Innocenzo Mazzini
le favole più famose di esopo e fedro dal passato al presente: lingua italiana, storia, cultura, civiltà
Sommario Premessa La favola ieri e oggi Esopo Le favole più famose di Esopo Fedro Le favole più famose di Fedro
Osservazioni e domande di fine lettura Bibliografia essenziale
Premessa Delle favole antiche esistono in commercio molte edizioni: solo in greco, o solo in latino con tanto di apparato critico per studiosi; in italiano ( o altre lingue moderne), con testo originale a fronte e note più o meno dotte, per studenti della secondaria o dell’università; parafrasi più o meno vicine, più o meno lontane dall’originale, per bambini e queste ultime abbondantemente illustrate. La presente non ha nulla in comune con le categorie appena schematizzate, non solo perché è molto parziale sul piano quantitativo, ma anche e soprattutto perché il suo obiettivo è primariamente quello di portare il lettore (non necessariamente bambino), attraverso la favola, al contatto con l’antico, e in questo modo far nascere la consapevolezza della ricchezza culturale di cui è erede e del cammino culturale di cui egli è, in qualche misura, l’ultima tappa. La traduzione in lingua italiana è opera dell’autore.
Il presente lavoro è diretto, in primo luogo, a coloro che, profani o meno del mondo antico, desiderano essere il più possibile consapevoli della propria eredità culturale. Con questo obiettivo, ove l’occasione si presenta, per rispondere a ipotetiche domande del lettore, vengono introdotte brevi annotazioni di lingua italiana, storia, cultura e civiltà. L’autore spera che uno dei suoi due lettori, sia giovane, e a lui desidera consegnare il testimone, il piacere e il desiderio di formare in altri la consapevolezza e l’orgoglio, non demolitore, ma costruttivo, del grandioso passato di cui siamo figli.
La favola ieri e oggi
Che cosa è la favola? Si può definire ‘un racconto fantastico, figlio dell’esperienza, in prosa o in versi’. Nella sostanza si tratta di una definizione antica; un autore di favole come Aftonio ( sec. IV d.C. ) parla di “apologo menzognero che raffigura la verità”. La natura fantastica del genere è subito evidente dai protagonisti della favola: in grandissima maggioranza animali, meno frequenti piante e dei; non mancano talora semplici concetti personalizzati: vergogna, pudore, invidia, violenza, e altri; gli uomini come protagonisti, esclusi pochissimi casi, non sono personaggi storici, piuttosto categorie sociali e professionali: medici, vasai, scultori, cacciatori, pescatori, pastori, giardinieri, e altre categorie, oppure anonimi padroni di animali. La natura tuttavia realistica o verista è evidente nel comportamento dei protagonisti, che, animali o piante, o uomini, o dei, agiscono ed operano sempre secondo schemi riscontrabili nella realtà, e secondo tendenze psicologiche eternamente umane; schemi tuttavia e tendenze psicologiche influenzati, coartati e inseriti nella vera situazione
economica, sociale, politica e culturale dell’epoca in cui la favola è stata scritta. La favola, come genere letterario, può avere una sua autonomia, ed essere rivolta ad un ampio e generico pubblico di ascoltatori/lettori, oppure può essere inserita nell’ambito di altri generi, per es. un’orazione, un poema epico, una satira, allo scopo di convincere, indurre a riflettere, attirare l’attenzione dell’uditorio o dei lettori. La favola si differenzia dalla fiaba in quanto contiene quasi sempre, esplicitato o meno, un insegnamento morale, inoltre i personaggi, materialmente esistenti (animali, piante, uomini), sono inseriti in un contesto realistico; nella fiaba l’insegnamento morale non è un fine e non necessariamente c’è, i personaggi non hanno una concreta esistenza, ma sono il frutto della fantasia dell’autore ( fate, orchi, folletti e altri) e comunque operano in un mondo che non esiste, che è fuori del tempo e dello spazio. Perché sono soprattutto animali i protagonisti della favola? Dato che a loro si attribuisce un psicologia sostanzialmente fissa e univoca, essi si prestano bene a svolgere la funzione di maschere e di simboli: leone = potenza, arroganza; volpe = furbizia; lupo = malvagità e stupidità; cervo = vanità ma anche ingenuità; formica = avidità e operosità; serpente = tradimento, ecc.; gli animali rispecchiano anche, nel loro insieme la distinzione sociale che divide i potenti e i ricchi dai deboli e poveri: possono rientrare tra i primi il leone, l’aquila, il cavallo; tra i secondi la volpe, il topo, il cane, la rana. Quali termini usano gli antichi per designare la favola? I Greci usano la parola mythos; i Romani fabula: in entrambi i termini c’è l’idea di parlare più che di scrivere, in qualche modo conferma della natura del genere originariamente orale e dunque della sua origine
lontanissima nel tempo. Oggi i due termini sono ancora vitali, come forme, pur con i normali adattamenti grafici e fonetici, sia nell’italiano, sia nelle varie lingue occidentali ( ing.myth e fable; fr. mythe e fable; sp. mito e fabula, ted. Mythe eFabel). Sul piano del significato tuttavia sono abbastanza nettamente differenziati: il mito è un racconto o meglio una storia concernente gli dei pagani, la favola un racconto riguardante animali piante, uomini, e dei. Quando nasce la favola e dove si diffonde? Si potrebbe dire, al di là della documentazione scritta giunta fino a noi, che la favola nasce con l’uomo preistorico, se pensiamo ai disegni e graffiti con scene di animali ritrovati in caverne, come quelli rinvenuti a Behimbetka in India, a Serra de Capivara in Brasile, a Tadrat Acacus in Libia o a Chauvet nel sud della Francia, questi ultimi i più antichi ( 32.000 a.C.). Volendo comunque limitarci al noto, e alla favola scritta, in Grecia essa era diffusa ben prima che comparisse Esopo ( VI sec. a.C.). Se ne trovano esempi in Esiodo (VIII sec a.C.): la favola dell’usinolo e dello sparviero, in Archiloco (680-645 a.C.) e Stesicoro (630-555 a.C.). Esempi molto antichi si trovano non solo nel mondo greco, ma anche in quello ebraico nella bibbia, in quello indiano nella raccolta del Panchatantra, in quello africano, nel mondo americano, e altrove. In ogni tempo ed in ogni luogo la favola è portatrice di valori e posizioni morali, ora universali ora specifici di tempi e luoghi particolari. La scuola del mondo occidentale se ne è appropriata fin dall’antichità facendone, da un lato, uno scarno esercizio di lingua e di moralismo asettico ma, dall’altro, garantendone la fortuna e una ampia diffusione diastratica. Quale il pubblico della favola antica?
Contrariamente a quanto potremmo supporre, soprattutto se pensiamo all’idea di favola che abbiamo oggi, la favola antica non è diretta ad un pubblico di bambini. Essa descrive e mette in evidenza, anche se in forma allegorica, una realtà per lo più squallida, tragica, in cui dominano soprattutto voglia di potere, viltà, avarizia, arroganza, vanità, e quant’altro di negativo l’animo umano riesce a inventare. Si può tracciare, in sintesi, una storia della favola, come genere letterario? Certamente sì, ricordandone i rappresentanti più significativi. Appartengono al mondo antico le favole attribuite ad Esopo e Fedro, al tardo antico quelle di Avieno e Brabio, al medioevo quelle del Romulus; Nel secolo XVI scrivono favole Agnolo Fiorenzuola e Francesco Doni; nel XVII lo scrittore di favole più famoso è certamente Jean La Fontaine, che si ispira soprattutto ai due grande favolisti dell’antichità, Esopo e Fedro; il XVIII secolo vede una grande fioritura del genere un po’ in tutti i paesi europei: per l’Italia Lorenzo Pignotti, per la Francia Jean–Pierre Clais de Florian, per la Spagna Felix Maria Samaniego, per l’Inghilterra John Gay, per la Germania Gotthold Ephraim Lessing; nell’Ottocento la fiaba tende ad avere il sopravvento, tuttavia la favola conta un nome molto illustre, quello di Lev Tolstoj; nel secolo xx la favola ritorna in auge: si possono citare i nomi di Trilussa e Gadda per l’Italia, James Thurber per gli Stati Uniti, Wolfdietrich Schnurre per la Germania e tanti altri. I sunnominati sono autori, più o meno originali di raccolte favolistiche; ad essi bisogna aggiungere alcuni nomi famosi, di ogni tempo, che pur non scrivendo raccolte esclusive, fanno ricorso, saltuario, alla favola nel contesto di tematiche politiche, religiose, umane, in prediche, satire, romanzi, poemi, e altri generi. Per fare solo pochi esempi celebri si pensi ad Orazio (65-8 a.C.), Gregorio di Nazianzio (330-390), Niccolò
Macchiavelli (1469-1527), Ludovico Ariosto (1474-1533), Martin Lutero (1483-1546), e tanti altri. Tutti gli autori successivi di favole, rivelano un qualche legame, diretto o indiretto, con la favolistica antica, in particolare con Esopo e Fedro: dai due grandi dipendono, direttamente o indirettamente, in uno o più dei seguenti aspetti: la trama, i personaggi, le conclusioni o le premesse, l’impostazione moralistica e altro ancora. Il Romulus è un autore? Sì. Romulus dalla lettera prefatoria risulta essere colui che avrebbe tradotto da Esopo ( in realtà da Fedro), le favole che dedica al figlio Tiberino. Abitualmente quando si parla di Romulus si intende più che l’autore, la raccolta.
Esopo
Vita Riguardo alla vita di Esopo sappiamo ben poco di certo, la fonte più ricca di informazioni, la Vita, o Romanzo di Esopo, è attribuita falsamente Massimo Planude ( sec. XIII); in realtà si tratta di una compilazione a più mani, che si forma intorno al secondo secolo dell’era volgare, e fornisce notizie poco credibili, se non decisamente fantasiose. Tra le varie informazioni contenute nella Vita non c’è proprio nulla di certo o verosimile?,
Si possono considerare certe o almeno verosimili, anche perché confermate da una fonte molto antica, quasi coeva, cioè Erodoto (V s. a.C.) le seguenti notizie: la collocazione cronologica nel VI sec. a.C.; la condizione di schiavo, in Samo ( un’isola delle Cicladi); la provenienza, come schiavo, dalla Tracia; la morte per mano degli abitanti di Delfi. Sono poco verosimili e nate probabilmente in ambiente letterario, forse intorno al IV sec. a. C., le seguenti: i rapporti tra Esopo e i sette sapienti, l’origine dalla Frigia (una regione dell’Anatolia centrale), la dipendenza al servizio del re Creso, la sua gibbosità, ed altre ancora. Chi sono i sette sapienti? Sono personaggi greci, vissuti tra il VII e il VI s. a.C., provenienti da varie città della Grecia cui vengono attribuite affermazioni o esortazioni (apoftegmi) di buon senso, di equilibrio, specchio ideale di una società guidata e governata da uomini saggi, fondata su leggi scritte da uomini. Tra i nomi più noti ricordiamo quelli di Solone e Talete di Mileto. Quante sono le favole che oggi vengono attribuite a Esopo? Le favole oggi attribuite a Esopo sono circa 400. Possiamo dire di leggere le favole esopiche nella forma in cui l’autore le ha scritte nel VI s. a.C.? No. Le favole che noi oggi leggiamo sotto il nome di Esopo sono certamente sue nella sostanza narrativa, ma non nella forma, in particolare non nella lingua, non nelle conclusioni moraleggianti. La lingua in cui le ha scritte Esopo, o forse semplicemente raccolte e diffuse oralmente, è stata il dialetto ionico. La lingua in cui noi oggi leggiamo le favole è quella di epoca ellenistica, è la così dettakoinè. Le conclusioni sovente sono come appiccicate, talora nemmeno coerenti
con il contenuto della favola stessa e pertanto da considerare un prodotto scolastico. In quali secoli si colloca il periodo ellenistico e che cosa è lakoiné? Che cosa si intende per dialetto ionico? Il periodo ellenistico va, convenzionalmente, dal 334 a. C. anno della spedizione di Alessandro Magno contro la Persia, al 31 a. C. anno della battaglia di Azio, che segna la fine del regno di Cleopatra sovrana d’Egitto. Per koinè si intende la lingua greca a fondo attico, parlata e scritta nel mondo ellenistico; questo nell’antichità si estende ai territori degli attuali stati di Grecia, Bulgaria, Turchia, Siria, Israele, Palestina, Egitto e parte della Libia. Il dialetto ionico, è uno dei gruppi linguistici, vera e propri lingua, in cui si articola il greco antico; una lingua in cui sono scritti per es. i poemi omerici, le liriche di Mimnermo ( VII-VI s. a.C.) e Archiloco, e molto altro ancora. Se la lingua è posteriore all’autore, come possiamo sostenere che la sostanza narrativa risalga ad Esopo? La prima raccolta ampia, e sistematica delle favole esopiche, la prima redazione di cui noi abbiamo notizia è da ricondurre a Demetrio Falereo, oratore e filologo, vissuto nel IV secolo a. C., cioè circa 2 secoli dopo di Esopo. Se la prima redazione-raccolta di cui abbiamo notizia è quella appena citata, questo non significa che non siano esistite raccolte anteriori. Sappiamo da esplicite testimonianze antiche della circolazione sotto il nome di Esopo, di alcune favole: Platone ( 428/7-348/7 a.C.) nel dialogo Alcibiade I menziona la favola del leone morente e della volpe che sta guardinga davanti alla sua tana; sempre da Platone, in
particolare dal suo Fedone, sappiamo che Socrate ( 470-399 a.C.) si era accinto a mettere in versi alcune favole in prosa di Esopo; Senofonte (430-355 a.C.), altro scrittore greco, nei Memorabili menziona la favola del cane e della capra Al di là, comunque del numero delle favole direttamente riconducibili a Esopo, possiamo con certezza ascrivere a suo merito la sistemazione di un materiale narrativo preesistente, la organizzazione di questo in un genere letterario Se in epoca ellenistica le favole esopiche sono state rielaborate e aggiornate, probabilmente godevano di notevole fortuna. Il consenso e la fortuna in epoca ellenistica dovevano essere grandi anche in considerazione di alcuni fatti socioculturali tipici del periodo: l’alfabetizzazione diffusa, il dinamismo dei ceti medi, la vivacità dell’economia e il relativismo filosofico. La fortuna in epoca ellenistica è confermata dall’uso/rielaborazione che ne fanno scrittori famosi dell’epoca e non solo greci, ma anche latini. Tra i primi si pensi a Callimaco ( 310-240 a.C.), il quale riduce in versi alcune favole; tra i secondi, si pensi ad Ennio ( 239-169 a.C.) che riprende la favola dell’allodola e dei suoi figli, a Plauto ( 255-184 a.C.) che riporta le favole del bue e dell’asino, del lupo custode delle pecore, a Lucilio ( 149-102 a.C.) e Orazio che riprendono, rispettivamente, la favola della rana sciocca che si gonfia, e quella del topo di città e di campagna; gli esempi potrebbero continuare. Come si spiega l’utilizzo della favola esopica da parte di scrittori latini? Lettura, uso, rielaborazione di Esopo ( e di altri autori greci), per scrittori latini come quelli menzionati sopra, non rappresentano una difficoltà. Si tratta di autori che conoscono perfettamente il greco e che, per altro, provengono, almeno alcuni, da ambienti grecofoni.
Inoltre, va detto subito che, per gli scrittori latini del periodo arcaico, guardare alla letteratura greca come modello era una necessità, infatti ai loro tempi una letteratura latina che potesse essere presa come modello, non esisteva ancora. Ciò che ora possediamo di Esopo, come è arrivato fino a noi? L’insieme delle favole attribuite ad Esopo è giunto fino a noi e in diverse raccolte, tre per la precisione, tràdite in codici diversi e frutto di redazioni diverse. La più ampia è quella chiamataCollectio augustana dalla città di Augusta, attuale Augsburg in Baviera, conservata in un codice che ora si trova in Monaco di Baviera, chiamato Monacensis greco 564. Questa collectio, che tramanda 143 favole sarebbe il frutto di una redazione eseguita nei primi secoli dell’era volgare. Le altre due raccolte o collectiones, chiamate Collectio Vindobonensis e Collectio Accursiana, contengono, rispettivamente 130 e 127 favole e risalirebbero ai secoli VI e VIII-IX. Le raccolte di cui abbiamo fatto cenno non sono le uniche fonti che tramandano le favole di Esopo: possediamo un papiro, abbastanza esteso con 14 favole, che si colloca nel I sec. d.C., e poi tutta una serie di riprese di singole favole da parte di vari scrittori antichi, ed inoltre sillogi di altri favolisti che hanno ripreso Esopo, sia greci che latini. Tutto questo materiale viene utilizzato dall’editore moderno, per fare una edizione critica. All’edizione critica poi attingono tutti coloro che presentano al largo pubblico contemporaneo le favole in originale o in traduzione. Che cosa si intende per edizione critica? L’edizione critica di un’opera è il tentativo di recuperare, secondo un preciso metodo, un’opera del passato nei suoi caratteri originari. Il filologo che esegue l’edizione critica di un’opera antica tràdita da uno o
più codici, più o meno completi, da papiri o pergamene più o meno frammentari, da altri autori (testimoni) che hanno variamente utilizzato l’opera da editare criticamente, prima di ogni cosa mette a confronti i vari codici, papiri, ecc. e stabilisce quale o quali siano da considerare più fedeli e dunque da preferire in caso di passi tra loro differenti; in secondo luogo esamina l’importanza e l’affidabilità dei vari testimoni; in una terza fase riguardo a passi o singoli parole tràditi, ne valuta la compatibilità con lo stile dell’autore, con l’epoca in cui questi è vissuto, con la sua lingua e quella del tempo. Un lavoro veramente faticoso, che presuppone molte conoscenze. Alla fine del suo lavoro, il filologo di solito riesce a ricostruire un testo, se non identico, certo, verosimilmente molto vicino a quello steso dall’autore antico. Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto?
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