I SO LI N EGA TI I SOLI NEGATI L’Arte contemporanea ai Percorsi delle Solfare
I SOI LI NL EGAE TI Percorsi delle Solfare di Trabia-Tallarita 8 marzo 2010
Ex Centrale Elettrica “Palladio” SS. 190 km 24
PERCORSI DELLE SOLFARE di TRABIA-TALLARITA
Opere di:
Calogero Barba. . . . . . . . forma e controforma Lillo Giuliana. . . . . . . . . . gabbia
Michele Lambo. . . . . . . . senza nome
Leopoldo Mazzoleni. . . . la terra di sopra
Progetto grafico e impaginazione:
Splokay di Antonio Talluto Fotografie:
Giuseppe Castelli Testo: Giusi Diana
Franco Politano. . . . . . . . ancora più giù… fino all’ultimo respiro Giuseppina Riggi. . . . . . . figli di zolfo
Salvatore Salamone. . . . . preghiera per i minatori di gessolungo Franco Spena. . . . . . . . . . pani di zolfo
Giusto Sucato . . . . . . . . . carusi e picconieri
Agostino Tulumello. . . . . dell’abisso, del cielo, del sangue, dello zolfo
OI SO NLI N EGA TI Il giallo è il colore tipico della terra[...] si può paragonare all’estate morente che dilapida assurdamente le sue energie nell’incendio delle foglie autunnali...
Wassily Kandinsky1
U
na fulgida e sulfurea tragedia che parla di uomini e di miniere è quella rievocata dalle opere d’arte contemporanea esposte nelle sale dei “Percorsi delle Solfare”2. L’ installazione, tra i diversi linguaggi della contemporaneità, è quella che per certi versi meglio degli altri si presta, per la sua stessa natura oggettuale, a rendere concreto e reale il ricordo, sottraendolo alla fugacità dell’attimo pensato, alla velatura sbiadita del tempo rievocato, per conferirgli i vividi colori del Qui e ora. Ed è infatti un teatro senza attori quello che si recita al “Museo delle Solfare”, in cui i personaggi principali, gli zolfatai morti nella miniera di Gessolungo, hanno appena abbandonato la scena. Di loro e del loro dramma rimangono i segni; ma osserviamo meglio le singole opere, partendo dal lavoro di Giuseppina Riggi, del cosidetto gruppo di Caltanissetta3. Quattro piccoli busti plasmati nello zolfo affrontano il tema della memoria affidandosi ad una scultura che nel tentativo di dissolvere la materia si avvicina alla lezione di Medardo Rosso. A tradire la natura concettuale dell’opera, al di là dell’apparente ricorso alla tradizione scultorea figurativa, la sottolineatura simbolica legata al colore nero, in tragico contrasto con il giallo, ma soprattutto l’interessante uso dei piedistalli, parte integrante di un’ insieme installativo di grande rigore interpretativo. Dei cinque busti infatti, solo quattro poggiano eretti sulle loro basi, il quarto come un angelo caduto, è dolentemente poggiato a terra, mancando del suo piedistallo. Una nota dissonante, delicata e struggente. Ancora la scultura nel senso tradizionale del termine, torna nell’opera di Lillo Giuliana che si affida invece al linguaggio aniconico. I suoi tre elementi scultorei di candido marmo, isolati ed esposti religiosamente entro teche nere, possiedono una muta sacralità totemica che li pone fuori dallo spazio e dal tempo. Il senso dell’opera sta tutto in quel gioco sottile
W. Kandinsky “Lo Spirituale nell’arte”, a cura di Elena Pontiggia, SE, Milano 1989, pp. 62-63. In occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia di Gessolungo, dove morirono centinai di minatori, le opere sono state esposte per la prima volta nella mostra promossa dalla Soprintendenza dei Beni Culturali ed Ambientali di Caltanissetta : “I soli Negati” a cura di Angela Vignolo, Museo Archeologico di Caltanissetta 14 febbraio- 24 marzo 2008. 3 Del gruppo fanno parte: Calogero Barba, Lillo Giuliana, Michele Lambo, Salvatore Salamone, Franco Spena e Agostino Tulumello. 1
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I SOI LI NL EGAE TI di equilibri, che sembra aspirare ad una ricomposizione formale e geometrica dell’armonia perduta. Anche qui la scultura attraverso l’uso delle teche-supporto diventa elemento di un’insieme installativo che non rifugge da un più didascalico ricorso all’ elemento simbolico (la polvere di zolfo entro il contenitore nero). L’equilibrio strenuamente cercato è il nucleo intorno a cui ruota anche l’installazione di Calogero Barba, tutta giocata sul rapporto tra i colori primari (blu, giallo e rosso), e sul contrappunto tra le distese forme orizzontali e la verticalità incombente dell’elemento centrale (sorta di visualizzazione di un grado estremo di pericolo). In quest’opera la volontà ordinatrice dell’artista tenta di ricomporre il caos irrazionale della tragedia in un insieme nuovamente unitario, in un estremo tentativo di dare un senso a ciò che non ne ha. I picconi e i loro bastoni (unico elemento realistico all’interno di una composizione sostanzialmente astratta) sono infatti scomposti e ricomposti in una nuova acuta armonia. Il ricorso all’oggetto fortemente caratterizzato antropologicamente, elemento simbolico e formale costitutivo di una nuova e più potente forma significante (la croce latina), si ritrova in un’altro artista in mostra Giusto Sucato. L’elemento oggettuale diventa in questo caso simbolo eloquente di una tragedia collettiva, facendosi interprete del sentimento religioso di un’intera comunità. Una pietas cristiana sovrintende infatti alla creazione della croce monumentale realizzata con 14 picconi di ferro con la punta rivolta verso la terra. La mancanza dei bastoni suggerisce drammaticamente l’assenza di quelle braccia che li utilizzavano quotidianamente. L’elemento scultoreo dal chiaro sapore surreale, inserito all’interno di una composizione installativa sostanzialmente materica e oggettuale, è al centro dell’opera di Franco Politano. Una vanga si erge verso l’alto, mostrando la nudità dolorosa delle sue estremità che si caratterizzano per la forma biforcuta simile a radici. Alla base della composizione un deposito di pietre di zolfo, accuratamente avvolte ciascuna in una singola busta di plastica, spasimanti in un mortale sottovuoto. Il senso di oppressione e di afasia che promana dall’installazione si fa efficace metafora di una condizione, quella dei lavoratori delle miniere costretti contro natura a vivere nei reconditi recessi del sottosuolo, lontani dal vivificante contatto con l’aria aperta. La pittura astratta unita ad una scultura mobile sospesa a mezzaria fa la sua comparsa nel lavoro di Leopoldo Mazzoleni. La più espressionista delle opere in mostra fa un uso sapiente della linea spezzata, sia nei dipinti che nelle due strutture sospese in un drammatico, precario equilibrio. E proprio il senso di precarietà delle due passerelle snodate (a ben vedere sembrano tali, costituite come sono da vecchie e malconce assi) unito alla cupa cromia dei segni tracciati con impeto, conferiscono all’installazione una detonante forza espressiva. Le pratiche artistiche che hanno assunto come materia di riflessione il grafema, nella sua forma codificata di carattere
OI SO NLI N EGA TI tipografico ma anche in quella libera di scrittura soggettiva hanno trovato in Sicilia proprio nel gruppo di Caltanissetta alcuni tra i più interessanti interpreti. Il lavoro installativo di Franco Spena presente in mostra si inquadra in tale contesto. Partendo dall’assonanza linguistica tra il “pane di zolfo”, (termine con cui si definisce un prodotto della lavorazione dello stesso), e il pane vero e proprio, Spena dà vita ad un’ immagine poetica a tre dimensioni, una metafora oggettuale di grande impatto visivo. Le forme di pane sul pavimento del Museo si alternano ai pani di zolfo originando i raggi di quello che a prima vista sembrerebbe un sole, ma in realtà è un ostensorio. Al centro infatti la raggiera confluisce in un piccolo sacrario di lettere (derivate dai nomi dei minatori morti nella tragedia) che proprio come in una eucaristia laica sono immerse dentro ad un calice. Dolente metafora del sacrificio tutto umano e terreno compiuto dai minatori in nome del lavoro. Una riflessione sul linguaggio codificato e utilizzato all’interno di una data comunità secondo pratiche di ritualità comunicativa collettiva, si ritrova sotto forma di pagine di giornale e manifesti listati a lutto nell’opera di Michele Lambo, in cui i nomi dei minatori morti sono cancellati con un pesante tratto nero. Il ricorso alla scrittura (anche nella sua variante negativa, la cancellatura) si coniuga con la tridimensionalità leggera di una spirale che diventa simbolo alchemico dell’ineluttabilità del destino; le parole di carta infatti convergono pericolosamente verso il fuoco distruttivo del rosso opercolo centrale. Il potere liricamente evocativo della parola (le frasi che si accompagnano ai grandi tableaux) e l’immagine-documento (la fotografia d’epoca) nell’opera di Agostino Tulumello dialogano con una composizione che si affida ad un linguaggio sostanzialmente aniconico, tutto basato sulla vivace cromia. L’utilizzo suadente dell’oro unito agli acidi colori pop della texture sovverte l’apparente algido minimalismo della composizione, declinandolo verso una visione più calda ed emotiva. La scrittura, questa volta fantastica e immaginaria, sospende la tragedia appena avvenuta nel tempo immobile della ritualità umana. è quanto avviene nell’installazione di Salvatore Salamone che ci appare infatti sotto le spoglie solenni di un altare, alla cui base troviamo i calzoni da lavoro dei minatori e i cristalli di zolfo, tragica offerta votiva. La sommità dell’installazione culmina con delle tavole di argilla cruda su cui sono impressi i caratteri di una misteriosa e vaticinante scrittura, quasi a ricordare il fatalismo endemico nella cultura isolana riassumibile nel motto: Così era scritto. Giusi Diana Storico dell’arte e Curatore indipendente
I SOI LI NL EGAE TI Calogero Barba
forma e controforma
OI SO NLI N EGA TI Lillo Giuliana gabbia
I SOI LI NL EGAE TI Michele Lambo senza nome
OI SO NLI N EGA TI Leopoldo Mazzoleni la terra di sopra
I SOI LI NL EGAE TI Franco Politano
ancora più giù… fino all’ultimo respiro
OI SO NLI N EGA TI Giuseppina Riggi figli di zolfo
I SOI LI NL EGAE TI Salvatore Salamone
preghiera per i minatori di gessolungo
OI SO NLI N EGA TI Franco Spena pani di zolfo
I SOI LI NL EGAE TI Giusto Sucato carusi e picconieri
OI SO NLI N EGA TI Agostino Tulumello dell’abisso, del cielo del sangue, dello zolfo
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