Il giorno del drago nel cuore della città vecchia (storie da un altro evo, serie fantasy e avventura

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Fantasy e Avventura

IL GIORNO DEL DRAGO Nel cuore della città vecchia

(Storie da un Altro Evo) COPYRIGHT IL GIORNO DEL DRAGO ISBN 978-88-908407-2-2

Proprietà letteraria riservata Copyright ©2014 Mala Spina Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali. Nessuna parte di questo ebook può essere riprodotta e diffusa con sistemi elettronici, meccanici o di altro tipo senza l’autorizzazione scritta dell’autore.

Prima edizione 2014 Progetto grafico e Copertina Altroevo

Ringrazio per l’indispensabile aiuto i beta-reader P. “Penna tra le nuvole” Rasetti, F. “Crom” Carretti e P. Geroli, Alessio Rossi e Maurizio “Zack” Vicedomini per l’Editing.

Questo libro è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale.

WEB: www.AltroEvo.com


FACEBOOK: www.facebook.com/storiedaunAltroEvo

SOMMARIO Frontespizio Copyright Sommario Due parole su Altro Evo *** I - UN MAGNIFICO INIZIO II - LA PAGLIA PIÙ CORTA III - LA STREGA DI QADER IV - ANDRÀ TUTTO BENE V - L’UOMO IN FUGA VI - IN ALTO MARE VII - LE COSE DA NON FARE VIII - IL GIARDINO ROSSO IX - I LÓNG X - IL GIOCO XI - UN UOMO FORTUNATO *** La serie continua… Biografia Mala Spina

DUE PAROLE SU ALTRO EVO

Una città ai confini dell’Impero, il potere conteso tra gilde commerciali e nobili, una minaccia che viene dalle colonie vicine. Ladruncoli, cacciatori di


taglie,alchimisti falliti e donne di taverna si muovono per i vicoli e vivono la notte nel quartiere peggiore di tutta la città. In questa serie di racconti fantasy Sword and Sorcery troverai intrighi,tradimenti, magia fuori controllo e creature mostruose. Ogni episodio è autonomo e autoconclusivo e la serie è leggibile in qualsiasi ordine, come un gioco a incastri. I personaggi incrociano le proprie strade e influenzano ognuno le storie degli altri, durante lo stesso giorno e nella stessa città. È un mondo cupo e a volte paradossale, in cui si mischiano humoure ironia con azione e mistero.

Tutto in città si muove come un ingranaggio e ognuno dei racconti è una parte del meccanismo, entra anche tu nella Città Vecchia di un Altro Evo!

Gli altri episodi sono già usciti!


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I UN MAGNIFICO INIZIO

Buio. Il puzzo di vomito e birra stantia gli invadeva le narici. Si sentiva la bocca impastata di un sapore infame, amaro come il veleno. Il vago dolore alle tempie con cui si stava svegliando s’intensificò in pochi attimi e diventò un feroce mal di testa. Era difficile formulare un solo pensiero di senso compiuto che non fosse una lista di epiteti lanciati verso divinità a caso ma soprattutto ricordare qualunque cosa della sera precedente. Nonostante ciò, l’aspetto più brutto di quel risveglio era il solito senso di confusione che provava ogni mattina, da quando era diventato marinaio su un mercantile. Era uno degli inconvenienti del non vivere nello stesso posto per più di qualche giorno e del non avere altro che una vaga idea della destinazione successiva. «Dove diavolo sono?» biascicò Gillean Conroy mentre cercava di aprire gli occhi ancora assonnati. Era il magnifico inizio di un nuovo giorno, ovunque egli fosse.


Il mondo sembrava girargli intorno e lo stomaco era stretto da una morsa che aveva sperimentato altre volte, quando una tempesta li coglieva durante le traversate. A giudicare dallo stato pietoso delle sue budella, doveva essere ancora in balia delle onde, a bordo della nave del capitano Fahd. «È tutto a posto…» si disse ancora. Milioni di puntini luccicanti vorticavano furiosi intorno a lui. Sfrecciavano in ogni direzione e così veloci che intuiva a stento dove si trovasse l’alto e dove il basso. Aprì a fatica gli occhi e vide che le lucine brillavano sempre più forte, fino a divenire un unico bagliore accecante. Quando i puntini si divisero, rimase una macchia centrale scura, che si modellò come la testa di un rettile dalle fauci spalancate. Le palpebre sembravano piene di sabbia finché, tra le lacrime, Gillean riuscì a mettere a fuoco l’interno di un locale, con le mura macchiate di nerofumo. Si trovava disteso su un pavimento di assi di legno male assestate, su cui poggiava una selva di tavolacci e sgabelli. Piantò i palmi delle mani al suolo e si sollevò, lottando contro la nausea. Andò a sbattere la nuca contro qualcosa di duro, con un tonfo sordo che rimbombò all’interno del suo cranio, da una tempia all’altra. Ricadde a terra stordito e si rese conto solo in quel momento che si trovava sotto a uno di quei tavoli di legno massiccio.

«Chi è là?» urlò una voce femminile. Il drappeggio di una lunga gonna color terra gli veniva incontro a passo di marcia. Gil raccolse l’equilibrio rimasto per strisciare da sotto il tavolo con la testa abbassata. Una volta fuori cercò una posizione più stabile e si mise a sedere, poi alzò gli occhi, si massaggiò la nuca dolorante e quello che vide per poco non gli fece venire un colpo. Davanti a lui una donna ben piantata brandiva il manico nodoso di una scopa e sembrava intenzionata a darglielo in testa di santa ragione. «Siamo chiusi, per Sheriamon! Ti decidi ad andartene?» Quella voce sgraziata gli stava perforando le orecchie, ma la cosa peggiore era la faccia della donna. Le guance cadenti, il naso schiacciato e i denti che sporgevano fuori dalla mascella, come per scappare, la facevano assomigliare in modo imbarazzante al grugno di un maiale.


La donna corrucciò le sopracciglia e continuò a sbraitare. «Mi hai sentito? Vattene a smaltire la sbornia da un’altra parte!» urlò, senza pietà per i suoi timpani.

La memoria del marinaio era una densa melassa scura da cui i ricordi riemergevano a fatica. Come quello della sera precedente quando, appena entrato nella taverna, era trasalito nel vedere l’orribile cameriera dietro al bancone. Aveva avuto di certo un’espressione eloquente stampata in faccia, tanto che lei sembrava aver letto ogni parola che gli era passata per la mente. Déi del mare, quant’è brutta! Non che il marinaio fosse in splendida forma, anzi. Considerata la nausea violenta che provava, doveva avere la faccia di un colore terreo e il bruciore agli occhi gli faceva supporre che fossero iniettati di sangue. Nel complesso era quanto più distante ci fosse dall’essere il giovane rispettabile che la famiglia Conroy aveva allevato.

Si passò le dita tra i capelli biondi e fini, appiccicati al cranio zuppo di sudore, nel vano tentativo rimediare a quello stato disastroso. Il marinaio alzò una mano in segno di resa e riuscì a mettersi in piedi, sorreggendosi al bordo del tavolo. La porta d’uscita, l’unica apertura che lasciasse passare la luce del giorno, sembrava una meta lontanissima. Sotto le suole dei suoi sandali, il pavimento scricchiolava di cocci rotti ed era scivoloso per quanta birra vi era stata versata, insieme ad altri prodotti corporei molto più vischiosi. Gil trattenne un conato di vomito e strabuzzò gli occhi. In quel momento sentì una fitta dolorosa alle costole che lo fece piegare in due e i sandali scivolarono su una macchia untuosa del pavimento. Il marinaio si trovò a roteare le braccia, cercando un appiglio qualsiasi per non cadere, mentre scivolava all’indietro. La schiena incontrò il bordo del bancone, con uno scricchiolio sinistro e un gran tintinnare di stoviglie. Si trovò faccia a faccia con l’oste, un uomo imponente, coperto di tatuaggi e con una barba che gli arrivava fin sul petto, intento a rimettere a posto le poche caraffe intatte scampate alla nottata.


«Ascolta, ragazzo,» disse l’oste con la voce roca e profonda di chi ha avuto una dura giornata di lavoro, «ieri sera tu e i tuoi compagni vi siete dati molto da fare. Gli altri sono già andati via da un pezzo, quindi farai meglio a uscire con le tue gambe se non vuoi che ti prenda per la collottola e ti sbatta in mezzo alla strada con le mie mani. Siete stati fortunati che il gentiluomo col cappello abbia pagato il conto!» «Chi?» chiese Gil con la voce strozzata. Dopo aver visto l’espressione torva dell’oste, ritenne prudente eseguire l’ordine prima possibile e tenere la bocca chiusa, soprattutto per la paura di rivoltare il contenuto dello stomaco sul pavimento della taverna e incorrere nelle ire del padrone e della sua orrenda cameriera. Barcollò fino all’uscita con una mano premuta sul fianco. Quando fu all’esterno si sentì rinfrancato dall’aria fresca delle prime luci dell’alba. «Un passo alla volta tornerò alla nave.»

La luce era accecante e si rifletteva sulla calce bianca degli edifici così da confonderlo ancora di più, se possibile. Si trovava in una strada anonima e stretta, le case, alte un paio di piani, nascondevano la posizione del sole e rendevano impossibile capire da che parte fosse il mare. Sopra la porta da cui era uscito, campeggiava una targa di legno colorato, con il disegno di un drago che stringeva un boccale e una rozza iscrizione: Al Drago Ubriaco. Gil l’osservò per qualche attimo e si trovò a pensare che la strana visione del mostro che aveva avuto non assomigliava per niente a quello sull’insegna della taverna. Strinse le spalle e tornò a studiare la strada, nel tentativo di capire come tornare alla nave.

In un altro momento avrebbe intuito in pochi minuti la direzione da prendere per il porto, grazie al suo fiuto infallibile per l’odore salmastro del mare. Alcune volte, nei passati viaggi, era anche stato decisivo per ritrovare la strada verso la costa e quelli erano momenti in cui si era sentito in stato di grazia. Purtroppo non era una di quelle volte.


Era stata la sua prima libera uscita dall’arrivo della nave e i potenti liquori della cittadina di confine lo avevano messo al tappeto prima che la serata fosse finita. I lunghi mesi di viaggio in mare, senza poter toccare un goccio di alcool, non lo stavano aiutando in quel mastodontico dopo sbronza e il guaio era che non ricordava un accidente di come fosse arrivato sotto quel tavolo.

«Giuro che è la prima e l’ultima volta che bevo così.» Mise una mano sulla fronte per bloccare i raggi del sole e riuscire a vedere dove diavolo fosse il mare. Non riusciva a credere di essersi ridotto così male e, fino a quel momento, avrebbe messo le mani sul fuoco di non essere il genere d'uomo pronto a ubriacarsi in maniera così degradante. Forse i saldi valori delle bianche scogliere da cui proveniva stavano venendo meno e la sua moralità aveva infine subito un’aggiustatina, grazie al clima bollente delle terre di confine. Cercò nella memoria qualche indizio che gli spiegasse cosa potesse averlo portato fino a quel punto e ne cavò solo una vaga sensazione di ansia, una specie di morsa alla gola che, da uomo del nord, riconobbe subito essere un indefinito senso di colpa. Gli sembrava di sentire nelle orecchie la voce di suo padre, il vecchio Conroy, e vederne il volto, così duro e inespressivo da sembrare di granito. «Vuoi andartene, Gil? Diventerai un debosciato come loro o finirai con la gola tagliata in qualche vicolo.» e quello era stato il dialogo più lungo che ci fosse mai stato tra loro da quando era nato. E se avesse davvero avuto ragione? Sorrise e stropicciò di nuovo gli occhi, cercando di concentrarsi. Si era voluto imbarcare su una nave diretta dalla parte opposta del mondo, solo per il suo desiderio di allontanarsi il più possibile dalle soffocanti atmosfere dell’Alto Impero, affascinato dagli stranieri chiassosi e sanguigni e dalle storie esotiche che raccontavano. Il capitano Fahd, con tutti i suoi racconti di avventure, la risata potente e le battute pronte, era l’emblema di quello che Gil aveva sempre cercato. Si era arruolato nell’equipaggio senza voltarsi indietro. Ben presto aveva accettato che il rigore e il pragmatismo con cui era cresciuto fossero troppo radicati in lui per essere spazzati via in pochi mesi. Non capiva la leggerezza dei propri compagni che


correvano tra le braccia delle prostitute o gettavano i propri soldi al gioco o nel bere. Almeno così era stato fino a quel giorno. Gillean concluse che quella specie di fastidioso senso di colpa fosse la consapevolezza di aver fatto qualcosa che nella sua terra d’origine era considerato un comportamento riprovevole e affatto degno dei Conroy, noti e onesti lavoratori. Che diavolo! Ho la coscienza a posto. Mi avranno offerto qualche intruglio andato a male.

Qualcosa lo spinse a lato in modo rude e avvertì un colpo al fianco, così improvviso e violento che quasi perse il già precario equilibrio. Un vecchio coperto di stracci, che puzzava come se qualcosa gli fosse morto in tasca, lo sorreggeva per un braccio mentre con l’altra mano sembrava dargli delle pacche paterne d’incoraggiamento. «Scusa giovane, tutto a posto?» Una bocca carica di denti neri come la pece gli stava sorridendo. «La mia vista non è più quella di una volta!» Il mendicante aggiunse una risata stridula e indicò una fascia laida che gli copriva entrambi gli occhi.

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