24 ore a parigi per averti

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Collana “Happy”

Prima edizione marzo 2013 I ristampa giugno 2013 II ristampa giugno 2014 I edizione ebook giugno 2015

Copyright © 2013 Butterfly Edizioni

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Vanessa Vescera 24 ore a Parigi per averti

Romanzo

Butterfly Edizioni


A mio padre, questo libro è per te. Sali anche tu sulla Torre Eiffel e guarda Parigi dall’alto. Con immenso amore, Vanessa

Il matrimonio è la tomba dell’amore… non sposatevi, meglio una convivenza leggera o, al massimo, un matrimonio d’affari. Alicya


Capitolo 1 Corro, corro, corro. Mi butto in strada come una pazza esaltata sbracciandomi a tutto andare. Un taxi si ferma, mi lancio dentro lasciandomi cadere sul sedile. Estraggo dalla borsetta la cipria, mi osservo nello specchietto e mi rifaccio al volo il trucco. Odio essere in disordine. Il cellulare continua a trillare ma non ci bado, ho una lista infinita di commissioni da fare, non ho tempo per le chiacchiere. Il taxi si blocca davanti al supermercato, afferro la prima banconota dalla tasca del cappotto e la passo al conducente mentre sono già con un piede fuori dall’auto. Il taxista cerca di dirmi qualcosa ma lo blocco con un gesto della mano. «Il resto è mancia!». Entro trafelata nel grande ingresso del centro commerciale. Dall’altoparlante la signorina gracchia: “Tra mezz’ora il centro commerciale chiude, preghiamo di raggiungere le casse, grazie!”


Sbuffo indispettita. Mezz’ora… sono certa che mi basterà o, meglio, dovrò farmela bastare. M’infilo tra qualche persona indecisa sul da fare… carrello o cestino? Penso al mio frigorifero e mi viene in mente un enorme buco nero. Okay, vada per il carrello. Rovisto nella borsa alla ricerca di una monetina, l’impresa è più ardua del previsto. Rovescio tutto il contenuto sul primo appoggio di fortuna e la trovo tra scontrini, cartacce e non so che altro. Più che una borsa sembra una discarica, ecco perché pesa così tanto. Infilo la monetina nello scompartimento del carrello ma non entra, insulto il carrello e anche la monetina. Lo strattono con forza augurandogli che il giorno dopo lo demoliscano, fino a quando la catenella non si stacca e mi ritrovo il carrello nello stomaco. Mi piego su me stessa e, tossicchiando, con una presa da carrellista esperta, inizio a sfrecciare per le corsie. Detergenti, spazzolini, assorbenti, pane, latte… getto tutto dentro alla rinfusa senza guardare i prezzi. Faccio le curve su due ruote, destreggiandomi in un mare di marche sconosciute, mentre penso, oltre alle pennette, quale antipasto e dessert preparare. Alle nove e mezza, cena a lume di candele… Le candele! Non ho le candele! In quale corsia saranno? Vuoto! Cerco le candele nei vari reparti. Come mi è saltato in mente di farla a lume di candele? A lume di lampadario non era uguale? Il naso all’insù alla ricerca di qualcosa che somigli a della cera di qualsiasi marca e colore e… sbatto contro un altro carrello. Mi volto pronta alla lotta per la supremazia. Ormai, si sa, andare al supermercato è come entrare in un’arena, bisogna prendere il toro per le corna e piegarlo al tuo volere altrimenti nessuno ti rispetta. «Mah, insomma… dove ha…» fulmino il colpevole con gli occhi e… fulmino? Beh, insomma, quasi quasi disdico la cena per seguire lo sconosciuto. Con un sospiro mi appoggio al carrello per evitare di svenire traumatizzata alla vista di questo stallone di razza pura. Altroché toro! Alto, moro, occhi azzurri, muscoloso… È la prova evidente che Dio esiste, che guarda e provvede. La maglietta a maniche corte mostra due bei bicipiti e l’addome piatto e scolpito mi trascina in isole deserte, sdraiata sotto l’ombrellone a bere cocktail posati sulla sua magnifica tartaruga umana. Balbetto qualcosa d’incomprensibile anche per me, presumo che tutti i miei neuroni sani si siano messi a sbattere sulle pareti del mio


cervello in totale sconvolgimento ormonale. Dimostrarsi socievole dopo averlo mandato a quel paese è cosa assai difficile… Vorrei fermarmi e attaccare bottone ma non riesco a fare altro che sorridere mentre continuo a spingere il carrello. Sento il mio collo urlare pietà. Tra poco a furia di girarlo me lo spezzo. A un tratto, lui sorride… Io inciampo, scalcio a vuoto cercando di rimettermi in piedi, mi puntello al carrello che parte per la tangente e mi sfugge dalle mani. Crollo rovinosamente a terra, sento le guance avvampare e vedo il mio carrello con il suo carico abbattersi contro una pila di barattoli di caffè sistemati a piramide. Sento il loro rumore mentre si disintegrano al suolo in una pioggia di latta e chicchi marroni. “Il supermercato sta chiudendo, prego, dirigersi alle casse.” Ed è proprio lì che il mio carrello arresta la sua corsa forsennata.

Capitolo 2 Mi ritrovo con la faccia schiacciata al suolo. Sono svenuta. O meglio, fingo di essere svenuta, è l’unica soluzione sensata. È troppo, davvero troppo per la mia autostima. Ho bisogno di tempo per pensare a come comportarmi. La signorina dell’altoparlante continua a gracchiare ma resto immobile. Sicuramente mi verrà in mente un’idea geniale mentre me ne sto svenuta sul pavimento. Delle braccia mi sollevano voltandomi. Serro per bene gli occhi e lascio ciondolare la testa in maniera del tutto naturale. Dio, fa che i miei capelli brillino e cadano, morbidi e sinuosi, al suolo, in un ventaglio sensuale. Uno schiaffo mi colpisce il viso. Ma che modi sono? «Ahi!», mi lascio sfuggire dalle labbra mentre apro un occhio. Mi metto a urlare come un’invasata mentre spingo via il losco individuo che, con un braccio intorno alle spalle, mi sorregge. Dov’è finito il magnifico esemplare d’uomo che ero certa mi avrebbe soccorsa? «Come sta? Non voglio farle del male, è caduta e ha perso i sensi.» «Umh!» mugugno, sempre meno contenta.


Mi alzo in piedi mentre un paio di persone mi osservano dubbiose. Fingo un capogiro e mi lascio scivolare su uno scaffale giusto per rendere la situazione realistica. L’uomo mi afferra all’istante. «Forse è meglio se l’accompagno in ospedale.» Ospedale? La sola parola basta a terrorizzarmi. Scuoto il capo e lo spingo via con troppa forza. Mi guarda sorpreso e alza un sopracciglio interdetto. «Sto bene, davvero, era solo un capogiro. Sarà meglio che recuperi il mio carrello.» mentre lo dico, sbianco. Il carrello rovesciato giace a terra con il suo contenuto sparso ovunque. Resto senza parole. «Si mette a posto in un attimo», mi assicura l’uomo. «Se lo dice lei!», sbotto. A fatica rialzo il carrello e inizio a raccogliere la roba. Dopo poco mi ritrovo lo sconosciuto a fianco a recuperare i pezzi della mia spesa. Afferra gli assorbenti e anche i profilattici e io arrossisco, glieli strappo di mano e riesco a vederlo sorridere sotto i baffi. Non mi piace che la gente frughi tra i miei effetti personali, anche se devo ancora pagarli. «La ringrazio per l’aiuto», tossicchio impacciata, «ma non ho bisogno di nient’altro», lo informo professionalmente come se fosse uno dei miei clienti a cui sto dicendo: “Mi dispiace, la sua proposta di mutuo non è stata accolta.” Non sembra ascoltarmi, addirittura sistema sul tappeto della cassa la mia spesa. Lo guardo male mentre inizio a velocizzare le mie azioni per darmi alla macchia. Mentre lo faccio, la mia attenzione viene catturata da lui, l’uomo tartaruga, che si sistema il giubbotto di pelle… Wow! Lo vedo uscire con eleganza stringendo una busta della spesa, mi chiedo per quale caspita di motivo ha preso un carrello per neanche dieci pezzi, bastava un cestino. «Credo sia troppo giovane per lei.» Resto basita di fronte all’affermazione del mio aiutante rompiscatole e ficcanaso. Troppo giovane? È un modo per farmi passare per una vecchia pedofila?


«Ma per chi mi ha preso? Stavo semplicemente pensando che se avesse usato un cestino, invece del carrello, non ci sarei andata contro e non avrei combinato tutto questo disastro.» Indico con la testa i barattoli a terra e la commessa che sta rimettendo a posto. Troppo giovane? Ma quanti anni mi dà questo tizio? Gli lancio un’occhiata severa, meglio non pensarci. Torno a concentrarmi sulla spesa, ormai il centro commerciale inizia a spegnere le luci e mi sento mancare l’aria. Ho poco tempo, devo cucinare un’intera cena, prepararmi e sistemare anche la casa. Flash del soggiorno e della cucina mi balzano nella mente e sbianco. Piatti sporchi, reggiseni sparsi ovunque, gli autoreggenti sul divano. Impossibile far fronte al ciclone che ha investito il mio appartamento. «Sono cinquantacinque euro e trentasette centesimi.» «Subito!» frugo nella borsa, tiro fuori il portafogli e cerco i cento euro. Resto perplessa e poi ricordo… «Certo, li ho messi nella tasca del…» impallidisco estraendo una carta da venti e qualche centesimo sparso ovunque. Il taxi mi torna in mente e vedo la mia mano cercare le banconote e… Non posso crederci, gli ho dato cento euro! Cento euro… di mancia! Vorrei mettermi a urlare, la fretta, la mia dannatissima fretta. Adesso come faccio a rintracciare il taxi? Il bello è che il tipo ha anche cercato di dirmelo. È inutile piangere sul latte versato, fortuna che hanno inventato le carte di credito! Spulcio tra i vari scompartimenti del portafogli ma anche la carta sembra si sia volatilizzata nel nulla. La mia mania di cambiare sempre posto, ecco che cosa comporta. «Qualcosa non va?» Odio quest’uomo, non posso vederlo, non lo sopporto. Vorrei prenderlo a schiaffi e farlo tacere per una buona volta.


«Va tutto bene, mi sono solo accorta di aver dato cento euro al mio taxista e che adesso non trovo neanche la carta di credito.» «Nessun problema.» estrae dalla tasca dei pantaloni il portafogli e senza lasciarmi il tempo di dire nulla passa la sua American Express alla cassiera. «No, aspetti un attimo…» obietto arrossendo. «Stia tranquilla, ci penserà dopo ai soldi.» Resto muta, senza parole. Lo sconosciuto paga mentre io imbusto e non riesco neanche più ad alzare il capo tanta è la vergogna. Vorrei ringraziarlo, dirgli qualcosa di carino ma so già che se parlo mi metterò a insultarlo dall’ira. Mi sforzo di apparire rilassata, respiro… Respiro… Calmo i battiti. «Non so come sdebitarmi… di sicuro ho lasciato le carte a casa, se mi lascia l’iban, posso farle un bonifico…» di portarmelo a casa manco ci penso, questo prende l’appalto. Potrebbe essere un matto che adesca le donne in difficoltà al supermercato per poi approfittare di loro. «Non si preoccupi. Siamo a posto così.» «No, si fermi un attimo. Non siamo a posto per niente, io le pago la mia spesa», sbotto al colmo dell’esasperazione. «Per cinquanta euro, ma si figuri. L’importante è che non si sia fatta nulla cadendo. È stato un piacere.» Mi allunga la mano e la stringo con forza, forse troppa. «Grazie. Piacere, io sono Alicya.» lo dico di getto senza neanche pensarci. Perfetto, se è un maniaco ora sa anche il mio nome e può usarlo per strani riti d’iniziazione o peggio… che schifo, non voglio immaginare. «Ryan, piacere mio.» «Bene Ryan, ora sarà il caso che tu mi dia il tuo iban, così ci togliamo il pensiero e la smetto di sentirmi in debito.» Lui sorride divertito e gli s’illuminano gli occhi, arrossisco sentendomi una perfetta idiota.


«Non ho intenzione di farti saldare questo debito. Vedi, penso che avere delle persone che sono in debito con te, alla fine, possa essere vantaggioso. Quindi, un giorno, mi restituirai il favore.» Un bip improvviso e continuo gli fa distogliere gli occhi dai miei. Estrae il suo Iphone e fa una smorfia preoccupata. «Devo lasciarti, è stato un piacere.» Mi stringe ancora la mano ma non riesco a proferire parola. Lo vedo solo andar via. Me ne sto impalata come un lampione mentre il centro commerciale piomba nel buio più assoluto. E adesso come risano il debito? Era un modo gentile per regalarmi la spesa? Che giornata, e pensare che non è neanche finita.

Capitolo 3 Entro in casa sbattendo la porta. Il gatto mi si fionda in braccio con un balzo e per poco non perdo l’equilibrio. Poggio la spesa in cucina e osservo il disastro che mi circonda. Piatti, tegami, stoviglie, avanzi di pizza, strofinacci mezzi bruciacchiati abbandonati vicino al fornello dove questa mattina hanno preso fuoco. I fornelli incrostati di cibo. Non posso crederci, questo porcile è casa mia? Insomma, questa mattina non mi sembrava poi così sporca. Forse la fretta mi fa perdere di vista i contorni della situazione. Che posso farci se sono una donna impegnata? Il lavoro occupa la maggior parte delle mie giornate. Il cellulare trilla. Lo cerco disperata. Ho solo mezz’ora di tempo per pulire e cucinare, mezz’ora… È impossibile. Osservo il display, è Raffaele. Oddio, spero non sia sotto casa. Posso fingere di non esserci, lo faccio tornare indietro, magari invento che sono bloccata a lavoro causa sciopero taxisti e gli chiedo se può passare a prendermi, poi quando arriva e mi chiama gli dico che sono appena riuscita a trovare un taxi e che ci vediamo a casa. Così recupero almeno un’altra oretta buona.


«Pronto?» apro la finestra e mi affaccio in modo da far sentire i rumori del traffico. «Ehi, Aly, scusa ma sono in ritardo. Almeno di tre quarti d’ora, sono stato trattenuto a lavoro. Ti dispiace se arrivo per le dieci e mezzo, undici?» Sorrido trionfante. Chiudo la finestra rabbrividendo per il freddo. «Figurati, va benissimo, anch’io sono stata trattenuta, sono rientrata proprio ora. Fai con comodo.» «Bene, non vedo l’ora di assaggiare le tue famose pennette all’arrabbiata.» «Non temere, io e le pennette non ci muoviamo da qui. A dopo allora.» «Okay, grazie per la pazienza, sei un tesoro.» «A dopo!» sussurro seducente. Che fortuna sfacciata, è il caso di dirlo. Non poteva andarmi meglio. Bene, ora è il caso di mettermi all’opera. Vediamo un po’. Apro lo sgabuzzino in cerca del necessario. Secchio, straccio, detersivo per il pavimento, spolverino, spugna abrasiva… Osservo tutti gli arnesi del mestiere e mi sento venir meno. Mi faccio coraggio, in fondo non deve essere così faticoso sistemare una casa. Vediamo un po’, da dove parto? Polvere o pavimento? Piatti o stanza da letto? I piatti sporchi mi fanno un po’ senso, forse è meglio partire dalla camera da letto, in fondo dovrà entrare anche lì Raffaele. Bene, vediamo… Reggiseno da lavare, maglia da lavare… e che ci fa qui sotto? Sono settimane che cerco il mio perizoma porta fortuna e ora eccolo qui, sotto il letto. Non riesco a spiegarmi come ci sia arrivato. A volte penso che indumenti e oggetti abbiano una vita propria e si spostino per l’appartamento solo per farmi dispetto. Forse fanno festini a mia insaputa, altrimenti non si spiegherebbe tutto questo caos. Inizio a rassettare e non riuscendo più a capire quale sia la roba pulita e la sporca faccio un mucchio unico e lo pianto nel bagno. Via, tutto da lavare. Ben presto il bagno diventa una sorta di magazzino e mi chiedo come farò a lasciar entrare Raffaele nel caso ne abbia bisogno. Certo, dopo aver esplorato la camera da letto, vorrà farsi una doccia. Okay, a questo dettaglio ci penso dopo. Mi dirigo in cucina con


spugna e detersivo per i piatti e mi blocco davanti alla porta. Non ce la faccio, è un’impresa titanica e tra l’altro non so neanche come ho fatto a combinare questo disastro. A casa ci sto così poco, sono sempre fuori per qualche ragione e quando torno… Sono stanca, non ho voglia di fare nulla e si vede. Pianto tutto a terra in un impeto di disperazione assoluta. Il telefono fisso squilla ma non ci faccio caso sino a quando attacca la segreteria: «Sono Alicya, in questo momento non sono in casa, se volete, potete lasciare un messaggio breve dopo il segnale acustico.» «Alicya, sono io, la nonna, chiamami quando puoi, è una settimana che non ti sento. Ciao.» Non ho tempo di parlare con la nonna anche se so che sono una nipote ingrata… la chiamerò domani. Accendo il Mac. Ho un'idea. Vediamo un po’ cosa trovo in rete. Ditta di pulizie privata… Questa no, questa è chiusa, questa non lavora di sera. Eccoti qui! Ho trovato quella che fa al caso mio, sembra correre ai ripari in casi estremi. Le fate della spugna, sì, direi che qui ci vuole una magia. Mi guardo intorno… E sì, il mio è un caso disperato. La chiamo subito, do tutti i miei dati e descrivo la situazione attuale. «Di quante persone ha bisogno?» mi chiede il signore dall’altro capo del telefono in maniera sgarbata. «Vediamo, bisogna sistemare tutta casa, non è messa proprio bene, forse una persona per stanza? In mezz’ora riescono a sistemare tutto?» «Non dovrebbero esserci problemi. Quante persone le mando?» «Cinque, ma facciamo sei, così mi sistemate anche il terrazzo, credo di aver lasciato un po’ troppa spazzatura fuori.» mi sporgo oltre la finestra per dare un occhio al mio terrazzino privato. Non è un bel vedere, qualche sacco d’immondizia, scatole di scarpe da gettare via e altre cianfrusaglie.


«Tra dieci minuti siamo da lei.» «Bene.» Tiro un sospiro di sollievo. Anche questa è fatta. «Signora, le ricordo che bisogna pagare l’extra per il notturno», afferma. Doveva pur esserci un motivo se corrono ai ripari anche a quest’ora. «Non si preoccupi», lo tranquillizzo. Un problema in meno a cui badare. A questo punto mi resta solo da cucinare le mie favolose pennette all’arrabbiata e sistemarmi un pochino. Osservo i fornelli e mi rendo conto che anche quest’impresa non sarà facile. Apro i cassetti e tiro fuori qualche pentola, il tagliere, un bel coltello affilato. Per cominciare devo soffriggere l’aglio. Cerco l’olio, ma sembra scomparso. Rovisto nella spesa ma tra tante sciocchezze manca proprio l’olio. Non sarà poi la fine del mondo, metto un po’ d’acqua e dell’aglio sul fuoco e soffriggerà lo stesso, magari queste pennette vengono anche meno pesanti del dovuto, in fondo è risaputo che l’olio fa bene crudo ma non soffritto. Lascio nella padella l’aglio e l’acqua e cerco il prezzemolo da spezzettare. Prezzemolo dove sei? Lo trovo appallottolato in un sacchetto in fondo a un ripiano del frigorifero, lo estraggo e lo posiziono sul tagliere, inizio a triturarlo sottile quando suonano al campanello. Sarà la ditta delle pulizie. Apro senza chiedere chi è e ricomincio a spadellare. Un gruppo di ragazze e ragazzi entra con tanto di divisa, mascherina, e un mucchio di attrezzi. Mi rendo subito conto perché non riuscivo a sistemare casa, non avevo la tenuta adatta e nemmeno l’armamentario. Mi riprometto all’istante di comprare tutto il necessario per le pulizie, anche la tuta e le mascherine. Mostro ai ragazzi l’appartamento e dalle loro facce capisco che la situazione è critica. «Lo so, vi chiedo un miracolo, ma ne ho davvero bisogno. In mezz’ora se è possibile.» Il capo della ciurma alza le spalle e tira un sospiro rassegnato. «Sarà meglio che iniziamo allora.»


Sorrido soddisfatta e torno ai miei fornelli. La ragazza che deve pulire la cucina mi guarda male e io le sorrido complice. Eppure bastano soli cinque minuti, a tagliuzzare il prezzemolo, che capisco cosa devo fare… Ditta catering!

Capitolo 4 Le undici arrivano in un lampo. Esco dal bagno profumata come una rosa, truccata alla perfezione, un abitino stretto che mi fascia il corpo e le mie adorabili scarpe con il tacco a spillo. Mi osservo allo specchio. Perfetta! Il campanello suona. Do una sbirciata al bagno, sono stata attentissima a non rovinare il lavoro fatto dalle fate della spugna. Niente acqua a terra, asciugamani freschi di bucato al loro posto e il mio accappatoio appeso al suo gancio. Bene, un gran respiro e mi dirigo alla porta. Passo per il soggiorno apparecchiato di tutto punto. Un vero orgoglio d’impeccabilità… Me lo devo salvare il numero di questa ditta catering. Certo, alla fine non hanno fatto un granché, si sono limitati a ordinare le pietanze scelte in un ristorante del centro. Galeotto fu lo scontrino che si sono dimenticati nella busta. Ma, in fondo, a quest’ora, non avevo poi così tante pretese, se ci avessi pensato io, avrei risparmiato un sacco di soldi. Devo ammettere però che hanno gusto. La tavola è imbandita con piatti e insalatiere che non sapevo neanche di avere in credenza. Le candele lunghe e rosse fanno tanto atmosfera Natalizia e il profumo delle pennette pervade l’aria. In un’ora la mia casa è stata trasformata e anche il mio conto in banca. Sicura che tutto sia in ordine apro la porta a Raffaele. Occhi scuri e capelli scuri, la classica bellezza mediterranea. Sono appena tre settimane che ci frequentiamo, nulla d’importante ma vorrei stringere la questione su un rapporto leggermente diverso. Il sesso è importante ma non mi dispiacerebbe pensare a un possibile fidanzamento senza fini matrimoniali, al massimo una convivenza leggera. Qualcosa di non troppo stretto ma neanche troppo largo. Sorrido raggiante e lui ricambia con calore. Lo faccio entrare e non abbiamo bisogno neanche di salutarci, siamo in completa armonia sensoriale. Qualcosa di empatico e sincronizzato alla perfezione. Gli faccio strada verso la tavola e lui resta senza parole.


«Favoloso, ma come fai? Lavori no stop e riesci a cucinare e tenere la casa uno specchio. Sei favolosa, l’ho sempre detto.» «Sai com’è, organizzazione», scherzo divertita. Ottocento cinquanta euro sono molto più che organizzazione. Per fortuna la ditta delle pulizie ha trovato le mie carte di credito nel mobile del bagno. Per la precisione non so cosa ci facessero lì dentro. Inizio a pensare di non essere sola in questa casa. Ci accomodiamo e Raffaele mi parla del suo lavoro di assicuratore, di alcuni clienti difficili e di un investimento per il nuovo studio dell’azienda. Un luogo più ampio e professionale dell’attuale ufficio. Ormai da due dipendenti sono diventati una ventina e per una piccola azienda è un grandissimo passo avanti. Parla, parla e parla e io inizio ad avere sonno. Non che ciò che dica non sia interessante ma se devo essere sincera ne ho fin sulla cima dei capelli di lavoro. Speravo parlassimo di cinema, spettacolo, attualità, non di borsa, assicurazioni sulla vita, morti apparenti e mille altre cavolate per essere risarciti dall’assicurazione. Afferro il calice con il vino bianco e lo butto giù tutto d’un sorso alla sua ennesima storia su un cliente che voleva essere pagato per un finto infortunio. Non ne posso più, vorrei sprofondare in un buco nero. Penso alla giornataccia che ho avuto: una corsa continua dove ho rischiato di uccidermi per fare la spesa, ho gettato via all’incirca metà del mio stipendio in un solo giorno e per fortuna che almeno la spesa, che non ho usato, l’ho avuta regalata. Sospiro esasperata e, all’ennesimo sbadiglio, si accorge che sono caduta in trance. «Scusa, ti sto annoiando con tutte queste chiacchiere.» «Umh!» mugugno allontanando il calice dalle labbra. «Ti sbagli invece, sono assolutamente affascinata dal tuo modo di prendere i problemi con astuzia», gesticolo con una mano. Mi trattengo dal dire che è un vero ladruncolo furbo e che forse a volte truffa la gente in maniera pietosa. Sì, lo so è il solito cliché da commedia hollywoodiana scadente, ma che volete se la vita a volte è come un film? Purtroppo esistono le truffe e i truffatori, non è mica colpa mia. Che altro ci si può aspettare da un assicuratore? Tutte quelle clausole, quelle postille e via discorrendo sono atte a fregare il cliente mica a tutelarlo. Bisogna andarci cauti e valutare tutte le


possibilità… a pensarci bene un po’ come le banche. Non quella dove lavoro io, ovvio! «È difficile trovare una donna come te, così attenta e disponibile a un certo tipo di dialogo.» «Cosa vuoi che ti dica, sarà che lavoro in banca, come si dice? Deformazione professionale.» Raffaele mi sorride e io ricambio con tutto il cuore. Spero che si alzi al più presto dalla sedia altrimenti non mi resta neanche più il tavolo. Si è sbaffato tutte le pennette, la carne ai ferri e l’insalata. Più che un uomo mi sembra un gorilla affamato. Pensare che speravo di mangiarci almeno una settimana con questa roba. Pensiero sfumato! Una cosa è certa: non lo inviterò mai a cena fuori a spese mie. «Cena davvero favolosa. Sono senza parole, sei un vulcano.» «Manca solo il dolce.» Sorridendo vado in cucina e prendo la creme brûlé, la depongo su un vassoio e la servo a tavola. «Sei una donna da sposare, lo sai?» «A esser sinceri questo non me l’ha mai detto nessuno!», affermo. Se solo avesse visto la casa prima del suo arrivo, sarebbe rimasto sconvolto. Altroché da sposare, sono una donna da evitare sotto ogni punto di vista. Il problema non sussiste, non voglio sposarlo, solo una convivenza leggera, quindi il mio piccolo difettuccio del disordine non intacca lo stato attuale della situazione. Il matrimonio non voglio neanche metterlo in preventivo… con Raffaele poi, non è l’uomo giusto. Spazzola via anche il dolce e ormai aspetto che accada qualcosa di piccante ma riprende a blaterare e non ne posso proprio più. Di piccante finora ci sono state solo le pennette… Che strazio! Possibile che un uomo non riesca a capire quando è il momento di tacere e passare ai fatti? Durante le altre uscite non mi è sembrato poi così imbranato, anzi era piuttosto intraprendente. Continua ancora a raccontarmi altri dettagli insulsi, la sua voce inizia ad annoiarmi. Sparecchio e lui con gentilezza mi aiuta. Mentre depongo i piatti nel lavandino e inizio a passarci sopra la spugna per togliere i residui di cibo e sistemarli nella lavastoviglie, domanda: «Sai che adoro il tuo fondoschiena?» «Davvero?» chiedo ansiosa. Non sarà uno di quegli uomini che si eccitano a vedere la propria donna rassettare casa? Speriamo di no, non ho intenzione di fare


Cenerentola a vita per guadagnarmi un po’ di sano sesso. Sento la sua mano posarsi sul mio sedere e palparlo e un brivido di eccitazione mi scuote. Smollo i piatti e mi volto a fronteggiarlo. «Che cosa fai?» la mia voce è vellutata e maliziosa. Raffaele non bada più alle parole, mi afferra per i fianchi e mi fa sedere sul lavandino della cucina. Mi alza la gonna e fa scivolare le autoreggenti in basso. Un brivido, di sorpresa e di piacere, corre lungo le gambe e il calore m’invade… Ed è solo l’inizio. La leonessa che è in me ruggisce pronta allo scontro. Allaccio le gambe intorno ai suoi fianchi e lo attiro a me. Le mani tra i suoi capelli, le sue alle prese con il mio slip che sembra non voglia scivolare via. Due sono le cose o mi si è incollato addosso nella certezza che questa sera si andava a letto in bianco oppure Raffaele è davvero imbranato. Mi puntello con le mani sulle sue spalle e mi alzo dal lavandino per aiutarlo a sfilarmi l’indumento che non ci permette un contatto intimo. «Cos’è una cintura di castità?» «Ti assicuro che sino a qualche ora fa riuscivo a tirarlo giù.» «Con chi sei stata?» «Eh?!» domando perplessa. «Chi ti ha fatto scendere lo slip?» «Io!» «Tu? Autoerotismo?» «Auto che?» Mi sta prendendo in giro oppure parla sul serio? «Se nessuno te l’ha abbassato, e lo hai fatto da sola, vuol dire che avevi una ragione importante, ammettilo ti sei masturbata.» «Cosa?» domando arrossendo. Se sta cercando di riscaldare la situazione non ci sta riuscendo, tutt’altro sta peggiorando. «Dài, anche voi donne fate queste cose.» «Non io, non oggi!», protesto indignata. «Allora perché lo hai abbassato?»


È serio, forse i suoi neuroni sono morti in un incidente stradale, o forse durante la nascita sono rimasti bloccati nella cervice. «Raffaele, io ho esigenze da comune mortale», lo avviso. «A volte, non sempre, solo quando bevo eccessivamente, mi scappa…» arrossisco. Davvero devo spiegare le funzioni fisiologiche a un uomo grande e grosso? «La pipì!», sussurro. Raffaele si agita e si allontana da me. Ha capito che forse sta facendo scendere la libido sotto lo zero. «Non parlare», lo zittisco baciandolo. Non c’è nulla da fare, gli uomini di una volta non esistono più, non sanno neanche tirare via uno slip. A quest’ora lo avrei strappato a morsi se fossi stata uomo. In preda alla frustrazione, al desiderio, lo allontano da me. Salto a terra con un balzo, lo spingo contro il tavolo della cucina mentre mi slaccio la gonna e la faccio scivolare sul pavimento. Raffaele mi vuole, sta per allungare le sue manacce ma lo blocco. «No, no! Sta fermo lì.» Non posso dirgli: bello mio, se aspetto te lì sotto mi escono le ragnatele. Sfilo via gli indumenti indispensabili, slaccio appena la camicetta e mi avvicino sicura. La fortuna vuole che sia perspicace e si libera dei pantaloni e la mia crisi d’astinenza mi fa perdere il controllo. Gli piombo addosso come un’assatanata facendolo barcollare sino a costringerlo sul tavolo. Gli salgo sopra a cavalcioni e come una vera amazzone gestisco la situazione. Sfacciata, come mai lo sono stata, gli afferro le mani e le pianto sul mio seno. Arrossisco ma non mi importa, nulla ha davvero importanza. Chiudo gli occhi e annego nel piacere.

Capitolo 5 Corro, corro, corro. Ultimamente corro troppo, ne sono consapevole ma non riesco a farne a meno. Alla fine di quest’anno, con tutto quest’allenamento forzato, m’iscriverò a qualche maratona. Mi fiondo fuori dal taxi ancora in corsa e lancio qualche banconota al conducente mentre saltello cercando d’infilarmi la scarpa


decolté che continuo a perdere. Mi aggiusto la gonna stretta che si è alzata ed entro nell’edificio della Global Banking. Sono in ritardo, dannazione a Raffaele e ai suoi giochetti erotici e infantili. Alla fine si è svegliato, ha solo un rapporto difficile con slip, zip e gancetti del reggiseno. Una volta che mi sono auto spogliata è andato tutto liscio. Anzi è una furia. Non so neanche come faccia a farsi venire certe voglie di prima mattina,cavolo, puzzava! Quando ci si sveglia, si sa di vecchi decrepiti, un bacio e muori. Un brivido di disgusto mi passa per tutto il corpo. Non voglio ricordare! Entro in ufficio trafelata, lancio la borsa nel solito angolo e accendo il computer. Alzo la cornetta, devo ancora chiamare la nonna. Uno squillo e la testa della mia segretaria fa capolino dallo spiraglio della porta. «Riunione super urgente al settimo piano. Sei in ritardo di un quarto d’ora.» Sbianco paralizzata da una catastrofe del genere, non sono mai in ritardo a lavoro e mai, e dico proprio mai, alle riunioni. Uccido Raffaele e le sue voglie mattutine. «Pronto… pronto?» la voce della nonna dall’altro capo del telefono mi fa sobbalzare. «Nonna, scusami, devo scappare, riunione urgente di lavoro», l’avviso. «Alicya, lavori troppo, quando torni a casa? Sono mesi che rimandi.» Sospiro, ha ragione, le avevo promesso che avrei passato qualche week end con lei ma… «Nonna, mi dispiace, adesso non lo so… vedrai che riuscirò a organizzarmi, ora scusami, devo andare.» «Fatti sentire più spesso», mi rimprovera. «Okay, ciao nonna.» Metto giù la cornetta, mi sistemo la giacca, devo entrare con fare professionale, può capitare a tutti un ritardo. In ufficio ne parleranno per settimane di questa mia mancanza. Prendo l’ascensore cercando invano qualche brillante idea come scusa nel caso mi chiedano una spiegazione, ma nulla, non mi passa per la mente alcun motivo


plausibile. La mia fantasia si è esaurita a letto con Raffaele oppure sterminata dal suo alito pesante. Entro nella sala riunioni. «Buongiorno, scusate il ritardo, sono stata trattenuta causa forza maggiore.» Forza maggiore? Cos’è c’è stato, un terremoto solo a casa mia? Che scusa sciocca. «Non si preoccupi, si accomodi pure, Alicya.» Il mio capo, Alfonso, mi indica la sedia, dal suo sguardo capisco subito che qualcosa non va per il verso giusto. È strano, di solito queste riunioni sono annunciate con una circolare. «Vi abbiamo riunito per parlarvi della nuova direzione della Global Banking. Abbiamo deciso di cambiare il direttore generale visto che abbiamo avuto un calo sostanziale dei clienti, forse dovuto a una mancanza del sottoscritto o comunque sia per ragioni a oggi sconosciute. Per cui vi presento il vostro nuovo direttore a cui, da oggi, dovrete indicare tutti i vostri movimenti.» Alfonso indica l’uomo sconosciuto che gli sta a fianco ritto come un fuso. «Il signor Ugo De Santis. Sarà lui che v’indicherà in cosa cambierà la gestione della banca e immetterà un nuovo piano monetario. Ci sono grandi cambiamenti in atto. Spero che voi tutti collaborerete attivamente a questa nuova era.» Non posso crederci, Alfonso ci lascia. Lui per me è ormai la Global Banking, è un’istituzione. Lavora in questa filiale da anni e ha la stima di tutti i presenti. Quando sono stata assunta, lui era già qui. Santo cielo, è parte integrante dell’arredo! Sarà come aver buttato via un mobile d’antiquariato. Per cosa poi? Non è colpa sua se la gente non crede più nei conti in banca preferendo i mattoni del proprio appartamento come investimento. Alfonso si fa da parte per lasciare posto al signor De Santis. Ora che mi sono calmata e rilassata riesco a fargli una bella radiografia completa. Il nuovo grande capo, Ugo… mi suona strano. Lo seguo con attenzione, valutandolo. Non è malaccio, anzi, è un tipetto piacente direi. Inizia a parlare d’investimenti, di piani marketing e altre mille incombenze di cui dobbiamo occuparci da oggi in maniera diversa. La sua voce risuona calma e ferma all’interno della sala e mi scopro attratta. Inizio a pensare che i miei ormoni siano leggermente sotto sopra. Umh… Se devo essere


sincera non sono mai stata molto diversa da quando ho scoperto il mondo dei ragazzi o meglio del sesso. Iscritta all’università mi sono dedicata anima e corpo allo studio per la felicità dei miei nonni, che speravano mettessi la testa a posto piantandola di uscire con punkettoni o rocchettari di qualche band. In realtà uscivo con spiantati, non tanto perché mi sentivo come loro ma solo perché avevo il bisogno di attirare l’attenzione di chi ormai avevo perso.

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