IL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO IN SANITĂ : UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
Maria Triassi
Autori (in ordine alfabetico)
Giuseppe Calabrese Lorenzo Chieffi Roberto Delfino Alessandra Dionisio
Maddalena Illario Mariella Leonardo Antonietta Perrone Fiorenzo Rivellini Daniela Schiavone
Tutors (in ordine alfabetico)
Alfonso Bernardo Eugenio M. Covelli Alessandra Dionisio Vincenzo Giordano Laura Leoncini con la collaborazione di
Maria Veronica Diana Fabio Savoia Raffaele Palladino
Curatore di progetto Alessandra Dionisio
Curatori editoriali (in ordine alfabetico)
Patrizia Cuccaro Guglielma Torre con la collaborazione di
Francesco Pennacchio
Maria Triassi Professore Ordinario di Igiene e Medicina Preventiva, Università “Federico II” di Napoli, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica e della Scuola di Formazione in Management Sanitario dell’Università “Federico II” di Napoli.
Giuseppe Calabrese Docente di Management – Dipartimento di Economia Università degli Studi di Foggia Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese.
Lorenzo Chieffi Ordinario di Diritto Costituzionale - Seconda Università degli Studi di Napoli e Direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica (C.I.R.B.).
Alfonso Bernardo Dirigente Medico in Staff alla Direzione Sanitaria Aziendale A.O.R.N. Ospedale dei Colli - Napoli.
Eugenio M. Covelli Dirigente Medico presso l’Unità Operativa Complessa di Diagnostica per Immagini A.O.R.N. A.S. Sant’Anna e San Sebastiano - Caserta.
Patrizia Cuccaro Ph. D. in Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni Sanitarie e Medico Igienista in Staff di Direzione Generale dell’AOU “Federico II” di Napoli e di Direzione Generale dell’AO “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno.
Roberto Delfino Dottore di Ricerca in Economia e Management Sanitario Dipartimento di Sanità Pubblica - Scuola di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Napoli Federico II.
Maria Veronica Diana PhD Student Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni Sanitarie - Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Alessandra Dionisio Responsabile Area Comunicazione AOU “Federico II” di Napoli - Ph. D. in Scienze della Comunicazione.
Vincenzo Giordano Dirigente Medico Responsabile dell’Unità Semplice Dipartimentale di Pianificazione Ospedaliera dell’ASL NA1 Centro - Napoli.
Maddalena Illario Campania Reference Site of the European Innovation Partnership on Active and Healthy Aging Ricerca e Sviluppo, AOU Federico II Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università di Napoli Federico II.
Mariella Leonardo Partner Sfera 3, Consulente Qualità, Ambiente e Sicurezza Docente Scuola di Specializzazione ‘Igiene e Medicina Preventiva’ - Università “Federico II” di Napoli.
Laura Leoncini Dirigente Medico Responsabile dell’UOPC Distretto Sanitario 30 ASL Caserta.
Raffaele Palladino Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’ Università “Federico II” di Napoli.
Francesco Pennacchio Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’ Università “Federico II” di Napoli.
Antonietta Perrone
Ingegnere Chimico A.O.U Federico II PhD Student Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni Sanitarie - Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Fiorenzo Rivellini Consulente ICT per l’Agenzia Regionale Sanitaria della Regione Campania (ArSan).
Fabio Savoia Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’ Università “Federico II” di Napoli.
Daniela Schiavone Specialista Ambulatoriale A.O.U. “Federico II” di Napoli - Dipartimento di Sanità Pubblica.
Guglielma Torre PhD. in Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni Sanitarie e Responsabile Coordinamento Aree Istituto Diagnostico Varelli s.r.l.
Università degli Studi di Napoli “Federico II” Facoltà di Medicina e Chirurgia - Dipartimento di Sanità Pubblica Scuola di Formazione in Management Sanitario Master di II Livello in Management Sanitario
Struttura organizzativa Direttore del corso: Prof.ssa Maria Triassi
Comitato scientifico: Prof.ssa Maria Triassi, Dott.ssa Lia Bertoli, Dott. Gaetano Sicuranza
Coordinatore Tutors d’area progetti tematica sanitaria: Dott. Vincenzo Giordano
Coordinatore del calendario delle attività didattiche e referente per i rapporti con i docenti e la gestione d’aula: Dott.ssa Alessandra Dionisio
Coordinatore della Segreteria organizzativa: Dott.ssa Anna Russo
Webmaster: Dott. Massimo Di Gennaro
Progetti Tesi del Master in Management Sanitario Aree Tematiche e Tutor Area Tematica: - Organizzazione e Gestione delle Strutture Sanitarie, Dott. Vincenzo Giordano, Dott. Raffaele Palladino, Dott. Fabio Savoia - Management della prevenzione, dell’integrazione socio – sanitaria, della medicina territoriale, Dott.ssa Laura Leoncini
- Governo Clinico e Risk Management, Dott. Alfonso Bernardo e Dott.ssa Maria Veronica Diana - Comunicazione organizzativa sanitaria, project- management e gestione dei gruppi di lavoro, Dott.ssa Alessandra Dionisio - Procedure gestionali innovative: HTA, Telemedicina, Quality Assessment, Dott. Eugenio Maria Covelli
Sito web: www.management-sanitario.it mail: info@management-sanitario.it
ELENCO DISCENTI DEL MASTER: Andreacchi Francesco - Dirig. Medico ASL Vibo Valenzia Angelini Valentina - Dirig. Medico ASL NA 1 Benincasa Antonio - Dirig. Medico ASL Caserta Cantone Giuseppe - Dirig. Medico AORN CE Cascella Roberta - Ostetrica Chianese Arianna - Farmacista Chianese Francesco - Farmacista Crispo Gennaro - Dirig. Medico ASL NA 2 Nord De Bernardo Giuseppe - Dirig. Medico Santobono Deviato Antonio - Dirig. Medico ASL NA 1 Di Gennaro Giuseppe - Dirig. Medico ASL NA 2 Nord Di Maggio Debora - Dirig. Medico AORN CE Febbraro Anita - Farmacista AORN dei Colli Filetti Emilio - D.S. Distretto Piedimonte Matese ASL CE Frusciante Vincenzo - Dirig. Struttura complessa Ospedale IRCCS San Giovanni Rotondo Guerrese Maria Carmela - Dirig. Medico ASL Taranto Iuorio Mariagrazia - Dirig. Medico ASL NA 2 Nord
Lanzante Ubaldo - Dirig. Medico AORN CE Laurelli Giuseppe - Dirig. Medico IRCS Pascale Leone Enrico - Dirig. Medico Santobono Pausilipon Maddaloni Rosa Anna - Farmacista ASL NA 3 Nord Maddaluno Salvatore - Dirig. Struttura complessa P.O. S. Maria delle Grazie ASL NA 2 Nord Maglione Domenico - D.S. Ospedale Camilliani Casoria Mamone Rosanna - Dirig. Medico Santobono Pausilipon Marfella Antonio - Dirig. Medico IRCS Pascale Marinelli Fabio - Dirig. Medico ASL NA 2 Nord Mariniello Alberta - Infermiera ASL NA 1 Miele Gianfranco - Dirig. Medico ASL Caserta Napolitano Irene - Farmacista ASL NA 3 Nord Nugnes Rachele - Dirig. Medico IRCS Pascale Pagano Arianna - Dirig. Medico AORN Moscati Avellino Petrillo Antonella - Dirig. Struttura complessa\IRCS Pascale Piscitelli Eugenia - Farmacista AORN Cardarelli Raia Giancarlo - Dirig. Struttura compl. Ospedale del Buon Consiglio Fatebenefratelli Rossi Eugenio - Dirig. Medico Santobono Pausilipon Sacco Giovanna - Coordinatore infermieristico IRCCS San Giovanni Rotondo Tamburro Fabio - Dirig. Struttura complessa ASL NA 1 Toscano Guglielmo - Ingegnere AU Federico II Vittorioso Luigi - Dirig. Medico ASL Na 1
Interventi introduttivi
Saper essere e saper fare per poter decidere: le opportunità per gestire il cambiamento organizzativo in sanità in momenti di crisi In molti sostengono che in tempo di crisi è più che mai necessario elaborare idee, avanzare proposte, magari diverse dal consueto, capace di suggerire azioni innovative volte a fronteggiare le difficoltà presenti, purtroppo di natura soprattutto economica. Oggi in Sanità è irrinunciabile e non più rinviabile la necessità di un approccio totalmente diverso, poiché si è di fronte ad eventi profondamente nuovi, che stanno caratterizzando l’attuale periodo storico ed il cui impatto è difficilmente contestabile:- Invecchiamento imponente della popolazione e, quindi, aumento di malattie croniche rispetto a quelle acute, con incremento della disabilità e della autosufficienza con maggiori oneri di terapie di mantenimento; - Elevata mobilità delle persone e della rapidità degli spostamenti, soprattutto nelle aree metropolitane (diversa è invece la situazione in aree a minore densità abitativa, da cui potrebbe derivare la necessità di percorsi e linee programmatiche diverse all'interno della stessa Regione, capaci di cogliere i diversi bisogni); - Diffusione delle tecnologie sanitarie comprese quelle informatiche. Oggigiorno inoltre sono modificati, rispetto a qualche decennio scorso, i bisogni sanitari. Infatti: - La domanda assistenziale è per lo più a bassa intensità di cura ed effettuabile a domicilio, per pazienti adulti o anziani autosufficienti; - Le prestazioni intensive e subintensive che richiedono un contesto tecnologicamente elevato sono meno frequenti e, dunque, limitare a questa tipologia di malati l'accesso all'ospedale renderebbe la maggior parte dei presidi oggi attivi sovrannumerari per l'attuale fabbisogno; - I Pronto Soccorso sono affollatissimi di pazienti anziani polipatologici per i quali non sono disponibili posti letto, poiché le unità operative internistiche sono ugualmente occupate da anziani con tempi di degenza prolungati; - Nelle aree metropolitane si è molto ridimensionata la necessità di avere numerosi Presidi Sanitari dotati di Pronto Soccorso non eccessivamente distanti tra loro, poiché i collegamenti e l'efficacia del 118 sono tali da ridurre i tempi di trasporto, sia perche i Pronto Soccorso con numeri minimi di accesso non possono garantire sufficiente qualità; Dare risposta a un tale contesto richiede dunque che i paradigmi che si ritenevano validi solo fino vent’anni fa, vengano rivisitati pensando non tanto a modelli teorici o all'attuale organizzazione quanto alle reali esigenze assistenziali, cui dare risposte efficaci e sostenibili. Vi è quindi la necessità di rivedere, in un momento storico caratterizzato da difficoltà economiche considerevoli, ma anche da una forte pressione dell’industria sull’acquisto delle innovazioni tecnologiche, funzioni e compiti delle strutture organizzative a maggior complessità, con l’obiettivo di concorrere a maturare idee e avviare azioni che abbiano lo scopo di potenziare le attività dei Sistemi Sanitari.
Il rilancio del Servizio Sanitario non è compito “degli altri”, è compito dei professionisti che operano nelle strutture istituzionalmente dedicate alla materia. Tali professionisti devono responsabilmente farsi carico innanzitutto del proprio miglioramento scientifico e della propria capacità manageriale. Vanno attivati interventi, anche a carattere politico, sulle istituzioni sovraordinate o sulle istituzioni parallele, per richiamare le stesse ai percorsi di miglioramento e di collaborazione operativa evidenziati come indispensabili; i "migliori" devono assumere la leadership del cambiamento positivo. Coloro che hanno (con merito) posizioni di responsabilità, ma anche coloro che possiedono “talenti speciali", di cultura e di scienza, sulle linee di lavoro e di ricerca più importanti inerenti la Sanità Pubblica, devono assumere il ruolo di autorevoli guide ed il ruolo di “esempi da seguire". Ciò vale sia all’interno delle Strutture Sanitarie, sia all’interno delle Università sia all’interno delle Regioni. Ma vale anche all’interno di strutture omogenee: le Regioni “migliori” devono aiutare le Regioni in difficoltà; le Strutture Sanitarie più organizzate, più efficaci ed efficienti devono stabilire partnership con le Strutture in condizioni critiche. Servono pazienza, umiltà, spirito di servizio, coraggio. La Scuola di Formazione in Management Sanitario dell’Università Federico II di Napoli, in tale ottica e con tali intenti, ha dedicato l’anno accademico 2011-12 al tema del cambiamento organizzativo e alla responsabilità di deciderlo, progettarlo e governarlo cui sono chiamati tutti i professionisti della sanità. Allo stesso tema è rivolto il presente volume, divenuto tradizionale appuntamento editoriale del Master di II livello della Scuola, nel quale si è scelto quest’anno di anteporre alla raccolta dei progetti-tesi dei discenti, una sezione di contributi tecnici forniti da nove professionisti della sanità. A ciascuno di loro è stata affidata l’osservazione del cambiamento organizzativo da uno specifico “punto di vista” ed in uno specifico ambito operativo del sistema salute, secondo un’ottica di multidisciplinarità, che pure è parola chiave del volume. Si conferma l’esperimento vincente dell’e-book, che nella scorsa edizione è diventato best-seller immediatamente dopo la pubblicazione nella sezione Medicina della vetrina di Ateneapoli. La novità di quest’anno è che il ricavato della vendita della pubblicazione sarà devoluto all’Associazione Sorridi Konou Konou Africa Onlus, della quale il Dipartimento Universitario di Sanità Pubblica ha l’onore di essere sede legale grazie al presidente, il Prof. Enrico Di Salvo, da anni impegnato nelle missioni umanitarie dell’Africa Occidentale. A lui ho chiesto di salutare i lavori di chiusura dell’anno accademico 2011-12 e la nascita di questo volume, cimentandosi nella provocatoria eppur impegnativa riflessione del cambiamento organizzativo visto attraverso lo scenario di un Paese in via di sviluppo, il suo amato Benin: come cambiano le coordinate della gestione sanitaria al variare delle coordinate geografiche, culturali, socioeconomiche? cosa insegna l’esperienza di Sorridi Konou Konou Africa Onlus non solo dal punto di vista umano, ma anche da quello manageriale? Con una speranza per il futuro. Prof. Maria Triassi Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica e della Scuola di Formazione in Management Sanitario dell’Università “Federico II” di Napoli.
Il cambiamento organizzativo in Sanità: cosa imparare dai Paesi in via di sviluppo? In tutti questi anni di impegno in Africa Occidentale, nelle rare ore di pausa in genere serale, nelle quali volontari giovani e meno giovani fanno il punto-nave della giornata, accade quasi sempre che la conversazione si allarghi alle stesse ragioni di senso della opera nostra e della nostra Associazione, e spuntano fuori domande, in generale formulate da chi è alla prima esperienza, quali: ma quanti anni questi paesi sono indietro a noi? Riusciranno mai ad allinearsi ed in quanto tempo? Il nostro mondo che corre così veloce sul binario della ricerca e della tecnologia li vedrà sempre più distanti? Quesiti legittimi. Elio Sica ed io, che siamo i più vecchi per età e per impegno, conosciamo in parte le risposte e nel tentativo di dare la spiegazione più chiara possibile a chi ha minore esperienza partiamo da un’altra domanda: che cos’è che non hanno? Mancano i buoni medici? Se sì, ed è probabile che questo sia almeno in parte vero, dobbiamo contribuire a formarli. Nel 2000, il Padre Camilliano beninese Marius Yabi, è venuto a studiare presso la nostra Facoltà, nel 2006 è diventato medico e nel 2012 specialista in chirurgia: il mese successivo è tornato in Bénin a fare il chirurgo nell’Ospedale Camilliano di Zinvié, del quale è, da pochi mesi il Direttore. Formerà altre persone, è in grado di farlo. Nel 2012 la nostra Università Federico II ha siglato una importante convenzione con l’Università beninese di ABOMEY-Calavi, alla quale sono seguiti patti di collaborazione tra le relative Facoltà di Medicina e di Veterinaria: le nostre équipe svolgono corsi di lezione, e penso sia una cosa importante. Sono due esempi, ma non sono i soli. Mancano i bravi infermieri? Se sì, dobbiamo formarli e soprattutto aiutarli a formarne degli altri, a catena. Il sistema educazionale della sanità beninese ha fatto negli ultimi anni un grande investimento sulla preparazione del Comparto: vediamo negli Ospedali dove prestiamo la nostra opera dei giovani in divisa blu che ci sembrano seri e motivati. Ma il nostro ruolo è ancora importante, soprattutto per un livello superiore rispetto a quello basico, con particolare riguardo alle tecniche più complesse e maggiormente invasive ed all’uso delle attrezzature sanitarie. Mancano i farmaci più efficaci? Certo che mancano: alcuni antibiotici, per esempio, che nei Paesi occidentali sono utilizzati nella pratica clinica con buoni risultati, in Africa sono totalmente inefficaci e quindi è necessario adoperare medicine di ultima generazione, più potenti ed infinitamente più costosi. Per non parlare della totale assenza di farmaci chemioterapici che rendono impossibile la cura di molti tumori, ahimé in rapido aumento. Mancano attrezzature moderne, diagnostiche e terapeutiche? Mancano, e tocca a noi fornirgliele, scegliendo con oculatezza quelle di più facile gestione, che possano convivere con le frequenti interruzioni di corrente, con le
difficoltà della manutenzione, anche di quella ordinaria. Questo vale per la radiologia, ma anche per gli ambulatori diagnostici, per le sale operatorie e, un giorno, speriamo vicino, per le terapie intensive. Manca una organizzazione sanitaria ben strutturata, articolata al livello centrale e poi, ovviamente nei singoli dispensari, nei centri-nascita, negli Ospedali? Come in tutti i Paesi in via di sviluppo, anche in Bénin la organizzazione complessiva della sanità è ancora gravemente carente, sia per la somma di tutte le ragioni dette innanzi, ma sia, e forse più ancora, per una grande arretratezza in tema di organizzazione e management sanitario, per la perdurante scarsità di una classe dirigente formata in maniera adeguata proprio in questa direzione. E come potrebbe stupire che un sistema delicato e complesso quale quello del sistema sanitario manchi in Paesi dove mancano la rete fognaria, le ferrovie e tante altre cose? Questa arretratezza organizzativa è una delle ragioni più importanti del dislivello con i Paesi evoluti ed è anche quella dove il volontariato fa maggiore fatica, perché si scontra con il disordine strutturale, la lentezza della macchina burocratica, oltre a fattori di deviazione, primo tra tutti la corruzione, direttamente proporzionale alla criticità economica di uno Stato. La debolezza del sistema ospedaliero pubblico è in parte compensata dall’impegno dei religiosi, in Bénin prevalentemente ma non esclusivamente cattolici. Le loro strutture (che sono poi quelle alle quali dedichiamo il nostro impegno maggiore) sono fondamentali non solo per l’opera diretta che si traduce in vite umane recuperate, ma anche perché rappresentano nella realtà del Paese un esemplare benchmark che fa da orientamento al sistema pubblico. Il concetto secondo il quale non bastano decine di volontari entusiasti e competenti che si rechino in questi Ospedali, ma serva una seconda linea di sostegno è stato profondamente recepito dalla Direzione Generale dell’Azienda Universitaria Federico II di Napoli. Lavora qui la più gran parte dei volontari medici ed infermieri e negli ultimi anni fortunatamente, alcuni ruoli chiave sono stati assegnati a persone “sensibili” che hanno fatto dell’Azienda la piattaforma di lancio di una attività che si accresce giorno dopo giorno con forte accelerazione: Antonietta Perrone, giovane ed entusiasta bioingegnere, fa un lavoro fondamentale: stabilisce quali attrezzature servono e le procura, non facendo nessuna fatica a convincere il professor Giovanni Persico, che è il Direttore Generale, che ha curato ed aiutato persone ammalate per tutta la sua vita ed ha trasferito nella funzione organizzativa generale la sua grande energia positiva e la sua profonda umanità. Eppoi la professoressa Triassi, che dirige il Dipartimento Universitario di Sanità Pubblica, che ha accolto immediatamente il mio invito affinché la Associazione che presiedo avesse sede legale presso il Dipartimento. Dei corsi di Management sanitario rappresenta, con la sua competenza ed il suo entusiasmo, la vera protagonista ed il vero motore e la donazione liberale che ha deciso di erogare alla nostra Onlus quest’anno, acquista un valore emblematico perché scommette idealmente sulla possibilità che un Paese povero, opportunamente aiutato, formato ed indirizzato, possa migliorare la propria organizzazione, riducendo le morti ingiuste, le cecità inammissibili, le invalidità che mortificano l’individuo e deprimono ulteriormente lo sviluppo e il lavoro di un popolo.
Prof. Enrico Di Salvo, Presidente Associazione Sorridi Konou Konou Africa Onlus e Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato di Chirurgie specialistiche, Nefrologia dell’A.O.U. “Federico II” di Napoli
Capitolo I
Il cambiamento nelle organizzazioni complesse. Ipotesi, miti e realtà Prof. Giuseppe Calabrese Docente di Management – Dipartimento di Economia Università degli Studi di Foggia Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese
1 - Riflessioni introduttive È affascinante ripercorrere le piste lungo le quali si sono dipanate nel tempo le riflessioni degli studiosi nel definire gli ‘spazi’ nei quali le organizzazioni operano e cambiano, oscillando tra la ricerca della somiglianza e la ricerca della differenza, tra sforzi di convergenza e sforzi di divergenza strutturale e strategica. Il tema del cambiamento organizzativo (Lewin, Weigelt, Emery, 2004; Martinez, 2011) - sovente associato a quello dell’innovazione ciclicamente riemerge come panacea della modernità in grado di guarire quelli che appaiono i contingenti mali di organizzazioni, aree territoriali e ‘sistemi’ di ogni ordine e grado. Tornano così alla ribalta le questioni - irrisolte - di sempre: quali sono le condizioni che favoriscono il cambiamento e quali quelle che lo ostacolano? È una nuova visione strategica a indurre il cambiamento nelle strutture organizzative? O piuttosto, è il cambiamento strutturale che abilita nuove condotte strategiche? È preferibile un progetto di cambiamento incrementale oppure l’unica strada efficace passa attraverso discontinuità radicali e traumatiche? Prima di entrare nel merito del dibattito pare opportuno invitare il lettore a riflettere sulla frequenza con la quale lo schema retorico del “siamo sull’orlo del baratro, è necessario un cambiamento radicale” sia tirato in ballo - non solo nell’ambito problematico del governo dei sistemi sanitari - dall’oratore di turno (ricercatore, manager, consulente o politico) ogni qualvolta questi si accinga a invocare l’urgenza di interventi di riordino che siano: razionali, significativi, coerenti e incisivi. In una parola: scientifici. Invocazione che diviene più accorata in momenti di crisi economica e finanziaria come quello che stiamo vivendo. L’utilizzo di un simile schema, facendo appello ai fondamenti della razionalità economica, auspica un’azione di redesign delle strutture e una conseguente mutazione delle condotte che, come si cercherà di approfondire nel presente contributo, rinvia -più o meno consapevolmente- ad una certa idea di cosa siano le organizzazioni e di come debbano essere gestite, dunque, anche di quali siano le funzioni del management. Un’idea -che chiameremo il mito dell’organizzazione-institution- senz’altro prevalente, sia nella teoria che nella pratica manageriale, nazionale e internazionale. Un’idea che propone una visione ‘forte’ delle organizzazioni e del management, una visione prescrittiva di come le organizzazioni ‘dovrebbero essere’ o di ‘come ci piacerebbe che fossero’. Un’idea che proveremo a porre a confronto con una alternativa, meno ambiziosa, portatrice di una chiave di lettura descrittiva che prova a comprendere il funzionamento delle organizzazioni per ‘come sono in realtà’ e finisce per smitizzare una certa concezione ‘olimpica’ del management (Mastroberardino, 2010; Mastroberardino, Calabrese, 2011; Mastroberardino, Calabrese, Cortese, 2012; Mastroberardino, Calabrese, 2013, cdp). Incamminandosi per questo sentiero, muovendo dalle certezze verso i dubbi, ci si accorge che, nonostante l’apparente capacità esplicativa degli approcci prescrittivi, il cambiamento da essi auspicato e predetto non interviene facendo assumere al fenomeno connotati contradditori, patologici, quasi paradossali. Di là dall’ambito sanitario, gli esempi sono sì numerosi da divenire imbarazzanti: il cambiamento del sistema scolastico; il cambiamento del sistema finanziario; il cambiamento del sistema energetico; il cambiamento della pubblica amministrazione; etc. E così, come per gli esempi citati - e per altri che si potrebbero citare - anche il cambiamento del sistema sanitario, invocato, predetto e apparentemente ineluttabile, inesorabilmente non avviene.
Eppure, la via del cambiamento parrebbe spianata: - il tema è al centro del dibattito degli addetti ai lavori e al vertice dell’agenda politica da almeno dieci anni. Non vi è decisore nell’ambito sanitario del nostro Paese, a qualsiasi livello istituzionale, che non metta questo elemento tra quelli cui orienterà la sua ‘azione’; - tutti condividono che le forme di concreta manifestazione della domanda di servizi sanitari, in termini quantitativi e qualitativi, sono profondamente e definitivamente mutate rispetto al momento dell’istituzione del SSN (1978) in virtù di fenomeni strutturali che investono sia la demografia (sempre più popolazione anziana) che l’epidemiologia (sempre più cronicità rispetto alle acuzie); - sono ampiamente condivisi gli ambiti chiave intorno ai quali ancorare il ‘progetto’ di re-disegn del sistema. Ad esempio: superare la logica centrata sull’ospedale a favore di una maggiore attenzione ai servizi territoriali e domiciliari; incrementare le strutture di degenza non ospedaliera (Hospice, RSA, strutture per la riabilitazione); passare da un approccio orientato alla prestazione a uno orientato al paziente e alla sua presa in carico; razionalizzare la funzione delle strutture ospedaliere tra alta intensità/complessità (da concentrare) e bassa intensità/complessità (da decentrare); addivenire ad una maggiore standardizzazione dei processi indiretti, primo fra tutti la gestione degli acquisti; aumentare il coordinamento sul territorio tra le diverse forme di assistenza: medica, farmaceutica, ospedaliera, protesica, diagnostica, riabilitativa, etc. - è riconosciuto il ruolo centrale delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione al fine di ottimizzare i processi di gestione e quelli di controllo della spesa nonché di attivare nuove modalità di erogazione dei servizi (in primis le forme di tele medicina). La domanda da porsi a questo punto è: perché simili traiettorie di cambiamento, così apparentemente evidenti e condivise, non sono state ancora intraprese? Che cosa sono in realtà quelle forze, quasi mistiche, che spesso la letteratura organizzativa ha definito, non senza un’accezione patologica, le “resistenze al cambiamento”? Chi o che cosa oppone resistenza? L’argomentazione secondo cui il cambiamento è frenato dalla riduzione del finanziamento pubblico del SSN, pur diffusa e a dire il vero assai comoda, non pare del tutto condivisibile. L’entità del FSN (Fondo Sanitario Nazionale) è, almeno fino al 2013, sempre cresciuta, passando dai circa 71,8 miliardi di Euro del 2001 ai circa 108 miliardi di Euro del 2012 (+50,4% nominale). Per avere una seppur grezza misura della congruità e della sostenibilità di tale crescita basti pensare che nello stesso periodo: la popolazione italiana è passata da 56,98 milioni a 60,92 milioni (+6,9%); il PIL italiano è passato da 1.123 miliardi di Euro a 1.566 miliardi di Euro (+39,4% nominale)1. Le risorse finanziarie complessive, dunque, non paiono essere l’elemento critico di resistenza al cambiamento. Occorre indagare ulteriori ambiti rimettendo in discussione alcune idee ‘forti’ sulle organizzazioni e sul management.
2 - Le organizzazioni: come ci piacerebbe che fossero La visione dell’organizzazione-institution, come accennato, appare nettamente prevalente sia in ambito teorico che nella pratica manageriale e nel contiguo mondo dei servizi di consulenza direzionale. Tale visione, nella sua concezione ortodossa, intende le organizzazioni come sistemi ‘progettati’ sulla base di un’architettura coerente e integrata elaborata ex-ante ad opera di una razionale funzione di design capace di definirne la finalità strategica, gli obiettivi, le macro e micro componenti strutturali e le relative funzioni, la divisione interna del lavoro e i necessari meccanismi di coordinamento e di integrazione, puntando ad un equilibro (omeostatico) tra i processi interni e le istanze provenienti dall’ambiente esterno. Un “sistema è (…) composto da elementi (…) che ricevono il proprio senso dalla loro funzione all’interno del sistema stesso. Ciò che definisce tali unità è la loro funzione all’interno del sistema” (Sassoli B., 1994, p. 216).
Questa idea ‘forte’ di organizzazione, come sistema integrato e distinto dai singoli attori che lo popolano, caratterizzato da un proprio fine sistemico (la sopravvivenza e la crescita), da un organo decisore che progetta e guida una struttura operativa, si ritrova nella letteratura internazionale variamente declinata lungo un continuum che va dall’organizzazione come ‘macchina’ all’organizzazione come ‘organismo’ (Koehler, 1938; Gouldner, 1959; Burns, Stalker, 1961; Morgan, 2002). Dal punto di vista epistemologico, l’idea olistica delle organizzazioni affonda le sue radici in una lettura collettivista2 dell’azione sociale. Una lettura che, reificando le entità ‘collettive’, riconosce loro fini istituzionali propri, pone questi fini in primo piano rispetto a quelli degli attori che le animano e intende questi ultimi come ‘componenti umane’ dell’organizzazione, strumentali ai fini organizzativi (Bertalanffy, 1968; Emery, 1974; Scott, 1981; Gross, Etzioni, 1987; Golinelli, 2000, 2005, 2011; Barile, 2006). Il confronto tra individualismo e collettivismo è riassumibile in quella che Capra definisce “la tensione fondamentale fra le parti e il tutto. (…) Nella scienza del ventesimo secolo la prospettiva olistica è divenuta nota come sistemica, mentre il modo di pensare che ne consegue è conosciuto come pensiero sistemico” (Capra, 1997, p. 27). Ulteriore prerogativa di questa visione, nelle versioni più classiche, è rappresentare le organizzazioni-sistema strutturate in sub-sistemi di livello inferiore e, a propria volta, inserite quali sub-sistemi di sistemi di livello superiore sempre più ampi sino a poter ordinare tutto in una gerarchia tra sistemi (Boulding, 1956) pienamente compiuta - perciò rassicurante - dell’esistente, del connubio tra natura e società (Parsons, 1951). All’interno di tale cornice teorica hanno proliferato impostazioni che, coerentemente, rappresentano il management quale “timoniere dell’azienda, che dispone di tutte le informazioni rilevanti e di tutte le leve necessarie per indirizzare e coordinare organicamente e armoniosamente le diverse attività aziendali”(incipit della call for papers al XXXV convegno annuale dell’AIDEA - Accademia Italiana di Economia Aziendale). Un’idea ‘forte’ di organizzazione razionale ha bisogno di un’idea ‘forte’ del management: un vertice aziendale razionale che assume le vesti di ‘governatore’ tecnico; baluardo delle regole, delle relazioni strutturali interne e delle routines; interprete delle dinamiche di cambiamento ambientale e guida nel cammino co-evolutivo orientato alla sopravvivenza e alla crescita sistemica. Le dinamiche del cambiamento organizzativo sono ‘spiegate’ ricorrendo ora a schemi logico-deduttivi di causalità necessaria, ora a schemi di matrice induttiva, ora alla spiegazione funzionale (Sparti, 2002; Fornari, 2002; Borlandi, Sciolla, 2005; Mastroberardino, 2006). Le organizzazioni sono sistemi che rispondono a perturbazioni esogene (turbolenza ambientale) o endogene (opportunismo degli attori) mettendo in moto processi di cambiamento organizzativo progettati e governati dall’intelligence centrale come strategia di adattamento e/o anticipazione delle perturbazioni. Queste impostazioni si ritrovano in numerosi contributi di management sanitario che si rifanno a una tradizione di ricerca (Laudan, 1977) le cui teorie focalizzano l’attenzione sulle relazioni tra l’organizzazione e il suo task environment (ambiente transazionale). Tra queste, la scuola economico-industriale riconducibile ai lavori di Mason (1939) e Bain (1959) e al noto paradigma struttura - condotta - performance pone il focus d’indagine sull’analisi strategica del settore ampliata dai contributi di Porter sull’analisi delle cinque forze competitive (1985). Sono qui collocabili anche i numerosi contributi dellaContingency Theory (Burns, Stalker, 1961; Chandler, 1962; Lawrence, Lorsch, 1967) che qualificano il cambiamento come un processo attraverso il quale il management ricerca la coerenza (fit) tra caratteri deltask environment e struttura organizzativa. Adattamento, differenziazione e integrazione esprimono i tre drivers orientatori del cambiamento organizzativo (Zajac at al., 2000). Infine, i contributi della Resource Dependance Theory (Pfeffer, Salancik, 1978) che enfatizzano la natura del task environment come entità negoziata nella quale prende corpo una complessa trama di influenze tra chi necessita di risorse critiche e chi è in condizione di fornirle. Il cambiamento è qui inteso come riduzione della dipendenza
dall’ambiente e riduzione dell’incertezza attraverso ‘mosse strategiche’ tese al maggiore controllo delle risorse critiche. Ulteriori contributi, riconducibili ad una diversa tradizione di ricerca, focalizzano l’attenzione sull’organizzazione, sulle sue condotte strategiche. Si collocano in quest’alveo i lavori appartenenti allaStrategic Choice secondo i quali il management è il condottiero del cambiamento organizzativo, progettato e messo in opera al fine di influenzare e cambiare il proprio ambiente (Miles, Snow, 1978; Marris, 1963; Baumol, 1968). Ancora, i contributi della Resource Based View (Penrose, 1959; Wernerfelt, 1984; Barney, 1991) secondo cui il cambiamento organizzativo è teso alla ricerca di nuove risorse di valore strumentali al conseguimento, alla implementazione e al mantenimento delle dynamic capabilities(Rumelt, 1984) dalle quali dipende la differenziazione organizzativa su cui poggia il vantaggio competitivo. In tutti questi approcci, l’imprevisto, l’unicità e l’irripetibilità delle vicende umane e delle storie degli individui, le condotte strategiche poste in essere da gruppi e da coalizioni interni alle organizzazioni, le dinamiche di potere e di conflitto semplicemente non ci sono, non debbono esserci. Per converso, qualora si rilevino, sono associati a un’accezione di devianza e di patologia organizzativa, in quanto non governabili, causa di deragliamento del sistema dal binario dell’efficienza. Alcune posizioni - tipicamente quelle che si rifanno a modelli cibernetici (Beer S., 1973) - giungono a definire la varietà e la non completa prevedibilità delle condotte individuali e coalizionali interne alle organizzazioni come ostacoli alla corretta implementazione di un efficace ed efficiente design di strutture e processi, minaccia alla sopravvivenza e alla crescita del sistema. In ultima analisi, sono queste le ‘resistenze al cambiamento’ da spazzare via al fine di ricondurre le dinamiche del cambiamento organizzativo sulla retta via della evoluzione di un’organizzazione sana, governata da un management razionale secondo logiche squisitamente tecniche e nell’interesse del bene comune3.
3 - Le organizzazioni: come sono nella realtà E se le organizzazioni non fossero come vorremmo? Se non rispondessero alle logiche sopra delineate? Se fossero strumenti governati - seppure mai del tutto - da una coalizione pro-tempore dominante (Child, 1972; Dozier, 1992) nell’interesse di certi gruppi e non di altri? Se il ricorso al mito dell’efficienza e della razionalità tecnica fosse una strategia di comunicazione per ergere a scientifico ed oggettivo un percorso che è in realtà politico? Se il management, espressione della coalizione pro-tempore al potere, non fosse in grado di governare fino in fondo le dinamiche evolutive dell’organizzazione in quanto una serie di effetti inintenzionali si manifestano in uno con quelli intenzionali? Se la coalizione pro-tempore dominante non fosse in grado di garantirsi fino in fondo circa le concrete condotte del management che essa stessa ha indicato? Da questi interrogativi prende corpo una diversa idea di cosa siano le organizzazioni, di come operi il management e di come si possano delineare i concreti processi di cambiamento organizzativo. Un’idea che prende le distanze dalla visione di un’organizzazione ‘forte’ e compiutamente progettata ex-ante, così come dalle sempre seducenti ambizioni predittive che inesorabilmente richiedono assunzioni deterministiche4. Emerge così una visione ‘situazionista’ delle organizzazioni (Sparti D., 2002; Barley S.R., Tolbert P.S., 1997; Mastroberardino 2006, 2010) viste come contesti sociali di interazione, confronto e conflitto di interessi differenti da parte di attori-individuali e, più spesso, coalizionali – in grado di agire strategicamente per raggiungere i propri obiettivi. D’altro canto, tali azioni non avvengono mai in totale razionalità e libertà ma risultano razionalmente limitate (Simon, 1967, 1984) oltre che vincolate dagli effetti di processi di istituzionalizzazione che erigono veri e propri ‘copioni’ comportamentali che finiscono per divenire gabbie cognitive e materiali. Per questa via perde forza il ‘mito’ del fine istituzionale che tende a divenire ‘mezzo’ rispetto all’azione di una coalizione che pro-tempore è in grado, seppure mai del tutto, di orientare le strutture e le condotte organizzative (Calabrese, 2008). Si affievolisce anche la pretesa di una piena razionalità ex-ante dell’agire dei sistemi che appare ricostruibile solo ex-post, in una logica razionalizzante delle scelte piuttosto che razionale.
Le dinamiche organizzative reali non sono più fatte di analisi, valutazioni, decisioni, piani, programmi, azioni controllate, valutazioni oggettive e correzioni opportune. Questa rappresentazione esterna (palcoscenico) di razionalità e di tecnica cela (retropalco) un intricato tessuto di giochi, conflitti e negoziazioni, di valori e di regole, di potere e compromessi che conducono a equilibri, per definizione precari, sui quali sono erette forme di stabilizzazione (strutture e processi) mai definitive (Goffman, 1959). L’indebolimento investe anche il ‘mito’ del manager condottiero e governatore inquadrandolo piuttosto come un ‘negoziatore’ che opera nel mezzo, e prendendo parte, di complesse dinamiche coalizionali e di vincoli all’azione. Un manager che non agisce come mero esecutore di un ruolo tecnico ma come attore strategico con propri interessi e che spesso utilizza l’asimmetria informativa come leva strategica principe per la creazione e il mantenimento di una posizione di potere. Questa differente interpretazione rinvia a una lettura individualista 5 dell’azione organizzata e trova riscontro in un differente quadro epistemologico rinvenibile nella fenomenologia sociale (Berger, Luckmann, 1969; Goffman, 1969; Schutz, 1974) e nell’etnometodologia (Garfinkel, 1967). Da questi riferimenti di base si recuperano poi i contributi di due filoni teorico-concettuali solo apparentemente divergenti. Da una parte, il filone politico (Dahl, 1957; Emerson, 1962; Crozier, Friedberg, 1977; Pfeffer, 1981; 1992; Friedberg, 1993, 1994; Infantino, 2013), centrato sul concetto di potere che pone enfasi sulla dimensione politica dell’azione umana e approfondisce le dinamiche negoziali e coalizionali. Dall’altra parte, il filone neo micro-istituzionalista il cui focus è sui limiti posti all’azione strategica da istituzioni, usi, norme e procedure sociali che inducono schemi, pratiche e procedure definite attraverso processi di isomorfismo (Meyer, Rowan, 1977; Di Maggio, Powell, 1991; Jepperson, 1991; Friedland, Alford, 1991; Zucker, 1991). Le dinamiche del cambiamento organizzativo, dunque, lungi dal poter essere ‘spiegate’ una volta per tutte da leggi generali vanno ‘comprese’ caso per caso provando a ricostruire attraverso un vero e proprio lavoro storico i concreti spazi di ‘azione’ e i concreti vincoli posti dal processo di ‘istituzionalizzazione’. Figura 1 - Il cambiamento organizzativo: tra ‘azione’ e ‘istituzionalizzazione’
Fonte: Mastroberardino, Calabrese, 2011, p. 42.
Laddove i secondi si mostrano sedimentati, condivisi e solidi è assai improbabile che i residui margini di azione disponibili per gli attori possano indurre significativi cambiamenti che più probabilmente non si verificheranno. In un simile contesto concreto un progetto di cambiamento è percepito come estremamente velleitario e/o rischioso per l’attore/coalizione che lo promuove. Per converso, quando il quadro istituzionale si indebolisce, i valori che lo alimentano divengono meno condivisi e perciò meno influenti per le condotte degli attori, questi riscoprono maggiori margini di autonomia subendo meno le pressioni isomorfiche allora la probabilità di un cambiamento, anche radicale, aumenta. La dinamica tra ‘azione’ e ‘istituzionalizzazione’ tuttavia non va intesa, banalizzandola, come la lotta tra le forze del cambiamento (sane e giuste) e quelle della conservazione dello status-quo (malate e devianti). Altrimenti si ricade
inesorabilmente nell’ambito di quella visione, ingenua o ipocrita, dalla quale il presente contributo prova a emanciparsi. Si tratta di dinamiche ben più complesse. Da una parte gli attori - e le loro coalizioni - attraverso le proprie azioni tendono a costruire una realtà confacente ai propri interessi provando a forzare i vincoli esistenti e a definirne di nuovi a loro più confacenti. Dall’altra l’azione strategica, frutto di interazioni in certi momenti confliggenti e in altri collusive, genera solo in parte effetti intenzionali. Il processo di ‘istituzionalizzazione’, infatti, è esso stesso frutto - seppure inintenzionale - dell’azione individuale che reiterandosi finisce per erigere quei condizionamenti di ordine materiale e simbolico che frenano il cambiamento.
4 - Alcune considerazioni conclusive… e qualche provocazione È di tutta evidenza che l’idea che le organizzazioni possano essere entità precarie e disordinate, poco programmabili e con ristretti margini di standardizzazione delle decisioni e delle condotte, con a capo un management non ‘superuomo’ ma intriso di razionalità limitata, condotte politiche e interessi diretti in gioco, dopo essersi ‘abituati’ all’idea forte, pura e rassicurante - che si è istituzionalizzata nei decenni - delle organizzazioni come luogo dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza e di un management tecnico e scientifico disorienta e predispone al rifiuto. Se non altro, poiché una simile idea rappresenta un rilevante ostacolo, sia per la teoria sia per la pratica manageriale e consulenziale, alla possibilità di prospettare soluzioni nette e immediate in ordine a progetti, piani e programmi di cambiamento del SSN nel suo complesso e/o di singoli sistemi sanitari regionali e/o di singole organizzazioni sanitarie (ASL, AO). Al tempo stesso, visto l’ambito di pubblicazione del presente contributo, le considerazioni proposte richiederebbero anche una riflessione circa il percorso formativo che per un manager sarebbe più opportuno. Del resto, proprio la consapevolezza di simili ricadute potrebbe aiutare a comprendere l’aspirazione ovvero la convenienza di teoria e prassi a selezionare concezioni e modelli più spendibili, all’apparenza anche più scientifici, suscettibili di maggiore rapidità di diffusione e di applicazione. Del resto, chi meglio del medico può comprendere quanto sia complesso dover argomentare al proprio paziente che una soluzione ready to use al suo complesso quadro clinico, sicuramente efficace e senza effetti collaterali, in realtà non è disponibile e che la medicina è sostanzialmente un processo di sperimentazione continua, di apprendimento per prove ed errori. Quanto può essere forte la tentazione di proporre ‘la’ risposta definitiva ai quesiti con cui abbiamo aperto queste nostre riflessioni circa la natura e le dinamiche del cambiamento organizzativo? Una tentazione vieppiù profonda in un ambito - quello delle scienze manageriali - nel quale i potenziali committenti manifestano una naturale “predisposizione per l’effetto placebo procurato da modelli teorici che, seppure inadeguati a fornire previsioni affidabili, proponendosi convintamente come idonei allo scopo, finiscono per riscuotere apparenti successi” (Mastroberardino, Calabrese, 2013). La rilettura proposta, per converso, riportando al centro la dimensione politica dell’azione umana nella sua irriducibile imprevedibilità e i condizionamenti di ordine materiale e simbolico che la vincolano, perviene ad un concetto di governabilità caratterizzato da un più elevato grado di imperfezione, meno in linea con gli auspici di certe visioni dominanti, ma probabilmente più coerente con la complessità e l’indeterminatezza tipiche del concreto operare delle organizzazioni complesse. In conclusione, potremmo prendere a prestito le parole di Friedrich von Hayek (Nobel per l’economia nel 1974) che ci consentono di sgombrare il campo delle negative conseguenze della “abituale confusione che si fa intorno al vero significato dell’espressione: le istituzioni umane sono fatte dall’uomo (…) benché esse siano fattura umana, cioè esclusivamente il risultato di azioni umane, tuttavia possono non esserne un risultato deliberato e intenzionale (…) dalla fallace credenza che tutto quanto non viene prodotto secondo un cosciente progetto non può risultare utile e tanto meno essenziale all’adempimento di finalità umane, è facile passare alla credenza, altrettanto fallace,
che, essendo tutte le istituzioni prodotti umani, è possibile all’uomo riplasmarle come meglio desidera (…) non solo non le ha progettate nessuna mente umana, ma la loro stessa sopravvivenza e il loro stesso funzionamento dipendono dall’attività di esseri umani che non sono affatto spinti all’azione dal desiderio di mantenerle in vita” (Hayek F.A., 1997, pp. 110-111).
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