(es)senza di te (youfeel)

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CORINNE SAVARESE (ES)SENZA DI TE Proprietà letteraria riservata © 2014 RCS Libri S.p.A. Milano ISBN 97-888-58-67371-3 Prima edizione digitale 2014 In copertina: © iStock.com Art director: Francesca Leoneschi Graphic Designer: Alexandra Gredler / theWorldofDOT Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

(ES)SENZA DI TE A Cristina Dina (1978-2014) Sarò il tuo cuore per le emozioni che non puoi più provare. A mio marito e ai nostri quattro gioielli, per il loro supporto e amore infiniti.


Ad Alessandra Bazardi e Manuela Dicati. Voi sapete il perché.

PROLOGO Gent.ma Sig. na Juliette Rocher La presente per comunicar Le che con nostro grande piacere la Sua richiesta di trasferimento presso i nostri laboratori di Grasse è stata accettata dalla sede centrale, pertanto potrà iniziare a lavorare su un nuovo progetto sperimentale, che Le affideremo al Suo arrivo, il giorno 1 di giugno c.a. L’ufficio Viaggi ha già predisposto tutto per la Sua partenza. La ringraziamo della fiducia accordataci. Per qualsiasi richiesta o informazione non esiti a contattarci: il Suo riferimento è la d.ssa Émile Toureaux. Siamo lieti di accoglierLa nella nostra équipe e Le auguriamo buon lavoro. Cordialmente Dott. Marc Levrier Responsabile Risorse Umane C&P, Laboratoires Cosmetiques et Perfumes, Grasse Guardo la lettera ancora una volta, per essere certa di aver capito bene. Mi hanno presa! Mi hanno presa! Inizio a saltellare come la volpe quando non arriva all’uva, ma io all’uva ci sono arrivata. Vado a Grasse! Lascio questo posto di pianto e stridor di denti. Me ne vado. Do una sbirciata al calendario. È il 29 maggio. Mancano due giorni. Ancora un paio di giorni di sofferenza qui a New York, in ufficio con Adam… e poi basta! Maledetto Adam! Mi ha lasciata per Donna, una quarantenne rovinata dagli abusi della sua vita sregolata, regina indiscussa dei locali notturni più «in», fumatrice incallita e alcolista senza speranza. Si trucca tanto pesante che le si paralizza la faccia. Ha un corpo apparentemente perfetto, reso tonico dai massaggi e da ore e ore di palestra; in questo modo spera di arrestare il veloce decadimento causato dallo stress a cui si sottopone ogni notte. Chissà fino a quando reggerà, mi domando. Sarei curiosa di vedere la faccia di Adam mentre le sfila il reggipetto e si ritrova un seno molle che cade come una veneziana.


Donna veste ancora come una diciottenne. Oh, è così patetica! Adam è il suo toy boy e lei la domatrice. Me lo immagino che cammina gattoni, con un guinzaglio chiodato al collo. Solo lui poteva essere irretito da un tipo così! E solo io potevo perdere gli anni più belli della mia vita dietro un simile esempio di maschio decerebrato che si butta a pesce sulla prima che gli capita. Ma andrà a sbattere, poco ma sicuro. Auguro a tutti e due di spiattellarsi per bene a terra riducendosi in polpette, così non ci sarebbe neanche bisogno di seppellirli e li si potrebbe dare direttamente in pasto ai vermi. Adam, sei un cretino! E poi, una che è stata single fino a quarant’anni anni doveva decidere che era ora di cambiare vita proprio adesso?! E con il mio ragazzo? Quei due si meritano a vicenda, una è la pentola e l’altro il coperchio. Peggio per loro… Se ne accorgeranno, quando qualcuno accenderà il fuoco sotto! Alzo la testa. Mi aspetta un futuro radioso, sento che niente più è in grado di scalfirmi, e a un tratto mi dimentico della ferrea educazione ricevuta e della mia posizione sociale. Vado a Grasse! ’Fanculo Adam! ’Fanculo Donna!

CAPITOLO UNO «Hai tutto, tesoro? Sicura di non dimenticare nulla?» «Mamma, basta. A momenti prendo l’intera casa, con il rischio di far cadere l’aereo per sovraccarico e di causare un disastro con centinaia di morti; me compresa, ovviamente. È questo che vuoi?» «Ma tesoro… te ne vai così lontano! Ci hai pensato bene?» «Dai, mamma, non vado mica…» «Dall’altra parte del mondo? Sì che ci vai! E mi lasci qui da sola con tuo padre, che non c’è mai.» «Stavo per dire in guerra. Non vado in guerra! E poi, non pensare di far ricadere su di me i vostri problemi coniugali. Sapevi bene a cosa andavi incontro sposando un ambasciatore. Dovresti essere felice per me: torno nella terra delle nostre origini,


dove siete nati tu e papà. E non penso che per lui sia un problema un viaggio in più in Francia, essendo l’ambasciatore francese a New York! Non provare a farmi venire i sensi di colpa, perché non funziona.» «E va bene. Ma promettimi che starai attenta.» La guardo con aria sarcastica. «No, mamma, credo proprio che mi darò agli sport estremi, tipo bungee jumping, poi la sera frequenterò i posti più malfamati di Grasse, mi ubriacherò fino a non capire più niente, mi prostituirò, organizzerò un traffico internazionale di armi, e infine, perché no?, potrei anche pensare al riciclaggio di denaro sporco. Tanto sarò in una botte di ferro. Se mi dovessero prendere basterà che dica: “Lei non sa chi sono io! Sono la figlia dell’ambasciatore francese a New York! L’ambasciatore Rocher!”. Non trovi che sia un piano perfetto?» L’espressione di mia madre è tutta un programma, ma lei come sempre sa mantenere il controllo. «Juliette, su certe cose non si scherza. Sai benissimo quanto siano importanti, fondamentali e delicati il lavoro e la posizione di tuo padre. Ci mancherebbe solo uno scandalo mondiale!» «Eccome se lo so! Mi avete messa sotto una campana di vetro per ventisette lunghissimi anni. Per tutta la vita mi avete protetta anche dalle mosche bianche, che forse nemmeno esistono, ma non si sa mai… Finalmente ora ho la possibilità di vedere la luce, e dovrei farmi scappare questa opportunità? Mamma, sono una donna, ormai. Mi lasci andare?» Lei mi attanaglia fra le sue braccia e si guarda bene dal lasciarmi. «Mamma…» Suo malgrado, alla fine, cede. «Okay, okay, va’ pure. Aspetta ancora un attimo, però. Chissà quando ti rivedrò.» Apro gli occhi e guardo per l’ultima volta la mia stanza. Spaziosa, ariosa, luminosa e in elegante stile provenzale. Un sontuoso letto a baldacchino pieno di gonfi, soffici cuscini. Armadio, comò, cassettiera e settimino color panna con dettagli lavanda come i tendaggi, le coperte e le pareti. Una grande porta-finestra accede su un terrazzino. Tutto è ordinato e sa di pulito. Non posso evitare di provare un moto di nostalgia in anticipo, mentre mi chiedo che genere di casa troverò al mio arrivo a Grasse.


Vicino alla macchina con la carrozzeria antiproiettile c’è mio padre, con gli occhi lucidi, che mi aspetta insieme all’autista. «Piccola… sei pronta?» «Coraggio, papà, non è ora che tu e la mamma vi rendiate conto che sono cresciuta?» Chissà se scoprisse che non sono più la fanciulla candida e illibata che crede, la sua piccolina che gli correva in braccio quando tornava dal lavoro, e se sapesse che qualche volta sono riuscita a eludere la sorveglianza delle guardie del corpo. Mi fa quasi tenerezza, sento le lacrime che mi pizzicano gli occhi. Lui non risponde, ma prende i miei bagagli e solleva l’autista da un lavoro che non avrebbe mai dovuto fare, soltanto per evitare di mostrarsi debole. Il tragitto fino all’aeroporto è silenzioso. Mia madre si guarda le unghie, laccate con una french manicure perfetta. È elegantissima nel suo tailleur Chanel nero e rosa pastello, i capelli scuri stretti in un elegante chignon. Intorno al collo ha solo un filo di perle. Gli occhi chiari sono appesantiti dalla preoccupazione. Mio padre fissa silenzioso fuori dal finestrino. Se ne sta lì, rigido, a testa alta, le labbra serrate. I capelli neri si stanno diradando, gli occhi scuri sono contornati da piccole rughe. Non saprei dire a chi somiglio di più. L’altezza, senza dubbio, è quella di mia madre: 1.65 cm precisi su una corporatura minuta. Quante volte le ho dato la colpa della mia bassa statura! La carnagione chiara punteggiata di lentiggini sul naso e sugli zigomi e gli occhi azzurro acqua sono sempre di eredità materna. I capelli corvini e lisci, invece, sono un dono di mio padre. Guardo entrambi, me li imprimo bene nella memoria perché per quanto voglia fare la donna matura e indipendente so che mi mancheranno tantissimo. Mi hanno educata inculcandomi forti valori e sani principi; sono stata coccolata, vezzeggiata, accompagnata per mano in ogni momento della mia vita. Se mancava il papà, la mamma faceva in modo che io non dovessi mai affrontare nulla per conto mio. E adesso, per la prima volta, tento di spiccare il volo, da sola e con un velato timore di non essere in grado di farlo. Ma devo! Questo è il mio treno, quello che passa una volta sola nella vita, e per il mio bene devo assolutamente prenderlo. Dopo altri lunghi abbracci bagnati di lacrime davanti al check-in, eccomi qui, seduta in prima classe sul volo diretto per Nizza. Sono almeno otto ore di aereo, ma per fortuna ho il posto accanto al finestrino. Potrò anche vedere un film e leggere sul


lettore e-book uno di quei libri che mi riprometto di leggere da secoli ma non avevo tempo. Adesso finalmente posso farlo. La mia nuova vita mi aspetta, ed è tutta una scommessa. Addio casa, dolce casa. Addio mamma e papà. Addio Adam-cretino. Addio vecchia Donna. Che la mia nuova vita abbia inizio!

CAPITOLO DUE Mi sveglio di soprassalto al suono della voce della hostess. «Signore e signori, tra pochi minuti inizieremo la fase di atterraggio a Nizza. Vi preghiamo pertanto di controllare che la vostra cintura di sicurezza sia allacciata correttamente, che il tavolino sia sollevato e bloccato e lo schienale del vostro sedile sia in posizione verticale. Raccomandiamo inoltre di spegnere gli apparecchi elettronici.» Alzo la tendina del mio finestrino e una forte luce quasi mi acceca. Ho dormito per tutto il viaggio! Non ho letto una pagina di libro né visto nemmeno uno dei film che mi ero ripromessa di vedere. Cominciamo bene! Mi siedo composta, sistemo il sedile in posizione eretta e allaccio la cintura. Avverto una strana sensazione allo stomaco, non solo per via della discesa ma soprattutto per la paura di non sapere che cosa mi aspetta. Sto ricominciando tutto daccapo, e sono terrorizzata. Sto andando in un posto sconosciuto, con gente sconosciuta, avrò un nuovo lavoro, nuovi colleghi e nuovi capi. L’unica cosa che so è che qualcuno, mandato dalla C&P, verrà a prendermi in aeroporto e mi accompagnerà fino all’appartamento che dividerò con Émile Toureaux, la dottoressa a cui dovrò fare riferimento per ogni evenienza. Il colpo violento delle ruote dell’aereo che toccano l’asfalto della pista di atterraggio pone fine alle mie elucubrazioni, e la voce della hostess mi riporta alla realtà. «Benvenuti a Nizza. Sono le ore undici e venticinque minuti ora locale; la temperatura a terra è di ventitré gradi, il cielo è sereno. Vi auguriamo un buon soggiorno, vi ringraziamo per aver scelto di viaggiare con la nostra compagnia e speriamo di potervi ospitare ancora a bordo dei nostri aerei. Grazie e arrivederci.»


Come un automa sbrigo le pratiche burocratiche, prelevo il mio abbondante bagaglio e mi dirigo verso l’uscita, dove trovo un autista con un cartello in mano con il mio nome stampato sopra. Gli sorrido e lo saluto porgendogli la mano. «Ben arrivata, mademoiselle. Spero che il viaggio non sia stato eccessivamente stancante. Mi permetta di portarle le valigie. Prego, mi segua.» Non mi lascia nemmeno il tempo di controbattere, si dirige verso una Mégane Scénic bianca e infila tutta la mia roba nel bagagliaio. Mi apre la portiera e con molto garbo mi fa cenno di accomodarmi. Guardo fuori dal finestrino e mi godo il viaggio dall’aeroporto di Nizza a Grasse, un vero tripudio di campi fioriti e di infinite distese color viola. Chiedo all’autista di rallentare, abbasso il finestrino e permetto all’odore della lavanda d’inebriarmi i sensi. Questo profumo mi arriva al cervello. È una sensazione mai provata, fortissima. I colori sono così vividi che sembra di essere in un quadro impressionista, e io vengo rapita da una specie di sindrome di Stendhal. In men che non si dica arriviamo a scorgere l’antico borgo di Grasse che si arrocca sulle pendici di una collina, con il campanile della cattedrale di Notre Dame du Puy che svetta alto. Grasse sembra un presepio, dove ogni tinta e ogni pietra sono bilanciati in un’armonia di perfezione assoluta. Ci addentriamo nella parte vecchia, in un intrico di vicoli suggestivi; la macchina si ferma davanti a un villino in stile antico, su due piani, color terra di Siena, decorato agli angoli con mattoni di terracotta per tutta l’altezza. Favoloso! Non faccio in tempo a emozionarmi per la mia nuova abitazione che si spalanca la porta e ne esce una rossa dall’aria frizzante che fa un cenno di saluto all’autista. Mi viene incontro con un ampio sorriso amichevole. «Ciao, Juliette, io sono Émile. Sarai stremata dal viaggio. Vieni, entra in casa, ti preparo una bibita fresca mentre Jilles scarica i tuoi bagagli.» Émile è come un tornado, sprizza energia da tutti i pori. L’esatto opposto di me. Quegli stronzi dei miei amici mi prendono in giro per la mia flemma e la mia aria giuliva, tanto che mi chiamano la Gioconda. Sorridendo, mi lascio trascinare all’interno e trovo un ambiente colorato, caldo, accogliente. Le pareti della sala sono spugnate di terra di Siena e oro e i soffitti sono


di mattoni e travi di legno; il mobilio, semplice ma curato, ovviamente è in stile provenzale. Tutto molto elegante. «Ecco, siediti qui, cara, vado a farti un tè verde. Ti piace o preferisci un succo d’ananas? Non ho molta scelta, aspettavo il tuo arrivo per fare la spesa, anche a seconda dei tuoi gusti.» «Il succo d’ananas è perfetto. Sei molto gentile.» «Oh, via, Juliette, con me fare complimenti. Vivremo insieme, almeno per il primo periodo; poi, se vorrai, potrai cercarti una casa per conto tuo. Ma finché starai qui saremo come sorelle! Coraggio, abbracciami!» Tanta esuberanza, a cui non sono abituata, mi paralizza, e non so come reagire, ma ubbidisco. La abbraccio, quasi con timore e un po’ vergogna. «Juliette, mi sembra di abbracciare un cadavere con il rigor mortis. Dai, per bene, così…» Oddio, tempo una settimana e questa fa di me la sua brutta copia, penso. Émile comincia subito a raccontarmi di come mi troverò bene lì, delle magnifiche persone che deve assolutamente farmi conoscere, dei bistrot migliori in cui andare a fare la pausa pranzo, del supermercato più economico e quello più caro, con i prodotti più esclusivi. Mi descrive le boutique più alla moda, griffate e non, mi parla dei mercatini, delle bancarelle assolutamente da spulciare e di quelle da evitare come la peste. Mi elenca una lista di donne che, a suo avviso, non dovrei mai conoscere perché sono logorroiche – ma guarda un po’, fanno a gara con lei? – o poco serie. E poi ultimi, ma non meno importanti… gli uomini! A suo dire, Grasse pullula di bellissimi, sensualissimi, focosissimi maschi da esposizione. Nemmeno fossero delle opere d’arte da ammirare. La lascio parlare e lei, scambiando il mio silenzio per interesse, continua a parlare a macchinetta. «Dovresti vedere Luc: non ha molti soldi, ma è un tronco di pino, con tutti gli attributi al posto giusto. È un costruttore edile, e delizia noi donne della C&P durante la pausa pranzo, proprio di fronte al bistrot dove mangiamo. Ogni giorno ci appare senza maglietta, il sudore che gli imperla la pelle su quei muscoli scolpiti… è un insieme di erotismo e forza fisica.» Santo Dio, ma questa è assatanata!


«E poi c’è Sebastian. Oh, lui non puoi proprio perdertelo! È un angelo, con quei capelli biondi, mossi, che gli arrivano alle spalle, gli occhi celesti magnetici… Sembra un surfer californiano, hai presente? È un agente finanziario. Però sta’ attenta perché, con quello sguardo, ti convince a investire fino all’ultimo spicciolo. Ah, e non dimentichiamoci di Stephan… be’, è il sogno di ogni donna! È il ginecologo dell’ospedale e, chissà come mai, tutte le signore di Grasse necessitano di visite di routine con una frequenza da Guinnes dei primati.» Io la ascolto rapita, in fondo mi sto divertendo a scoprire questi piccoli dettagli del mio nuovo posto; mi sembra di conoscere già qualcuno, grazie alla grande capacità descrittiva di Émile. E quando inizio ad apprezzare i suoi racconti, arriva la domanda fatale, quella alla quale ti prepari una risposta da giorni ma non ne trovi una. «Ma dimmi di te, Juliette. Sei di New York, mi hanno detto. Come mai questa decisione di venire a Grasse? Insomma… New York! Chi farebbe mai un cambio simile?» Mi torco le mani nervosamente. «Io lo farei, e infatti sono qui!» squittisco, lievemente impacciata. Lei aspetta silenziosa che io prosegua. Ah, non basta? Mi vede che tentenno, che non riesco a riprendere il discorso, così prosegue: «Dio, ci credo che sei venuta via da New York. Come hai fatto a sopravvivere fino a oggi in quella città, con questo carattere? Devi aver vissuto sotto una campana di vetro.» Beccata! «Mio padre è l’ambasciatore francese a New York. Per un periodo ha ricevuto delle minacce di morte, così, in quegli anni i miei genitori hanno ritenuto opportuno darmi un’istruzione a casa, con i migliori insegnanti privati. Ho ottenuto di seguire le lezioni all’università, ma con una guardia del corpo perennemente al seguito. Non so come sia riuscita a conoscere e iniziare a frequentare Adam…»

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