Come ti spaccio il fidanzato di Fabiana Andreozzi & Sara Pratesi
Copyright ©2010 Fabiana Andreozzi e Sara Pratesi Copyright ©2015 Fabiana Andreozzi e Sara Pratesi Love Match Quadrilogia (Vol.1) Illustrazione: Illustrazione/foto-manipolazione/progetto grafico cover by ©Sara Adanay Blog: http://adanayart.blogspot.it/ Pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Sara-Adanay/548891361908348
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Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai. Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento. Gaio Valerio Catullo
A Flavio, che mi ha tenuto compagnia in tutti questi mesi tra calcetti, testate e gomitate. Il romanzo è finito e ora la mamma non vede l’ora di vederti dal vivo! Con amore, Fabiana
A Giacomo,
che è stato il mio primo amore, il mio primo amico e il mio primo amante.
Sara
Indice Note 1 – La mia vita è un disastro 2 – Un uomo da chat 3 – Non c’è due senza tre 4 – Tutto è un appuntamento di lavoro 5 – Senza delicatezza 6 – Scendere di prezzo 7 – Una mezzanotte incandescente 8 – Prove generali 9 – Scoperte in volo 10 – Ritorno alle origini 11 – Casa dolce casa 12 – Il dolce soffrire 13 – Ricordi sopiti 14 – Un mare in burrasca 15 – La quiete dopo la tempesta 16 – Perdere ogni freno 17 – È imperativo archiviare 18 – Come se non fosse successo nulla 19 – Sarà come se non fosse mai successo nulla… 20 – Lezioni d’amore 21 – Non tutte le sorprese riescono col buco 22 – The show must go on 23 – L’organizzazione prima di tutto
24 – Gelosia canaglia 25 – Preparativi matrimoniali 26 – Notte insonne 27 – Il pranzo degli equivoci 28 – Caduta a tappeto…? 29 – Non c’è più un domani 30 – È la fine Epilogo Glossario Toscano Ringraziamenti Biografia
Note Le note nei libri dove c’è anche la mia firma non mancano mai. Mi piace fare un po’ il punto della situazione. Da autore rompente non voglio lasciare che tutto lo spazio se lo prendano solo i protagonisti del romanzo. Scherzo! In realtà mi piace davvero spendere due parole su un altro romanzo che finalmente ha visto conclusa la sua gestazione dopo tanto tanto tempo. E sì, proprio gestazione a tutti gli effetti, io e Sara abbiamo iniziato a scrivere questa quadrilogia anni orsono, ai tempi in cui ci siamo conosciute sempre grazie al galeotto videogioco the Sims, che mi ha fatto conoscere anche l’altra autrice-amica con cui scrivo a quattro mani, Vanessa. Di racconti e romanzi incompiuti ne abbiamo accumulati a iosa, tra quelli scritti e quelli che sono stati girati dalle sapienti mani di Sara. Anzi, per chi fosse interessato a dare una sbirciatina, sul sito dell’Oniric’s production ci sono ancora le nostre storie
video. Dei veri e propri romanzi rosa a sfondo comedy, storico, più contemporaneo, più chick lit… insomma ce n’è per tutti i gusti. La scelta di quale romanzo portare a compimento per la pubblicazione su Amazon non è stata semplice, alla fine sono nostri figli e noi siamo affezionate a tutti. Abbiamo deciso di partire dalla quadrilogia Love Match che ci sembra più in linea con il genere di letture che piacciono in questo periodo. Perché Vittoria e Dylan, con il loro carattere infuocato e incandescente, ci sono entrati nel cuore, i loro battibecchi ci hanno tenute sveglie la notte e speriamo sappiano conquistare anche voi lettori. A scanso d’equivoci vogliamo ricordare che pur essendo una quadrilogia ogni romanzo è autoconclusivo e non sarà necessario leggere il prossimo, a meno che non vogliate farlo perché incuriositi, per scoprire come si evolverà la storia dei nuovi protagonisti. Ora la smetto di cianciare e vi lascio a “Come ti spaccio il fidanzato”, il primo volume della quadrilogia Love Match che, come dice il titolo e il sottotitolo della saga, racconta storie legate ai finti fidanzamenti, finti matrimoni e a tutti i possibili equivoci che possono nascere conditi nella salsa amore-odio che tanto ci elettrizza.
Fabiana
1 La mia vita è un disastro «Ho combinato un disastro, un fottutissimo disastro!» piagnucolo mentre ho voglia di prendere a capocciate la vetrata del salone. Dal trentesimo piano di questo grattacielo, la vita frenetica che imperversa tra le strade, sembra un microcosmo di formiche laboriose. Forse dovrei schiantarmi al suolo e togliermi questo problema in un batter di ciglio. «Sua grazia, la Regina della perfezione, che cosa avrebbe combinato?» chiede la voce divertita di Chloe alle mie spalle.
«Sicuro non puoi aver fatto flop a lavoro…» aggiunge Jenny. Ormai sono anni che le conosco e non ho bisogno di guardarle in viso per distinguere le loro voci. Ci conosciamo dai tempi del college e dopo tanti anni, stranamente, siamo ancora amiche. A volte mi chiedo come possano sopportarmi visto che sono un po’allergica ai legami. Mi volto infastidita dai loro commenti. Il lavoro è sacrosanto, non si tocca e sono sempre impeccabile, sciovinista, perfetta. «Figuriamoci, è la donna del consegna prima della scadenza, della pianificazione, dell’organizzazione pedante, dell’arraffare i miglior clienti, del…» interviene Chloe ridacchiando mentre io la fulmino con lo sguardo e lei si zittisce subito inconcludente. Mi fa strano ascoltarle parlare di me come se io non fossi qui presente. «Non si tratta di lavoro…» biascico risentita. «E allora? Cosa c’è di tanto catastrofico?» «Perché le catastrofi solo a lavoro capitano?» chiedo scettica. Lì per mia fortuna scorre tutto liscio e naturale. Chloe scuote la testa ricciuta. «Vicky e me lo chiedi? Io ho perso il conto dei lavori persi per le mie sbadataggini.» Okay, forse Chloe non è proprio l’interlocutrice perfetta se parliamo di successi professionali. Combina un casino dietro l’altro mentre prepara i suoi manicaretti. Sono una gioia per il palato ma lei, nonostante le attenzioni, resta un rischio ambulante per qualsiasi cucina. Mi volto verso Jenny speranzosa che possa comprendermi, aiutarmi. «Cos’è Jonathan ti perseguita dopo che gli hai dato il benservito?» chiede lei. «Jonathan…» biascico. «Sì quel fusto aitante, moro, occhi azzurri. Quello che ho beccato qui più di una volta… bello come il peccato, lasciava ben poco all’immaginazione quando girava per casa tua.» «Jenny! L’hai scrutato bene!» esclamo scioccata pensando alla mia amica che fa la radiografia alla mia ultima avventura senza senso. «Si lasciava ammirare…» si difende Jenny diventando rossa di colpo.
«Dovrò dirlo a Marc!» le intimo e, se possibile, lei diventa ancora più paonazza balbettando un: «no, ma che c’entra… non ho fatto nulla di male!» «Dovremmo lasciarlo giudicare al tuo futuro marito!» Chloe si intromette con quel sorriso birichino da folletto mentre Jenny si rabbuia e si chiude in se stessa. «Comunque no, non è Jonathan e il suo perfetto fondoschiena il mio disastro» sbuffo. «Ti hanno incastrato in un matrimonio?» Sorride divertita Chloe. Sbianco pensando a quanto sia in qualche modo vicina al tema che mi logora. «Ma se è sola come una scarpa spaiata, chi dovrebbe incastrarla?» «E che ne so, magari si è fatto vivo qualche alieno che vuole sposare miss Perfezione!» Chloe è ormai sdraiata sul divano e non trattiene più le risate. «Ma mi fate parlare?! Ho un problema e non riesco a prendere parte al discorso!» Alzo la voce per farmi ascoltare. «È che quando si parla di sentimenti o legami tocca tirarti fuori le parole con le pinzette. Io non sono un dentista.» Jenny sorride ed io sbuffo lasciandomi scivolare sul divano. «Siete voi che sembrate oche starnazzanti» protesto. «E tu perdi tempo e non vieni al sodo. Si sta facendo notte e mi sta venendo il mal di testa. Odio pure gli enigmi!» continua Chloe. «Mi ha chiamato la mia famiglia…» «Perché ti hanno combinato un matrimonio?» «Ancora?! Lasciatemi finire.» Lancio il mio sguardo assassino nella loro direzione e si ammutiscono all’istante. «Non mi hanno combinato nessun matrimonio… devo solo tornare a casa.» «Ah!» esclamano in coro lanciando un sospiro di sollievo. «Chissà che credevamo che fosse. Ovvio che devi tornare a casa, non ti vedono da un secolo.» Sto perdendo le staffe, di nuovo che tirano le loro conclusioni. Però in effetti non hanno tutti i torti, non vado a trovarli da quasi due anni.
«E non dire che come al solito il lavoro ti impedisce di prenderti una meritata vacanza» comincia Chloe. «Lo sappiamo che sei insostituibile e unica, ma sei anche quella che consegna prima delle scadenze e con pc, e-mail, internet e Skype puoi essere a lavoro pur essendo a Timbuctu.» «Noooo, non ci siamo… non è questo il problema!» strepito. Le mie amiche si fermano e mi osservano con due occhi straniti. «E allora qual è? Sarai anche un caterpillar a lavoro ma quando si tratta dei tuoi diventi un coniglietto.» Sospiro per riprender fiato. Non sono proprio come mi stanno dipingendo loro. Non sono un coniglietto, è che i miei non lasciano spazio per parlare, nessuna manovra di comunicazione. «Devo andare per le nozze d’oro di nonna, neanche più mi ricordavo che si era fatta così anziana. Accidenti!» «Dov’è il problema? Stacchi la spina per una settimana e vai a salutare la nonnina. Sopporti un po’ l’allegra e confusionaria famiglia italiana e poi ritorni qui al tuo sobrio e anonimo appartamento.» «Grazie Jenny!» Amorevole proprio la sua fredda e spietata rappresentazione della mia vita e dei miei cari lontani. Si stringe nelle spalle e mi sorride appena. «Cioè mi stai dicendo che il mio spazio vitale è anonimo? Ma ti rendi conto?» Mi sento punta sul vivo visto che nell’Ideal Life mi occupo di interior design. «Dai Vic, piantala!» si intromette Chloe. «Piantarla? Ha offeso me e la mia professione.» «Sì ma qui si parla di te e del tuo dramma amletico. A me restano pochi minuti e poi devo attaccare a lavoro.» «Sarebbe?» chiede Jenny incuriosita. Eravamo rimaste all’ultimo licenziamento e alla disperazione da disoccupazione. «Mmm niente di che,» risponde evasiva, «giusto qualcosina per tirare avanti in attesa di guadagni migliori.» «Ti vergogni di dirlo alle tue amiche?» indago io. «Non farai la squillo di alto bordo?» chiede Jenny preoccupata.
Chloe scoppia a ridere. «Che fantasia! Allora non racimolerei pochi spicci. Ma basta parlare di me, risolviamo il disastro atomico di miss Perfezione!» Sospiro di nuovo, con tutte le volte che ho aperto bocca per prender fiato avrei potuto sollevare un aerostato. Mi sono persa, non so più dove sono arrivata e cosa devo ancora raccontare. Le mie amiche mi leggono negli occhi. «Vai tranquilla, tanto non hai ancora rivelato nulla!» esclamano all’unisono. «Niente, ecco… in tutti questi anni ho raccontato qualche esagerazione di troppo sulla mia vita privata ma solo per tenerli sereni. Non volevo noie e loro non vogliono sentir ragioni se parlo solo e sempre di lavoro.» «Il lavoro non è tutto!» sospira Jenny. «Come li capisco i tuoi!» «Sì, okay, forse non sono esattamente la figlia tutta peace e love che si aspettavano. Al posto mio, Jenny, tu saresti stata una figlia migliore. Ma non è che siamo fatti tutti con lo stampino ed io ho bisogno di questa vita che mi sono creata qui a New York, la confusione, il frastuono, il traffico, il tran tran quotidiano, i locali notturni, le follie, l’eccitazione del lavoro…» «Sì, la conosciamo bene la tua vita Vic! Vai avanti!» mi interrompe Chloe. «Beh, loro non capiscono questo… alla fine ho dovuto dire che ero felicemente fidanzata e che molto presto mi sarei anche sposata, non appena il lavoro mi avesse dato un po’ di respiro e avrei consolidato la mia promozione.» Ecco l’ho ammesso e mi sento quasi libera di un peso anche se non ho ancora una soluzione. Chloe e Jenny mi guardano con due occhi da pesce palla. Un attimo dopo scoppiano a ridere tenendosi la pancia con le braccia. «Tu felicemente fidanzata e prossima al matrimonio?! Ahahahah! Cos’è una barzelletta? Tu sei allergica a qualsiasi legame troppo stretto oltre che maniacalmente ossessiva e rompiscatole, come vuoi che ti sopporti un fidanzato?» Chloe è partita in quarta e si sta divertendo una cifra a bistrattarmi. Nelle sue parole intravedo solo una profonda conoscenza della mia persona, non posso offendermi. «È proprio questo il problema!» esclamo con voce mesta. D’improvviso si zittiscono e mi osservano preoccupate. «Ho una settimana per inventarmi qualcosa prima di salire sull’aereo…» concludo per enfatizzare il dramma che mi sta inceppando il cervello.
«Una settimana per trovarti qualcuno disposto a fingersi un futuro marito?» chiede Chloe. «Dovrai pagarlo molto bene!» «Sono disposta a sborsare qualsiasi cifra se ci fosse un maschio degno di essere mostrato in famiglia.» «Puoi dire che ti sei lasciata…» comincia Jenny. «Ma sei pazzaaaa!» urlo. «Così mi presenterebbero tutto il vicinato per consolarmi. No, no, piuttosto devo inventarmi qualche scusa per saltare queste nozze…» «Non vorrai spezzare il cuore a tua nonna, poverina!» mi rimprovera Jenny. No, in effetti, povera nonna, lei non merita che io non sia presente al suo matrimonio solo perché sono stolta e stupida. «Potrei dire che è andato in missione in qualche luogo disperso dall’altra parte del globo…» comincio. «Figuriamoci se ti credono… avrai raccontato qualcosa…» si intromette Chloe. «Potresti richiamare Jonathan… uno come lui non ti farà sfigurare e sono sicura che per soldi ti seguirebbe in capo al mondo.» Storco la bocca. Jonathan è un bel ragazzo ma non lo vedo proprio come mio futuro finto consorte. «Non saprei, non abbiamo mai parlato troppo io e lui… Non so neanche che fa nella vita.» È sempre così silenzioso, uno che si dedica più ai fatti che ai discorsi. «Al prossimo che incontri chiedi qualche referenza in più!» ridacchia Chloe. «Non siete per niente d’aiuto! Spremetevi le meningi» le imploro. «Potresti conoscere qualcuno su qualche chat…» comincia Jenny titubante. «Forse potresti cominciare uscendo questa sera e vedendo di incontrare qualcuno da non infilare subito nel letto» prende la parola Chloe. «Ora? Ma no domani ho una serie di riunioni e devo anche finire il planning… non posso uscire.» Sono categorica, prima il dovere poi il piacere e per forza in questo ordine. «Allora non ti resta che chattare…»
Io chattare? Non lo facevo neanche a quindici anni, mai avuto bisogno. «Jenny devi aiutarmi! Tu non hai nulla di cui occuparti, perché non selezioni qualche candidato dopo esserti fatta una chiacchierata? Butti giù un curriculum vitae, organizzi un appuntamento ed io mi presento. Mi fido del tuo lato romantico e del tuo buon gusto.» In fondo sul suo futuro marito non posso eccepire nulla: è serio, assennato, affidabile. Uno come lui potrei presentarlo in casa, sarebbe abbastanza ben assortito con me. «Io? Ma che dico a Marc? Non posso farmi vedere chattare con altri… ma poi che senso ha!» «Dai, dai Jenny, solo tu mi puoi salvare. Girami i curriculum domani a lavoro e ti dico subito con chi fissare appuntamento. Dovrò incastrarli tra la pausa pranzo, il dopo lavoro, cena, dopo cena. Non ho troppo tempo… insomma vorrei procacciarmi il tipo giusto entro venerdì, devo avere il tempo di istruirlo.» Sì, ora mi sento meglio. Vedo tutto chiaro, tutto perfettamente pianificato e organizzato. Ne uscirò viva e indenne.
2 Un uomo da chat
Tic-tac Tic-tac Tic-tac Il suono dei tacchi vertiginosi delle mie Louboutin sul marmo sbiancato, risuonano per tutto l’atrio dove sculture che spruzzano giochi d’acqua e stravaganti forme d’ottone, donano all’ambiente quest’aria chic. Guardo attorno a me le opere di arte moderna che invadono questo spazio dove i clienti arrivano al prestigioso studio in cui sono tanto fiera di lavorare. Un’enorme rampa di scale con gradini in vetro satinato e illuminati da una striscia di led, portano ai piani superiori dove avanzo con un passo lesto.
Sì, lo so. Sono una stakanovista convinta e probabilmente hanno ragione le mie amiche a dirmi che dovrei staccare e prendermi una vacanza. Mare, sole, olio abbronzante e infradito; questa è la ricetta perfetta di relax che la società vuole importi. Per me non c’è niente di meglio dell’odore della matita o del carboncino che passano su un foglio. Sì: carboncino, gomma, squadre, righelli e tacco dodici. Questa è la ricetta del mio benessere, checché si voglia dire. Sono ancora legata ai vecchi sistemi di lavoro carta e penna, ormai tanto retrò, anche se non disdegno la tecnologia avanzata del mio Mac. Trovo che non ci sia niente di più rilassante che vedere crescere su un foglio bianco un progetto. Tra i corridoi illuminati e curati fermenta la vita. C’è agitazione e so già qual è il motivo. Un nuovo progetto per un grattacielo nel cuore di Manhattan che dovrà ospitare uffici di avvocati importanti, ingegneri cervelloni e altre mummie altolocate. Spero che mi venga assegnata la realizzazione degli interni anche di questo mega progetto. La mia sete professionale è insaziabile. Davanti a me Ross, col suo solito bavero inamidato, sorseggia il suo caffè nero con la cravatta stretta attorno al collo, mi domando come faccia a respirare. Anche io porto un cravattino satin quest’oggi, ma è più grazioso e meno strangolante. Lui mi rivolge subito un’occhiata. Mi guardo d’istinto nell’enorme mosaico di specchi che arreda la sala d’attesa e scruto la mia immagine con occhio critico: - Capelli: perfettamente laccati in un elegante chignon gonfio. - Abito: La camicia di organza nera è stirata in modo impeccabile, bloccata dentro la gonna a vita alta che cade morbida fino al ginocchio. - Scarpe: pulite, neanche un alone di sporcizia. - Make-up: impeccabile. Un nude look che risalta i miei occhi scuri e le ciglia folte, il rossetto marsala non è sbavato e il fard salmone non mi fa somigliare a Heidi. Sì, direi che sono più che presentabile. Lo so, sono una paranoica ma se oggi sono così agitata è colpa della mia pittoresca e antiquata famiglia. Non che voglia addossare la colpa delle mie menzogne a mia nonna Delia, adoro quella donna che, in sostanza, mi ha cresciuta nelle colline toscane al confine col Lazio. Peccato che io, per star dietro a tutta questa gigantesca farsa a cui devo porre rapidamente rimedio, abbia passato la notte e la mattinata a frantumarmi il cervello alla ricerca di una
possibile soluzione. Jonathan sarà anche un ottimo rimedio contro il mal d’ormoni, ma non credo sia adatto a ricoprire il ruolo di mio futuro marito, anche se per finta. La mia sicurezza vacilla e spero ardentemente che Ross Bradley, il mio capo, sia di buon’umore e che il progetto che avevo già presentato gli sia piaciuto, così almeno avrò un pensiero in meno e la certezza che quegli uffici a Manhattan avranno la mia firma. Lo guardo e avanzo cercando di ritrovare tutta la spavalderia che mi contraddistingue dalla massa. Lui sorride da orecchio a orecchio e allarga le braccia, per poi cominciare a battere le mani in quel che catalogo come un plauso. «Signorina Becucci, un lavoro impeccabile!» mi loda come arrivo davanti a lui. Il sudore gli gocciola sulla fronte e questo antiestetico problema non mi sorprende; quest’uomo perde più liquidi di un colino. Nonostante abbia solo quarantasei anni, ha già i capelli bianco latte e due piccoli occhi che potrebbero demolire l’autostima a chiunque, se solo volesse. Sorrido soddisfatta, gonfio il petto. Fossi un pavone, avrei già aperto la coda colorata. Ammicco col capo senza smettere di tener le labbra incurvate in un’espressione di gaudio. «Felice che lo abbia trovato appropriato, Signor Bradley» dico reverente. «Chiamami Ross, mia cara. Sei l’architetto più promettente di questo studio.» La sua sviolinata mi lusinga. Che c’è di meglio di sentirsi apprezzate nel proprio lavoro? Niente, neanche un orgasmo. Dietro di lui, Nina e Dylan mi guardano con una nota astiosa, tutta invidia! La verità è che loro per primi vorrebbero ottenere i miei successi ma se ho una marcia in più, non posso farmene una colpa. «Il signor Connor ha approvato il tuo progetto con enorme gioia, ne è rimasto davvero soddisfatto e sai questo che significa?» chiede alzando gli indici sotto al suo mento. «Soldi per la “Ideal Life”» termino per lui, ormai conosco il copione e questa è la frase che Ross ama dire più di tutte le altre.
Dietro Dylan storce il naso e guarda il cielo e Nina fa una smorfia nauseata. Sorrido a entrambi, beccatevi questa. «Farai strada, cara Becucci, puoi scommetterci.» Una pacca sulla spalla e poi lo vedo sparire con Nina a seguito e il caffè nero stretto nella mano destra. «Dylan, ti serve qualcosa? Vuoi complimentarti con me anche tu?» lo punzecchio quando noto che è rimasto impalato a osservarmi, appoggiato alla macchinetta delle bevande calde. «Non fare la spaccona, adesso» mi ammonisce con lo sguardo. Io sorrido derisoria. «Se vuoi puoi portarmi un caffè; macchiato, grazie» lo sbeffeggio avanzando verso il mio ufficio e lui si porta in posizione eretta. «Non sono il tuo sguattero.» Mi volto con la mano sulla maniglia e lo guardo inclinando il capo, in un’aria di finta commiserazione. «Se continua così, potrebbe esser quello il tuo ruolo in futuro.» Non gli dò il tempo di reagire che mi infilo dentro il mio grande studio, non è più quello vecchio. Da quando ho avuto la mia meritata e sudata promozione, ho un ufficio con la vista sulla piazza di Wall Street, un’enorme scrivania in acciaio e vetro temperato, una bellissima tavola da disegno retroilluminato e persino un minibar a cui attingere. Odoro l’aria satura del profumo di pelle bianca della mia poltrona e mi ci siedo, godendomi i miei traguardi. Purtroppo la pace non dura a lungo, ho ottenuto una promozione ma ce ne sono ben altre da ottenere. Non sono al vertice ma intendo arrivarci, eccome! E soprattutto quanto prima! Vorrei potermi permettere il lusso di pensare ai miei guai ma il lavoro chiama. No, mento. Non ho davvero alcuna voglia di pensare alla mia prossima autodistruzione. Ho messo la faccenda in mano a Jenny e sono certa che saprà tirarmi fuori dal cilindro da prestigiatore un finto fidanzato perfetto. Accendo il Mac e aspetto che carichi mentre penso a come dovrebbe essere quest’uomo che, nella fantasia menzognera, dovrebbe sposarmi a breve. Potrei magari inviare un’e-mail a Jenny allegando una tabella dei requisiti richiesti per il ruolo di mio fidanzato. Non vorrei mai si presentasse con uno sbarbatello appena uscito dall’asilo o con un tizio che non sa neanche coniugare un verbo.
Ho sempre avuto un motto: chi fa da sé, fa per tre. Oddio, ne ho anche altri: Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Se vuoi una cosa fatta bene, devi fartela da solo. Questa vena sociopatica non mi è di grande aiuto e forse dovrei affidarmi completamente al giudizio della mia amica. Tamburello le unghie fresche di manicure sul vetro della scrivania e rifletto. No, un’e-mail è il caso di mandarla; meglio essere meticolosi. Peccato che quando guardo lo schermo di Excel, su cui ho già impostato tutti i parametri con maniacale attenzione, mi ritrovo senza aver la minima idea di cosa scrivere. Mi piacciono i mori e questo posso segnarlo. Ma non è poi così rilevante, io non cerco un fidanzato vero, solo un attore. Le informazioni fisiche, tuttavia, non sono poi così difficili da elencare e neanche quelle caratteriali; ma quando arrivo a dover mettere nero su bianco cosa vorrei da una relazione – seppur finta – vado in palla. Cosa diavolo vorrei? Un uomo romantico? Uno socialmente impegnato? Di certo che mi lasci i miei spazi ma neanche troppo o poi sembrerà totalmente disinteressato a me. Okay la libertà, ma nemmeno il menefreghismo. Uno romantico? Un po’ di romanticismo non guasta ma, da brava allergica alla razza umana, non ho tutta queste certezza di esser felice di avere un tizio appiccicoso alle calcagna. È anche vero che non vorrei un uomo che si scordi gli anniversari o le date dei miei più importanti traguardi. Sbuffo e mi butto indietro con la testa massaggiandomi le tempie. È più facile progettare un grattacielo piuttosto che pensare a come dovrebbe essere la mia fantomatica anima gemella. Un po’ perché non credo affatto a queste favolette romantiche e bislacche e un po’ perché mi rifiuto di pensare che ci sia un uomo, là fuori, che ha la chiave del mio cuore. Dai, è una stronzata! Anche il solo pensarla mi provoca una ridarella mista a un senso d’orticaria. Nella mia testa cerco di contare da quant’è che non ho una vera relazione. Di fidanzati ne ho avuto solo uno, quand’ero ancora a Capalbio, in Italia. Ma avevo
anche diciassette anni quando l’ho conosciuto e l’ho mollato senza troppe remore per volare negli USA a studiare architettura a Harvard. «Oddio, mi scoppierà la testa» mi lamento da sola. Poi mi tiro eretta sulla schiena. Cancello tutto, inutile mandare una lista quando non so assolutamente niente delle relazioni vere. Di certo Jenny è più ferrata di me, in quest’argomento almeno. Decido di lasciar perdere, ho altre questioni più importanti a cui pensare; al mio vero amore, al mio vero sposo: il lavoro. Sono così assorta nei miei disegni e nei miei calcoli, sotterrata tra compassi e righelli, che neanche mi rendo conto che fuori il sole è già sceso dietro i grattacieli. Guardo l’ora, sono quasi le nove passate, sono ancora al mio tavolo da disegno. Mi affaccio nell’openspace e praticamente non vola una mosca, sono andati quasi tutti a casa e c’è solo Ross nel suo ufficio, lo sento da qui discutere animatamente al telefono. Le uniche altre persone presenti sono gli addetti alle pulizie che hanno già preso a dare lo straccio per terra. Afferro la borsa e infilo il giacchettino leggero di tela, finirò a casa di pensare a che rifiniture usare per il nuovo centro commerciale. Il mio appartamento è proprio bello, per quanto le mie amiche possano definirlo anonimo. Solo per questo giudizio si può intendere quanto poco s’intendano di raffinatezza ed eleganza. Ha i soffitti alti che hanno reso possibile la creazione di un grazioso soppalco dove c’è il mio studio. Gli arredi sono moderni e minimal. Acciaio, bianco e nero la fanno da padrona e un’enorme vetrata che parte dal pavimento di resina antracite arriva sino al soffitto da cui scendono delle luci decorate con del vetro soffiato trasparente, donano alla casa una splendida luminosità e il camino, in stile urban, dà quel tocco in più. Sì, è bello e le mie amiche non capiscono un’acca. Infilo nel microonde un pasto surgelato pronto, maccheroni al formaggio, e indosso una tuta comoda. Quando torno in cucina la mia cena è pronta e la consumo sul divano con accanto posizionato il mio fedele Mac. Amico e compagno di tanti progetti, adorato intrattenitore per film in streaming quando non prendo sonno e fidato centro di stoccaggio di ogni documento importante. Il telefono squilla e rispondo con ancora un boccone di maccheroni in bocca.
«Brondo?» Per la miseria, questo “pronto” mi è uscito proprio male. «Ti hanno tolto un dente?» La voce delicata di Jenny, la riconosco subito. Faccio una smorfia, anche se lei non può vedermi. «Sto mangiando. Hai trovato qualche affabile maschio degno del ruolo?» «Ne ho selezionato qualcuno, ti ho inviato un’e-mail con i nomi, i profili facebook e i contatti.» «Hai appuntato anche che lavoro fanno? Non vorrei dovermi ritrovare a presentare uno che per vivere si mette sul naso un palloncino rosso.» Rabbrividisco all’immagine, odio i clown. «Ma che t’importa del lavoro?! Potrai inventarlo, no?» mi fa notare ed io sbuffo ancora. «Tu non capisci la gravità della cosa. Se lui frigge patatine in un fast-food e dico che fa il medico…» «Non vedo il problema.» Non mi fa finire e mi irrito. «Aspetta, il problema è che se i miei iniziano a chiedergli consigli medici o vanno più a fondo con domande sulla sua falsa professione, capirebbero subito che sto dicendo una palla. Deve avere cognizione della professione che ipoteticamente dovrà fare» spiego con il mio saccente tono da maestrina e la sento soffiare. Ho bisogno di una sigaretta! «Ma tu non hai mai detto loro che lavoro fa il tuo fidanzato?» «No, non sono mai entrata in dettagli. Tutto ciò che sanno è che si chiama Josh Harper – per il cognome mi sono ispirata a te – che ha ventinove anni e che l’ho conosciuto a teatro.» «Hai usato il mio cognome?» «Ero nel panico quando mi hanno chiesto come si chiamava, ho dovuto improvvisare! Tu sei stata la prima che mi è venuta in mente, per questo Harper. E il secondo a venirmi in mente è stato il mio calzolaio, per questo Josh» parlo a raffica interrompendomi solo per far uscire il fumo. «Tu sei pazza, lo sai?»
«Sì, ma tu devi trovarmi un uomo. In quanto mia amica hai il dovere morale di aiutarmi a tirarmi fuori dalla cosiddetta merda.» «Dai un’occhiata alla lista e vedi se ce n’è almeno uno, cosa che dubito dato i tuoi standard elevati e altezzosi, che ti sembra possa andare bene.» «Sono una persona esigente; e allora?! Sono pretenziosa quando compro un paio di calzini, e quelli li metto ai piedi, figuriamoci se non lo sono quando si tratta di un fidanzato fasullo!» Mi sembra così ovvio. Mica posso presentarmi col primo uomo a caso incontrato per la strada. No?! «Vabbè Miss Perfezione, non voglio sapere quanto sei esigente con l’acquisto di un vibratore.» «Ehi! Io non utilizzo quei marchingegni, preferisco gli uomini» ribatto offesa e lei ride. Tra l’altro quest’uscita hard di Jenny mi spiazza… da quando parla di sesso senza incespicare sulle parole e senza arrossire fino alla punta dei capelli?! «Guarda quella lista.» «Ho già aperto la posta elettronica.» So già che quest’odissea mi farà venire solo un’enorme, fastidiosa, emicrania.
3 Non c’è due senza tre Scorgo la lista infinita di nomi e caratteristiche. Jenny ci si è messa proprio di impegno, sarebbe una segretaria efficiente e perfetta. Non so neanche dove abbia trovato il tempo per chattare con tutta questa gente in contemporanea, a me stanno saltando i neuroni solo per incrociare profili facebook con la lista delle specifiche tecniche. Per la miseria è più facile calcolare un algoritmo a mente. Comincio a scartare a man bassa. Questo è troppo vecchio, l’altro è troppo piccolo. Questo è più basso di me di quasi venti centimetri senza tacco. Cos’è un nano? No, non può andare, nessuno in famiglia crederebbe alla nostra relazione. In fondo
l’unico ex che hanno conosciuto era più alto di me e più piazzato. Se non fosse un nanetto sarebbe stato perfetto, lavora nel campo della finanza. Peccato! Poi gli occhi mi cadono su uno che dalla foto ti manda già in defibrillazione. Questo sembra perfetto. Non sono una ragazza superficiale che bada solo all’aspetto fisico ma anche l’occhio vuole la sua parte e qui non avrebbe da lamentarsi. Cameriere… mmm no, non ci siamo. Come posso avere una love story con un cameriere? Io che sto scalando le vette del successo e della fama. No, non sarebbe credibile. Okay che l’amore è cieco ma io sono ipermetrope, ci vedo pure troppo e non potrei accontentarmi di qualcuno che ha scelto di restare così in basso nella scala sociale. Metto da parte la sua scheda. Non va bene per essere il mio finto fidanzato ma come giro sulle montagne russe deve essere fantastico. Da provare al mio ritorno perché ora sono troppo incasinata per dargli spago. Alle due ho le tempie che mi scoppiano per il feroce mal di testa e sono rimasta senza uomini da scartabellare. Accidenti non è possibile che, dopo tanto lavoro di Jenny, non sia riuscita a trovare almeno un paio di individui decenti. Ho aspettative troppo alte. Spulcio di nuovo le foto e i profili, forse qualcuno posso salvarlo. L’occhio mi cade su Matt, imprenditore, trentatré anni. È un po’ sovrappeso per i miei gusti ma cerebralmente parlando potrebbe andare. Okay, riesumiamolo tra i papabili. Trovo anche un certo John laureato a Yale con il massimo dei voti in meccanica quantistica. Ha due occhiali che sembrano fondi di bottiglia, segno che è uno studioso incallito. Non ha ancora compiuto trent’anni eppure ne dimostra cinquanta. Quelli del telefilm The Big Bang Theory appaiono meno inquietati, in confronto a lui sono dei bronzi di Riace. Mi vedo costretta comunque a rimetterlo in gioco per via del suo quoziente intellettivo. I miei non mi hanno mai cresciuta con un’indole superficiale, mi hanno sempre consigliato di sviluppare le mie doti intellettuali. Matt lo piazzo in pausa pranzo. John un aperitivo fine lavoro… me ne manca un altro con cui andare a cena. Ma in mezzo a tutti questi fogli non trovo nessun altro che sia quantomeno passabile. A quanto vedo “non c’è due senza tre” non vale per la ricerca del fidanzato. Scrivo al volo a entrambi, dopo aver riletto più volte e cancellato altre mille.
Vittoria Becucci
11:27
Gentilissimo Matt, fisserei il nostro incontro domani per l’ora di pranzo, mi spiace del poco preavviso ma purtroppo urgenti questioni di lavoro mi impediscono di trovare momenti più consoni in altre giornate. Avremmo più o meno un’oretta per il nostro colloquio. Attendo quanto prima una sua risposta, sperando sia positiva, per concordare l’orario e fornirle le coordinate. Saluti, Vittoria Becucci.
Okay ci sta, seria, concisa, professionale. Non voglio dare l’idea della sciacquetta ma di una che sa come dirigere la propria vita in canali sicuri e che non perde tempo in chiacchiere. Quella di John, per fortuna, non è altro che un copia incolla della prima. Eccezion fatta che ho suggerito un aperitivo, per l’ovvia questione che non ho il dono dell’ubiquità, capacità che ora mi farebbe parecchio comodo. Finalmente posso andare a letto soddisfatta di me stessa. È stata una giornata proficua in tutti i sensi.
***
Quando mi alzo prima del suono della sveglia, sto già a mille. Guardo l’agenda sul mio iPhone, fitta di impegni che richiedono una precisione che spacca il secondo. Non avrò un attimo di tempo per pensare al mio colloquio con Matt. Noto con piacere che l’imprenditore mi ha già risposto positivamente e anche a tarda notte. Segno che è una persona che si dà parecchio da fare con il lavoro, sarà come me. Rispondo subito: ore 13,30 da Alvaro. Adoro quel ristorantino in stile italiano, anche se il cibo non è commestibile e la pizza assomiglia a un chewing gum sormontato da ketchup. Mi preparo con cura quasi maniacale. Voglio apparire perfetta, sistemata, ma anche casual e… e basta o farò tardi. Il vestitino nero mi riveste come una seconda pelle sottolineando le mie curve al punto giusto. Tacco alto per slanciare la mia figura. Un po’ di colore in viso che tutto questo nero mi fa somigliare a Morticia
Addams. E poi eccomi qui, prontissima per il mio nuovo splendido giorno di lavoro dove riuscirò a mettere fine anche ai miei finti problemi sentimentali. Il mio cellulare vibra di nuovo: Matt ha confermato, John chiede coordinate dell’appuntamento, il capo vuole subito il documento con prodotti e costi, Dylan scrive che sono in ritardo perché lui è già arrivato in ufficio. Chi gliela dà tutta questa strafottenza? Non lo so! Dovrebbe abbassare le penne di tanto in tanto altrimenti lo schiavizzo, in fondo sono sempre il suo superiore e che gli piaccia o meno è costretto a lavorare gomito a gomito con me se non vuole essere licenziato. Mi infilo in un taxi mentre acida gli rispondo di farmi trovare un caffè corto, striminzito, espresso, praticamente un dito, forte, nero che odori di caffè italiano e non mi propini di nuovo la solita brodaglia di Starbucks. Ho bisogno di caffeina al 100% per carburare. Spero che non osi replicare con qualche sua battutaccia perché oggi non sono in vena di reggerlo, mi arriva un nuovo messaggio. Giuro che lo uccido, oggi lo riduco in polpette e lo costringo a lavorare fino a mezzanotte sul progetto di restauro per la galleria d’arte dei Finley facendogli calcolare tutte le possibili oscillazioni e variazioni di luci di qualsiasi angolo dell’edificio. Ops, non è lui. Jonathan. Sono giorni, o forse settimane, che non lo vedo. A essere sincera non lo ricordo perché non abbiamo parlato mai troppo io e lui.
Jonathan Ceniamo insieme?
07:38
Perché no? Facciamo al solito locale per le 20?
07:39
Ne approfitterò per dare una possibilità anche a Jonathan, in fondo a letto facciamo scintille. Così ho rimediato anche il terzo candidato e magari dopo ci scapperà anche il dopo cena.
Jonathan Ok.
07:39
Ecco perché mi dà il nervoso, è loquace quanto un pesce. Stringato che sembra stia pagando ogni carattere del messaggio. Un uomo così neanche per finto fidanzato mi piacerebbe, insomma potrebbe mostrare un po’ di entusiasmo visto che ho accettato. Il taxi mi lascia davanti al mio lavoro, il mio sogno di sempre. Non ci credo che persone alla mia età non siano soddisfatte della propria vita o che non abbiano saputo raggiungere gli obiettivi importanti. Io a ventisei anni sono proprio felice, importante ma non arrivata. Ho tanta fantasia da riuscire a immaginare mille altri traguardi lavorativi da raggiungere. Quando varco il mio ufficio pronta a dare l’ultima letta al documento da inviare al capo, mi accorgo che c’è il solito Starbucks del cavolo che mi osserva anonimo e inodore. «Dylan!» grido mentre mi lancio verso la porta da cui posso scorgere meglio la sua scrivania. «Sì!» Alza il viso con quella finta aria innocente che mi fa venire una voglia pazza di mollargli un pizzone in pieno viso. «Non ho chiesto questa brodaglia, ma un vero caffè.» «Non mi è pervenuto nulla, probabile ti sia dimenticata di inoltrare il messaggio.» Sorride divertito. «Sai com’è, il multitasking è una bella fregatura.» «Sicuro lo è per te, uomo dal cervello piccolo e ristretto» gli intimo indispettita mentre cerco nell’archivio dei messaggi inviati la mia risposta. Non ce ne sarebbe
bisogno, so che il mio multitasking funziona a meraviglia. «Sono mesi che faccio presente che questo non è caffè ma sbobba, dovresti aver capito l’antifona ma invece, essendo un uomo, non sei mai in grado di fare due più due.» «Ti sono arrivate le tue cose Vic? Sei più isterica del solito» replica e si solleva in tutto il suo metro e novanta sovrastandomi. Lo odio, lo odio. Okay, l’ho già detto, ma mi fa innervosire perché ha sempre la risposta sbagliata su quella maledetta boccaccia. «Certi lavori dovrebbero lasciarli agli uomini, voi donne siete troppo umorali.» Non mi sfugge il riferimento alla mia promozione. «Voi uomini ragionate col cazzo, per questo perdete le occasioni.» Il volto di Dylan è paonazzo. «Senti chi parla, Miss Perfezione e Santità! Come se non sapessero tutti come sei arrivata dove sei.» Stavolta sono io a diventare rossa come un peperone per la vergogna e l’umiliazione. Cioè solo perché sono giovane e ho fatto carriera in fretta vuol dire che mi svendo? Questo si può dire di qualcun'altra ma non certo di me. Io ho un cervello che funziona perfettamente e non ho bisogno di certi mezzucci per ottenere una promozione. «A te brucia ancora che io abbia preso la tua poltrona, infame!» Lo spintono arrabbiata contro il muro ma Dylan resta immobile come una statua di marmo. «Io non ho bisogno di questi mezzi squallidi perché ho un cervello che funziona meglio del tuo. Più giovane e allenato. Io sono migliore di te. È inutile che getti fango sulla mia persona.» «Io, io… sei una pazza egocentrica ma presto si renderanno conto di chi hanno promosso.» Sto per replicare quando Ross entra nella sala e ci fissa divertito. «Sempre fuoco e fiamme voi due! È stata una mossa geniale affiancarvi nei progetti. Dateci dentro con il lavoro. Voglio la stessa grinta.» Annuisco e la bocca è così asciutta che non riesco ad articolare una parola di senso compiuto. Dylan sta per replicare e non voglio neppure sapere cosa potrebbe tirar fuori quella sua linguaccia malefica. Lo agguanto per la cravatta, trascinandolo per la stanza. «Non sono il tuo cagnolino!» strepita.
«Se lo fossi saresti più compiacente e silenzioso» lo punzecchio mentre chiudo la porta alle sue spalle. «Ora zitto e mettiti all’opera che i tuoi vecchi neuroni lavorano a velocità ridotta rispetto ai miei.» Indico una serie di scartoffie sulla scrivania. «Sono da controllare i preventivi, ricontattare i fornitori e preparare delle sintesi su Power Point.» «E perché guardi me? Io sto lavorando al progetto di Russel… non ho tempo per le tue cosette. Invece di limarti le unghie e intonare scarpe, vestito e rossetto pensa ai tuoi progetti. Il capo si stancherà di te presto.» Cioè io avrei una relazione con Ross? Ma stiamo scherzando? Mi starei vendendo a uno così per ottenere un lavoro di prestigio che il mio QI può tranquillamente fornirmi? Ma è impazzito? Lo sguardo che gli lancio deve essere perplesso perché mi fissa senza capire. «Tu sei folle!» grido. «Io con quello non ci andrei neppure se fosse l’ultimo uomo sulla terra. Sei un cavernicolo se pensi che tutte le donne abbiano bisogno di spalancare le cosce per farsi strada.» Quel suo sorrisetto è talmente fastidioso che ho voglia di strangolarlo. Lo afferro di nuovo, stavolta per il colletto della camicia. «Non mi interessano i tuoi progetti e i tuoi squallidi pensieri. Il settanta percento del tuo impegno lavorativo consiste nel darmi supporto. Per cui da oggi si cambia registro, bello! Voglio tutto pronto sulla mia scrivania per l’ora di pranzo.» «Per l’ora di pranzo? Ma sei matta? Mancano tre ore… e poi ho le mie scadenze…» «Comincia a mettere in moto i neuroni che ti restano, Dylan. Ho smesso di essere la cretina compiacente. Da domani voglio anche il mio caffè nero italiano. Rientrerà nelle tue mansioni.» «Non sono uno schiavo, Vittoria! Non puoi pretendere che perda mezz’ora della mia giornata lavorativa per procurarti un caffè italiano.» «E invece sì, lo pretendo eccome! Recupererai la tua mezz’ora a fine giornata restando di più in ufficio. Se non ti piace tutto questo, puoi anche cambiare azienda. Hai sempre detto che vanti un curriculum di tutto rispetto.» Dylan mi fissa con uno sguardo assassino ma non mi lascio intimidire. Questo è un tratto ereditato in famiglia, mai mostrare paura anche se te la stai facendo sotto.
Afferra il plico mostruoso di carte e si avvia verso la porta biascicando uno “stronza” a denti stretti. Prima che si chiuda l’uscio alle spalle aggiungo: «Voglio essere buona… ti posso concedere fino al rientro dalla pausa pranzo, tanto non avrò modo di controllarli prima.» «Sei un’arpia!» Quando se ne va, tiro un sospiro di sollievo e mi lascio andare rilassata sullo schienale della mia comodissima poltrona. Gliela farò pagare, una a una, per tutte quelle malignità che ha pensato su di me, dovesse essere l’ultima azione che compio. Mi immergo nelle mie scartoffie ritrovando la calma perduta. I numeri e le linee che combaciano alla perfezione mi rendono serena, li sento prevedibili, comprensibili. No come tanti essere umani di sesso maschile che pensano solo sconcezze, cattiverie, bassezze e non sai mai che pesci prendere. Inoltro la relazione al capo e mi immergo in altro, fino a quando il cellulare non mi avvisa che l’appuntamento a pranzo è ormai giunto. Per la miseria sono in ritardo. Afferro giacca e borsetta e mi lancio nell’ascensore travolgendo più di qualche collega. Arrivo nel ristorante che la milza mi duole e con dieci minuti di ritardo. Io non sono mai in ritardo, odio persino i ritardatari ma da qui si evince come dia poco peso al mio finto fidanzamento. A un appuntamento di lavoro sarei arrivata in anticipo su tutti i presenti. Scorgo Matt nella folla del locale, è impossibile non riconoscerlo, anzi dal vivo la sua mole è più impressionante che dalla foto. Sarà ingrassato in una notte o avrà messo un’immagine preistorica? Pazienza la presenza non è tutto. «Matt Hasfton?» chiedo tanto per rompere il ghiaccio mentre mi avvicino al tavolino. «Vittoria Becucci?» risponde lui di rimando squadrandomi dalla cima dei capelli alla punta delle scarpe. Annuisco e mi siedo di fronte a lui ordinando al volo un’insalata Cesar e una diet coke. Lo ammetto sono un po’ fissata con la linea ma mi ci sono voluti un po’ di anni per uccidere il grasso di vino e prosciutti accumulati sulle mie cosce mentre vivevo in Toscana. «Un bel bocconcino!»
«Mi scusi?» Devo aver sentito male, non mi è piaciuta la battuta e senza rendermene conto mi trovo a mettere un po’ di distanza nella conversazione. «Sì, dicevo che sei un vero schianto, da urlo!» insiste lui per niente preoccupato del mio tono quasi oltraggiato. Non che non possa essere considerata uno schianto, ma insomma questo tizio nemmeno mi conosce e mi guarda come se mi stesse radiografando. Vogliamo parlare del tono?! No, no, non ci siamo. C’è modo e modo di farmi un complimento e questo ha scelto quello sbagliato. Io poi amo essere adulata per la mia arguzia, non per un paio di tette e per lunghe gambe chilometriche. Apro l’agenda e segno sotto a contro: sguardo da maniaco, tono da borgataro. Mi sembra di essere tornata in Italia. Forse questo tipo ha origini nel Bel Paese. «Allora Matt di cosa si occupa? Dal profilo ho letto che fa l’imprenditore ma non ho ben capito che tipo di azienda ha.» Sono in ballo tanto vale continuare a intervistare il candidato. «Vic, posso chiamarti Vic?» Pare brutto se gli faccio notare che già mi ci sta chiamando? Che sta distruggendo i miei sforzi di mantenere una conversazione sul piano affaristico con un dovuto lei? Mi ritrovo ad annuire più che per cortesia, per dargli modo di sbrigarsi. La mia pausa pranzo si assottiglia paurosamente. «Vic sono molto contento di vederti interessata ai miei affari. Mi piacciono le donne intraprendenti e sicure… sì, di bell’aspetto ma anche menti brillanti.» Sorrido compiaciuta. Apro il taccuino per segnarci questo complimento. Devo aver avuto un giudizio troppo affrettato. Me lo diceva sempre nonna di non badare troppo alle apparenze, che non è l’abito a fare il monaco. Mi rilasso sulla sedia e lo invito a proseguire mentre con delicatezza addento la prima foglia di lattuga dal piatto che il cameriere mi ha appena servito. «Ho pensato parecchio al tipo di business. Volevo qualcosa che resistesse alla crisi per investire dei soldi sicuri.» Sorrido ancora. «Hai scelto l’informatica?» Ormai è risaputo che questo è il campo del futuro.
Lui ridacchia divertito mentre scuote quel testone enorme. «Sapevo che l’avresti detto» «Allora la ristorazione? In fondo nonostante la crisi tutti continuano a mangiar fuori.» Non mi arrendo voglio indovinare a tutti i costi. Sono una mente brillante devo arrivarci. La sua stazza poi è un chiaro indice che devo esserci vicina. Matt è ancora più divertito. «Ci avevo pensato ma devo tenermi lontano dalle tentazioni.» Si tocca la pancia che somiglia a un budino. Mastico un altro boccone mentre la mente lavora a mille per pensare ad altro. Lui tutto contento del mio fiasco mi guarda e sgancia la bomba nucleare: «Il sesso è il futuro, qualcosa che fanno tutti e non declina mai. Ho messo su un’azienda di gadget sessuali, vibratori, afrodisiaci. Ne abbiamo di tutti i tipi e tutte le maniere.» Per poco non mi strozzo con il boccone di pollo, immaginando babbo e mamma a cui dovrei presentare Matt. Dovrei spiegare anche a nonna e nonno che cos’è un vibratore… Non che la mia famiglia sia di vedute ristrette ma un business del sesso lo prenderebbero come un giro di prostituzione o peggio ancora. Avvampo a pensare a cosa potrebbero chiedermi i miei fratelli, su come potrei usare questi oggettini… «Interessante…» biascico. Ma quando lui apre la ventiquattrore e mi mette fra le mani un mini vibratore tascabile scappo via senza preoccuparmi di salutarlo, pagare il conto o dirgli addio per sempre. Lo sento gridarmi dietro: «Vic! È un nuovo modello da testare per le occasioni mondane. Tipo una cena un po’ osé al ristorante, un…» La sua voce da maniaco si perde nella confusione del traffico di New York. Io amo questa città in cui confondermi nella moltitudine di gente, sparendo dalla vista di un pazzo. Salgo sul taxi al volo. Non ho intenzione di correre per un isolato per tornare in ufficio. Una volta seduta comoda, osservo l’oggetto incriminato fra le mie mani. Scuoto la testa divertita, tutte a me capitano. Mai usata una roba simile ma non so come sbarazzarmene quindi lo butto nella borsa senza pensarci più. L’ufficio mi aspetta insieme alle mie amate scartoffie. Mi resta solo la speranza che gli incontri successivi siano migliori.
4
Tutto è un appuntamento di lavoro Sono certa, sono assolutamente sicura, di aver fatto meno fatica a ottenere il lavoro da “Ideal Life”. Molta meno fatica di quanta non ne stia facendo adesso, che devo solo assoldare un fidanzato fasullo. Già il pranzo è andato male e la prospettiva che quest’aperitivo possa convergere in risultati più soddisfacenti mi appare un fatuo miraggio. Continuo a guardare l’orologio, sono le 18,05, inizio ad avvertire il pressante senso di colpa per non essere in ufficio a occuparmi dei materiali per le rifiniture ai bagni di quel dannato centro commerciale. Mentalmente maledico di aver deciso di accettare di rientrare in Italia, chi me l’ha fatto fare?! Non avevo già abbastanza progetti da portare a termine senza aggiungere alla lista questa seccatura? Il sorriso di mia nonna mi torna in mente, altro senso di colpa. Okay, dovrò tornare a Capalbio – lo devo alla mia adorata nonnina – con quest’uomo che spaccerò per il mio futuro consorte. La sola idea di potermi sposare stride nella mia mente, è ridicola! Continuo a martellare le dita sul ripiano di legno appiccicoso del bancone, di tale John ancora nessuna traccia. Detesto i ritardatari e quest’uomo sta già segnando punti nella tabella dei contro. Afferro il bloc-notes e la matita e mi prendo un appunto: ritardatario. Nell’attesa controllo le e-mail sul cellulare. Oh, finalmente Dylan si è degnato di inviarmi la tabella dei costi per le rifiniture. La apro pronta a scrutare ogni cifra ma l’allegato manca all’appello. Dove diavolo sono i miei conti? Il mio file Excel? Agguanto rabbiosa il cellulare e compongo il numero di Dylan, ormai lo conosco a memoria per mia sventura. …Tu… …Tu… …Tu… «Che cosa vuoi Vic?» esordisce con il solito tono indisponente e la rabbia accresce inesorabile.
«L’allegato dell’e-mail dei costi delle rifiniture» spiego scandendo bene le parole come si fa con chi è incapace di intendere. «Non c’è il file allegato.» Dall’altra parte arriva solo il suono del suo respiro, starà ricontrollando l’e-mail, come vederlo! «Te lo rinvio.» «Dylan, possibile che non mi possa affidare a te neanche per faccende tanto semplici e basilari?!» ringhio contro la cornetta, mi sento accaldata e il barman mi guarda con un’aria stralunata. «Invece di star lì imbambolato a farsi gli affari miei, mi prepari un Cosmopolitan» sibilo in sua direzione tappando con la mano il microfono del telefono, resto a fissarlo in cagnesco mentre il ragazzo trotta a prepararmi il cocktail. «Sei un pessimo dipendente! Neanche un’e-mail sai mandare» tuono ancora tornando a rivolgermi all’incompetente Dylan. «Vic, mi stai stancando! Io non sono un segretario, sono un architetto» ribatte. «Sì, un architetto a me sottoposto.» «Hai la tua preziosa e-mail con allegato, non rompermi più le palle ora!» Cosa?! Ma come si permette? «Vittoria Becucci?» Una voce alle mie spalle mi fa voltare, ma solo per un nanosecondo, giusto il tempo di vedere chi sia lo scocciatore e tornare a imprecare contro Dylan. Almeno John è arrivato! Alzo un dito verso di lui pregandolo di attendere e torno a parlare. «Non usare quel tono con me, hai capito?» «Mi scusi Vostra Grazia. La missiva è inviata e chiedo congedo.» «Non ho alcuna intenzione di dartelo finché non mi avrai chiesto scusa.» «Dovrà nevicare all’inferno» proferisce e poi mette giù. Resto imbambolata lì con in mano il mio smartphone a guardare il display che si è appena spento. Mi ha davvero riattaccato in faccia?! Questa è la cafonata che più odio al mondo, razza di maleducato!
«Vittoria?» insiste tale John e cerco di tornare in me. Questo alterco proprio non ci voleva, mi ha reso ancora più velenosa. Alzo il capo e tendo la mano. «Proprio io.» Stringo la sua che è piuttosto piccola per la sua corporatura. Non mi piace questo dettaglio, gli uomini dovrebbero avere mani grandi per farmi sentire protetta, anche se so difendermi benissimo da sola. «Piacere, John Müller.» «Accomodiamoci a quel tavolo.» Prendo il Cosmopolitan e faccio strada verso un tavolinetto ben illuminato a due posti, un po’ fuori dalla cicaleccio della gente. Ho bisogno di calma. Forse avrei dovuto tenere questi colloqui in un ufficio, mi sarei senz’altro sentita più a mio agio. «Allora, John, hai una laura in meccanica quantistica. Un lavoro impegnativo.» Lui sorride e noto che ha gli incisivi troppo pronunciati. Sistema quelle grosse lenti sul naso e poi mi balbetta qualcosa. No, pure la balbuzie no! Appunto anche questo. Mentre parla di roba noiosa, su cui ammetto di non capire un’acca, prendo i miei soliti appunti. Inforco pure i miei occhiali per darmi un tono. «Quindi, che lavoro fai adesso?» domando guardandolo al di sopra delle lenti. «Oh, non lavoro al momento. Mi sono preso un anno sabbatico» mi rivela. Resto a bocca schiusa a guardarlo, questa risposta mi sorprende. Oltretutto non capisco come si possa desiderare di prendersi una pausa dal lavoro. Il lavoro è ciò che dà linfa vitale e lui se ne libera per più di una settimana?! «Come mai questa bizzarra decisione?» «Voglia di staccare per potermi dedicare all’altro mio progetto» dice con una certa fierezza. Questa sua uscita mi rasserena. Probabilmente deve occuparsi di qualche piano più importante; magari una seconda laurea, la stesura di un libro o chissà cos’altro.
«E in che consiste questo progetto?» «Un modo per fare davvero il lavoro che amo, devo concentrarmi su questo e la meccanica quantistica mi ruba troppo tempo.» Annoto anche questo: ambizioni varie. «Bene, come già ti avrà detto Jenny, ho bisogno di un uomo che mi accompagni in Italia, sono disposta a prendere carico di ogni spesa, ovviamente. Credi che potrai riuscire a fingere un sentimento per me?» «Non sono abituato con le donne ma credo che potrò calarmi nel ruolo senza troppi problemi» balbetta sporgendosi verso di me e mi allontano mettendo una mano sotto al naso. Soffre pure di alitosi? «Solo una cosa: avete a casa in Italia una console di gioco e una rete Wi-Fi a fibra ottica?» «Come?» sbatto le palpebre confusa. A che gli serve tutta questa tecnologia?! «Sì, sai: Playstation 4, Xbox, Nintendo.» Resto sbigottita a guardarlo e sorseggio il mio drink. «Non ne ho idea, perché?» «Perché non voglio perdere giorni preziosi per il mio progetto» risponde con ovvietà, peccato che per me non sia affatto ovvio. Playstation per un progetto professionale?! Come dire che mi servono gli sci per andare nel deserto. «E in che modo le console sono collegate al tuo progetto?!» «Le console mi servono per allenarmi e per intrattenermi poi mi porterò il pc con connessione veloce per il semplice motivo che voglio diventare un game-player stipendiato per giocare a Word of Warcraft.» Resto immobile come uno stoccafisso, incollata alla sedia, lo guardo inanimata. «Tutto bene?» mi sventola una mano sulla faccia e riaccendo il cervello. Segno anche questo. «Ti farò sapere.» Mi alzo, afferro la mia giacca e le mie cose e incedo verso l’uscita. Lui mi guarda confuso, me lo lascio alle spalle senza alcuna pietà. No, non potrà essere lui il tipo che si fingerà il mio fidanzato.
Riguardo la tabella che mi sono appuntata sul foglio bianco:
PRO
CONTRO Ritardatario Aspetto estetico
Laureato a Yale QI alto Ambizioni varie
Mani piccole Balbuziente Alitosi Fanatico dei videogames Progetti futuri futili (W.O.W.)
Depennato senza remore! Adios John Müller.
***
L’aspetto positivo di Jonathan, oltre a essere più bello della media della popolazione statunitense, è la puntualità. Qualità che apprezzo molto, se non si fosse capito. Alle otto siamo già al Café Select a Lafayette Street nel quartiere di Soho. Mi sono messa in tiro questa sera: un tubino nero aderente che mi fascia fino al ginocchio, un paio di sandali con degli Swarovski sui lacci legati attorno alla caviglia sottile, il tutto rifinito da una splendida collana di perle. I capelli li ho legati in un vaporoso e composto chignon e sul viso ho un tenue make-up sui toni del tortora, ovviamente non il rossetto, quello è rosso. Sì, mi sento bene e se devo stare di fianco a un bronzo di Riace come Jonathan, è quasi obbligatorio essere impeccabili. In fondo lui è bellissimo con quei capelli un
po’mossi, corvini e quei magnifici occhi cristallini, di un azzurro chiaro e glaciale. Non parliamo delle spalle larghe e il didietro sodo, se non avessi un lavoro di cui occuparmi, passerei ore solo a guardarlo. Praticamente è perfetto. Peccato per quel difetto di mutismo. Non spiccica mai parola e ogni volta devo fare i salti mortali per trovare argomenti di conversazione. Mi pento di non aver fissato subito per il dopo cena. A letto ci sa fare e raggiungere il culmine con lui è fin troppo facile. Questa consapevolezza mi tedia, perché non è anche più intellettualmente stimolante? Non che sia stupido, si vede anche dagli occhi che è un uomo arguto e d’ingegno, solo che non parla.
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