IL MIO AMORE A COLORI di Doris J. Lorenz
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Le vicende narrate in questo romanzo sono frutto della fantasia dell’autore. I luoghi citati in alcuni casi sono immaginari, mentre altri sono reali, quantunque costituiscano solo uno spunto narrativo. Tuttavia, ogni coincidenza con situazioni e persone reali è puramente casuale.
Sinossi “Inizia il gioco... sei pronto a scommettere?” Lessi sul display del mio smartphone, dopo che un pling mi aveva distolto dalle battute che stavo scambiando con i miei amici. “Chi ti scrive?” mi chiese Andrea. “Una certa Ketty, non saprei...”. “Sei pronto ad abbandonarti al piacere?”.
A sconvolgere la vita di Tiziano, che non è semplice come sembra, arriva un messaggio: “Inizia il gioco... sei pronto a scommettere?” dal profilo di Facebook di Ketty, una perfetta sconosciuta. Difficile per un ragazzo come lui rifiutare una
scommessa, un gioco che si rivelerà pieno di sorprese inaspettate, ma soprattutto di fantasie sensuali che lo porteranno a chiedersi chi sia questa ragazza dagli occhi da gatta che lo punzecchia e che con i suoi strani giochi lo aiuta a maturare artisticamente. Tiziano, un mix di arroganza e fascino è adorato dalle ragazze e preso come modello dai suoi amici. Frequenta l'Accademia di Belle Arti di Roma ed è il più bravo del suo corso; si delizia della sua popolarità e ritiene le sue opere impeccabili e perfette, mentre al di là di un’ottima tecnica pittorica, i suoi quadri sono privi di passione. Alice è ironica, è una promettente pittrice, ma per mantenersi all'Accademia, deve lavorare in un ristorante di Trastevere. Detesta il modo superficiale con il quale Tiziano e i suoi amici affrontano la vita, per loro così semplice, senza preoccupazioni, soprattutto economiche. Tiziano è attratto da quella ragazza che invece di cadere ai suoi piedi come le altre, lo tratta con sufficienza e gli risponde per le rime, criticandolo per la sua superficialità. Attratta da lui, Alice però, lo respinge: non vuole essere una delle sue tante conquiste. Le sfaccettature della vita di ognuno dei protagonisti non sempre coincidono con quelle degli altri e quello che a prima vista sembra ben delimitato, ha invece contorni indefiniti come l'arte e soprattutto, l'amore.
IL MIO AMORE A COLORI di Doris J. Lorenz
1 Tiziano
“Inizia il gioco... sei pronto a scommettere?”
Lessi sul display del mio smartphone, dopo che un pling mi aveva distolto dalle battute che stavo scambiando con i miei amici. “Chi ti scrive?” mi chiese Andrea. “Una certa Ketty, non saprei...”. “Sei pronto ad abbandonarti al piacere?”. Andrea ridacchiò, dopo aver sbirciato il secondo messaggio. “Sicuramente è una che ti sta attirando in qualche chat a pagamento”. “Ma chi cazzo sei?” Risposi, poi andai a vedere la foto e il suo profilo su Facebook. “Chi è?” mi domandò Danilo che si era avvicinato, incuriosito. “Non lo so… occhi verdi da gatta… non mi dicono proprio niente. Tra le amicizie ha solo... no, non ha nessuna persona, solo istituzioni, associazioni...”. “È un troll” sentenziò Andrea. Chiusi il suo profilo, poi andai su Messenger e le risposi. “Fanculo”. Poi rimisi il cellulare in tasca. Dopo qualche secondo, un altro pling mi avvisò che Ketty o qualcun altro mi aveva mandato un messaggio. “Non sei curioso di sapere chi è e perché ti ha contattato?”. “Non mi interessano le pazze che girano sui social, di certo è una che vuole attirarmi in qualche chat erotica a pagamento per ciucciarmi un po' di soldi”. “Basta che non accedi a nessun servizio al di fuori di Messenger, non credo che così possa fregarti soldi”. Un alto pling fece tacere Danilo. Andrea mi tolse il cellulare dalla tasca dei jeans e io lo strattonai per prenderlo, ma lui prima mi spinse da parte e poi si allontanò da me. Gli andai incontro, incazzato.
“Wow, questa gioca pesante, io una scommessa la farei proprio” mi disse, un attimo prima che gli strappassi lo smartphone dalle mani. “Non mi interessa, le ragazze per scopare le trovo anche senza perdere tempo a chattare”. “Il grande fottitore!” mi prese in giro Andrea. Gli sferrai un pugno sulla spalla, ma lui si spostò all'ultimo momento e il colpo gli arrivò solo di striscio. “Riflessi lenti!” disse e poi si diresse verso l'entrata dell'Accademia di Belle Arti, seguito da Danilo; io rimase leggermente indietro. Lo ammetto, ero curioso di leggere quello che mi aveva scritto Ketty nei due messaggi. “Chi sono non ha importanza, ma di sicuro ci divertiremo, se sei disposto a scommettere con me…”. Diceva il primo, mentre il secondo mi aveva fatto proprio incazzare. “L'insulto è perché non hai argomentazioni. Game over Tiziano!” Non sono un tipo che si tira indietro e volevo dimostrarlo anche a questa fantomatica Ketty, quindi le risposi. “Quando vuoi, sono pronto a chiarimenti, ma voglio sapere chi sei”. Mi guardai attorno, avevo la sensazione che la 'gatta dagli occhi verdi' che voleva graffiare, mi conoscesse bene e chissà, forse mi stava osservando proprio adesso, da dietro qualche finestra dell'Accademia. Alzai lo sguardo, ma dalle finestre che si affacciavano nell'atrio semicircolare non vidi profilarsi nessun volto. “Non serve, è più interessante così: puoi abbandonare quando vuoi”. Scrisse lei. “Non ti interessava sapere chi fosse o cosa ti scrivesse, vero?” mi riprese Andrea che era tornato indietro e mi stava guardando con aria di sfida. “Solo curiosità” risposi, mettendo rapidamente il cellulare nella tasca dei jeans, senza replicare al messaggio di Ketty.
2 Ketty
Il muro era fresco e stavo trattenendo il respiro. Appiattita al lato della grande finestra del secondo piano dell'Accademia, chiusi gli occhi. Sentivo lo smartphone scivolarmi lentamente dalle dita che tremavano. C'era mancato poco che mi vedesse. “Che ci fai spiaccicata sulla parete?” mi chiese J. Mi aveva spaventato, perciò le risposi rabbiosa. “Che cazzo vuoi? Avevo bisogno di rilassarmi un attimo prima dell'inizio della lezione” mi chinai presi la borsa di stoffa e feci scivolare il cellulare al suo interno, poi ripresi a respirare regolarmente. La mia amica mi guardò in modo strano, inclinò la testa, poi la ruotò leggermente, come a volermi vedere sotto una luce diversa. “Più che rilassarti mi sembra tu abbia appena incontrato un fantasma o fossi in procinto di avere un attacco di panico: sei bianca come una tela immacolata” mi prese per un braccio e mi spostò, fino a mettermi sotto la luce che arrivava dall'esterno. “Sei sicura di star bene?”. “Ma certo! Mi stavo solo concentrando” mi liberai della mano sul mio braccio e senza aspettarla mi avviavi verso l'aula dove avevamo la prima lezione. Sperai di riprendere il mio colorito normale insieme al controllo della mia respirazione, oltre al mio solito atteggiamento, quando l'avrei incontrato quella mattina. “Sei strana ultimamente” mi disse J, raggiungendomi. Non ero riuscita a confidarmi con lei su quello che avevo progettato da quasi un mese.
Certo, lei sapeva della monumentale cotta che avevo per Tiziano, non ero riuscita a nasconderglielo, anche perché, oltre ad essere la mia migliore amica, condividevamo una stanza in un appartamento in periferia. Non potevamo permetterci di più di quei venti metri quadrati di stanza che occupavamo in due. Gli altri due coinquilini vivevano nelle altre due stanze, anche più piccole della nostra. I pochi metri quadrati in più che io e J avevamo a disposizione, li utilizzavamo come studio; per realizzare i nostri lavori, avremmo avuto bisogno di molto più spazio, ma quello era tutto quanto ci potevamo permettere. “Stasera abbiamo un turno massacrante, mi ha appena chiamato Francesca che Michele si è dato malato, vedrai che casino al lavoro”. Feci una smorfia di frustrazione e in quel preciso istante Tiziano entrò in aula. Incrociai il suo sguardo e lui mi salutò. “Ora sì che hai ripreso il colorito” puntualizzò J e io la fulminai con un'occhiataccia. “Che si dice da queste parti?” chiese Andrea che ci aveva raggiunto. “Aspettiamo che arrivi la modella o magari, per una volta ci sarà un modello?” domandai senza attendere una risposta. “Ti piacerebbe è?” mi stuzzicò Tiziano che si era avvicinato insieme a Danilo. “Un po' di addominali al posto di zinne e culi, in effetti non mi dispiacerebbe” gli risposi, lui mi sorrise e poi mi prese la mano e la mise sul suo torace. “Ti bastano?”. “La modestia non è mai stata il tuo forte” replicai. “Posso sempre posare per te privatamente, se ti serve per fare... esercizio”. Lo spinsi via, ma lui proseguì. “Non sai cosa ti perdi…”. “Prima o poi troverai qualcuna che ti...”. Scosse il capo e si avvicinò di nuovo a me.
Quelle schermaglie stavano diventando sempre più frequenti e io non sapevo per quanto avrei potuto ancora respingerlo, senza fargli capire che era proprio il contrario quello che volevo. “Non sto cercando l'anima gemella, non ho mai creduto esistesse, ormai mi dovresti conoscere abbastanza bene. In fondo, ci assomigliamo” mi provocò. “Ognuno ha i suoi obiettivi o traguardi da raggiungere. Il sesso distrae e fonde il cervello, tu sei sulla buona strada” commentai, ero stata convincente: lui mi guardò e un rinnovato stupore si dipinse nei suoi bellissimi occhi nocciola, dai riflessi ambrati. “Sei fantastica!” un leggero sorriso, poi si voltò e raggiunse la sua postazione di lavoro. Guardai quello che mi sembrò un immenso foglio bianco appoggiato al mio cavalletto e pensai che anche questa volta ero riuscita solo a scalfire il suo enorme ego; per arrivare alla sua anima avrei dovuto scavare e non so neanche se sarebbe servito. Volevo essere una protagonista nella sua vita e non una semplice comparsa. Ci legava un'amicizia ormai consolidata, ma non mi aveva mai guardato con quello sguardo pieno di desiderio che riservava a chi si portava immancabilmente a letto. Volevo si accorgesse di me, non solo perché lo punzecchiavo ed evitavo di adularlo, anche se era un bravissimo artista. Facevamo parte io e J del suo stesso gruppo, ma non uscivamo sempre insieme, solo perché noi due, eravamo anche lavapiatti o meglio le sguattere del Vetus Roma una trattoria in Trastevere e non avevamo molte sere libere, ma quello era il lavoro che ci permetteva di pagare l'affitto e frequentare l'Accademia. “Sbaglio o anche oggi hai perso l'occasione di fargli capire cosa provi per lui?” mi disse J, sistemando meglio il foglio di carta acquerello sul cavalletto. “Davanti ai suoi amici? No, non mi va di sputtanarmi, se mai riuscirò a fargli capire quello che provo per lui sarà quando saremo a quattr'occhi, con la speranza che non vada a spiattellare tutto e poi continui a prendermi in giro per il resto degli anni che frequenteremo l'Accademia”. “Ma non dovevi fare niente di strano, magari cambiare quell'espressione sempre minacciosa o ironica che hai nei suoi confronti. Per me devi lanciargli qualche segnale, altrimenti come fa a capire? Voglio dire...”
La interruppi. “Verrà un momento in cui mi sentirò pronta e vedrai, lui capirà. Allora valuteremo la sua reazione, per me non se lo aspetta per niente”. “Ecco te lo dici da sola, se...”. Un brusio accompagnò l'entrata del professore con la ragazza che avrebbe posato per noi quel giorno, così io e J interrompemmo la nostra conversazione. Mi voltai a guardare dalla parte dell'aula dove stava Tiziano. Il suo sorriso compiaciuto mi provocò la solita fitta di gelosia, quella che provavo quando notavo le occhiate che lanciava a tutte le ragazze che trovava attraenti. Quando disegnava però diventava un automa, concentrato, preciso e io spesso avevo voglia di dirgli che oltre la tecnica, non riusciva a mettere qualcosa di veramente suo. Come se guardasse tutto da una distanza di sicurezza che gli impediva di raggiungere l’essenza delle cose o delle persone che ritraeva. Si soffermava solo sull'involucro, questa comunque era una delle cose che gli avrei fatto notare in chat, protetta dal mio nickname. Dovevo essere molto accorta, non affrontare mai un discorso che avrei proposto o discusso con lui in quel profilo, sempre se avesse accettato di confrontarsi con me; lui avrebbe potuto capire, ma al momento volevo conservare il più stretto anonimato, solo dopo essere riuscita a portarlo sul mio terreno, averlo fatto appassionare e coinvolto nel mio gioco, gli avrei rivelato chi ero. Il mio piano era di proporgli fantasie erotiche, legate alla pittura, per spingerlo a pensare a Ketty. Volevo insinuare questa specie di tarlo nelle sue giornate e diventare così, a poco a poco, una protagonista nella sua vita. Desideravo avvicinarlo in un modo inusuale per indurlo a riflettere. Avevo scelto un nome che iniziasse per K con la stessa logica per cui avevo affibbiato la lettera J alla mia amica: avevo sempre avuto difficoltà nell'infanzia a collocare nell'alfabeto quelle lettere straniere, inoltre io e J eravamo anche noi un po’ delle estranee, ai margini del gruppo di Tiziano, Andrea e Danilo. Li avevamo conosciuti all'inizio di quel primo anno di Accademia e tra noi si era subito manifestata un'affinità. Eravamo tutti artisti dentro, anche se provenivamo da
realtà diverse e per questo riuscivamo a collaborare, interagire e alla fine avevamo fatto amicizia. “Ma dove le trovano ste gnocche per posare? Mai una con la cellulite o il culo flaccido” disse J. “Perché ti devi sempre fare certe domande? Disegna e fregatene, a noi serve per esercizio e mettici convinzione, altrimenti il prof si accorge”. “Non credo, è così preso dalla bravura di Tiziano che dubito possa accorgersi in qualche modo delle nostre fatiche, anche se con te un pelo di attenzione in più ce la sta mettendo. Stai maturando tanto, io invece sono rimasta al livello in cui sono entrata”. “Tu eri già brava e manualmente dotata; io ho fatto più fatica, ma ho dentro il fuoco e la passione del disegno. Ho solo recuperato in parte le mille difficoltà che avevo di trasferire sul supporto quello che la mia mente vede e la mia anima tenta di esternare”. “Vedi di esternare qualcosa verso Tiziano, altrimenti ti riduci come stamattina a guardarlo e spiarlo dalla finestra”. La osservai sorpresa. “Pensi non ti abbia visto che lo stavi tenendo d'occhio?”. “Non ti sfugge niente” commentai, riprendendo una parvenza di concentrazione e la padronanza del respiro che mi si era inceppato. Sarebbe stato il massimo che mi avesse beccata, mentre cercavo di coinvolgere Tiziano nello strano gioco che gli avevo proposto. Non certo perché J mi avrebbe tradito, ma solo perché pensavo che la mia idea sarebbe stata un fallimento e fondamentalmente mi vergognavo un po' di quello che avrei scritto nelle mie fantasie, sempre se lui avesse accettato di scommettere con me. “Te l'ho detto che sei strana ultimamente e molto più tra le nuvole del solito, pensa se ti avesse scoperto qualcun altro”. “Sì, hai ragione devo stare attenta, non voglio fare la figura della fessa, almeno non di più di quello che già mi sento”.
“Inutile che io continui a dirti che per me, è una battaglia persa riuscire a coinvolgere Tiziano in una storia seria. Per me è un anaffettivo”. “No, non lo credo non potrebbe dipingere così bene: sente i colori, la luce, è fantastico con le prospettive, deve solo tirare fuori la sua anima e metterla oltre che nelle sue opere anche nella vita”. Lei mi soppesò un attimo, guardò la modella che il prof aveva fatto accomodare sul piano dove si era distesa. “Verde, oggi è verde” sentii protestare la mia amica. Il prof aveva scelto quel colore per il telo da drappeggiare addosso alla modella, per coprire, in sostanza, le sue parti intime e J odiava il verde. “Per me devi solo dimenticarlo... lo so è bello, ha un fisico da urlo, diventerà un grande artista, forse anche famoso, ha tutto... ma è freddo, cinico, superficiale” poi scosse la testa. “Causa persa, sì forse hai ragione... ma voglio tentare un'ultima cosa” le dissi. “Cosa?” mi chiese curiosa. “Se ci riesco te la dico, per scaramanzia, questa volta non lo dirò neppure a te”. “Stronza!”. Le sorrisi.
3 Tiziano
Quella mattina ero ispirato. Veramente quando vedevo una bella modella ero sempre ispirato e quella a 'culo e zinne' stava bene. Sorrisi al pensiero di come, per l'ennesima volta, la sintesi della mia amica mi aveva fatto ridere, ma entrambi erano particolari.
Le guardai. Erano dalla parte opposta rispetto a dove ero posizionato io con il cavalletto e la mia tela ancora immacolata. Alice e Marta, abbastanza simili fisicamente, ma pressoché identiche nel carattere. Ironiche, sprezzanti a volte, non mi avevano mai fatto passare liscia neanche una battuta, sin dal primo giorno che le avevo avvicinate. Me le sarei fatte entrambe. Adoravo le lentiggini di Alice, i suoi occhi verdi e il suo seno prosperoso che non difettava neanche a Marta che aveva i capelli ricci più scuri e più corti di quelli di Alice. Ma erano ormai nella 'friend zone' e mi stava bene così, provandoci con loro, avrei solo rovinato una bella amicizia. Dopo di me erano le più brave e talentuose in disegno artistico e non solo in quello. Mi mancavano le loro battute, soprattutto quando uscivamo con il resto del gruppo la sera. Loro non c'erano quasi mai: facevano un lavoro massacrante al ristorante dove andavamo spesso anche noi a mangiare, per raggiungerle in qualche modo e per scambiare con loro quattro chiacchiere di arte e disegno. “Stasera andiamo a trovare le 'gemelle'?” chiesi a Danilo. Lui diede una sbirciatina a Alice e Marta. “Quale delle due voglie ti vuoi togliere? Quella alimentare o l'altra... per me so frigide, ma mi piacerebbe riuscire a farmele, soprattutto Alice, adoro le sue lentiggini”. “Sì, le lentiggini” disse Andrea accanto a me. “Va bene, lo ammetto, mi sono sempre piaciute, ma non c'ho mai provato, solo perché...” ma Danilo non riuscì a finire il discorso. “Perché ti manderebbero in bianco” gli disse Andrea. “Vogliamo scommettere che...” tentai di intromettermi di nuovo nella discussione.
“Lascia perdere, credo tu stia per farlo con una certa Ketty, pensa se fosse quella là, quella che da stamattina te sta a puntà, come se fossi l'ultimo ragazzo sulla faccia della terra”. “Quale?” chiesi curioso. “Quella con il grembiulino a scacchi rosso e bianco, come le tovaglie del Vetus Roma”. “Per me quella sta a guardà a te” tagliai corto e mi concentrai sulla tela. “Dai, per una volta che ammetti che non tutte so con la fregola de fasse sbatte da te” mi rinfacciò Andrea con ironia. Non li ascoltai più: ero già dentro il quadro che avrei dipinto. Anche se per un attimo, il mio pensiero svolazzò pericolosamente sul verde del drappeggio, attorno alle forme sinuose della modella che mi ricordarono il colore degli occhi del gatto: l'icona del profilo di Ketty. Ero indeciso su cosa le avrei risposto, in effetti la curiosità stava galoppando ed ero certo che lei puntasse proprio su questo. Perché non avrei dovuto scoprire cosa voleva scommettere e che gioco voleva propormi? Le avrei risposto il prima possibile, sorrisi impercettibilmente e iniziai a disegnare con la fusaggine i contorni della modella sulla tela bianca. I miei segni erano precisi e veloci, tracciati con la determinazione che mi contraddistingueva sempre. Sarebbe stato un ottimo lavoro, me lo sentivo, come tutti gli altri del resto. La modestia non è proprio il mio forte: io sono il migliore.
4 Ketty
Ero contenta del lavoro svolto quella mattina. Dipingere, studiare storia dell'arte o fotografia, mi aiutava a non pesare al resto della mia vita che in pochi tratti salienti si poteva definire squallida. Il lavoro pesante e mal retribuito al ristorante era sopportabile solo perché lo svolgevo con J e con altri ragazzi che come noi due, non avevano trovato di meglio. Tutt'altra cosa era la compagnia di Tiziano e di quelli del gruppo, loro non avevano bisogno di lavorare per potersi permettere gli studi e spesso venivano a trovarci al locale; mangiavano e chiacchieravano con noi, quando non c'erano molti clienti, ma era raro che potevamo permetterci di sederci con loro per scambiare due parole, anche dopo ore di duro lavoro. Solo se rimanevano fino alla chiusura del ristorante, di sabato di solito lo facevano, e se noi non eravamo troppo stanche, andavamo con loro in qualche locale, ma accadeva raramente. Secondo me, Tiziano veniva per Francesca. Perché mentire a me stessa, era palese: ogni volta che si sedeva a un tavolo tentava in tutti i modi di agganciarla, ma lei si era sempre negata. In effetti, non capivo perché lei continuasse a respingerlo, proprio come quel sabato sera. “Il tavolo tre? Dove sono le loro ordinazioni?” sentii la voce di Francesca alzarsi di un tono, diventando stridula; era sul l'orlo di una crisi di nervi una delle sue sfuriate isteriche che potevano limitarsi a semplici insulti rivolti a tutto e tutti o addirittura sfociare in un tiro al bersaglio con qualche stoviglia. L'adoravo quando faceva così. “Sto per impiattare e datti una calmata!” le rispose Luca, l'aiuto cuoco. “Cerca di rilassarti” l'apostrofò Giovanni, il padrone del ristorante, intento a guarnire di verdure due piatti con al centro una bistecca. “Come faccio a rilassarmi se sono sola a servire una marea di gente rompi coglioni e con mille pretese” continuò a lagnarsi lei. “Intanto porta queste al tavolo numero dieci, poi fai un bel sorriso dei tuoi a quelli del numero tre e dici loro che stiamo provvedendo”.
“L'ho detto prima, non attacca più, me ce mandano alla grande stavolta”. “E tu faje un sorriso lo stesso” commentò Giovanni. Francesca prese i due piatti con le bistecche, lo guardò in malo modo, diede due decise masticate all'immancabile gomma che aveva in bocca e si diresse verso l'uscita della cucina. “Tanto non se la prendono con voi” ci disse e con un colpo di culo magistrale aprì la porta e si dileguò verso la sala del ristorante. Mi bastò quello spostamento delle due ante della porta per inquadrare Tiziano che stava ridacchiando con Andrea. Non erano sicuri se sarebbero venuti, ma ora mi sentivo positiva e dato che era a tiro, dovevo trovare il modo per mandargli quello che avevo pensato di dirgli dopo la sua risposta della mattina, da allora non mi ero più fatta viva. Ma quello, decisamente, non era il momento adatto per imboscarsi. “Io quel bel culo lo utilizzerei in un altro modo, invece che per scostare le porte da saloon” disse Luca a Giovanni; io e J ci guardammo, mentre loro ridacchiavano. “I soliti commenti sessisti” dissi alla mia amica. “Perché, pensi che al tavolo dei nostri amici il tono sia diverso? Forse si trattengono perché ci sono anche le altre e poi vedrai tra un po', l'isterica verrà a lamentarsi qui per come...” ma si interruppe, perché Francesca era tornata dentro con dei piatti vuoti. “Ma Tiziano non ha una ragazza in questo periodo? Non fa che provocarmi” ci chiese, ma era chiaro che le piacevano le sue avance. “Non saprei, non gli tengo l'agenda con i numeri di quelle che si scopa, forse erano tutte occupate, ma se gli fai un cenno, credo sia più che disposto a darti una botta” le risposi. “Sempre acida, certo che...” si avvicinò a noi due e poi riprese a parlare. “Certo che non mi dispiacerebbe trovarmelo nel letto, ma è ancora troppo pischello” e ridacchiò divertita.
“Ma non abbiamo tutti la stessa età? Oppure tu sei una di quelle che adesso se la alzano per sentirsi più donna, poi quando sarai più attempata l'abbasserai per giocare alla ragazzina?” le dissi, con un sorriso ipocrita che mi illuminava il viso. “Ma da quanto non te...”. “Riduci sempre tutto alla sfera sessuale, potrei anche fregarmene di un ragazzo a differenza di te, che ci racconti le tue prodezze a letto e poi ti rifiuti di aiutare un povero ragazzo che cerca conforto tra le tue gambe”. “Eh, non si fa così” rincarò la dose J. Francesca ci guardò un attimo, come se non avesse capito bene, poi esplose. “Siete due stronze, identicamente stronze!”. “Mi piace l'identicamente” sottolineai compiaciuta. “Due perditempo dietro ai pennelli che producono quadri che non comprerà mai nessuno, farete le lavapiatti e le sguattere per l'eternità”. “Oddio, ma ti rendi conto... la nostra vita sarà un totale fallimento, due barbone che vivranno agli angoli della strada, costrette a litigare per un metro quadrato di posto a piazza Navona o a Trinità dei Monti, per vendere ai turisti la nostra paccottiglia, spacciata per pura arte di paesaggi e scorci romani” finsi di essere inorridita. Francesca non era così scema, come a volte voleva far credere, mi diede una spinta e io gliela restituii. “Smettetela!” ci intimò Giovanni. “E tu, smettila di fare la cretina con i clienti e porta al tavolo numero tre le ordinazioni”. “Ma se prima mi hai detto di sorridergli?” disse Francesca indispettita, si era voltata verso il nostro capo e la coda di cavallo le era finita nella scollatura della divisa da cameriera. “Dai, spicciati!” le intimò e la precedette per aprirle la porta, lei si voltò un attimo verso di me e mi fece una smorfia, accompagnata da una linguaccia. Io le risposi con un sorriso e un dito medio alzato, proprio mentre Giovanni apriva le due ante e Tiziano mi stava fissando. Si mise una mano sul petto, indicando se stesso, come se quel gesto fosse indirizzato a lui.
Io scossi la testa e poi tornai a concentrarmi su come scrostare una pentola. Era meglio che sapere che ci avrebbe ancora provato con lei e chissà, forse se continuavamo a incitarla a dargliela, prima o poi, Francesca si sarebbe decisa a farlo. Sfregai con più foga il grasso bruciacchiato e attaccato al fondo della pentola, la semplice idea di loro due, insieme, mi faceva incazzare a morte. “La passerai da parte a parte” mi disse J, commentando la determinazione con cui stavo pulendo la pentola. “Almeno diventerà lucida”. Lei sospirò. “Deciditi a dirgli qualcosa, non ti posso più vedere incazzata ogni volta che qualcuna sfiora solo l'idea di...”. “Sì, lo so, ci darò presto un taglio, anzi se vuoi continuare tu, devo andare un attimo al bagno” e le lasciai la pentola, mi tolsi i guanti di gomma e sparii nella piccola toilette dietro la cucina, non prima di aver visto rientrare in cucina Francesca.
5 Tiziano
Il pling di un messaggio mi distolse dal culo di Francesca che era appena sparita dalla mia vista. Era Ketty, avevo pensato si fosse tirata indietro. “Sono felice che tu abbia accettato di giocare con me, ti arriverà un messaggio un po' lungo, prenditi tutto il tempo che vuoi per leggerlo”. Mi aveva scritto. “La misteriosa gatta?” mi chiese Andrea che era seduto accanto a me. “Gatta?” gli fece eco Roberta.
Non le risposi, anche perché era tornata a bomba poche ore prima sul perché non volevo avere più niente a che fare con lei. Non la sopportavo più. Non c'era stato molto tra noi, qualche ora di sesso, che tra le altre cose avevo già dimenticato, ma lei evidentemente la pensava in modo diverso. “È interessante quello che ti ha scritto?” chiese Danilo che si era sporto sopra al tavolo per sbirciare il mio smartphone. “Ma li cazzi vostri mai, è?” mi alzai dal tavolo e uscii dal ristorante, era una cosa tra me e Ketty e anche se non avevo idea di cosa e del perché volesse giocare con me, ero sempre più curioso. Mi allontanai dal locale, cercando un punto isolato e distante dai clienti che erano fuori per fumarsi una sigaretta e stavano chiacchierando. Volevo avere la massima concentrazione per capire in che stronzata mi stavo cacciando e sorrisi al pensiero che ero sempre più bravo a trovarne di nuove che fossero in grado di eccitarmi, dando un senso alla routine della mia vita, a volte piuttosto noiosa. Ero convinto che Ketty mi avrebbe fatto divertire, almeno le premesse c'erano tutte: mistero, ironia e soprattutto, curiosità. Valutai il muro scrostato di una casa che si affacciava sul vicolo e con una smorfia di sufficienza mi ci appoggiai e presi a scorrere il messaggio. “Fantasia numero 1. Prendi appunti se pensi di non ricordarti le mie parole, anche se credo ti sarà difficile dimenticarle. Faccio solo un breve preambolo, perché tu non creda che ti scrivo queste cose per dimostrarti qualcosa o chiederti qualcosa. Rimarrò nell'anonimato, ma nel frattempo pensa a me come a un'amica che ti vuole aiutare a diventare un bravo artista e anche se ora scuoterai la testa incredulo, so che ascolterai i miei consigli, anche se non subito” smisi di leggere e feci scorrere il messaggio fino alla fine per risponderle. “Io non voglio consigli, avevi parlato di un gioco” protestai, battendo con rabbia sulla tastiera virtuale del cellulare. Attesi la sua risposta.
“Lo sapevo che non avresti letto fino in fondo e che ti saresti alterato, sei un arrogante, presuntuoso, ma io lo sono più di te, proprio perché credo di poterti aiutare, cosa che i tuoi amici per ora non stanno facendo. Non ho tempo da perdere, quindi, continua a leggere. Tu hai delle ottime qualità artistiche, ma non sarai mai nessuno, se non tiri fuori la tua anima quando dipingi e per farlo prima la devi trovare e conoscere a fondo”. Arrogante, presuntuosa e anche saccente, ma il suo modo di fare mi incuriosiva, inoltre, sembrava conoscermi bene. Tornai a leggere il seguito del suo messaggio. “La tua prossima ragazza sarà il primo passo verso l'interiorità, so che per te è normale trattarla come un oggetto, dovrai maturare anche in questo, perché se riuscirai a capire il suo stato d'animo e a concentrarti su di lei e non su te stesso, allora tutto il tuo mondo avrà un altro punto di vista”. Smisi di leggere e mi guardai attorno. Come se potessi trovare Ketty tra i turisti che uscivano dai ristoranti e passeggiavano tranquilli, godendosi le bellezze del rione. Li osservai, mentre indugiavano ad ammirare i vecchi palazzi di Trastevere. Era un rione che frequentavo spesso e non solo per andare al Vetus Roma, ma non mi ero mai soffermato a studiare i profili dei palazzi antichi e colorati che sembravano accogliermi, mentre avvertivo la strana sensazione di essere osservato. Ketty aveva ragione: la mia sensibilità di artista era stata messa da parte da tempo, per dare spazio alla tecnica e lei l'aveva capito, ma lei come faceva a saperlo? Chi era questa mia misteriosa interlocutrice? Avevo voglia di continuare a leggere, ma nello stesso tempo, volevo scoprire chi mi stava analizzando così profondamente, senza che io potessi vederla, inoltre, ero curioso di sapere perché lo facesse. Ripresi a scorrere il messaggio sullo smartphone. “Lei farà tutto quello che le chiederai, so che hai questo potere sulle ragazze che ti porti a letto, adoranti bambole senza carattere. Quindi, le legherai i capelli se li ha lunghi, poi la farai spogliare, ma non prima di aver sistemato una grande tela per terra, lei trasferirà la tua arte sulla tela, ma prima le devi dipingere il corpo nudo”.
Tornai a fare scorrere velocemente il messaggio per chiederle. “Ma lavori per una hot line?” e mi veniva da ridere, mentre inviavo il messaggio. Attesi un attimo e lei mi rispose. “No, idiota!”. “Allora questa tua fantasia è qualcosa che vorresti avere con me, ma siccome non hai il coraggio di farti vedere di persona, ti sei inventata questo gioco. Sei tu l'idiota”. “Il mio è solo un tentativo di rendere più appagante la tua vita sessuale, vorrei farti capire la differenza tra scopare con una persona e farci l'amore, se capirai questo, anche le tue opere diventeranno magnifiche”. Pensai un attimo prima di risponderle. “Tu sei matta da legare, Ketty”. “Continua a leggere, se poi decidi di tirarti indietro, puoi farlo, quando vuoi. Io ho molte altre cose da fare”. Non ero più così convinto, anche se questa storia della ragazza pitturata mi stava facendo venire tante idee in testa. Ripresi a leggere. “Il materiale che ti occorre: un pennello dalla punta piatta e dalle setole morbide, direi un n° 24 di martora, dei colori per il corpo, delle pennellesse. Non dovrai dipingere tutto il corpo della ragazza, ma solo una parte, quella che vuoi; disegni geometrici, oppure soggetti floreali, quello che ti pare, l'importante è che tu la faccia stendere sulla tela. Inizierai dai capezzoli, con il colore che preferisci, molto colore, deve essere materico e soprattutto, dovrai muoverti lentamente su di lei e mentre tracci dei circoli sul suo seno, dovrai guardarla e capire che sensazioni la stanno attraversando. Il gioco è proprio questo: capire e sentire quello che prova lei. Poi, una volta dipinta parte del suo corpo, prima che si asciughi sulla sua pelle, dovrai farla rotolare sulla tela, più volte o solo una volta come preferisci e infine, farai l'amore con lei e solo dopo che lei se ne sarà andata, dopo aver fatto una doccia, allora potrai creare e mentre lo farai, ricordati quello che hai provato tu e quello che immagini possa aver provato lei mentre la dipingevi. Vedrai, il risultato sarà magnifico. Io voglio solo una foto di quello che creerai. Sono certa che sarai tu a chiedermi la seconda fantasia, se non lo farai, io non ti disturberò più”.
Presuntuosa, arrogante, saccente gatta dagli occhi verdi. Ma dovevo ammetterlo, la sua idea mi aveva eccitato. Stavo già pensando alla ragazza che avrei scelto per quella prima fantasia. Non mi importava tanto di scopare tra l'odore del colore, non era quello che mi aveva arrapato, ma il gesto lento del pennello che scivolava su entrambi i capezzoli e poi, quello che avrei creato dopo che lei se ne fosse andata. Sentivo una forte eccitazione, quella che ti prende nelle viscere, a cui puoi mettere fine solo creando, era questo quello che Ketty voleva provassi: una sensazione forte che unisse sesso e arte, una cosa che non avevo mai provato. “Fantasia 1 letta, posterò foto”. Le scrissi, poi rientrai nel ristorante, con mille pensieri e mille idee in testa, ma un pling mi strappò dalle mie fantasticherie, prima che raggiungessi i miei amici. “Ti sto aiutando a scrivere la sceneggiatura della tua vita, non l'hai capito?”. Non riuscii a trattenere una risata.
6 Ketty
Giovanni mi aveva chiesto in via eccezionale e perché Michele era malato, di aiutare Francesca a servire ai tavoli. Non mi era mai piaciuto, ma a volte, quando c'era tanta gente come quella sera, mi faceva stare in sala. In effetti, anche se la consideravo una stronza che se la tirava, quella sera il locale era pieno e lei stava veramente facendo le acrobazie per accontentare tutti i clienti. “Ho già comunicato in cucina le ordinazioni per il tavolo dei tuoi amici. Servili tu, mi sono stufata delle pessime battute e delle occhiate arrapate di Tiziano” mi disse lei.
“Poverina, fai sempre finta che ti dia fastidio, ma sotto sotto...” e lasciai la frase incompiuta, rosicando un po', perché non ammetterlo, in fondo avrei pagato per avere un po' di attenzione da parte dell'arrapato, ma si vede che il suo testosterone aveva una bussola con l'ago puntato verso Francesca, così se lei era a nord, io decisamente ero a sud. Mi avvicinai al suo tavolo e lessi cosa avevano ordinato. “Ci stanno lavorando” comunicai loro. Li guardai uno per uno, ovviamente mi soffermai su Tiziano, ma solo un attimo più del dovuto. “Avete fame?” chiesi. “Ci puoi scommettere, bella!” mi apostrofò Danilo. “Occhio ai complimenti, potrebbe sputarti nel piatto, quando te lo porta” aggiunse con cattiveria Tiziano. “Il grande artista che non accetta le sconfitte” e poi con un sorriso mi allontanai dal loro tavolo, un uomo aveva alzato la mano per attirare la mia attenzione. “Non succederà più” sentii Tiziano replicare alle mie spalle. “Hai un'arma segreta? No, quella ormai la conoscono in tante” gli risposi e le risate dei suoi amici sovrastarono la sua protesta che non riuscii a sentire. Poco male, sapevo che sarebbe tornato a bomba sull'argomento, appena mi fossi avvicinata di nuovo al suo tavolo. Mi piaceva stuzzicarlo, inoltre le lodi sperticate che avevo ricevuto quella mattina dal prof di disegno per un semplice schizzo a matita che avevo fatto, sapevo che l'avevano infastidito. Lui si sentiva e credeva di essere il migliore del corso. Probabilmente era anche vero, ma batterlo almeno una volta sul suo terreno, mi aveva dato una grande forza, proprio il giorno in cui avevo deciso di iniziare il mio gioco. La risposta che mi aveva dato alla mia fantasia mi era piaciuta, ma soprattutto ero riuscito a coinvolgerlo ed era quello che per il momento mi interessava.
Ovviamente, pensare che avrebbe messo in pratica la mia fantasia con un'altra, mi faceva stare male, ma era il prezzo che avevo deciso di pagare per arrivare a lui in qualche modo. Anche se speravo che... “Ho ordinato una bottiglia di acqua gassata parecchio tempo fa, me la potrebbe portare?” mi chiese l'uomo, appena arrivai al suo tavolo. “Certo” e mi voltai per tornare verso la cucina. “E anche mezzo litro di vino rosso”. Annuii e mi incamminai verso la cucina. “Senta, la bistecca che mi ha portato la sua collega era poco cotta, la potrebbe...”. Non feci terminare il cliente. “Subito!” presi il piatto al volo; improvvisamente, la porta della cucina mi sembrava un'oasi nel deserto. Grattare il grasso secco dalle stoviglie, pulire la cucina dopo che c'era stato per ore il finimondo non era il massimo, ma almeno non c'erano da sopportare le continue lamentele dei clienti. “Io e te dobbiamo parlare” mi disse Tiziano, mentre passavo davanti al suo tavolo. “Non ci tengo, ho altro da fare” gli risposi. “Sfuggente come una gatta permalosa” mi disse. Il respiro si impuntò nella gola, ma non dovevo farmi prendere dal panico. Non poteva avermi beccato, avevo scrupolosamente vagliato ogni singola parola della fantasia che gli avevo spedito; l'avevo studiata a lungo e anche le mie risposte erano state precise, ma prive di riferimenti che portassero a me, almeno così credevo. “Una gatta che ha attaccati alla coda un sacco di foglietti di ordinazioni” replicai, cercando di rimanere neutra e sperai spiritosa. Lui rise e io con nonchalance guadagnai la porta della cucina. “Di che colore sono?” chiesi a J, appena le fui così vicino da non farmi sentire dagli altri due.
“Normale”. “Bene, allora sono riuscita a cavarmela”. Lei mi prese per un braccio. “Mi dici che stai combinando?”. “Tra qualche giorno, forse anche prima, ora devo servire...”. “Ma ti dai una mossa? Non puoi fermarti a chiacchierare” mi riprese Francesca che era sopraggiunta alle mie spalle. “Stavo prendendo una bottiglia d'acqua e il vino che il tipo del sette, sta attendendo da un po' e non certo perché IO mi sono fermata a chiacchierare”. “Cosa vorresti dire che...”. “Lasciami lavorare, altrimenti rallento i tempi e allora sì che sono cazzi tuoi!” la minacciai. Lei mi fissò inviperita, ma poi abbassò lo sguardo e lanciò i piatti sporchi dentro il lavabo. “Brava, così se li sbecchi, Giovanni si incazza con noi” la riprese J e poi andò subito a sincerarsi dello stato delle stoviglie. “Siete due perditempo”. “Sei tu quella che ce lo fa perdere. Gira le chiappe e vai in sala” la presi per le spalle e la feci voltare, poi la spinsi verso la porta. “Smettila, cretina! Devo prendere i piatti pronti, sempre se i maschietti smuovono il culo tanto quanto lo muovo io” ribadì inviperita. “Come sculetti tu non direi proprio, ma qui non ci grattiamo i coglioni” le rispose in malo modo Luca. Io ridacchiai, Francesca prese i piatti colmi di cibo e fulminandolo con un'occhiata, uscì dalla cucina. “Sta peggiorando” disse Giovanni che non si era intromesso nella conversazione e non si era neanche difeso dall'accusa di essere un perditempo; anche se era il principale e ci pagava da fame, non era mai stato un despota e non si meritava un
tale trattamento da quella stronza. Ma l'aveva sempre lasciata fare, senza mai riprenderla ogni volta che si lamentava, polemizzava o diventava acida. Io invece avevo una gran voglia di ridimensionarla ed ero convinta che prima o poi avrei trovato il suo punto debole. Forse avrei dovuto razzolare un po' di più nel suo profilo Facebook, era famosa per i suoi innumerevoli selfie, per la descrizione minuziosa della sua french manicure e per quel modo sibillino di lasciare frasi di disgusto, felicità, superiorità, senza mai rispondere alla marea di dementi che aveva al seguito e che coglievano al balzo ogni sua esternazione per commentarla, ignorando fosse il suo modo per avere attenzione e darsi importanza. Resistevo a malapena dal lasciarle anche io un commento: 'Non te se caga nessuno, fattene una ragione', ma se le rispondevo, voleva dire che le avevo dato importanza. La mia attenzione al momento era necessariamente incentrata su Tiziano: dovevo capire dai suoi atteggiamenti se Ketty era riuscita a penetrare la sua corazza di superficialità e presunzione. “Non è abbastanza fredda” mi disse l'uomo al quale avevo portato la bottiglia d'acqua, mentre tanti pensieri mi vagavano nella mente. Lo guardai, poi passai lo sguardo incredulo sul resto della sua famiglia e sorrisi come un ebete. “Il Perito Moreno non è ancora alle porte di Roma, ma potrei telefonare in Argentina se ce ne spediscono un pezzettino anche qui” e questa volta attesi la sua risposta. La condensa sulla parte esterna della bottiglia di vetro, stava producendo innumerevoli goccioline che scendevano veloci, raggiungendo la tovaglia. L'avevo stretta per una manciata di secondi e avevo la mano completamente ghiacciata, quindi, se una lamentela è infondata, io non ci passo sopra. “Sì, forse mi sono sbagliato” disse l'uomo, dopo aver versato dell'acqua nel suo bicchiere e averla bevuta. “Bene, le telefonate interurbane costano troppo” dissi, dopo aver posato anche la brocca del vino rosso alla spina. Lui non si scusò e io non ci feci caso, ma solo perché avevo altro in mente, altrimenti la mia battuta sarebbe stata molto più perfida.
“Allora non ci porti niente da mangiare?” chiese Danilo impaziente e un coro di mugugni seguì la sua domanda. “Vedi tavoli occupati da clienti che sono arrivati dopo di voi già serviti? Altrimenti, potete prendervela con la signorina là in fondo…” dissi, indicando Francesca. “Lei ci ha abbandonato, ma a noi sta bene anche che ci porti tu qualcosa” si intromise Andrea. “Appena sono pronti” e mi allontanai da loro. Tiziano aveva focalizzato la sua attenzione su un tavolo di cinque ragazze che festeggiavano un compleanno. Non si smentiva mai. Presi un profondo respiro e tornai in cucina, avevo visto Giovanni uscire per chiamarmi, sicuramente le ordinazioni di altri clienti erano pronte.
7 Tiziano
Se il vero scopo di Ketty era di entrarmi in testa, c'era riuscita. Lei diceva che quello che le premeva era darmi dei consigli su come trovare quella parte di me che avevo trascurato durante quell'anno di Accademia. Non capivo il motivo che la spingesse a farmi da crocerossina, ma aveva ragione, preso dalla tecnica e dai complimenti, mi ero adagiato sugli allori, senza sforzarmi di mettere lo stesso entusiasmo che aveva sempre contraddistinto i miei lavori. Eppure io, tra le righe della sua fantasia, avevo letto qualcos'altro, anche se per ora non mi interessava analizzare: ero troppo concentrato su quello che dovevo ritrovare di me stesso nella mia arte. Distolsi la mente dai miei pensieri e mi concentrai sulle ragazze che festeggiavano il compleanno dentro al Vetus Roma. Ci avevano seguito nel locale, dove ci eravamo
spostati, dopo aver finito di cenare e la musica troppo alta, a volte ci impediva di parlare.
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