Presentazione Chi è Cirilli?! »Uno dei più famosi comici italiani di oggi; »Un presentatore tv eccezionale; »Un autore di libri da mezzo milione di copie; »Uno chef da leccarsi i baffi; » E anche un gran bugiardo. Una scorpacciata di cibo e risate, tra padelle e fornelli, in compagnia di un cuoco molto speciale.
«Questo non è un semplice libro di ricette. È molto di più... o almeno ha la pretesa di esserlo! È un libro di ricordi. E molti dei miei ricordi sono legati a piatti che purtroppo da un bel pezzo non mangio più e dei quali ho una mostruosa nostalgia... le ricette sono riportate così come io le vedevo preparare. Le dosi no, quelle non me le ricordo, anche perché... una volta si faceva ‘a occhio’. Eppure, nonostante questa poca precisione, i cibi erano sempre buonissimi, mai troppo salati o troppo sciapi, mai troppo cotti o troppo poco cotti, mai troppo conditi o con poco condimento; ma soprattutto mai che si potesse fare il bis!»
«Una biografia comica con ricette... se l’hanno scritta Vitali, la Allende, la Modignani e la Agnello Hornby... che ci vuole?» Gabriele Cirilli
«E se ridere è difficile, lo è ancor più far ridere. Gabriele però ci riesce. Abilissimo cuoco del sorriso, sa scovarlo in ogni situazione del quotidiano. Prende la realtà, la trasforma in una ricetta e sa riconoscere tutti gli ingredienti. E uno dopo l’altro ce li racconta, proprio in quel modo che serve per gustarseli tutti e ridere di cuore. Proprio come fa un mago dei fornelli».
Dalla prefazione di Federico Moccia
Gabriele Cirilli si è affermato in televisione a Zelig e con lo spettacolo noto a tutti come: Chi è Tatiana?! (poi diventato anche un libro da 350.000 copie). Ha lavorato per il teatro, il cinema, la radio, oltre che in televisione, dove è stato attore in diverse fiction, presentatore e soprattutto attore comico. Attualmente si distingue nel talent show di RaiUno Tale e Quale Show per le sue capacità di imitatore. Ha già pubblicato diversi libri, ma questa è la sua prima autobiografia con ricette.
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ISBN 978-88-6715-724-2
In copertina: foto di Fabio Lovino Art Director: Stefano Rossetti Graphic Designer: Rebecca Frascati / PEPE nymi
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PREFAZIONE ALLA PREFAZIONE
Questo non è un semplice libro di ricette. È molto di più... o almeno ha la pretesa di esserlo! È un libro di ricordi. E molti dei miei ricordi sono legati a piatti che purtroppo da un bel pezzo non mangio più e dei quali ho una mostruosa nostalgia. Questi piatti che io per lo più gustavo, anzi proprio divoravo, molte volte mi capitava di vederli preparare da mia nonna, da mia madre o da altre persone care che hanno frequentato la nostra cucina. Pertanto le ricette sono riportate così come io le vedevo preparare. Le dosi no, quelle non me le ricordo, anche perché se devo dirvi la verità non ho mai visto mia madre o mia nonna pesare qualcosa o usare misurini o contenitori graduati. Una volta si faceva ‘a occhio’. Eppure, nonostante questa poca precisione, i cibi erano sempre buonissimi, mai troppo salati o troppo sciapi, mai troppo cotti o troppo poco cotti, mai troppo conditi o con poco condimento ma soprattutto mai che si potesse fare il bis!
Gabriele Cirilli
PREFAZIONE DI FEDERICO MOCCIA Il gusto del sorriso è una grande qualità. E non è semplice diventare chef della gioia. La felicità si ottiene mischiando pochi ingredienti speciali. I piatti più buoni infatti non sono mai troppo complicati. Ognuno ha la sua versione della ricetta. C’è chi dice che servono due etti di equilibrio, mezzo chilo di pazienza e fiducia a piacere. Chi invece ha provato con un etto di comprensione, due cucchiai di dolcezza e un litro di speranza. Chi è ancora lì a impazzire cercando di mescolare amicizia, fedeltà e desideri. Quello che è certo è che va cotto tutto a fuoco lento, facendo attenzione al tempo che occorre e servire poi ogni giorno con amore. Secondo me, però, spesso ci dimentichiamo che la felicità ha bisogno anche di un altro ingrediente un po’ sottovalutato, forse perché difficile da trovare: la risata.
Quella bella, piena, di cuore e di pancia che ti fa vibrare e di colpo ridimensiona tutto facendoti stare subito meglio. Quella grazie alla quale ti guardi intorno e ti senti amico e complice degli altri. La risata è un po’ come lo zucchero a velo sulle frittelle, come le uova nell’impasto, come tutto quello che amalgama, unisce e rifinisce un ottimo piatto. Sembra semplice, ma alla fine scopri che le risate non sono poi così facili da trovare. E se ridere è difficile, lo è ancor più far ridere. Gabriele però ci riesce. Abilissimo cuoco del sorriso, sa scovarlo in ogni situazione del quotidiano. Prende la realtà, la trasforma in una ricetta e sa riconoscere tutti gli ingredienti. E uno dopo l’altro ce li racconta, proprio in quel modo che serve per gustarseli tutti e ridere di cuore. Proprio come fa un mago dei fornelli. La letteratura gastronomica di questi tempi è ricca. Tanti libri, molte proposte, ricette, idee, cucina tradizionale, regionale, esotica, primi, secondi, contorni, dolci... Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Solo che quando penso al gusto, al piacere della tavola, non considero solo le pietanze ma tutto quello che rappresentano e che significano nella vita delle persone. Siamo tutti affezionati a dei piatti in particolare, perché ad esempio fanno parte della nostra infanzia (e magari ce li cucinava una persona speciale), oppure perché li associamo a un momento unico della nostra vita. E allora un libro come questo mi piace, perché non è solo una carrellata di ottime ricette ma è un vero e proprio diario di vita e ogni episodio, ogni ricordo, ogni battuta si intona alla perfezione con il piatto presentato. La sua famiglia, l’amore, gli spettacoli, gli aneddoti, gli incontri trasformano le pagine in una tovaglia coloratissima che va a comporre una tavolata gustosa fatta di mille assaggi. Così tutto si mescola con equilibrio e ti cattura. E non aspettatevi descrizioni dettagliate del procedimento culinario: Gabriele si diverte anche in quel caso a farci ridere, a modo suo. Ridere, appunto. Perché il riso non è solo un cereale. È l’ingrediente segreto, la ciliegina sulla torta, è quello che trasforma la nostra giornata. E il cibo è una gioia non solo quando viene consumato ma anche mentre si cucina. I gesti, i tempi, la cura, l’attenzione, la giusta misura fanno parte del rituale. Un po’ come accade quando devi suscitare una risata. Scegli le tempistiche, le parole, le pause, gli sguardi, le movenze, dosi la simpatia, l’ironia, il sarcasmo e arrivi al gran finale. Se hai fatto bene, tutti rideranno.
Ecco perché la felicità è come una ricetta ben riuscita. Non è un caso che il buon Oscar Wilde dicesse «A tavola perdonerei chiunque. Anche i miei parenti» o John Ronald Reuel Tolkien nel Signore degli Anelli pensasse che «Se più persone dessero valore al cibo, all’allegria, alle canzoni che all’oro, sarebbe certo un mondo più felice». È davvero così. Quindi siamo grati ai bravi cuochi della tavola e a quelli del sorriso perché ci nutrono, ci migliorano, ci fanno alzare dalla sedia, dal divano o dalla poltroncina di un teatro più leggeri, liberati, mai appesantiti. E Gabriele ci prende per la gola e anche per il cuore (no... non intendevo dire altro!) attraverso pagine semplici e mai banali. Ci racconta un po’ della sua vita osservandola proprio come dovremmo fare sempre tutti, dall’esterno, per capire che spesso quello che ci fa male, visto da un’altra angolazione, diventa ironia. Sì, anche quando non sembra possibile. E tutto questo somiglia molto a quando ci sediamo a tavola, magari tristi o arrabbiati e ci sembra di non aver fame, ma poi per magia di fronte a una buona pietanza ecco che il gusto e la soddisfazione trasformano il nostro umore. Non c’è bisogno di pillole per il buonumore. Bastano dei sani bocconi. Magari proprio delle ricette che troverete qui, che rappresentano tra l’altro anche un percorso culturale, dato che fanno parte della tradizione familiare di Gabriele. Perché tra le mille valenze del cibo, c’è anche quella di viaggiare dentro un territorio, una comunità, degli affetti. Iniziate dunque questo prezioso percorso in tutti i sensi. A partire dal gusto.
CHE GNOCCO! Si mangia per vivere o si vive per mangiare? Ho sempre preferito questo dilemma a quello amletico perché molto più pratico. Non so come la pensiate voi ma il mio rapporto col cibo è intrinseco e imprescindibile. Già da quando sono nato. Mia madre quella sera mangiò quattro piatti di gnocchi al ragù e, chissà come mai, stette malissimo tutta la notte. Finalmente la mattina dopo sperava di liberarsi di tutti quei piccoli mattoncini di farina e patate e invece emise un unico gnocco gigante del peso di quattro chili e mezzo: me. Questa storia me la sento raccontare ancora oggi che ho superato i quarantacinque anni. Da allora ogni mio ricordo è legato a piatti, aromi, immagini e persino dei rumori che provengono da una cucina affaccendata. Anche perché in
casa mia l’unico riscaldamento era il camino in cucina, almeno fino a quando ho raggiunto la maggiore età, perciò la cucina era l’unico spazio vissuto della casa: tutto il resto era una ghiacciaia. Lì si studiava, si vedeva la tele, si ricevevano gli ospiti, si giocava e, non per ultimo, si mangiava. Con noi viveva mia nonna che aveva l’insana abitudine di friggere qualsiasi cosa: pensate che il suo piatto preferito era il baccalà fritto. A ripensarci ora dovevamo emanare un odore che ci seguiva come un alone per tutto il corso dove si facevano le vasche al pomeriggio. Secondo me ci volevano parecchie vasche per aerare i vestiti. Ma allora andava bene così: quello era l’odore della nostra famiglia. Mia nonna usciva il venerdì per andare al mercato e ogni volta tornava con questo affare grigio, duro come marmo, ben lontano dal ricordare un pesce, dall’odore ripugnante. Bastava che ce lo agitasse davanti per farci scappare come lepri. Lei invece era felice. I suoi occhi ridevano quando lo toglieva dalla carta per metterlo dentro una tinozza piena d’acqua dove lo lasciava anche un paio di giorni cambiando spesso l’acqua. Questa operazione serviva sia per togliere il sale che per far rinvenire quel pezzo di stoccafisso.
Baccalà di nonna Filetti di baccalà • 1 spicchio di aglio • 1 ciuffo di prezzemolo • Olio • Peperoncino piccante Mettete in una casseruola l’aglio, l’olio, il peperoncino, 2 dita d’acqua e il baccalà. Fate cuocere finché tutta l’acqua non si è asciugata. Mi raccomando: non salate! Ricordate che il baccalà è la cosa più salata dopo il Mar Morto, quindi se non volete che vi facciano dei castelli di sabbia in bocca, non aggiungete altro sale. Tritate il prezzemolo e mettetelo sul baccalà. Gustatelo con focaccia bianca. La cucina tradizionale ha la sua forza nella semplicità, sia dei sapori che dei nomi. La cosiddetta ‘nouvelle cuisine’ usa le stesse ricette ma ne cambia il nome e la quantità; il nome è più lungo e il cibo è di meno. Questa ricetta potrebbe essere rinominata (e farete un figurone) ‘Pesce veloce del Baltico adagiato su un letto di sformato di grano’ (ovvero baccalà e focaccia).
MIGNOLO Quando eravamo piccoli avevamo un gatto di nome Mignolo. Questa cosa era molto strana perché in realtà mio padre non era assolutamente favorevole a tenere animali in casa con dei bambini. Ma siccome mia nonna, sua madre, adorava quella bestiola, chiudeva tutti e due gli occhi. Mi ricordo che quando mia nonna cominciava a prendere tutti gli attrezzi che le servivano per cucinare, subito Mignolo iniziava a girarle intorno. Lei lo ricompensava con il grasso che toglieva dalla carne e, quando pensava che fosse sufficiente, con aria severa gli diceva: «Questa è per noi».
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