Volume 2 - L'imgaine cristiana dell'uomo

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IL CRISTIANESIMO COME MOTORE DELLA MODERNITÀ - VOLUME NO. 2

L’immagine cristiana dell’uomo e la nuova attualità dell’immagine cristiana dell’uomo Christoph Böhr

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L’immagine cristiana dell’uomo e la nuova attualità dell’immagine cristiana dell’uomo Christoph Böhr Il testo di questo documento è basato su una pubblicazione della “Commissione dei valori” della CDU sotto la guida di Christoph Böhr.

Premessa

Oggi si rimprovera spesso alla politica di dimenticare o addirittura di avere già perduto il suo collegamento con i valori. Per questo è tanto piú importante, quindi, riflettere sul criterio da applicare alle proprie decisioni. Ciò vale anche e soprattutto in una società che evidentemente si sente sempre meno in debito nei confronti dell’immagine cristiana dell’uomo, anche se la certezza relativa a questa immagine dell’uomo può portare a una chiarificazione e a una soluzione politica per tutta una serie di questioni di attualità. Occorre, quindi, illustrare i tratti fondamentali di questa immagine dell’uomo per poter discutere, sulla base dell’immagine cristiana dell’uomo, l’eventualità di contributi atti a risolvere questioni politiche urgenti. L’immagine cristiana dell’uomo non ha perduto nulla della propria attualità. Rimane, tuttavia, compito di una politica che si riferisca a tale immagine dell’uomo, pubblicizzarla, mantenerne l’attrattiva e riscoprirla quando questa immagine dell’uomo rischia di sbiadire.

1. La difesa della libertà e la minaccia della violenza Quando si parla di libertà e uguaglianza di tutti gli uomini come base culturale della democrazia, per i democratici cristiani ciò significa rimanere consapevoli dei doveri che ci derivano dall’immagine dell’uomo. Questa immagine dell’uomo comporta una missione politica che non si ferma al limite della nostra vita; questa immagine dell’uomo per noi sfocia nell’impegno a favore della validità universale della dignità umana e dei diritti umani. Questa immagine dell’uomo impone il rispetto di tutti gli uomini a prescindere dalle loro culture di provenienza. Questa immagine dell’uomo, tuttavia, determina anche i limiti della tolleranza, che si situano laddove l’uomo è privato dei suoi diritti naturali. L’immagine cristiana dell’uomo – indipendentemente dalle sue origini – ha un significato generale e vincolante, in quanto e nella misura in cui esige il rispetto di ogni singolo uomo come persona. Così intesa, una presa di coscienza delle basi culturali proprie delle democrazie occidentali evita che a partire dalla difesa spirituale, politica e militare della società

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liberale aperta sorga un conflitto culturale al quale potrebbe seguire alla fine l’autodistruzione dei valori propri.

2. L’immagine cristiana dell’uomo e la rivendicazione di un partito popolare Il nostro ordine sociale è connotato da un’immagine dell’uomo che trae le sue radici dal cristianesimo: l’uomo è creato da Dio. Ciò giustifica la dignità assoluta dell’uomo. Questa immagine cristiana dell’uomo è la base della nostra costituzione. Essa comporta un equilibrio tra libertà e responsabilità ed è il fondamento dei diritti universalmente validi di tutti gli uomini. Su di essa si fonda la nostra responsabilità nell’azione politica. Essa ci obbliga alla solidarietà con i deboli, all’aspirazione alla giustizia e alla protezione della vita umana nella responsabilità davanti a Dio e all’uomo. Occorre continuamente spiegare questi nessi e il loro fondamento nell’immagine cristiana dell’uomo, cosí come la loro importanza nella società moderna. In questo modo risulta chiaro che una politica orientata all’immagine cristiana dell’uomo è utile per il bene di tutti gli uomini, anche per il numero crescente di coloro che non vivono in base alla fede cristiana. Per i democratici cristiani l’immagine cristiana dell’uomo è la base della loro politica. Non ne viene scalfita la separazione tra stato e chiesa in quanto espressione dell’immagine cristiana della libertà. Ne deriva una responsabilità del tutto particolare per la conservazione dei valori cristiani nella società. Una politica fondata sulla responsabilità cristiana obbliga a conservare i valori cristiani e a tutelarli di fronte a eventuali limitazioni politiche e giuridiche. Nel contempo, nell’ambito della nostra società pluralistica essa si impegna a favore della tolleranza ne confronti delle altre religioni e comunità di valori che si riconoscono nella nostra costituzione. Attraverso il suo collegamento con l’immagine cristiana dell’uomo, questa politica, ancorata ad un ordine di valori basati sulla responsabilitá cristiana, ha caratterizzato l’Europa in senso politico e culturale fin dalle sue origini antiche e cristiane. Questo ordine si basa, in particolare, sull’uguaglianza di tutti gli uomini, a prescindere dall’età e dal sesso, dal colore della pelle, dalla classe, dal rendimento e dalle doti. Con tale orientamento vengono definiti i criteri per una politica distintiva e affidabile nella concorrenza con

i valori di

altri partiti.

Su

questa

base

è

possibile

chiedere

l’approvazione, il sostegno e la collaborazione di coloro che non traggono la loro base vitale dalla fede cristiana. La “C“ sta per un partito popolare che anche in tempi di profonde trasformazioni offre ai cristiani e ai non cristiani una politica orientata a valori affidabili. L’immagine cristiana dell’uomo include la nozione che gli uomini sbagliano e sono seducibili, anche ad opera del potere e dell’abuso di potere. Fermo restando la responsabilità per il creato, questa nozione della fallibilità umana implica la rinuncia a

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superare dei limiti in base a considerazioni utilitaristiche sulla tutela di principio di qualsiasi vita umana. Il riferimento all’immagine cristiana dell’uomo si ripercuote immediatamente sulle decisioni in materia di bioetica e ricerca genetica, di politica della famiglia, di politica economica e sociale nonché di politica dell’istruzione e dell’educazione. Nelle sezioni seguenti le questioni di attualità saranno trattate in riferimento all’immagine cristiana dell’uomo. Lo sfondo religioso e storico sarà fornito dall’immagine cristiana dell’uomo e dalle radici cristiane della democrazia moderna nonché dello stato liberale. Tuttavia, dall’immagine cristiana dell’uomo non è possibile derivare istruzioni concrete per l’azione in relazione a tutte le questioni politiche ordinarie nei partiti e nei parlamenti. L’immagine

cristiana

dell’uomo

pone

continuamente

tutti

coloro

che

agiscono

politicamente davanti a decisioni di cui possono rispondere solo in base alla propria responsabilità personale. Un esempio è fornito dal caso in cui le valutazioni scientifiche sono contraddittorie e occorre comunque prendere delle decisioni.

3. Bioetica e ricerca genetica Gli ultimi ritrovati della scienza, in particolare della biotecnica e della ricerca genetica, e i progressi della tecnologia dell’informazione prospettano possibilità inaudite nella lotta alle malattie e alla povertà. Insieme alla globalizzazione dell’economia, questi sviluppi risvegliano anche vecchie paure circa eventuali pretese arbitrarie eccessive da parte dei detentori del potere. Le prospettive di utilità e i possibili abusi di queste nuove tecniche sono più difficili da valutare rispetto a quanto avviene in altri ambiti; l’immediatezza degli interventi nell’integrità della vita umana rende particolarmente difficili le decisioni in relazione alle questioni che via via si pongono. In questa situazione caratterizzata dalla presenza di opposti interessi, la politica ha il dovere di consentire lo sviluppo della scienza, della medicina e dell’economia; ma la politica ha anche l’obbligo di tutelare la società e lo stato dall’abuso delle conoscenze scientifiche e dal trattamento doloso dei risultati della ricerca nonché dallo sfruttamento economico irresponsabile. Si tratta di un compito istituzionale che non è possibile espletare al servizio dello spirito del tempo. Due domande si pongono con un’insistenza mai conosciuta in precedenza. In quale misura la nostra stessa esistenza umana è disponibile a piacimento? Dove si situano i limiti dell’uomo sull’uomo? La società lotta per le conseguenze della convinzione, ricavata con una nuova drammaticità, secondo cui gli uomini possono più di quanto non sia

loro

lecito.

La

confusione

non

nasce

soltanto

dalla

contraddittorietà

delle

constatazioni, ad esempio circa l’inizio della vita umana, ma anche dalla presenza nelle problematiche di alternative irritanti, ad esempio quando nella discussione sulla ricerca

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genetica fin dall’inizio viene postulato un contrasto tra la finalità medica della cura degli infermi e la tutela della vita nascitura. Per dare risposte adatte, i partiti hanno bisogno di competenze istituzionali basate su decisioni valoriali controllabili e fondate. L’immagine cristiana dell’uomo offre un criterio anche a questo riguardo. Laddove la politica abbia adottato questo criterio, occorre garantire la tutela assoluta dei diritti e della dignità di tutti gli uomini. Questa assicurazione può convincere anche coloro che in una società secolare non professano il cristianesimo. Qui risiede una chiave per superare la perdita di fiducia che la politica da anni subisce costantemente da parte di settori sempre maggiori dell’elettorato. La credibilità si misura dal modo in cui i partiti rendono riconoscibili i loro criteri e li rispettano nella prassi politica. L’impegno relativo all’immagine cristiana dell’uomo comporta doveri nell’azione politica, che vanno oltre i cosiddetti valori umanistici. Essa sottrae la vita umana alla disponibilità da parte dell’uomo. In altri termini, l’uomo come persona possiede una dignità che non gli può essere negata da nessun altro uomo. Ivi compresa la vita debole, indifesa e impedita. All’immagine cristiana dell’uomo si ricollega il riconoscimento di ciascun uomo e della natura in quanto creazione divina. Essa vieta di formare la società e la natura in cui viviamo, solo in base all’opportunità della fattibilità o dell’auspicabilità. Essa esige la conoscenza dei limiti posti all’azione umana e il riconoscimento del fatto che il creato è affidato all’uomo e non è abbandonato all’arbitrio. Perciò all’uomo è imposta una responsabilità attiva. Questa posizione distingue, nel dibattito attuale sulla bioetica, i democratici cristiani dai sostenitori di un pensiero che considera la libertà della ricerca e dell’applicazione medica delle conoscenze scientifiche soprattutto sotto il profilo dell’utilità economica e della concorrenzialità globale. 􀂃 La vita umana inizia dalla fusione della cellula ovulare con quella seminale. Da questo momento in poi le spetta una tutela totale. Chi voglia far iniziare la tutela della vita da un altro momento, deve offrire un criterio incontestabile circa l’istante in cui dovrebbe iniziare il diritto alla tutela. Deve indicare quando l’uomo è uomo e quando non lo è. Deve essere consapevole che ciò si ripercuote su altri ambiti della vita, ad esempio il trattamento delle persone impedite e anziane. 􀂃 La costituzione stabilisce che un intervento nel diritto alla vita di un’altra persona è giustificato soltanto quando sussiste una minaccia incombente per la vita di un’altra persona. La prospettiva, senza dubbio documentabile, di future possibilità di guarigione non soddisfa questo presupposto.

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􀂃 La cura delle malattie costituisce un fine morale nobile. Ma non è un fine assoluto, bensì soggetto a una ponderazione di beni ai fini della tutela della vita altrui. La cura della vita esistente non può giustificare la distruzione di un’altra vita esistente. 􀂃 Spesso il dibattito pubblico dà l’impressione che il fine si realizzi solo varcando il limite. È un’impressione illusoria. Perciò gli sforzi della medicina e della ricerca dovrebbero concentrarsi maggiormente su ambiti eticamente meno problematici. 􀂃 I sostenitori della liberalizzazione della tutela degli embrioni spesso obiettano che l’ovulo

fecondato

esternamente

al

grembo

materno

sarebbe

meglio

protetto

dell’embrione nel corpo della madre. Questo argomento non deve essere inteso nel senso che normative adottate in passato, possibilmente inadeguate, siano usate per giustificare nuove limitazioni alla tutela della vita. In questo scenario, nella situazione attuale si prospettano tre ambiti in cui occorre ritrovare la dignità minacciata: La mancanza di figli involontaria è deprimente. Sono altrettanto bene comprensibili anche le ambasce di genitori che hanno ragione di temere di dare la vita a un bambino gravemente infermo. A fronte della mancanza di figli e delle tare genetiche si registra anche il fatto che attualmente con l’impiego della diagnosi preimpianto si genera una vita umana in via sperimentale ed eventualmente soggetta a essere “scartata”, cioè uccisa. Noi consideriamo inammissibili i metodi volti primariamente alla selezione della vita. La ricerca sulle cellule staminali umane non presenta solo un elevato valore di conoscenza dei processi vitali, ma offre anche un notevole potenziale terapeutico che, tuttavia, potrà produrre effetti solo nel lungo periodo. Sussiste la speranza giustificata che in futuro possano essere curate malattie gravi, finora incurabili. Per ora la ricerca viene condotta soprattutto sul modello animale e con le cellule staminali adulte. Per alcune problematiche limitate nella situazione attuale, la ricerca sulle cellule staminali embrionali sembra essere necessaria. Le cellule staminali embrionali sono ricavate da embrioni che in questi processi vengono uccisi. Il “consumo” di embrioni è eticamente inammissibile. Va invece intensificata la ricerca su cellule staminali ricavate in modo eticamente ammissibile. All’estero esistono già linee di cellule staminali embrionali prodotte a partire da embrioni ma che non sono più embrioni. Almeno alcune di queste linee cellulari sembrano essere riproducibili in grande quantità e potrebbero eventualmente coprire il fabbisogno internazionale a scopo di ricerca. Per quanto riguarda la questione dell’importazione di tali linee di cellule staminali, le leggi attualmente in vigore in Germania la consentono,

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mentre dal punto di vista etico è problematica perché la produzione delle cellule non è stata possibile senza uccidere gli embrioni. Perciò l’importazione sembra essere legittimabile tutt’al più entro i limiti ristretti alle linee di cellule staminali oggi esistenti e registrate nel mondo e in base a controlli rigorosi, allo scopo di prevenire fin dall’inizio qualsiasi richiesta e incentivo relativi ad altre e più numerose linee di cellule. I genitori hanno sempre più la sensazione che le possibilità della medicina della riproduzione moderna si stiano scollegando dallo scopo originario di porre rimedio alla mancanza di figli involontaria. L’esempio di altri paesi dimostra quali sono le possibilità già esistenti ed eventualmente applicabili anche in Germania. Utero in prestito, donazione di ovuli, bebé progettati sono altrettanti sviluppi che fanno aumentare in prima linea l’autodeterminazione

delle

coppie

e

la

possibilità

di

decidere

sotto

la

propria

responsabilità il momento e la modalità della gravidanza. Ma contemporaneamente la donna si pone, da un lato, sotto la dipendenza della medicina della riproduzione e, dall’altro, insieme alle possibilità offerte si instaura anche la costrizione di organizzare la gravidanza con una razionalità funzionale, assoggettandola ancora più fortemente che non in passato a un calcolo vitale generalizzato. Perciò il dibattito sulla bioetica dovrebbe essere condotto non solo sotto il profilo della tutela della vita e dell’embrione, ma anche con la sensibilità necessaria per le esigenze e i turbamenti della donna. Ciò che viene criticato a ragione riguardo al fine vita, è l’alienazione e la disumanizzazione causate da una medicina strumentale, che non dovrebbe ripresentarsi in altra veste come alienazione e tecnicizzazione della gravidanza. Uomo e donna sono destinati alla comunanza della creazione. I loro figli sono la testimonianza dell’amore dei genitori e dell’alleanza tra Dio e l’uomo. La concezione e la generazione fanno parte della responsabilità dei genitori, ma sono in definitiva sottratte alla facoltà dispositiva dei genitori e del progresso della tecnica medica. La vita umana è un dono. Le possibilità della diagnostica genetica, soggetta a uno sviluppo rapidissimo, consentono di verificare la presenza di malattie di origine genetica in misura finora inimmaginabile. Siccome le possibilità di cura sono ancora scarse, la diagnostica genetica può essere posta improvvisamente al servizio di altre finalità, diverse da quelle originariamente proposte. Le assicurazioni contro le malattie e sulla vita sono interessate all’esclusione di rischi finanziari risultanti dall’insorgere di malattie ereditarie. I datori di lavoro privati e pubblici potrebbero far dipendere dai test genetici le proprie decisioni in materia di personale. Le possibilità della medicina predittiva di verificare la disposizione a determinate malattie pongono i medici e i pazienti di fronte a nuove sfide. Nessuno deve poter essere sollecitato o costretto a sottoporsi a test genetici o alla rivelazione di dati genetici. I dati ricavati da test genetici devono poter essere trasmessi a terzi soltanto previo consenso dell’interessato. Nessuno deve giungere a conoscenza del sussistere di infermità gravi contro la sua volontà. Esiste un diritto all’ignoranza.

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L’amore verso il prossimo cristiano cerca di mitigare la sofferenza umana con tutti i mezzi. Perciò, per ogni cristiano si impone il compito di contrapporre alla sofferenza causata dal desiderio insoddisfatto di avere figli e alla paura della nascita di un bambino affetto da una malattia grave, l’aiuto, la speranza e delle prospettive. Fa parte della missione cristiana il compito di creare una società degna dell’uomo, nella quale vi sia anche un posto per la vita affetta da un impedimento. Invece di promuovere la possibilità della medicina di eliminare l’impedimento attraverso la selezione prenatale, chiediamo che si facciano maggiori sforzi per creare una società in cui, da una parte, alle persone affette da handicap siano offerte opzioni atte a rendere la vita degna di essere vissuta, mentre, dall’altra, i genitori di bambini handicappati abbiano delle prospettive tali da consentire loro di organizzarsi la vita con il bambino impedito.

4. Una moderna politica della famiglia in base a concetti di valore cristiani 4.1. Matrimonio e famiglia come pilastri della società liberale L’ordinamento liberale della nostra democrazia vive della disponibilità della cittadinanza ad assumersi responsabilità e del carattere vincolante delle relative decisioni; essa si basa su persone che organizzano attivamente la propria vita con un riguardo per e in relazione agli altri. Tuttavia, la capacità di instaurare legami e la disponibilità ad assumersi responsabilità sono proprietà che implicano dei presupposti, crescono sull’humus di relazioni vitali concrete, si sviluppano in base a esperienze personali nella famiglia e nelle comunità familiari. La libera scelta di un partner e di una relazione impostata sulla durata e sulla fedeltà, la scelta rischiosa di una relazione non rescindibile con un bambino sono elementi essenziali del matrimonio e della famiglia, che quindi sono “una scuola di democrazia" e fondamenti duraturi della nostra società liberale. Il loro rafforzamento è un compito prioritario della politica democristiana. Nella società moderna le persone organizzano le proprie relazioni e reti sociali per lo più liberamente, al di là delle strutture professionali tramandate o normalizzate in senso religioso; la varietà delle forme di vita è una caratteristica del nostro tempo. Il matrimonio e la famiglia, che fino al 20° secolo costituivano incontestatamente le forme di vita (ad eccezione del celibato per motivi religiosi e dello stato libero dovuto alla povertà o alla malattia), sono diventati forme di vita opzionali accanto ad altre. Una donna o un uomo scelgono il matrimonio volontariamente e altrettanto liberamente decidono di avere un figlio; molte persone sposate decidono di separarsi o di divorziare. La nostra costituzione – basandosi sull’immagine cristiana dell’uomo – pone il matrimonio

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e la famiglia sotto la tutela particolare dell’ordinamento dello stato. Essa sottolinea così l’importanza di questa scelta per il bene degli uomini e della società. Nei sondaggi, i giovani riferiscono di attribuire al matrimonio e alla famiglia una priorità elevata nel loro progetto di vita. Tuttavia, ovviamente nell’attuare questo progetto di vita sorgono delle difficoltà: le nascite effettive sono nettamente inferiori ai desideri delle coppie giovani, matrimoni contratti come rapporti di coppia impostati sulla durata si disgregano sempre più spesso, aumenta il numero dei divorzi. Dietro a queste cifre si nascondono dei fallimenti di progetti di vita e sofferenze reali. La quantità e la qualità dei problemi fanno pensare a cause anche esterne a comportamenti sbagliati degli individui: occorre esaminare la corresponsabilità delle condizioni giuridiche ed economiche generali nonché delle aspettative e delle strutture sociali della società moderna. La politica sociale e della famiglia dei partiti democristiani non può rimanere indifferente di fronte al fatto che le condizioni generali possano essere adatte ad aiutare le persone oppure possano tendere ad impedire loro di attuare elementi centrali dei loro progetti di vita. Perciò, per noi, fa parte di una politica moderna anche una politica della famiglia per gli uomini. Si tratta di un fatto irrinunciabile in quanto la società, per esistere, deve poter contare sulle prestazioni offerte dal matrimonio e dalla famiglia – dall’educazione dei figli all’assistenza reciproca affidabile e stabile in situazioni di crisi fino alla cura in caso di malattia. Il matrimonio e la famiglia costituiscono pilastri istituzionali della convivenza umana come pure una rete sussidiaria della società.

4.2. Una politica della famiglia adeguata ai tempi Una politica della famiglia basata sull’immagine cristiana dell’uomo si pone al servizio degli uomini, delle coppie e delle famiglie. Essa è immune nei confronti dei pericoli di una strumentalizzazione da parte della politica demografica e del mercato del lavoro. Essa sfrutta i margini di azione che si formano a causa del bisogno di azione di altri attori sociali, ma si orienta ai bisogni reali dei genitori e dei figli. La sua finalità è di assicurare alle persone che abbiano scelto una vita basata sul matrimonio e sulla famiglia, condizioni generali che rendano praticabile tale opzione in modo duraturo. Inoltre essa punta a consentire a ogni persona che vorrebbe scegliere il matrimonio e i figli, di fare questa scelta sostenendola nella realizzazione dei progetti di vita incentrati sul matrimonio e sulla famiglia. Oggi la politica della famiglia corre il rischio di mutare in un miscuglio di moda di fiancheggiamento della politica demografica e del mercato del lavoro e motivata dalla sicurezza sociale. Purtroppo il grado di accettazione di cui gode la cosiddetta politica della famiglia in quanto faccenda importante, con troppa evidenza è dovuto a questo tipo di impostazione. Nei nuovi stati federati il problema sorge per la scarsa domanda di lavoro, a occidente invece consiste nel fatto che il potenziale di manodopera qualificata di maschi tedeschi in numerosi settori è esaurito, per cui – per poter reclutare le donne ben

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qualificate come riserva per il mercato del lavoro – occorre far accettare alla società il fatto che le giovani madri esercitino una professione. Sta quindi crescendo l’interesse per l’offerta di servizi di custodia dei bambini, complementare alle esigenze dei posti di lavoro, in modo da consentire ai genitori giovani di svolgere un’attività remunerata. Non è più accettabile un tipo di sviluppo che ponga le donne davanti all’alternativa: o figlio o carriera. Nel passato recente sempre più frequentemente la scelta operata in tale situazione di aut-aut è rivolta contro il figlio, per cui la nostra piramide demografica si sta invertendo, minacciando di squilibrare strutture economiche importanti (e non solo quelle appartenenti alla sicurezza sociale). Una politica della famiglia che per i prestatori d’opera con figli a carico voglia dare di più ed essere diversa rispetto a un semplice fiancheggiamento di esigenze di flessibilità relative alla professione, si pone in un rapporto di tensione con altri settori della politica per il fatto che oggi il matrimonio e la famiglia con i relativi presupposti esistenziali e basi valoriali si trovano sempre più a confliggere con le regole del gioco e considerazioni sociali dominanti: la vita nel matrimonio e nella famiglia richiede atteggiamenti che nella società spesso non incontrano alcun sostegno valido. È proprio nella vita professionale che, dati i continui cambiamenti in atto e l’incertezza degli sviluppi, occorre lasciarsi aperte delle vie, evitando di fissarsi e prevedendo la possibilità del licenziamento. L’impegno risoluto per il partner e i figli, l’affidabilità e la solidarietà, la stabilità e il riguardo - valori che costituiscono le basi essenziali per il matrimonio e la famiglia - sono difficilmente onorati, sebbene la società stessa debba farci conto. La mobilità e la flessibilità sono attese dall’economia in una misura tale da non potersi conciliare più con le esigenze di stabilità della famiglia. La capacità di affermarsi e la mentalità di farsi avanti a gomitate, l’eccessivo orientamento consumistico ed edonistico sono altrettanti elementi di un profilo di esigenze sociali tributario di un’interpretazione unilaterale antifamiliare e misantropica della modernità. La mancanza di relazioni dovuta a un eccesso di esigenze efficientistiche unilaterali, minaccia di produrre solitudine come rovescio della medaglia dell’individualismo e del professionismo. L’importanza compensativa che spetta alla famiglia con il suo orientamento ai valori, può essere assicurata solo fintanto che la società stessa contribuisce al mantenimento delle relative basi di valori. Il conflitto appena illustrato non è risolvibile con una politica della famiglia di taglio classico, intesa in senso stretto, incentrata sulla promozione finanziaria dei figli, In sua vece, una politica della famiglia intesa come politica sociale adeguata ai tempi, può contribuire a ripristinare e stabilizzare a livello strutturale i valori e gli atteggiamenti fondamentali costitutivi del matrimonio e della famiglia nell’ambito sociale e politico (ad esempio, nel processo economico, nel sistema dell’istruzione o nella politica delle comunicazioni).

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4.3. Le esigenze concrete Una politica cristiano-democratica della famiglia adeguata ai tempi si regge su tre punti focali:

1. Promozione della mentalità da partenariale in quanto idea valoriale costitutiva per il matrimonio e la famiglia.

Per quanto riguarda il matrimonio e la famiglia, la parità di diritti tra uomo e donna non si è ancora compiuta. Il diritto matrimoniale e di famiglia (ivi comprese le materie giuridiche derivate) continua a recare tracce patriarcali e gerarchiche di una concezione obsoleta del matrimonio e della famiglia. Nello sviluppo del diritto di mantenimento e patrimoniale nel matrimonio il modello giuridico normativo non prevede una vera partecipazione a pari titolo di ambedue i coniugi. Manca ancora la parte attuativa dell’idea di matrimonio partenariale

formulato

al paragrafo

1356

del Codice

civile

tedesco.

Nel diritto

pensionistico, con il modello computativo per il calcolo della pensione vedovile, è entrata in vigore una regolamentazione nettamente arretrata rispetto all’idea del partenariato nei confronti della pensione associata o dello splitting pensionistico reversibile. Dal punto di vista storico l’idea cristiana dell’integrità, dell’indissolubilità e dell’importanza del matrimonio nell’ordine divino del creato ha contribuito in modo determinante a caratterizzare lo sviluppo di una concezione partenariale e personale dell’amore coniugale; d’altra parte, la conservazione durevole delle concezioni tramandate, come la facoltà di decisione finale del padre di famiglia, proprio negli anni ’50 aveva impedito l’attuazione politica dell’ideale del “partenariato”. Da questa duplice eredità storica è emersa la particolare responsabilità della politica democristiana della famiglia nell’istituire forme di vita ugualmente favorevoli per uomini e donne nel matrimonio e nella famiglia, corrispondenti al bisogno fondamentale di amore, sicurezza e sostegno. L’educazione dei figli è compito del padre e della madre; occorre assicurare ad ambedue una vera libertà di scelta. L’organizzazione del lavoro retribuito in particolare, attraverso l’utilizzazione creativa delle numerose concezioni possibili di orario di lavoro flessibile per le donne e gli uomini, è in grado di favorire in modo determinante la partecipazione partenariale di ambedue i genitori all’educazione dei figli. Il miglioramento delle condizioni generali delle possibilità di sviluppo professionale delle madri e delle possibilità di sviluppo familiare dei padri devono mirare in modo complementare alla parità dei diritti. Le offerte qualificate, differenziate e stabili di custodia dei bambini possono essere d’aiuto per i genitori nella realizzazione di modelli di vita basati sul partenariato.

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Una politica matrimoniale e della famiglia, adeguata ai tempi in questo senso, cerca di favorire progetti di vita in base alla paritĂ di diritti, che rafforzino il partenariato e la capacitĂ di assumere impegni.

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2. Il riconoscimento adeguato delle prestazioni delle famiglie

Nel matrimonio e nella famiglia, in base al particolare impegno relazionale assunto, le persone offrono prestazioni di cui beneficiano non soltanto i diretti interessati ma anche la società nel suo insieme. Un’ adeguata politica della famiglia deve considerare in via prioritaria il riconoscimento delle prestazioni piuttosto che la compensazione degli svantaggi. La politica della famiglia democristiana mira a consentire la disponibilità familiare

e

sussidiaria

nel

fornire

prestazioni

in

modo

durevole

e

di

onorarla

adeguatamente. Al riguardo, il campo d’azione concreto è costituito dalla politica della sicurezza sociale, in cui il riconoscimento dell’opera educativa delle famiglie, in quanto prestazione generativa all’interno dei contratti intergenerazionali, non è ancora attuato in modo adeguato. L’organizzazione del tempo dedicato all’educazione dei figli ai fini dell’assicurazione pensionistica e l’attuazione della sentenza del Tribunale costituzionale federale in materia di assicurazione di assistenza sono due esempi per i compiti attuali della politica democristiana della famiglia. Chiediamo una discussione onesta circa l’ampliamento della base imponibile, dei carichi e delle detrazioni per le famiglie. Anche alfine di rispondere alle domande poste in materia di immigrazione e integrazione, una politica orientata alle prestazioni delle famiglie pone opzioni chiare. Per rafforzare in modo sostanziale la disponibilità all’integrazione di cittadini stranieri, attuando in modo ottimale

le

prestazioni

rese

nel

matrimonio

e

nella

famiglia,

che

favoriscono

l’integrazione, non è possibile limitare il ricongiungimento di coniugi e figli in modo arbitrario. Le famiglie degli immigrati riescono in genere a integrarsi meglio se non vengono

divise.

Perciò

occorre

favorire

attivamente

l’ingresso

congiunto

o

il

ricongiungimento tempestivo dei figli minori.

3. La compensazione di oneri particolari dovuti a obblighi familiari

Soprattutto in materia di diritto tributario e di assegni familiari, ma anche di sussidi all’educazione, occorre rinnovare la normativa in modo tale che soddisfi gli impegni reali delle coppie sposate e gli oneri delle famiglie,

ivi comprese le famiglie con un solo

genitore. Nel diritto tributario si tratta innanzi tutto di prevedere franchigie adeguate per i figli (ai sensi della sentenza del Tribunale costituzionale federale del 1999), ma anche la detraibilità dei costi per la custodia dei figli come spese professionali. Si tratta di conservare l’imposizione congiunta in capo alle coppie e un diritto tributario favorevole, eventualmente – come nel caso della legge sulla tassazione delle successioni – in base alla situazione patrimoniale legale. La

trasformazione

degli

assegni

familiari

in

trasferimenti

all’educazione,

indipendentemente dalla situazione reddituale, che – in considerazione delle prestazioni

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rese – in base alle relative modalità e alla loro entità contribuiscano a rafforzare in modo duraturo la responsabilità economica dei genitori, dovrebbe avvenire gradualmente. È possibile mantenere e rafforzare la competenza educativa familiare soltanto se gli sgravi in termini finanziari e temporali per i genitori si integrano e sono sostenuti in via complementare mediante l’offerta di assistenza e consulenza alle famiglie. In questo caso, è di grande importanza l’ulteriore trasformazione del "congedo parentale" in un diritto al tempo per la famiglia. La politica democristiana della famiglia non è da intendersi solo come compito della legislazione federale. Compaiono come attori importanti di una politica della famiglia complessiva correttamente intesa – ad esempio - anche i comuni e le imprese. Sollecitare nelle imprese una politica del personale orientata alle famiglie, assicurando il necessario accompagnamento da parte dello stato, è una parte integrante della nostra politica della famiglia. Le condizioni di vita delle famiglie sono decisamente influenzate dai comuni e dalle istituzioni indipendenti. Fa parte del nostro progetto democristiano di politica della famiglia il compito di rafforzarle nella loro autonomia e di incoraggiarle a utilizzare il loro margine di manovra in modo integrativo per il bene dei figli e delle famiglie. Una “politica della famiglia complessiva" comprende una politica dell’edilizia abitativa che sappia riconoscere le esigenze dei figli, e una politica dei trasporti che consideri le esigenze dei genitori con carrozzine; essa sostiene l’imposizione di nuovi modelli di orario di lavoro, garantisce la consulenza matrimoniale, ai conflitti della gravidanza e all’indebitamento, offerte psicosociali in caso di mancanza di figli involontaria nonché in genere alla formazione di una famiglia. La politica democristiana della famiglia intende ridurre l’indifferenza strutturale nei confronti delle famiglie e costruire una cultura a favore dei figli. La politica della famiglia complessiva è una politica trasversale. Essa contribuisce a rafforzare le questioni familiari in tutti gli ambiti della vita - nella politica economica e sociale come in quella dell’istruzione e della sanità. Così facendo, sorgono sempre nuove sovrapposizioni e nuove sfide – come ad esempio attualmente in relazione ai progressi in campo biomedico. La divisione, causata dalle possibilità della medicina di dare luogo a una genitorialità biologica e sociale, prepara compiti difficili per la politica giuridica (della famiglia), per la cui soluzione appare utile l’orientamento all’immagine cristiana dell’uomo.

5. La politica economica e sociale La società attuale all’inizio del 21° secolo si trova al centro di un processo di trasformazione

fondamentale.

A

fronte

di

una

globalizzazione

crescente

e

alla

digitalizzazione del mondo della vita, sulla base dell’ordine di valori e nell’ambito del quadro istituzionale dell’economia sociale di mercato occorre avviare riforme che

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conducano alla soluzione dei problemi, talora nuovi in senso qualitativo, emergenti in Germania, tenendo sempre conto degli sviluppi e delle sfide globali e internazionali.

5.1. L’idea antropologica fondamentale dell’economia sociale di mercato L’economia sociale di mercato vede l’uomo come persona libera e responsabile che da individuo con le stesse origini si riferisce ai suoi simili. In quanto persona unica nell’insieme sociale, all’uomo spettano diritti e doveri, in base ai quali egli ha anche il diritto e il dovere di regolare le sue faccende economiche in piena libertà e responsabilità. A tale immagine cristiana dell’uomo corrisponde l’idea istituzionale dell’economia sociale di mercato. Essa si basa sulla convinzione che il fine primario di qualsiasi attività economica, cioè l’approvvigionamento ottimale di beni a tutti gli uomini, si realizza soltanto grazie alla libertà dei soggetti economici, alla loro creatività economica. L’economia sociale di mercato si basa sul principio che tutti gli uomini, a causa della diversità delle loro capacità e abilità, sono tenuti a - ma anche capaci di – offrire un contributo al detto approvvigionamento ottimale di beni. Tuttavia, contemporaneamente è anche compito della società e dell’azione politica di mettere tutti in grado di partecipare a questo processo economico, cioè di agire assumendosi la responsabilità per sé e per gli altri. In ciò rientra anche la giustizia sociale in quanto giustizia partecipativa. Su questo sfondo, per lo stato sorge la necessità di creare strutture e sistemi di incentivi in cui possano dispiegarsi la solidarietà e la responsabilità propria. Un compito prioritario dello stato è quindi quello di creare un clima positivo e favorevole allo sviluppo. Lo spirito imprenditoriale va stimolato attraverso simili incentivi, promuovendo la disponibilità all’innovazione, perché in un’economia sociale di mercato sono gli imprenditori a creare nuovi posti di lavoro. Di conseguenza è necessario, ad esempio, assicurare alle giovani imprese che nascono grazie all’innovazione tecnologica, un sostegno specifico e poco complicato nella fase di avvio. Lo Stato dovrebbe snellire la densità normativa evitando l’eccesso di regolamentazione.

5.2. Lavoro e dignità L’economia sociale di mercato parte dal convincimento che il lavoro riveste per l’uomo un’importanza esistenziale. Questo vale soprattutto per il lavoro retribuito che non assicura soltanto la base esistenziale finanziaria, ma contribuisce anche ad aumentare la fiducia in se stessi, l’indipendenza, l’apprezzamento della personalità e, quindi, anche la dignità del singolo. Di conseguenza non si deve lasciare il lavoro umano, come fosse una merce, in balia delle leggi del mercato della domanda e dell’offerta, ma – fermo restando la relazione con il mercato e il valore obiettivo del lavoro – occorre anche garantire il valore personale del lavoro. Siccome l’attività economica non si svolge in un vuoto giuridico, politico e istituzionale, allo stato spetta innanzi tutto il compito di creare il quadro istituzionale

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dell’ordinamento economico, ad esempio in relazione all’ordinamento giuridico, alla normativa della concorrenza e alle istituzioni di istruzione. Queste ultime stanno acquisendo un rilievo sempre maggiore, in particolare la specializzazione, soprattutto se si realizza la caratterizzazione delle strutture economiche future all’insegna del concetto certamente vago della "società della conoscenza". È certamente giusta l’osservazione che le economie nazionali di livello occidentale, a causa della divisione del lavoro globale, saranno in grado di mantenere il loro livello di vita solo fabbricando prodotti di alta qualità e innovativi, mentre questi prodotti saranno sempre più ad alta intensità di ricerca, per cui il sapere tecnico-scientifico necessario si espanderà rapidamente. In questo caso la formula della "scomparsa del tempo di dimezzamento del sapere” sarà bene o male giustificata: la presenza di posti di lavoro concorrenziali e promettenti dipenderà decisamente da ciò che conseguiremo nella "produzione di sapere". A ciò si collega, da un lato, il fatto che il lavoro del singolo e la sua creatività individuale comportano una maggiore autonomia sul posto di lavoro. Potrà svilupparsi, quindi, una nuova cultura dell’autonomia con grandi opportunità anche per i ceti medi a lavoro autonomo che in questo caso potranno godere di vantaggi nella concorrenza che li oppone ai grandi gruppi industriali. Questa cultura dell’autonomia rende nuovamente e urgentemente necessario riflettere sulla partecipazione dei prestatori d’opera al capitale produttivo. La condizione delle parti sociali, quindi, dovrà essere ridefinita a partire dalla prospettiva di un prestatore d’opera, partecipe sia dello sviluppo del benessere sia – almeno in certa misura – dei rischi dell’evoluzione del capitale. D’altra parte, questo sviluppo comporta nuovi problemi:il sapere, che oggi garantisce un vantaggio economico, è diventato sempre piú elitario e complesso rispetto al passato e talora crea nuovi problemi etici. Perciò la coesione sociale tra le elite del sapere e il resto della popolazione diventa un tema politico: occorre disporre della fiducia delle persone e ridurne le paure attraverso un’informazione onesta e un ampio dialogo sulle opportunità e i rischi del progresso tecnico e delle tendenze economiche. In secondo luogo, sempre più posti di lavoro caratterizzati da scarsi requisiti qualitativi sono sostituiti dalle macchine, e in questo scenario l’offerta d’impiego per lavoratori poco qualificati o qualificabili si ridurrà sempre più. Perciò sarà indispensabile qualificare sempre meglio un numero crescente di persone (e, a causa dell’andamento demografico, fino alla tarda età!) per consentire loro di svolgere un lavoro retribuito. Qualsiasi "offensiva di qualificazione" si ferma davanti ai limiti naturali posti dal talento e dall’efficienza del singolo. Ne emerge il rischio che la forbice tra offerta e domanda di impiego si apra ulteriormente a causa dei crescenti requisiti di qualificazione. Questa preoccupazione riguarda soprattutto i giovani che non hanno nemmeno un diploma (attualmente si tratta di un giovane su dieci con una tendenza all’aumento della quota!). Questa tendenza pone una sfida che occorre risolvere non solo a favore della stabilità

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sociale, ma anche - sotto il profilo del lavoro e della dignità – in riferimento alla responsabilità etica dello stato e delle parti sociali di creare nuovi accessi all’idoneità e alla qualificazione professionale e ad altre forme di lavoro sul primo mercato del lavoro, ad esempio nel terziario, e di elevare la valenza di questi posti di lavoro nella consapevolezza del pubblico: il lavoro ha la priorità sull’assistenza sociale.

5.3. Stato assistenziale o stato sociale? La dimensione sociale dell’essere persona dell’uomo – nella prospettiva cristiana – non rientra nelle riflessioni soltanto per considerazioni di mera utilità. Piuttosto è costitutiva per la riuscita della vita umana in genere. In base alla loro destinazione, a tutti gli uomini occorre dare una parte dei beni della terra. Per raggiungere questo fine, non è sufficiente l’istituzione del mercato con la sua garanzia di libertà economica, autodeterminazione e capacità di agire. Uno sguardo a tutti coloro che ancora non possono, non possono più e non potranno mai partecipare al mercato, rende evidente un’implicazione del principio della solidarietà qui indicato. La disponibilità a produrre, la capacità di produrre e la produzione effettiva di chi opera sul mercato è necessaria affinché si realizzi la solidarietà. Innanzi tutto devono produrre quelli che ne hanno la capacità e la preparazione, affinché coloro che devono poter contare sulla solidarietà e il sostegno, possano ricevere l’aiuto (come aiuto all’auto-aiuto) nel senso della sussidiarietà. Il concetto di stato sociale, strettamente connesso a quello dell’economia sociale di mercato, da una parte comprende il principio che nessuno che si trovi in condizioni di estremo bisogno, debba aiutarsi da solo. Quindi, non sussiste solo un diritto morale, ma anche giuridico ad avere una vita priva di preoccupazioni materiali che minacciano l’esistenza. Nel contempo, tuttavia, gli sforzi fatti per attuare la giustizia sociale comprendono possibilmente anche gli sforzi di tutti per partecipare agli avvenimenti sociali ed economici o per creare per tutti le adeguate condizioni di tale partecipazione, distribuendo in modo possibilmente uniforme nella società le opportunità e gli oneri relativi. Al riguardo, considerando le famiglie con prole, occorre anche menzionare come importante compito per il futuro la giustizia intergenerazionale. Lo stato sociale è ormai giunto ai propri limiti non solo finanziari, ma anche organizzativi, qualitativi e ideali. Perciò necessita di essere riformato. La mentalità diffusa di far diventare lo stato sociale uno stato assistenziale e previdenziale, non corrisponde più alla libertà e all’autoresponsabilità dell’uomo. È vero che il principio di solidarietà svolge un ruolo importante, anzi irrinunciabile, per il nesso tra origine e motivazione dello stato sociale, ma prendendolo in modo isolato e assoluto, si giunge all’abuso e all’erosione dello stato sociale stesso. È degna dell’uomo solo un’idea di giustizia sociale che nel contempo rispetti e rivendichi la sua libertà, prendendo quindi sul serio ed esigendo la sua autoresponsabilità e quella delle piccole

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comunità nella società. Il principio di solidarietà – e in ciò questo concetto si distingue molto nettamente da altre interpretazioni, essendo basato sull’immagine cristiana dell’uomo – può essere interpretato nel modo giusto soltanto mediante il principio di sussidiarietà; lo stato sociale correttamente inteso in senso sussidiario si affida necessariamente al singolo che tutela la propria libertà, esercita la responsabilità, prende iniziative, fa sforzi e dà prestazioni. Perciò questo tipo di stato sociale è il risultato di una solidarietà consapevole e responsabile. Certamente esso serve per alleviare il bisogno sociale, ma in più è anche l’espressione di una cultura della solidarietà. Per quanto riguarda la questione del futuro dello stato sociale, è indispensabile un ripensamento delle sue basi etico-sociali. Per mantenere in piedi il sistema di solidarietà, il principio della persona fornisce un criterio irrinunciabile. In base a questo principio e in considerazione delle prestazioni dello stato sociale, è possibile decidere sulle prestazioni di solidarietà in modo differenziato. In questo caso occorre distinguere tra prestazioni sociali irrinunciabili (ad es. l’assistenza sociale), prestazioni richieste in base alla giustizia sociale (ad es. per la famiglia) e quelle per le quali le prestazioni tradizionali possono essere sostituite da prestazioni proprie. In questo caso non si tratta di ridurre la sicurezza sociale tradizionale in base a un ethos della rinuncia, ma di concepire le riforme in modo tale da offrire incentivi alla collaborazione alla riforma e all’assunzione di responsabilità in proprio. Il principio sarebbe quindi da formulare nel modo seguente: dall’assicurazione obbligatoria all’obbligo assicurativo.

5.4. La sostenibilità come finalità etico-economica L’economia sociale di mercato comprende anche il trattamento attento delle risorse naturali. Anche questo deriva dall’immagine cristiana dell’uomo e dal nostro concetto di creato. Il principio della sostenibilità in quanto obiettivo economico circoscrive la futuribilità dell’utilizzo delle risorse naturali. Anche se questo principio è noto soprattutto nella politica ambientale, esso è rilevante anche per l’economia sociale di mercato, poiché soltanto una politica finanziaria, economica e sociale, che si preoccupa delle conseguenze a lungo termine delle proprie decisioni e azioni, dischiude alle generazioni future opportunità

comparabili

di

organizzare

la

loro

vita

in

libertà

e

attraverso

l’autodeterminazione.

5.5. La messa in rete globale Un’economia sociale di mercato deve tenere conto delle reti e dipendenze globali e occuparsi della compatibilità di tutti i processi economici a livello mondiale. Noi sosteniamo gli sforzi intrapresi per creare un ordinamento della concorrenza valido in tutto il mondo, che assicuri il libero commercio equo a condizioni che consentano di introdurre la giustizia sociale anche nei paesi di origine, contrastando la povertà, lo

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sfruttamento, l’ignoranza e l’irresponsabilità economica mediante l’imposizione di bandi internazionali.

5.6. Il potenziamento della società civile L’economia sociale di mercato del 21° secolo necessita, per la realizzazione della libertà e della giustizia sociale, della società civile, poiché la giustizia sociale in pratica non significa estendere ulteriormente l’intervento dello stato; anzi, significa rafforzare la società civile, cioè prendere sul serio e attivare la libertà e la responsabilità dei cittadini. Di conseguenza, si richiede a tutti di fare uno sforzo per rinnovare la cultura sociale. Al riguardo ci riferiamo soprattutto alla molteplicità di gruppi di istituzioni sociali che sono in grado di fornire un contributo autonomo all’incremento del benessere sociale. Ne fanno parte in prima linea le famiglie, ma anche le istituzioni di interesse collettivo, come le chiese e le associazioni nonché le varie forme di mutuo soccorso. Necessita una chiara regolamentazione delle responsabilità situate, in base al principio di sussidiarietà, al livello più basso corrispondente al caso singolo. In questo modo è possibile avere una maggiore vicinanza ai cittadini, un maggiore impegno civile e più cariche onorifiche. La maggiore vicinanza, riguardante, ad esempio, anche il lavoro retribuito svolto in spazi vitali controllabili, e il radicamento in una "patria" costituiscono il complemento necessario alla globalizzazione dell’ordine economico. Inoltre, la società civile contribuisce ad avviare uno sviluppo che vada dallo stato assistenziale allo stato sociale responsabilizzato; infatti, lo stato non potrà più essere l’unico attore irresponsabile dal punto di vista etico-sociale nella realizzazione della giustizia sociale, ma occorre promuovere e utilizzare in modo ottimale prioritariamente le risorse umane della società. A questo capitale sociale occorrerà dedicare maggiore attenzione e riconoscimento, occorrerà mobilitare e attivare le capacità della società, per poi riportare gli affari pubblici dalla mano dello stato alle molteplici mani della società.

5.7. La consapevolezza della fallibilità La concezione dell’economia sociale di mercato fin dall’inizio non conta su una morale della massima efficienza di pochi cittadini. Piuttosto l’immagine cristiana dell’uomo – nella consapevolezza della fallibilità dell’uomo e anche della sua possibilità di fallire nel fare uso della libertà – presuppone l’utilità propria come stimolo a qualsiasi azione nell’ambito dell’economia di mercato. Per poter realizzare l‘approvvigionamento ottimale di tutti gli uomini, occorrono istituzioni idonee che non colleghino il successo dell’azione economica a motivi morali, ma creino piuttosto incentivi che prospettino risultati vantaggiosi per tutti,

per

cui

sia

possibile

contare

sulla

disponibilità

di

tutti

a

collaborare.

Contemporaneamente occorre che tutti i membri della società abbiano un ethos orientato

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al benessere collettivo, in modo da non scalfire ed erodere egoisticamente le istituzioni e i rispettivi regolamenti.

6. La politica dell’istruzione e dell’educazione In ultima analisi, le decisioni fondamentali pedagogiche e di politica dell’istruzione si possono motivare e valutare, al di là dell’empiria e della prammatica, soltanto richiamandosi all’idea sottesa dell’uomo.

6.1. L’uomo ha bisogno dell’istruzione e dell’educazione L’uomo ha bisogno di istruzione e di educazione e ne ha la capacità. In questo caso, istruzione ed educazione costituiscono solo aspetti diversi di un processo che va inteso come unitario: l’istruzione pone l’accento sulla conoscenza, sulla capacità e sul giudizio, l’educazione sul volere e sull’agire; l’istruzione nel caso ideale è un processo che dura una vita, l’educazione in genere termina al raggiungimento dell’età adulta. L’uomo è un essere aperto al mondo, capace e obbligato a esplorare il mondo da solo, a orientarvisi, a plasmarlo e a decidere egli stesso della propria vita attraverso le azioni che compie. Il rapporto con se stesso, il mondo e la società non è prestabilito semplicemente dalla natura e diretto, il suo agire non è determinato da regole preordinate. Perciò le sue doti e capacità non si sviluppano da sole; ma hanno bisogno di un dispiegamento e di uno sviluppo guidati. Il mezzo indispensabile a ciò, indipendentemente dalle condizioni sociali generali, sono l’istruzione e l’educazione pianificate e organizzate dall’uomo per mezzo dell’uomo in vista del raggiungimento degli obiettivi intercorrelati seguenti: 􀂃 coltivazione, cioè la trasmissione di conoscenze e capacità che nel dettaglio e in senso sopratemporale sono definibili solo entro certi limiti, ad eccezione della competenza linguistica elementare. La definizione oggi in voga, ma solo formale, secondo cui occorrerebbe solo imparare "l’apprendimento dell’apprendere", trascura il fatto che occorrono sempre processi formativi di base guidati e che i contenuti didattici non sono indifferenti. Perciò proprio oggi occorre disporre nuovamente di un canone costitutivo che miri ad assicurare “le pari opportunità del sapere” in base a criteri unitari e verificabili. 􀂃 civilizzazione, cioè l’abilitazione alla frequentazione conviviale e sociale di altri uomini; 􀂃 moralizzazione, cioè la formazione della personalità morale, lo sviluppo delle virtù, gli atteggiamenti e le disposizioni all’azione orientati ai valori e la formazione della coscienza; occorre di nuovo una coscienza pubblica del significato dei valori fondamentali e delle virtù per la coesione e l’identità della nostra società;

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􀂃 (auto)disciplina, cioè l’abitudine degli adolescenti al rispetto delle regole, allo scopo di controllare il proprio comportamento, e alla sensibilizzazione e alla volontà di correzione in caso di violazione delle regole in quanto tali. Perciò l’istruzione e l’educazione non sono mai esclusivamente affari privati. La competenza vitale complessiva comprende ugualmente la competenza di sé e la competenza sociale e si esprime nella capacità di giudizio, nell’autonomia, nella disponibilità ad assumersi delle responsabilità, nella tolleranza, nell’apertura alla cultura e al mondo, nell’educazione sentimentale e nell’empatia. Perciò, sia ai fini delle possibilità del singolo nella vita sia per lo stato che per la società, la capacità di istruzione e di educazione della famiglia, l’organizzazione e l’efficienza dell’istruzione pubblica rivestono un’importanza centrale.

6.2. L’immagine cristiana dell’uomo come concetto olistico La dignità umana e la libertà soggetta a vincoli sociali costituiscono la base normativa e la finalità dell’azione politica nel campo dell’istruzione in base alla responsabilità cristiana "innanzi a Dio e all’uomo". Perciò

l’immagine

unidimensionali,

cristiana

ancorché

dell’uomo

si

distingue

pedagogicamente

da

efficaci

altre

immagini

(collettivistiche,

dell’uomo

scientistiche,

biologistiche, economicistiche) e vieta la professione e la trasmissione di concezioni politiche totalitarie come pure la strumentalizzazione dell’uomo per fini esterni a questi stessi. Essa lo intende piuttosto nella sua interezza e lungo tutto l’arco della vita, consentendogli di partecipare al mondo attraverso l’istruzione di base e superiore: una partecipazione consapevole per mezzo della sua aspirazione alla conoscenza, della sua curiosità e dei suoi interessi; partecipazione creativa mediante la sua aspirazione alla formazione;

partecipazione

umana

mediante

la

sua

tendenza

alla

socialità;

partecipazione amorosa grazie alla sua devozione nei confronti di altri o di qualcosa d’altro;

partecipazione

emotiva

per

la

sua

soddisfazione

nella

responsabilità;

partecipazione liberatoria a causa del bisogno di trascendenza guidato dalla speranza e basato sulla comprensione del senso della vita.

6.3. L’immagine cristiana dell’uomo come concetto realistico Tuttavia, questa responsabilità è comunque e sempre consapevole della "creazione caduta", come le impone il suo realismo antropologico e pedagogico. 􀂃 Realismo, cioè innanzi tutto il riconoscimento del fatto che l’uomo possiede la facoltà della ragione: la sua conoscenza, il suo giudizio e la sua azione nella capacità di discernere tra ció che è giusto e ció che è sbagliato, tra il bene e il male, pur essendo

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sempre soggetti a inclinazioni, pulsioni, bisogni, umori, emozioni e altri impulsi irrazionali e non regolabili. 􀂃 Realismo, ciò significa in secondo luogo riconoscimento della diversità degli uomini in base all’idea che la loro uguaglianza non si riferisce al talento, al rendimento e alle inclinazioni e che le "pari opportunità" suggeriscono solo l’illusione di ottenere risultati uguali. Ne deriva necessariamente il riconoscimento del principio del rendimento e dell’esistenza di una scuola differenziata che tenga conto del rendimento, nonché l’idea pedagogica che l’esigenza e la promozione vanno intese su base individuale e realizzate in modo articolato e che la giustizia delle opportunità è da garantirsi mediante un accesso all’istruzione orientato al rendimento e attraverso la permeabilità dell’istruzione. Perciò gli scolari più capaci e quelli meno capaci vanno promossi in modo individuale; gli handicappati devono ottenere le possibilità di promozione più adatte a loro. Nella scelta del tipo di scuola la priorità deve essere attribuita al bene del bambino. 􀂃 Realismo significa in terzo luogo che lo sviluppo della persona (personalità) e della sua dimensione - individuale, comunitaria, etica e di significato – può riuscire solo in presenza di processi ed obiettivi istruttivi ed educativi olistici nonché nella forma ottimale delle istituzioni coinvolte – soprattutto la famiglia e la scuola – come pure in un ambiente favorevole ai bambini e ai giovani anche nell’offerta mediatica. Dalla missione dello stato sociale deriva la necessità di creare i presupposti reali e le condizioni generali affinché i giovani siano messi in condizioni di organizzare da soli i loro spazi di libertà. Così, ad esempio, mediante la predisposizione di un’offerta di assistenza a tempo pieno soprattutto nei centri sociali (da non confondersi con la scuola a tempo pieno) e l’introduzione di orari stabili già nella scuola elementare sarebbe possibile liberare la famiglia per renderla disponibile a un impegno educativo più intenso nelle ore trascorse insieme. Così l’impegno morale autoimposto dei media potrà rafforzare l’effetto educativo della famiglia e della scuola, invece di ridurlo. Anche l’assunzione di responsabilità formative da parte dell’economia, con l’offerta di opportunità di inserimento professionale anche per i meno dotati, potrebbe contribuire alla soluzione di molti problemi sociali (violenza,

radicalismo

politico)

riconducibili

alla

mancanza

di

autostima

e

di

riconoscimento. Una politica statale previdente in materia di formazione e assunzione di insegnanti può contribuire ad attirare verso questa professione i migliori laureati.

6.4. Il fine dell’istruzione scolastica è la personalità 22


La finalità di una concezione dell’istruzione e dell’educazione basata sull’immagine cristiana dell’uomo non è la formazione "alla", ma "della" personalità e delle sue doti. Perciò la politica dell’istruzione attraverso lo strumento della scuola e dell’università è collegata in misura maggiore o minore con la politica sociale, economica, del mercato del lavoro, della famiglia, della gioventù, della delinquenza. Tuttavia, essa non deve farsi solo strumentalizzare, ma deve affermare il proprio valore intrinseco. Ciò vale soprattutto per la democrazia, che come nessun’altra forma di stato garantisce i diritti di partecipazione attiva ai processi decisionali politici che necessita di avere un cittadino istruito e informato. Questi deve comprendere che vive in una comunità nei confronti della quale ha delle responsabilità; deve conoscere quali sono le fonti della sua autoconsapevolezza, che cosa si è affermato nella sua storia e di quali regole etiche generali e valori fondamentali è tributaria. L’istruzione e l’educazione in base alla concezione cristiana sono contrarie alla riduzione, oggi molto diffusa, dell’uomo alla sua funzionalità e all’idea che nell’istruzione sia importante e prezioso solo ciò che può essere utilizzato in senso economico in base a un semplice rapporto mezzo-scopo. L’istruzione è più della semplice formazione. L’istruzione è partecipazione culturale, comprende la facoltà di giudizio, la capacità di autoriflessione, di argomentazione razionale e di difendere il proprio punto di vista. L’istruzione mira al “soggetto etico”, alla coscienza, alle virtù, al carattere, all’autostima, alla capacità di distanziarsi e di autoprogettarsi in base al senso della vita. Perciò alla missione culturale, formativa generale dell’istruzione e dell’educazione, impostata sulla trasmissione di valori fondamentali, virtù (anche “secondarie”) e concetti di senso, spetta la priorità rispetto alla semplice qualificazione professionale o capacità professionale che coinvolge anche le scuole professionali.

6.5. L’unità della conoscenza, dei valori e dei giudizi L’istruzione scolastica in senso stretto si riferisce alla serie di materie scolastiche prevalentemente al servizio delle dimensioni antropologiche dell’uomo allo scopo di renderlo abile alla vita: l’uomo in quanto essere storico (storia), linguistico (tedesco, lingue straniere), avido di sapere (matematica, scienze naturali), politico (educazione politica in senso ampio), estetico (arte, musica, letteratura), motorio (sport), alla ricerca di senso, etico e religioso (religione, filosofia). Perciò la scuola deve mantenere l’equilibrio fra tradizione e innovazione. Un semplice orientamento della scuola verso se stessa, verso il presente e l’esperienza di vita in base al principio della misura di bambino inteso in modo sbagliato restringerebbe la partecipazione dei giovani e priverebbe i bambini del loro futuro. Infatti, un’idea di partecipazione orientata al momento presente e al piacere imprigionerebbe i ragazzi in un eterno presente: ciò che predispone in forma di paradigmi autoesperiti sarebbe assolutizzato. Perciò l’istruzione su uno sfondo cristiano in questo contesto di sapere,

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conoscenza e giudizio non può mostrare il proprio profilo particolare solo nella scelta di contenuti didattici di “valore”, ma anche nella forma dell’”insegnamento educativo” e complessivamente nella combinazione di sapere valori e giudizi morali, di "oggettività" ed "eticità", che motiva lo scolaro all’autoinsegnamento valutativo e all’autodeterminazione. Il trattamento di questioni di etica e trascendenza aiuta i giovani, proprio nell’età moderna con la sua complessità incontrollabile, a scrutare il senso della vita e della propria vita. In mancanza di ciò agli adolescenti sfuggirebbero dimensioni essenziali dell’esistenza umana. Si tratta di questioni quali: perché viviamo?, alla nostra morte tutto è finito?, che cosa sono Dio, il creato, la felicità, l’angoscia, la sofferenza, la colpa, il peccato, la finitezza, l’infinito ...? L’insegnamento nelle scienze naturali può chiarire il loro potenziale di soluzioni e le opportunità, i rischi e i limiti che ne derivano e quindi le relative opzioni e conseguenze etiche; l’insegnamento delle arti e della musica può aprire accessi emotivi e affettivi al mondo; l’insegnamento della letteratura, della storia, della filosofia può introdurre a forme di vita “riuscita” come anche alla fragilità della condizione umana, alla seducibilità di dottrine salvifiche immanenti, può far apprendere che tutto non è “fattibile”, che non si può avere tutto “alla mano”, ma che fanno parte delle forme di vita anche il fallimento, la finitezza, l’umiltà, che l’avere non sostituisce l’essere e il pensiero altrui non sostituisce il pensiero proprio, che lo "spirito del tempo" e l’attualità non sono la stessa cosa, e infine che l’”io” nella vita privata e in quella sociale deve sempre confrontarsi con un “tu”. Anche nell’epoca della tecnologia genetica e delle neuroscienze permangono le vecchie questioni dell’umanità di ispirazione religiosa: che cosa posso sapere, che cosa devo fare, in che cosa possono sperare, che cosa è l’uomo?

6.6. La delineazione della cultura religiosa di base Un’importanza particolare spetta come materia in tutti i tipi di scuola, e anche nella scuola professionale all’insegnamento della religione che va impostata in base alla costituzione e in senso confessionale. La sua funzione formativa non può essere sostituita da materie alternative, come l’etica o la filosofia, tanto più che la filosofia è ben più dell’etica. L’offerta religiosa è a sua volta superiore all’etica e alla filosofia. Il sapere religioso e la conoscenza della Bibbia costituiscono una base irrinunciabile per la partecipazione alla cultura cristiana occidentale. L’insegnamento della religione deve trasmettere

il particolare

potenziale

interpretativo

del cristianesimo,

che

ancora

caratterizza questa cultura, rispetto ad altre interpretazioni del mondo nella sua molteplice forma fenomenica, presentandosi nel contempo come offerta sopratemporale e fondativa di senso. Con ciò non sono affatto da escludere (nella misura in cui il relativo diritto sia riconosciuto dalla costituzione) le altre religioni come materie di insegnamento (purché sia con insegnanti formati in Germania, in lingua tedesca e sotto il controllo scolastico

tedesco)

l’informazione

su

atre

religioni

mondiali

all’interno

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dell’insegnamento della religione cristiana, ma anche in altre materie (ad esempio, la storia). Ma la tolleranza e il discorso con altre religioni presuppongono il fatto di avere un proprio punto di vista che possa motivare il giudizio. La riduzione, oggi molto diffusa, della formazione religiosa di base alle tematiche sociologiche o politiche e le offerte alternative orientate alla scienza della religione sono soluzioni insufficienti e al massimo favoriscono il sempre più dilagante “analfabetismo” religioso. Se tutto è ugualmente valido, diventa tutto indifferente.

6.7. Modello e " scuola buona " È anche sbagliato ritenere che la scuola possa seriamente contrapporsi alla società che la circonda (media, politica), come anche suggerire che tutti i problemi dell’istruzione si possano risolvere agganciando tutte le scuole alla “rete”. Con questo alibi la politica e l’economia rinuncerebbero a un serio dibattito sull’istruzione. Ciò riguarda soprattutto l’educazione. L’interiorizzazione di valori fondamentali ("educazione ai valori") e delle virtù dipende sempre da un modello preesistente nella famiglia e nell’insegnamento. Quindi non sono tanto i progetti didattici quanto piuttosto il pedagogo, tecnicamente ben preparato, che istruisce e forma attraverso il dialogo, da non intendere come il coach o il moderatore didattico, ad avere un ruolo decisivo, che va onorato anche nella formazione professionale e nella specializzazione. In definitiva la scuola può avere successo solo se si basa su una comunità educativa con i genitori, una “buona scuola” si realizza solo nella collaborazione partenariale anche a livello di questioni educative. La scuola stessa, tuttavia, non può essere attiva in senso complementare contrastando eventuali deficit della società attraverso lo sviluppo di una "cultura di scuola" che cerchi di vivere giornalmente secondo i principi di vita cristiani e la speranza nel futuro. Al riguardo non si può scambiare l’educazione con la tolleranza assoluta: che si lascino fin dall’inizio i giovani “deviati” come sono o si considerino come esseri eticamente capaci di fare ugualmente il bene e il male, in ambedue i casi l’educazione in base alla responsabilità cristiana significa dare regole chiare, stabilire sanzioni, indirizzi e guide. Oggi l’istruzione e l’educazione sono immerse in una società pluralistica, che si secolarizza sempre più; in base a tale pluralismo anche la scuola sostenuta dalla chiesa ha il proprio luogo legittimato dai diritti dei genitori e quindi garantito dallo stato; il numero sempre piú elevato di scolari deve riflettersi anche nel sostegno pubblico. L’elemento autenticamente “cristiano confessionale” in questo caso ha un valore diverso rispetto a quanto avviene nella scuola pubblica, per cui ha la possibilità di agire da modello ed esempio nella concorrenza con la scuola statale. Ma anche la scuola statale ha una missione “cristiana” da compiere: infatti, la questione della "formazione della personalità", della collaborazione della nostra società sulla base del patrimonio culturale condiviso e infine la questione dell’eticità e del senso sussistono indipendentemente

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dall’organo di supporto di una scuola. Si tratta di tematiche generali e, quindi, vincolanti, che devono precedere qualsiasi tipo di pluralismo.

6.8. La funzione culturale dell’istruzione superiore Anche l’istruzione superiore ha da compiere una missione non solo formativa, ma anche educativa: il rapporto tra le generazioni di studenti, future elite e la cosa pubblica, ai fini dell’interpretazione del passato e del presente e l’atteggiamento nei confronti del futuro, è determinato in modo sostanziale dal clima e dall’offerta universitaria e dalla loro immagine interna. La tendenza attuale a eliminare anche in questo caso la dimensione storica, retrogradando le scienze dello spirito e della cultura anche materialmente, non comporta solo conseguenze negative per la formazione degli insegnanti e l’immagine dei docenti. Anche una "società della conoscenza", a prescindere da come la si voglia definire, necessita della memoria storica, necessita di potenziali identitari e orientativi che vadano oltre l’utilizzabilità economica e, infine deve poter fare affidamento su un fondo di convinzioni valoriali condivise. I principi dell’immagine cristiana dell’uomo hanno continuamente bisogno di una mediazione verso la realtà, che può avere successo solo in base all’universalità del sapere. Perciò le scienze dello spirito, la filosofia e la teologia, non rappresentano soltanto il criterio culturale della società. Si tratta invece di interlocutori di uguale importanza quando occorre discutere sulle conseguenze sociali ed etiche delle scienze naturali moderne. Infine sono inevitabili quando si tratta di discutere di idee, modelli, normatività, validità, motivazione e senso.

7. Il fondamento religioso dell’immagine cristiana dell’uomo 7.1. L’uomo è stato creato da Dio L’uomo non si è creato da solo. Egli non è nemmeno un evento irrilevante nella storia naturale. L’uomo è stato creato da Dio. Se l’uomo non è la causa della propria origine e se non è nemmeno un prodotto del caso, la sua creazione va al di là di lui stesso. Egli era, è e sarà di più e qualcosa di diverso da ciò che sa di sé e da ciò che intende fare di sé. Per l’immagine cristiana dell’uomo è importante che Dio fosse ben disposto verso l’uomo al momento della creazione. L’uomo è debitore dell’amore del creatore. I cristiani nutrono la fiducia di fondo che questa benevolenza di Dio non rimane limitata a una creazione lontana nel passato. L’immagine cristiana dell’uomo è fiduciosa. Regna la certezza che attraverso tutte le vicissitudini Dio non abbandoni l’uomo a se stesso e che non permetta che egli fallisca definitivamente.

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7.2. L’uomo è destinato a essere libero L’uomo non è mai solo un mezzo per uno scopo e non è nemmeno programmato. Egli è destinato alla libertà, creatura e creatore insieme. L’uomo ha una posizione unica nel mondo. La sua libertà lo distacca dalla semplice natura. Nella fede cristiana l’uomo è fatto a immagine di Dio e chiamato a sostenere e realizzare le buone intenzioni di Dio nei confronti del creato. La libertà non è qualcosa che spetta all’uomo soltanto "tra altre cose" o "in seguito", ma essa sta all’inizio. Tutte le riflessioni etiche, politiche e sociali devono partire dalla libertà come base. La libertà dell’uomo non è mai concepibile senza la responsabilità. La sua responsabilità ha due destinatari: in quanto singolo l’uomo è sempre responsabile davanti a Dio e ne rende conto. Contemporaneamente gli è stata conferita anche la responsabilità per i suoi simili e l’intero creato. L’uomo è un essere sociale che non può vivere se non in comunità. A questo punto occorre che siano chiare le derivazioni e, quindi, le priorità. La libertà dell’uomo è debitrice del creatore; da ciò discende la responsabilità nei confronti degli altri. Perciò la libertà sta al centro. Se la libertà sta al centro, è anche impossibile un annullamento dell’umano nella legge della natura. Ciò che in un’epoca precedente alla scienza era la meccanica, oggi è la genetica: il tentativo di spiegare l’uomo solo in base alle leggi della natura. Una visione del genere non è conciliabile con l’immagine cristiana dell’uomo. Essa conduce alla barbarie.

7.3. La libertà è il fondamento della dignità dell’uomo L’inalienabile libertà dell’uomo e la sua singolarità come persona sono il fondamento della sua dignità. L’uomo come persona possiede un’inviolabilità che non gli viene solo conferita dalla società, ma che gli deve essere semplicemente riconosciuta. L’inviolabilità e l’inalienabilità dei diritti umani non sono idee qualsiasi, ma la necessaria conseguenza della posizione libera dell’uomo in rapporto a Dio. La benevolenza e il riconoscimento di Dio riguardano senza eccezioni tutti gli uomini. Gli uomini possono distinguersi per molte cose, hanno doti e capacità diverse. Il valore e la dignità del singolo tuttavia, non ne sono scalfite. La dignità dell’uomo è inviolabile perché non può essere giudicata solo in base al metro umano. Nessuno può misurare e giudicare il valore di una persona, per cui nessuno ha il diritto di denigrarla. Quando si parla di persone “indegne” o “prive di valore” si annulla l’immagine cristiana dell’uomo. Anche se gli uomini si distinguono enormemente internamente ed esternamente, in quanto creature hanno lo stesso valore. Il rendimento e il possesso non possono costituire criteri di valore definitivi.

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7.4. La fallibilità dell’uomo L’uomo vive con riserva divina, poiché solo Dio è pienezza e compimento. Gli uomini cadono

nella

colpa,

sbagliano,

rimangono

indietro

rispetto

alle

loro

possibilità.

Ciononostante il cristiano non si abbandona alla rassegnazione. Lo intende come un aspetto dell’ordine naturale nel quale Dio è perfetto e l’uomo imperfetto. Accettando questo egli si asterrà dal l’assolutizzare le idee o azioni umane o dall’aspirare alla loro assoluta perfezione. Ciò lo rende capace di un sereno scetticismo realistico nei confronti di se stesso. Il cristiano, da un lato, si esamina continuamente in base a un metro superiore (questo esame è la sua "coscienza"); egli sa che ciò che ha raggiunto è sempre inferiore a questo metro. Dall’altra, tuttavia, egli non chiede a se stesso nulla di irraggiungibile. La parola di Kant, secondo cui l’uomo è "intagliato in un legno storto", la applica anche ai suoi simili. Nell’immagine cristiana dell’uomo mancano i leader e i redentori politici, il cristiano sa che sono fallibili. D’altra parte, per il cristiano gli errori degli altri non lo indurranno mai a condannarli. Tuttavia la consapevolezza della fallibilità dell’uomo non equivale alla modestia o rassegnazione. Nell’ambito delle sue possibilità egli può servirsi fiduciosamente della propria libertà. Chi è libero, può esaurire la propria libertà nella responsabilità dinanzi a Dio e all’uomo senza cederla ad altri e alla comunità per una migliore amministrazione. L’immagine cristiana dell’uomo protegge dagli eccessi, ma è a sua volta pretenziosa.

Le conseguenze della libertà e della dignità Se la libertà sta all’inizio e al centro, è giustificabile solo un ordine sociale che attribuisce la priorità al libero sviluppo delle attività e idee umane. Si tratta del contrario di un modello di società in cui la libertà viene resa come variabile delle esigenze e dei regolamenti della collettività. La questione non deve essere: "quanta libertà è ancora possibile?", ma piuttosto: "quanti regolamenti sono ancora necessari?" La previdenza intesa in modo sbagliato porta alla tutela e alla sfiducia. Una società cristiana è una società che ai cittadini dà un anticipo di fiducia confidando nel fatto che facciano della libertà un uso ragionevole. Il principio istituzionale adeguato a ciò è quello della sussidiarietà: l’uomo deve poter fare ciò che può in base alla sua libertà e alle sue capacità e doti. Solo quando non ce la fa, interviene la comunità. Le società totalitarie e, quindi, non cristiane la pensano in modo diametralmente opposto: l’uomo può fare soltanto ciò che non può danneggiare la collettività onnisciente. Con la libertà la sussidiarietà sta all’inizio, ma la solidarietà è il suo pendant irrinunciabile: l’aiuto dato a colui che non è in grado di farcela da solo. L’impronta cristiana di una tale società consiste nell’offrire al bisognoso tutte le possibilità per

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aiutarsi da solo. Non è possibile conciliare con il rispetto della libertà e della dignità della persona il fatto di non dare agli uomini l’opportunità dell’autoaiuto per un’affrettata volontà di cura. I limiti della libertà sono determinati dalla libertà degli altri. Non è ammissibile una ponderazione tanto restrittiva che avvantaggi gli uni svantaggiando gli altri. La libertà e la dignità della persona impongono l’imperativo secondo cui l’uomo non può mai essere strumento e mezzo, ma sempre elemento centrale della politica. Per il pensiero attuale è ovvio il riferimento alle devastanti ideologie totalitarie del 20° secolo nelle quali gli uomini venivano “usati” per la collettività del popolo o del socialismo. Il cristiano ha il compito di essere vigile anche nei confronti di quelle promesse che per avverarsi portano ad “usare” le persone nei primissimi stadi della vita. Gli uomini non possono mai decidere di sacrificare persone per altre persone, nemmeno per scopi di cura. Con la dignità della persona è incompatibile un modello di società che stabilisce differenze valoriali e ontologiche tra gli uomini. È importante distinguere tra uguaglianza e uguaglianza: l’uguaglianza davanti a Dio, cioè l’uguaglianza tra gli uomini, non equivale all’assenza di differenze. Non è possibile derivarne un modello di società ugualitario collettivistico. La varietà del creato e la libertà per molti versi sono alla base delle differenze tra gli uomini. Il cristiano prende sul serio la peculiarità della persona e, quindi, anche le relative differenze. Tuttavia, è vietato derivarne differenze in relazione ai valori e alla dignità facendone una base per un modello di società. Davanti a Dio non vi è alcun ordine di rango per classi e nazioni.

7.5. Le conseguenze della fallibilità Fallibilità significa per i cristiani che nessun leader, nessuna ideologia e nessuna dottrina possono coinvolgerli completamente. Nella visione del mondo cristiana mancano le dottrine

salvifiche

e

redentrici

politiche,

la

fede

assoluta

nel

progresso

e

l’assoggettamento a un leader o a un principio. Il cristiano sa che chi vuole il paradiso in terra, vi crea sempre solo l’inferno. L’immagine cristiana dell’uomo è antitotalitaria e non fanatica. Nella fallibilità dell’uomo interviene la consolazione. In caso di fallimento, essa protegge dalla disperazione e in caso di successo dalla tracotanza. Se l’uomo è fallibile e adotta un metro superiore, è possibile giungere ad accordi tra uomini, a convenzioni sociali, fossero anche solo corrette dal punto di vista formale o basate su un ampio consenso, ma senza costituire l’unica norma per l’azione. Il cristiano è tenuto a esaminare anche questa con la propria coscienza. Se l’accordo diventa il criterio per l’ordine sociale, fallisce colui con il quale non è possibile accordarsi o che non possa o voglia farlo. La considerazione della massima utilità possibile di tutti per il giudizio etico non è sufficiente. In base alla visione cristiana del mondo è sostenibile l’idea che anche la

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massima utilità generale possa risultare moralmente negativa. L’uomo per il cristiano sta al centro in un senso particolare: egli sta a metà tra Dio e la natura. In virtù di ciò è anche capace di mantenersi in questo centro: rifiutando qualsiasi tentativo di divinizzare o reificare l’uomo. Parlando del cielo, si chiede se a esso si adatti una terra e viceversa. Ciò è realistico e non materialistico, spirituale e non illusorio.

8. Le radici cristiane della democrazia moderna e dello stato liberale Lo sviluppo secolare verso lo stato di diritto e la democrazia non a caso si è svolto nel mondo occidentale, improntato al cristianesimo. Nello sviluppo dell’immagine cristiana dell’uomo sono confluite le origini ebraiche, ellenistiche e romane della cultura occidentale. Questo percorso è stato irto di errori umani e di abusi della fede cristiana. Questa esperienza è il ricordo del fatto che la fallibilità dell’uomo e del suo agire costituisce un pericolo latente anche nel mondo moderno. L’immagine cristiana dell’uomo è stata il presupposto per l’emancipazione dell’individuo libero,

dotato

di

uguali

diritti,

di

una

dignità

inviolabile,

e

quindi

anche

per

l’emancipazione della donna. La Riforma, l’Illuminismo, la Bill of Rights, la rivoluzione democratica e i movimenti sociali dell’epoca moderna hanno potuto liberare le forze politiche laddove nella fede cristiana si era preparato il terreno per la libertà e l’autoresponsabilità dell’uomo. Lo stesso dicasi della libertà dell’insegnamento e della ricerca nonché la libertà delle arti. Di queste convinzioni vive la società aperta. Il superamento spirituale e politico dei totalitarismi moderni nell’allora mondo comunista da parte dei dissidenti nell’Europa centro-orientale riproduceva l’idea e la prassi della democrazia occidentale a partire dalle sue radici. Contro la finzione cinica dell’unità della società i dissidenti disponevano della conoscenza della natura fallibile dell’uomo. Non sono stati i marxisti dissidenti, ma l’unione tra le opposizioni democratica e cristiana a rovesciare le dittature. Nei movimenti dei dissidenti l’elemento politico e religioso era unito in vario modo, soprattutto in base alla derivazione autonoma e alla validità universale dei diritti umani. I sostenitori spirituali della Solidarnószcz polacca, i liberali ungheresi, i sostenitori della Charta cechi e gli oppositori in Germania orientale avevano i loro centri di forza intellettuali direttamente o indirettamente nelle idee familiari e comprovate dello spirito a impronta cristiana. A livello intellettuale e spirituale ebbero, quindi, accesso alle idee familiari e comprovate della democrazia. In questa tradizione si inscrive la politica dell’integrazione europea portata avanti in modo duraturo dai democratici cristiani. Solo con una politica istituzionale che coinvolga le strutture europee e internazionali è possibile perseguire con successo gli obiettivi di una politica orientata all’immagine dell’uomo anche in relazione alle questioni della ricerca, della famiglia, dell’economia e dell’istruzione in un mondo sempre più fortemente intrecciato.

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Fondazione Konrad Adenauer

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