IL CRISTIANESIMO COME MOTORE DELLA MODERNITÀ - VOLUME NO. 7
Il Cristianesimo e la formazione della personalità Jörg Dieter Gauger
Il Cristianesimo e la formazione della personalità Jörg Dieter Gauger
Indice Estratti dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica e da Lettere Encicliche di Benedtto XVI (compilati da Katharina Fuchs)
Estratti dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Capitoli 6 e 12: Il lavoro è necessario (289) “L'alto tasso di disoccupazione, la presenza di sistemi di istruzione obsoleti e di perduranti difficoltà nell'accesso alla formazione e al mercato del lavoro costituiscono, per molti giovani soprattutto, un forte ostacolo sulla strada della realizzazione umana e professionale.” (290) “Il mantenimento dell'occupazione dipende sempre di più dalle capacità professionali. Il sistema di istruzione e di educazione non deve trascurare la formazione umana e tecnica, necessaria per svolgere con profitto le mansioni richieste. La sempre più diffusa necessità di cambiare varie volte impiego, nell'arco della vita, impone al sistema educativo di favorire la disponibilità delle persone ad un aggiornamento e riqualificazione permanenti.” Dottrina sociale e formazione (531) „La dottrina sociale deve essere posta alla base di un'intensa e costante opera di formazione, soprattutto di quella rivolta ai cristiani laici. Tale formazione deve tener conto del loro impegno nella vita civile (…) riguarda la formazione della coscienza politica per preparare i cristiani laici all'esercizio del potere politico: ‘Coloro che sono o possono diventare idonei per la carriera politica, difficile ma insieme nobilissima, vi si preparino e cerchino di seguirla senza badare al proprio interesse e al vantaggio materiale’.”
(532) “Le istituzioni educative cattoliche possono e debbono svolgere un prezioso servizio formativo, impegnandosi con speciale sollecitudine per l'inculturazione del messaggio cristiano, ossia l'incontro fecondo tra il Vangelo e i vari saperi.”
Benedetto XVI: Lettera Enciclica “Caritas in veritate”, Capitoli 5 e 6: (61) “Con il termine ‘educazione’ non ci si riferisce solo all'istruzione o alla formazione al lavoro, entrambe cause importanti di sviluppo, ma alla formazione completa della persona.”
Benedetto VXI: Lettera Enciclica “Spe salvi”: (22) “Detto altrimenti: si rende evidente l'ambiguità del progresso. Senza dubbio, esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali per il male – possibilità che prima non esistevano. Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo.”
Benedetto XVI, Viaggio Apostolico nella Repubblica Ceca, “Incontro con le autorità civili e il corpo diplomatico” (26 settembre 2009): “Di particolare importanza è il compito urgente di incoraggiare i giovani europei mediante una formazione che rispetti ed alimenti la capacità, donata loro da Dio, di trascendere proprio quei limiti che talvolta si presume che debbano intrappolarli. Negli sport, nelle arti creative e nella ricerca accademica, i giovani trovano volentieri l'opportunità di eccellere. Non è ugualmente vero che, se confrontati con alti ideali, essi aspireranno anche alla virtù morale e ad una vita basata sull’amore e sulla bontà? Incoraggio vivamente i genitori e i responsabili delle comunità i quali si attendono dalle autorità la promozione di valori capaci di integrare la dimensione intellettuale, umana e spirituale in una solida formazione, degna delle aspirazioni dei nostri giovani.”
Benedetto XVI, Viaggio Apostolico negli Stati Uniti “Incontro con gli educattori cattolici” (17 aprile 2008):
d’America,
“Alcuni pongono oggi in questione l’impegno della Chiesa nell’educazione, chiedendosi se le sue risorse non potrebbero essere meglio impiegate altrove. Certo in una nazione come questa, lo Stato fornisce ampie opportunità per l’educazione e attira donne e uomini dediti e generosi verso questa onorata professione. E’ opportuno, quindi, riflettere su ciò che è specifico delle nostre istituzioni cattoliche. Come possono esse contribuire al bene della società attraverso la missione primaria della Chiesa che è di evangelizzare?”
Jörg Dieter Gauger: La formazione della personalità
Le sfide della modernità. Risposte per le scuole L’istruzione è la base e il motore del progresso economico e sociale globale, l’istruzione tuttavia informa anche i progetti di vita dei singoli, essendo il fondamento di atteggiamenti e posizioni e, inoltre, il quadro orientativo per le questioni valoriali, morali e di senso. Proprio in un periodo che promette sempre più flessibilità, mobilità, biografie variegate e la scomparsa della sicurezza, c’è bisogno della personalità “impermeabile” che, essendo sicura di sé e autonoma,
è in
grado
di
comprendere
le
trasformazioni
in atto
come
opportunità,
rendendosene consapevole all’interno di questo processo. Per questo motivo, la funzione della scuola non può esaurirsi nel compito di soddisfare i desideri in rapido mutamento provenienti dalla società e dall’economia. Piuttosto, in quanto istituzione culturale volta a impartire un’istruzione generale, essa deve trasmettere quelle basi che contribuiscono alla formazione della personalità e del carattere, combinando l’educazione alla comunità e alla tolleranza, la cultura linguistica, internazionale e civica, storica, estetica, nonché l’educazione morale e religiosa con una retroazione sui metodi didattici e la formazione e specializzazione degli
insegnanti. Inoltre, la scuola è l’unica istituzione sociale che è in grado di trasmettere sistematicamente il nostro patrimonio culturale. Non ci sfugge il fatto che l’istruzione e la formazione sono indispensabili per lo sviluppo economico e la concorrenzialità sui mercati internazionali, nonché per le opportunità di avanzamento di carriera per i singoli. Quello che critichiamo è invece la tendenza costantemente crescente a considerare l’essere umano soltanto in modo unidimensionale come “capitale umano” o consumatore. Vogliamo, invece, chiarire che proprio in relazione all’istruzione gli elementi non economici possiedono un valore proprio “superutilitaristico”. Tuttavia, l’istruzione priva di contenuti è vuota; infatti, le descrizioni puramente formali (“qualificazioni”,
“competenze”)
non
sono
sufficienti
se
non
sono
combinate
con
i
corrispondenti contenuti didattici fondamentali ed esemplari. Sono urgentemente richieste riforme del sistema scolastico e formativo a livello universitario. Tali riforme devono mirare alla realizzazione della migliore educazione possibile. Non si tratta prioritariamente di riforme strutturali, ma dei contenuti didattici. Questi devono orientarsi innanzitutto alle seguenti linee-guida e idee fondamentali. Le scuole devono educare al rendimento e trasmettere sapere. Dovrebbero, tuttavia, anche trasmettere dei valori. Ci vogliono “coraggio e capacità pedagogica”. La scuola può avere successo soltanto se orientata a valori e obiettivi chiari. La scuola non tollera strumentalizzazioni di politica quotidiana. Essa necessita di insegnanti ben preparati e motivati. Quella degli insegnanti è una delle professioni più importanti e tuttavia poco riconosciute nel paese. Essi meritano la stima che spetta loro. Comunque, la politica della scuola non può essere assolutamente un sostituto del deficit di politica sociale, di politica economica, di politica del mercato del lavoro, di politica della famiglia, di politica della gioventù, di politica della criminalità, di politica della storia ecc. Al contrario, le carenze nell’istruzione portano a problemi specifici. Infatti, l’istruzione e, quindi, la cultura costituiscono un segnale più importante. Si tratta della partecipazione culturale. L’istruzione o la cultura caratterizza il “soggetto etico”, le virtù, il carattere, l’autostima. La persona “istruita” è libera per il fatto che dispone della capacità di mantenere le distanze; per cui l’istruzione è il presupposto della libertà e del suo esercizio. Per questo motivo occorre ripensare la politica dell’istruzione in base alla questione del rapporto tra l’individuo e la società. L’elemento primario dell’istruzione è la personalità, e quindi la “libertà in divenire” del giovane. Essa è molto di più della semplice qualificazione. Una riforma dell’istruzione deve considerare la dimensione antropologica dell’uomo e accordare la priorità alla formazione della personalità. 1. La politica della scuola e l’antropologia - sui fondamenti spirituali di una politica realistica della scuola Dal dibattito sulla politica della scuola è rimasta assente l’antropologia. Siccome l’antropologia si pone il problema dell’immagine dell’uomo, la perdita dell’antropologia e, quindi, la perdita
dell’immagine dell’uomo, mette a repentaglio l’istruzione dell’uomo. Anche l’antropologia pedagogica spesso e volentieri è stata sacrificata o a una grande ideologia oppure a una teoria sociale presuntamente globale, ad esempio alla cosiddetta teoria critica e ai suoi elementi scenici mobili neomarxisti grazie ai quali “l’emancipazione”, “la critica sistemica”, “l’ampio autoritarismo” sono stati promossi a ideali pedagogici. Oppure l’uomo è stato sacrificato a un sogno pedagogico onnipotente di derivazione comportamentista, biologista o informatica, che attualmente trova un’eco in approcci pedagogici tecnicistici e/o funzionalistici. Oggi sembra che sia Internet ad assumersi questa funzione. L’antropologia pedagogica, a prescindere da qualsiasi atteggiamento dogmatico, deve tornare ad avere come interesse principale l’uomo in quanto essere incompiuto e contemporaneamente istruibile e bisognoso di istruzione. In questo senso, l’agire a livello della politica della scuola o della pedagogia non può orientarsi a ciò che l’uomo porta con sé per natura, quanto piuttosto a ciò che l’uomo può fare di sé attraverso la cultura e la comunità. Un’immagine dell’uomo che sia in grado di dare un orientamento, la forniscono in tal senso l’immagine dell’uomo caratteristica della cultura occidentale e le teorie della democrazia, perché ambedue si basano su un presupposto comune, quello della libertà dell’uomo. Essa è il fine supremo. Le istituzioni pedagogiche vanno quindi valutate in base alla modalità con cui consentono a ogni singolo essere umano l’esercizio della libertà, cioè con cui si danno l’opportunità di superare la propria natura attraverso le proprie prestazioni e di informare la cultura. La politica della scuola deve addentrarsi nuovamente nell’antropologia, e precisamente in un antropologia che non sia un sistema chiuso in sé, ma aperto per la molteplicità delle forme di manifestazione dell’essere uomo con al centro la dignità della persona nonché la sua totalità; il radicamento dell’istruzione nel pensiero occidentale, cristiano, umanistico; lo scetticismo nei confronti di dottrine salvifiche di tipo politico ma anche pedagogico. In questo senso per “persona” qui si intende la sostanza dell’essere umano. In essa si manifestano la dignità e la libertà dell’uomo. Inoltre e contemporaneamente la persona è orientata al proprio sé e anche alla comunità. La “personalità” è la manifestazione unica, indivisibile (“individuo”), irripetibile e inconfondibile dell’”essere così” personale. Essa è un tutt'uno relativamente duraturo, costante, vivo e presenta un carattere processuale per gli eventi che compongono la sua biografia. In questo modo la persona e la personalità diventano il punto di interesse legittimo della politica della scuola e della pedagogia. Un’antropologia di questo tipo è “realistica” perché prende l’uomo com’è. Sa essere “conservativa” perché, per essa, non tutto quello che è al momento “spirito del tempo” è anche “progresso”. Essa è “progressista” perché vuole il vero progresso e non quello che fa passare come tale la “sovranità definitoria” di un determinato campo della società. Essa è “tradizionale” perché pone l’accento sull’importanza della cultura, della tradizione, dei relativi contenuti dell’istruzione e dell’educazione. Essa è “innovativa” perché vuole integrare il mondo della vita attuale dei nostri figli e dei giovani allo stesso modo in cui integra le nuove opportunità tecniche, senza assolutizzare né l’una né l’altra cosa. Infine, essa è attuale perché non si perde
per andare dietro al tempo o ai cicli congiunturali, ma pensa in modo sostenibile e a lungo termine. Nella politica della scuola, su questa base, dovranno svolgere un ruolo decisivo le seguenti nove dimensioni per quanto riguarda sia gli obiettivi e i contenuti sia le strutture e i metodi. Di queste dimensioni, i punti 1.1 e 1.2 si riferiscono alle forme fondamentali con cui l’uomo affronta l’esistenza, mentre i punti da 1.3 a 1.5 sono relativi alle capacità di base dell’uomo nel confrontarsi con la realtà, e i punti da 1.6 a 1.9 si riferiscono alla convivenza umana e ai requisiti etici.
1.1 Individualità e incompiutezza Ogni uomo si contraddistingue per la propria unicità, inconfondibilità e particolarità. Ne deriva l’imperativo del rispetto della dignità dell’uomo. L’individualità è contemporaneamente orientata al sé dell’uomo e alla sua comunità. Il puro individualismo sfocia nell’isolamento, il puro collettivismo mina l’eticità dell’uomo, che è orientata all’individualità. La singolarità di ciascun individuo è determinata dalle sue caratteristiche e dalla sua storicità (biografia). L’origine dell’individualità si situa nell’autodeterminazione libera che può essere pensata contemporaneamente soltanto e sempre in rapporto all’individualità di altri uomini. L’immagine dell’uomo ipersocializzata del ventesimo secolo con la sua “morale di opinione eudemonistica di massa” ha dimenticato l’individuo e l’incompiutezza dell’uomo; soprattutto si è fatto credere che ogni personalità è fattibile attraverso una socializzazione condizionata. Ne sono scaturite visioni di una fattibilità senza limiti di tutti i riferimenti, caratteristiche e disposizioni umane o addirittura visioni di una maturazione definitiva di concetti di politica sociale. Tuttavia, il credo della compiutezza dell’uomo provoca il livellamento, ma anche la noia e la staticità. Simili visioni portano da una delusione all’altra, non sono solo irrealistiche, ma anche totalitarie e fondate
sul
disprezzo
dell’uomo.
L’obiettivo
sarebbe
semplicemente
il
cambiamento.
L’incompiutezza e l’insufficienza dell’uomo vengono ignorate, per cui l’uomo perde il più importante elemento di stimolo per la conoscenza e la creazione. E soprattutto grazie al suo senso dell’umorismo che l’uomo è vile ed esperisce una coscienza benevola e ottimistica dell’imperfezione del mondo e del proprio sé. È proprio attraverso questo senso dell’umorismo che egli giunge a una maturazione sublimata. Ai fini della politica della scuola tutto ciò significa quanto segue: Occorre rispettare l’adolescente nella singolarità delle sue capacità, disposizioni e abilità. Il sistema della pubblica istruzione deve soddisfare le molteplici opportunità di sviluppo insite nell’unicità individuale - nell'ambito dell’istruzione sia generale sia professionalizzante. Questo principio della giustizia delle opportunità vale nella stessa misura per i meno dotati e per i superdotati. Quindi, il dibattito detto strutturale non è superato. A fronte delle differenze di capacità di rendimento degli scolari, rimane importante, per le strutture scolastiche, la
questione dell’organizzazione. Da indagini comparative condotte su tutto il territorio tedesco (vedasi Pisa 2000 e 2003) è emerso più che chiaramente che gli scolari inseriti in sistemi integrati, malgrado la loro attrezzatura notevolmente più favorevole dal punto di vista sia personale che materiale, presentano un rendimento notevolmente inferiore a quello degli scolari del sistema articolato. In un sistema scolastico articolato, anche gli scolari meno dotati se la cavano meglio, presentando risultati di test nettamente migliori rispetto a quelli degli scolari meno dotati provenienti da sistemi scolastici integrati. Del resto, non è possibile strutturare la politica della scuola in base a dibattiti sui contingenti che sembrano tratti dall’economia pianificata. Non si tratta di definire contingenti di scolari per determinate forme di scuola, né contingenti di diplomati o di laureati. Questo pensiero incentrato sui contingenti non soddisfa i requisiti formativi dell’individuo né i requisiti qualitativi dell’istruzione. Chi fa di questo pensiero per contingenti un metro per le decisioni in materia di orientamento della politica della scuola, dimostra di non sapere nulla delle notevoli richieste dell’istruzione professionale in Germania oppure di non volerne sapere nulla perché intende sacrificare questo ambito dell’istruzione, percorso da due terzi dei giovani tedeschi nel loro cammino verso la professione della società, senza prendere in considerazione i costi e le utilità di una progressiva (pseudo-) accademicizzazione. Nel contempo, l’istruzione e l'educazione costituiscono imprese difficilmente pianificabili. Si dovrebbe proibire la sperimentazione sugli scolari. Gli scolari hanno un'unica biografia, per cui in caso di fallimento degli esperimenti, non possono essere inseriti nuovamente in una specie di “linea di finissaggio” e meritano una promozione individuale ottimale a seconda della scuola, dell’istruzione professionale o dell’università. 1.2 “Homo faber” e “homo ludens” L’uomo esperisce la propria esistenza soprattutto affrontando attivamente il mondo. Il lavoro e il rendimento dell’homo faber sono espressione di elementi altamente
individuali, e
costituiscono contemporaneamente il motore e il risultato del libero sviluppo della personalità. Inoltre, il rendimento ha una dimensione sociale. Per questo motivo non è solo un rendimento individuale, ma anche una prestazione sociale, una prestazione per gli altri, per i più deboli e gli svantaggiati. Questo vale soprattutto per le élite senza le quali non può progredire nessuna comunità. Attraverso le prestazioni personali, gli esseri umani superano se stessi e con ogni nuovo sapere e potere radicano la propria esistenza individuale concreta nel passato e nel presente. In questo modo gli uomini hanno un presentimento del fatto che con il sapere e il potere uno supera sé stesso per poter collaborare al tutto. Di fronte all“homo faber” c’è l’“homo ludens”. Ambedue le forme di esistenza non si escludono a vicenda, anzi si integrano. Il gioco è una delle categorie fondamentali dell’umano e contemporaneamente esso contribuisce a formare cultura. L’”homo ludens”, tuttavia, è concepibile ed esperibile soltanto se esiste anche in quanto “homo faber” e viceversa. Solo nel contrasto tra queste due forme di esistenza l’uomo esperisce se stesso, anche quando è giovane, in quanto produttore di una prestazione o giocatore.
Ai fini della politica della scuola ciò significa: La gioia e il gioco non sono antagonisti che escludono il lavoro e il rendimento. Soprattutto per i giovani vale il fatto che la prestazione procura gioia perché consente di esplorare il mondo e contribuire a formarlo e perché il rendimento è qualche cosa di altamente individuale. Gli uomini, in particolare i giovani, amano le sfide; queste vanno incontro alla loro tendenza naturale orientata alla conoscenza e alla spinta organizzativa. Essi sono contenti quando possono andare dietro alle proprie curiosità, quando possono acquisire sapere e abilità, quando possono esplorare il senso di una situazione. Siccome l’esperienza implica sempre anche l’esperienza del fallimento, i giovani vogliono avere dei riscontri ai propri sforzi, anche se in forma di sanzioni. In questo caso è lo stato ad assumersi la responsabilità della qualità dell’istruzione scolastica nonché dell’adozione dei criteri di giudizio del rendimento, che siano trasparenti, giusti e sofisticati. Questi possono essere garantiti nel modo più sicuro attraverso esami finali centralizzati e indagini qualitative comparative sia a livello nazionale che a livello internazionale.
1.3 Pensiero e linguaggio Il pensiero e il linguaggio sono veicoli per appropriarsi del mondo e per parteciparvi. Il pensiero è indissolubilmente unito al linguaggio: quello che io non penso, non riesco ad esprimerlo con la lingua e quello che non riesco ad esprimere con la lingua, non posso pensarlo. Con l’aiuto del pensiero, l’uomo riesce a detemporalizzare le esperienze temporali, innalzandosi così al di sopra dell’attualità e dell’effimero ordinando così il mondo. Attraverso il linguaggio, il mondo viene così fissato attraverso la percezione e l’esperienza vissuta; inoltre, attraverso il linguaggio l’uomo riesce a distanziarsi dal mondo, il che è a sua volta un presupposto per il potere dispositivo sul mondo. Il linguaggio, poi, è un veicolo per lo sviluppo dell’intimità dell’esperienza vissuta. E il linguaggio, infine, è lo strumento più importante dell’uomo per creare cultura. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: Nella società e nell’istruzione si è diffuso un chiacchiericcio e una barbarie linguistica, quasi un’emancipazione del parlare dal pensare. E i tedeschi si sono ampiamente emancipati, come nessun’altra nazione, dalla loro grande letteratura. Ma laddove il linguaggio si impoverisce, si impoverisce anche il pensiero. Le carenze linguistiche degli adolescenti diventano sempre più grandi. Naturalmente non è solo un problema della scuola, ma questa deve tentare di opporvisi. Perciò, anche nell’interesse della promozione della riflessività e nell’interesse dell’integrazione culturale e sociale, la scuola deve nuovamente dedicare maggiore attenzione all’istruzione linguistica e letteraria, il che deve ripercuotersi chiaramente nelle valutazioni dei residenti. In questo tuttavia la scuola deve essere sostenuta dalle famiglie e dagli asili,
sfruttando intensivamente per l’apprendimento linguistico, in base al principio imitativo, le fasi sensibili per l’acquisizione del linguaggio.
1.4 Talento, rendimento e apprendimento L’uomo è caratterizzato in misura notevole da qualità e capacità innate. Il fattore genetico svolge un ruolo importante nelle caratteristiche fisiche, ma costituisce anche un fattore determinante ai fini della definizione della personalità e delle capacità intellettive. L’agire e l’esperire umano, quindi, non sono esclusivamente esogeni o sociogeni oppure determinati dall’ambiente, e perciò non sono esclusivamente appresi o acquisiti per educazione. Le differenze dello sviluppo cognitivo non possono essere spiegate né in base al solo aspetto della predisposizione genetica né dagli aspetti dell’ambiente e della sociogenesi individuale. Predisposizione e ambiente si combinano, quasi in modo “sinergico”. Per dirla con una metafora, l’istruzione e il talento si contrappongono come il suolo e il clima; il miglior suolo non porta a un raccolto ricco se il clima è sfavorevole e il miglior clima non contribuisce all’abbondanza dei frutti se il suolo non lo consente. La domanda circa le quote dei fattori congeniti e dell’ambiente ha avuto per decenni risposte affidabili, soprattutto in base alle ricerche condotte sui gemelli. Una parte notevole dell’intelligenza è dovuta al talento, alla predisposizione e quindi al contributo genetico. L’altra parte è data dall’ambiente in quanto fattore esogeno. Questa parte giustifica la descrizione dell’uomo in quanto essere deficitario bisognoso di educazione e apprendimento. Inoltre, un fattore interindividuale, connotato in modo molto diverso, detto autogeno, svolge un ruolo importante: si tratta del modo in cui un individuo usa in modo del tutto personale i fattori ambientali preordinati. Questo concetto differenziato di talento risulta, quindi, irrinunciabile nel dibattito sulla politica della scuola, per il fatto che prende in considerazione queste differenze innate in relazione alla capacità di apprendimento e, quindi, previene un ottimismo pedagogico irrealistico. Infatti, è stata una supposizione sbagliata quella che fosse possibile “talentare” ciascuno. Tuttavia, d’altra parte, sarebbe anche un errore quello di voler giustificare la differenziazione scolastica soltanto in base al “talento”. Infatti, la scuola non deve valutare il talento, ma la prestazione realizzata. Il comportamento sociale, l’impegno personale, la volontà di apprendimento, la diligenza, la disciplina o la creatività pratica/motoria sono tutti elementi inclusi nella valutazione del rendimento scolastico, e non solo le capacità cognitive intellettive. Perciò, il talento rimane sempre un presupposto sostanziale per la differenza di rendimento, ma appunto non si tratta che di un presupposto. Ai fini della politica della scuola ciò significa che: Una politica della scuola che voglia invalidare i principi del “talento”, della “idoneità” e del “rendimento”, porta a un fenomeno di massa di curricoli scolastici sbagliati per ragazzi stressati, insieme a traumi psichici e spesso a una perdita inutile di anni di scuola. È inumano
inserire i ragazzi in una forma di scuola in cui verrebbero stressati. I diritti dei genitori a questo riguardo non sono di carattere assoluto, le relative limitazioni hanno rango costituzionale. La volontà dei genitori trova i propri limiti nella responsabilità degli stessi per il bene del figlio nella funzione statale, fissata per legge, di sorveglianza e/o nella funzione formativa ed educativa dello stato. Per questo motivo, il principio dell’idoneità ha lo stesso rango del diritto dei genitori alla libertà di scelta scolastica. Tuttavia, l’esercizio di questo diritto presuppone che vi sia una collaborazione stretta e fiduciosa tra genitori e scuola in relazione a questioni di curriculum scolastico. Anche la questione del momento giusto per la verifica dell’idoneità di un ragazzo
per
una forma di scuola di livello
superiore
merita una
risposta
univoca.
Immediatamente all’inizio del secondo decennio di vita, cioè nell’undicesimo anno, l’idoneità di un ragazzo per un determinato tipo di scuola e, viceversa, l’idoneità di una determinata forma di scuola per le richieste di promozione di un ragazzo, possono essere valutate in modo affidabile. Inoltre, una scuola differenziata e ben articolata offre un’ampia gamma di permeabilità verticale e orizzontale.
1.5 Partecipazione e trascendenza L’uomo “pratica” sotto vari profili la partecipazione al mondo: è una partecipazione consapevole attraverso la tendenza alla conoscenza, la curiosità e l’interesse; è una partecipazione creativa dovuta alla spinta organizzativa; è una partecipazione alla vita dei suoi simili dovuta all’istinto sociale; è una partecipazione amorevole per la sua dedizione agli altri o a qualcos’altro; è una partecipazione impegnativa per la sua soddisfazione relativa alla responsabilità; è una partecipazione sublimante per un suo bisogno di trascendenza. Soprattutto, l’uomo è teso a cercare un senso della vita. Una semplice voglia di sensazione con la relativa “voracità esistenziale” non ha nulla a che spartire con una simile partecipazione. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: Un semplice orientamento verso se stessi, il presente e l’esperienza della pedagogia scolastica in base al principio di una malintesa “misura di bambino” restringerebbe la partecipazione dei giovani al mondo e ruberebbe il futuro ai bambini, poiché una partecipazione intesa in base a un orientamento verso il momento e il piacere imprigiona i ragazzi in un eterno presente, per cui ciò che offrirebbe come paradigmi autoesperienziali, sarebbe un assoluto. Una trasmissione globale del sapere nel senso di un “sapere da istruzione e rendimento” (in base alla distinzione definitoria di Max Scheler) nonché il fatto di occuparsi di questioni di trascendenza aiutano i giovani, proprio nella modernità con la sua complessità incontrollabile, a esplorare il senso della vita e della vita propria. Senza occuparsi di questioni trascendentali, gli adolescenti perderebbero delle dimensioni sostanziali dell’esistenza umana. Questioni quali: perché viviamo?, con la nostra morte finisce tutto?, che cosa è Dio, il creato, la felicità, la paura, la sofferenza, la colpa, il peccato, la finitezza, l’infinito, la famiglia...? La riduzione, oggi molto
diffusa, dell’istruzione religiosa di base a educazione sociale/politica e/o etica costituisce una soluzione insufficiente.
1.6 Libertà e responsabilità L’uomo ha una predisposizione per il libero sviluppo della propria personalità. Egli ha la capacità di percorrere questo sviluppo e ne ha il diritto nello stato di diritto libertario. Erroneamente nella società e nella politica si continua a postulare una priorità dell’uguaglianza sulla libertà. Ma la libertà non esclude la totale uguaglianza degli uomini. La libertà, invece, spesso e volentieri si assoggetta all’uguaglianza perché l’uguaglianza sarebbe un fatto tangibile poiché la libertà deve essere acquistata a suon di sacrifici e la parità elargisce i propri godimenti da sola (vedasi l’analisi fatta già da Alexis De Tocqueville, 1840). Infine, le benedizioni dell’uguaglianza sono comodamente fruibili, poiché il rendimento, l’iniziativa e il rischio ne verrebbero esclusi, mentre la libertà richiede uno sforzo. In definitiva, per molti uomini l’uguaglianza nel servaggio sarebbe preferibile all’inuguaglianza nella libertà. Il rapporto di tensione tra uguaglianza e libertà rimane sempre in essere perché è ineliminabile. Infatti, la libertà e l’uguaglianza nelle loro rispettive forme pure si escludono sempre a vicenda. Quando gli uomini sono liberi, non sono uguali, e quando sono uguali, non sono liberi. Inoltre, la libertà è sempre libertà con un vincolo, sempre libertà con una responsabilità e libertà di un altro. Ne deriva il principio dell’eticità. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: Per l’istruzione e l’educazione, la libertà costituisce l’opportunità classica per la realizzazione della personalità. Una politica o un’educazione ugualitarie, invece, livellano le individualità. L’istruzione e l’educazione devono chiarire che il massimo pericolo che l’uguaglianza porta con sé è che l’uomo nell’eguaglianza perde la capacità di pensare autonomamente e di reagire eticamente.
1.7 Tolleranza e autostima La libertà connessa a vincoli e responsabilità si realizza, in particolare, in quanto tolleranza. Tolleranza significa rispetto per la dignità di ognuno, una dignità che è la manifestazione dell’immagine dell’uomo a somiglianza di Dio. Inoltre, la tolleranza garantisce la convivenza degli uomini e delle loro organizzazioni collettive con un massimo di libertà per i singoli. Quindi, la tolleranza costituisce il presupposto per l’umanità e la pace. Il suo opposto sarebbero il fanatismo e il radicalismo. Il presupposto della tolleranza vissuta è la capacità e la disponibilità a percepire le differenze. Questa percezione può avvenire soltanto se chi esercita la tolleranza o chi è chiamato ad esercitarla conosce il proprio punto di vista personale e culturale e lo professa. Infatti, soltanto quando si sa molto di sé stessi e degli altri, è possibile la tolleranza;
altrimenti non si sa che cosa si dovrebbe tollerare. La percezione delle differenze e l’autostima possono avere successo soltanto quando non si tratta solo di opinioni piatte, ma di convinzioni e approfondimenti. Il relativismo culturale e l’indifferentismo nei confronti degli altri e nei confronti di sé stessi o della propria cultura non hanno nulla a che vedere con la tolleranza, ma in genere sfociano in una condizione di senza tetto spirituali, di indifferentismo, di vigliaccheria, di coesistenza priva di relazioni oppure nel “nichelismo del far valere tutto quanto” (Arnold Gehlen). In questo modo la “tolleranza” diventa una formula vuota perché gli uomini non sanno dove si trovano. Perciò la tolleranza può essere praticata solo conservando la propria posizione. Ammettere l’intolleranza equivarrebbe ad aprire le porte all’ingiustizia, sacrificando la propria posizione morale; d’altra parte, un’atteggiamento tollerante presuppone la disponibilità a mettere in discussione e a verificare la propria posizione. Ai fini della politica della scuola ciò equivale a quanto segue: La disponibilità e la capacità di tolleranza presuppongono innanzitutto la stima di sé. Solo su questa base è possibile la tolleranza nei confronti degli altri e dell’altro. Nel principio della tolleranza sono implicite grandi opportunità di conoscenza - soprattutto quando i giovani sono in cerca di certezze. Infatti, tolleranza significa nel contempo anche rispetto delle pretese di verità concorrenti e paritetiche esterne alla propria cultura di riferimento, e rispetto paziente di altre modalità di ricerca della verità. Per ciò la tolleranza esorta a una riflessione permanente sulle proprie “verità”. Una tolleranza e una riflessione di questo tipo presuppongono un grande sapere circa le altre pretese di verità e l’incontro aperto con altre pretese di verità. Perciò è tanto importante porre l’accento sulla funzione culturale della scuola. Nel contempo, tolleranza significa anche non tollerare certi
atteggiamenti e certe azioni, proprio nel campo
dell’educazione e dell’istruzione, se mettono in pericolo la libertà e la tolleranza stessa. A questo punto subentra un elemento centrale della funzione educativa della scuola, quella di trasmettere la capacità di comprendere regole e limiti. In mancanza di sanzioni adeguate alle violazioni delle regole e alle trasgressioni (il che presuppone anche le relative possibilità offerte dalla scuola), rimane in piedi un atteggiamento intollerante, ad esempio un comportamento violento coronato da successo, che troverà degli imitatori. L’educazione alla tolleranza implica, tuttavia, anche il fatto che i giovani apprendano a tollerare se stessi.
1.8 Autoresponsabilità e sussidiarietà La separazione tra stato e società non esiste piú. Perlopiù lo stato è ancora inteso come agenzia sociale onnipotente, come fornitore e onnipotente erogatore di servizi, come stato protettore totale, ipertrofico, come garante del soddisfacimento di pretese contro ogni rischio. In questo modo si è avuto un progressivo sganciamento delle pretese sociopolitiche e dell’ethos sociale e/o civico. La società e la comunità tendono sempre più a delegare funzioni allo stato (e persino i compiti educativi originari). Tuttavia, in futuro molte pretese non
potranno più essere soddisfatte senza una maggiore quota di autoresponsabilità da parte dei singoli. Lo stato erogatore totale di servizi è uno stato della debolezza perché non riesce più a opporre un chiaro no. Nella percezione dello stato da parte dei cittadini ne consegue che sarà imperante la fede nella fattibilità di tutte le richieste e pretese, una mentalità da “assicurazione contro tutti i rischi senza partecipazione in proprio”, un disamoramento dallo stato e dalla politica se lo stato non è capace di soddisfare tutte le pretese, una partecipazione sostitutiva da democrazia di base e opposizione con il proprio culto del turbamento e la propria resistenza fondamentale nei confronti dei progetti che tendono a cambiare lo status quo. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: Nell’interesse dello sviluppo verso la formazione di una persona libera e matura, l’educazione e l’istruzione devono opporsi alle aspettative onnipotenti nei confronti dello stato, alla messa sotto tutela previdenziale, alla seducibilità a favore della comodità nonché all’impedimento dell’iniziativa propria e dell’autoresponsabilità. È necessario far valere il principio della sussidiarietà. Per questa ragione, occorre rifarsi più fortemente all’educazione in famiglia e all’assistenza dei figli nell’ambito dell’aiuto tra vicini. Invece, le idee onnipotenti della scuola e della professione pedagogica nonché un’ulteriore “statalizzazione” dell’educazione tendono a emarginare sempre più il lavoro formativo e didattico specifico. L’inserimento scolastico è di per sé anche educativo, per quanto riguarda sia i contenuti sia le sue regole di comunicazione. Tuttavia, la scuola deve essere anche protetta nei confronti di aspettative esagerate, poiché un’inflazione di educazioni supplementari (ai mezzi di comunicazione di massa, al tempo libero, al consumo, alla salute ecc.) ed insegnamenti extrascolastici adossa alla scuola la delega dell’educazione da parte dei genitori. Occorre perciò porre l’accento ancora più fortemente sul dovere dei genitori di educare i figli, perché l’adempimento di questo compito necessita di quella collaborazione fiduciosa tra scuola e genitori che rende possibile la “scuola buona”.
1.9 Tranquillità e fedeltà alle leggi Un presupposto per una convivenza pacifica tra individui e comunità è la comprensione, che va continuamente riconfermata, della popolazione in relazione alla legittimità dello stato di diritto costituito democraticamente, detentore del monopolio del potere. La convivenza degli appartenenti a una comunità oppure la convivenza pacifica di varie comunità sono in pericolo quando ciò non è interiorizzato o perlomeno riconosciuto dai membri della o delle comunità. Nel complesso, tuttavia, la comprensione del diritto da parte di una parte della popolazione e da una parte della “classe politica” è poco differenziata e insufficiente. La comprensione del diritto sta scomparendo, come dimostrano certi segnali evidenti. È vero che milioni di cittadini, tra cui milioni di adolescenti, quotidianamente vanno dietro ai propri doveri come è giusto che sia. Essi sanno dell’universo di valori e di diritti che hanno fatto di questa società una società tra le più libertarie e benestanti, e si comportano di conseguenza. Ma nel contempo si
riscontrano sempre più atteggiamenti e massime di azione che gravano sul benessere generale e minano qualsiasi senso civico: si tratta di una progressiva individualizzazione o di un egocentrismo che qualcuno ha chiamato con il termine di “Io-Spa”, e un progressivo soggettivismo circa i diritti fondamentali; un’“etica situazionistica” individuale che ha sempre a disposizione
una
molteplicità
di
giustificazioni
personali
per
qualsiasi
trasgressione,
permettendo di riconoscere soltanto caso per caso una consapevolezza del torto; un crescente disagio nei confronti del diritto vigente; una banalizzazione delle violazioni della legge, ad esempio in relazione al lavoro nero, all’ evasione fiscale, alle infrazioni doganali, alle truffe assicurative, alla corruzione, alle offese. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: Azioni e progetti contrari agli interessi della comunità, perpetrati da giovani, non sono solo la loro invenzione. È la società nel suo insieme che permette agli adolescenti di considerare la violenza come qualche cosa di normale. Perciò è falso che la società, da una parte, chieda alle scuole di educare i ragazzi alla tranquillità quando, dall’altra, attraverso il mercato del video ( televisivo o cinematografico) nonché dei giochi da computer tollera un comportamento quotidiano
della
brutalità.
L’educazione
alla
pacificità
implica
un’educazione
alla
“soddisfazione”, ma la soddisfazione è anche essa una base per la pace sociale.
2. Identità, sapere e capacità quali elementi fondamentali per la formazione della personalità È possibile descrivere la società del futuro soltanto per accenni. Tuttavia, molte tendenze fanno pensare che la trasformazione delle condizioni di vita, soprattutto nel mondo del lavoro, progredisce con maggiore rapidità rispetto a quanto succedeva in passato. L’idea tradizionale di professione e lavoro retribuito sta cambiando; sono richieste qualificazioni sempre più alte, per poter tenere il passo, e nella società la forbice tra elite e massa si aprirà ancora di più. Perciò, si avrà un maggiore “bisogno di moralità” nella politica e nella società nei confronti dello sviluppo scientifico e tecnologico. Nel contempo, tuttavia, aumenta anche il bisogno di senso e orientamento degli individui. L’ideologia, oggi predominante e fatta passare per moderna o postmoderna, del “tutto fa brodo”, insieme al qualunquismo, alla superficialità e alla perdita di senso, e infine anche la svalutazione pubblica di riferimenti di senso tradizionali in quanto “poco moderni”, provocano in molte persone un aumento della mancanza di orientamento e un’angoscia circa il futuro. Compito dell’istruzione e dell’educazione è, quindi, quello di rendere i giovani “impermeabili” (Roman Herzog) nei confronti degli sviluppi possibili, in modo che siano preparati sia all’oggi che al domani, in modo che possano sviluppare su questa base una propria identità, come parte interiore della propria personalità, e le proprie qualifiche, alla stregua della parte esteriore della loro personalità, all’interno di questo processo sociale.
2.1 Identità personale e culturale: la necessità della tradizione In questo caso, un ruolo importante spetta alle questioni dell’identità personale. Per identità personale si intende l’entità della corrispondenza del singolo con se stesso e l’entità dell’interiorizzazione di atteggiamenti valoriali. L’identità è determinata da molteplici elementi biografici e dalla tradizione. Soltanto un sapere e un giudicare fondati sulla riflessione costituiscono la cultura; e solo un sapere e un giudicare di questo tipo creano identità culturale, appartenenza ideale, consapevolezza dei valori e senso di appartenenza. Infatti, l’identità implica la partecipazione alla memoria culturale di cui fanno parte anche gli usi e i riti. L’identità, sia individuale sia culturale o collettiva, si definisce non in base a capacità definite dalla moda, ma soltanto dalla memoria del patrimonio storico-culturale. Questa è la ragione per cui i sistemi totalitari tendono a proclamare la loro presenza eterna. La memoria, quindi, implica l’opportunità dell’obiezione e della forza liberatrice nei confronti dell’indottrinamento e dello “spirito del tempo”. Perciò, soltanto un’istruzione che crea memoria, rappresenta la base per la libertà e il suo esercizio. Un’educazione e un’istruzione senza tradizione e senza elementi storico-narrativi e/o biografico-narrativi corrisponderebbero a una negazione dell’identità. Per cura della tradizione, in questo caso, non si intende qualche cosa di folcloristico o di museale. Piuttosto si tratta di liberare la tradizione da coercizioni acute, creandovi intorno uno spazio di libertà nel qui e nell’ ora frenetico, ispirando una nuova creatività. Il sapere della tradizione, inoltre, è il presupposto per la capacità di vivere il nuovo. Senza il sapere della tradizione non è possibile comprendere il presente né essere consapevoli della trasformazione. In particolare, ciò vale anche per i principi “architettonici” politici, giuridici ed economici del nostro stato, cioè i principi della libertà politica, dell’autoresponsabilità, della democrazia, dello stato di diritto e dell’economia sociale di mercato. Anche per motivi civici, questi principi devono essere conosciuti. Una scuola capace di futuro è capace, proprio in tempi di globalizzazione, di creare identità e orientamento. Ne è capace soprattutto attraverso l’istruzione storica di base. Il futuro è provenienza (secondo Martin Heidegger). Ciò significa: chi vuole organizzare il futuro, deve sapere da dove viene.
2.2 Sapere e capacità Dalla fine degli anni sessanta in poi, molti politici della scuola e pedagogisti presentano, con motivazioni quasi moderne, un’avversione al sapere concreto dei canoni specialistici e delle capacità concrete. Tuttavia, senza un sapere e delle capacità concrete, presenti ed anche esercitate, non è possibile attuare un’istruzione di base. Già Eraclito disse “il sapere molte cose non rende saggi”, ma il non sapere ancora meno. Un’istruzione senza contenuti rimane vuota. Di questi contenuti fa necessariamente parte anche il “sapere dei fatti” selezionati come edificio strutturante, ausliare e di allenamento della memoria. Coloro che più soffrono di questi
sviluppi sono gli adolescenti a cui manca la base per una formazione professionale, uno studio e una professione. Lo dimostrano i risultati delle indagini fatte sui rendimenti scolastici nell’ambito della matematica e delle scienze naturali e le risposte agli interrogativi posti al settore della formazione professionale e dell’università. L’indicazione, che torna regolarmente nei dibattiti sull’istruzione, riguardo al tempo di dimezzamento sempre più breve del sapere è relativamente poco importante per le scuole di istruzione generale. È invece giustificata quando si tratta di alcuni settori specifici, come ad esempio l’informatica. In questo caso il tempo di dimezzamento è di tre anni, cioè il sapere dell’anno 2006 è per metà superato nell’anno 2009. Tuttavia, esiste molto sapere anzi un sapere infinito, che non viene mai superato: il sapere religioso, filosofico, etico, storico, letterario, estetico, linguistico, matematico e anche quello delle scienze naturali. È proprio a fronte della dinamica dello sviluppo del sapere che la politica della scuola deve evitare un’eccessiva specializzazione dell’istruzione, anzi la sua atomizzazione. La scuola non è in grado di tenere il passo della competizione delle scienze e delle tecnologie, delle tendenze e delle mode, e nemmeno lo deve. Invece, la scuola dovrebbe concentrarsi su ciò che ha una durata e che secondo il principio “multum non multa” è quella dotazione di base con l’ausilio della quale è possibile affrontare qualsiasi sviluppo del sapere nella successiva formazione professionale, nello studio universitario successivo oppure in una futura attività professionale. La massima dovrebbe quindi essere la seguente: un’ampia istruzione generale e un ampio sapere. In altri termini, anche in futuro ci sarà un’enormità di sapere importante che non sarà superato. Si tratta di trasmettere questo sapere come sapere disponibile. Un sapere ampio e delle capacità complessive sono “inoltre”, il presupposto indispensabile per la capacità di sviluppare uno sguardo complessivo e rendere prestazioni creative. Chi voglia essere inventivo e innovativo, deve innanzitutto sapere molte cose ed essere capace di usare molte cose. Inoltre, il sapere è connesso a una funzione civica. Chi non sa nulla, deve credere a tutto! Invece, il sapere crea indipendenza spirituale. Soltanto attraverso il sapere l’uomo diventa uomo, soltanto attraverso il sapere diventa un individuo che può esercitare la propria libertà. Un uomo senza un fondo di sapere sarebbe l’oggetto preferito di qualsiasi dittatore o demagogo. Sarebbe possibile sedurlo con ogni menzogna e mezza verità; sarebbe suscettibile di qualsiasi intimidazione e per qualsiasi propagazione di pregiudizi. Perciò l’uomo insipiente o manipolato da menzogne, l’uomo indottrinato è l’obiettivo di sistemi totalitari che fanno credere qualsiasi cosa possibile e che pretendono di prestabilire tutto quanto, tra cui anche i pregiudizi, in base al motto: “io so che tu sei un sinistrorso/destrorso, un uomo/una donna, un bianco/un negro. E questo mi basta perché so anche il resto”. Non per nulla George Orwell nella sua visione totalitaria desolante descritta in “1984” dice che uno dei tre motti preferiti dal Ministero della verità (il “Miniver”) è: l’ignoranza è forza!
2.3 Della necessità di un nuovo dibattito canonico
Senza sapere non può esserci né istruzione né identità. Perciò all’inizio del XXI secolo non sarebbe considerato superato un dibattito canonico. Occorre riempire trent’anni di vuoto contenutistico progressivo. Corresponsabile di questo andamento è anche l’abbandono, da parte di alcune entità substatali, dei piani didattici e la loro sostituzione con piani quadro. Tuttavia, nulla si può fare senza contenuti vincolanti per tutti, la cui autorità continua ad essere incontestata. L’idea, diffusa negli anni successivi al 1970, dell’equivalenza delle materie e dei contenuti è una finzione. I contenuti centrali delle materie come il tedesco, le lingue straniere, la matematica,
le scienze naturali e la storia sono decisivi quando si tratta
dell’accesso al mondo e dell’organizzazione del mondo. Serve una rinascita del sapere. Stiamo entrando in una società della conoscenza, non in una società dell’informazione. Il sapere e l’informazione non vanno scambiati, come succede spesso oggi. La sola informazione è sterile, effimera, disordinata, il sapere è vivo, duraturo, ponderato, riflesso, valutato obiettivamente e moralmente. Soltanto un sapere di questo tipo è sostenibile. Il sapere e la capacità di giudizio costituiscono un’unità e sono reciprocamente correlati. Soltanto il sapere consente la capacità di giudizio e, viceversa, il giudizio fondato diventa sapere. Perciò, il sapere è più che non la somma delle informazioni sottostanti. Il sapere significa sempre anche un guadagno in termini di sinergia: più so e più ne risulta una struttura in cui è possibile inserire le novità con un dispendio sempre minore in termini di apprendimento. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: La scuola e l’insegnamento hanno bisogno di strutture chiare in relazione alle materie e ai contenuti didattici, perché tali strutture facilitano l’orientamento in una marea di informazioni. Le scienze e le materie di insegnamento si articolano in settori specifici che non per nulla vengono denominate con il termine di “discipline”, appunto perché richiedono e promuovono l’accesso “disciplinato” ai fatti. Un imminente dibattito canonico dovrebbe orientarsi alla struttura che rappresenta i vari accessi all’appropriazione e all’organizzazione del mondo: l’accesso alla lingua madre e alla letteratura, l’accesso alle lingue straniere, quello alla matematica, alle scienze naturali, alla storia, alla geografia, alla politica, all’economia, alla deontologia e alla religione, all’etica e alla filosofia, alla musica e all’estetica, allo sport ecc.
2.4 Sapere specialistico e metasapere invece di un malinteso “olismo” e di un “orientamento alla prassi” cortocircuitato Una definizione concreta di ciò che all’interno di questo ambito contenutistico dovrebbe diventare vincolante e quindi efficace ai fini dell’istruzione, suggerisce alla politica della scuola e alla pedagogia scolastica di occuparsi nuovamente ed in maniera più intensa delle scienze specifiche e della didattica per materie. Nelle scienze specialistiche si assimila un sapere, mentre nella didattica per materie questo sapere dovrà essere esplorato ai fini della sua
efficacia formativa e della sua importanza per l’esperienza dei valori. Le cosiddette qualifiche chiave e le cosiddette competenze non sono trasmissibili per via diretta. L’accesso a queste passa attraverso la faticosa costruzione di un’ampia base di sapere in ambiti disciplinari concreti. Per una simile costruzione la disposizione chiave probabilmente più importante è costituita dalla curiosità, perché senza di essa nulla si dischiude all’uomo. La cosiddetta qualificazione chiave del “sapere” puramente metodico, per cui si può semplicemente consultare qualche cosa oppure “scaricarlo” navigando in Internet, certamente non è sufficiente. È vero che è importante sapere dove cercare qualcosa. Perciò è anche una parte importante dell’istruzione scolastica quella di dimostrare ai giovani dove si può consultare qualcosa. Tuttavia, la scuola deve anche trasmettere quelle strutture del sapere nelle quali è possibile inserire tutte le novità. Altrimenti una società da download con un sapere just in time sarebbe una società senza risorse, una società della mini-comunicazione, una società che non è più in grado di distinguere tra quello che è importante e quello che lo è meno. Il sapere può essere utilizzato soltanto se è basato su un sapere specialistico interdisciplinare solido. Non esiste un apprendimento globale autoreferenziale; la globalità si instaura soltanto una volta che si è messo insieme, in una sintesi, un sapere specifico e un metodo cognitivo specifico per materie. In relazione alla scuola ciò significa che l’acquisizione di conoscenza è basata sulla molteplicità dell’accesso specifico e metodico al mondo. Le singole materie offrono un contributo a ciò, già per il fatto che rendono chiari agli studenti i limiti della loro disciplina e il rapporto con altre discipline. Se la cultura è connotata dall’unità del sapere e dalla capacità di giudizio, e la capacità di giudizio tuttavia significa saper “valutare” in base alla comprensione e alla conoscenza stessa e per alternative, alla politica della scuola e alla pedagogia scolastica occorre raccomandare di trattare in modo critico il principio dell’“orientamento alla prassi” immediato e rispettivamente attuale. Un orientamento esclusivo della trasmissione del sapere a
questo
principio
equivarrebbe
a
impedire
il
futuro,
perché
allora
l’apprendimento
diventerebbe fine a se stesso. La scuola non può essere assoggettata all’obbligo di attuare un’utilizzazione cortocircuitata del sapere, perché gli adolescenti come gli adulti devono sapere sempre più di quanto non sia necessario al momento. Chi orienta l’acquisizione del sapere soltanto all’azione e all’applicazione immediate, non sarebbe capace di affrontare il futuro perché non sarebbe in grado di pensare per alternative. Infatti, capacità di giudizio significa anche e proprio saper pensare e valutare per alternative. È un vantaggio che la scuola sia liberata dalla coercizione dell’azione e che possa insegnare ciò che non si impara in modo “approssimativo” nella vita quotidiana e nella professione. Soltanto in questo modo può adempiere alla propria funzione formativa. L’acquisizione di saperi sistematica, aperta all’applicazione e al trattamento, implica inoltre la conoscenza dell’origine e della storicità del sapere (metasapere). Ciò presuppone che l’acquisizione di sapere concreto rimanga un obiettivo prioritario dell’apprendimento scolastico. Una “competenza solo metodica” non può essere l’unico scopo o addirittura lo scopo finale dell’apprendimento scolastico. Piuttosto quanto viene assimilato metodicamente e la comprensione del metodo stesso devono formare
un’unità che nel contempo sia pedagogicamente efficace: precisione, resistenza, disciplina. La base e il criterio dell’apprendimento scolastico e dell’insegnamento devono costituire la parte concretamente tecnica. Fa parte del processo dell’assimilazione, che porta al pensiero concomitante, il fatto che gli insegnanti stimolino i discenti a una riflessione valutativa del processo di acquisizione, strutturazione e valutazione del sapere. Di ciò fa parte anche l’autonomia nel trovare soluzioni e nel risolvere i problemi in base al sapere acquisito in precedenza o in concomitanza e alle nozioni metodiche. Ne fa parte, inoltre, il giudizio autonomo: infatti, l’autonomia non è fine a se stessa e non sostituisce nemmeno la “funzione di guida” prestabilita dell’insegnante. Un tale sapere trasmette anche la conoscenza per cui non esiste un sapere definitivo (cioè un sapere infinitamente valido); piuttosto il sapere deve essere sempre insegnato e compreso come integrabile e correggibile. Perciò l’apprendimento scolastico deve aprire la prospettiva verso “l’apprendimento permanente”. Ai fini della politica della scuola ciò significa quanto segue: La politica della scuola, la pedagogia scolastica e la didattica specialistica devono dare risposte possibilmente concrete alla domanda circa quale sapere debba trasmettere la scuola ai discenti riguardo se stessi, quale sapere deve trasmettere riguardo al rapporto con gli altri e quali saperi la scuola deve trasmettere sul mondo. Un sapere di questo tipo, orientato alla rispettiva forma scolastica specifica, deve essere costruito in modo sistematico e trasmesso in modo corrispondente, e deve essere fondamentale, elementare ed esemplare per questo mondo come
anche
per
l’autoesplorazione.
Una
simile
comprensione
dell’istruzione
apre
implicitamente alla capacità di apprendere per tutta la vita e all’apertura permanente per le nuove conoscenze e le nuove sfide. I criteri per la decisione di quanto sia obbligatorio a livello di curriculo, dovrebbero essere costituiti dalle dimensioni antropologiche sopra menzionate, che dovrebbero consistere essenzialmente nella domanda in quale misura un determinato contenuto possa aprire queste dimensioni: - individualità e incompiutezza - l’uomo in quanto homo faber e homo ludens - lingua e pensiero - talento, rendimento e apprendimento - partecipazione e trascendenza - libertà e responsabilità - autoresponsabilità e sussidiarietà - tranquillità e fedeltà alle leggi. Inoltre, come criterio per la valutazione della rilevanza scolastica di contenuti concreti dovrebbero essere applicate le seguenti cinque questioni:
1. Quali linguaggi o sistemi di simboli gli uomini dovrebbero padroneggiare per poter intendersi? Di questo fanno parte i seguenti contenuti: un vocabolario globale della madre lingua e di lingue straniere; le regole formali della lingua madre o di una o più lingue straniere; i sistemi di segni della matematica; la capacità di usare i mezzi di comunicazione di massa (stampa, immagini, tecnologia dell’informazione) con biblioteche e banche dati. 2. Di quali sistemi hanno bisogno gli uomini per riuscire a ordinare in senso spaziale e temporale il proprio mondo concettuale? Di che hanno bisogno gli uomini per poter comprendere l’ambiente naturale e tecnico? Di ciò fanno parte i seguenti contenuti: sapere storico, sapere topografico, le leggi più importanti della fisica e della chimica, gli elementi più importanti nonché le specie più frequenti nella botanica e nella zoologia. 3. Su quali contenuti gli uomini possono sviluppare la propri identità personale, culturale e ideale? Di ciò fanno parte i seguenti contenuti: discipline quali la storia, la letteratura, la religione o l’etica, l’educazione artistica, la musica, lo sport. 4. Quali sono i grandi oggetti sopratemporali? Di ciò fanno parte ad esempio i seguenti contenuti: le grandi costanti della storia culturale europea, le opere centrali della letteratura, delle arti figurative e della musica. 5. Quali sono i problemi attuali centrali? Di ciò fanno parte ad esempio i seguenti contenuti: i principi dello stato di diritto liberale e della democrazia, i principi dell’economia sociale di mercato e le realtà professionali.
L’autore Jörg-Dieter Gauger è nato a Lüdenscheid nel 1947 ed è attualmente coordinatore del gruppo “Gesellschaftspolitik” (politica sociale) della Fondazione Konrad Adenauer. Dal 2003 fino ad oggi gestisce insieme al Prof. Hanns-Jürgen Küsters il dipartimento scientifico della Fondazione Konrad
Adenauer.
Jörg-Dieter
dell’università di Bonn.
Gauger
insegna
anche
all’Istituto
di
scienze
storiche