Finché suocera non ci separi

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FINCHÉ SUOCERA NON CI SEPARI! di Corinne Savarese

Finché suocera non ci separi! © 2014 Corinne Savarese Tutti i diritti di riproduzione, con qualsiasi mezzo, sono riservati.

Copertina a cura di Pietro Passarini e Corinne Savarese

I fatti narrati in questo libro sono di pura fantasia, frutto dell’immaginazione e della libera espressione artistica dell’autore. Ogni riferimento a eventi realmente accaduti, a persone realmente esistite o esistenti e a luoghi reali è puramente casuale.


Eventuali somiglianze con fatti o avvenimenti reali o con persone, associazioni, organizzazioni, o movimenti realmente esistenti sono puramente casuali e non intenzionali.

Per quanto mia suocera sia veramente una psicoterapeuta, posso affermare in sinceritĂ di avere la fortuna che non somigli affatto alla nostra protagonista.

A te, che mi sopporti, e supporti, in ogni momento. A voi quattro, che siete i miei gioielli piĂš preziosi.

Sommario RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI (Cara cognata, ti odio!) Prologo Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11


Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21 Capitolo 22 Capitolo 23 Epilogo FINE Ringraziamenti

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI (Cara cognata, ti odio!) Daphne Borgia ha passato il quarto di secolo, ma l’unica cosa in cui possa definirsi realizzata è la carriera. Titolare della più importante azienda di marketing a livello


internazionale, passa le giornate interamente in ufficio e non ha uno straccio di vita privata. Poi arriva Andrea De Michelis. Irrompe nella sua vita e la stravolge. Stilista di fama mondiale, firma un contratto con lei, dando inizio alla loro storia. Daphne: maniaca del controllo, professionale nella vita come sul lavoro, figlia di una famiglia benestante che l’ha cresciuta sotto una campana di vetro. Andrea: abbandonato, ancora adolescente, dai genitori che hanno preferito trascorrere la pensione al sole dei Caraibi. Viene cresciuto da Syria e Annabella, sue sorelle gemelle. Queste sacrificano i loro studi e la loro carriera per far realizzare lui. Annabella in particolar modo lo sente come un figlio e, quando nella vita di Andrea arriva Daphne, si sente tremare il terreno sotto i piedi. Quella che inizialmente sembrava una bella amicizia tra le due donne, si colorerà delle invidie di Annabella e delle sue gelosie patologiche. Annabella arriverà a compiere gli atti più assurdi, pericolosi, meschini e illegali pur di far fuori la nuova fidanzata di suo fratello.

Prologo Cara suocera, ti odio! Con quella tua faccina cadente e raggrinzita da sessantacinquenne, mi sorridi dolcemente, quando dentro di te stai pensando alla prossima frecciatina per farmi sentire inutile, insulsa, instabile, inadeguata, insipida, incompleta, inerme, inadempiente, insoddisfatta... tutta una serie di aggettivi che iniziano per IN che ti piacciono tanto, per potermi dominare e annientare. Ti sei presentata, al rientro dal nostro viaggio di nozze e non te ne sei più andata.


Hai preso possesso della mia casa, delle mie cose, della mia vita, dei miei affetti, delle mie soddisfazioni e le hai fatte tue, rovinandole e disintegrandole. Eri ovunque, quantunque, comunque. Nel mio matrimonio, nelle mie amicizie, nella mia famiglia e nella mia camera da letto. Non ti sono piaciuta dal primo momento in cui il tuo sguardo si è posato su di me, lo so, nonostante tu abbia giocato a fare la suocera amorevole. Quella che pretendeva la chiamassi “Mamma”. Ma io non sono tua figlia e tu non sei mia madre. Una madre accetta la propria figlia per quello che è e tu non l’hai mai fatto. Hai cercato di cambiarmi, rompendomi in mille pezzi e ricostruendomi a tuo desiderio. Ci eri quasi riuscita. Hai ridotto la mia autostima a un barlume soffocato dalla nebbia. Hai giocato con le mie certezze e, azzerandole, mi hai resa inerme nelle tue mani. Mi hai plasmata a tuo piacere e hai giocato con me come se fossi una brutta bambola di pezza, per vedere fino a che punto, tirandole le braccia, avrebbe retto a stare tutta insieme. Sei stata sadica e ti sei divertita a vedermi cadere, per poi correre in mio soccorso e sentirti mia indispensabile salvatrice. Hai cercato di isolarmi da amici e parenti perché nella mia vita ci fossi solo tu, e mi hai circuita, facendomi credere di non sapere andare avanti senza il tuo aiuto. Mi hai annientata, eppure non sono morta. Di nuovo, però, come con tua figlia, mi ritrovo a dover andare da uno strizzacervelli per poter ripartire da zero ed esser sicura di non essere pazza io. Perché con te il dubbio ogni tanto mi veniva. Insomma, non potevano essere reali le cose che mi facevi! Chi si comporterebbe così? Solo una persona che necessita urgentemente di farsi curare, ma da uno specialista bravo! Capisci perché ogni tanto avevo bisogno che qualcuno mi ricordasse che ero io quella sana? Perché essendo tu la psicologa, si tenderebbe a dare per scontato che non sia pazza! E invece guarda un po'... sorpresa! Ho pagato centinaia di euro per sentirmi dire che sono sanissima e, anzi, che è un miracolo ancora lo sia! I migliori soldi spesi della mia vita! Peccato! Saremmo potute andare d'accordo, ma hai scelto la guerra e io non rimarrò di certo nelle ultime fila della battaglia. Che guerra sia!


Capitolo 1 Come l'anno scorso, dopo i problemi con mia cognata Annabella, il mio terapista mi ha consigliato di scrivere una lettera di addio, questa volta a mia suocera. Lui la chiama “La lettera al cassetto”. Una di quelle in cui spiego come mi sento quando penso a lei. Ma cosa dovrei dire? Insomma, sono così confusa dal suo atteggiamento, così incredula... Quindi questo è il massimo che posso concedermi. Voglio dire, ha iniziato lei! Io mi sto solo difendendo, giusto? Sì, mi pare abbia detto così il mio psicoterapeuta. Meno male che c'è lui, perché non so addirittura più cosa penso. Mi sento confusa. Ora credo di pensare una cosa e il secondo dopo sono convinta sia sbagliata. Una mattina mi sento una leonessa, quella dopo una bambola di pezza. Un minuto so esattamente cosa dovrei fare e quello dopo mi ritrovo inerme e sua umile serva. Ma il mio terapista... lui sì che sa cosa devo pensare, come devo essere e cosa devo fare. D'altronde è il suo lavoro, no? Lo diceva sempre anche mia suocera! «Se non lo so io che sono psicoterapeuta, chi vuoi che lo sappia?» E allora io nutro tutta la massima stima per lui. Quindi se lui mi dice che scrivendo una lettera a mia suocera e affidandola al mio cassetto, tutto si risolverà, io ci credo, perché questo è il suo lavoro! E di certo lui saprà come svolgerlo al meglio, perché lui è il migliore! Così guardo la lettera, pregna di soddisfazione per me stessa. Mi sento davvero brava! Ho scritto una lettera a mia suocera dicendole cosa penso di lei, non è grandioso? Quante, al mio posto, saprebbero farlo? Quante avrebbero davvero il coraggio di dire in faccia alla propria suocera, parola per parola, tutto quello che gli è rimasto bloccato in gola? Tutti i pensieri di vendetta che hanno sognato nelle lunghe notti di rabbia repressa. Tutto ciò che, di amarezza, hanno visto tingere, inermi, le proprie giornate. Quante saprebbero togliersi i sassolini dalla scarpa e tirarli, con sorriso compiaciuto, sul volto della suocera? E aggiungerei anche con un certo ghigno soffocato, ma non più di tanto, giusto perché arrivi alle sue orecchie, da lasciarla incredula mentre si chiede Ho sentito bene? Quante riuscirebbero a guardarla in faccia, con occhi innocenti e aria angelica, mentre fanno della penna il


loro coltello e della carta da lettere le sue carni? Ecco, state a guardare, perché questa sono io! Io sono Daphne Borgia! Sono sopravvissuta ad Annabella De Michelis, non c'è più nulla e nessuno che io tema. Non esiste Clarissa LaSanta in De Michelis che possa scalfirmi! E al pensiero mi viene da ridere... Come può Clarissa chiamarsi LaSanta di cognome? È lo stesso mistero per il quale hanno potuto chiamare la figlia Annabella, considerato il suo alquanto dubbio gusto estetico. Ma tornando a me. Con questa lettera ho il Potere. Mi sento esplodere di energia. Visto? Ha ragione il mio terapista! Bastava scrivere una lettera! Se l'avessi saputo prima mi sarei risparmiata centinaia di euro, ma non importa. Ho detto prima che sono i migliori soldi spesi della mia vita, giusto? Quindi è così. Deve avermelo detto lui... non ricordo. Ma no, figuriamoci se mi convincerebbe mai di una cosa per il suo tornaconto personale. È un professionista lui, uno psicoterapeuta! Comunque sono ancora con questa lettera in mano e ho il Potere. Ho già vinto, praticamente. Sorrido tra me e me mentre la piego una volta e poi ancora e ancora. Fino a ridurla a una cosa piccola. Così piccola che nessuno penserebbe mai che quella possa essere mia suocera, perché quando avrò finito con lei questo sarà tutto ciò che ne resterà! Rimango con lo sguardo perso nel vuoto davanti a me, mentre tutto ricomincia dal nostro primo incontro.

***

Io e Andrea abbiamo appena messo piede dentro casa, di ritorno dalla nostra luna di miele. È stata un sogno. Io e lui, il sole, il mare, il sale, il caldo. Io e lui, il letto, le lenzuola, la cucina, il tavolo, la sala, il divano, il terrazzo, il dondolo sul patio. Io e lui


e la spiaggia di notte, le stelle e la luna. Io e lui e il mondo. Il nostro mondo. Ogni cosa mi ricorda di lui e di bollenti occasioni che non ci siamo lasciati scappare. Io e lui, sempre insieme. Io e lui e i nostri corpi, caldi, sudati, aggrovigliati, senza pace. Io e lui ancora assetati. Io e lui mai sazi. E adesso tornare alla quotidianità sarà dura. Ognuno con i propri impegni, con il proprio lavoro e la propria vita fatta di viaggi, riunioni e clienti. Ma sono sposata con Andrea De Michelis, cosa potrebbe mai più andare storto? Perfino Annabella, la malefica sorella, ha desistito. E pensare che ce l'aveva messa tutta per dividerci. Appoggio il beauty case sulla mezza colonna di marmo rosa, in stile romano, accanto all'entrata. Devo ancora abituarmi alla maestosità della casa di Andrea.Di casa nostra, mi correggo subito, sorridendo. Mi sento sfinita, il volo intercontinentale, il jet lag e l'arrivo in piena notte, non sono d'aiuto e, appena accendo le luci, l'enorme lampadario in cristallo che pende dall'alto soffitto, illumina a giorno tutte le tonalità di bianco del marmo, che regna imperioso. Ho una fitta agli occhi e li chiudo, riaprendoli lentamente, cercando di abituarli alla luce. Andrea, perfetto come al suo solito, è già attivo e porta i bagagli in camera da letto. Mi trascino fino al comò per appoggiare la mia borsa, mentre lui controlla il display della segreteria telefonica. «Chi ci avrà lasciato messaggi in segreteria? Tutto il mondo sa che eravamo in viaggio di nozze.» Naturalmente non si aspetta che io risponda davvero, avendo già premuto il tasto Play. Una voce femminile, acuta, fastidiosa come lo stridore del gessetto sulla lavagna, mi fa venire la pelle d'oca. «Andrea, amore... siete tornati dalla luna di miele?» Amore? Chi osa chiamare il mio Andrea, Amore? Solo io posso chiamarlo così! Mi giro con aria interrogativa verso di lui, mista a senso di accusa. Il messaggio prosegue. «Appena tornate, chiamami subito. Ho un enorme regalo, tutto per te. Sono sicura che ti renderò felicissimo!»


Pure! Il mio sguardo diventa di fuoco, mentre mi preparo a fargli una scenata. Ma di nuovo la voce fastidiosa continua. «Va bene, non riesco ad attendere che mi chiami. Io e tuo padre abbiamo deciso di venire a conoscere la tua sposa. Com'è che si chiama?» Poi sento che si allontana dalla cornetta e con voce ovattata, dice «Giustino come si chiama la nostra nuova nuora? Dai, veloce, non farmi fare figuracce!» Giustino? Il nome promette bene! LaSanta e Giustino... una coppia da Paradiso assicurato. «Daphne, Clarissa. Si chiama Daphne.» «Giusto, Daphne. Ecco amore, dicevo. Vogliamo venire a conoscere la tua sposa Daphne. Ho visto le foto sui giornali. Che sguardo intelligente che ha! Lo sai che io lo capisco subito, è il mio lavoro! E sai anche che io non sbaglio mai, sono la migliore. Si vede dai lineamenti che è sveglia. Bravo, ottima scelta.» Grande! Sono sveglia e intelligente. Questa donna davvero ne capisce! Andrea non mi parla mai molto dei suoi genitori, evidentemente la ferita di essersi sentito abbandonato è tutt'ora aperta. Però Syria, sorella di Andrea, nonché gemella di Annabella - che non ha proprio nulla a che vedere con lei - mi ha detto una volta che la madre era molto stimata nel suo campo. Ora in pensione, prende solo casi disperati che stimolino il suo altissimo Q.I. Comunque, dicevo, mia suocera è psicoterapeuta e, solo con un colpo d'occhio è in grado di comprendere che tipo di persona tu sia. E se, a suo dire, sono una persona intelligente e sveglia, deve essere così per forza. È il suo lavoro e lei lo sa fare molto bene, ha detto. Non sbaglia mai! Deve essere per questo che decine e decine di clienti importantissimi decidono di affidarsi a me per le loro campagne pubblicitarie. Deve averglielo detto lei, che ho i lineamenti di una che ci saprà fare con il loro portafoglio. E se lei è la migliore nel suo, di lavoro, io la sono nel mio - ma questo lo sapevo anche prima che lo dicesse lei, effettivamente. Sono una Borgia io! Non pensi di potermi comprare con queste caramelline zuccherose, la “suocera”! Però ha capito che sono sveglia e intelligente, così male non deve essere.


La voce stridula da gessetto che stride sulla lavagna continua, riportandomi sulla terra. «Comunque, chiamami nel momento stesso in cui ascolti questo messaggio. Ho già prenotato i biglietti aerei. Ciao amore, ciao tesoro. Sono così contenta. Ci rivedremo prestissimo, e non mi sembra vero. Quasi non ci credo.» E poi un bip segna la fine del messaggio. Guardo Andrea che con occhio vacuo rimane in silenzio. Mi avvicino, appoggiandomi a lui. Con una carezza, distendo le rughe che gli si sono formate attorno agli occhi e sulla fronte. «Amore. Vengono i tuoi genitori. Non sei contento?» Lui continua a rimanere in silenzio, perso nel suo mutismo. Non mi ha sentita. «Andrea!» Di colpo, come se si fosse destato solo ora da un sogno a occhi aperti, mi guarda. «Dimmi, tesoro.» Paziente, ripeto.

«Ho detto, vengono a trovarci i tuoi genitori. Non sei contento?» «Sì. Sì. Certo. Vedrai, Daphne, ti adoreranno! Del resto come si fa a non adorarti? L'ha detto anche lei che sei sveglia e intelligente. Visto? Già ti adora!» Uno strano senso di déjà vu mi attanaglia lo stomaco e, chissà perché, non mi sento affatto serena. L'ultima volta che Andrea mi ha detto «Visto? Già ti adora!» parlava di Annabella e nulla di buono è stato per entrambi. Così reprimo un senso di nausea, mentre mi sforzo di sorridere. Sicuramente mi sto sbagliando. Lei è una psicoterapeuta. Una donna adulta. Una che ormai avrà acquistato un livello di saggezza atto a vedere tutto con una chiarezza obiettiva. Una che sarà sempre al di sopra delle parti. Sicuramente mi adorerà. Così con rinnovata energia, euforica, ripeto ad alta voce. «Ma certo. Già mi adora!»


Capitolo 2 Ed eccomi qui, in aeroporto da sola, mentre aspetto che l'aereo con a bordo i miei suoceri atterri. Andrea all'ultimo minuto non è riuscito a liberarsi. Che novità! «Cara, vedrai, andrà tutto bene. Anzi, vedila così: quale momento migliore per legare con loro? Avrai i miei genitori tutti per te! Non è magnifico?» Sì, certo... magnifico! Una favola! «Ma Andrea, i tuoi ci rimarranno male! Dopo tutto questo tempo senza vedervi, non sei riuscito a ritagliarti un buco per venire a prenderli.» Lui taglia corto con uno sbuffo. «Tesoro, devo scappare, ho una riunione. Se avessi potuto perdere tutto questo tempo, sarei venuto con te, non lo avrei passato al telefono, non credi? Dai, tranquilla. I miei già ti adorano, ricordi?» Sconfortata, abbasso la testa in segno di resa, mentre rigiro nervosamente la fede nuova e scintillante attorno all'anulare. «Sì, certo. Sono una persona sveglia e intelligente. L'ha detto tua madre, non può essere altrimenti.» «Questa è mia moglie! Brava. Scappo. Ti amo, amore mio.» E senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondere Ti amo, chiude la conversazione. Rimango sola con me stessa. Sono in anticipo, non ho voluto correre il pericolo di incontrare imprevisti. Che figura avrei fatto se lungo il tragitto alla signora di turno fosse scappato il barboncino e qualcuno, nell’atto di salvarlo si fosse lanciato in suo soccorso, bloccando tutta la tangenziale, e fossi arrivata in ritardo? Oppure se a


causa di un'esondazione del fiume la strada fosse stata ricoperta di enormi pesci e il WWF l’avesse chiusa di conseguenza per evitare il massacro? Insomma, non si può mai sapere cosa potrebbe accadere. Quindi, eccomi qui. Manca circa mezz'ora. Ho tempo per un ultimo controllo prima del loro arrivo. Non ho idea di come siano Clarissa e Giustino, ma so come voglio apparire io. Perfetta. Così mi dirigo verso la toilette, per un po’ di privacy. Apro la mia Ferragamo bordeaux, in tinta con le décolleté tacco dodici, e ne estraggo uno specchietto da cipria. – non voglio appoggiarmi al ripiano dei lavandini per avvicinarmi allo specchio dei bagni pubblici. Mi fa un certo qual senso. – Apro lo specchietto da cipria, mi controllo, lo sposto da un occhio all'altro, poi al naso, alle guance e infine al mento. Non ci sono zone lucide, ma è sempre meglio evitare, così decido di ripassarmi la cipria con un gesto veloce. Lo richiudo e prendo il mio profumo preferito, Dolce & Gabbana. Spruzzo due volte in aria e con un passo mi immergo nella nube, inspirando e rassicurandomi al tempo stesso. Abbasso lo sguardo. Mi sono vestita casual-chic, non per aggredire o spaventare, ma nel tentativo d trasmettere quella sicurezza di chi sa distinguere un contesto da un altro. Controllo che la scollatura non sia troppo abbondante, ma nemmeno clericale, scendo ai pantaloni a sigaretta e mi accerto che cadano bene sulle scarpe. La mia maniacalità per la perfezione è in codice rosso per un'evenienza come questa. Sto per conoscere i miei suoceri! Sto per conoscere mia suocera! Sottolineo, poi. Chissà com'è... simpatica? Accattivante? Gentile? Materna? Su quest'ultima non ci giurerei, dal momento che ha preferito le spiagge caraibiche ai propri figli quando Andrea ancora era minorenne. Appena sono potuti andare in pensione sono partiti lei e il marito lasciando Syria, Annabella e Andrea a vedersela con il mondo. Le due povere gemelle maggiori hanno interrotto l'università per mantenere Andrea, assicurando una carriera almeno a lui. Tutti e tre hanno lavorato nelle posizioni più umili per giungere dove sono arrivati ora. Andrea, stilista riconosciuto in tutto il mondo, ha creato il suo impero da zero, con il suo talento e la sua tenacia. Syria, una volta sistemato il fratello, ha ripreso gli studi e si è laureata in medicina. Ora è direttrice nel reparto di pediatria, è sposata e ha due gemellini. Annabella è stata quella che si è occupata di Andrea senza riserve, annullando completamente la propria vita. Ora che sono subentrata io, ha finalmente potuto riprendere in mano le redini del suo destino e sta avviando un'attività come


organizzatrice di eventi. Insomma, non c'è che dire. Tutti e tre i figli se la sono cavata alla grande, chi più, chi meno, chi prima, chi dopo. Tutti e tre senza di loro. Vengo distolta dai miei pensieri dalla voce della signorina al microfono che annuncia l'atterraggio del volo di Clarissa e Giustino. Improvvisamente ho lo stomaco vuoto. Così vuoto che un'intera famiglia di rane ci sta pacificamente gracidando dentro e io riesco a sentirla fin da qui. Oddio, sto per incontrare mia suocera. Sarà “una suocera”? Tipo quelle stronze odiose che ti rendono la vita un inferno? Quelle onnipresenti in ogni istante della tua giornata? Quelle che non ti scolli di dosso nemmeno con la morte? Quelle che hanno una massima su ogni cosa e non si astengono dal dirla nemmeno sotto minaccia? Quelle che giudicano ogni cosa e persona alla prima occhiata e non cambiano idea nemmeno se sono rimaste le uniche sulla terra a pensarla a quel modo? Quelle che «Gli altri fanno sempre tutto male, per fortuna che ci sono loro a istruirli correttamente?» Quelle che «Tu non capisci niente, segui me che andrai lontano»? Sarà una suocera del genere? Ma nooo, non può essere di quelle così ingombranti. Una che lascia i figli per vivere la propria vita, non mi sembra il tipo da pretendere di intromettersi su tutto. Sicuramente sarà di quelle molto emancipate, è una psicoterapeuta! Ne avrà sentite di tutti i colori. E poi sarà di quelle che ti lasciano i tuoi spazi, del resto lei ha voluto i suoi, quindi capirà perfettamente. Di nuovo torno coi piedi per terra quando le prime persone escono dal gate'Arrivi'. Andrea non ha fatto in tempo a mostrarmi delle foto in primo piano dei suoi genitori, così non so riconoscerli. Che belle figure mi fa fare sempre! Poi, per fortuna, loro mi riconoscono per primi e sento la voce da gessetto che stride sulla lavagna chiamarmi. «Daaaaaphne. Daphne, tesoro. Siamo arrivati finalmente! È stato un viaggio terribile. Ho mangiato malissimo e ora ho lo stomaco come una palla da basket!» Io rimango un attimo interdetta alla sua affermazione, che mi graffia l'anima come la sua voce stride nelle orecchie. Il mio sguardo è attonito, le mie labbra serrate. Per qualche secondo non so cosa rispondere e per fortuna non ne ho il tempo, perché lei mi getta le braccia al collo e mi bacia.


«Oh Daphne. Non sai quanto siamo felici per voi! Purtroppo non siamo potuti venire al matrimonio. Sai... avevamo un ritiro spirituale importantissimo, non potevamo proprio mancare. Però ci rifaremo adesso, sei contenta?» In realtà non le interessa la mia risposta, perché subito si gira verso Giustino e lo sgrida con la voce di chi ha beccato il cane alzare la zampa nel posto sbagliato. «Giustino! Vieni a salutare la nostra Daphne! È come una nuova figlia per noi. Vieni ad abbracciarla, non stare lì inebetito come un albero di natale! Dai fai un passo e vieni avanti, ce la puoi fare.» Lui, come se la moglie non lo avesse appena velatamente insultato, viene, sorridente e paterno verso di me. Con molto tatto mi bacia sulle guance, ma senza lasciarsi andare a dimostrazioni d'affetto troppo esagerate. Quelle devono essere una prerogativa della moglie. Poi lei riprende. «Giustino, sbrigati. Prendi i bagagli e andiamo. Sono sfinita. Questo viaggio mi ha distrutta. Ho le emorroidi grosse come meloni!» La mentina che avevo precedentemente messo in bocca mi va di traverso e comincio a tossire per evitare la morte, mentre continuo a chiedermi Ho sentito bene? La sua uscita è stata un pugno dritto in faccia, ma sia lei che lui camminano come se nulla fosse stato detto. Sono pazza io? Devo esserlo... nessuna donna sana di mente direbbe mai una cosa così personale, no? Sì, sì, sicuramente devo aver sentito male... cosa può assomigliare a quella parola...non oso nemmeno ripeterla. Ma per quanto mi sforzi di trovare qualcosa che somigli anche solo vagamente a “emorroidi”… non trovo nulla di pertinente. Con mio sollievo i miei vaneggiamenti trovano un punto quando mi accorgo che siamo arrivati alla limousine e lei sta bussando rumorosamente sul finestrino del passeggero accanto all'autista, per farsi aprire la portiera. Mentre i bagagli vengono caricati nel baule posteriore, ci accomodiamo finalmente sui sedili disposti a salottino. Clarissa mi sembra particolarmente impacciata e sofferente nei movimenti e inizio a temere di non aver frainteso proprio nulla, poco prima. Prendo un coloratissimo mazzo di tulipani che ho fatto confezionare appositamente per l'occasione e glielo porgo.


«Ecco Clarissa. La prego di accettare questo mio omaggio per augurarvi il bentornato e una buona accoglienza nella nostra nuova famiglia.» Per quanto non volessi risultare così solenne, non mi è uscito nulla di meglio. «Ma tesoro, cosa dici? Sono la madre di tuo marito. È come se fossi anche la tua. Dammi del tu, per favore!» Mi ghiaccio. Ma anche no! È una psicoterapeuta, dovrebbe capirlo. «Non sono sicura di riuscirci, non si offenda, fa parte della mia ferrea educazione. Ma mi creda, è sinonimo di rispetto.» Cerco di spiegare il mio comportamento, a quanto pare così lontano dal suo. Le sembrerò un pezzo di ghiaccio... non importa, imparerà ad accettarmi… speriamo non con un’accetta! Come potrei non piacerle? Sono così educata, io. Non ho nulla da temere. Mentre afferra il mio meraviglioso mazzo di tulipani e lo butta sul sedile accanto a sé, senza degnarlo di uno sguardo, inizia a socchiudere gli occhi, piega lievemente la testa di lato e annuisce compassionevole, come chi sta pensandoHo capito tutto. Oddio, mi sta psicanalizzando? Sì, lo sta facendo. Lo sta facendo davvero! Mi è bastata una frase e ha già visto la mia storia dal primo vagito! Con una stretta allo stomaco provo un senso di fastidio. Non mi piace... insomma non posso neanche parlare? Cos’ho detto, adesso, per averle dato la chiave d'accesso alla giungla intricata nella mia testa? Promemoria: ricordarsi di soppesare ogni termine, di ogni frase, che uscirà da ora in poi dalla mia bocca in sua presenza. A quanto pare, qualunque cosa dirò verrà sicuramente usata contro di me. Guardo con un velo di disappunto e tristezza i miei tulipani. Ero così contenta di averglieli presi. Un gesto, a mio avviso, per esprimere la mia buona volontà, per farmi accettare e benvolere. E torno a lei e alla sua espressione da 'ho-già-capito-tutto' proprio mentre, con un sorriso a cento denti, lancia la sua prima freccia. «I tuoi genitori non ti hanno cresciuta nell'affetto, vero?» Sbam! Colpita e affondata in un colpo solo. Non ci credo! Non può essersi davvero permessa di parlare male dei miei genitori. Non li conosce. Non mi conosce! Improvvisamente il mio cuore inizia a pompare


talmente forte da rintronarmi nelle orecchie. Il nervoso viene nutrito dall'adrenalina esplosa in tutto il corpo che, adesso, sento formicolare. Avverto una bomba a orologeria dentro il petto. Sono troppo educata per rispondere male. In verità sono così educata da non ribattere affatto. Sarò pure una donna forte della sua carriera, ma di fronte alla maleducazione, non do battaglia. Non me la sento di scendere al suo livello, perché è talmente abituata lei al suo, che potrei perdere. Così tutto quello che riesco a fare è farfugliare qualcosa, tipo «Veramente i miei genitori mi vogliono molto bene.» Ma lei continua a guardarmi con quell'espressione di compatimento, scuotendo la testa, mentre sicuramente pensa che io stia cercando solo di negare l'evidenza. Togliti subito quello sguardo di compatimento dal muso, ringhio dentro di me. Con uno slancio mi si getta addosso, mi abbraccia forte e dice. «Vieni qui, tesoro! Sciogliti un po'. Ti insegnerò io cos'è l'amore materno.» Rimango raggelata, confermando solo quello che ha affermato lei fino a ora. Che sono un pezzo di ghiaccio. Per fortuna mi squilla il cellulare. Guardo il display. «Oh, è Andrea. Vorrà sapere se va tutto bene.» E sottolineo volutamente la seconda parte della frase, come una minaccia. Ma lei non se ne cura minimamente, anzi, mi prende il cellulare dalla mano e inizia a parlare. «Amore! Va tutto benissimo. Daphne è un tesoro. Davvero preziosa. Sono contenta, non potevi scegliermi una figlia acquisita migliore. Già la adoro!» In tutta questa scena teatrale, mima platealmente un gesto con la mano sul cuore, come se stesse custodendo un oggetto preziosissimo. Poi continua. «Tra poco arriviamo a casa nostra.» Nostra??? Quella è casa di Andrea e, ora, anche mia. Non loro. Assolutamente e indubbiamente non loro! “Non vedo l'ora di appoggiarmi su un cuscino di ghiaccio. Ho le emorroidi come meloni!”


Inorridisco. Ancora! Come può, questa, essere la madre biologica di Andrea? Di Annabella forse sì, ma di Andrea… non credo proprio! Dev'esserci stato uno scambio. Provo quasi sollievo al pensiero, peccato duri poco. «Ora ti lascio. Ci vediamo a cena, va bene, amore? Ah, Daphne sa cucinare? Sennò posso insegnarle qualcosa io...» Perfetto, ci mancavano anche le lezioni di cucina. E mi fa quasi senso l’accostamento della sua “situazione posteriore” con la cena di questa sera. Non riesco a tenermi ulteriormente e rispondo, seppur con eccessiva educazione. «Sì, sono capace. Anzi, a dire il vero è una delle mie passioni e, a quanto dicono, mi riesce anche molto bene.» Incassa questa! Ma lei per nulla intimorita, chiude la conversazione e mi ripassa il cellulare muto, senza nemmeno avermi fatto parlare con mio marito. Poi, con un sorriso forzato, aggiunge: «Scusa cara, devo davvero chiudere gli occhi e riposare un po'. A quanto pare anche Giustino non ha resistito.» Mi giro verso di lui e, infatti, è lì che, con la bocca aperta e la testa appoggiata al finestrino, dorme beato, inconsapevole di quanto sia avvenuto fino a ora. Poi, il silenzio. In un attimo dormono entrambi. Oppure no. E se lei stesse fingendo per mettermi alla prova e vedere cosa faccio, quando chiude gli occhi? E se li spalancasse all'improvviso, per cogliermi con le mani nella marmellata e gli occhi incollati alla sua brutta faccia? Decido di non voler correre il rischio e per qualche minuto fingo di guardare fuori, mentre in realtà la spio dal riflesso del finestrino, ben attenta a un suo minimo aprirsi della palpebra. Solo che in movimento la cosa inizia a farsi difficile e spesso mi ritrovo a strizzare gli occhi per mettere meglio a fuoco l'immagine. Me ne accorgo e cerco di darmi un contegno. Dopo pochi secondi ci ricasco. Provo a rilassarmi e inspiro profondamente, cercando di non farmi sentire per non svegliare la leonessa che, alla fine, si è addormentata davvero. Finalmente posso osservarla indisturbata senza dover passare per l'immagine riflessa nel vetro. Clarissa non è molto alta. Anzi a dire il vero sarà alta un metro e cinquanta. Ha una chioma di capelli lievemente crespi, di un biondo ossigenato esagerato. Il viso spigoloso e piccolo, occhi vicini e il naso appuntito e un poco ricurvo, mi ricorda quello della vecchia strega di Biancaneve. Labbra molto sottili,


quasi inesistenti che spesso, ho notato, tende a mettere in una posizione innaturale, come se stesse mandando un bacio a qualcuno - comunemente chiamata “duck face”, ovvero 'muso a papera' -. Sorrido tra me e me. In effetti la somiglianza con una papera non è del tutto fuori luogo. L'altezza, la postura 'petto-e-sedere-infuori/pancia-in-dentro', l'andatura con le gambe corte e lievemente divaricate (forse per il dolore alle “retrovie”?). È proprio lei! Ha una maglietta con una scollatura che definirei fuori luogo, considerata la sua età e lo stato della mercanzia raggrinzita e cadente, messa in bella vista come su un bancone del macellaio. Non è grassa, ma flaccida e con rotoli multipli nel girovita. Scendo con lo sguardo sull’ampia gonna gitana arancione e sulle babbucce ricoperte di strass e fiorellini. Ma quanti anni ha? Dodici? Un'apertura sul davanti della calzatura mette in mostra delle unghie dei piedi laccate di rosso, che invece di avere un'aria curata, danno l'impressione di veri e propri artigli di rapace, per la forma allungata e ricurva. Ancora il sapore del disgusto mi inonda la bocca. Come siamo diverse. Mentalmente ringrazio il cielo che Andrea sia cresciuto lontano da lei, poi ritiro il pensiero e mi sento davvero meschina. Lui ha sofferto di questa situazione e innalzo inni di ringraziamento? Ma che moglie sono? Sposto lo sguardo su Giustino. Non ha parlato molto, non posso ancora farmi un'opinione, ma da quel che ho visto, i pantaloni dentro casa non è certo lui a portarli. Dorme a bocca aperta, gli manca solo il rivolino di bava che pende da un lato. Russa addirittura, inspirando, con un fastidioso grattare del naso. Mi dà fastidio, vorrei tanto dargli un colpetto e farlo smettere. Il suo russare rompe la stabilità del mio mondo di perfezione, dove non c'è posto per chi russa di fronte a una persona appena conosciuta o per chi va sbandierando la dimensione delle proprie emo***idi - ecco il mio perbenismo che mi censura -. Continuo la scannerizzazione di mio suocero. Capelli neri corvino che è così lampante che sono tinti, da farlo risultare patetico. Insomma, a sessant'anni fatteli castani, non neri! Che poi chiamarli proprio “capelli” è un eufemismo. “Quattro peli” sarebbe più pertinente. E si vede che si vergogna della sua calvizie, con quel riportino unto laterale. Vorrei quasi dirgli «Non ti preoccupare, non sei pelato. È la forza di gravità che ti ha trasformato i capelli a qualcosa di più simile ai tuoi peli sulla schiena!»


Fisico non proprio asciutto. Probabilmente a causa di un eccessivo abuso di Cuba Libre e Mojito. Lineamenti così normali da non avere un tratto caratteristico, all'infuori di un naso ancora più aquilino di quello della moglie. Faccia squadrata e invecchiata dal sole. Solchi profondi al posto delle rughe, doppio mento raggrinzito, tipo quello di un tacchino. Camicia rossa a quadri e pantaloni marroni a costine in velluto. La macchina si ferma e io sobbalzo quando gli occhi di Clarissa si aprono all'improvviso, tanto da risultare terrificante la somiglianza con un vampiro appena svegliato. Non ha mosso un dito. Ha semplicemente spalancato gli occhi appena la macchina si è fermata e, con la sua voce da gessetto che stride sulla lavagna, ha chiamato il marito. «Giustino, svegliati. Siamo arrivati a casa! Aaaah casa dolce casa!» Ma come “Casa dolce casa”? Si catapulta fuori dall'auto, abbandonando i miei magnifici tulipani. Io li guardo, poi mi giro verso Giustino che con aria svilita, giustifica la moglie. «Sono io quello che ama i fiori dentro casa, non lei.» Poi esce, stancamente, come se il peso del mondo gli gravasse sulle spalle. Arriviamo davanti al portoncino, faccio per prendere le chiavi dalla borsetta, ma ne sento il classico rumore mentre entra nella toppa e mia suocera, sorridente e vittoriosa, dice: «Ho le chiavi!» Ha le chiavi? Così entra, fa cadere con un tonfo la sua borsa per terra ed esulta, lasciandosi piombare sul divano come un sacco di patate. «Finalmente, caro. Io mi metto qui comoda, tu prendi la bottiglia migliore. Dobbiamo festeggiare. Stasera abbiamo Andrea a cena!» Io rimango allibita. Ma certo, fate come se foste a casa vostra...


Capitolo 3 Perché mi sono presa tutto il giorno di ferie? Bastava la mattina. E adesso cosa faccio con questi due estranei dentro casa? Siamo solo a metà pomeriggio. Andrea non arriverà prima di sera, per cena. Cerco affannosamente di trovare qualcosa da fare con loro, qualcosa da dire per non rendere imbarazzante il tempo che mi sembra interminabile. Nulla. Il vuoto più completo. Com'è possibile che io adesso sembri lobotomizzata? Mi guardo intorno nella speranza di scovare un suggerimento come argomento di conversazione. Delle racchette da tennis, un portatile, una maschera di legno azteca. Ci sono! «Allora, Clarissa. Mi dica, com'è la vita ai Caraibi?» Ma lei, nonostante sia davanti a me, sembra non accorgersi del mio tentativo di approccio. I suoi occhi rimangono fissi davanti a sé e i suoi pensieri lontani. In questo momento non sto esistendo, per lei. Non capisco se il suo sia un chiaro volermi ignorare o se davvero è in meditazione. Ci riprovo. «Clarissa?» Finalmente riesco a distoglierla dal mondo che sembrava avvolgerla completamente. «Oh, scusa Daphne. Hai detto qualcosa?» «Sì. Le chiedevo di raccontarmi della vostra vita ai Caraibi. Come vi trovate?» Le si illuminano gli occhi e il viso risplende di luce propria. «Oooooh, non puoi capire, Daphne. Lì è tutto così bello. E le persone... le persone mi adorano!» Ma guarda un po’! Come non adorarla con un carattere e una personalità come la sua?


«Potrei raccontarti tante di quelle storie su come tutti mi siano riconoscenti per il lavoro che svolgo per loro, che non basterebbe l'intera nostra vacanza. Dovrai accontentarti di qualche piccolo accenno. Sai, a ogni festività sono costretta a donare cesti interi di frutta e fiori, regalati dai pazienti, perché per quanto sia grande la nostra reggia, lo spazio non è mai abbastanza.» Certo, ti immagino a non saper dove mettere i piedi, mentre scavalchi centinaia di cesti in vimini col fiocco rosso. Poi continua. «È triste... lì sono tutti così poveretti. Non hanno compreso il vero senso della vita. Se non fosse per me, che con il mio percorso li porto verso la luce, vivrebbero per sempre nell’oscurità.» Oh mio Dio, mi sembra di sentir parlare Steve, l'ex fidanzato di Annabella, dopo che ha deciso di farsi prete. «Cosa intende con “il suo percorso”?» Ma lei, come se improvvisamente avesse ricordato di avere qualcosa da fare, distoglie l'attenzione e cambia discorso. Un modo come un altro per non rispondere alla mia domanda. Non so dire se perché la ritenesse di troppa poca importanza o perché quella di troppa poca importanza sono io. Oppure semplicemente la mia domanda era di troppo. «Sapessi i riconoscimenti che mi sono stati dati, anche dai più alti ranghi. Tutte persone così importanti... e vengono da me! Sono la migliore dell'intera isola, lo sanno tutti! E mi faccio pagare anche un sacco di soldi. D'altronde li merito! Giustino non lavora più, se non ci fossi io a portare dei bei soldoni dentro casa vivremmo solo con le nostre pensioni, sai che vita di stenti?» Ma certo! In fondo tutte le persone normali che vivono della propria pensione, sono obbligate a fare il salto dei cesti di frutta, nella villa sulla spiaggia ai Caraibi! Questa sua presunzione inizia a darmi i nervi, ma sorrido, come chi comprende perfettamente il suo discorso e lo approvi in pieno. Poi continua, cambiando rotta, per ridare un giusto equilibrio alla bilancia. Sembra matta. Mi sento confusa dalle sue sterzate improvvise, senza ragione e decisamente fastidiose.


«Però bisogna pensare anche a tutti i meno abbienti, poveracci. Sai, quelli non hanno nemmeno i soldi per una casa dignitosa, figurati se possono permettersi i miei servizi. Così, insieme ad altre famiglie più facoltose dell’isola, abbiamo istituito un'associazione, chiamiamola così, per aiutare le persone bisognose di un sostegno psicologico o spirituale. Sai... questione di Karma! Di Yin e Yang! Di bene e male! Di luce e oscurità! Questione mia, insomma...» Questione sua? Questa cosa mi sta facendo paura. «Ah, sembra una bella opportunità che date loro.» «E lo è, cara Daphne. Immagina quei poveretti senza un aiuto come il mio, come potrebbero vivere in questo mondo. Sarebbero come sbandati, senza una meta, senza un senso. Io invece dono un perché alla loro esistenza. Pensaci. Non è grandioso? E sapessi che calore, che amore, che completezza mi dà tutto questo. Il vero senso della vita, per me e per loro.» Veniamo interrotte da un forte rumore proveniente dalla cucina. È Giustino che ha già preso possesso di attrezzature e pentolame e ha iniziato a cucinare, senza dire nulla. «Giustino, ma cosa stai facendo? Avevo detto che avrei cucinato io, per nostro figlio. Almeno oggi, la prima sera.» Lui sorride gentilmente. «Clarissa, sappiamo entrambi che cucinare non è il tuo forte. Al di là di una fettina di carne con aglio e olio non sapresti fare. Quindi se vogliamo mangiare bene, lascia fare a me. Poi se vuoi, puoi sempre prenderti il merito.» Rimango basita. Prendersi il merito? E perché mai dovrebbe farlo? «Va bene, allora io ne approfitto per andare a fare qualche telefonata.» Così improvvisamente mi ritrovo libera e inutile. Dopo mezz'ora lei è ancora al telefono, chiusa in una stanza che, ha deciso, sarà la sua durante la loro permanenza. E, guarda caso, è proprio quella accanto alla nostra! Giustino continua nel suo ruolo di cuoco, aprendo con le mani sporche di cibo tutte le ante, in cerca di qualcosa. Mi si rivolta lo stomaco.


La mia cucina... Comprata nuova, prima del matrimonio, erano venuti a montarcela mentre eravamo in viaggio di nozze. Non vedevo l'ora di provarla per la prima volta. Non era questo che avevo immaginato… Una cenetta a lume di candela, io e lui, con bassa musica di archi in sottofondo. Tutto pulito, profumato, in ordine. E invece ecco qui. Farina sparpagliata sul tavolo, il pacco di sale rovesciato sul ripiano, il sugo schizzato sulle piastrelle dietro ai fornelli, le maniglie del frigorifero in acciaio un tempo intonse - completamente imbiancate dalle sue manate, il rubinetto dell'acqua aperto a vuoto, incarti di qualcosa per terra sotto il tavolo. Mestoli sporchi di sugo appoggiati sui tovaglioli in seta bianca damascata, del corredo di mia madre. Le sue scarpe ad ogni passo fanno un fastidioso ciaf ciaf e non voglio immaginare cosa ci sia per terra sotto quelle suole. Credo di impazzire. Se non esplodo, divento matta. Questa è la mia cucina, come si è permesso di ridurla così? Poi sposto lo sguardo e vedo la bilancia che si sta sciogliendo, lasciata troppo vicina al fuoco. Non resisto e, zitta, come un fulmine mi fiondo a salvare ciò che ne rimane. Lui si gira, se ne accorge e... non dice nulla! Nemmeno uno Scusa! Indispettita e con moto di stizza appoggio la bilancia sul ripiano, sbattendola rumorosamente. Poi inizio a pulire il disastro, mentre lui continua a cucinare, senza parlare. Anzi, credo addirittura gli faccia comodo trovarsi una sguattera che pulisce il suo casino. Andiamo avanti così per un'ora circa. Lui sporca, io sistemo. Lui rovescia, io raccolgo. Lui schizza, io asciugo. Lui fa cadere, io raccatto. E continua a non aprire bocca e, a ogni minuto che passa, sento ribollirmi il sangue nello stomaco e la bile salire in gola. Sono Daphne Borgia io, non la lavapiatti gratis che deve comprarsi il suocero. Quando sto per sbottare, lo squillo del mio cellulare mi interrompe. Subito, però, come aveva iniziato smette, improvvisamente. Chissà chi era. Forse qualcuno che ha sbagliato numero e ha chiuso. Dopo controllo.Ma arriva Clarissa con un sorriso a cento denti, mentre parla al cellulare. Il Mio cellulare. Non ci credo! Sembra un incubo! Tutto quello che è mio, è diventato loro senza alcuna concessione della sottoscritta. E lo stanno facendo col sorriso sulle labbra... Toglietevi quel sorriso di chi dice “vedi? Ti sto aiutando, sii grata per questo!” Non lo posso sopportare. Mi stanno prendendo in giro? Lo stanno facendo apposta o davvero non se ne rendono conto? Perché se è questo il loro modo di fare, è un incubo! Mi sembra di sentirmi chiusa in una teca di vetro mentre, impotente, sono


costretta a veder depredare e devastare le mie cose, gli oggetti a me cari e i miei affetti, senza cura alcuna. Da un lato Giustino, infestato dallo spirito di Attila, sta radendo al suolo la cucina, dall'altro il sorriso irriverente di Clarissa che parla senza alcun riguardo, al mio cellulare. E con chi sta parlando se non con mio marito? Sembra fare di tutto per evitare che possa parlarci, perché per la seconda volta intercetta la sua telefonata, senza poi passarmelo. Se prima ero nervosa adesso sono proprio isterica, ma non posso mostrarglielo. Non posso esporle le mie debolezze, sarebbero per lei un ottimo punto di appiglio. E poi, insomma, li ho pur sempre appena conosciuti. Che figura ci farei se già al primo giorno mi permettessi una scenata? Decido così di sorridere e tirare fuori il mio lato più cordiale in assoluto. Quello che in genere uso sui clienti più difficili e su cui voglio fare colpo, ma mi irrita vedere come sto cambiando per colpa loro. Sento fremere fin dentro le interiora per la violenza che mi sto facendo. Questa, che non reagisce e che permette di venire calpestata, decisamente non è Daphne Borgia, ma decido che per un bene superiore, può andare bene farlo. Posso sopportarli. Del resto sono i genitori di mio marito. Sono qui per poco. Non si fermeranno mica per tutta la vita! «Clarissa, noto con piacere, ha avuto modo di rinfrescarsi e cambiarsi.» Lei cerca di nascondere con molta poca umiltà un senso di orgoglio. «Sì. È una serata importantissima per noi. Dopo tanti anni abbiamo ancora il piacere di avere a cena nostro figlio. Sono così emozionata!» Mentre parla si accarezza il tailleur bianco. Un po' esagerata come mise per una cena in famiglia, ma contenta lei... Mi aspetto che vada avanti col suo racconto, ma lei guarda oltre le mie spalle il marito all'opera e grida. «Giustino, che cosa stai facendo? Lascia stare, tu cucina, a pulire ci penso io.» Ma lui la guarda con quell'espressione di chi dice Certo, come se ne fossi capace! Così lei torna a rivolgersi a me. «Daphne, figlia cara, vai pure a cambiarti d'abito per la cena. Tra poco arriva l'ospite d'onore, non vorrai farti trovare conciata così?»


Non rispondere. Non rispondere. Non rispondere. Arrivo a dirmelo dieci volte in maniera che, se anche avessi ancora il desiderio di risponderle che solo le scarpe Ferragamo che indosso valgono quanto il suo vestito e i gioielli messi insieme, sarebbe passato ormai troppo tempo dalla sua affermazione e, sembrando studiata, perderebbe d'enfasi. Sorridi, Daphne. Sorridi sempre.Anche questo me lo ripeto, perché mi sta riuscendo davvero molto difficile farlo. E poi... l'ospite d'onore? E io chi sono? La figlia della serva? Sorridi, Daphne. Sorridi! Con passo elegante le cammino a fianco, prendo il mio cellulare dalle sue mani e con un sorriso abbacinante come il sole, la ringrazio per avermelo tenuto, come se non me lo avesse invece preso di soppiatto. Mi dirigo verso la camera da letto, dove posso finalmente ritornare me stessa e permettere alla maschera 'pro-Clarissa' di sbriciolarmisi davanti agli occhi, mentre un'espressione stanca e più vecchia di dieci anni mi appare riflessa nello specchio sopra il comò. Improvvisamente mi sento così sfinita che avrei solo voglia di stendermi e nascondermi in un sogno bellissimo. Uno di quelli in cui io e Andrea siamo soli su una spiaggia tropicale e non esistono suoceri che giochino a distruggermi la scenografia. Presa dai pensieri non mi accorgo di stare effettivamente sdraiandomi dalla parte del letto di Andrea e affondare il viso nel suo cuscino. Il suo profumo mi rassicura e calma come un balsamo salvifico e io mi addormento. Vengo svegliata di soprassalto da quella voce inconfondibile che presto animerà i miei incubi più terribili. Quel gessetto che stride. La sento chiamarmi dal fondo del corridoio e per quando ha finito di urlare il mio nome, come una che vende pesce al mercato, spalanca la porta della mia stanza senza bussare. Ovviamente. «Daphne, ragazza mia, cosa stai facendo? Dormi? Ma ti sembra il momento? Ha appena chiamato mio figlio, è a cinque minuti da qui. Svelta. Fatti una doccia e cambiati. Sembri appena tornata da un safari nel parco Amboseli in piena estate africana.» Mi alzo cercando di darmi un certo contegno e riacquistando quella dignità che mi contraddistingue e di cui vado così fiera. Che lei abbatte subito di nuovo. «Tesoro, ma sei ingrassata? Dalle foto che mi aveva mandato il mio Andrea sembravi molto più magra!» Se potessi vedermi allo specchio, sono sicura che vedrei una me stessa con la bocca spalancata e aria incredula, mentre cerca di articolare una risposta che possa


mandarla gentilmente a quel paese, ma il mio perbenismo è piÚ forte e intercetta il comando, censurandolo.

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