più il brano è un semplice arpeggio, musica possa arrivare maggiormente senza il una mia visione rallentata e malinconica rispetto limite della lingua? all'originale di Rose. Di sicuro un album strumentale può essere distribuito Probabilmente un buon modo per percepire l'anima ovunque senza problemi, mi sembra un buon modo del disco. per affacciarmi al mondo ed essere compreso...alla pari. Pensi che per I Bud Spencer Blues Explosion sia arrivato il momento di prendere una sorta Dopo un tuo concerto non si può non fermarsi di distanza dalle situazioni live e studio? a pensare, uscendo dalla trance di quella I Bud non si erano mai fermati, dal 2007. E' arrivato il musica. Questo ritorno all’origine, a elementi momento di riposarci un po', siamo molto felici anche roots può essere considerata una riflessione in questo momento, ci stiamo rilassando. e/o una risposta a questo momento storico e cioè ricordarsi da dove veniamo, senza correre Per quanto riguarda i Black Friday invece? frettolosamente verso qualcosa di fallace? A: Quella è stata una parentesi. Abbiamo registrato in La mia è esigenza di semplicità. Quanto più il mondo quel disco alcune session con Luca Sapio e la musica si complicano e diventano sempre più elaborati e quanto più tutto il mondo ascolta tendenze Nel tuo disco non c’è solo l’America e la musica di un certo tipo, tanto più io vado dalla parte opposta. africana, ma anche brani ispirati ai tuoi luoghi. e' necessità. Che rapporto hai con entrambe le realtà e come riesci a renderli così vicini? Hai mai sentito il A parte Goldfoil quali sono i dischi che bisogno di evadere? consiglieresti o quelli che ascolti ultimamente? La musica mi porta sempre altrove, vorrei visitare Trovi stimolante il panorama musicale italiano

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[Musica] INTERviste

e in particolare quello romano? Mi piace molto Joan as a policewoman, St vincent, Chris Whitley, anche Tinariwen, Bombino. La scena italiana è in fermento, a Roma ci sono tante band, amo molto la scena rap, Colle der fomento su tutti. [ ]

Goldfoil oltre che un omaggio al blues, come testimonia la reinterpretazione di alcuni brani, tra tutti Kensington Blues (di Jack Rose) o Vigilante man (di Woody Guthrie), è un disco che celebra l’amore di Viterbini per la musica e per la sua compagna di vita: la Chitarra, che diventa la sua filosofia, ciò che mantiene in allenamento il suo spirito, un amore nato sin da piccolo, così come quello per il blues.

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fragil vida [Musica] INTERviste

di Manuele Palazzi

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PURO ES TU DULCE NOMBRE, PURA ES TU FRAGIL VIDA

uro, come i versi che il poeta Pablo Neruda dedicò alla fotografa rivoluzionaria Tina Modotti e dai quali è nato il nome del gruppo “Puro è il tuo dolce nome, pura è la tua fragile vita”.

E anche grazie a questa espressione rubata al poeta dell’amore, ecco il palco trasformarsi in poesia, spesso divertente ma anche molto introspettiva, seria, talvolta tragica. Sulle note coinvolgenti che prendono forma con grande spontaneità, entra in scena la parte recitante, pronta a strappare un sorriso al pubblico, dietro il quale si celano però parole impegnate e

I Fragil Vida

profonde. arrivano dal cuore dell’Emilia, sono musicanti dalle variegate esperienze musicali e dalla passione comune per la musica, il teatro e tutto ciò che è arte. Agli esordi, quasi per gioco, un solo obiettivo: unire le diverse doti artistiche e vedere cosa ne esce. Ne è nato un crocevia di stili, definibile come un rock cantautorato (ma non eccessivamente rock) condito di jazz, pop, bossanova, taranta, e cos’altro ancora. Insieme danno vita ad un piccolo sogno, l’unione della musica con il teatro, un intreccio di voci che giocano tra loro, che recitano e cantano. Numerose sono le collaborazioni nell’album, tra cui l’importante voce della cantante Alessandra Aliberti presente nel singolo del videoclip. Con Gavioli, i “Fragil Vida” sono David Merighi, alla voce e tastiere, Gianluca Galletti con le sue performance attorali e Daniele Merighi alla batteria. Li abbiamo incontrati in occasione della ristampa del disco “Musicanti di cristallo” con l’etichetta indipendente bolognese La Fabbrica. JK | 46


[Musica] INTERviste

|ph by Roberto Ricciuti

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[Musica] INTERviste

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ome nasce e qual’è il significato di Musicanti di Cristallo? L’ album Musicanti di Cristallo si riflette esattamente nel nome, il cristallo permette di vedere oltre, le nostre viscere sono alla mercè di sguardi e orecchie di tutti, siamo nudi, abbiamo messo tutto quel che siamo, non abbiamo taciuto niente. Lo sentiamo vero, nostro, una base su cui appoggiarsi, le nostre memorie mescolate nelle loro diversità. E’ come aver raccontato la nostra infanzia, le influenze artistiche e sociali sono raccontate col nostro modo di comunicare immediato, essenziale. E’ un album cha abbiamo autoprodotto dieci anni fa e ristampato oggi per La Fabbrica etichetta indipendente. E’ nato in un momento dove contavamo solo sulle nostre forze. Dopo una serie di live estivi c’eravamo potuti permettere questo biglietto da visita senza badare a spese, volevamo dare il meglio perchè il risultato potesse essere soddisfacente. Ci siamo riusciti con la filosofia della formica, piccoli passi ma inesorabilmente continui e magazzino di provviste per il futuro.

bile guardare dentro. Volevamo dare l’impressione di un disco di popoli e di persone in viaggio. Toccare tante piccole realtà musicali, raccontare storie di diversa natura, è la parte finale di una ricerca di ciò che non ci appartiene, ma che sentiamo far parte di noi. Chi non ha amato Totò o Pulcinella? Chi non si è commosso ridendo davanti ad un clown? Abbiamo viaggiato e approfondito tra le vibranti sensazioni che ci hanno attratto e le abbiamo raccontate a modo nostro. Nelle 11 canzoni dell’ album, il viaggio geografico si mescola sempre con quello immaginario del sogno; è l’ intuizione poetica che si regge sopra un solido fondamento razionale. Lambur ad esempio, è una città inventata da noi, una città volante, una dimora inesistente ma ideale, l’abbiamo scritta per ricordare alle nuove generazioni che l’immaginazione e la conoscenza sono armi imbattibili per sconfiggere ogni ferocia e sopraffazione. Il teatro e la canzone, la canzone d’autore e la danza potrebbero sembrare itinerari di un’ epoca antica, soprattutto se li si percorre a ritmo di jazz, di rock e di tanto cantautorato, invece c’è ancora chi vive questo La copertina dell’album è un invito a seguirvi incontro con meraviglia: siamo i Fragil Vida, gruppo in un nuovo viaggio. In che nuova avventura nomade, fortemente radicato e sradicato nel territorio avete intenzione di accompagnare chi ascolta italiano. Musicanti di Cristallo? Il digipack del cd color cartone mostra una corda slac- Perché avete deciso di fare il video di Kom ciata che permette di aprire una valigia in cui è possi- Ombo che fa parte dei primi dischi tra i sette

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prodotti? Kom Ombo è una canzone a cui siamo molto affezionati, è uno dei pochi pezzi che non abbiamo mai smesso di suonare durante i live, ci piace perché è tra i più originali e poetici che abbiamo concepito. Di cosa parla questa canzone? Come hai trasmesso alle immagini queste melodie? Kom Ombo, oltre ad essere una piccola cittadina dell’Egitto è il titolo di un brano che, a suo modo, parla d’amore. Racconta di un amore incompreso, delle potenzialità inespresse perché non capite. Il brano è ritmato, trascinante, a tratti tribale e la danza delle mani è guidata proprio da questo ritmo. Il gioco e la leggerezza con cui i Fragil Vida assaggiano suggestioni musicali, anche a loro molto lontane, e le restituiscono trasformate, assomiglia alle mani che ritagliano cuori, che si trasformano in biscotti e che poi vengono da loro stessi mangiati. Queste mani si muovono a ritmo di musica e si costruiscono un mondo all’interno del quale giocare.. e sognare. Ci sono delle novità in questa ristampa? Il disco contiene il riarrangiamento del singolo Tango de Lambur, questa canzone era comparsa anche nella compilation Buddha bar Chill out in Paris n°3, che ci ha fatti conoscere a livello internazionale.

A quando il prossimo disco? Stiamo ideando il nuovo album che verrà stampato nei primi del 2014, con la nostra etichetta La Fabbrica, dopo Allez Enfants! (2000), Musicanti di cristallo (2003), Concerto in apnea (2004), E così noi (2006), Fragil Vida (2008) e Giorni Sospesi (2011). Il nostro lavoro con La Fabbrica è iniziato nel lontano 2007 e in questi anni sono state realizzate delle collaborazioni importanti. Abbiamo girato in lungo e in largo tra piazze, club e teatri ricevendo una grande partecipazione ovunque e soprattutto instaurando, in questi anni di tour, bellissimi rapporti di amicizia con tante persone incrociate lungo il nostro cammino. Questo sarà il nostro terzo disco in collaborazione con quella che è diventata una grande famiglia. [ ]

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Avete in programma delle date in questo periodo? Il nostro tour comincerà a luglio dalla Romagna, in tutto il centro-sud Italia, dove abbiamo molto seguito. Col nuovo furgoncino acquistato per i nostri spostamenti siamo pronti non vediamo l’ora di far ballare le piazze.


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rocksteria di Anurb Botwin e Grace of Tree

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N POSTO TRIDIMENSIONALE IN CUI CI PIACEREBBE ANDARE. Quanta fame abbiamo di Cibo, Bellezza, Musica e Calore? E quante volte riusciamo ad appagarla nell’intimità di un convivio accogliente come quello di casa propria? A Roma è possibile durante il pranzo domenicale grazie all’originalissima formula di wild brunch musicale ideato da Raffaella Mastroiacovo e Federico

Rocksteria.

Fiume: Abbiamo voluto raccontarvi quest'esperienza appagante, un lavoro in cui un po' ci siamo riconosciuti: fare qualcosa per se stessi e poi donarlo agli altri. Spinti dalla sola passione. JK | 50


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|ph by Federica Agamennoni sottopalco.com


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Come nasce Rocksteria? Raffaella (R): Rocksteria è nata per caso. Io e Federico avevamo pensato di fare un aperitivo musicale sotto casa mia. Poi invece un giorno, in viaggio dalla Toscana, ci è venuta l’idea del brunch musicale ed abbiamo pensato di proporlo ad un ristorante che si chiama Pulcino Ballerino. Pochi giorni dopo sono passata davanti al locale e ho parlato con il proprietario, Luciano. Nello stesso momento ho telefonato ad Olga Siciliani - che è stata la nostra prima bravissima collaboratrice in cucina – e ho chiamato anche Federico. Insomma dalla sera alla mattina e in modo del tutto estemporaneo è nata Rocksteria, il cui nome è stato coniato da Federico come rock + osteria. Poi da lì a cascata è venuto fuori il logo con il piatto a forma di giradischi a cura di Roberto Mattei. Ci siamo detti: “Bhè partiamo tra due settimane, anzi no facciamo tre”. E così la prima data è stata 11.12.11. In quell’occasione c’era Giorgio Canali e non avevamo neanche amplificazione perché i tempi ristretti ci hanno costretto ad improvvisare. Quello che invece da subito ci è piaciuto è stata la formula del brunch. Una formula di questo tipo, in cui si unisse la musica di professione insieme all’intervista, con l’aspetto conviviale del ‘pranzo tra amici’, a Roma non esisteva e ci sembrava avesse un afflato un po’ internazionale (cosa che stranieri o artisti che viaggiano molto ci hanno confermato)nonostante poi ci siamo resi conti che è diventato come un appuntamento in famiglia. Ovviamente teniamo molto anche all’aspetto culinario e i posti che abbiamo scelto fino ad ora sono sempre stati molto rispettosi della qualità del cibo e non ci hanno mai deluso. Noi scegliamo un ristorante – in questa seconda edizione ci siamo spostati al Soul Kitchen, dopo aver lasciato la sede storica dell’iniziativa il Pulcino Ballerino e il coraggioso pioniere Luciano - e ci adeguiamo alla cucina, sempre buona, che il posto offre. Quando abbiamo avuto bisogno di posti più grandi a causa di una previsione di affluenza superiore ai 50 posti, data la fama dell’artisa, ci siamo affidati alla Locanda dei Matteini, e proprio ultimamente all’ottimo Ketumbar, con cui non escludiamo un futuro insieme. E c’è da dire che la direzione artistica è a cura di Federico Fiume… R: Sì, assolutamente. Lui scrive di musica da più di vent’anni e alcuni musicisti sono amici, o solo suoi estimatori, altri sono venuti perché hanno apprezzato l’iniziativa. Alcuni addirittura ci hanno chiesto di presentare i loro dischi in uscita. Così fu per Giulio Casale

e Luca Gemma con cui si è creata una situazione davvero speciale per conoscere meglio il disco. Anche con Paolo Benvegnù è stato molto bello l’aspetto umano. Se lo vedi sul palco può apparire una persona chiusa mentre si è dimostrato molto carino sul lato umano. Sempre pensando alla scorsa stagione come non citare Bobo Rondelli? Il suo è stato uno show eccezionale, unico. Federico faceva le domande e lui rispondeva cantando. Fantastico! Solitamente l’artista ha un ego piuttosto sviluppato e tendi a pensare che siano persone chiuse. Al contrario, tutti i musicisti si sono rivelate persone gentili, disponibili. Forse anche per come si sono sentite accolte, da me, da Federico, dal pubblico così vicino. Occasione unica per alcuni di loro abituati a contesti per più ampi e distanti dai loro fans. Ad esempio nel caso di Manuel Agnelli. Manuel io l’ho visto in tante diverse vesti e occasioni, ed è per me prima un amico che un artista. Ma quello è accaduto a rocksteria è stata davvero una storia a parte, se ci penso mi vengono ancora i brividi. Quel giorno, per giunta, aveva una bronchite pazzesca ma non si è risparmiato, ha suonato e cantato scarnificando fino in fondo le sue canzoni con l’accompagnamento di Rodrigo D’Erasmo al violino. Alla fine delle loro canzoni, la gente si abbracciava, con le lacrime agli occhi...ci ha davvero lasciato un’emozione pazzesca. Un’occasione unica, sia per il pubblico che per lui. Ricordo che la prima domanda che gli ha rivolto Federico è stata “Bhè allora ti piace questa situazione o ti senti un po’ a disagio?” E lui ha risposto: “Mi sento a disagio, è per questo che mi piace”. Perché a Rocksteria ci si sente come in un pranzo fra amici, credo sia questo il sapore di queste giornate. Ma questa passione da dove nasce? R: Ho sempre amato la musica, ascoltando e spaziando in molti generi, ma mi mancava tutto l’indie, l’underground. Quando ci siamo conosciuti, Federico mi ha detto “Tu mi sa che di musica non capisci molto!”. Mi sono stupita e un po’ offesa, ma in effetti lui mi ha fatto scoprire molte realtà interessanti musicali italiane che non conoscevo. Io inoltre sono una montatrice video e l’aspetto musicale è sempre stato molto importante per me e per cui mostravo una grande sensibilità. E così torna questo aspetto del mio lavoro: per Rocksteria monto i video che l’anno scorso andavano su l’Unità.it e che quest’anno vanno su Repubblica Xl e repubblica.it roma. Quello che mi interessa in questi video è raccontare tutta la giornata, dalla musica alle

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|ph by Pasquale Modica sottopalco.com chiacchiere infirmali , quasi amichevoli con Federico, curando anche l’aspetto del ricreare l’atmosfera, la sinergia che si crea tra le persone, aspetto fondamentale di Rocksteria. Queste giornate le vivo come le feste a casa mia, e così si crea un contatto personale con gli invitati. Inoltre sono una nostalgica degli anni ’70 (che non ho vissuto) in cui luoghi come il Music Inn o il Folkstudio erano fucine di musicisti, in cui si creava uno scambio tra le persone senza distinzione tra artisti e fruitori. Lo spirito che vorremmo ricreare è proprio questo scambio. E questo accade perché gli artisti sono i primi a sentirsi a casa. Molti artisti che hanno suonato qui sono poi tornati come clienti. Di tutti i video che hai fatto per Rocksteria quale ti piace di più? R: Quello di Giulio Casale non è male. Quel video ha un inizio e una fine che sono circolari perché inizia con una canzone che viene ripresa alla fine. Piccoli vezzi

del racconto! Non seguo infatti solo un filo logico, ma anche emozionale. E poi sono in certi casi una testimonianza unica. Per esempio sono felice di aver avuto la possibilità di montare quello di Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso. Francesco Di Giacomo è stato fantastico perché ha improvvisato una canzone su Rocksteria. Lui era ospite del suo chitarrista Filippo Marcheggiani (Effemme) e diciamo che è arrivato un po’ sulle sue perché, giustamente diceva “Ma io mica suono per pizzerie!”. Però mentre era lì, tra una canzone e l’altra, ha detto che gli sembrava di stare a casa a fare le prove dopo pranzo. Allora io gli dico di improvvisare qualcosa sulla situazione a pranzo con noi a Rocksteria. E immediatamente lui parte con una canzone inventata su Rocksteria e con i suoi musicisti che gli andavano dietro e si suggerivano le note “Mi Maggiore, La Maggiore...” improvvisando la musica. Una canzone bellissima che a pensarci mi vengono ancora i brividi! Ecco, questi sono davvero bei ricordi.

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Sembra un’isola felice nel panorama italiano, c’è cura per ogni cosa. Dal cibo alla scelta degli artisti, alla grafica ma c’è qualcosa di negativo? (arriva Federico, ndr) Federico (F): Ovviamente, solo quella economica. A livello di soddisfazioni siamo ricchi. Lavoriamo per la bellezza. R: Gli artisti vanno via ringraziandoci dicendo che sono felici. Ma anche il pubblico che magari scopre un nuovo artista o approfondisce il rapporto col suo beniamino va via appagato e gioioso. Ecco questa è la grande ricchezza di quello che stiamo facendo.

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Cosa potrebbe completare ancora di più il tutto? F: Lei vorrebbe Bruce Springsteen. R: Bhè certo! Uno che suona improvvisando in Piazza di Spagna, sarebbe disposto a venire anche a Rocksteria! In realtà, sarebbe bello avere uno sponsor. Sono partite delle cose simili dopo di voi? F: Sì, abbiamo ispirato qualcuno. Un amico a Roma ha avuto un’idea simile. Ma in realtà se ci pensi l’idea in sé è molto semplice. Credo che quello che distingue Rocksteria da altre cose che si fanno anche a Milano, è la specificità che è data da chi la fa e da come la fa. Lo spirito che c’è qui è abbastanza unico. E ovviamente anche la qualità degli artisti è una cosa a cui teniamo. Abbiamo spaziato da Lillo&Greg a Paolo Benvegnù passando per Belladonna, a Stefano Saletti con Barbara Eramo a Mannarino a Bobby Soul all’Anonima Armonisti e altri... Cerco sempre di creare un interplay quando li intervisto, evitando l’ufficiale domanda-risposta. Anche l’ atteggiamento è molto informale. E poi questa cosa, come diceva Raffaella, è nata come un’idea vaga. Da quando abbiamo iniziato, abbiamo cercato sempre di migliorarci e credo che oggi abbiamo uno standard buono, con un ottimo tecnico e un buon suono, curato da Lucio Leoni. Inoltre adesso andiamo in radio (Radio Popolare Network) e quindi bisogna tener presente anche quell’aspetto. Insomma i vari “aggiustamenti” sono sempre in itinere. E’ capitato qualcuno che volevi continuare ad intervistare? F: Si, anche se a un certo punto devi finire. A volte però ti trovi così bene che vorresti fare mille domande. Con Bobo Rondelli è stata davvero una giornata inten sa. Non l’avrei mai mandato via. È un cavallo pazzo...

devi seguire quello che fa lui. Lui è una bomba e per quello che sa fare e per il talento che ha, dovrebbe essere considerato molto di più! Questa è un’idea che nasce da Raffaella con direzione artistica di Federico Fiume e sappiamo che questo è anche un connubio personale. Come la vivete? F: E’ un delirio. Anche se in realtà funziona perché ognuno di noi fa il suo e i nostri compiti sono entrambi indispensabili. Avremmo bisogno di qualcuno che ci aiuti perché davvero è molto impegnativo e ci lavoria-

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mo durante tutta la settimana. Al momento siamo spinti dalla sola passione. Poi noi due abbiamo spesso scontri, ma è anche divertente così...

dience più grande? F: Questa cosa funziona se la fai per poca gente in modo da preservarne l’intimità. E’ questo che poi ti permette anche di raccontare degli aneddoti e di far venire fuori discorsi interessanti. Funziona proprio Federico cosa dicono i tuoi amici giornalisti di perché si è in pochi intimi. Però fino a 70 persone questa iniziativa? come per Manuel Agnelli e l’Orchestra di Piazza F: Non c’è stata una grande frequentazione di giorna- Vittorio con Ginevra di Marco, l’atmosfera che si listi. Gagliardi di Repubblica è venuto ed ha detto che respira è preservata. gli ricordava il Folkstudio degli anni ’70. Quale target di persone attira Rocksteria? Spingereste questa iniziativa per avere un’au- R: Le persone che frequentano Rocksteria non seguoJK | 55


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no necessariamente concerti ma amano l’atmosfera e la convivialità che si crea. Nel corso del tempo abbiamo capito che questo brunch musicale è diventato un po’ un magnete per belle persone. Molte di queste si sono appassionate all’idea e si propongono di aiutarci. Questo aspetto è quello che ti scalda il cuore e ti fa andare avanti. Non è un modo per fare soldi, né una promozione nostra personale. La sensazione che un po’ ho è che con questa cosa si stia creando valore. Io sono buddista e per me una delle cose importanti è creare valore e con questa cosa io sento di farlo. F: A me piacerebbe che la pigrizia mentale di cui siamo sommersi scomparisse e che le persone ritrovassero la voglia e il piacere di stare insieme, di condividere

|ph by Pasquale Modica sottopalco.com

le cose. Il problema di questi anni è che tutti stanno nel loro orticello. È il frutto di anni di promozione dell’individualismo più sfrenato. E’ un prodotto di anni di berlusconismo! Noi cerchiamo di lavorare per la condivisione. Ci sono scienziati che hanno fatto addirittura degli algoritmi per dimostrare che la collaborazione rende più della concorrenza. Ma il sistema capitalistico è basato sulla concorrenza ed è quello che viene promosso continuamente da tutti i media. Noi nel nostro piccolo mettiamo dei semini. E’ ovvio che la rivoluzione culturale non la facciamo in due anni di brunch musicale. Alla fine perché vai avanti? Non perché hai dei risultati clamorosi e vengono 10mila persone ma perché ti

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piace, stai bene e sei felice di condividerla con gli altri. rebbe una cosa di nicchia solo per amanti di queste È una cosa molto semplice in fondo. cose. Non si potrà arrivare mai al pubblico televisivo generalista. Però, certo, siamo aperti a una formula Riuscireste a vedere Rocksteria in una formula televisiva a meno che non stravolga l’idea di base. televisiva? F: Rocksteria ha una potenzialità televisiva. Però in Il futuro della musica che tipo di fruizione avrà televisione la musica non paga. Funzionano solo i ta- secondo voi? lent show perché ci sono grandi dispendi economici F: In un periodo come questo in cui saltano i festival per la produzione e soprattutto perché sono l’ultima e gli organizzatori dei concerti piangono più o meno spiaggia delle case discografiche per vendere qualche tutti, il vero problema non è che la gente non vuole disco. partecipare alle grandi iniziative, il punto è che proUn po’ di tempo fa parlavo con Luca De Gennaro in prio non ha i soldi per farlo. Ed è per questo che le un dibattito al Medimex e anche lui sosteneva che la iniziative ‘piccole’ e a dimensione ridotta si stanno musica in televisione non tira e non fa ascolti. Quindi moltiplicando. Anche chi è abituato ad un pubblico di anche se Rocksteria funzionasse in televisione, sa- grandi numeri apprezza questa dimensione perché in fondo è promozione. Ad esempio, a Rocksteria c’è il passaggio in radio, ci sono i video, c’è la pubblicazione su XL... Anche se questo aspetto promozionale di Rocksteria, il primo anno non c’era e gli artisti non venivano svelati perché volevamo mettere sullo stesso piano tutti gli artisti che venivano. Il concetto iniziale era di fidarsi della musica che proponevamo mettendo in gioco anche il senso della scoperta. Ma in questa seconda stagione abbiamo pensato che per avere riscontro mediatico dovevamo svelare subito i nomi degli artisti che sarebbero venuti a suonare. E’ stato un compromesso perché purtroppo il pubblico di Roma ha un po’ una pigrizia mentale nell’andare al concerto di un artista che non conosce. Federico, tu che vivi di musica, come hai visto cambiare la musica italiana in questi anni? F: La musica è cambiata in relazione al cambiamento del Paese. Quando ero ragazzo se sapevo che c’era un concerto, avevo la curiosità di ascoltare soprattutto chi non conoscevo perché avevo curiosità di scoprire delle cose. Gli anni ’80 sono stati terribili da un certo punto di vista ma è pur vero che sono stati anni molto vivaci culturalmente in quanto avevamo ancora la coda degli anni ’70 e di tutto il fermento culturale che si portavano dietro. Invece ora vedo un pubblico pigro che è indotto ad andare solo a sentire cose sicure che già conosce. Quando abbiamo creato Rocksteria, nell’idea originale c’era il voler fare qualcosa che riportasse le persone ad avere stimoli, curiosità ed interessi simili a quelli che io ho vissuto e visto in quegli anni. L’idea era - ed è - di riprendere la voglia di scoprire, di fare cultura nel senso vero del termine.

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Anche se devo dire che questo scopo l’abbiamo raggiunto solo in parte. Ogni tanto qualche cliente appassionato o avventori portati da amici alla fine dell’incontro fanno i complimenti a me per le domande e si comprano il cd dell’artista appena scoperto. Ecco che si crea un movimento. La musica in Italia è cambiata a prescindere dalla storia del paese. La musica va avanti, sempre. Vengono fuori sempre nuovi musicisti. Ieri vedevo un documentario in cui si parlava di ossa di mammut usate come flauti; l’uomo ha sempre avuto l’istinto verso la musica. Il problema è che noi siamo cambiati nella misura in cui è cambiato il Paese. Pensa a quando è iniziato il bombardamento televisivo... la gente ha iniziato a stare in casa, a interessarsi sempre meno, a rincoglionirsi con i varietà televisivi. Magari negli anni ’90 c’è stato un pò il movimento dei centri sociali a smuovere le acque, però poi la situazione si è completamente calmata. Gli artisti e la musica continueranno a venire fuori sempre ma è cambiata la struttura sociale del paese. Come ti dicevo prima, venti anni di berlusconismo hanno fatto un’opera di annientamento culturale che non si può sradicare così facilmente! Un po’ la penso come Manuel Agnelli quando dice “Sui giovani d’oggi ci scatarro su” però è anche vero che l’arte non muore solo perché cambia la generazione. Infatti ci sono tanti artisti giovani molto bravi nonostante manchi un contesto culturale stimolante intorno. Perché negli anni ’60 sono usciti tutti i più grandi? Perché c’era un contesto che ti faceva sperimentare e ti dava libertà culturale. Inoltre sulla musica, come sappiamo, prima si investiva molto di più. Ora in Italia l’industria discografica è tra le ultime come fatturato mentre all’estero investono e “pompano a cannone”. E poi comunque oggi tutti possono fare dischi a casa, anche fatti bene. Certo, così si crea una massa incredibile di persone che propongono di tutto e in cui è difficile capire chi è davvero bravo. Prima invece per fare il disco dovevi andare direttamente presso la casa discografica. I nostri amici di Heroes dicono “L’indie è un bluff” e un po’ è vero. Ma alla fine è sempre il tempo che ti dice se vali o meno, se fai un disco e muore lì o se riesci a restare. Ad ogni modo, a prescindere dai cambiamenti e del contesto avvilente, è importante cercare nel nostro piccolo di fare resistenza culturale. E con Rocksteria cerchiamo di farlo. E’ chiaro che questo brunch musicale è per un pubbli-

co “consapevole” ma ci piace anche l’idea di “consapevolizzare” e avvicinare nuove persone. E invece cosa ci dici di come è cambiato il modo di scrivere di musica considerando la democratizzazione dell’informazione che c’è grazie ad internet e quindi la nascita di nuove riviste e webzine? F: Considera che io non faccio testo se pensi che tutte le riviste che mi sono piaciute di più in Italia, poi hanno chiuso! Molte testate giornalistiche di musica sono defunte perché oggi su internet hai notizie sempre più fresche, più veloci e complete. Le riviste musicali oggi hanno senso se sono davvero di approfondimento e vanno ad un pubblico di nicchia che è interessato ad approfondire. Oggi approfondire è una parolaccia. Non abbiamo tempo, facciamo tutto di corsa, abbiamo un information overload con miliardi di input che arrivano e che non si ha il tempo di metabolizzare. Mi sembra che sia tutto così veloce e superficiale. Io ricordo che quando ero ragazzo compravo un disco lo portavo a casa e per una settimana ascoltavo solo quello. Adesso invece nessuno ha tempo anche se tutti abbiamo hard disk con tremila giga di cose in digitale. (A proposito, spero che esca subito il lettore di Neil Young che pare possa fare musica digitale di alta qualità perché in questi file .mp3 la metà delle cose che ci sono in un disco non si sentono. Pensa chi si impegna

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sul magazine on-line è uguale a quello del giornalista che fa questo mestiere da anni. E poi ovviamente c’è la conseguenza economica. Le testate non vogliono più pagare perché ci sono tante persone che scrivono gratis. Oramai il parametro è quanto costi non quanto vali. E non importa che tu sia stimato e che abbia 25 anni di esperienza, ma conta quanto costi. Ripeto, in tutto questo poi trovi gente onestissima che ha il suo sito curato con passione, ti chiede di scrivere per lui e ti paga onestamente per quello che può. Apprezzo più questo che l’editore con una grande testata che però non paga. Ad ogni modo, è sempre a discrezione di chi usufruisce delle cose valutare. Certo, da giornalista fa piacere trovare chi ti dice che sei un riferimento. A me è capitato anche con un po’ di imbarazzo, ma questo ti fa capire che quello che hai fatto a qualcuno è arrivato. |ph by Pasquale Modica sottopalco.com

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a fare un disco e a curare ogni minimo suono e poi ascolti in .mp3 ed è una totale delusione!) Ma ritornando al discorso sulle webzine, parliamo anche di come la musica è “trattata”. Una volta compravi il giornale di musica e dopo un po’ iniziavi a fidarti di alcuni giornalisti. Avevi un range di riferimenti che ti aiutava nel mare magnum delle cose che uscivano e ti aiutava a scegliere proprio perchè capivi che quel giornalista aveva dei gusti simili ai tuoi e ti fidavi. Ora, a parte il discorso della carta stampata che sta scomparendo, esistono migliaia di webzine. Dal punto di vista della possibilità di esprimersi di ciascuno, questo è molto democratico. Però la democrazia in quanto tale permette a tutti di esprimersi, anche a chi non è capace per niente. Per cui ci ritroviamo con una marea di blog, siti, fanzine, webzine. Una volta se volevi fare la fanzine ti dovevi impegnare, dovevi scrivere a macchina, mettere le foto, fotocopiare e poi dovevi distribuire...insomma era faticoso! Oggi, purtroppo o per fortuna, fai tutto senza alzarti dalla sedia e ovviamente scade molto anche la qualità giornalistica di quello che viene fuori. Quindi spesso c’è gente che scrive di musica pur non avendo i mezzi del critico per giudicare, per mettere i pesi e per valutare nel suo insieme una cosa. Finché si fa onestamente ben venga, ma rimane il fatto che questo ha prodotto un’involuzione della professionalità giornalistica. Oggi la differenza tra un esperto e una persona che comincia adesso non conta più tanto perché il pezzo

Chiudiamo con una vostra definizione di Rocksteria… R: Rocksteria è tridimensionalità perché ci sono le persone. Posso risponderti con uno slogan che ho coniato? “Non star lì a guardar l’arte, fanne parte!” F: Rocksteria è un posto dove ci piacerebbe andare. Alla fine lo facciamo per noi, perché ci piace stare tra amici a mangiare cose buone e ascoltare ottima musica. [ ]


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JKal|wild 60 brunch di Rocksteria sono disponibili su Tutte le foto con gli artisti che partecipano www.sottopalco.com


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david bowie The next day

nell’arrangiamento. Love Is Lost è un meraviglioso brano, quasi declamato, costruito su di un tappeto di organo e chitarre stoppate che prepara ottimamente Where Are We Now?, ballata dimessa, che è anche il primo singolo del disco (memorabile anche il video). (Iso Records, 2013) Valentine’s Day è un vibrante brano di suggestioni seventies, che parla di una strage scolastica e ricorda il periodo Ziggy Stardust del nostro e If You Can See Me cambia decisamente l’atmosfera con il suo incedere contrappuntato e nervoso ma è uno degli episodi di Antonio Asquino meno encomiabili del disco, prontamente risollevato però da: I’d Rather Be High, gran testo-confessione degno del miglior Bowie, emotivo ed emozionante. Bruttine ci paiono sia Boss Of Me malgrado il bel sax che Dancing Out In Space mentre è incisiva e molto suggestiva How does the grass grow, brano sulla guerra, dall’arrangiamento fantasioso e dal tono cangiante. (You Will) Set the World On Fire è uno dei brani migliori del disco, energico e immediato come il Bowie più rock di trent’anni fa Gli ultimi due pezzi sono due capolavori: You Feel So Lonely You Could Die è una ballata degna di ascolti a ripetizione, sospesa tra sixties e seventies (cioè il periodo d’oro del nostro) e Heat, scurissimo brano semiacustico che rimanda a Scott Walker, è un perfetta sintesi di crooning sperimentale e melodia nonché ideale conclusione di un disco di ottimo livello, nel complesso e nel dettaglio, che mostra bene e in equilibrio, tutte le anime di David Bowie e tutta l’urgenza comunicativa dell’artista, perfettamente calato nel suo e nel nostro l giorno chiave è l’8 Gennaio 2013, uno dei giorni presente. [ ] che entrano di diritto tra gli avvenimenti più importanti dell’anno: nel compimento del suo 66mo anno d’età, David Bowie annuncia l’imminente uscita di un nuovo disco di inediti dopo dieci anni e accompagna la notizia con l’uscita di Where are we now? video e singolo che scatenano l’hype (una volta tanto strameritato) per la notizia. Bisogna dire che erano più o meno vent’anni che l’artista inglese non pubblicava un disco veramente memorabile e l’attesa dei fans è andata di pari passo con il timore di trovarsi di fronte l’ennesimo lavoro poco convincente. Possiamo dire subito che finalmente l’attesa e la fiducia residua sono state ben ripagate, The Next day pur non essendo THE NEXT DAY - DAVID BOWIE uno dei migliori dischi in assoluto del nostro (ma chia- 01. The Next Day ramente, la missione, considerati i vecchi capolavori 02. Dirty Boys è definibile come “quasi impossibile) risulta il migliore 03. The Stars (Are Out Tonight) dai tempi di Scary Monsters ad oggi e non era af- 04. Love Is Lost fatto scontato. Concepito negli ultimi due anni e regi- 05. Where Are We Now? strato in tre mesi con la produzione (ottima) del fido 06. Valentine’s Day Tony Visconti questo lavoro, sia nelle intenzioni che 07. If You Can See Me nel prodotto finale (significativa copertina compresa), 08. I’d Rather Be High rappresenta una valida continuazione della trilogia 09. Boss Of Me (Bowie, Gerry Leonard) berlinese e un perfetto ponte con il presente. Il disco 10. Dancing Out In Space si apre con un terzetto di altissimo livello: The Next 11. How Does The Grass Grow? (Bowie, Jerry Lordan) Day, dall’incedere cadenzato elettrico e vivace, Dirty 12. (You Will) Set The World On Fire Boys , guidata dal sax e dal basso in una sorta di funk 13. You Feel So Lonely You Could Die sincopato e The Stars (Are Out Tonight) attuale 14. Heat singolo all’insegna di una efficace orecchiabilità, ricca

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radio days Get some action

l’umore dell’ascoltatore sul binario giusto, segue Girl Girl Girl ottimo pop che vive di armonie vocali, cori beatlesiani e suggestioni sixties. La traccia tre dà il titolo al disco ed è stata scelta come primo singolo, Get Some Action ti entra in testa al primo ascolto (Rock Indiana Records/ Torreznetes Surfin Ki! Rec/ col suo incedere sbarazzino e il suo mood solare e la Insubordination Records [USA]/ Pop Out Records successiva One Thousand Miles Away, parte tran[JAP]) quilla per poi crescere di intensità ed esplodere nel ritornello di impatto immediato. Love And Fun sembra un brano del primo Elvis Costello, beat a go go e di Antonio Asquino chitarra elettrica in puro stile fifties a condurre il ritmo, mentre Everything Floats, posta strategicamente al centro del disco, sospende l’atmosfera e l’ammanta di psichedelia e un pizzico di distorsioni che sono la ciliegina sulla torta. I’ll Be Your Man è una perla power pop che riporta il disco su binari spensierati e Goodbye My Lover una ballata elettrica scintillante ad alto tasso di singalong. Don’t Play With The Fools, con i due brani precedenti, rappresenta probabilmente l’apice del disco e costituisce l’esempio di quelle che all’inizio consideravo ”three minute songs” perfette: ritmo, melodia, armonie vocali ed elettricità a go go. Don’t Break My Heart e il suo ritmo, prima cadenzato e poi incalzante, oltre a d essere una gran canzone, è anche il miglior prologo per My Dreams On The Ground, ballata capolavoro, elegante e intelligente nell’arrangiamento(arricchito dagli archi) e perfetta chiusura del disco. I Radio Days sono un gruppo di caratura internazionale per capacità e attitudine e Get Some Action ne è istantanea perfetta. Mi auguro che tantissimi qui da noi li scoprano, perché Radio Days sono uno di quei gruppi che non mi è uno di quei (pochissimi) gruppi di cui andare verastancherei mai di ascoltare, hanno una capacità di mente fieri e che può regalarci ancora musica di livello scrivere e arrangiare “three minute songs” perfet- straordinario, cosa che gli auguro. [ ] te come pochissimi altri attualmente in circolazione e questo terzo album di studio ne è ennesima conferma, dopo la prova già convincente al cento per cento di C’est La Vie. Il quartetto milanese si muove tra power pop, beat , surf e rock di matrice seventies, senza rinunciare ad una vivacità figlia del punk. Nelle loro canzoni riecheggiano i Beatles come i Big Star, Elvis Costello come i Cotton Mather il tutto supportato da un songwriting maturo ed efficace e uno stile personalissimo, agevolato anche dai dieci anni di attività e i numerosissimi concerti in tutta Europa a dividere i pachi con gente del calibro di Paul Collins, tanto per fare un esempio (chiaramente se non sapete chi è Paul Collins, dovreste seriamente porvi delle GET SOME ACTION - RADIO DAYS domande su che cavolo di musica avete ascoltato fi- 01. Burning Together nora). Tra melodie a presa rapida, ritmi travolgenti, 02. Girl Girl Girl suoni freschi e pregevoli arrangiamenti, Get Some 03. Get Some Action Action si candida ad essere uno dei dischi dell’an- 04. One Thousand Miles Away no (dei miei sicuramente) ma anche un buon viatico 05. Love And Fun per far si’ che la splendida musica del gruppo arrivi 06. Everything Floats alla maggior parte delle orecchie (storicamente pigre 07. I’ll Be Your Man e provincialotte) del pubblico italiano. Burning To- 08. Goodbye My Lover gether, con il suo handclapping contagioso, apre il 09. Don’t Play With Fools disco come meglio non si potrebbe tramite un bra- 10. Don’t Break My Heart no rock’n’roll estivo che toglie il fiato e mette subito 11. My Dreams On The Ground

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my bloody valentine MBV (Autoprodotto, 2013) di Antonio Asquino

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’ necessaria una premessa: non intendo analizzare questo disco (né qualunque altro) in base a stupidaggini come “il suono di oggi/il suono di ieri” e attribuire ai ventidue anni che separano questo terzo disco dei My Bloody Valentine dal loro secondo e ultimo capolavoro (Loveless), nessun valore negativo o positivo. Kevin Shields può fare un po’ quello che gli pare con la sua musica e con la sua creatura, nei tempi a lui più congeniali. Contano il valore dell’opera e la sincerità, il resto sono pipponi pseudosociologici e basta. Entriamo dunque nel merito di questa opera epocale: il 2 Febbraio del 2013 il gruppo annuncia che di lì a poco sarebbero state diffuse le nove tracce dell’attesissima terza fatica in streaming sul proprio sito, causando una sorta di isteria collettiva via web. Inutile aggiungere che il sito è andato in crash e quindi molti di noi hanno dovuto attendere il giorno dopo per ascoltarlo, da allora io non ho ancora smesso di farlo almeno una volta al giorno, giungendo ad una facile conclusione: questo è uno dei dischi migliori dell’anno, lo sarebbe stato di un qualsiasi anno passato e lo sarebbe anche se fosse pubblicato tra venti o più anni. Si parte con She found now, che insieme ai successivi due brani funge da perfetto ponte con Loveless, un

muro di chitarre stratificato dai feedback, cura delle armonie vocali, l’assenza delle percussioni; Con Only tomorrow troviamo lo stesso approccio chitarristico dissonante in distorsione, sviluppato in progressioni d’accordi con una linea di basso incisiva. Who sees you è l’esempio in assoluto più vicino allo shoegaze classico del disco, florilegio di chitarre sovraincise, percussioni ossessive e voci nascoste nei sussurri, il tutto sospinto dalla chitarra vibrante di Shields che suona quasi come un violino. Dal quarto brano si entra in territori più sognanti e con Is this and yes la voce di Bilinda Butcher ci accarezza tra synth e suggestioni dream pop ad alto tasso melodico. “If I am” è uno dei brani più riusciti del disco, costruita su giochi di chitarra e i sussurri della Butcher, tra effetti oscillanti e pedali acidi. New You ci porta su territori esplicitamente pop di eccelsa orecchiabilità sorretta da una marcata linea di basso su cui si staglia la melodia tratteggiata sapientemente dalle armonie vocali e dai synth. La traccia sette è In Another Way dove la melodia vocale sembra quasi un mantra e la chitarra ritmica la fa da padrone a livello sonoro, avvolgendo il canto nella prima parte e puntellandolo nel tappeto di tastiere finale. Nothing Is è uno strumentale ossessivo e allucinato,in cui la percussività è stordente e travolgente, un piccolo gioiello sperimentale che delinea un lato decisamente psichedelico nei MBV targati ventunesimo secolo. Il disco si chiude mirabilmente con Wonder 2, una sinfonia atonale di impronta dream pop destrutturato, dove i suoni di chitarra creano un effetto alienante rispetto alla linea vocale e alla ritmica, entrambe sotterrate. Due cose si possono affermare con certezza, finito di ascoltare mbv: che Kevin Shields e compagni sono ancora in grado di creare musica dal fascino unico e senza tempo oggi come ieri e che, anche dal punto di vista dell’innovazione, le ultime tracce del disco ci fanno ben sperare per il futuro I My Bloody Valentine, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe dire, fanno musica per il “qui e ora”, come era vent’anni fa e come sarà tra vent’anni e questo disco ne è scintillante prova. [ ] MBV-MY BLOODY VALENTINE 01. She Found Now 02. Only Tomorrow 03. Who Sees You 04. Is This And Yes 05. If I Am 06. New You 07. In Another Way 08. Nothing Is 09. Wonder 2

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DE GENNARO DER MAUER 1940/19’40” (Trovarobato parade, 2013)

di Nadia Merlo Fiorillo

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n si sono allineati al coro dei celebranti che nel 2012 hanno omaggiato la nascita di John Cage, ma hanno reso omaggio alla fine dei festeggiamenti pubblicando un disco – uscito lo scorso 10 aprile in doppio formato: digitale e vinile – e rievocando con questa scelta temporale lo stesso carattere imprevedibile che Cage affidava all’esecuzione delle sue partiture. Der Maurer (il “muratore” Enrico Gabrielli, già polistrumentista e fabbricante di suoni per Muse, Capossela, Afterhours, Mariposa, Calibro 35, Baustelle) e Sebastiano De Gennaro (polistrumentista e percussionista che vanta collaborazioni con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, con il Naqqara Ensemble, Pacifico, Calibro 35, Baustelle) hanno presentato in 1940/19’40” i brani Dance Music For Elfrid Ide e Bacchanale, entrambi composti da Cage nel 1940, ai quali hanno aggiunto due loro silenzi, conferendo al lato A e al lato B del vinile la durata, appunto, di 19’40”. Si tratta di una riproposizione esecutiva di alcuni dei concetti posti alla base dell’estetica sonora

cageana e dell’anarchizzazione iconoclastica che ha reso Cage uno dei massimi esponenti di quell’avanguardia musicale del Secondo dopoguerra, alla quale si deve il rifiuto di tradizioni semantiche ed espressive consolidate. Innanzitutto, la sperimentazione del potere sovversivo e rivoluzionario della musica percussiva allo scopo di esplorare tutte le potenzialità del ritmo, un esperimento da realizzare percuotendo ogni possibile oggetto e strumento, come nel caso appunto di Dance Music, per la cui esecuzione Gabrielli e De Gennaro hanno usato pezzi di legno, pianoforte e drum machine, mantenendosi fedeli non solo alla rumorità di alcuni suoni, ma anche all’asimmetria dei tre movimenti. La cattura e il controllo dei rumori, poi, usati da Cage non come effetti sonori ma come veri e propri strumenti musicali si uniscono alla distruzione della concezione classica di uno strumento percussivo come il pianoforte, i cui tasti prendono a generare non più solo note, ma rumors. Però, se nella versione “originale” di Bacchanale Cage usa la tecnica del “piano preparato”, inserendo piastre di metallo sulle corde per modificarne il timbro e produrre suoni percussivi, in 1940/19’40” la partitura per un solo esecutore viene modificata e diventa per due: il piano non è preparato, ma affiancato da De Gennaro che suona la parte della mano destra con otto bidoni di latta e cinque tay gong, rendendo punk un brano già provocatorio e dissacrante di suo. Altro concetto connesso a quello di rumore è il suono “non scritto” che introduce nelle partiture non l’assenza di suono, ma la presenza del silenzio come condizione di possibilità dell’ascolto di sonorità ambientali e naturali, che concedono all’ascoltatore l’esperienza estetica dell’imprevedibile, rendendolo al contempo produttore del senso sonoro e svincolato dall’autorità del compositore. A 4’33” di Cage – opera eseguibile da ogni strumentista e di durata a piacere – si ispirano, dunque, i due silenzi presenti in 1940/19’40”: 5’33” del lato A e 6’53” del lato B del vinile, registrati con due microfoni nella mansarda di De Gennaro. Lo sfizio di sapere cosa è percepibile in questi silenzi lo lascio a chi ha voglia di ascoltarli, ma si tratta di un’esperienza che certa musica odierna, ancora troppo conforme a canoni armonici tradizionali, non permette. A moltissimi un progetto del genere potrebbe apparire una stramberia e, senza dubbio, di difficilissimo ascolto. Eppure tutta la sua straordinarietà sta proprio nel carattere eversivo dell’esperienza acustica che rende possibile,

JK | 64


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un’esperienza che non è ricezione passiva di ciò che è udibile ma creazione musicale, in cui l’ascoltatore trasforma i rumori partecipando attivamente alla performance art che la musica, intanto, è diventata. Tutto questo non è pop e non è indie, ma musica sperimentale. Quella in cui, secondo Cage, “si cerca. Ma senza sapere quale sarà il risultato”. Perché, in fondo, la condizione ideale per le nostre orecchie è quella in cui “non ottieni nulla scrivendo un brano musicale, non ottieni nulla ascoltando un brano musicale, non ottieni nulla suonando un brano musicale”. Sic est et sic eris. [ ]

JUST KIDS

1940-DE GENNARO/DER MAUER 01. Dance Music For Elfrid Ide 1srt mov. 02. Dance Music For Elfrid Ide 2nd mov. 03 Dance Music For Elfrid Ide 3rd mov. 04. 5’33” 05. Bacchanale- Fast 06. Bacchanale- Very Slow 07. Bacchanale- Fast 08. 6’53”

JK | 65


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diego nota Anarchia Chordis (Autoproduzione, 2013) di Andrea Serafini

madre sconosciuta insegnami a pregare nel nome dell’ingegno e non di una morale che in questa sporca società non ho trovato un ruolo insegnami ad amare l’inganno della vita (Anarchia Chordis), rendono sicuramente bene l’idea. A voler chiarire la cifra stilist ca del lavoro pensate ad un connubio tra l’alt-rock sullo stile di Baustelle, Virginiana Miller e Amor Fou, l’indie pop pop d’oltreoceano (Death Cab For Cutie, Wilco etc.) e il nuovo cantautorato indie alla Brunori sas e Dimartino. Il leitmotiv dell’album invece è un po’ il “contrasto”, che piacerebbe tanto al caro Morrissey, tra testi pessimisti/malinconici e melodie ariose e lucenti. Gli arrangiamenti sono molto curati ma questo non fa perdere ad Anarchia Chordis la freschezza di un approccio diretto e istintivo a testimonianza di una certa urgenza espressiva. Insomma alla fine della fiera Diego Nota in veste di cantautore è un nome da tenere a mente, una bella sorpresa come capitano non molto spesso e che sarebbe davvero un peccato sottovalutare. [ ]

A

narchia Chordis, disco d’esordio di un essere umano sconosciuto - come recita il sottotitolo dell’album di Diego Nota (già cantante degli Ultimavera band nota nel circuito del rock alternativo romano) - è un piccolo miracolo di cui avevamo urgente bisogno. Classe 79, originario di un paesino del frusinate, dove vive, Diego Nota ha messo insieme dieci tracce neorealiste dal sapore dolce – amaro in cui fa sfoggio di una poetica particolarmente ispirata, lucidamente dura ma allo stesso tempo non priva d’ironia sorretta da melodie originali ed eleganti e da gustosi arrangiamenti. Nei testi vengono cantate le nostre miserie e la crisi di identità di una generazione cui, come dice lo stesso Nota, sono stati letteralmente rubati i sogni (Anarchia Chordis, Cosmonauta) viene cantata l’adolescenza ormai svanita (Rupestre, Canzone per i nostri sei piedi) e la vita di provincia (Per un pugno di domeniche, Scene della vita di Provincia), vengono irrisi gli atteggiamenti radical chic di alcuni giovani d’oggi (San Pietro Calamitato) e tutto senza intellettualismi di maniera. Frasi di una verità disarmante come Ci siamo laureati a pieni voti per darci in pasto a ladri e sfruttatori stronzi (San Pietro Calamitato) o O

ANARCHIA CHORDIS - DIEGO NOTA 01.Anarchia Cordis 02.Rupestre 03.Cosmonauta 04. Per un pugno di domeniche 05. Radio silenzio 06. Antropoteca 07. Canzone per i nostri sei piedi 08. Scene della vita di provincia 09. San Pietro calamitato 10. Polvere di rospo

JK | 66


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BERSERK! Berserk!

(RareNoiseRecords, 2013) di Andrea Barbaglia

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ono spiriti ampiamente inquieti quelli manifestatisi attraverso le note prodotte dalle musiche d’avanguardia composte e realizzate da FEL, a.k.a. Lorenzo Feliciati, una militanza importante nei primi, rivoluzionari, Tiromancino e in seguito guru del basso fretless, e LEF, al secolo Lorenzo Esposito Fornasari, musicista, produttore, agitatore sonoro in uscita quasi contemporaneamente a questo BERSERK! con Saga, Il Canto Dei Canti, l’opera equestre scritta e cantata da Giovanni Lindo Ferretti, divenuta poi parte integrante della colonna sonora del film Fedele Alla Linea diretto da Germano Mazzoni. Sono demoni evocati e ben presto assoldati dal duo emiliano-capitolino per generare spazi e ambienti mistici, atemporali, privi di ogni caducità terrena, ricchi di sentori e sfumature trascendentali che pescano a piene mani tanto nel free jazz quanto nel rock sperimentale. Una miscela alchemico-matematica, dunque niente affatto immediata, densa, che è tuttavia moderno rituale ancestrale condotto da un collettivo apparentemente aperto nel numero delle collaborazioni, ma in realtà rigidamente soggetto agli schemi della sua stessa sperimentazione. C’è un’aura di sacralità pagana

nel lento incedere lamentoso scandito dal drumming di Simone Cavina, fratello del forse più noto Luca, che sviluppa Macabre Dance mentre il trombone di Gianluca Petrella va a contrappuntare la voce cavernosa di Mr.LEF prima che il reticolato pianistico intessuto da Jamie Saft, già collaboratore di lungo corso di John Zorn, diventi parte strutturale della successiva, e diversamente gemella, Fetal Claustrophobia. La massiccia elettronica di Not Dead, preceduta dal contrabbasso di Feliciati che anima Blow, incanala l’altrimenti rarefatto trip hop progressivo di dantesca inquietudine lungo i binari di un ambient inquisitorio, carico di luciferina desolazione e disperata solitudine, andando a spalancare un vorticoso baratro sull’orrore. Un clima meno esasperato, eppure ugualmente oppressivo, si respira in First, spettrale raduno di anime elette in cui per la prima volta compaiono la batteria del crimsoniano Pat Mastellotto e il pianoforte del jazzista Fabrizio Puglisi, protagonisti a tutto tondo della speculare Wait Until Dark, decadente heavy song marchiata da un gelido sigillo gotico. Con Latent Prints gli scampoli controllati di cacofonia iniziale non sono mai motivo di frattura, anzi cedono lentamente il passo alla misura ordinata che si fa fusione di stili ed espressioni per mano del norvegese Eivind Aarset. C’è spazio anche per episodi a loro modo più personali. I sogni di Fornasari, coadiuvato dai soli Petrella e Aarset, vengono tracciati in Dream Made Of Wind e Dream Made Of Water; Feliciati si fa chiaroveggente nella strumentale Clairvoyance, occasione per il trombone di Petrella di incrociare la batteria percossa qui da Cristiano Calcagnile, per una emancipazione programmatica, fatta di idee e ipotesi tramutatesi concreticamente in avanguardia universale per mezzo degli arditi interpreti delle sette note alla base del progetto Berserk!. Un orizzonte logico, complesso e affascinante. [ ] BERSERK! - BERSERK! 01. Macabre Dance 02. Fetal Claustrophobia 03. Blow 04. Not Dead 05. Clairvoyance 06. First 07. Dream Made Of Wind 08. Wait Until Dark 09. Latent Prints 10. Dream Made Of Water

JK | 67


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SELTON Saudade

(Ghost Records, 2013) di Andrea Barbaglia

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Ricordo Per Me, carica di sospensione cosmica e irrisolto disagio psicologico. Tuttavia le buone vibrazioni che accompagnano da sempre la band hanno fatto sì che anche questa volta ci si possa gustare una spensierata mezz’ora di solare e festosa alchimia, riconoscibilissima fin dalle prime note del singolo apripista eseguito in collaborazione con l’amico Dente. Il cantautore fidentino, oltre a ritagliarsi appunto un cameo vocale (e video) in Piccola Sbronza, regala al quartetto la delicatezza corale de Un Passato Al Futuro presiedendo una volta ancora alla supervisione dei testi in italiano. Testi che, spaziando al solito dalla lingua di Dante al portoghese, approdano per la prima volta, ma con uguale disinvoltura, all’inglese. Ecco dunque la già collaudata Across The Sea, romantica love story bucaniera proposta spesso in passato durante i concerti; l’ondivaga Ghost Song, in cui è Claudinha Palma ad occuparsi delle voci spiritiche, e il colorato treno dall’anima latina di You’re Good, introdotta dal divertissement vocale di Eduardo e Daniel Serviço Bem Feito. A garantire un ulteriore prestigio internazionale a SAUDADE ci pensa la collaborazione con l’ex Lounge Lizards Arto Lindsay, protagonista del rock carioca espresso da Qui Nem Giló (Saudade), brillante omaggio al re del baião Luiz Gonzaga, in cui le chitarre di Ramiro e Ricardo si sostituiscono alla fisarmonica originale donando al pezzo una aura di classica attualità. Lo stesso respiro senza tempo che l’eccellente mix tra Beatles e Beach Boys (davvero splendide le armonie vocali supportate dalla bionda Vania Marques) pervade la conclusiva Eu Nasci No Meio De Um Monte De Gente, caldo abbraccio dell’Oceano che è anche piccolo bignami autobiografico di formazione. Un lavoro che fa sintesi del percorso fin qui intrapreso (Vado Via è introdotta “in differita” da Renato Pozzetto), con lo sguardo rivolto ad un futuro non troppo lontano caratterizzato da un nuovo cantautorato globale in cui i tratti peculiari di più realtà si fondono in modo compatto pur mantenendo distinte le proprie specificità. [ ]

ono passati ormai cinque anni da quel riuscito esordio discografico che fu BANANA A’ MILANESA quando l’allora giovanissimo quartetto brasiliano dei Selton, sostenuto fra gli altri dal sempre imprevedibile Enzo Jannacci e dalla surreale ditta targata Cochi & Renato, recuperava in chiave rock una decina abbondante di brani tratti dall’immortale canzoniere di questi tanto stralunati quanto arguti padri della Canzone italiana, riuscendo innanzitutto a comprenderne l’essenza amara e ridanciana allo stesso tempo e, in seconda battuta, a realizzare un esotico ponte ideale tra Porto Alegre e la Bovisa. Misuratisi successivamente con un fortunato tour in supporto ad un secondo album omonimo di soli inediti, felice nei contenuti e nelle soluzioni formali, i Selton SAUDADE - SELTON tornano oggi alla carica con il terzo disco della loro 01. Qui Nem Giló (Saudade) carriera. Aiutati da una nutrita schiera di appassionati 02. Un Ricordo Per Me sulla consolidata piattaforma di crowdfunding 03. Piccola Sbronza Indiegogo e supportati dalla competenza di Tommaso 04. Across The Sea Colliva in cabina di regia, Daniel, Eduardo, Ramiro e 05. Ghost Song Ricardo hanno una volta ancora partita vinta. C’è forse 06. Vado Via un pizzico di immediatezza in meno e soprattutto un 07. Serviço Bem Feito briciolo di malinconia in più, già evidenziato nella cover 08. You’re Good di Come Deve Andare inserita in un recente album 09. Un Passato Al Futuro tributo agli 883, rispetto al precedente SELTON; si 10. Eu Nasci No Meio De Um Monte De Gente prenda ad esempio la fluida analisi esistenziale di Un JK | 68


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ZOLLE Zolle

(Supernatural Cat, 2013) di Andrea Barbaglia

E

’ una poderosa badilata in pieno viso il debutto degli Zolle. Secca. Diretta. Dolorosissima. Lo scapestrato duo lodigiano formato dal MoRkObOt Marcello Bellina, che ormai sembra averci preso gusto nel cimentarsi alla chitarra a fronte anche del recentissimo nuovo album partorito in casa Berlikete, e dal suo antico compagno di scorribande sonore nei Klown, di cui ci è dato sapere solo il nome di battesimo, Stefano, alla batteria e allo xilofono (divertente l’intermezzo di Trynchatowak), è un treno lanciato a folle velocità per le strade di South Park e l’iperspazio di Futurama a suon di stoner rock, lapidario e senza fronzoli. Completamente strumentale ZOLLE possiede una peculiarità: non stanca mai. Il perché è presto detto: la linearità dei singoli pezzi e la loro relativa brevità (solo la conclusiva Moongitruce, bislacca Dazed And Confused ri-zollata, coi suoi quasi 7 minuti e mezzo rifugge infatti da tutto questo) sembrano essere fatti apposta per un ascolto dinamico, ma anche pigramente distratto; un ascolto che richiede sì attenzione, ma che ugualmente presta il fianco a farsi rovente sottofondo tra una pennichella e l’altra. Meglio poi non scervellarsi troppo di fronte a titoli fonosimbolici come Weetellah, LeeQuame o Man Ja To Ya!. Come si può facilmente intuire l’immaginario coltivato è quello agricolo, quello della campagna italiana più verace e

sanguigna, coi suoi profumi e i suoi odori, in cui tra forconi e zappe (Forko) ci si sporca le mani non solo con la terra (Heavy Letam); una realtà legata alle radici del duo, in cui le divinità pagane si mescolano con quelle fantastiche immaginate dalla mente di Bellina, il tutto vissuto con leggerezza e goliardia. Uno sberleffo. La scoppiettante Trakthor, oltre a fornire un esordio dinamico al disco, tradisce tutto questo, mescolando in allegria con una grintosa furia heavy la robustezza del mezzo agricolo alla possanza del dio del tuono. Suoni grossi dunque, compatti ed essenziali che uniti a limitate sovraincisioni realizzate presso il Mizkey Studio, dove l’album è stato registrato da Michelangelo Roberti, e a oculati interventi di fertilizzazione per mano dell’Ufomammut Urlo e del Quasiviri Roberto Rizzo diventano gli ingredienti salienti per l’allevamento di Mayale e la coltivazione di Melicow. Di certo non l’ambiente bucolico tratteggiato da Virgilio nelle sue egloghe; ma neppure quel terreno arido e incolto abbandonato a sé stesso che l’industrializzazione e l’inquinamento incivile hanno poco per volta sottratto all’uomo. Eppure di fronte a tutto questa operosità calda e viva, ascolto dopo ascolto, lentamente, affiora una velata componente si potrebbe dire orrorifica, da B-movie americano, percepita come substrato narrativo secondario, forse voluto, forse no. Un percorso che non stupirà i seguaci di Berlikete, non nuovo a queste visioni alternative di boogeyman e uomini neri ritratte con disinvoltura nelle sue stampe e nei suoi piccoli quadri, ma che certo sorprenderà chi dalla campagna si attendeva solo pace e tranquillità. Un ultimo sguardo alla cover dell’album e tutto si fa più chiaro. [ ]

ZOLLE - ZOLLE 01. Trakthor 02. LeeQuame 03. Forko 04. Mayale 05. Ma Ja To Ya! 06. Melicow 07. Heavy Letam 08. Weetellah 09. Trynchatowak 10. Moongitruce

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veracrash My Brother The Godhead (Go Down Records, 2012) di Andrea Barbaglia

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ever judge a book by its cover. Mai giudicare un libro dalla sua copertina. E neppure un disco. È il caso ad esempio di questo interessante My Brother The Godhead che, pur avvalendosi di una parte grafica capace addirittura di fuorviare almeno inizialmente (il packaging in realtà è ben più curato) l’ignaro consumatore di musica, per la prima volta avvicinatosi al lavoro della band milanese dei Veracrash, è in realtà capace di sprigionare energia da tutti i solchi per la gioia degli amanti di stoner e territori limitrofi. Convinto forse dalla intestazione verde fluorescente di trovarsi di fronte all’ennesima proposta di musica elettronica fatta di dubstep e hardcore simil-Skrillex, l’appassionato di Fu Manchu, Motorpsycho, Corrosion of Conformity e Crowbar di cui sopra lascerebbe sugli scaffali un meritevole ed intenso coacervo di aggressiva psichedelia metal (Remote Killing) contaminata da mai sopite pulsioni grunge (Lucy, Lucifer) e inattesi inserti ambient (Trees Falling Upwards) proveniente dal nostro Paese. Fortunatamente il buon impatto del precedente 11:11, già a marchio Go Down Records, fa drizzare le antenne di fronte alla scritta Veracrash e l’acquisto a

scatola chiusa del loro qui presente secondo album in studio risulta quasi d’obbligo. Vuoi perché il quartetto di Francesco Menghi dal vivo è sempre stato capace di mantenere le promesse e di allargare la propria fanbase; vuoi perché un deciso passo in avanti era a questo punto atteso da molti. Tra questi cultori troviamo Dango, al secolo Niklas Källgren, chitarrista degli svedesi Truckfighters, letteralmente innamoratosi della band milanese durante il suo passaggio al Live at Heart, tra i più importanti festival della penisola scandinava, a tal punto da invitarla nuovamente in Svezia per la realizzazione del nuovo album. Registrato in soli sedici giorni, non senza qualche inevitabile e comprensibile tensione, My Brother The Godhead getta le fondamenta per la nascita di quello che nelle intenzioni del gruppo è un suono riconoscibile e maturo, personale, capace di rivaleggiare senza alcun timore reverenziale con le pari proposte europee ed internazionali. Il centrifugante singolo Kali Maa mette già in luce quelle che saranno alcune delle linee guida del progetto: velocità e badass attitude per un aggressivo biglietto da visita. Atmosfere dilatate (A Blowjob From Yaldabaoth), accellerazioni fulminanti, riff che paiono rasoiate al limite del punk (We Own You, Bitches), linee vocali violente e sempre chiare anche quando sepolte nel mix, la maligna spirale di Allies From The Mirror Megaverse, sono poi il mezzo per veicolare nei restanti episodi del platter (consigliatissimo il vinile trasparente con una grafica differente sempre ad opera di Alessandro Tosatto) liriche oscure che optano per una trattazione di tesi cospirazioniste e cyber-gnostiche. Una manciata di ospiti (il batterista dei Witchcraft Oscar Johansson; Dave, voce dei pesaresi Zippo, e il già citato Källgren) contribuiscono infine ad impreziosire il tutto senza stravolgerne i contenuti. Nei suoni e nelle idee. Lesson learned. [ ] MY BROTHER THE GODHEAD - VERACRASH 01. Lucy, Lucifer 02. Kali Maa 03. My Brother The Godhead 04. A Blowjob From Yaldabaoth 05. Obey The Void 06. Remote Killing 07. Exit Damnation 08. Allie From The Mirror Megaverse 09. Trees Falling Upwards 10. We Own You, Bitches 11._

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NOT ORDINARY DEAD Tragic Technology Inc. (2419 Record Label, 2013) di Andrea Barbaglia

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onostante tutte le traversie di line-up che hanno dovuto affrontare in quasi venti anni di carriera i Node non hanno mai deposto le armi, ma anzi avevano annunciato un nuovo album proprio in questo 2013, primo per l’ennesima nuova formazione assemblata negli ultimi mesi. L’arrivo di TRAGIC TECHNOLOGY INC. è però un grosso equivoco se riferito ai death-metallers lombardo-piemontesi fondati da Steve Minelli e Gary D’Eramo nel lontano 1994. Questi Node sono in realtà i NODe, acronimo riferito al più esteso Not Ordinary Dead; sono un duo allargatosi a quartetto, arrivano dalla Campania e si prodigano in un convincente mix di contaminazioni elettroniche che non disdegna incursioni nel rock e nella new wave; il tutto condito con quel pizzico di dark ad alto voltaggio di beat che in casi simili non guasta mai. Per evitare di incorrere in fastidiosi casi di omonimia continueremo perciò a chiamarli con il loro nome esteso, assai più eloquente e in linea con la proposta offerta. L’iniziale The Way I Do è una continua accellerata priva di attriti sull’acido asfalto dell’house, tra voci effettate e ritmi ben squadrati

dal nucleo originario composto da Johnny Lubvic (prossimamente troveremo il nome di battesimo) e Kamoto San (alias Fabio Celiento), che portano in un baleno alle atmosfere sintetiche di Precinct NODe care ad Alec Empire, ma filtrate dall’umore più intimo dei Depeche Mode. Piace la digitilizzazione di To Die 10000 Times (All About This), non certo un irrefrenabile riempipista, ma brano sinuoso e vellutato, capace di tenere sul filo del rasoio l’ascoltatore prima di abbandonarlo in vista della marziale Matter Of Time. Un uso della voce che riesce ad unire due anime inquiete come Dave Gahan e Brian Warner è l’elemento caratterizzante della disamina electro-rock esposta in Videocy; l’ossessiva Deadman Working è più macchinosa, non convince nella pronuncia delle strofe, ma mantiene una buona dose di oscuro disagio che troverà pieno compimento nella successiva Man In The Middle, forse l’episodio più riuscito del lotto. Spetta a Something Against Me proporre un nuovo crossover elettronico da dancefloor carico di svisate tastieristiche più in linea con alcuni episodi minori di Subsonica e del seminale Luca Urbani. Completano il lavoro una rigenerata Kinky Eyes e l’electro-beat di This Atomic Love, tracce provenienti dall’ep TUNING THE UNTUNABLE del 2012, ma per l’occasione opportunatamente remixate rispettivamente dal solo Pasquale Tarricone, navigato tastierista-compositore a.k.a. Pak T2R, e dai compaesani Moo’Nadir, nuovo trio electro-partenopeo con un buon futuro davanti a sé. Forse non ancora particolarmente innovativi, ma dotati di una indiscussa e ampia visione sul mondo elettronico, i Not Ordinary Dead vanno ad occupare quella casella lasciata inspiegabilmente libera nel puzzle musicale di Napoli e dintorni, dimostrandosi realtà importante per la crescita culturale del proprio territorio. Una Campania vitale, generosa e propulsiva, troppo spesso vittima solo perché in mano a carnefici. [] TRAGIC TECHNOLOGY INC. - NOT ORDINARY DEAD 01. The Way I Do 02. Precinct NODe 03. Dead Man Working 04. To Die 10.000 Times 05. Matter Of Time 06. Man In The Middle 07. Videocy 08. Something Against Me 09. Kinky Eyes (Pak T2R Remix) 10. This Atomic Love (Moo’nadir Remix)

Andrea Barbaglia è anche qui: JK | 71 www.terapiemusicali.blogspot .it


[Musica] recensioni

VASCO BRONDI Andrea Bruno Come le scie che lasciano gli aerei

rispecchiano l'animo dei personaggi. Il racconto, in pieno stile Luci della centrale elettrica, è una metafora continua, dove la storia di vita di due ragazzi ricade poi nel concetto di partenza e abbandono. Questo fumetto ci porta nei sobborghi urbani di una metropoli, di quelle piene di palazzi e rumori. È la vita di Micol e Rashid, lei una pony pizza piena di sogni infranti, lui un ragazzo malinconico che se la cava con lavori (Coconinopress, 2012) al cantiere e al Phone Center. Legati da chissà quale di Flavia Tucci forza, i due intraprendono una fugace storia di piena amicizia che termina con la partenza di Micol. Si percepisce perfettamente come il passato non debba avere nulla a che fare con il presente, infatti, dei personaggi principali non si sa praticamente nulla della loro vita fino a quel momento, solo qualche flebile riferimento. Ciò che succede ai due ragazzi è influenzato solo dal presente. Entrambi giovani ed entrambi in un posto che non li appartiene: Micol, ex studentessa, vive con altre due ragazze in un appartamentino che si potrebbe definire più una tana che una casa; Rashid, passa le giornate a lavorare e le sere ad aiutare amici a rubare rame, nello stesso cantiere dove lavora, solo per riuscire a tirare avanti. Il loro incontro avviene proprio davanti alla pizzeria dalla quale Micol è appena stata assunta come ragazza delle consegne. E’ Rashid a fare il primo passo e, dopo una serie di incontri improvvisi, i due si aprono pian piano l'uno con l'altro, sia in senso emotivo che fisico. Micol dopo pochi giorni dal primo incontro con Rashid, parte. Si riesce quasi a percepire il silenzio che prova il ragazzo, pur essendo nei pressi dell'aeroporto, un silenzio che sa di speranze infrante e solitudine. Una storia apparentemente semplice, con mille sfaccettature tutte da scoprire, che può trovare spazio nella nostra vita di tutti i giorni, dove la Rico, avevi la bocca socchiusa l'ultima volta che sopravvivenza quotidiana va a discapito dei sogni. [ ] ti ho visto, cantavi tra te e te, eri mezzo morto con i tuoi cani accanto. Eri bianco come il cielo di fine febbraio”, così inizia la graphic novel firmata Vasco Brondi, noto anche come Le luci della centrale elettrica, animata dai disegni di Andrea Bruno. Questo è il secondo lavoro editoriale dove troviamo la firma di Brondi, infatti, nel 2009, uscì Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero, un libro che parla di amori e periferie urbane, ma, Come le strisce che lasciano gli aerei è di fatto il primo fumetto da lui concepito, edito dalla Coconino Press e pubblicato nel settembre 2012. Lo stile dei disegni ricorda molto l'espressionismo astratto dove, in questo caso, macchie dai colori cupi

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[Musica] recensioni delicate

Spiral69 Ghosts in my eyes (Helikonia, 2013)

di Thomas Maspes

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olto spesso le band nascono dalle ceneri di altri progetti che non sono riusciti a trovare il proprio percorso artistico. Gli Spiral69 prendono vita dopo lo scioglimento degli Argine, band dark partenopea, una delle prime esperienze del chitarrista/bassista Riccardo Sabetti. Siamo nell’anno 2007 e ci vorranno circa due anni prima che Sabetti riorganizzi le idee e ritrovi l’ispirazione, arrivando a pubblicare un disco interamente scritto, prodotto e suonato da lui intitolato Filthy lesson for lover. Sempre in quell’anno parte per un lungo tour, nel quale verrà affiancato da altri musicisti che formeranno poi il nucleo definitivo degli Spiral69. Dopo la pubblicazione nel 2011 del secondo disco No paint on the wall, e varie date live effettuate in Europa, per tutto il 2012 gli Spiral69 si chiudono in studio con il produttore/musicista Liam Hewitt, batterista storico dei Placebo, per realizzare il loro terzo album intitolato Ghosts in my eyes. Il disco viene missato in Inghilterra da Paul Corkett, un signore che nel passato ha lavorato per musicisti di alto livello come Nick Cave, The

Cure, Radiohead, Bjork e Placebo. Ghosts in my eyes è un disco intenso, con una forte vena malinconica e crepuscolare. La prima traccia del disco intitolata Waves si apre su un tappeto di tastiere imponente, che dà proprio l’idea di un’onda sul punto di travolgerci, un crescendo di emozioni e pathos reso in modo encomiabile da tutto il gruppo, veramente molto ispirato nel ricercare quei fantasmi che spesso si agitano dentro di noi, fantasmi che a volte fatichiamo noi stessi a comprendere e ad accettare. Otto tracce in tutto, cantate in inglese e con liriche semplici e dirette, che cercano di arrivare subito al punto, perché nascono come uno sfogo, il grido e il pianto di quei fantasmi. La cifra stilistica degli Spiral69 è piuttosto chiara: molta new wave primi anni Ottanta mischiata ad elementi industrial e a qualche spruzzata di elettronica. Detto così sembra tutto semplice, ma non lo è affatto. Non basta infatti saper dosare ingredienti diversi per riuscire a creare un piatto prelibato, non e’ sufficiente per chi sceglie di scandagliare l’animo umano, i sentimenti, le emozioni. Per scrivere una bella canzone non basta ispirarsi a qualcosa che si conosce bene, bisogna oltremodo essere in possesso di una certa abilità melodica e soprattutto possedere il coraggio di non tradire l’emozione che ha dato il via al processo creativo, a quella piccola fiamma che ha generato il bisogno di descrivere attraverso le note musicali un mondo al quale ci sentiamo di appartenere o che magari ci affascina o ci attrae in modo vertiginoso. Gli Spiral69 sembra siano in possesso di quel coraggio. Tocca a noi ora trovarlo per farci trasportare alla ricerca di tutti quei fantasmi che si nascondono nei nostri occhi. [ ]

SPIRAL69 – GHOSTS IN MY EYES

01. Waves 02. New Life 03. No Heart 04. Fake Love 05. Dirty 06. Please 07. Low Suicide 08. Ghosts In My Eye

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[Musica] recensioni delicate

COSMO Disordine (42 Records, 2013)

di Claudio Delicato

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el caso abbiate esaurito le citazioni di Philip Roth da postare sulla bacheca Facebook della web designer di Rivista Studio che state cercando disperatamente di rimorchiare, Disordine di Cosmo (al secolo Marco Jacopo Bianchi, frontman dei Drink To Me) è il disco che fa per voi: trentasei minuti di elettronica pensata, condita da docili cantati in falsetto che faranno sciogliere orde di ventenni come panetti di burro nel vulcano di Stromboli. Gli ingredienti di questo disco sono alcuni di quelli che hanno fatto la fortuna della capace etichetta di produzione 42 Records: basi musicali da cameretta realizzate esclusivamente al computer, uno stile compositivo coerente lungo tutta la durata dell’album (che i detrattori definiranno ripetitivo), voce che non spacca i vetri ma risulta tutto sommato piacevole e grande attenzione ai testi. Proprio questi ultimi rappresentano a mio parere il maggior punto di forza di Disordine: liriche intelligenti e relativamente originali che si lasciano ascoltare senza mai sfociare nel pretenzioso. Cosmo sembra aver capito che un Guccini non nascerà mai più e non è il caso di scimmiottarlo facendosi crescere la barba e spaccandosi di Lambru-

sco; meglio piuttosto fare ciò che le proprie capacità permettono nella maniera più creativa possibile, e chi mi ha già letto saprà bene quanta simpatia nutro nei confronti dei musicisti che non puntano con la bava alla bocca a una statua di cera all’Hard Rock Café di via del Tritone (anche perché le speranze sarebbero esigue, dato che a via del Tritone non c’è nessun Hard Rock Café). Se siete il tipo di persona che non giudica un disco oltre la sufficienza in mancanza di canzoni in 17/14-π, probabilmente “Disordine” non sarà il vostro album, ma se nella vita ogni tanto fate anche sesso la sua elettronica d’ambiente vi risulterà gradevole. Il cantato è dolce senza scadere mai nello smielato, gli arrangiamenti semplici e il missaggio fa il giusto senza strafare. Il pezzo più riuscito del disco è a mio parere Il digiuno, forse quello che al meglio valorizza l’impostazione vocale di Marco, al punto che è un peccato che la voce sia così effettata. La melodia più interessante è invece quella di Le cose più rare, bel pezzo sulla perdita di una persona cara, con momenti di quiete che sarebbe interessante ascoltare dal vivo. Piacevoli anche le intuizioni di Ecco la felicità, in cui Cosmo usa con gusto quel tipo di effetti di sintetizzazione vocale che, proposte dal tastierista del mio gruppo in sala prove, mi fanno venire voglia di fracassargli il cranio con una zampa di maiale. La cosa più bella che mi viene in mente riguardo questo esordio è che per apprezzarlo davvero è necessario ascoltarlo più di una volta: Cosmo non fa musica facile, non scrive canzonette che vogliono far presa sul pubblico meno impegnato. Detto ciò, “Disordine” non segnerà certo la storia, ma è l’ennesima dimostrazione che l’indie italiano è vivo e lotta insieme a tutti i neolaureati in lettere appena assunti da Fazi Editore. [ ]

DISORDINE – COSMO 01. Dedica 02. Ho Visto Un Dio 03. Le Cose Più Rare 04. Wittgenstein 05. Nimeri E Parole 06. Ecco La Felicità 07. Continente 08. Il Digiuno 09. Disordine 10. Esistere è come te lo metti in testa

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[Musica] recensioni delicate

kuTso Decadendo

(su un materasso sporco) (22R/ Matatron/ Cosecomuni, 2013) di Claudio Delicato

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opo aver sbancato YouTube con il singolo Aiutatemi e la pubblicazione dell’omonimo EP che ha permesso alla band di Marino di vincere svariati premi, aprire concerti di gruppi illustri (Bud Spencer Blues Explosion), di quelli più in voga nel 2001 (Linea77) e quelli capitanati da cantanti che non si lavano (Nobraino), i kuTso pubblicano il primo vero e proprio LP Decadendo (su un materasso sporco). Per le band che diventano virali con una sola canzone il disco d’esordio è lo spartiacque che le inquadra in modo definitivo: puoi diventare un serio fenomeno da prendere in considerazione o l’Andreas Johnson del ventunesimo secolo, ma con molti cessi chimici del Circolo degli Artisti e negroni con la bandierina della Repubblica Centroafricana in più. Bene, dal mio personale punto di vista i kuTso rientrano nella prima categoria: Decadendo è un disco piacevole, ben suonato e prodotto ma soprattutto cantato ad altissimi livelli, con il vocalist Matteo Gabbianelli che, se non spacca i vetri, quantomeno li incrina. Musicalmente l’album non è il prodotto più innovativo degli ultimi decenni, ma fa il suo: un rock accattivante con evidenti sfumature punk e un certo gusto pop negli

arrangiamenti. Grazie a Dio c’è ancora qualcuno che si ricorda che si può suonare usando veri e propri strumenti invece di campionarli al computer, e particolare menzione in questo senso merita il bassista Luca Amendola, che dopo Gabbianelli è il componente che dà più valore al sound della band. Il punto di forza dell’LP è che è un disco orecchiabile al punto giusto, che strizza l’occhio all’ascolto facile senza mai scadere nel paraculo. Il gruppo di Marino non ha cercato di comporre dodici cloni di Aiutatemi, al contrario ha dimostrato di avere parecchie idee e più di un pezzo potrebbe essere un singolo da RockIt (per quanto si possa discutere sulla positività o meno di un’eventualità del genere). I momenti più interessanti sono le atmosfere ska del citazionista Marzia e l’allegra Questa società, forse il pezzo migliore del disco. Del singolo Lo sanno tutti è anche stato realizzato un video in collaborazione con Raffaele Vannoli e The Pills, per cinque minuti ad alto tasso hipster. C’è poi una coraggiosa cover de La canzone dell’amore perduto di de André che non mi ha fatto venir voglia di cospargere la testa dei kuTso di miele dopo averli interrati fino al collo in prossimità di un covo di formiche rosse, quindi vuol dire che non sfigura. L’unica nota stonata è la versione kuTso & friends di Aiutatemi, che non ha il mordente dell’originale ma va bene così, con il successo che ha avuto la canzone la cosa era dovuta. Insomma, questo disco dalle atmosfere scanzonate e i testi simpatici risulta ben più che piacevole; ergo, se amate concludere le cene a base di porchetta ad Ariccia tirandovi molliche di pane con i commensali durante una gara di bestemmie, be’, allora fate in modo di procurarvi Decadendo al più presto. [ ]

DECADENDO (SU UN SPORCO) - KUTSO 01. Alè 02. Siamo Tutti Buoni (feat. Giulia Anania & Mini K) 03. Marzia 04. Lo Sanno Tutti 05. Questa Società 06. Via Dal Mondo 07. La Canzone Dell’Amore Perduto 08. Eviterò La Terza Età 09. Stai Morendo (feat. Andrea Ruggero) 10. Precipiti In Giù 11. Perso 12. Aiutatemi (kuTso & friends version)

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[Musica] recensioni delicate

THE VENKMANS Good Morning Sun (Autoproduzione, 2013)

di Claudio Delicato

i Venkmans sono ben altri, precisamente The Killers, The Rapture e un paio di altri gruppi con il “the” nel nome; tutte band che il manuale del perfetto recensore snob imporrebbe di cestinare immediatamente nel calderone dei 15 minuti di celebrità di Andy Warhol, ma che in realtà sono di gran lunga tra la roba più decente che il mercato mainstream abbia offerto negli ultimi anni. Il quartetto toscano non disdegna sperimentazioni e virtuosismi stilistici, ma sembra tenere al fatto che il filo conduttore dell’intero disco sia la pillola blu, e non mi riferisco certo a quella di Morpheus in “Matrix”: in Good morning sun non c’è un pezzo che non faccia fare headbanging, a dimostrazione del fatto che c’è ancora gente che si è rotta le scatole del mood depresso di provincia stile Le luci della centrale elettrica. I momenti più interessanti sono l’intrippantissima Free, gli stop’n go di Critical e le reminiscenze eighties di Someone has to comeback. Il missaggio è curato nei minimi dettagli e lascia pensare che in Italia forse possiamo ancora sperare di trovare gente che quando vuole che il proprio prodotto sia di qualità non bada al portafogli. Good morning sun è un disco che riesce alla grande nel suo intento di regalare una piacevolissima mezz’ora. In bocca al lupo Venkmans, io sono con voi. [ ]

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e i Venkmans fossero nati oltremanica i loro concerti sarebbero affollati da tredicenni che si strappano i capelli nella speranza che uno di loro gli capiti a tiro di schioppo per concedergli senza esitazione qualsiasi orifizio Madre Natura abbia messo a loro disposizione. Quella del gruppo fiorentino è musica con la riga da una parte, fatta di riff accattivanti, loop che ti entrano in testa come una bestemmia in diretta durante un talk show sul cancro al pancreas e arrangiamenti sapienti e maturi. I Venkmans hanno con la forma-canzone la stessa confidenza che Luca Sardella ha con le sagre del formaggio piccante: nei loro pezzi non c’è una virgola fuori posto, sono tutti potenti e funzionano che è una bellezza. Good morning sun è la dimostrazione formato .flac che l’indie rock ha ancora molto da offrire a chi si è rotto le scatole dei dischi arrangiati con GarageBand. Se questa recensione fosse stilata uno degli organizzatori del concertone del primo maggio o da un borioso critico di Repubblica (insomma, tutta quella gente che musicalmente si è fermata al 1996), probabilmente tra i riferimenti artistici non troveremmo altro che gli abusati Subsonica. Invece i nomi che vengono in mente a me ascoltando

GOOD MORNING SUN – THE VENKMANS 01. Free 02. Juliet The Disco 03. Just Follow Me 04. No One Gets The Feeling 05. Critical 06. Out Of The Box 07. Some Has To Comeback 08. Rebirth 09. Good Morning Sun 10. You Know (I’ts Sad But True) 11. Comedy (bonus track)

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compilation by

JUST KIDS

SIMONE MASSARON BREAKING NEWS

CRAIG GREEN & DAVID KING CRAIG GREEN & DAVID KING

THE FOOT JOB BAND PORNO JAZZ

LILIES ON MARS DOT TO DOT

MUSICA DA CUCINA MUSICA DA CUCINA

DANIELE CAVALLANTI ELECTRIC UNIT SMOKE INSIDE

SIMONEMASSARON &CARLABOZULICH DANDELIONS ON FIRE

GIOVANNI MAIER TECHNICOLOR FEATURING MARC RIBOT/ A TURTLE SOUP

JUSI IN THE WINE HOUSE BON POUR LES GRANDS ET LE PETITS!

PIERO BITTOLO BONAND THE ORIGINAL PIGNETO STOMPERS MUCHO ACUSTICA

Tracklistfree Download

1. Simone Massaron - Run Through The Jungle (Ft. Elliott Sharp On Lap Steel) 2. Craig Green & David King - Faux Hawk 3. The Foot Job Band -Tristano 4. Lilies On Mars - Oceanic Landscape (Ft. Franco Battiato) 5. Musica Da Cucina - Today 6. Daniele Cavallanti Electric Unit - Moods For Dewey (Ft. Nels Cline-Wilco On Guitar) 7. Simone Massaron & Carla Bozulich - The Getaway Man 8. Giovanni Maier Technicolor - Miss T. (Ft. Marc Ribot On Guitar) 9. Jusi In The Wine House - Tony Soprano 10. Piero Bittolo Bon And The Original Pigneto Stompers - Tsaar Bomba! www.justkidswebzine.tumblr.com www.longsongrecords.com


[MUSICA] live report

RADIOHEAD ON AIR Live Report, Potenza di Maria Antonietta Truppa e Mara Camera

I

l Cecilia, Centro per la creatività di Tito, è un vero e proprio laboratorio di sperimentazione arti stico-culturale che dal 2011 promuove ed incentiva la messa in scena della creatività lucana. È in questa cornice che è stato inserito RadioHead on Air, spettacolo di teatro-canzone, promosso dalla compagnia teatrale L’Albero in collaborazione con Radio Redazione e Comune di Tito nell’ambito del cartellone Ateneo musica Basilicata, incentrato su una delle band musicali inglesi più intense degli ultimi decenni: I Radiohead. Lo spettacolo ha riproposto in maniera accattivante la storia della band attraverso canzoni, aneddoti e curiosità che l’autore Pierluigi Argoneto e la giovane regista Vania Cauzillo hanno raccontato attraverso la voce di Loris Fabiani (premio Ubu miglior attore under 30 del 2011). L’attore, nel ruolo di uno speaker radiofonico, descrive in un intreccio ben congeniato di musica e narrazione, il complesso panorama musicale e umano del gruppo inglese attraverso un’avvincente trasmissione radiofonica, on air appunto. Un mirato gioco di luci permette allo spettatore di cogliere immediatamente la CON-divisione dello spazio scenico equamente bipartito e abilmente amalgamato in due semispazi interni: una parte della

scena è destinata alla narrazione e l’altra all’esecuzione live di alcuni tra i brani più geniali del gruppo lanciati dallo speaker. La luce diviene così un abile strumento di passaggio spaziale: dalla narrazione alla musica e dalla musica alla narrazione. Interessante la scelta di creare un trio musicale ad hoc: la resa live dei bravi è infatti affidata ad artisti che solitamente lavorano autonomamente e che in questa particolare occasione sono stati chiamati a rappresentare l’ossessiva passione dell’autore della piéce per i Radiohead. Al pianoforte Vincenzo Paolino, alla chitarra Donato Pitoia e alla voce Donatella Dores: i tre artisti insieme hanno saputo interpretare al meglio i pezzi selezionati rendendo evidente una tra le caratteristiche più pregnanti della produzione musicale dei RadioHead: la capacità di sbalordire l’ascoltatore proponendogli una realtà allucinata e alienante. Temi forti come la spersonalizzazione dell’individuo, il desiderio di fuga e la perdita di se stessi vengono affrontati attraverso una mirata contrapposizione tra forma e contenuto. Ad una melodia dolce e smielata corrisponde per opposizione un contenuto testuale straziante e talvolta maniacale; proprio per questo la scelta di un’interprete femminile non pare casuale ma

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[Musica] live report

|ph by Gerardo Sicuro sembra voglia valorizzare la profonda sensibilità del cantante del gruppo, Thom York. Thom York, non solo autore e leader dei RadioHead ma anche protagonista indiscusso degli aneddoti e dei racconti narrati dallo speaker con il quale York condivide la stessa ricerca compulsiva di un senso del reale e lo stesso mezzo di evasione da quella stessa realtà: la Musica. Un senso di inquietudine caratterizza anche i brani scelti: No Surprises apre l’elenco immergendo sin da subito il pubblico in un’atmosfera surreale e malinconica; a seguire l’indimenticabile Creep, e ancora Fake Palstic Trees, All I Need, Exit music (for a film), la psichedelica Paranoid Android, High and Dry passando per l’irruente The Bends, un brano con un suggestivo bagaglio semiotico che segna uno dei più importanti punti di svolta della band negli anni Novanta e che ha fortemente influenzato il sound di quegli anni. Infine, ma di certo non per importanza, Karma Police lanciata inaspettatamente quando lo spettacolo sembrava già concluso. Un effetto Surprise che ha inchiodato lo spettatore senza lasciargli via di fuga se non per quegli intricati sentieri mentali a cui solo un genio della musica come York può condurre.

L’incomprensibile mistero della “cecità umana” trova così nuova linfa vitale attraverso un premeditato gioco di straniamento: ciò che solitamente è celato ora viene svelato in chiave visionaria. Ancora una volta è il Teatro a riappropriarsi della sua essenza sperimentale, della sua capacità d’improvvisazione e di messa in comunicazione delle arti. Un metateatro che svela ciò che solitamente è negato allo spettatore, il retroscena, luogo ove l’animo umano ritrova il suo autentico mistero. [ ]

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la dimensione eroica del microbo di Maura Esposito

L’intelligenza strumentale dello scimpanzé

A

ffacciati sull'ossario

profumato di milioni di anni di evoluzione un piccolo circo di orbite vuote; ricordano: Erano terribili per forza e superbia, e assalivano gli dèi. Ora ritornano in pezzi intercambiabili potenziati dalla meccanica del nuovo secolo, di nuovo nell'oblio; Il mito inaffondabile della scienza e della tecnologia sbiadisce nel ricordo, superato dall'intelligenza strumentale dello scimpanzé JK | 80


[immaginario] la dimensione eroica del microbo

|pic by Maura Esposito www.ladimensioneeroicadelmicrobo.blogspot.it

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[immaginario] punto focale

PUNTO FOCALE di Giulia Blasi

“Pensiero Del Sole Giovane”, 2013, 150x93 cm, Olio JKe|Acrilico 82 su tela, Giulia Blasi www.giuliablasiart.blogspot.it


[immaginario] punto focale

Raccolta (Pioggia) Lento, irregolare scorrere Del fiume del tempo La madre delle idee Partorisce Attraverso le nostre menti, Convulsi E dissonanti Camminiamo L’organo visivo ha ormai Perso l’antico compito. Ree di neonato peccato le anime La carcassa delle nostre spoglie Brucia ancora. Su di un prato Respirando, La pioggia sta facendo le Proprie associazioni. Schiuderà il cielo le sue porte? Respira, mostrati Dischiudi le tue cellule per Una nuova linfa Il liquido contenuto nel bicchiere Ti aiuterà a sacralizzare il momento Bevi, e attingi Alla grande vasca. Ora immergiti in te stesso E sarà che come in te stesso Ti ritroverai In tutte Le cose Che vedi.

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parola immaginata di Davide Uria

Serena Dissimulazione el mare, in queste acque rifrante

N

osservo la forma commutata, riflessa del mio corpo e scorgo giorni ritratti dalla morte, violenti congegni irrefrenabili, stelle nelle mani e negli occhi, e barlumi sul viso come piccole schegge di cristallo. Elementi che penetrano la mia pelle, bacilli che brutalmente sostano nell’ ignaro mio corpo.

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[immaginario] [immaginario] parola parolaimmaginata immaginata

|pic by Davide Uria www.davideuria.it

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sOMMACCO

è Luca Palladino, Giorgio Calabresi, Francesca Gatto Rodorigo

Sommacco è immaginario adamantino. Sommacco è la necessità di buttare fuori le storie che popolano dentro noi. Sommacco è la necessità di mettere le mani in pasta per raffreddare i pensieri, perchè se no poi scoppiano. La nostra casa è il Mediterraneo.

IGNAZIO CACAGLIA INCESPICA CON ME di Luca Palladino

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[immaginario] sommacco

I

gnazio Cacaglia si sentiva ospite della vita, non quella sua, quella degli altri. Si sentiva sballottato di qua, di là, di giù e financo di su. Si sentiva come una vocale quando è elisa, impossibilitato a fare il proprio comodo, elidersi a proprio piacimento o perlomeno rifiutare l’elisione. La facoltà di elidere di colui che elide è come il potere che ha il vento nei confronti della Selaginella lepidophylla, la falsa rosa di Gerico, nei film di Sergio Leone, dispotico. Quindi Ignazio è una falsa rosa di Gerico? Ignazio, perseguitato dal caso e dalla volontà altrui, conduceva una vita nel dispotismo totale, come se fosse una pallina di un flipper. Era per puro caso e mero dispotismo, infatti, che la pallina era andata a finire oltre le Alpi nell’autunno di un anno dove febbraio ne ha ventinove di giorni. Con buona pace di chi sostiene che il caso non esiste e che il dispotismo è a noi estraneo, Ignazio viveva a Parigi, la Ville lumiere, per un caso dispotico. E’ necessario subito cercare di renderci edotti sul carattere di Ignazio con questo indizio: egli non si era |ph by Anurb Botwin

mai chiesto cosa volesse dire “Ville lumiere”, sebbene era una locuzione che aveva sentito parecchie volte: “goditela nella ville lumiere”, spesso si era sentito raccomandare. Per Ignazio “ville Lumiere” erano due parole che avevano una fonetica pulsante ma non così tanto da dover consultare un’enciclopedia, ecco tutto. Tra parentesi, Ignazio è quel tizio che ha appena incespicato nel caso della sua curiosità. In effetti financo la curiosità, per Ignazio, era un caso, con buona pace delle neuroscienze. Ad ogni modo, Parigi, impellicciata e col rossetto rosso, quella mattina lo accolse con il consueto bonjour, Parigi è generosa quando si tratta di offrire formalità. A Parigi la formalità è ai lavori forzati; nel senso che non fregancazzo a ggnisuno di darti il buongiorno o il buonasera, lo si fa perché si è costretti dalla formalità. Brutta cattiva formalità! Quell’odierno profuso di buone maniere che la formalità parigina imponeva, spargendoli come il sangue russo ad Austerlitz, ingloriosamente, costituiva per Ignazio un involucro dove trovare riparo dalle folate di vento del caso. Ignazio aveva stima di quell’abbondanza di bonjour e bonsoir perché gli rammentavano qualcosa che si era definitivamente fermato, tipo il soggetto fotografato nella fotografia che portava nel portafoglio e che ogni tanto tirava fuori allo scopo di ammirarla. Mantenere una certa distanza tra egli e l’interlocutore, tra egli e la fotografia ammirata, era in un certo qual modo salvifico per Ignazio perché gli ricordava un salotto ben caldo, siamo intesi? Il narratore si è dilungato troppo sul tema della formalità, senza peraltro dirci nulla di nuovo, ma cosa volete mai, a volte succede che si divaga perché dio solo lo sa! Ignazio, dove sei? Guardatelo là, Ignazio, che cammina per la strada con le mani in saccoccia. Ignazio è quel tipo distratto che vi è appena venuto addosso perché non guarda dove va. Sta andando a lavorare, perché Ignazio lavora, che vuol dire che saprà cosa farà per le prossime 8/9 ore. Il lavoro è necessario nella vita delle persone per lo stesso motivo per cui la vittima ha bisogno del suo carnefice, se no non sa che cazzo fa’. Delfini dice che la luna è come la libertà: sta in cielo e in fondo al pozzo. Quindi, a meno che voi non andiate in cielo o in fondo al pozzo, la libertà non è calpestabile. [ ]

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[immaginario] Sommacco

|ph by Anurb Botwin

SULLA PORTA di Giorgio Calabresi

F

accia di spigolo cammina con le spalle curve all’ingiù tutto incartocciato nel labirinto dei suoi pensieri. Tonda di pancia veste solo di rosso. Lui non sa cosa sia l’appetito. Lei non conosce sazietà. Tonda di pancia munge i sapori dalle persone. Faccia di spigolo punge di umori cupi se stesso. Lui prende la vita di taglio. Lei la rimbalza più in là. Faccia di spigolo non ha il senso del tempo. Tonda di pancia conta i giorni del suo ritardo. Lui non ha amici. Lei nemmeno ma conosce tutti. Lui è ancora un ragazzini. Lei non ha età. Faccia di spigolo non ha un lavoro. Tonda di pancia fa il mestiere. Lei lascia sempre la porta aperta. Lui ha il sorriso vergine di chi non ha mai varcato quella soglia. Lui cerca rifugio dai tormenti che lo scavano dentro. Lei spegne la sua rabbia e quella degli altri ogni volta che apre le gambe e accoglie i peccati del mondo. Faccia di spigolo e Tonda di pancia non si conoscono ancora ma si sbirciano già da un po’ . Ogni mattina lui devia dal percorso verso scuola e s’infila nel vicolo del quartire vecchio dove lei spende le sue giornate con i seni pesanti appoggiati al

davanzale della finestra che da dritta sul livello della strada. Questa mattina faccia di spigolo si è lasciato sedurre dal richiamo di lei e ha risposto al suo sorriso. Con lo stomaco chiuso, il battito accellerato e le mani ricacciate in tasca perchè non tradiscano le sue emozioni si è spinto fin sulla porta. Sta fermo sulla soglia ad oscillare un passo al di qua dal punto da cui non si torna più indietro. Con occhi svelti ruba i dettagli della piccola stanza che gli si svela davanti, la luce bianca del neon illummina a giorno quell’angolo di mondo proibito, fugando la possibilità che si tratti solo di un miraggio. Pochi mobili in giro, i vestiti sparsi dappertutto, a terra un tappeto sintetico a pelo lungo che sua madre non sceglierebbe mai per casa sua, pensa lui, e poi in fondo un grande letto rotondo che puzza di america. Il mondo nuovo a distanza di un metro. Tonda di pancia lo guarda invitante e silenziosa, da vicino è meno bella di quanto sembrasse alla finestra ma non meno resistibile. Lei ha ancora quel sorriso che lui indulge nel credere sincero. Faccia di spigolo è fermo in piedi sull’orlo del salto, sospeso sul ciglio dell’età adulta e non si è mosso da li per tutta la vita. Poi ha chiuso gli occhi. [ ]

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[immaginario] sommacco

“AVEC çA?”

di Francesca Gatti Rodorigo

I

mmaginario adamantino “L’emigrazione messicana negli Stati Uniti è aumentata ed è diventata illegale nello stesso momento in cui il governo messicano è passato dal populismo nazionalista alla politica neoliberista dell’ “adesso t’inculo”. Annarella è emigrata. Dall’Italia alla Francia, ma con folte sopracciglia brune da teenager messicana. “Avec ça?” (“con questo è tutto o vuole altro?”) tuona la panettiera risoluta dopo aver smanazzato la quota di carboidrati che Annarella custodirà da brava sacerdotessa per almeno due mesi su fianchi e cosce. Emigrata, e con questo è tutto o vuole altro? Cumuli di carta riciclata sparano in loop domande da primo appuntamento sbagliato: che lavoro fai? che lavori hai fatto? quando sei nata? e dove? quale il tuo reddito degli ultimi tre mesi? hai una casa per poter aprire un conto in banca e un conto in banca per poter trovare una casa? Nell’affanno della risposta seriale Annarella somministra piccole dosi di menzogna per piacere alle carte, aumentandone la concentrazione man mano che il tempo sprecato a certificare la sua esistenza supera quello dell’esistenza stessa. In un colpo di penna che scrive poco e male, Annarella passa dai 29 ai 25 anni per ripiombare nell’età dell’oro delle riduzioni under 26.

|ph by Anurb Botwin

Così, al Pompidou, si lascerà alle spalle la coda dei cessi gratuiti al piano terra, vicino alla biglietteria, ascendendo verso le porte smaltate e selettive delle toilettes al piano della collezione permanente. Da ammazzatempo compiaciuta si trasforma in creatrice di imprese fuori dall’ordinario, tessendo relazioni e intrighi nemmeno fosse il più prolifico dei ragni. Si fa prestare soldi millantando esperienze mai avute, si convince di averle avute, diventa quello non avrebbe mai immaginato. Fa cose qui e ora pensando ad un poi e un altrove più consono alla sua natura. Ma quale natura? Sfoltisce capelli e sopracciglia, dichiara trimestralmente le sue risorse finanziarie con all’orizzonte il vaticinio di un dj: “une chose est sûre: un jour, toi et moi on ira à Malibu”. (“Una cosa è certa: un giorno io e te andremo a Malibu”). [ ]

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SBEVACCHIANDO PESSIMO VINO di Paolo Battista

DOVREBBE RINNOVARE L’ARREDAMENTO

Q

uando entro l’editore, dal corpo a forma di otto, calvo, occhi grigi e rotondi, ben vestito ma senza giacca, non mi riconosce subito. “ Salve “ dico allungando la testa nella porta come una giraffa, “ ho un appuntamento con il dottor Trentini…. ho parlato per telefono con qualcuno e mi ha detto di venire qui “. Nella stanza ci sono due scrivanie occupate da due tizi che parlano al telefono. Sfogliano enormi plichi di carta facendo strane smorfie con la faccia. Per un attimo entrambi alzano la testa strabuzzando gli occhi verso di me, ma non dicono un cazzo. Dalle grosse finestre entra la luce delle undici e alle pareti noto una serie di tele con sopra corpi di donna schizzati a china, e poco più avanti sopra la porta spunta una foto, un primo piano - indovinate di chi? - sopresa delle sosprese…del nostro fottutissimo Benito Mussolini. “ Cazzo “ penso, “ fottuti fascisti…ma cosa c’entra tutto questo con la poesia…”. Poi il dottor Trentini gira il collo gonfio, mi guarda dalla testa ai piedi e con una falsità da maestro esclama: “ ma certo, prego signor…”, ma subito lo interrompo: “ mi chiami Pierpaolo e butti via il signore “ faccio io seguendolo nel suo studio pieno di vecchie edizioni destroidi e trofei fascisti e targhe opulente e un librone gigante con su scritto “ Mio padre Mussolini “. “ Due minuti e sono da lei “, ronfa Trentini che poco dopo si accomoda nella sua poltrona costosa e m’invita a fare lo stesso, butta gli occhi sul mio braccio tatuato e cercando le parole giuste fa la solita stupida domanda sul perché ho fatto una cosa del genere. Lo guardo in

cagnesco e subito svio dicendo che è un modo tutto personale di non far morire i ricordi, ma mi fermo e cambio discorso e Trentini cerca, indaffarato come un talpa che scava la sua buca, qualcosa su quella scrivania pregiata zeppa di fogli e piccoli elefantini e minivolumi leopardiani e danteschi e schermo e tastiera e mouse e un poggiacarte d’argento molto molto barocco raffigurante una cornamusa rivestita di frutti vari e un portapenne pieno di matite e chiaramente la testa ramata del nostro fottutissimo Benito Mussolini. Butto un’altra bestemmia, ma senza tirare un fiato. Poi Trentini interrompe i miei cattivi pensieri: “ eccolo qua “ e tira fuori un foglio di carta, “ questa è la valutazione del suo romanzo…non sa da quanto tempo cerco il mio Gattopardo “, e ridacchia come il peggior comico di Zelig. “ Ah si…Tomasi di Lampedusa mi fa una pippa “ scherzo senza scherzare troppo. Trentini fa un sorrisino falso mostrando un paio di denti cariati e inizia a leggere la valutazione. Mentre recita la faccia gli diventa rossa come un peperone, “ mi servono gli occhiali “ dice, e si mette alla ricerca dell’oggetto nascosto chissà dove sulla scrivania. Io continuo a guardarmi intorno e mi prende come una smania sotto le chiappe che brucia e m’inquieta. Anche nel suo studio le pareti sono piene di riferimenti al fascio ed io - che più di me stesso odio solo i fascisti - inizio a pensare che non dovrei trovarmi dove mi trovo, che questo non è proprio il genere di editore che prediligo, che non riuscirei a pubblicare con questo tizio neanche se mi promettesse un anticipo di 3000 euro, “ è una stronzata! “, mi dico tremolando

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[immaginario] sbevacchiando pessimo vino

la gamba come un tossico. Lui mi guarda, si allenta la cravatta amaranto e spara: “ insomma quello che vogliamo è pubblicare la sua storia…” “ Ne è sicuro? “ chiedo io guardando una scultura in bronzo del duce, “ perché qui quello che vedo c’entra poco con la letteratura “. “ Ma no…le ripeto che alla Sagìna editrice siamo imparziali e amiamo il nostro lavoro…e a proposito di lavoro…” continua sorridendo come un alberello di natale, “ il suo di lavoro è ottimo, il nostro collaboratore ne parla benissimo, vuole che continui a leggere la valutazione? “ Rispondo di no, ho già capito dove vuole andare a parare, ho voglia di bere ma lui continua cercando di convincermi; così lascio che legga la sua valutazione del cazzo e quando finisce balbetto: “ e allora? Adesso che si fa? “. Trentini mi guarda come si guarda un appestato a cui

|pic by Paolo Battista

però dài due spiccioli d’elemosina e ronfa: “ adesso viene il bello! “. “ Adesso sono cazzi! “ penso io non aspettandomi niente di buono anche se sono stati loro a chiamarmi la settimana prima: “ Buongiorno, parlo col dottor Terrani? “ una voce sensuale, chiaramente di donna, al telefono. “ Si…sono io, con chi parlo? “. “ Salve sono Monica tal dei tali e la chiamo per il suo romanzo tal dei tali…beh l’abbiamo letto e valutato positivamente…potrebbe venire da noi il giorno tal dei tali all’ora tal dei tali “ la voce saffica della segreteria che m’invitava a passare da loro. Ricordo che pensai: “ Fanculo, sarà un’altra fregatura…” “ Occhei “ risposi, e tagliai corto. Adesso eccomi seduto su questa poltrona del cazzo, con la gola secca e la voglia di gridare in faccia al tipo: tu sei malato! Ma quello che faccio è alzarmi per andare a pisciare. Quando torno Trentini riprende: “ tutto quello che vogliamo è che lei trovi mmmhhhh…diciamo uno sponsor…” “ Insomma “ sbotto stringendo il manico della poltrona, “ qualcuno che ci mette i soldi. “ Poi bussano alla porta. E’ uno dei due tizi di prima, giovane, molto più giovane del nostro editore, con la barbetta da caprone, occhiali esagonali, labbra serrate, fronte alta e mani piccole. Cazzo le mani piccole sono la prima cosa che noto, fanno impressione tanto sono minuscole. Il giovane chiede qualcosa a cui non faccio caso perché distratto dal quadro alle sue spalle raffigurante uno squarcio fascista della marcia su Roma. “ Non è possibile! “ sussurro abbastanza scioccato e Trentini se ne accorge: “ torniamo a noi “ mi dice quando il giovane esce dalla stanza, “ …allora le stavo spiegando in che modo noi cerchiamo di pubblicare i nostri autori…mettiamola così, anche la Sagìna conta molto sugli sponsor…”. “ In che senso? “ gli chiedo consapevole che tutto le sue parole sono solo un mucchio di stronzate . “ Allora diciamo che la nostra casa editrice si avvale di circa 90 sponsor tra cui comuni, privati, banche, etc etc per

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[immaginario] sbevacchiando pessimo vino

pubblicare dieci libri entro maggio del 2013…deve sapere che il suo libro è stato selezionato tra circa duemila manoscritti “ ma il movimento indeciso delle labbra mi dice che sta mentendo, “ questo per dirle che ha buone possibilità di essere scelto…ma…”; “ ecco che arriva la fregatura “ penso; “ …ma se non dovesse essere scelto lo sponsor dovrà trovarlo lei “. Ecco la stronzata del giorno, mi dico e rivolgo la mente ad altro. ” Come io? “ sbotto spazientito, “ con 90 sponsor i soldi devo trovarli io??? …..ma senta un po’ “ gli chiedo conoscendo già la risposta, “ per caso ha letto il mio libro? “. “ Però “ m’interrompe lui senza rispondermi, “ una volta trovati i soldi faremo stampare mille copie in uscita in tutte le librerie d’Italia…solo che…”; “ solo che un cazzo…coglione incravattato “ penso muovendo la gamba sempre più veloce, “ non credo sia possibile “ rigurgito nervoso pensando che ormai la vera editoria non esiste più e le case editrici pubblicano solo cazzoni che sborsano fior di quattrini per pubblicarsi i loro insulsi diari del cazzo. “ Va bene “ ghigna lui teso, “ non c’è problema, aspettiamo…poi le faremo sapere “ e subito mi licenzia con una delle solite scuse banali: “ ho un altro appuntamento, ma non si preoccupi che andrà tutto bene e pubblicherà il suo libro “ evitando il titolo e alzandosi dalla sedia per accompagnarmi alla porta. Fanculo coglione incravattato, penso puntando l’uscita. Quando sto per alzarmi fa un paio di inutili allusioni politiche, chiare nel romanzo anche solo leggendo la valutazione e sicuramente lontane dalle sue, ma non mi dà il tempo di controbattere. L’unica cosa che dico è: “ dovrebbe rinnovare l’arredamento! “, mi gratto le palle, muovo a stento la testa e mi faccio risucchiare dalla bocca grigia dell’ascensore che in un minuto mi sputa sulla strada trafficata dell’ora di pranzo. “ E’ stato un cazzo di sbaglio “, mi ripeto accendendomi un Che aromatizzato. Poi mi fermo nel primo bar che trovo e ordino un Campari corretto. FASCISTIDELCAZZO, mugugno portandomi il bicchiere alle labbra, e telefono a Lia. “ Ciao piccola come va? “ “ Bene, e tu? Che fai? dove sei? “ “ Sono appena uscito “ “ E allora? Com’è andata? “ “ E’ andata uno schifo “ ringhio raccontandole tutto quello che ho visto per filo e per segno.

“ Lascia perdere “ fa lei, “ torna a casa…”, e dopo un altro Campari prendo il primo bus per tornare da lei. L’editoria è una farsa, penso, ma almeno il mio letto è caldo. A Roma inizia a fare caldo, a casa c’è Lia e l’unica cosa di cui ho voglia è bere un altro bicchiere. Magari ubriacarmi. Così quando apro la porta rendo partecipe Lia delle mie voglie etiliche, lei che di solito non beve non fa una piega e prende la bottigia di Fiano dal frigo. Per una volta vino meno scadente del solito, e riempio i due bicchieri. “ Che cazzo di delusione “ sbotto pensando all’incontro della mattina. “ Se vuoi ti lascio usare il mio corpo come un foglio, mi metto nuda e mi lascio scrivere “ gioca Lia per tirarmi su il morale, e non solo quello. Riempio altri due bicchieri mentre lei inizia a togliersi la magliettina bianca e il reggiseno. Mi sento fortunato, penso, fanculo l’editoria; prendo il pennarello e inzio a scrivere un nuovo romanzo. [ ]

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[poesia] |scrap

|scrap di Cristiano Caggiula

LA BONTA’ DEL MALE

Ci sono in ogni uomo, in ogni ora, due propensioni simultanee, una verso Dio, l’altra verso Satana”. Asserzione appartenente al poeta Charles Baudelaire, il quale racchiude in poche parole una filosofia di vita, o meglio, una filosofia per la vita. Agostino di Ippona saprebbe rispondere senza alcun esito, l’uomo vorrebbe perseguire il bene ma essendo incompetente, è con l’aiuto della grazia divina che si può raggiungere tale scopo. L’interpretazione di Bataille, in merito, non è da sottovalutare. Nel suo “La letteratura e il male” vi è una rilettura chiarificante, viva e non racchiusa nella scontatezza delle tematiche inerenti al male, che oggi tanto affascinano i lettori o poetuncoli da strapazzo. La lettura di Bataille è interessante in quanto apre una nuova ottica riguardante le continue contraddizioni tra desideri e scelte baudelariani, la contraddizioni tra i vorrei e le scelte reali della sua vita, sottoponendoli alla storia con fedeltà.

Per quanto questo rifiuto alla produzione possa essere negativo a livello sociale, Bataille lo identifica “positivamente” riguardo l’operato del poeta, la storia e il rapporto produzione-consumo ne è la chiave: “L’operazione, predisposta nel tempo, dava inizio nel mondo civile a una rapida metamorfosi, fondata sulla priorità del futuro, cioè sull’accumulazione capitalistica. Dalla parte proletaria, l’operazione doveva essere rifiutata, in quanto limitata alle prospettive del profitto personale dei capitalisti [...]. Nel campo delle lettere, questa operazione, ponendo fine agli splendori del vecchio regime e sostituendo le opere gloriose con quelle a carattere utilitario, ha suscitato la protesta romantica.” 2

Nei “Fiori del Male”, ciò che accade è analogo in quanto la negazione del Bene da parte di Baudelaire “L’invocazione di Dio, o spiritualità, è un non è altro che la negazione della priorità del futuro desiderio di elevazione: quello di Satana, o inteso produttivamente dal punto di vista capitalistico. animalità, è il piacere di abbassarsi”, continua [ ] Baudelaire. Seguendo l’interpretazione di Bataille, “Il piacere di abbassarsi” è identificabile con il piacere sensibile, “il piacere consuma”, a differenza “Il lavoro fortifica”. In questo senso, vi è una scelta tra il futuro e il presente, ovvero l’interessarsi al sensibile, consumando risorse(presente), oppure al lavoro e accumulando beni(futuro). Bataille, diffidente dall’interpretazione sartriana, che a suo parere pone il problema esclusivamente da un punto di vista morale, la via scelta dal poeta è alquanto singolare, perchè: “Da una parte i suoi appunti(di Baudelaire) sono pieni di decisioni di lavorare, ma la sua vita fu un lungo rifiuto all’attività produttiva.” 1

[1] Bataille Georges, La letteratura e il male, SE srl(2006), Milano [2] Bataille Georges, La letteratura e il male, SE srl(2006), Milano

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lo spettatore pagante di Antonio Asquino

GLI AMANTI PASSEGGERI di Pedro Almodovar

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’ultimo film del regista spagnolo è, per dirla con parole sue “una commedia disimpegnata”, per dirla con parole mie: una commedia e (soprattutto) un film dal risultato insoddisfacente. Già con il precedente “La Pelle Che Abito” si era in qualche modo intuito che la volontà del regista fosse quella di tornare al suo vecchio cinema anni ‘80, riuscito mix tra grottesco, provocazione trasgressiva e qualche tocco surreale (non ci è dato sapere se per mancanza di idee o per precisa volontà artistica), ma mentre quel-

lo riusciva ad essere sorprendente per scrittura, caratterizzazione dei personaggi e regia, questo risulta manierista e incompiuto. Una commedia “leggera”, ma leggera al limite dell’inconsistenza che rasenta l’invisibilità talmente è fumosa. Questa la trama: un aereo diretto a Città del Messico, a causa di un guasto tecnico al carrello, è costretto a rimanere in aria in attesa che un aeroporto si dichiari disponibile a favorire un atterraggio d’emergenza. All’interno del velivolo un gruppo di personaggi poco omogeneo cerca di non pensare alla possibile tragedia tra doppi sensi (anzi sensi unici), bevute, assunzione di droghe, balletti, confessioni e appetiti sessuali ogni tre minuti di film (quando va bene). La pellicola risente dell’assenza di una narrazione appropriata, non essendoci granchè da mostrare e risultando lo script più adatto ad una piéce teatrale che a un film, ci saremmo aspettati zero buchi di sceneggiatura e meno cretinerie da parrucchiere nei dialoghi. Invece il regista iberico esagera e annoia concentrandosi sulle attitudini sessuali degli steward, tralascia gli altri personaggi, si incarta su se JK | 94

stesso e nelle allusioni continue risulta anche ripetitivo. Per quanto riguarda la carica trasgressiva che di solito lo contraddistingue, le battute sono al livello del più patetico Bagaglino (lui forse non lo sa ma in Italia purtroppo ci siamo più che abituati a determinate “finezze” stile cinepanettone). Della regia, della fotografia e delle caratteristiche estetiche non possiamo dire molto vista la struttura e l’ambientazione del film, l’unica scena che si può definire “memorabile” è forse quella del momento di euforia da musical dei tre steward, ma anche lì, i primi secondi sorridi, quando poi capisci che ti toccherà sorbirti tutto il brano e tutto il balletto non vedi l’ora che finisca. La fotografia è sgargiante come nella migliore tradizione anni ottanta per l’appunto ma in un contesto del genere lascia totalmente indifferenti, come un pò tutto il film. [ ]


[cinema] lo spettatore pagante

EDUCAZIONE SIBERIANA di Gabriele Salvatores

P

er la serie: “quando il dito indica la luna l’imbecille guarda il dito”. Mi spiego, parlando con qualcuno che ha visto il film e leggendo qualche critica sembra che i “gravi” problemi di questo film siano: che il romanzo non è veritiero, che non si riesce a connotare con precisione geografica la “Siberia” del titolo, che Salvatores sia più a suo agio con i filmetti che un pò di anni fa lo hanno reso famoso e che (questa è la più clamorosa) il film sia brutto perchè favorisce una visione troppo positiva dei “banditi gentiluomini”. Ecco, preso atto di queste idiozie, entriamo nel merito per chiarire subito che: un romanzo, così come qualsiasi opera d’arte, a meno che non sia strettamente documentaristico, non DEVE essere giudicato in base a nessuna (e sottolineo nessuna) veridicità, reale o presunta; dell’esatta connotazione geografica di un luogo dovrebbe importare poco: quando vedo un film ambientato a Roma non mi preoccupo se una strada, una piazza o un qualsiasi altro luogo scelti per ospitare le scene in esterna esistano davvero o corrispondano alla realtà, non sono un impiegato del catasto, nè l’addetto comunale alle cartine topografiche o geografiche in genere, quindi chi se ne frega? Non vedo perchè sul mio giudizio dovrebbe pesare l’individuazione o meno della “Siberia” del titolo ,insomma; Salvatores fondamentalmente ha fatto succes-

so con i film meno interessanti che ha girato (insomma commediole a tema amicale-avventuroso) e la migliore opera di tutta la sua filmografia è senza dubbio “Come Dio Comanda” (che infatti un pò viene ricordato nell’impostazione data a “Educazione Siberiana”); infine se si facesse un discorso basato sulla

“moralità” di una qualsiasi opera culturale sparirebbe l’ottanta percento dei capolavori che hanno fatto la storia dell’uomo dalle Grotte di Altamira in poi e chiunque guardi alla “moralità” per giudicare un’opera d’arte meriterebbe di perdere tutti e cinque i sensi quando ci si trova davanti per poi riacquistarli magicamente solo se decide di vedersi porcherie tipo “Un Medico In Famiglia” o un’altra qualsiasi a

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caso tra le centinaia di orrende fiction che ci propina la tv generalista italiota. La premessa era necessaria per analizzare il film come un film e non come qualcosa che non è: liberamente tratto dall’omonimo romanzo autobiografico dell’italo-russo Nicolaj Lilin, il film ha come protagonisti un gruppo di amici cresciuti in una comunità di criminali (esiliati dal governo russo tutti nello stesso luogo) che si tramandano di generazione in generazione una sorta di codice etico. Tra flashbacks che si sovrappongono al presente vediamo Kolyma, soldato russo che combatte i ceceni, che ricorda le sue esperienze giovanili, l’amicizia con Gagarin e la sua storia d’amore, mentre diventa “uomo” seguendo le regole (l’”educazione siberiana” del titolo) impartitegli dal nonno ( un grande John Malkovich). I due amici cresceranno e le loro storie prenderanno strade diverse proprio mentre il film farà combaciare sapientemente i piani temporali del racconto. “Educazione Siberiana” è un gran bel film, un film di ottima messa in scena, scrittura convincente, montaggio splendido e impressionante fotografia. Salvatores racconta fatti e luoghi con cura, attenzione e grandi capacità visive (insomma con tutto ciò che solitamente gli è mancato), ma riesce a rendere credibile il film anche come crime-movie, accentuando gli elementi classici del noir nella suggestiva ambientazione e creando personaggi credibili (attori tutti so-


[cinema] lo spettatore pagante

pra la sufficienza). Merito anche della sceneggiatura dei soliti Rulli-Petraglia, della bravura della costumista Patrizia Chericoni e della capacità di saper ricostruire con dovizia di particolari gli ambienti. Tra le scene memorabili, citiamo quella del recupero del pianoforte con finale sott’acqua, quella della giostra e quella

LA MADRE di Andres Muschietti

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ndres Muschietti dirige una ghost story convincente, d’altronde se Guillelmo Del Toro ha deciso di trasformare in film il cortometraggio diretto dal regista argentino nel 2008 significa che alla base del progetto ha visto qualcosa di valido. La scommessa può dirsi vinta perchè questa pellicola di vendetta e rabbia sospesa tra horror e thriller paranormale convince con una serie di sequenze azzeccate ed efficaci ina una struttura narrativa agile ma credibile che fa rimanere lo spettatore incollato allo schermo. La storia è quella delle due sorelle Victoria e Lily abbandonate in un cottage isolato in montagna dal padre. L’uomo, divenuto omicida in seguito ad un raptus, compie una strage (madre delle bambine compresa) e si suicida, mentre le bambine regrediscono allo stato primitivo e vengono mantenute in vita da una presenza misteriosa (subito palesatasi sullo schermo). In seguito, ritrovate per conto dello zio, si uniscono alla famiglia composta da quest’ultimo con la sua compagna, ma gli strascichi di un legame materno ossessivo e maledetto metterà a dura prova il nucleo familiare. Muschietti dimostra perizia e abilità, riesce a impostare il ter-

dell’agguato alla polizia ma in realtà non c’è niente in questo film che non meriti un plauso. Cinema di respiro internazionale, di pregevole fattura stilistica e anche di emozione come sempre più spesso ci auguriamo di vedere nel disastrato panorama italiano. []

rore entro i contorni dell’inquadratura, sfrutta bene piani sequenza e angolazioni di ripresa e si avvale di ottimi giochi di luci e ombre. Si rifà forse un pò agli horror giapponesi sia nella trama e sia nell’utilizzo iconografico dello spettro ma riesce

a rimanere entro i confini che non fanno gridare al plagio mostrando eleganza stilistica, scrittura scorrevole e priviliegiando atmosfere rarefatte in scene mozzafiato come nel prologo, perfetto registicamente in tutto, dalla fotografia magni-

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fica, alla capacità di restituire la tensione prima, durante e dopo la scena dell’incidente. Oppure la scena in cui la camera taglia perfettamente a metà lo schermo e nella casa vediamo da un lato il corridoioe dall’altro la più piccola delle due sorelle giocare con questa fantasmagorica presenza materna. A proposito di quest’ultima, dobbiamo dire che la splendida fisicità dell’interprete riesce nelle sue posture disarticolate e nelle sue ombre, proiettate nello spazio e incombenti sui personaggi, a trasmettere reale inquietudine, anche se forse in alcuni momenti questa caratteristica risulta troppo accentuata e scade, forse un pò, nel grottesco. Molto bello e da rimanrcare anche il continuo gioco di sguardi che avviene tra le bambine inquadrate e questa “madre” quando è fuori scena. In conclusione un film gradevole e ben costruito, niente per cui strapparsi i capelli ma ricco di scene memorabili e accettabile coefficiente di paura (almeno rispetto all’ottanta percento del ciarpame horror che circola nelle sale di questi tempi). [ ]


[TEATRO-Libri] L'occhio

L'occhio di Sabrina Tolve

ALDOMORTO54 54 GIORNI DI SPETTACOLO E PRIGIONIA

I

l rapimento (e l’uccisione degli uomini della scorta, Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) con il conseguente omicidio di Aldo Moro racchiude in sé tutta la storia di quelli che si è soliti chiamare anni di piombo. Sì, probabilmente l’assassinio del fautore del compromesso storico fu il fatto più eclatante, ma non vi fu solo quello, in quegli anni. Sparatorie, gambizzazioni, uccisioni. Tutto in nome di qualcosa di più grande, la lotta armata, la necessità di cambiare il mondo, e di cambiarlo con la violenza. Unico modo possibile. Non parlo qui delle stragi di stato. Quelle appartengono a un terrorismo di destra che almeno in questa recensione può essere saltato a piè pari. Qui ci interessiamo al terrorismo di sinistra. Estrema sinistra. Il titolo che dà il nome allo spettacolo di Daniele Timpano e dallo stesso interpretato, racchiude in sé pochi dati: Aldo morto. Perché di Aldo Moro si sa ben poco. Sappiamo che morì. Ed è un dato certo. 54. Cinquantaquattro o cinquantacinque? Cinquantacinque sono i giorni di prigionia. Ma poiché il cinquantacinquesimo giorno Aldo Moro venne ucciso, allora è più giusto dire che Aldo Moro ebbe cinquantaquattro giorni di prigionia. Il cinquantacinquesimo morì. E fu ritrovato nel portabagagli di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani. La strada che divideva la sede nazionale della Democrazia Cristiana dalla sede nazionale del Partito Comunista Italiano. Lo spettacolo non è uno spettacolo facile. Snocciola con poca diplomazia tutti gli orrori ideologici di chi si fece portatore violento di un’ideologia. C’erano i brigatisti. Ora, chi più chi meno, abbiamo ex brigatisti svenduti al capitalismo e alla società che abbiamo per madre. Anni di carcere non li hanno induriti? Resi più cattivi? Più violenti? Più estremisti, coerenti, crudeli, vicini all’idea che portavano avanti? No. Evidentemente no. Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse, pare essersi del tutto redento. Ha abbandonato la strada del terrorismo (pur avendo sposato un’ ex terrorista) e ha fondato una cooperativa sociale, Sensibili alle foglie, che è una casa editrice di cui è direttore editoriale. Gli argomenti trattati, di tipo sociale, fanno di Curcio un buon padre di famiglia. Adriana Faranda, invece, collaborò con lo Stato. Si “dissociò” dall’azione violenta degli omicidi e dopo gli anni di carcere è diventata una scrittrice. Edita da Rizzoli. Un paradosso? Decisamente. O forse no. Daniele Timpano è inclemente. Crea voragini nelle fasulle certezze che molti si portano dietro. Fruga, istiga, provoca. A volte è spietato. La voglia che si ha è quella di alzarsi, borbottare, discutere (animatamente). Ma è una voglia, e resta tale. Perché lo spettacolo è convincente. Perché lui è convincente. Lontano, molto lontano (per fortuna), dagli attoruncoli da dizione e senz’anima, Timpano riesce a inchiodarti alla poltroncina del teatro. Il riso è amarezza. L’amarezza in sé è viva e si fa strada durante tutto la piéce. Viene da chiedersi cosa ci resta ora che il rosso è appassito, morto tra le spire di un rosa senza vita, né personalità. Dove sono le idee? Dove sono le spinte emotive, la necessità, la brama, la voglia incontrastabile di cambiare le cose?

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[TEATRO-Libri] L’occhio

Dove? A cosa si è ridotta la politica? Dov’è il nostro estremista che oggi non ha più il nome di Brigate futuro? Cosa ci resta? Delle idee, cosa ci resta? Rosse, ma il nome di Teatro. Un Teatro perduto a cui È tutto in frantumi, tutto. Non possiamo continuare tutti dovremmo dire grazie. [ ] a ribellarci attraverso gli schermi del computer. Poi ribellarsi di cosa, per cosa? Come se nei nostri anni sentissimo così forte l’esigenza di capovolgere le classi sociali e il potere costituito, come se adesso esistessero ancora i proletari. Come se la lotta fosse ancora rivolta al padrone. Ci hanno ridotto alle briciole. Non abbiamo nemico più nemico del povero più povero di noi. Che a tutto diritto, ha più diritti di noi. E noi cosa abbiamo? Uno spettacolo deve chiedere. Deve interrogarci. Deve porci delle domande. Noi sappiamo rispondere? Dubito. E mentre scrivo mi chiedo a cosa pensa Timpano, nascosto e imprigionato a teatro, nella sua celletta (due metri per tre come quella di Aldo Moro?), chiuso, per tutti e 54 i giorni di prigionia di Aldo Moro. Chiuso, a sentire su di sé la stessa prepotenza violenta ed

IN BILICO STATO ESITARE TRA PROGETTI E

N

on è facile parlare di precarietà col viso sereno. Ormai il lemma è abusato, esausto, sfinito. Un po’ come tutti noi. PRECARIETA’ Divisi tra famiglie e lavori inesistenti, provare ad avere una vita “normale” come quella che hanno avuto i nostri genitori (un lavoro, la pensione, i figli, qualche possibilità) è qualcosa che non ci possiamo permettere. Tentare di crearsi una vita nuova con delle occasioni nuove, andare via, fuggire via dal nido familiare, in attesa di qualcosa che può accadere. Che dovrebbe accadere. Che non accade, quasi mai. Ne fa i conti, all’interno della piéce In bilico stato, il giovane Ugo, interpretato da Bruno Petretti. Sfidare la crisi, credere di poter diventare qualcuno, seguire sogni e desideri, idee. Ma non tutto quello che crediamo si possa controllare, si può controllare davvero. L’amore e le pulsioni, gli istinti, non si controllano. E quando l’amore, quando Marta (Selene D’Alessandro), con la sua precarietà, entra nella vita di Ugo, la deflagrazione si fa silenziosa. Come un palloncino in volo. L’opera di Francesca Paola Scancarello, nata da un’improvvisazione teatrale e divenuta prima corto e poi atto unico, riporta con delicatezza e tenerezza i temi difficili della disoccupazione, della mancanza d’un futuro certo, dello sgretolamento della società cui facciamo parte. Dalla situazione reale dei lavoratori del Consorzi Rifiuti del Sannio, ai contratti a progetto, ai famosi co.co.co., l’opera è uno spaccato reale della vita di molti. Rivivere in scena il dramma con qualche venatura di comicità, fa riflettere maggiormente sulla nostra inadeguatezza nell’accettare e comprendere qualcosa di cui non siamo i fautori. O forse sì? [ ] JK | 98


[TEATRO-Libri] L'occhio

BRAN MARSHALL PARTITURA SPEZZATA-LA MUSICA TRA LE NOTE

L

’opera prima di Bran Marshall è un viaggio. È un viaggio multiplo, oserei dire. È un viaggio tra le strade calde e assolate, e buie e opprimenti, di Napoli. È un viaggio tra le immagini flessuose del femminino. È un viaggio scandito da ricordi e sensazioni della vita di un uomo. Si attraversa lo spazio-tempo con leggerezza e senza peso. Sebbene spezzata, la partitura appare comunque come un’unica, solida, offerta votiva. Lo è la vita stessa, che si dimena tra verità e finzione, attraverso le pagine di un libro che sa coinvolgere. Libero da moralismi, buonismi, ipocrisie, quel che si sente durante la lettura di quest’opera, è che ci sia tanta, tanta verità. I fatti passano in secondo piano rispetto alle sensazioni, le bramosie, le voglie, le lacrime, i silenzi. Si assiste a un’evoluzione che sa essere crudele, eppure piena e ricca e ha l’apice totale in chiusa. Come piace a me. La storia di Bran si snoda tra l’adolescenza e una troppo fulminea entrata nel mondo adulto, fatto delle più volgari bassezze e di assenze profonde. Partitura spezzata – Diario spirituale di un Di assenze così profonde da creare fratture difficili da risistemare. prostituto di Bran Marshall Edito da Robin – collana La biblioteca di domani, E nell’assenza c’è la fuga, una fuga da se stessi prima che dai 335 pgg. luoghi che ci portiamo dentro. Perché sono convinta che noi siamo i luoghi in cui viviamo. Ne assorbiamo aria e li respiriamo, diventando in parte la medesima cosa, la medesima carne. E poi dall’assenza, dalla fuga, dal tempo che si allontana, riemerge il passato a chiederci di chiarire il sospeso. A chiederci di mettere un punto a quello che è stato. E se il punto richiede un’intensa introspezione, una maggiore comprensione, allora forse l’evoluzione si fa spirituale. E tutto si chiude come dovrebbe, riequilibrando tutte le spossatezze della vita. Non vi aspettate, dunque, il becero libro pseudo-erotico da spiaggia. Non lo è. E la prosa con cui è scritto, non lo permetterebbe comunque. [ ]

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parodia della volonta' di Edoardo Vitale

LA PARTITA DI CALCETTO

È

un tardo pomeriggio come gli altri. Tutto volge al termine senza particolari drammi, ed io sono lì, bello allegrotto e compiaciuto di questo. Mi sfrego le mani felice di poter voltare un nuova pagina dell’agenda senza esser stato arrestato, senza aver dovuto pagare bollette o multe, senza esser stato licenziato. Una giornata normale ed indolore, di quelle che piacciono a me. Ordinaria amministrazione, ecco. È martedì, che meraviglia, stasera c’è Ballarò. Pigiama e divano, due tweet nel primo quarto d’ora e alla seconda pubblicità sarò già alla settima fase rem. L’ho sfangata anche oggi. Poi, d’improvviso: squilla il telefono. Da qui in poi, una serie di scelte sbagliate stravolgeranno il corso della storia. Chi può telefonarmi di martedì alle 19.46 ed avere

buone intenzioni? Errore n°1, rispondo: “Pronto, ciao. Una partita di calcetto? Beh non lo so, sì è una buona idea, ci divertiremo come ai vecchi tempi, dai. Allora ci riaggiorniamo, magari ci prendiamo un caffè un giorno di questi, ne riparliamo con calma e ci si organizza. Una partita di calcetto! Ma che bella idea, sì. A presto, allora ciao.. Cosa? Oggi? Fra un’ora? Ah.. Oddio. Mi cogli alla sprovvista, non saprei.. No, non ho nulla da fare. No ma non è quello.. Ci sarebbe Ballarò.. No, niente di che, è un programma tv, approfondimento politico.. Ma che significa che tanto sono passate le elezioni? No ma domani non avrebbe senso vederlo, no.. Ma.. Sono già entrato su twitter, sto scaldando gli hashtag.. No.. Ma, pigiama e divano.. Aspett.. – errore n°2 – va bene dai sì, vengo.” Perché ho accettato? Non lo so.

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[sterilita’ del benpensare] parodia della volonta'

Sono stato incastrato. Ballarò, ma che scusa del cazzo è? Che stupido! Ho ancora una nonna, tra le cartucce dei lutti fittizi da giocarmi in caso di emergenza. Stupido! Stupido! Come ho potuto dimenticarlo? Nell’immensa palude di leggi non scritte delle partite di calcetto, una volta che accetti è impossibile fare marcia indietro. Una volta detto il fatidico “sì”, sei arruolato e nessuno ti risponderà più al telefono, nessuno leggerà sms, email, what’s app o messaggi su facebook, impedendoti di disdire l’impegno. E non si può, non si deve mai, dare buca e lasciare gli altri in nove. L’organizzazione di una partita di calcetto si fonda su un contratto sociale talmente perfetto, che a Hobbes, francamente, gli rompe il culo. Se non trovi subito una buona scusa, decisa, convincente ed inattaccabile, non ci si può più tirare indietro. Saranno anni che non gioco a calcetto. Gli scarpini si sono induriti ed impolverati, la maglia dello scudetto della Roma è sbiadita. Il papa è cambiato due volte! Anni di sigarette e inattività. Ma come faccio a giocare a calcetto? Dovrei recuperare un milione di visite mediche saltate, analisi del sangue da cui sono scappato, avrei bisogno di almeno cinque o sei elettrocardiogrammi per avere certezze sulle capacità di tenuta del mio cuore. Non posso giocare a calcetto, non ho più il fisico! Iniziano ad insinuarsi nel mio cervello le paranoie di morte. Ma che figura faccio se muoio così? Sono uno scrittore, mi attendono suicidio, overdose, incidenti stradali. Ma che wikipedia di merda avrò? Morto durante una partita di calcetto di martedì dalle 21 alle 22, campo B, neanche quello in terza generazione, di quelli con i pallini neri che finiscono anche nelle mutande. Manca mezzora, devo scrivere un testamento in caso di disgrazia. “Stronzetti, dovete diventare tutti vegetariani, altrimenti vi perseguiterò nel sonno. Ricordatemi come un genio incompreso per la mia generazione. Al funerale mandate Wild Horses dei Rolling Stones, niente messa, seppellitemi al cimitero ateo. Andate affanculo, mortacci vostri”. Ma no dai, fa pure freddo, mi prende una congestione, una polmonite, mi strappo un muscolo. Oddio!

E se mi rompo un ginocchio? No, non se ne parla, sta arrivando l’estate, col cazzo che mi faccio le vacanze con il gesso. No, no! Ma perché ho accettato? Sono un coglione! Ma poi, anche se dovessi sopravvivere: l’acido lattico affliggerà per settimane ogni singolo muscolo del mio corpo! Devo almeno vedere una play list su You Tube delle magie di Zidane per darmi un po’ di carica. Ma perché mettono sempre queste musiche tamarre sotto questi video? Oh cazzo devo mangiare qualcosa. È tardi, vomito in campo se mangio qualcosa ora. Sì, ma non posso andare a stomaco vuoto, sento già il calo di zuccheri, finirò per svenire sicuramente così, ho pranzato con due gallette e il paté di olive. Ma che ne sapevo che finivo a giocare a calcetto? Non ho le proteine necessarie adesso. È finita. È finita. Ore 20.51, drin drin: sms. “Campo occupato, partita annullata”. “Accidenti, che peccato! Sarà per la prossima volta”, rispondo. Mentre parte un’esultanza che neanche dopo un gol decisivo al ’90, in finale dei mondiali. Sforbiciata con atterraggio perfetto sul divano. Giusto in tempo per la copertina di Crozza. []

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[immaginario] sommacco

|pic by ale.spanu@gmail.com

verderame di Claudio Avella

L’EFFETTO FARFALLA E’ UN PUGNO NELLO STOMACO

P

allore.... Insolente marrano. Mi metti spalle al muro e faccia a faccia con la mia incongruente e paradossale essenza. Spalle al muro e anima allo specchio. Ma è a questo che serve un alter ego. A uscire dal corpo ed entrare nel mondo esterno senza presentarsi all’usciere. Rifletto sul da farsi e mi do una sola risposta...devo camminare pian piano, passo passo verso l’armonia tra interiore ed esteriore. L’unico modo per liberarsi di una vita virtuale è il suicidio nominale. Chiudo gli occhi, così che nessuno mi veda più. Chiudo con la società virtuale per riaffacciarmi alla

virtù del mondo materiale. Bisogna toccare con mano le cose. Sentire la carta che scorre tra le mani quando si legge un libro o un giornale. “Sporcarsi” di terra ed erba sdraiati tra le frasche. Contemplare la bellezza. Ecco...la bellezza... Cos’è la bellezza? Questa sconosciuta... Vedo tanta bruttezza intorno... ma non so definire cosa sia la bellezza... aspetta... forse sì... riprendo una vecchia Moleskine. Nemmeno tanto vecchia. La sfoglio e trovo segnata questa data: 31/03/2012. Poco più di un anno fa. Allora mi trovavo in un villaggio di poche decine di abitanti sperduto tra le montagne a nord di Marsiglia. Aiutavo a costruire una casa in paglia e fango.

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[sterilita’ del benpensare] verderame

o muovesse un dito. La gente non stava nemmeno guardando altrove, non era distratta: stava evitando di guardare. È ben diverso. Così rifiutiamo di vedere ciò che riflette la parte più scomoda di noi stessi e non ci accorgiamo che proprio di fianco ad essa sta la parte più bella di noi stessi. Così che quando ci specchiamo quello che ci rimane da guardare è la parte più mediocre. [ ]

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JUST KIDS

Lavoravo tutte le mattine sul tetto di quella casa. E quando facevo pausa intorno avevo solo montagne e boschi che si estendevano per chilometri...una vera pacchia. Un giorno iniziai a camminare da solo su un sentiero e dopo un po’ mi fermai. Mi sedetti e iniziai a scrivere sul mio taccuino. Le solite riflessioni, che chiunque prima o poi si ritrova a mettere nero su bianco, su che direzione debba prendere la propria vita. Scrivo una decina di pagine. Poi chiudo. Alzo lo sguardo e per un attimo ho un sussulto. Una sensazione inspiegabile di stupore, meraviglia, benessere, angoscia, inquietudine, un pugno nello stomaco di incantevole sbalordimento. Gli uccelli, il cielo, il grigio e il bianco delle cime. Tutto. Una volta Chris, un caro amico che da tantissimi anni vive insieme a sua moglie Marthe (vedi Verderame #1) progettando fattorie ecologiche in tutta Europa disse: “la Natura è bella in tutte le sue fasi, dalla nascita del fiore fino alla decomposizione del frutto”. Ho capito cos’è la bellezza: siamo parte della natura. Esiste una sorta di ricordo ancestrale, una sorta di riconoscimento dell’appartenenza alla Natura da parte delle nostre viscere. E così quando entriamo in risonanza con essa si scatena in noi un movimento caotico...le farfalle nello stomaco...che provocano dei tornado nella nostra testa. Eppure nella vita di tutti i giorni questo spesso ci sfugge. Ci dimentichiamo di cosa siamo fatti. Ci sentiamo più vicini alla plastica che all’acqua. Lo stiamo geneticamente diventando. E rifiutiamo l’umano. Rifiutiamo il bello. Soprattutto il bello interiore. Mi riferisco tra le altre cose all’abbrutimento delle nostre coscienze. Stiamo raggiungendo il Nirvana dell’indifferenza: un giorno ero seduto in fondo a un tram a Milano. Ad un certo punto sento un tonfo ed un lamento a metà tra un miagolio e una sirena stonata. Alzo lo sguardo. Un senzatetto, probabilmente completamente sbronzo era caduto dal proprio sedile. In una posizione convulsa, quasi di un feto ripiegato su sé stesso; teneva la faccia premuta per terra ed emetteva il suo lamento. Non ho visto alcuna persona alzare un dito. Non uno sguardo, non una parola...mi sono dovuto alzare dal fondo del mezzo e scavalcare un intero vagone affollato per tirarlo su e chiedergli se stava bene. Dopo averlo letteralmente riposto sul proprio sedile mi sono guardato attorno: nessuno che dicesse nulla


[immaginario] la nuova era e' adesso

la nuova era e’ adesso? di Sara Fusani

La Tatcher, il cambiamento e l’energia femminile La richiesta di un cambiamento politico, economico e sociale arriva a gran voce dai cittadini di tutto il mondo desiderosi di un rinnovamento che possa permettere il ritorno della giustizia, della stabilità e del benessere diffuso. La crisi economica che ha sconvolto il pianeta negli ultimi dieci anni ha chiuso un’epoca mostrando falle e debolezze di un sistema basato in gran parte su un unico scopo: quello di creare profitto a qualunque costo. La cattiva notizia è che quel “qualunque costo” è molto caro, e lo paga sempre chi di questo profitto non vede neanche uno spicciolo. La buona notizia invece è che in tutto il mondo sempre più persone decidono di partecipare attivamente e creativamente alla tessitura di altre possibili strutture economiche, democratiche e sociali per arrivare a costruire situazioni in cui, molto semplicemente, si vive meglio. Insomma una Nuova Era sembra cominciata anche se al momento siamo nella transizione tra quello che non funziona più e le possibili opzioni di quello che potrà essere: in pratica siamo nel caos, il brodo di coltura ideale per brillanti rinascite ma anche un terreno fertile per brusche e spaventose retromarce. Faccio questa introduzione perchè la morte di Margaret Thatcher, avvenuta recentemente, mi ha stimolato molte riflessioni su che cosa della sua esperienza possiamo considerare come tesoro per compiere scelte migliori e che cosa possiamo invece ancora conquistare che sia fuori dagli schemi usati fino a ieri. Quindi, la Tathcer è morta e per me che sono nata quando lei era già Primo Ministro è stata una occasione per rinfrescarmi la memoria sul suo operato e rendermi conto di persona dell’impatto che ha avuto e continua ad avere sull’opinione pubblica mondiale. Sento la battuta JK | 104


[immaginario] la nuova era e’ adesso

|pic by Spett Art

di Ken Loach sulla privatizzazione del suo funerale e sento la canzone “ding dong the witch is dead”, dalla colonna sonora del film “Il mago di Oz”, scalare le classifiche britanniche in pochi giorni, vedo cittadini e cittadine comuni che arrivano a Londra da tutta Europa per seguire il funerale di “una grande donna che ha ispirato le nostre vite” e allo stesso funerale vedo altrettanti cittadini e cittadine che al passaggio della bara le voltano le spalle. I giornalisti intervistano chiunque gli capiti a tiro per raccontare la controversia del personaggio mentre gli economisti limitano le loro argomentazioni a giudizi fondamentalmente di due nature: liberismo sì, liberismo no. A me tutto questo parlare fa tornare alla memoria una intervista al Dalai Lama riportata da una giornalista francese. Riguardo al futuro del pianeta si era pronunciato così: per sopravvivere il mondo ha bisogno dei valori che la donna incarna. Ovviamente quelli di cui parla sono valori anche degli uomini, per quanto fisicamente meglio rappresentati dalla natura femminile: una maggiore connessione con i cicli vita/morte della natura, la capacità di accogliere, di ascoltare, di sentire le emozioni e sopratutto di essere compassionevoli. La compassione, cioè la capacità di sentirsi coinvolti in quello che accade agli altri, secondo il Dalai Lama, è la qualità dell’energia femminile che più di tutte andrebbe esercitata da donne e uomini desiderosi di creare un mondo che si poggi su presupposti diversi. Guardando con i miei occhi le reazioni che è ancora in grado di suscitare anche dopo la morte, sono costretta a pensare che Margaret Tathcher sia un personaggio così controverso proprio in quanto donna. Se fosse stato un uomo a compiere esattamente la stessa carriera, con gli stessi esordi, gli stessi sogni e le stesse scelte fino alla fine, sarebbe stato senza dubbio ricordato in modo più misurato, sia dai sostenitori che dagli oppositori: un grande leader oppure un uomo con pesanti responsabilità sociali. Allo stesso modo, il “ferro” che fa parte del suo soprannome restituisce una idea di impenetrabilità, freddezza, indistruttibilità e capacità di procurare dolore, che accostato al sostantivo “lady” crea un vero e proprio ossimoro. Forse per questo risulta essere uno dei capi di governo a cui è stata dedicata più produzione di musica, cinema e libri al mondo, come se gli intellettuali e gli artisti, oltre a voler fare informazione e denuncia stiano da decenni cercando di decifrare un enigma, come se ripercorrere e raccontare ancora e ancora quella storia possa svelare la falla, il punto in cui il meccanismo si è inceppato. Come può una donna, per di più madre, decidere di tagliare la spesa del latte gratuito per i bambini nelle

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[immaginario] la nuova era e' adesso

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JUST KIDS

scuole? Come può, per pura scelta di immagine e per difendere l’orgoglio nazionale, decidere di attaccare e affondare una nave argentina mandando a morire soldati di cui lei stessa potrebbe essere madre quando i suoi colleghi e consiglieri, insieme a Regan dagli USA, le consigliano di optare per la strada diplomatica? Come può ridurre in miseria migliaia di famiglie di minatori senza pensare per loro una soluzione lavorativa alternativa, ben sapendo che quei minatori a casa hanno delle mogli e dei bambini da mantenere? Insomma, nelle scelte del suo mandato che ancora oggi fanno discutere, pare evidente che manchi il cuore: non inteso come veicolo di facili sentimentalismi, ma come capacità di prendere decisioni guidati non solo dal calcolo e dalla strategia ma anche dall’empatia e dalla capacità di farsi coinvolgere in quello che accade agli altri. In fin dei conti una domanda sorge spontanea: come puoi prendere decisioni per tutti se non hai idea di come si sentono le persone per cui decidi? E peggio, se sai come si sentono, come puoi ignorarlo? Se mi potesse leggere senza dubbio sarebbe inorridita: appunti biografici testimoniano di una discussione che ebbe con un medico a proposito del concetto di “sentire”: semplicemente le sembrava assurdo usare le sensazioni o le emozioni come metro per misurare la realtà, che andava invece costruita su idee e concetti. Molto singolare il fatto che proprio i fedelissimi del suo partito che ha in qualche modo guidato e dominato tutta la sua carriera, abbiano deciso a un certo punto di lasciarla sola e voltarle le spalle, preoccupati per l’ennesima perdita di consensi: per giustificarsi le hanno ricordato che ci voleva un leader capace di ascoltare, una qualità che in quanto donna avrebbe avuto innata, se l’avesse mai sviluppata. La sua durezza e la sua incapacità totale di mettersi in discussione, in prima battuta, l’hanno portata al successo in un mondo di uomini, e alla fine, per mancanza di equilibrio, l’hanno condotta ad una uscita di scena mai del tutto digerita. Comunque sia, la Tathcher non sarà con noi nella Nuova Era, e per quanto mi riguarda, riflettere esclusivamente sull’efficacia o meno di una ideologia credo che non basti più: oggi più che mai c’è grande bisogno di leader che siano prima di tutto esseri umani equilibrati in cui riconoscerci e con cui poter condividere scelte e passi in avanti. [ ]


[sterilita’ del benpensare] cattivi pensieri

cattivi pensieri di Franco Culumbu

La Via Lettea

Habemus imperatorem, abbiamo un Presidente, finalmente si direbbe. Fallito il tentativo Bersani, La “Via Lettea” ha convinto tutti. Improvvisamente tutti felici. Un Governo vero. A tempo determinato ma vero. E c’è pure il ministro “di colore”, roba forte. Ha pure ricevuto parole di approvazione dal massimo intellettuale “di colore” del Paese, Mario Balotelli: “la nomina di Cecile Kyenge…e’ un grande passo in avanti verso una societa´ italiana più civile…”. Mi ha convinto. E indovinate che ministero gli hanno dato? Il ministero dell’integrazione. Un po’ come mettere un’arancia a ministro per l’agricoltura o un’antenna per ministro delle telecomunicazioni. Un ministero inutile, bastava nominare una Cecile Kyenge a capo di un ministero vero (Economia, Interno etc.) e ci risparmiavamo questo balletto di retorica buonista. Ma torniamo alla genesi del primo Governo di “larghe intese degli ultimi 40 anni” (E. Letta). Il fatto è che le ragioni, peraltro inconsistenti, per cui il Piddì ha sconfessato per due mesi ogni tentativo del martire Bersani di fare l’unica cosa ragionevolmente possibile, cioè avvicinarsi alla grande coalizione coi Berluscones, bene queste ragioni non sono affatto venute meno. Metà del Piddì (forse di più), tutta SEL e i Grillos, continuano a considerare questo inevitabile compromesso storico un patto col Diavolo. Solo che di fronte al casino post-dimissioni di Bersani (per il post-dimissioni della Bindi parlerei piuttosto di sollievo), con Renzi preso di sorpresa dalle liete nuove e incapace di controffensiva, e con Napolitano 2.0 incazzato che sculacciava politici in giro, in tutto questo ci si è dimenticati perchè odiavano Silvio e si è accettato, tutti zitti, la “Letta Via”

come la Soluzione Finale. Bene direi, per la sopravvivenza nel breve/medio periodo del Paese (vedi anche: rendimento decennale dei titoli di Stato italiani sceso dopo la nomina di Letta ai minimi dal 2010). Durerà poco, più o meno poco a seconda di quanto Letta saprà essere democristiano e destreggiarsi tra il placare il furore berlusconico e lo zittire il complesso sinistrorso della verginella che non scende a compromessi. Ma intanto vediamo cosa riesce a fare questo Governo politico con ambizioni tecniche (solo riforme “alla Monti” nel programma, riforme senz’anima per sopravvivere qualche anno in piu’ al rogo non certo per rinascere dalle ceneri). Anche perchè c’è davvero bisogno, tanto per cambiare, di qualcuno che prenda decisioni, si prenda responsabilità, sistemi una volta per tutte la governance caotica del Paese e dica chiaro alla gente che non si possono piú fare i giochetti del passato, le furbate assistenzialiste, le tasse non pagate e gli scioperetti per gli aumenti di stipendio senza corrispondenti aumenti di produttivitá. E che se voti Grillo non risolvi certo i problema del Paese (con la decrescita felice, le centrali elettriche che non inquinano e tutte quelle altre stronzate). Bene Letta che va a Berlino e Parigi a farsi vedere e a chiedere le solite “politiche per la crescita nel rispetto del rigore” dei conti. Solito mantra, però necessario. La Spagna ha ottenuto pochi giorni fa col governo Rajoy una ”dilazione dei termini di rientro dei conti pubblici entro i paramentri di Maastricht” (non ho idea di cosa voglia dire questa frase ma l’ho sentita parecchie volte e ho finito per crederci). Ora tocca a noi provare ad allentare la stretta in cambio di un impegno europeo a investire per smuovere l’economia arenata e ad aumentare il tenore di spesa dei tedeschi. In effetti i tedeschi hanno generalmente stipendi più alti dei nostri e un costo della vita più basso, quanto meno nelle grandi città: sostenendo la domanda interna del Paese piu’ ricco d’Europa, di fatti, si fa crescere l’economia di tutti. Basta convincere i tedeschi a essere meno tirchi quando vanno al supermercato: ecco quale dovrebbe essere il vero obiettivo del Governo Letta. [ ]

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sex on di Catherine

NON HO AVUTO TEMPO #letourbillonedelavie JULE:

E’ psicologia, è metafisica. In una coppia quello che importa è la fedeltà della donna, quella dell’uomo è secondaria. Chi ha scritto ‘la donna è naturale, dunque abominevole’?

JIM:

Baudelaire, ma parlava di donne di un particolare ambiente. JULES: Niente affatto, parlava della donna in generale. Quello che dice della donna è straordinario: spregevole, mostro, assassina dell’arte. È stupida, è corrotta, l’imbecillità totale insieme a una notevole depravazione. Un momento, non ho ancora finito, questa è bellissima: mi sono domandato spesso come mai lascino entrare le donne in chiesa, di che cosa possono parlare loro con Dio?

CATHERINE:

Siete due idioti!

JIM:

Io non ho aperto bocca e poi non è detto che sia d’accordo con quello che dice Jules alle due del mattino.

CATHERINE:

Allora protesti. [Il tuffo di Catherine entrò negli occhi di Jim a tal punto che il giorno dopo ne fece un disegnetto, lui che non disegnava mai. Ebbe un lampo di ammirazione mentre mandava a Catherine col pensiero un bacio. Era tranquillo, nuotava mentalmente con lei che stava sott’acqua per spaventare Jules.] (“Jules et Jim”, François Truffaut -

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minuto 00:25:25)


[sterilita’ del benpensare] sex on

N

on sono del tutto sicura che il dialogo appena citato c’entri davvero con il discorso che ho in testa. Non sono affatto convinta di avere davvero un discorso in testa. Siamo alle solite insomma, ma stavolta di più. In questo preciso momento non sento di poter assicurare la presenza della mia rubrica sul numero che state leggendo. È anche vero che scrivendolo sto supponendo che invece ci sia, ma mi piacerebbe essere sincera con voi dichiarando la mia incertezza a riguardo e confessando quanto mi destabilizzi stabilire cose. Nonostante le buone intenzioni, non sono sicura che i miei neuroni spremuti e i miei stati d’animo sobbalzanti mi seguiranno ovunque andrò e finché lo vorrò. O almeno, non credo di poterlo (e volerlo) decidere fin d’ora. Non è per niente semplice garantire i risultati auspicati, rimanere fedeli alle idee che si trasformano in impegni, dedicarsi ai progetti che presuppongono costanza, figuriamoci se prevedono azioni da ripetere con regolarità. Per questi e per altri motivi che ometto voglio concedermi il beneficio del dubbio, ma nel caso in cui stiate leggendo allora bene, Catherine VS incostanza 1-0. Certo un match non è la partita. Riconosco i miei limiti, comunque. Non tenterò questa volta di elevare la mia esperienza a regola comprensiva di eccezione. Mi rendo conto che il mio personale problema di costanza sia un disagio diffuso ma non necessariamente condiviso dalla maggioranza. Per fortuna ci sono persone più serie, più sagge, meno svampite e meno incoscienti. Esiste addirittura chi si iscrive in palestra e poi ci va. Esistono le persone pazienti. Esiste chi non cambia idea, programma, obiettivi, esigenze, giacche e città dal mattino al pomeriggio. Esiste chi sistema con criterio i propri cassetti del cervello riservandone uno pure alla raccolta differenziata. Mi riferisco alle meritevoli persone che si preoccupano senza troppa difficoltà non solo di se stesse e degli altri ma addirittura del proprio effetto sull’ambiente, e magari con la busta della plastica in mano si fermano a chiacchierare col vicino. Sono azioni molto belle, profonda ammirazione. Sono azioni molto buone che io NON compio quotidianamente, e nemmeno settimanalmente e nemmeno ogni tre decadi. Sono azioni molto giuste che alimentano in chi non le pratica la sensazione di non essere fino in fondo brave persone e che insinuano il sottile dubbio di potersi impegnare di più. Tuttavia non voglio essere drastica e troppo

severa, quindi chiudo il cassetto delle menate e apro quello dell’estrema indulgenza verso i comportamenti eticamente discutibili. Praticamente, come al solito, mi assolvo. Credo comunque ci sia una via di mezzo percorribile anche dagli sfasciati come me, è possibile immaginare una sfumatura di grigetto scolorito tra il bianco candido, ossia pianificare minuziosamente ogni singolo impegno del fine settimana e il nero pesto, ossia fissare gli appuntamenti mettendo già in conto la probabilità quasi certezza di non farcela ad arrivare. C’è una via grigia, lo so, ma non ho il tempo adesso di calcolarne il percorso, devo finire di scrivere questo articolo entro dieci giorni fa quindi preferisco sorvolare sull’affare organizzazione di tempi, modi, spazi, buone azioni e ottimi propositi. La verità è che ritengo sia più interessante improvvisare, ma posso giurare che la mia poco quotata capacità di programmare è inversamente proporzionale all’estro creativo che sfoggio nell’ inventare storie verosimili per risolvere casini. Le bugie non esistono se sono logicamente motivate e impeccabilmente realistiche. Mi piace definirla una sorta di metafisica della bugia. Se gomme bucate, riunioni infinite, traffico intenso, disturbi di stomaco (i miei preferiti) sono argomentati con lodevole convinzione e fede estrema nella causa, che differenza può fare il fatto che in realtà siano pura fantasia? Se è tardi, tardi rimane, tanto vale godersi il tempo che resta. Personalmente preferisco il ticchettare dei tacchi al tic tac di un orologio, è certamente più stimolante fronteggiare gli imprevisti piuttosto che premeditare emozioni e momenti. E poi arrancando nel ritardo le più semplici occupazioni si trasformano in urgenti questioni da sbrigare e anche incastrare lavoro, aperitivo e lavanderia diventa un’impresa da premio oscar per il problem solving. Non calcolare con esattezza le ore che scorrono, fare un forfait e prendersela comoda per poi ritrovarsi con ottomilacinquecento cose insieme da concludere ha almeno tre vantaggi: concentrare la tensione in un lasso temporale relativamente limitato, poter raccontare in giro episodi di vita singolari conseguenza dell’entropia assoluta, essere molto ma molto fieri di riuscire a fare tutto nonostante la precarietà delle condizioni. Auto soddisfazione indotta, si può dire. La morale immorale e illogica della favola è: mai fare oggi quello che sarà possibile rimandare ANCHE domani.

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[sterilita’ del benpensare] sex on

Probabilmente si tratta di una semplice questione di priorità, qualcuno preferisce controllarsi, qualcun altro adora sorprendersi. Qualcuno è più tranquillo scegliendo in anticipo cosa fare, qualcun altro aggira l’ansia da decisione aspettando il massimo termine di scadenza ultima. Qualcuno riesce a immaginare di cosa avrà voglia tra una settimana, qualcun altro compra i biglietti del treno all’ultimo secondo pagandoli il triplo di quanto li avrebbe pagati una settimana prima, quando in realtà già supponeva di voler partire ma prenotare voglie a lungo termine avrebbe costituito fonte di indicibile stress. Stupido? Mi sa di sì, anche parecchio. Ma per il quieto vivere esseri umani lungimiranti ed essere umani scriteriati potrebbero conciliarsi in una sorta di larga intesa sulla gestione del tempo e delle reciproche rotture di palle, accettando i primi le non tattiche allucinate dei secondi e i secondi le strategie ponderate dei primi. Forse un compromesso accettabile potrebbe essere procedere per piccoli e imprecisi obiettivi, sperando sempre che tutto vada esattamente come non doveva andare. L’unica cosa che conta è avere un piano, se poi il piano cambia eventualmente fa parte del piano. A questo punto, dopo aver democraticamente ostentato una non troppo onesta flessibilità di giudizio, voglio prendere una posizione. Ebbene sì, in certi casi bisogna farlo e tra l’altro negli ultimi tempi la mia percezione della democrazia ha veramente raggiunto i minimi storici. Ma dico io, come si fa a programmare cose in questo casino di vita? Con mia immensa incredulità qualcuno prova a farlo. Giuro, li ho visti provare a farlo. Ma quanto conviene? In mezzo al marasma di doveri e doveri inadempiuti, appuntamenti e appuntamenti mancati, telefonate e telefonate perse, perché dovremmo auto infliggerci la puntualità? Il mio è un urlo disperato, una ribellione anacronistica contro il tempo che scorre in questo tempo senza tempo. È realistico che ci siano gli impegni presi, le responsabilità che incombono, l’innata smania di fare. È inevitabile che tutto intorno sia scadenzato da scadenze da non far scadere. La frenesia è tangibile, non si può ignorare, esiste veramente e a dirla tutta se non esistesse troveremmo il modo di inventarla. Se il tempo fosse vuoto noi lo riempiremmo fino all’orlo per poi incazzarci perché lo stato psicofisico ne risente, tutto questo in un contesto di crolli psicologici, devastazioni fisiche, indecisioni croniche,

insoddisfazioni inspiegabili, nervosismi scenici, storie d’amore e di non amore. Disobbedire al tempo e a chi ce lo impone è una condizione melodrammatica, affascinante e irresistibile, non vogliamo farne a meno in realtà. Per questo motivo siamo soliti usare per vivere anche quel tempo che tradizionalmente dovrebbe essere dedicato a dormire. Ma siamo donne forti e coraggiose noi (donne e uomini, pardon se tendo a femminilizzare i discorsi), noi possiamo fare tutto anche se poi equivale a non combinare niente. Siamo donne forti che sbandierando coraggio alla fine ottengono i risultati voluti (donne e basta, pardon ma ho troppa voglia di femminilizzare). Siamo donne e basta che ottengono i risultati voluti e che spesso non simpatizzano troppo per il prossimo, anche se a momenti lo amano come ragazzine. Donne e basta che amano un prossimo per cui non simpatizzano e che si lanciano in un fiume in piena per dimostrare di saper nuotare. Donne e basta che si lanciano in un fiume in piena e che qualche volta gradirebbero essere salvate però, nell’attesa, mangiano e maledicono nachos in assoluta libertà. Donne e basta che mangiano e maledicono nachos e nel frattempo pensano che comprare una tartaruga potrebbe essere la soluzione giusta per avere una forma di vita non invasiva intorno. Sano egoismo, si può dire. Perché l’egoismo ben dosato non può che fare bene. Egoismo e dedizione, con alternanza e molta leggerezza. Una specie di oggi nachos e domani pavesini, ecco. Tuttavia (egoisticamente) assolvo tutti (di nuovo). Non saremo forse impeccabili coordinatori logistici di quello che succede fuori e dentro di noi, non saremo forse così precisi nel rispettare scadenze di bolli, bollette, abbracci, risposte e alimenti di vario tipo abbandonati in frigo. Saremo forse in alcuni momenti particolarmente stravaganti, irascibili, ingestibili, blasfemi e un tantino stronzi, ma saremo anche tutti d’accordo sul fatto che in un’esistenza così c’è da aspettarselo. Dopo aver accumulato minuti, ore, giorni, mesi e anni di supposizioni, certezze, delusioni, gioie, errori, stupori, tremori e multe di ogni importo e sostanza c’è da aspettarselo un tumultuoso ma innocente botto. Dopo un periodo imprecisato di tolleranza poco rumorosa, meritiamo anche di mandare a quel paese qualcuno indipendentemente dal grado di parentela o dalla posizione gerarchica. Meritiamo di attaccare fuori dalla benedetta porta quel geniale cartello che recita un appassionato: NON DISTURBARE (fino a data da destinarsi).

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Rido di me, rido di te, rido del mese di aprile che di solito porta il vento caldo, un anno in più e inaspettati cambiamenti. I passaggi da una stagione all’altra si sa, sono così. Serve ammalarsi per tornare in salute. Rido del fatto che si cambia un po’ ogni giorno. Ci si può proiettare in avanti e sperarsi più belli, più ricchi, più colti, più liberi, più disposti a rischiare. Si possono dichiarare discrete volontà, si possono ipotizzare evasive eventualità, si possono evocare sibilline possibilità, si possono idealizzare generiche cornici di futuro, ma è una pretesa inutile provare a visualizzare un’immagine finita. Non serve essere certi senza ombra di dubbio di cosa vogliamo o vorremo, è indispensabile piuttosto avere una motivazione estemporanea, qualunque essa sia. Il percorso, si diceva. Non la sospirata meta che tanto è risaputo, sarà molto meno seducente vista da vicino. Day by day, scegliere e scegliersi a ogni risveglio. Perché dovrebbe essere complicato vivere qualcosa non in base alla sua durata nel tempo ma solo a come ci fa sentire adesso? Appena svegli si può dire tutto e si può andare ovunque, quello che unisce realtà e possibilità è un filo elettrico scoperto che si chiama passione. [ ]

P

.s. La pellicola cinematografica scorre, le scene si susseguono, i personaggi si trasformano, i dialoghi

ritornano ma le prospettive si capovolgono. Alcuni film li rivedremmo cento volte, per altri servirebbero i sottotitoli. Si cambiano convinzioni, si cambiano intenzioni, si cambia. “JULES: È una forza della natura che si esprime in cataclismi. Vive tutte le circostanze in mezzo alla sua logica, alla sua armonia, guidata solo dalla sicurezza della sua innocenza. JIM: Parla di lei come di una regina. JULES: Ma lo è Jim, sto parlando francamente. Catherine non è particolarmente bella, né intelligente, né sincera. Ma è una donna vera, ed è questa donna che noi amiamo. È lei che ogni uomo desidera. Perché Catherine tanto desiderata ha scelto proprio noi due? È questo che vuole sapere? Perché noi accettiamo di vivere esclusivamente in funzione sua.” (“Jules et Jim”, François Truffaut - minuto 01:13:49)

P

.p.s. Ogni riferimento a persone, fatti, tartarughe, nachos, ritardi, bugie, insonnie e multe realmente esistiti è assolutamente intenzionale.

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