I media nella tela del ragno come la rete ha cambiato il nostro modo di pensare (manuali)

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I media nella tela del ragno come la rete ha cambiato il nostro modo di pensare di Piero Schiavo Campo


autore vincitore del Premio Urania/Mondadori 2012

e-book edition ISBN 978-8-899-14365-7 www.edizioniimperium.com

Prima Edizione - Febbraio 2015 Diritti e proprietà letteraria riservata

© Edizioni Imperium Sede legale: P.zza Martiri di Via Fani 90 20099 Sesto San Giovanni (Milano) – Italia Partita IVA 08742140968 www.edizioniimperium.com

Indice 1. Introduzione 2. I media, in generale 3. Brevissima storia dei media


4. Dalla nascita del computer a Internet 5. Il Web: storia e tecnologia 6. Il Web: aspetti generali e contenuti 7. La geometria di Internet e del Web 8. La rivoluzione dei nuovi media 9. Media, opinione e democrazia 10. Il Web e il problema della conoscenza 11. Il Web in azienda Letture consigliate L’autore

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1. Introduzione La specie umana di oggi sembra essere sotto l’effetto di un gigantesco movimento tettonico che, partito dalla rivoluzione scientifica e tecnologica, ha attraversato la fase dell’esplosione mediatica del ‘900, poi quella della prima rivoluzione informatica per approdare a Internet e al World Wide Web. Interi continenti culturali si sono spostati dalle loro sedi, e poiché il movimento è tuttora in corso, nessuno può avere idea di come e quando si arresterà. Da dieci anni tengo il corso di Teoria e tecniche dei nuovi media all’università di Milano Bicocca. In tutto questo periodo sono stato costretto a rivedere completamente il materiale didattico da un anno all’altro: solo dieci anni fa il termine Web 2.0 non era ancora stato inventato, e il concetto di Enterprise 2.0 non ha più di otto anni di vita. Per capire la portata del fenomeno, si può provare a immaginarsi su una scala di tempo maggiore di quella delle nostre esistenze. Facciamo finta che sia mezzanotte e che la scrittura sia stata inventata a mezzogiorno. Le scritture alfabetiche sono apparse alle sei e venti del pomeriggio; la stampa a caratteri mobili ha dovuto aspettare le ventidue e quarantacinque e il


World Wide Web esiste da pochi secondi. Tutto l’impressionante sviluppo dei media moderni (telegrafo, radio, televisione) è avvenuto soltanto nell’ultima mezz’ora.

I media rappresentano uno dei driver fondamentali di tutto lo sviluppo culturale umano. Questa è un’affermazione forte, che spero di motivare nel seguito. Prendendola per buona, bisogna concludere che l’accelerazione non riguarda semplicemente un aspetto delle nostre esistenze, ma l’intero apparato culturale che ci circonda. Non solo il mondo mediatico ma tutto l’insieme di mezzi, strumenti e conoscenze di cui disponiamo, sembra essere in costante accelerazione. Facciamo un altro esperimento ideale. Immaginiamo di disporre di una macchina del tempo. Preleviamo dalla sua epoca un egizio del 3000 a.C., e portiamolo a fare un giro nei secoli successivi. Il nostro personaggio resterebbe probabilmente ammirato dall’organizzazione dell’impero romano; sarebbe stupito da invenzioni come la bussola o la polvere da sparo ma giunto alla nostra epoca smetterebbe di capire il


mondo che sta osservando. I re non sono più incarnazioni della divinità: non ci sono proprio. Come potremmo spiegargli che cos’è un computer, o che cos’è Internet? Credo che l’approccio storico sia fondamentale per inquadrare il problema. Lavorando con gli studenti, mi sono reso conto di un fatto solo in apparenza sorprendente: tutti i miei sforzi per spiegare loro la novità costituita dal Web 2.0 sembravano lasciarli indifferenti. Il problema è che per me, sessantenne, il Web è ancora quello che mi apparve improvvisamente alla metà degli anni ’90, e il 2.0 rappresenta un’evoluzione (ai suoi tempi) inattesa. Per loro il Web 2.0 è semplicemente il Web, la dimensione naturale di come deve essere la rete. Per i giovani è sorprendente, casomai, che ci sia stato un Web 1.0 in cui non esistevano Facebook o Twitter. Viviamo nel nostro tempo. La scala del cambiamento è rapidissima solo se ci poniamo in una prospettiva storica (come nell’esempio dello sviluppo dei media rapportato a una giornata). Essa, tuttavia, sembra lenta rispetto al corso delle nostre esistenze. Un anno è lungo, soprattutto a vent’anni. È come se Twitter e Facebook fossero sempre esistiti. Questa premessa spiega, in sostanza, qual è l’impostazione che ho voluto dare a questo libro e quali ne sono le ragioni. Non posso descrivere in dettaglio il mondo dei nuovi media, perché il risultato sarebbe obsoleto prima ancora di essere finito. Farò, com’è naturale, esempi riferiti al mio oggi, ma solo per illustrare quelli che mi paiono concetti generali legati allo sviluppo dei servizi di Internet, per come tale sviluppo appare in questo momento. Adotterò una prospettiva storica, non solo perché la storia, come diceva Tucidide, è unpossesso perenne dell’umanità, ma perché solo guardando allo sviluppo storico, possiamo renderci conto del senso e della portata del cambiamento in atto nel mondo che ci circonda.

Di che cosa si parlerà - Il Capitolo 2 è dedicato a un breve inquadramento dei concetti base del mondo mediatico. - Il Capitolo 3 include una breve rassegna della storia dei media tradizionali, a partire dall’invenzione della scrittura fino all’esplosione mediatica che ha caratterizzato la prima metà del novecento. - Il Capitolo 4 introduce il tema dei nuovi media. Si parlerà di computer, di reti, di Internet, di telefonia cellulare. In generale questo capitolo è una rassegna degli


aspetti tecnologici del problema. Dato il carattere di questo testo, mi limiterò ai concetti senza entrare in dettagli tecnici; il lettore interessato può ricorrere alla vasta letteratura esistente su Internet e sulle reti in generale. - Il Capitolo 5 è un’introduzione al World Wide Web, cioè al principale strumento mediatico accessibile attraverso Internet. Partendo dal concetto di ipertesto vedremo come tale concetto venne tradotto in termini concreti, all’inizio degli anni ’90, per diventare infine lo strumento che conosciamo. Accennerò alla tecnologia del Web, sempre a livello introduttivo. - Nel Capitolo 6 si parlerà dei contenuti del Web di oggi (tipologie generali di siti, meccanismi di interazione tra siti e utenti, e così via). È la parte del testo più facilmente soggetta a cambiamenti, ed è ragionevole pensare che nel giro di poco diventi obsoleta; il lettore è invitato a tenerne conto. - Il Capitolo 7 è dedicato a un aspetto tecnico, ma tuttavia affascinante e soprattutto essenziale per comprendere la vera natura di Internet e del Web. Parlo della struttura di tali reti. Ci sono moltissimi aspetti che riguardano il modo corretto di operare sul Web che non possono essere inquadrati senza comprendere come è fatta la rete dal punto di vista geometrico (quale strategia occorre adottare per promuovere un prodotto? Come mai i miei post su Facebook non sembrano avere successo? E così via). Si tratta di un tema molto complesso, e anche largamente studiato oggi nelle università e nelle aziende. - Il Capitolo 8 è una carrellata sugli aspetti più critici della rivoluzione dei nuovi media dal punto di vista culturale. Moltissime abitudini e comportamenti comuni a livello sociale stanno cambiando con grande rapidità, per via della disponibilità della rete. Per molti versi la rivoluzione di Internet rappresenta la svolta culturale più drammatica che la nostra specie abbia affrontato nel corso della sua storia. - Il Capitolo 9 affronta il tema del condizionamento mediatico sull’opinione. Si parlerà di come, anche da questo punto di vista, i nuovi media sembrano essere una svolta fondamentale, i cui esiti finali non sono ancora del tutto prevedibili. - Il Capitolo 10 è dedicato a un altro aspetto specifico di enorme importanza, e cioè quello dei media intesi come serbatoi di conoscenza. È un problema della massima rilevanza per il mondo di oggi, in cui le antiche professioni (operaio, contadino) sono sempre più spesso sostituite da attività che richiedono un accesso rapido alle


informazioni. Vedremo come i nuovi media stanno, almeno in parte, fornendo una risposta a questa fondamentale esigenza sociale. - Il Capitolo 11, infine, tratta degli effetti che l’esplosione dei nuovi media ha avuto nel mondo aziendale. Si parlerà delle intranet, ma anche di come i nuovi paradigmi comunicativi stanno modificando in modo significativo la cultura e l’organizzazione delle aziende.

2. I media, in generale Il ‘900 è stato caratterizzato, tra le altre cose, da un aumento vertiginoso nel numero e nell’importanza sociale e culturale dei canali mediatici. Questo fenomeno è indissolubilmente legato all’impressionante crescita di conoscenze scientifiche che ha caratterizzato gli ultimi tre secoli di storia. Le ricadute tecnologiche di questa crescita sono alla base della proliferazione dei mezzi comunicativi disponibili. Nel corso della sua evoluzione, la specie umana non ha fatto che cercare di estendere le proprie capacità comunicative. L’apice di questo processo è stato raggiunto negli ultimi decenni del ‘900 a seguito della cosiddettarivoluzione informatica, per certi versi l’evento più spettacolare di cui esista una traccia documentale. In generale si usa il termine media tradizionali per intendere tutti i media che erano in uso all’alba della rivoluzione informatica stessa (inizio degli anni ottanta), mentre si parla di nuovi media in riferimento ai mezzi di comunicazione di massa in qualche modo derivanti dalla diffusione del computer e delle reti di computer. Si tratta dunque di uno sviluppo recentissimo: l’uso di Internet ha cominciato a diventare comune non prima della metà degli anni novanta, e solo dopo l’invenzione del Web [1]. Alcuni degli aspetti mediatici della rivoluzione informatica meritano di essere sottolineati. Innanzi tutto il fatto che l’uso mediatico del computer ha creato mezzi di comunicazione di massa di tipi del tutto nuovi rispetto a qualsiasi forma comunicativa precedente. Si pensi ai forum, alle chat, ai social network. A questi bisogna aggiungere i servizi che sono diventati disponibili a seguito della ricaduta tecnologica dell’informatica sulla telefonia. Il telefono cellulare non è semplicemente un modo diverso di effettuare chiamate, ma comporta la possibilità di usare strumenti che prima erano sconosciuti, come gli SMS e i MMS. Computer e telefono cellulare hanno trovato il loro connubio naturale negli smart phone, con il risultato di generare un’esplosione combinativa di nuovi media di cui ancora non si vede la fine.


Un altro aspetto fondamentale dei nuovi media è la loro globalità, così evidente da far pensare che il successo strabiliante di Internet si debba, almeno in parte, alla sua nascita in un mondo già globalizzato, dal punto di vista economico e culturale. Come se questo mondo globale non attendesse altro che un veicolo di scambio capace di infrangere qualsiasi barriera politica. Nel navigare il Web non ci accorgiamo neppure se un certo sito è in America, in Europa o in Australia. La domanda è quasi priva di senso [2]. L’unico ostacolo che permane è quello della lingua. La diffusione ormai capillare dell’inglese come lingua franca in occidente ha finito col creare alcuni super-continenti linguistici, in particolare quello occidentale, quello russo, quello giapponese e quello cinese. Un terzo aspetto critico è legato alla possibilità di interagire con i nuovi media in modo attivo e non solo passivo. Il lettore di un giornale o il telespettatore non hanno modo di interferire con i messaggi che vengono loro proposti. Viceversa l’utente del Web è sempre di più un creatore di contenuti. La natura stessa del mezzo sembra esaltare tutti gli apporti “dal basso”, con conseguenze a volte spettacolari (basterebbe citare la primavera araba, che secondo la maggior parte degli osservatori ebbe successo anche grazie alla disponibilità dei nuovi mezzi di comunicazione). I nuovi media vivono in simbiosi con i media tradizionali, ne vengono influenzati e a loro volta li influenzano. Il giornale viene letto sempre di più attraverso il Web, il libro si sta trasformando in eBook, lo streaming è ormai una modalità del tutto usuale per vedere un film, le radio online proliferano. Questa trasformazione sta creando una sfida (e un’opportunità) gigantesca per tutti coloro che operano nel mondo mediatico. I media tradizionali devono per forza adattarsi al nuovo veicolo, anche modificando in modo radicale i loro stessi modelli di business. I nuovi media, come si è detto, sono un portato dello sviluppo vertiginoso del computer avvenuto nel corso degli anni ottanta del novecento. A loro volta, essi hanno generato effetti non piccoli sull’evoluzione dell’hardware e del software. A parte il già citato connubio tra Internet e telefono cellulare, sta cambiando radicalmente il modo stesso in cui utilizziamo il computer. Sempre più spesso le applicazioni di cui ci serviamo non risiedono sui nostri dischi rigidi, ma sono accessibili dalla rete (cloud computing). Questo comporta cambiamenti importanti per gli utenti, che non devono più installare programmi o inseguire nuove release, ma anche per le case produttrici, sia dal punto di vista del ciclo di vita del software sia da quello dei modelli di business.


I mezzi di comunicazione di massa

L’uso del termine mass-media per indicare i classici canali di comunicazione pubblicitaria, radiotelevisiva e giornalistica è entrato nell’uso in modo massiccio, almeno in Italia, a partire dagli anni cinquanta del novecento. L’espressione era di origine americana, e nella sua accezione originale (mezzi di comunicazione dimassa) conteneva una certa sfumatura classista. La società postbellica era ancora fortemente stratificata. Diplomati e laureati costituivano solo una piccola frazione di una popolazione ancora prevalentemente operaia e contadina: dal 1945 a oggi i tassi di scolarizzazione nel nostro paese sono aumentati di quasi cinque volte [3]. I mass-media erano visti soprattutto come strumenti di manipolazione delle opinioni, in senso culturale e consumistico, manipolazione resa possibile dalla diffusa ignoranza della gente, vera o presunta che fosse. L’intellettuale, il medico, l’avvocato, giudicavano dall’alto della loro cultura universitaria le masse condizionate dalla propaganda, e il pubblicitario (mestiere che vide un’enorme espansione alla metà del novecento) diventava una sorta di pifferaio magico, capace di trascinare la gente (le masse, appunto) all’acquisto di ogni tipo di bene. La tecnica della persuasione venne analizzata in innumerevoli saggi di cui il più famoso resta quello di Vance Packard [4], un autentico best seller della sua epoca. Si faceva strada nell’opinione di intellettuali, sociologi e politici la consapevolezza dell’immenso potere che derivava loro dall’uso dei media come strumenti di controllo dell’opinione. Dagli anni cinquanta del novecento a oggi l’immagine dei media sembra essersi modificata in modo drastico. Mass-media è diventato semplicemente media [5]. La sfumatura classista è scomparsa, mentre è cresciuto il numero dei canali considerati di tipo mediatico. Non solo la radio, la televisione, la stampa e la pubblicità sono oggi incluse nella grande famiglia dei media, ma anche il telefono, la posta, gli SMS, il web, le chat su Internet. Le definizioni del termine sono numerose. Qui mi atterrò a quella fornita da Barbier e Bertho Lavenir, per i quali un medium deve essere inteso come: “...ogni struttura socialmente istituita per comunicare e quindi, per estensione, il supporto di questa comunicazione” [6]. Più avanti tornerò sui significati non banali impliciti in questo modo di definire i media. Per il momento vorrei notare che l’aspetto fondamentale di questa definizione è l’uso del termine socialmente istituita. È l’utilizzo sociale che trasforma


uno strumento di comunicazione in un medium. Tale utilizzo si esercita a qualsiasi livello, da quello interpersonale a quello di un’intera nazione, o addirittura dell’intero pianeta. Il fatto che la definizione non si riferisca a una scala precisa di aggregazione umana permette di estendere la nozione di medium anche ad ambiti che fino a non molto tempo fa non sarebbero stati considerati propriamente mediatici. Per esempio una intranet (se ne parlerà nel Capitolo 11) raggiunge per definizione solo ed esclusivamente il personale afferente a una determinata struttura: un’azienda, un ente pubblico ecc. Tuttavia la intranet deve essere considerata a buon diritto un veicolo mediatico. Anche il supporto della comunicazione, lungi dall’essere un mero accidente, è fondamentale da diversi punti di vista. Il supporto può ammettere o non ammettere messaggi di differenti lunghezze e complessità. Supporti diversi hanno durate diverse, e permettono quindi la conservazione dei messaggi stessi per tempi variabili. I supporti possono essere più o meno costosi, dunque più o meno accessibili a tutti. I miglioramenti tecnici dei supporti mediatici sono stati spesso punti di svolta di enorme importanza nella storia. Il papiro è più maneggevole delle tavolette di creta; la pergamena ammette (a differenza del papiro) che se ne possano fare libri; la carta costa meno della pergamena; i supporti digitali permettono risparmi di spazio enormi rispetto alla carta, e non richiedono la manipolazione di oggetti fisici. La storia dei media è caratterizzata da un aumento sistematico della richiesta di strumenti mediatici, dal corrispondente aumento nel numero e nella complessità dei messaggi trasmessi, e dalla ricerca continua di supporti in grado di sostenere tale aumento. Nel corso di questa storia si sono verificati alcuni eventi critici, come appunto la disponibilità di supporti elettronici, che hanno permesso autentiche rivoluzioni nella natura e nel significato stesso dei media. Caratteristiche generali dei media

Qualsiasi messaggio può avere contenuti espliciti o impliciti. Spesso queste due tipologie di contenuto sono mescolate insieme in modo inestricabile. Per contenuto esplicito intendo ciò che viene percepito direttamente, o ciò che risulta direttamente intelligibile nel messaggio stesso. Se su un giornale appare il titolo: “Il presidente Rossi inaugura un nuovo teatro a Roma”, esso rimanda evidentemente a una notizia oggettiva, a un fatto. Se un altro giornale titola: “Mentre crolla la borsa il presidente Rossi inaugura un nuovo teatro a Roma”, non c’è dubbio che il titolo rimandi a due fatti; tuttavia la loro giustapposizione non può che suonare ironica al lettore, e


suggerire che Rossi si curi di inezie trascurando i gravi problemi del paese. L’ironia è del tutto implicita. Tutto l’impianto mediatico di oggi si basa sulla trasmissione di contenuti sia espliciti che impliciti; questi ultimi sono a volte estremamente sottili e studiati ad arte per influire su persone o gruppi sociali. Per esempio, la scelta dello spazio assegnato a una notizia su un giornale sottolinea implicitamente l’importanza che deve essere assegnata al fatto stesso. Esistono oggetti che trasmettono solo messaggi impliciti. Si pensi alla statua della Libertà nel porto di New York. Essa rappresentava visivamente al viaggiatore in arrivo lo spirito della nazione che lo avrebbe ospitato (oggi la gente tende ad arrivare a New York in aereo, e il messaggio trasmesso dalla statua della Libertà è meno rilevante). La cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze venne eretta (anche) per significare lo stato di ricchezza, prosperità e potenza della Firenze rinascimentale. Eccetera. Dal punto di vista della modalità comunicativa, dobbiamo distinguere tra: - Comunicazione uno-a-uno: è il tipo di comunicazione che avviene tra singole persone. Riferendoci alla definizione di Barbier e Bertho Lavenir, ogni strumento che consenta di estendere la comunicazione interpersonale al di là della semplice trasmissione orale deve essere considerato un medium. Rientrano quindi in questa categoria la posta, il telefono, le chat, gli SMS ecc. - Comunicazione uno-a-molti: il messaggio viene generato da un’entità (persona, gruppo di persone, redazione...) e raggiunge più utenti contemporaneamente, come nel caso della radio, della televisione, dei giornali o di un sito Web [7]. - Comunicazione molti-a-molti: è la tipica modalità comunicativa che si realizza negli spazi virtuali creati dalle nuove tecnologie: chat (aperte), gruppi di discussione, forum ecc. Nel seguito si parlerà a lungo delle implicazioni di questa novità. La comunicazione uno-a-molti rappresenta la modalità più rilevante nel mondo dei media tradizionali, al punto che nel linguaggio comune un medium è quasi sempre inteso in questo senso (giornali, televisione, radio, pubblicità). Esso comporta la diffusione di idee, conoscenze, valori, ma anche di credenze non dimostrabili, o perfino di menzogne. Si pensi ai documentari del III Reich che ci mostrano Hitler ed Eva Braun “simpaticamente” in vacanza sui monti della Baviera, o alle immagini di Stalin in cui il dittatore appare bello e rassicurante, un uomo del popolo che esprime


naturalmente tutta la forza della saggezza popolare. Due esempi in cui il messaggio implicito è di enorme importanza. Un’altra distinzione fondamentale è quella tra comunicazione sincrona easincrona. Per comunicazione sincrona si intende quella che richiede la presenza attiva di due o più interlocutori nel corso della comunicazione stessa. Per esempio il telefono o la chat. La modalità asincrona è quella tipica della posta: nel momento in cui ricevo un messaggio, posso decidere di rispondere subito oppure posticipare la risposta. I media e i loro utenti

Un medium può essere gratuito o a pagamento. Giornali e riviste sono tipicamente a pagamento; molti canali televisivi richiedono un abbonamento mentre altri sono liberi. Si è discusso a lungo all’inizio del decennio sul fatto che Internet dovesse restare un canale gratuito o meno. Attualmente di fatto non lo è, nel senso che se si vuole disporre di un’ampiezza di banda sufficiente per gli scopi pratici è ormai inevitabile ricorrere a un provider (che si farà certamente pagare). Tuttavia la tariffa associata permette di connettersi all’intera rete Internet, e non riguarda i singoli siti che rimangono sostanzialmente gratuiti (con le dovute eccezioni). Il fatto che un medium sia a pagamento o no è di estrema importanza da almeno due punti di vista. Il primo è legato alla proattività della fruizione dei messaggi mediatici da parte dell’utente. Nel momento in cui compro un giornale, o mi abbono a un servizio televisivo a pagamento, compio una scelta precisa. Viceversa, l’informazione che mi viene da un manifesto pubblicitario o da una trasmissione radiofonica gratuita non è una mia scelta: esiste come se fosse parte del paesaggio culturale che mi circonda [8]. Su usano spesso i termini inglesi pull e push per denotare questi due tipi di informazione. È chiaro che l’informazione di tipo pull (proattiva) fa parte dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Ciascuno di noi ha diritto di scegliere se vuole leggere il Corriere della Sera o il Giornale; personalmente ritengo che questo diritto sia inalienabile. L’informazione di tipo push (passiva), viceversa, ci trasforma almeno in parte nell’equivalente mediatico dei cani di Pavlov. Essa esercita una continua pressione sul nostro modo di comprendere il mondo, pressione rispetto alla quale non abbiamo difese [9]. Il secondo aspetto è quello legato alla possibilità del medium stesso di autofinanziarsi. Qualsiasi medium comporta una struttura, più o meno complessa, che lo supporti. Tale struttura difficilmente può essere implementata a costo zero; ne segue che, a parte casi particolari, i media hanno bisogno di garantirsi introiti


adeguati per sopravvivere. I media a pagamento possono pensare di far pagare agli utenti i costi di gestione. Questo non è possibile per i media gratuiti, che sopravvivono essenzialmente vendendo spazi pubblicitari. Qui si pone il fondamentale problema della audience. Con questo termine si intende di solito l’ampiezza dell’utenza (numero di utenti) raggiunta da un medium. Si parla invece di share per intendere la quota (percentuale) di utenti potenziali raggiunta da un certo medium nel contesto di un determinato strumento mediatico. Se in una certa serata un certo programma di RAI 1 ha avuto il 20% di share, questo significa che il 20% dei telespettatori che in quel momento avevano il televisore acceso erano sintonizzati su RAI 1. Se si pensa che in prime time (cioè nella fascia oraria dalle 20.30 alle 23.00) la audience televisiva in Italia è di circa 26 milioni di telespettatori [10], questo significa che, nel nostro esempio, 5,2 milioni di persone stavano guardando RAI 1 [11]. Uno spazio pubblicitario è tanto più prezioso quanto maggiore è la sua audience, e quanto più il medium che lo trasmette può garantire un elevato share. Un canale televisivo nazionale ha una audience potenziale enormemente maggiore di uno locale [12]; di conseguenza è in grado di far pagare prezzi molto più alti per gli spazi pubblicitari. Ci sono due tipologie di media che sostanzialmente fanno eccezione, e possono permettersi di ignorare il problema della audience (almeno entro certi limiti e solo per quanto riguarda agli aspetti economici): - Media gestiti da organizzazioni private senza scopo di lucro, il cui obiettivo è essenzialmente quello di diffondere determinate idee e conquistare simpatizzanti. Si pensi a strutture come Greenpace o Amnesty International, che si sobbarcano i costi dei rispettivi giornali e siti web grazie a campagne di sottoscrizione libere e al denaro proveniente da sponsor. - Media pubblici, come le televisioni di stato. Qui il discorso è complesso. Radio e televisione, come vedremo, sono nate essenzialmente come strutture pubbliche, e successivamente sono state privatizzate. Oggi le strutture pubbliche che fanno broadcasting sono affiancate da strutture private in tutto il mondo libero. In Italia permane la RAI, ma con caratteristiche piuttosto peculiari. La RAI fa pagare da sempre un canone di abbonamento, che tuttavia è considerato in Italia come una tassa. Tuttavia, i costi di gestione della struttura non potrebbero essere sostenuti con i semplici introiti del canone; questo fa sì che la televisione pubblica sia costretta a


fare pubblicità. Ne segue che anche la RAI è interessata allo share. Questo fatto genera una sorta di anomalia. La logica della televisione pubblica dovrebbe essere quella di un servizio, non di un business; ma nel momento in cui entra in gioco lo share, la logica di business è destinata a prevalere in modo inesorabile. Dal punto di vista del servizio, per esempio, occorrerebbe badare alle nicchie di utenza. Se esiste una fetta di ascoltatori appassionati della lirica, costoro avrebbero diritto di ascoltare (saltuariamente, s’intende) opere liriche in prima serata senza interruzioni pubblicitarie. Tuttavia una simile scelta farebbe evidentemente crollare lo share. Fino alla metà degli anni ’80 questa è stata precisamente la politica dell’emittente radiotelevisiva pubblica. Le interruzioni pubblicitarie non esistevano, la pubblicità era relegata in appositi spazi, tipicamente in prime time. Si potevano vedere sui canali RAI film da cineteca, opere liriche, trasmissioni culturali di varia natura. Dal momento in cui la RAI è entrata in competizione con le emittenti private, questa natura di servizio è stata eclissata dalle logiche di business, e i palinsesti della RAI attuale non sembrano molto diversi da quelli di qualsiasi altro network privato. Se si misura il valore di un medium sulla base della audience (per lo meno potenziale), è evidente che Internet rappresenta una novità di grande rilievo. Gli utenti di Internet sono infatti potenzialmente tutti gli abitanti del mondo. L’unico aspetto che vincola l’ampiezza di Internet come canale mediatico è, come si è detto, l’ostacolo della lingua. Anche dal punto di vista dei costi Internet rappresenta una novità di rilievo. Le strutture necessarie ai media tradizionali sono di solito costose (o molto costose, come quelle dei network televisivi nazionali); viceversa, la costruzione di un sito web può essere affrontata oggi con costi ridottissimi o addirittura nulli (si veda il Capitolo 8). La audience può essere limitata da diversi fattori. - L’utenza raggiungibile deve disporre dei mezzi fisici per recepire il messaggio. Se non possiedo una radio il messaggio radiofonico è per me irraggiungibile. Questa constatazione è meno ovvia di quello che può sembrare. Negli anni ’50, all’epoca in cui cominciò ad entrare nelle case, la televisione costituiva un oggetto costoso e non alla portata di tutti. Per diverso tempo il possesso di un televisore venne percepito come uno status symbol che caratterizzava i benestanti, tutti gli altri erano tagliati fuori dal messaggio. L’abbassamento dei costi e l’aumento del benessere in Italia cambiarono la situazione, e alla fine degli anni ’60 la televisione era ormai in tutte le


case. Questo fatto ampliava enormemente la audience, quindi il valore economico degli spazi pubblicitari televisivi. Questa è una delle ragioni per cui la pubblicità, quasi inesistente nelle trasmissioni televisive degli esordi, ha acquistato col tempo un peso enorme. - Il secondo fattore in grado di limitare lo share è la fruibilità culturale del medium. Per quanto riguarda i media tradizionali, la diffusione del libro è stata ostacolata, in epoche passate, dal basso grado di alfabetizzazione (oltre che dagli alti costi). Un discorso analogo si potrebbe fare a proposito dei nuovi media. L’accesso a Internet comporta una certa familiarità con il computer, che è uno strumento relativamente nuovo: la sua diffusione capillare è cominciata all’inizio degli anni ’80 del ‘900. Molte persone sono oggi tagliate fuori dal mondo dei nuovi media semplicemente per motivi di età. Si tratta di gente che, formatasi in un’epoca in cui il computer non esisteva, trova culturalmente complesso accedere allo strumento [13]. Ancora sulla definizione di medium

Un merito fondamentale della definizione di Barbier e Bertho Lavenir è quello di mettere in evidenza in modo implicito la distinzione fondamentale tra conoscenza individuale e conoscenza culturale; quest’ultima trova il suo supporto fondamentale proprio nella comunicazione, e quindi nei canali comunicativi che la specie umana ha creato nel corso della sua storia. Il tema della conoscenza in senso culturale verrà ripreso nel Capitolo 10. Qui vorrei limitarmi a un’unica considerazione. Il problema della superiorità dell’uomo sul mondo naturale è stato lungamente dibattuto nella storia del pensiero. Per secoli tale superiorità è stata ammessa senza discussioni. Negli anni sessanta del novecento, tuttavia, è diventato di moda l’atteggiamento opposto: quello di considerare l’uomo come un componente qualsiasi del regno animale [14]. Senza voler entrare nel merito di una discussione che in questa sede non ci riguarda, vorrei limitarmi a qualche constatazione oggettiva. - Siamo l’unica specie animale che non abbia nemici naturali che non riesce a contrastare [15]. Pur non essendo biologicamente al vertice della catena alimentare, siamo riusciti a imporci su tutti gli altri abitanti di questo pianeta. - Non c'è quasi più angolo del nostro mondo che non sia stato adattato alle nostre esigenze. È possibile viaggiare per migliaia di chilometri sulla superficie della Terra senza incontrare che poche vestigia dell'ambiente selvaggio che la caratterizzava fino


a qualche migliaio di anni fa. Abbiamo invaso i cieli, e stiamo invadendo perfino le profondità marine. - Diverse specie animali utilizzano strumenti per realizzare i propri fini. Gli uomini, tuttavia, sono gli unici esseri viventi che non si limitano all’uso di oggetti inanimati, come sassi o bastoni, ma che li modificano per renderli più adatti ai loro scopi. In qualche modo sembra oggettivo constatare che esiste uno stato privilegiato dell’uomo nel contesto del mondo naturale, al di là delle giustificazioni (mistiche, filosofiche o ideologiche) che si vogliono dare a questo fatto. Questo stato può essere spiegato semplicemente notando come la nostra specie sia riuscita a generare culture, senza dubbio in misura maggiore di qualsiasi altra specie animale. Se consideriamo lo sviluppo della specie umana per come esso emerge dalle tracce fossili e, in età più tarde, dalla storia scritta, ci rendiamo conto che il dominio del mondo è stato acquistato in modo graduale, attraverso una serie continua di progressi tecnologici e organizzativi. Questi progressi sono essenzialmente basati su un processo di capitalizzazione delle conoscenze. Una volta acquisita la tecnica di fusione del bronzo, del ferro, o quella della costruzione di bussole e orologi, tali conoscenze non rimanevano semplicemente a disposizione dell’individuo o del piccolo gruppo di individui che le aveva raggiunte, ma diventavano patrimonio dell’intera umanità. D’altra parte, è evidente che questa capitalizzazione è possibile solo in virtù delle nostre capacità comunicative: la nostra vera forza è la comunicazione. Si può ritenere che la specie umana abbia passato una soglia, legata a diversi aspetti (sviluppo del cervello, abilità manuale, socialità) ma principalmente allo sviluppo del linguaggio, che le ha permesso di creare delle entità culturali [16]. Sono queste entità che dominano il mondo. Malgrado la nostra notevole intelligenza individuale, ciascuno di noi, senza il supporto della cultura di cui fa parte, sarebbe nascosto in qualche grotta cercando di difendersi dai predatori. Se è vero che la ragione del nostro predominio sul mondo è strettamente legata alla capacità comunicativa, allora le strutture socialmente istituite per comunicare inevitabilmente acquistano un nuovo significato. L’analisi del ruolo e della natura dei media, partita dalla pubblicità, dalla televisione, da sviluppi prettamente contemporanei, si riferisce in realtà a uno dei driver fondamentali dell’intero percorso umano.


3. Brevissima storia dei media In questo capitolo cercherò di delineare il quadro generale dello sviluppo storico che ha portato all’esplosione mediatica del novecento, fino all’alba della rivoluzione informatica. La trattazione è a livello introduttivo, e ha solo lo scopo di fornire un riferimento per le parti che seguono, più specifiche nel merito dei cosiddetti nuovi media. Il lettore interessato in particolare alla storia dei media può ricorrere a uno dei numerosi testi in circolazione dedicati all’argomento. Fino all’esplosione mediatica che ha caratterizzato gli inizi del novecento, gli unici media (con contenuti espliciti) esistenti erano basati sull’uso della scrittura, che nacque per la prima volta in Mesopotamia intorno al 3.500 a.C. È questo l’aspetto di cui ci occuperemo per prima cosa. Le caratteristiche generali dello sviluppo mediatico di questo lunghissimo periodo possono essere così riassunte: - Tendenza alla semplificazione: la scrittura egizia o quella cuneiforme mesopotamica richiedevano anni di studio per essere apprese. Il passaggio alle cosiddette scritture fonetiche comportò un’enorme semplificazione tecnica, al punto che oggi è possibile insegnare a leggere e scrivere ai bambini in età scolare senza difficoltà. - Evoluzione dei supporti: come si è già notato, il passaggio dalle tavolette di creta al papiro, alla pergamena e infine alla carta ha reso il libro non solo più comodo, più maneggevole e più facilmente trasportabile, ma anche (soprattutto) più economico. - Aumento dell’alfabetizzazione (in larga misura legato agli altri due aspetti): è stato un processo quasi continuo, dall’alba della scrittura ai giorni nostri, anche se si sono verificati passi indietro, come l’aumento dell’analfabetismo che ha caratterizzato il nostro medio evo. Nel mondo di oggi, almeno nei paesi ricchi, l’analfabetismo riguarda solo una piccola percentuale della popolazione. Per quello che si è detto nell’introduzione, questo significa che la audience potenziale di un medium basato sulla scrittura coincide ormai con la maggior parte della specie umana, a parte le barriere linguistiche.

Dalla scrittura al libro La scrittura garantiva la diffusione della comunicazione e insieme la possibilità di una memoria storica, collettiva [17]. Si tratta di uno sviluppo complesso, con caratteristiche tecniche non banali, al punto che quest'invenzione non si è


probabilmente verificata in modo autonomo più di cinque volte nella storia umana. Gli inventori della scrittura sono stati solo i mesopotamici, gli egizi e gli abitanti della valle dell’Indo (più o meno nella stessa epoca), i cinesi e i Maya. Tutte le altre popolazioni hanno per così dire reinventato la scrittura, basandosi sull'esempio di popolazioni che la conoscevano già [18]. La scrittura nasce come mero espediente pratico. Louis Godart ha analizzato il processo avvenuto nell'antica Creta, per come esso è testimoniato dalla stratigrafia dei reperti archeologici [19]. Anche se non possediamo una documentazione così completa per i mesopotamici, è presumibile che lo sviluppo sia avvenuto in modo simile. I primi esempi cretesi sono sigilli impressi nell'argilla, che per lo più non veniva cotta. Lo scopo dei sigilli era semplicemente quello di marcare il contenuto di vasi e recipienti. Malgrado la loro semplicità, i sigilli rappresentavano una barriera che, una volta saltata, comportava uno sviluppo molto rapido. Nei reperti mesopotamici si passa rapidamente dall'assenza totale di tracce scritte a una scrittura già formata, capace di esprimere concetti e idee. Le prime scritture erano ideografiche. Un ideogramma è un simbolo capace di descrivere da solo un intero concetto. Esempi di ideogrammi comunemente usati anche da noi sono: - Le cifre numeriche; il simbolo "1" si legge uno in italiano, one in inglese, un in francese, eccetera, ma il concetto cui rimanda è del tutto universale, e non dipende dalla lingua. - I segnali stradali; ad esempio il segnale di divieto di sosta rimanda al concetto che, in quel luogo, è vietato parcheggiare; esso è decifrabile con la stessa facilità da un bulgaro e da un finlandese. - I simboli usati nelle chat e a volte nelle e-mail (detti smiley, o emoticon) per indicare stati d'animo, come J, L, ecc. L'uso degli ideogrammi comporta vantaggi e svantaggi. Il vantaggio principale sta, come si è detto, nella loro universalità. Per esempio, la scrittura cuneiforme inventata nella Mesopotamia del 3000 AC riuscì, nei due millenni successivi, a veicolare lingue diversissime tra loro, come il sumerico, l'accadico e l'ittita [20]. Lo svantaggio principale sta nel grande numero di simboli diversi di cui una scrittura ideografica deve poter disporre.


Un diffuso luogo comune consiste nel ritenere che le scritture mesopotamica o egizia fossero basate solo su ideogrammi. Se si prova a immaginare una scrittura completamente ideografica, ci si accorge rapidamente che essa non è possibile. Ci servirebbe, tanto per dirne una, un simbolo diverso per denotare ciascun abitante del pianeta (come distinguo Mario da Luigi?). In realtà queste scritture mescolavano simboli ideografici e segni fonetici, un po' come fa la scrittura cinese contemporanea. Una scrittura fonetica adotta i simboli necessari per trascrivere i suoni della lingua che deve veicolare. Questa operazione comporta una perdita di universalità (la parola tre è incomprensibile a un finlandese che non sappia l'italiano, mentre il simbolo 3 gli è perfettamente chiaro) a vantaggio, come si è detto, di una semplificazione enorme. Storicamente sono stati adottati due diversi stili di scrittura fonetica: - La scrittura sillabica, in cui ogni segno rappresenta una sillaba diversa. Questo tipo di scrittura venne adottato nell'antica Creta, circa 2000 anni prima di Cristo, per veicolare la lingua (tuttora ignota) del popolo minoico, e venne ripreso dai micenei per veicolare la loro lingua, che era una variante arcaica del greco. La scrittura micenea è detta lineare B. - La scrittura alfabetica, in cui ogni segno rappresenta un suono elementare. I suoni distinti che possono essere emessi dal nostro apparato vocale sono pochi (qualche decina); la scrittura alfabetica rappresenta quindi quella più semplice possibile, se intendiamo il numero di simboli come una misura di semplicità. La prima scrittura alfabetica fu inventata dai fenici, per esigenze strettamente pratiche legate al commercio. Essa venne ripresa dagli elleni all'alba della loro civiltà (circa 800 AC). Gli elleni furono costretti a effettuare qualche modifica: i fenici parlavano una lingua semitica, per le cui esigenze erano sufficienti i simboli necessari per scrivere le consonanti; dobbiamo agli antichi greci l'invenzione delle vocali. Lo stesso stile di scrittura fu adottato dalle popolazioni italiche, come gli etruschi e i romani. Questi ultimi utilizzarono un alfabeto ricavato direttamente da quello ellenico. La conquista del mondo antico operata dai romani trasformò l'alfabeto latino nel principale veicolo di scrittura usato in occidente. A parte le lingue orientali, la scrittura alfabetica latina (con l'aggiunta delle minuscole, che furono introdotte nel medio evo) è oggi la più utilizzata in tutto il mondo occidentale, con l'eccezione della Grecia, che usa ancora l'alfabeto degli antichi elleni (con poche modifiche), e della


Russia (con qualche appendice ortodossa, come la Bulgaria) che usa il cirillico, un alfabeto inventato in età medievale per le specifiche esigenze di una lingua slava. Arnold Toynbee è stato uno dei pochi che abbiano osato affrontare un'operazione che, anche se non lo dicono, sarebbe il sogno di ogni storico: individuare le leggi della storia, o per lo meno le costanti che appaiono manifestarsi nello sviluppo delle civiltà [21]. Un aspetto che Toynbee ha messo in evidenza è il fatto che le primissime civiltà umane si sono sviluppate spesso intorno a grandi fiumi: il Tigri e l'Eufrate nel caso della cultura mesopotamica, il Nilo per quella egizia, l’Indo, il fiume Giallo in Cina. Non è tanto importante l'esattezza assoluta di questa affermazione (per esempio, non mi risulta che il fiume sia un elemento territoriale così importante nel caso delle prime culture andine). Tuttavia, l'argomento di Toynbee merita di essere riportato. Secondo questo storico, il problema non è solo nella possibilità, garantita dal fiume, di spostare in modo rapido ed efficiente uomini, animali, materie prime e manufatti. Il fiume rappresenta una sfida; una grande opportunità che, per essere sfruttata, impone un salto di qualità tanto tecnologico quanto organizzativo. Le civiltà mesopotamica ed egizia, da questo punto di vista, rappresentano esempi paralleli. In entrambi i casi, il fiume costituiva, in potenza, un elemento benefico d'immensa portata. Tuttavia le alluvioni periodiche che avvenivano al di fuori del controllo dell'uomo erano gravemente dannose. Prima delle opere di canalizzazione effettuate dai sumeri la regione del Tigri e dell'Eufrate era un acquitrino incoltivabile, e la piena del Nilo si limitava a rendere inutilizzabili i campi per tutta la sua durata. Mesopotamici ed egizi vennero a capo del problema con uno sforzo d'ingegneria che ha del miracoloso, se si pensa all'epoca estremamente arcaica in cui avvenne. Entrambe queste popolazioni costruirono reti di canali che permettevano di imbrigliare la forza del fiume, trasformando un evento dannoso (la piena) in uno strumento fondamentale per l'irrigazione dei territori aridi in cui vivevano. Quello che Toynbee fa notare, è che lo sforzo tecnologico doveva per forza essere supportato da un salto di qualità organizzativo. La costruzione, ma anche la manutenzione, dei canali richiedevano un autorità centrale riconosciuta che si fondasse non sul fascino mistico dello stregone, ma su precise nozioni tecniche. Il controllo dei fiumi poteva quindi avvenire solo in presenza di un organizzazione pubblica che, in qualche forma, fosse già moderna. È ragionevole pensare che le esigenze di una tale organizzazione abbiano costituito uno stimolo molto forte all’invenzione della scrittura.


Il libro nell’età antica

Il libro è racconto, evocazione d'immagini, ricordo, ma anche fonte di conoscenza organizzata, a volte perfino guida spirituale. Intendo parlare del libro nella sua accezione più vasta, dalla novella di poche pagine all'Enciclopedia Britannica, da quello scritto sulla roccia a quello in formato elettronico che potete scaricare da Internet. Eppure agli uomini occorsero secoli per rendersi conto del potere immenso della scrittura, quello che le permetteva di tradursi in libro. Il primo esempio noto di libro nel senso di storia narrata è la saga mesopotamica di Gilgamesh. I più antichi frammenti che ci rimangono di questo racconto risalgono al terzo millennio a.C., anche se la saga, nella sua redazione finale, è babilonese (settimo secolo a.C.) [22]. Dall'invenzione della scrittura alla scoperta che la scrittura stessa può veicolare il racconto passano almeno cinquecento anni. Prima di questo periodo, a meno che le tracce che ci rimangono siano molto lacunose, la scrittura sembra essere stata usata prevalentemente come espediente pratico, per classificare e inventariare beni. Il passaggio dalle scritture ideografiche a quelle fonetiche, fino alla scrittura alfabetica fenicia e poi greca, è caratterizzato, come si è già detto, dalla progressiva semplificazione del mezzo. Ciò comportava un salto di qualità potenziale dal punto di vista dell’alfabetizzazione, salto che si realizzò per la prima volta nella Grecia classica. Questa trasformazione si accompagnò a una proliferazione di generi, oltre che di scrittori e di lettori. Lo sviluppo del libro nella civiltà ellenica fu ampio quanto gli interessi poliedrici di quella cultura. Oltre che essere i padri della filosofia e della matematica in senso moderno, oltre ad averci tramandato opere d'arte che ci stupiscono per la loro perfezione, gli Elleni hanno inventato tutti i principali generi del libro, quelli con cui ci confrontiamo ancora oggi. - Nel teatro, la tragedia (Eschilo, Sofocle, Euripide) e la commedia (Aristofane). Malgrado che a noi appaia estremamente colto e raffinato, il teatro greco era un genere popolare, e le rappresentazioni erano seguite dall'intera cittadinanza. - La poesia, sia quella epica (Omero), sia quella lirica (Alceo, Saffo, ...). - Il romanzo, anche se non con la potenza espressiva che ci potremmo aspettare (Luciano di Samosata). - Il saggio storico, di cui Tucidide fu maestro e modello per secoli.


- Il saggio filosofico (i dialoghi di Platone sono un esempio di grande letteratura, oltre che di grande filosofia). - Il saggio scientifico (si pensi agli Elementi di Euclide, che rimasero invariati come libro di testo adottato dalle scuole fino a tutto il XIX secolo). La cultura ellenica riuscì a influenzare un'area vastissima del mondo. Le conquiste di Alessandro Magno portarono la zona di influenza ellenica fino ai confini dell'India. A occidente, il mondo romano non tardò a ellenizzarsi, cioè a fare propri gli atteggiamenti culturali tipici del mondo ellenico. La cultura romana dell'età imperiale è ellenistica, sia nelle arti figurative che nella filosofia e nella letteratura. L'Eneide del poeta latino Virgilio ricalca lo schema epico dell'Iliade e dell'Odissea; poeti come Catullo si ispirarono ai lirici greci; gli autori di teatro latini Plauto e Terenzio furono enormemente influenzati dai loro omologhi ellenici. Il libro nell’età medievale

Dopo la conversione al cristianesimo dell’impero romano il libro per eccellenza (in Occidente) cominciò a diventare la Bibbia ebraica, corredata dal Nuovo Testamento. La cultura cristiana rappresenta l'elemento di continuità che attraversa la frattura dovuta al crollo dell’impero. Tale crollo non riuscì ad annientare la cultura preesistente come l'invasione dei Dori aveva cancellato la cultura micenea. La tradizione ellenica venne in gran parte preservata, grazie all'influenza che essa ebbe sulla cultura araba e su quella bizantina, e grazie all'opera dei conventi benedettini, dove i frati amanuensi si dedicarono all'oscuro e fondamentale lavoro di copiare (e quindi salvare) i prodotti di quella meravigliosa civiltà. In un'Europa devastata dalle invasioni barbariche, i conventi erano isole di tranquillità, protetti com'erano dal terrore dell'ira di Dio e dalla loro missione, manifestamente pacifica. I monaci amanuensi passavano la loro esistenza a copiare testi antichi, secondo il precetto della regola benedettina: ora et labora. L'alto medioevo europeo ci ha lasciato tracce magnifiche della sua cultura sotto forma di chiese e di sculture, ma da altri punti di vista è un’epoca di involuzione. L’esplosione culturale avviene in Europa dopo l'anno mille, e nel giro di qualche secolo porta al trionfo rigoglioso di una nuova civiltà: la cristianità occidentale, cioè la cultura da cui noi stessi deriviamo.


Per quanto riguarda i supporti della scrittura, la pergamena sembra sia stata usata per la prima volta nel II secolo a.C. Per produrla, si usava pelle di pecora o di altri animali opportunamente trattata. A differenza del papiro (di origine egizia) il cui uso si diffuse in tutto il mondo antico, la pergamena permetteva, come si è detto, di essere impaginata in volumi; il papiro veniva tipicamente tagliato in lunghe strisce che poi venivano arrotolate. È chiaro che si trattava di un supporto molto scomodo, al punto che già nel tardo impero romano esso era scomparso in occidente. La carta invece è un'invenzione medievale. Veniva prodotta a partire dal legno, che era fatto marcire in vasche d'acqua. Raviel e William ne Il codice perduto di Archimede fanno notare che praticamente tutte le opere antiche di cui ci sono stati tramandati i manoscritti sono state copiate su pergamena in qualche epoca dell’antichità [23] e quasi tutto ciò che non è stato copiato dal papiro alla pergamena è andato perduto [24]. La cultura europea prese per secoli come riferimento quella ellenistica. Malgrado la tendenza diffusa a vedere nei modelli antichi dei paradigmi insuperabili (per esempio, da Tommaso D'Aquino in poi il pensiero di Aristotele divenne dogma di fede), esistono tratti caratteristici inconfondibili che fanno della cultura occidentale qualcosa di diverso dal suo precedente ellenico. In primo luogo, si potrebbe dire, un'attenzione alle realizzazioni pratiche che era sconosciuta ai maestri Elleni. Per esempio, la matematica ellenica era quasi un ramo della filosofia (per Pitagora, addirittura della religione). Gli Elleni si disinteressarono largamente degli utilizzi pratici della loro scienza (con qualche eccezione; Il caso più noto è probabilmente quello dello scienziato e inventore Erone di Alessandria). L'occidente viceversa mostra subito un interesse notevole per le macchine, e in generale per tutte le conseguenze pratiche, utilizzabili del sapere. Un antico greco avrebbe probabilmente considerato riprovevole questo atteggiamento. La stampa a caratteri mobili

Lo sviluppo della tecnologia presenta una brusca accelerazione nel periodo rinascimentale. Leonardo da Vinci, per esempio, dedica molto tempo a studiare la fisica, a osservare la natura, a progettare e costruire macchine. È in questo contesto di forte crescita delle caratteristiche peculiari della cultura occidentale che va inquadrata una novità fondamentale nell'uso dei supporti alla scrittura: l'invenzione di Gutenberg della stampa a caratteri mobili.


La tecnica della stampa era nota da millenni. Si sapeva, cioè, che era possibile riprodurre un'immagine in molte copie stampandola [25]. Gutenberg era un tipografo di Mainz. Egli non presentò mai la sua invenzione come un momento di svolta per l'umanità, e certamente non pensava affatto che fosse così [26]. Il libro scritto a mano era un oggetto molto costoso. Quanto? Possiamo fare un calcolo approssimativo. È ragionevole pensare che un amanuense esperto non potesse impiegare meno di un anno per trascrivere, per esempio, la Divina Commedia di Dante. Non solo si tratta di un’opera lunga, ma era pratica degli amanuensi corredare la scrittura con immagini, capitesto, miniature, tutte cose lunghe da realizzare anche per un veterano della scrittura. Per un anno, quindi, il nostro amanuense doveva essere vestito, alloggiato e nutrito a spese del convento che lo ospitava. Dal punto di vista professionale, e rispetto ai parametri dell’epoca, l'amanuense si trovava su un gradino medio-alto della scala sociale. Era un tecnico (sapeva disegnare, e soprattutto scrivere, cosa rara all'epoca). In termini moderni, l'amanuense poteva equivalere a un dipendente di un'azienda che non guadagna meno di 1.500 euro al mese, incluse la tredicesima e la quattordicesima. Un dipendente così potrebbe costare alla sua azienda 25.000 - 30.000 euro per un anno di lavoro. Questo è più o meno il valore base di un libro scritto a mano (e sono convinto di aver sottostimato la cifra). Se pensiamo all'endemica scarsità di liquidità che caratterizzò l'intera Europa fino alla scoperta dell'America (per fare un esempio, i re Merovingi di Francia si spostavano per il territorio portando con sé l'intero tesoro reale), dobbiamo concludere che per tutto il medioevo i libri furono oggetti rari, disponibili solo nelle biblioteche dei conventi o presso sporadiche collezioni private. È soprattutto in questo senso che l’invenzione di Gutenberg appare come una svolta di grande portata: essa permise l’abbattimento dei costi del libro, trasformandolo da oggetto artigianale a oggetto industriale.

L’età moderna L’età moderna (1492 – 1789) potrebbe essere definita a buon diritto l’era delle rivoluzioni. Non intendo qui parlare (solo) di rivoluzioni politiche. Lo storico Hobsbawm definisce età delle rivoluzioni il periodo dal 1789 (anno della prima rivoluzione francese) al 1848; è chiaro che il suo interesse è principalmente rivolto ai sommovimenti storici e politici che agitarono quel periodo. Qui intendo parlare di


rivoluzioni del pensiero. Nei trecento anni circa dell’età moderna ne avvennero quattro, che nel loro complesso modificarono completamente lo stato del mondo occidentale. Esse furono, nell’ordine: - La rivoluzione religiosa che avvenne in Europa dopo l’affissione delle tesi di Wittenberg da parte di Martin Lutero nel 1517. - La rivoluzione scientifica, che prende le mosse dal dibattito astronomico tra i sistemi eliocentrico e geocentrico (quelli che Galileo chiamava i massimi sistemi); la data di inizio di tale rivoluzione potrebbe essere considerata l’anno di pubblicazione del libro di Copernico De revolutionibus orbium celestium che è il 1543. - La rivoluzione industriale; qui non c’è un vero e proprio anno di inizio, dato che si trattò di un progresso continuo verso forme organizzative della società profondamente diverse da quelle dominanti fino all’epoca in cui avvenne; volendo stabilire una data si potrebbe fissare il 1779, l’anno in cui James Watt brevettò la prima macchina a vapore realmente funzionante. - La rivoluzione politica, che esplose in Europa con la presa della Bastiglia a Parigi nel 1789, e che ha i suoi prodromi nella rivoluzione inglese del 1642 – 1660 e in quella americana, iniziata nel 1775. C’è un filo conduttore che lega queste quattro rivoluzioni? A mio parere sì, e consiste prima di tutto nel progressivo indebolimento del principio di autorità. Con questo termine si intende di solito il principio metodologico dominante nei dibattiti filosofici e scientifici fino a tutto il ‘500, secondo cui le controversie potevano essere risolte ricorrendo all’autorità di qualche grande pensatore del passato. Dall’epoca di Tommaso d’Aquino (1225 – 1274) il grande dei grandi era il filosofo greco Aristotele (parlo, ovviamente, dell’Occidente cristiano). La fiducia nel potere assoluto dell’autorità (in campo politico, ma anche in campo filosofico e scientifico) portava però a un mondo statico. È inevitabile per tutte leautorità filosofiche, indipendentemente dalla loro grandezza, interrompere l’evoluzione del proprio pensiero nel momento in cui muoiono. Ricorrere quindi all’autorità di Aristotele poteva significare a) rinunciare a interpretare qualsiasi aspetto nuovo del mondo, oppure b) ritenere che ogni possibile aspetto del mondo fosse già stato esaminato, capito e risolto dal grande filosofo greco. In questo senso, naturalmente, è la rivoluzione scientifica quella che dà la vera spallata al principio di autorità, semplicemente dimostrando false le conclusioni in


materia astronomica cui era giunto lo stagirita. Un’altra caratteristica delle autorità (di qualsiasi natura) è che nel momento in cui vengono messe in discussione anche su un unico punto, smettono di essere tali. Così avvenne di Aristotele, ma anche del papa (dopo la rivoluzione avviata da Lutero), dei re (dopo la decapitazione di Carlo I durante la rivoluzione inglese), delle classi dominanti medievali (dall’ascesa della borghesia industriale). C’è un altro aspetto che lega le quattro rivoluzioni di cui sto parlando: esse non sarebbero state possibili le une senza le altre. La rivoluzione industriale è figlia delle esigenze economiche dell’Inghilterra della fine del ‘600, ma anche dello sviluppo tecnologico che a sua volta è figlio della rivoluzione scientifica. La rivoluzione politica non sarebbe probabilmente avvenuta senza il dinamismo sociale delle nuove classi che emersero dalla rivoluzione industriale. La rivoluzione scientifica stessa avrebbe certamente avuto caratteristiche diverse se non avesse trovato la fiera opposizione della chiesa (cattolica) dell’epoca, ferita dalla rivoluzione luterana. Progresso scientifico e innovazione tecnologica sono così fittamente intrecciati tra loro, che è difficile immaginare che sviluppi avrebbe avuto l’impresa scientifica se non fosse stata accompagnata da un interesse gigantesco dell’intera società moderna (soprattutto dall’inizio del XVIII secolo) verso le sue ricadute tecnologiche. Un aspetto fondamentale che fa da sottofondo alle rivoluzioni moderne è il libro, sempre più diffuso, sempre più letto. I grandi artefici delle rivoluzioni moderne, da Copernico a Newton, da Giordano Bruno a Voltaire, affidano le loro riflessioni al libro a stampa, certi del fatto che tale veicolo permetterà loro di raggiungere altre menti, di suscitare nuove riflessioni. Nei pensatori dell’età moderna troviamo un’evidente consapevolezza di questo fatto. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo Galileo scrive: “... sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza fu quella di colui che s'immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell'Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta.” Il libro è il medium per eccellenza di questo periodo; va detto, tuttavia, che nel XVII secolo cominciano a fare la loro apparizione anche le riviste, per lo più diffuse in circoli ristretti di intellettuali. Lo Spectator di Addison, uscito negli anni 1711 – 1712,


è considerato la prima rivista in senso moderno. In Italia la prima rivista degna di questo nome è probabilmente la Gazzetta Veneta di Gasparo Gozzi, che uscì con cadenza bisettimanale nel 1760 – 1761. Anche se non esisteva una vera e propria redazione (l’autore scrisse personalmente tutti gli articoli), i temi trattati erano comunque simili a quelli dei giornali di oggi: cronaca, recensioni teatrali, commenti a fatti rilevanti ecc. Mancava del tutto invece l’aspetto iconografico: per arrivare al concetto di multimedialità occorre aspettare fino ai giorni nostri. Vale la pena di fare un’altra considerazione. Oggi siamo abituati al libro come oggetto di consumo, per così dire usa e getta. Questo si deve a diversi fatti: la quantità enorme di libri pubblicati ogni anno, i rapidi progressi delle conoscenze che rendono un testo come quello che state leggendo inevitabilmente obsoleto nel giro di poco tempo, una vena culturale perennemente a caccia di novità. Ancora nell’età moderna il libro non ha queste caratteristiche. Alcune delle opere scritte in questo periodo possono essere considerate pietre miliari nello sviluppo del pensiero umano, lette e rilette per i secoli a venire. Per rifarsi allo schema delle rivoluzioni di cui abbiamo parlato, vorrei citare: - La Bibbia tradotta in tedesco da Martin Lutero all’inizio del ‘500. Tra il 1517 e il 1520, le trenta pubblicazioni a stampa della Bibbia di Lutero avevano venduto più di 300.000 copie [27]. - In campo scientifico, le opere fondamentali dei padri della scienza moderna: il già citato De revolutionibus orbium celestium di Copernico, che diede il via al grande dibattito sull’astronomia, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze di Galileo, l’opera che getta le basi della nuova fisica, ilPhilosophiae naturalis principia matematica di Newton, il primo testo in cui viene descritta la meccanica classica nel suo completo sviluppo. - I numerosi saggi di carattere economico e politico che accompagnarono la rivoluzione industriale e quella politica: dall’Enciclopédie di Diderot e D’Alembert a La ricchezza delle nazioni di Adam Smith per arrivare alManifesto del partito Comunista di Marx e Engels (solo per citarne alcuni).

L’esplosione mediatica del ‘900


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