Malia Delrai
Potrei Morire di Te Piacere russo vol.1
Romanzo
POTREI MORIRE DI TE Copyright © 2014 Malia Delrai Cover art and design by © Elisabetta Baldan All rights reserved.
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questo libro è un'opera di fantasia. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi e località è puramente casuale.
Per voi, col mio cuore, per l’anima e la passione che la domina, per tutti coloro che amano senza limiti.
Capitolo 1
«E di questa, cosa ne pensate di questa bella puttana italiana? Posso assicurarvi la prima scelta.» La gettarono come un sacco di patate al centro della sala sconosciuta, facendola ruzzolare sul parquet nocciola di lusso. Dannazione, le ginocchia! Selene soffocò un gemito di dolore tra i denti, resistendo all’improvvisa fitta che le percorse le cosce. Riconobbe subito l’odore acre del fumo, ma anche il puzzo dell’alcol di cui era impregnata la camera. Trasudava dagli uomini che la fissavano stregati. Sembravano
animali in procinto di stuprarla con gli occhi. Bestie, pensò. Ma dove diavolo era finita? «Quanto vale?» gracchiò uno sulla sinistra. Parlava un inglese pessimo. Gli lanciò un’occhiata in tralice. Non aveva previsto di venire trascinata in un posto simile quando aveva chiesto altro tempo per saldare tutti i debiti di suo padre, ma eccola cadere ai piedi di un branco di maschi arrapati che la divoravano con gli occhi, neanche fosse un esemplare raro di femmina umana. Da come parlavano sembrava stessero valutando un costo da affibbiarle per poi comprarla. Ma no, si disse, non era possibile al ventunesimo secolo in un paese civile. «Be’, cazzo, Fate voi. Rilanciate un prezzo e poi io decido. Questa puttanella è di qualità: italiana e vergine. Valutatela bene, perché non ricapiterà l’occasione.» «Porca merda, ci hai portato una vergine? Tu sei fuori di testa» ribatté, all’apparenza stravolto, uno dei tanti sconosciuti presenti, per poi toccarsi i calzoni all’altezza del cavallo. Un gesto scaramantico, ma anche piuttosto disgustoso. Erano una massa di criminali, l’aveva capito. Li contò: dieci in tutto. C’erano dieci uomini pronti a soppesarla con il loro sguardo depravato e disposti a decidere se la merce poteva o no essere passabile. In questo caso la roba da valutare era lei, stesa sul parquet. Si ritrovava nuda, senza vestiti. Quei maniaci non le avevano risparmiato la vergogna di mostrarsi senza veli, ma indossava un paio di tacchi vertiginosi che a malapena le permettevano di rimanere in piedi. Una misera consolazione. Strinse la mascella in segno di ribellione e si rannicchiò sul pavimento, cercando di non mostrare quanto fosse in realtà spaventata. Perché lo era, terrorizzata, ma avrebbe preferito che la uccidessero a far loro notare quanto si sentiva indifesa e vuota in quel momento. «’Fanculo Jack, dove l’hai presa una vergine italiana? A San Pietro?» esplose un biondino sbarbato che si crogiolava con un sigaro in bocca, accanto al tavolo da biliardo. Le sembrò di notare un dente d’oro quando sorrise in direzione dell’aguzzino alle sue spalle. «In Vaticano» rispose quello, ridacchiando. La battuta non la fece ridere nemmeno un po’.
«Sì, ma, merda… una vergine! Pensi che mi fotta delle ragazzine inesperte per divertimento? Mi annoia» proruppe qualcun altro. Selene si girò verso la voce in questione e si ritrovò a fissare un uomo di mezza età, panciuto e per nulla attraente. Dio, che schifo! Le venne da vomitare quando focalizzò le macchie di sudore sotto le ascelle. L’Inferno a confronto sarebbe stata un’oasi di pace. «Che cazzo, ma guardatela no? Non rompetemi le palle, ragazzi. Se ve l’ho portata ci sarà un perché. Sempre a farmi la vostra merdosa morale del cazzo» si difese “Jack”. Immaginò che non fosse il vero nome, ma soltanto l’appellativo utilizzato per portare a termine i propri loschi traffici. Cinque paia di occhi si puntarono su di lei, immobile in posizione fetale. Era un peccato non avere la capacità di sprofondare sotto il pavimento per nascondersi, ma purtroppo doveva affrontare l’amara realtà. Mantenne la calma, nonostante il panico si stesse impossessando delle sue emozioni. «Io non la prendo» strillò una vocetta odiosa. La giudicò effemminata e leccapiedi. «Ma, stronzo, almeno falla mettere in piedi. Non riusciamo a vederla se si rannicchia sul pavimento per coprirsi. Avanti, bella, alzati!» le ordinò un altro ancora, ma era troppo intimorita per riuscire a muovere un solo muscolo. Quei maiali facevano sul serio. «Ce l’hai portata sorda.» Una risata. «Fa’ meno lo spiritoso, ci sente benissimo. Dalle tempo per alzarsi. Mica è una marionetta» proruppe “Jack”, furibondo. «Ci vuole un po’ di rispetto con le donne, porca troia.» Non erano inglesi. A giudicare dall’accento marcato, e poco abituato ai suoni musicali della lingua, doveva trattarsi di medio-orientali. Non ricordava molto degli ultimi giorni vissuti, a parte l’innaturale sonnolenza che l’aveva pervasa dopo essere andata a chiedere una proroga del pagamento a nome di suo padre. Il genitore doveva da anni a un vecchio amico circa ventimila euro e ricordava di aver pagato un acconto sul totale. Si era svegliata di colpo, ritrovandosi a strisciare con i tacchi sul pavimento, nuda, sostenuta dalle braccia del suo aguzzino che non le aveva dato neanche il tempo di chiedere spiegazioni. E poi l’avevano buttata in quella stanza a fare da trofeo per chissà chi.
Un calcio le arrivò dritto sul fianco, ma preferì resistere alla stilettata che la attraversò dalla testa ai piedi. Non un urlo, si ripromise, neanche un mugolio soffocato. Non gliel’avrebbe data la soddisfazione di vederla sofferente mentre loro giocavano a studiarla. «Non mi sembra reattiva» cianciò uno degli squilibrati presenti. «In piedi, tesoro! Siamo stanchi di aspettarti. Su, su» sbuffò l’ennesimo idiota, sulla destra. «Dai!». Riusciva a malapena a riconoscere da quale punto del salone venissero le grida di incitamento. Pensava tuttavia di averli inquadrati tutti e non aveva nessun desiderio di incontrare i loro occhi, ma se si fosse ancora rifiutata di mettersi in piedi era certa che non si sarebbero fatti scrupoli a malmenarla… e poi chissà cos’altro. Perciò decise di sforzarsi e spostare il peso sulle ginocchia per sollevarsi. Fece leva sulle mani e, piano, scivolò sul parquet. Si mise in piedi, barcollando prima su un tacco vertiginoso poi sull’altro. Arricciò le labbra in una smorfia di sfida e sollevò il mento in un atteggiamento smorfioso. Li avrebbe affrontati, anche senza difese. In quell’istante una presenza non lontana riuscì a colpirla. Un uomo tra la marmaglia di porci spiccava per l’affettata eleganza nel vestire. Era seduto sotto alla finestra da cui entrava la poca luce diffusa e sembrava distaccato dai commenti sconci che le gridavano addosso gli altri. I capelli scuri gli scendevano in riccioli scomposti sulla fronte e attorno alle orecchie: gli occhi verdi pungevano lei con il loro sguardo freddo. La fissava, ma in realtà non lo stava facendo. Piuttosto avrebbe detto che si stava annoiando. Era rilassato su un divanetto di pelle rossa e teneva tra l’indice e il medio un lungo calice, pieno di quello che immaginò essere champagne. Nell’altra mano invece tratteneva una sigaretta accesa. Il colore delle iridi la fece rabbrividire, non ricordava di aver mai visto un verde tanto gelido. «Brava, così!» strillavano concitati. Il resto preferì non sentirlo, perché si trattava di commenti sboccati sulla sua mercanzia. Neanche fosse stata un animale da monta, anche se forse la consideravano tale, ma non per sua volontà. Lui non aprì bocca, non schiuse neanche le labbra per fare considerazioni. Lo sconosciuto la osservava con malcelata sufficienza. Negli occhi di lui non c’era la luce
lussuriosa che si sarebbe attesa, sembrava fatto di ghiaccio, non di carne, perciò riuscì a incuterle timore. «Gira su te stessa, delizia! Così vedranno il tuo bel culetto» le intimò Jack e lei lo fece, ricordandosi il suo monito di controllare la paura e non farsi mettere i piedi in testa dal branco di pervertiti. Aveva la ragionevole sensazione che avrebbero potuto violentarla. Era alla loro mercé. Si considerò fortunata a non aver dovuto ancora subire le loro manacce su di sé e si chiese la ragione per cui se ne stavano ancora composti e lontani da lei. Forse, temette, era una prassi da seguire. «Proprio una puttana di lusso… peccato che le si debba insegnare tutto. Non potevi farle fare pratica prima di portarla qui?» si lamentò la stessa vocina effeminata che aveva sentito poco prima. «E come? L’ho portata qui dopo averla presa» si difese Jack. «Non potevo farla violentare dai miei uomini, non avrebbe imparato nulla. Sai come funziona con le donne, vogliono essere trattate con dolcezza.» La risposta dell’aguzzino la nauseò. Si rese conto di avere la bile in gola che minacciava di farle rigettare saliva sul pavimento. Avrebbe voluto dare un calcio nelle palle a ognuno di loro e strappare i gioielli di famiglia a cui tanto tenevano. Così avrebbero recepito il messaggio: considerare e usare una donna come un oggetto era sbagliato. Incollò la lingua al palato, per evitare di mettersi a urlare contro di loro. Voleva rinfacciare a quei sedicenti maschioni quanto li considerasse imbecilli, ma non era nelle condizioni di farlo. Avevano il potere di schiacciarla come un moscerino, doveva stare attenta a ogni sua mossa. Fantasticò, per legittima difesa, di trovarsi su un’isola deserta nel mar dei Caraibi a sorseggiare latte di cocco. Si sentì un po’ meglio. «Allora… quanto vuoi per lei?» Quando Selene sentì “quella” voce tornò bruscamente al salone squallido in cui l’avevano costretta. Il latte di cocco scomparve e al suo posto apparve “lui”. Era stato l’uomo di ghiaccio a parlare. Lo fissò con rinnovato interesse. Muoveva il calice con lentezza, facendo ondeggiare il contenuto, ma non lo aveva ancora bevuto. Abbassò lo sguardo sul cristallo e lui dovette accorgersene perché se lo portò alle labbra e prese un sorso. Poi fece un tiro. Aveva una bella bocca, rifletté, liscia e sottile, ma
non in modo eccessivo. Si ritrovò a contemplarla mentre si accostava la paglia e aspirava. «Diecimila» propose il trafficante. «Diecimila dollari?» replicò Lui. «Un prezzo alto considerando quelli che hai fatto finora per le tue schiave sessuali.» «Mi avete rotto i coglioni perché è vergine. Non voglio perderci» si schermì “Jack”. «Capisco» ribatté l’affascinante sconosciuto. Ritornò in religioso silenzio e iniziò a squadrarla con dovizia. Non riuscì a staccare lo sguardo da lui. Con una maschilità dirompente incombeva nella stanza, quasi fosse il più influente tra i presenti. Selene non faticò a crederlo, perché l’atteggiamento distaccato con cui si presentava riusciva a trasmetterle una grande soggezione. Se faceva lo stesso effetto anche agli altri, era certa del fatto che là dentro nessuno avrebbe osato contraddirlo. «Come ti chiami?» le chiese. Si stava rivolgendo a lei. Sbatté le palpebre, sconcertata. Non aveva parlato in inglese, ma in un italiano fluido e corretto. Impossibile. Provò a socchiudere le labbra per rispondergli, ma la paura che teneva a stento sotto controllo razionale rischiò di fuggire via e prendere il sopravvento. Il panico la stava sopraffacendo e non poteva permettersi di mostrarsi debole. «Se sei italiana, dovresti parlare italiano. Ripeto: come ti chiami?» insisté. Anche la voce era profonda, sensuale, come il resto di lui. Le trasmise un senso di pericolo, ma non riuscì a spiegarselo. Fu in grado di metterle addosso l’istinto di fuggire via lontano, immediatamente. Quell’uomo era un predatore, non un semplice pervertito come gli altri. Lo considerò diverso; a pelle le diede questa sensazione. Chissà perché si mescolava alla massa di schifosi là dentro. Be’, forse lo era anche lui, uno schifoso. La sua mente però si rifiutò di crederlo. «Ah, ah» provò a rispondergli, ma la lingua le si era seccata e non le permise di emettere la voce. «Che cos’ha? Sta male?» proruppe uno dei rivoltanti esseri là dentro. «Cosa le hai chiesto? Che lingua era?» Rise di lei, rivolgendosi all’attraente estraneo.
«Le ho chiesto un pompino» mentì lui, ma fu sufficiente per far ridere la massa di idioti che le sbavavano attorno. Perché aveva mentito? Gli occhi dell’uomo brillarono di quello che lei lesse come ribrezzo, ma fu solo un lampo subitaneo. Scomparve dopo un breve sorrisetto di scherno. «Allora?» riprese in italiano verso di lei. «Vuoi dirmi come ti chiami o hai ingoiato la lingua?» Spense la sigaretta nel posacenere di fronte. «Selene» riuscì a sussurrare. «Come la dea della luna, mi piace» replicò. Quello sì che era un complimento originale. Era nuda di fronte a tutti, come un verme impotente, e lui si complimentava per la bellezza del suo nome? Doveva avere qualche rotella fuori posto. «T-tu? C-come?» balbettò in risposta. Non le sembrava il caso di fare conversazione, ma non aveva un’ampia gamma di scelte a disposizione, perciò provò a intavolare un dialogo. Non parve stupito dalla domanda, ma non le rispose subito. Cambiò posizione. Si mise composto e dischiuse le gambe lunghe distendendole sul parquet. Indossava un completo elegante, grigio scuro, che Selene giudicò costoso, e si sporse per appoggiare il calice sul tavolino basso. Accanto a lui non aveva osato sedersi nessuno. «Vieni qui, e te lo dico» la invitò. «N-no» proruppe lei. Non se ne parlava. Non si sarebbe lasciata mettere le mani addosso, anche se l’uomo era attraente e aveva tutta l’aria di uno che non ripeteva mai un ordine. «Selene… lo sto facendo per te, credimi. Voglio aiutarti.» Oddio, quanto era dolce il suo nome sulla bocca di lui, ma non si fece ingannare dai modi pacati. Il diavolo si travestiva da agnello e quello era in realtà un feroce demonio, lo sapeva. Non poteva essere altrimenti. «Per scoparmi?» prese coraggio. Si sbagliava a considerarla una stupida ingenua. «Non mi dispiacerebbe» ammise lui, sempre in perfetto italiano compito. «Anche se forse non ti fa piacere saperlo. Sei spaventata e non lo vuoi dare a vedere.»
Avrebbe voluto fare star lui nudo, al suo posto, in mezzo a un branco di porci che non vedevano l’ora di stuprarla. La rabbia la colse e le diede la sfacciataggine per affrontarlo. Drizzò le spalle e lo studiò con la stessa spudorata arroganza con cui si impegnava lo sconosciuto per metterla in difficoltà. «Allora?» si lagnò Jack, impaziente alle sue spalle. «Inizio a stancarmi.» «Allora, sai che c’è? Io passo» gridò uno. «È troppo ribelle, ci guarda come se fossimo cani rognosi.» Perché, non lo erano? E definirli cani era un’offesa ai migliori amici dell’uomo. «Io al massimo te ne do diecimila, ma preferisco donne di altro tipo. Lo sai benissimo, cazzo» replicò uno non ben definito tra i dieci, il tono irritato. Lei continuava a fissare l’uomo di ghiaccio, perciò non si interessò alle facce che la stavano rifiutando. Nessuno la voleva. Non sapeva se questo fosse un buon segno o meno. L’avrebbero rispedita in Italia, oppure il suo viaggio sarebbe terminato in quella camera per sempre? «’Fanculo, ma lo vedete che tette che ha?» esplose allora il suo rapitore. «Sode e grosse.» «Le tette ci sono, c’è tutto, è una gran bella donna, ma nessuno ci assicura che ci starebbe a farsi pagare per essere fottuta» spiegò il biondino accanto al biliardo. Il silenzio calò nel salone. Selene rabbrividì: qualcosa non andava per il verso giusto e non le piaceva affatto l’atmosfera di tensione scesa improvvisamente tra loro. Il seducente estraneo accavallò di nuovo le gambe e sprofondò nel cuscino senza togliersi dalla faccia la smorfia divertita e irritante che aveva da quando le aveva parlato. Sembrava non gli importasse nulla dei commenti altrui, ma Selene conosceva quel tipo di indifferenza: stava vagliando bene come comportarsi, era un calcolatore. «Provatela» esordì il trafficante. «Forse se la toccate un po’, cambierete idea.» Il respiro le si mozzò nei polmoni quando quella frase venne pronunciata dal pazzo dietro di lei. Le caviglie cedettero e dovette girare su se stessa per non cadere sul pavimento e supplicare pietà. L’avrebbero accarezzata e si sarebbero approfittati di lei, a meno che qualcuno non avesse deciso di comprarla, ma sembravano tutti poco intenzionati a farlo.
Diede un breve sguardo a ognuno di loro. Erano famelici e ora anche esaltati dalla possibilità di metterle le mani addosso. L’eccitazione si mostrava chiara nei loro visi, ma anche nella rigidezza improvvisa dei corpi. Si stavano scaldando e adesso per loro veniva il bello. L’avrebbero provata gratis. «Allora, signorina» l’apostrofò in italiano lo sconosciuto affascinante, «vuoi darmi ascolto o preferisci fare ancora di testa tua? Questi uomini non stanno scherzando.» Non era il caso di prendere le cose alla leggera, né di sottovalutare il pericolo che correva. La scelta era tra l’avvicinarsi a lui e farsi accarezzare da mani anonime. Avrebbe preferito nessuna delle due, ma l’uomo di ghiaccio sembrava l’opzione migliore alla possibilità di uno stupro di gruppo. «Incredibile» sibilò l’uomo. «Ti faccio i miei complimenti per il sangue freddo. Molte al tuo posto si sarebbero messe a piagnucolare supplicando pietà.» Stava giocando con lei? Non le piaceva essere trattata come un animaletto da mostra e la irritava il fatto che avesse ragione. Era in trappola e poteva fare poco se non assecondare i desideri di quei porci per salvarsi la pelle. Fece un passo in avanti nella direzione dell’uomo e il tacco la sorresse. Riuscì a rimanere in piedi, per miracolo. «Brava, hai fatto la scelta giusta» la incoraggiò. «Vieni qui, così.» Selene camminò piano, tra gli sguardi estasiati degli schifosi che avrebbero voluto allungare le loro manacce luride per poterla afferrare. Selene tenne gli occhi puntati in quelli del serioso sconosciuto, ma non si fece ammaliare da lui. Non gli avrebbe concesso nulla di lei. «Che cazzo, ma perché le donne preferiscono sempre te? Che le hai detto per farla avvicinare? Non abbiamo capito» eruppe un occhialuto ciccione all’angolo. Era la prima volta che lo sentiva parlare e sperò l’ultima. «Soltanto che poteva succhiarmelo» scherzo l’uomo di ghiaccio. «Ha preferito me, perché conosco la sua lingua. Idiota» si vantò, e un ruggito basso, di invidia, si levò nella camera. Non si fidava affatto di lui. A lei diceva una cosa, ma alle bestie presenti affermava di averne detta un’altra. Era un chiaro avvertimento a diffidare di un tipo del genere. Selene si fermò quando le sue gambe toccarono il tavolino di fronte a cui lo sconosciuto dalle iridi verdi era stravaccato. Sembrò compiaciuto della sua decisione.
Allungò un braccio per toccarla e lei rimase impalata per paura di farlo innervosire. Lui piegò il polso verso la sua mano e la strinse. Le dita dell’uomo erano calde e piuttosto grandi rispetto alle sue, minute. «Credo di poterti salvare» mormorò accarezzandole la vena all’interno del polso. «Da cosa?» rispose lei. Si domandò come mai conoscesse bene l’italiano, ma il pensiero venne cacciato via dall’occhiata maliziosa che le rivolse. Non le era indifferente, la desiderava. Anche lui. «Da uno stupro» rispose. «O non hai capito che sarà quella la tua fine se non farai quello che dico?» «Avevo sospettato.» «Brava, Selene. Sei intelligente» la lodò. Prese un profondo respiro e provò a muovere i piedi infilati in quegli spessi tacchi. Le piante iniziavano a dolerle, per non parlare delle caviglie. Dovevano essere all’incirca quindici centimetri, indovinò. L’uomo si portò il suo palmo alla bocca e le posò un leggero bacio sulla pelle. Non la infastidì come aveva pensato, non provò nulla, timorosa per ciò che sarebbe potuto succedere di lì a poco se non avesse ubbidito a eventuali ordini. «Sposta il tavolino e siediti sulle mie cosce» le intimò. Li stavano fissando. Si sentiva trafitta dal loro desiderio e capì cosa lui stesse cercando di fare. Le attenzioni dell’uomo non erano casuali, ma non capiva perché desiderasse aiutarla. In fondo era lì proprio come gli altri, con lo stesso identico scopo. Scartò il tavolino e fece come lui le aveva chiesto di fare. Scivolò sulle cosce maschie cercando di non sfiorare le parti intime. L’impatto del tessuto con la sua nudità le fece correre un brivido lungo la schiena. Non la toccò, distese le braccia lungo i fianchi, forse per farla sentire più tranquilla. «Fottuto bastardo fortunato» lo appellarono. «La provo io» annunciò, questa volta in inglese. «Ma se mi piace la compro. Avete da ridire?»
Nessuno parlò. Aveva un carattere dominante, lo temevano. Un maschio Alpha in mezzo a degli imbecilli. Eppure era come loro, i desideri non erano differenti, Selene doveva ficcarselo in testa, altrimenti non si sarebbe trovato in quella sala. Era tutto fuorché un santo se si divertiva a valutare donne come si faceva al mercato con la frutta. «Baciami» le sussurrò. «Scordatelo.» Un lieve sorrisetto gli increspò le belle labbra e lei sentì lo stomaco accartocciarsi come un foglio lambito dal fuoco. L’ansia la stava uccidendo. «Dobbiamo dare un po’ di spettacolo, è quello che vogliono. Credimi, non basterà loro un bacino, se riusciranno a metterti le mani addosso. Lo faccio per te.» «È perverso» ribatté lei. «Non ne avete il diritto, siete peggio di animali.» Finalmente palesò la rabbia che aveva in corpo. Nemmeno stavolta lui si scompose. Piegò il collo all’indietro e le mostrò la gola. Il pomo d’Adamo scese e risalì. Aveva la pelle liscia, come se si fosse appena fatto la barba. Selene ebbe la tentazione di posare sopra di lui la sua bocca e stupirlo, ma non lo fece. Non poteva immaginare la reazione di un uomo del genere alle provocazioni, non era nella condizione di poterlo fare. «Sei una ragazza sveglia» bisbigliò lui. «Sono vergine, non stupida.» La battuta lo fece scoppiare a ridere e lei si ritrovò ad arrossire come una scolaretta. Che cosa le prendeva? La risata maschile si diffuse per la stanza sotto gli sguardi interrogativi degli altri, che non capivano niente di italiano. «Sei anche bella e attraente» si compiacque. «Molto interessante… e con questo?» sibilò, decisa a resistergli. Il sorriso scomparve e, a prendere il posto del suo divertimento, fu un’emozione indecifrabile. Sembrò infastidito, o peggio, furioso, ma lei non aveva fatto nulla per fargli cambiare umore se non rispondergli a tono. Si era meritato tutta la sua avversione, non poteva davvero credere che gli avrebbe permesso di umiliarla con uno schiocco di dita. Non era ancora una schiava, non ancora.
«Finiamola con i giochetti, Selene. Li vedi gli uomini qui intorno? Non stanno facendo finta di fare cattivi. Avrai capito che ti hanno portata qui per venderti e non ti faranno uscire incolume.» Selene iniziò a sudare freddo.
Capitolo 2
Selene stava cercando di proteggersi da loro. Finché le lasciavano la possibilità di farlo, si sarebbe difesa come poteva. Anche dal bel tipo che la fissava come se avesse dovuto considerarlo un salvatore. Se si aspettava un “grazie” da parte sua, sarebbe rimasto sorpreso. Non lo considerava la sua salvezza, semmai un carnefice proprio come gli altri. «Ti consiglio di baciarmi» le ingiunse. «Non sono tipi pazienti, è la verità.» «Non ci sarei mai arrivata da sola» lo provocò. Lo sconosciuto scrollò le spalle e un sospiro esasperato gli vibrò nel petto duro. Selene stava tirando troppo la corda, doveva stare attenta, la gentilezza apparente
dell’uomo nascondeva una tempra d’acciaio e non sembrava il genere di maschio che ammetteva scherzi capaci di fargli perdere la faccia. «Stiamo per addormentarci!» gridò una tra le bestie «Tra poco tocca a noi» aggiunse quindi. «A te la scelta, mia bella» la canzonò. Selene non ne aveva altre e lo stronzo lo sapeva. Alla fine l’avrebbe avuta vinta, nonostante l’odio che in quel momento provava per lui. Lo detestò: perché era un uomo avvenente, ma anche per il carisma emanato dal corpo in tensione. Si sentiva sedotta, non costretta. Tanto valeva fare un po’ di scena se questo fosse servito a far ingoiare un po’ di boria a Mr Ghiaccio in persona. Gli afferrò la cravatta viola che aveva scelto di indossare col suo vestito di marca dal probabile prezzo esorbitante, e lo tirò verso di lei, per farlo avvicinare. Proprio come aveva pensato, lui non si aspettava affatto che lei prendesse l’iniziativa. Fino a qualche giorno prima avrebbe avuto ragione di crederlo, perché era stata una ragazza universitaria timida e chiusa, ma ora Selene non aveva più niente da perdere e ormai era pronta ad affrontare il peggio. Premette la bocca su quella dello sconosciuto e sentì il sapore dello champagne che poco prima lui stava sorseggiando. Non le dispiaceva, almeno avrebbe camuffato il sapore e l’alito che poteva essere ripugnante per via del fumo. Invece si sbagliava, quando la lingua dell’estraneo si insinuò nella sua bocca le parve di non aver mai nemmeno baciato in vita sua. E quello sì, fu piuttosto imbarazzante. Era un uomo dalla grande esperienza, quello le trasmise il bacio, e non si sarebbe lasciato sopraffare da una qualunque. Non da lei. Le mani maschili le percorsero i fianchi e la sollevarono meglio su di sé. Fu allora che sentì l’erezione nei pantaloni premere sulla coscia. Ansimò ed emise un gemito sorpreso. Gli piaceva, lo eccitava… lei… proprio lei… Il pensiero di avere un potere tale sul misterioso provocatore riuscì a farla compiacere di se stessa. Si fece più decisa, dimentica degli spettatori, e gli prese il labbro superiore tra i denti.
Ascoltò in lontananza l’urlo d’eccitazione dei presenti, che gridavano goliardici la loro mascolinità, ma si concentrò su quell’esemplare meraviglioso. Era davvero anomalo che le lunghe dita, invece di spaventarla, la eccitassero. Era emozionata e voleva che lui continuasse ad accarezzarla, per seguitare a provare piacere. Socchiuse le palpebre e lo vide fare altrettanto. Si perse in quella marea verde acqua. La stava desiderando e non celava più la voglia dietro una maschera di posatezza. Il respirò le finì da qualche parte nel petto e si dimenticò di venire fuori per aiutarla a inspirare. Chi era quell’uomo? Voleva il nome. Gli accarezzò il tessuto morbido della cravatta e risalì fino a toccargli la gola. La raschiò con le unghie, desiderosa di avere la pelle calda su di lei, e l’estraneo mugolò. «Fottila, amico!» Il grido la fece riscuotere. Non era un sogno erotico, in quel posto si trovava in compagnia della feccia umana e lei doveva liberarsene al più presto per tornarsene a casa, non amoreggiare con uno di loro. Mr Ghiaccio tornò a fissarla. Non c’era divertimento negli occhi vitrei, ma una luce colma di lussuria repressa. La passione si trasmetteva da lui a lei e investiva Selene con una potenza irreale. «Senti cosa mi consigliano?» sussurrò. «Vuoi che ti scopi qui davanti a loro?» No. Sentì freddo, il gelo le entrò nelle ossa. Non era un’esibizionista, era una ragazza normale che frequentava il primo anno di giurisprudenza. L’unica sua particolarità in passato erano stati i capelli. In un momento di pazzia aveva deciso di colorare delle ciocche di viola, ma non altro, e poi aveva preferito tornare se stessa. Non c’era nulla di alternativo in lei. «Non voglio essere scopata proprio da nessuno» gli disse, fiera del suo orgoglio inaffondabile. «Allora non potrai venire via con me. Ti avrà uno di loro. Guardali, dimmi quale sceglieresti. Chi preferisci?» Lo ascoltò. L’aveva già fatto, ma riprovò a osservare ogni maschio presente nella stanza, dal primo al nono, perché sul decimo si trovava seduta. Li giudicò orribili. Immaginò le loro manacce su di lei e il voltastomaco minacciò di farle perdere lucidità.
«Sono degli animali» le lesse nella mente. «Gente che è nell’organizacija da anni e che è qui soltanto per divertirsi dopo la dura fatica del lavoro sporco.» L’orga… che? «Tu, invece cosa sei? Un santo? Un martire della patria?» lo interrogò. «Mi piaci, sai. Fai dello spirito nonostante la situazione in cui ti trovi. È l’incoscienza della vergine oppure la stupidità tipica delle donne? Dimmi tu.» «Perfetto» mormorò lei tra i denti. «Anche maschilista. Sono proprio fortunata oggi.» La strinse a sé con più forza e Selene si ritrovò contro una muraglia solida, impossibile da affrontare e battere. Neanche con tutte le sue energie sarebbe riuscita a sfuggirgli. La bocca si avventò a prendere da lei ciò che le aveva chiesto e non si fermò davanti a qualche piccola protesta. Si limitò ad aggredirla e a farle capire chi tra loro comandava. Per quanto le facesse rabbia il comportamento aggressivo, dovette arrendersi all’evidenza: era lui il padrone, almeno finché non fosse riuscita a liberarsi da quell’incubo. Rispose all’assalto e gli circondò le spalle con le braccia, attirandolo a lei per gustarne meglio il sapore. Le loro lingue duellarono, non ci fu dolcezza, si cercavano per sfidarsi e lottare. Selene appoggiò la fronte su quella sconosciuta e si accorse di ansimare di desiderio. ‘Fanculo agli spettatori e alla loro curiosità. Il misterioso seduttore era la sua unica via di fuga, l’avrebbe accontentato anche a costo di umiliarsi. Doveva vincere lei su quel pallone gonfiato. «Mi fai impazzire» le bisbigliò sulle labbra. «Sei eccitata, ma non ammetti ancora di volermi.» Poteva un corpo bruciare per le troppe sensazioni? Selene credette di sì, perché con quelle uniche parole Mr Ghiaccio aveva acceso una miccia che stava divampando in lei. Si sarebbe spenta soltanto con la sua resa. Dannazione, avrebbe fatto sesso con lui in quell’istante se le avesse ordinato di farlo. Non resistette e gli affondò le mani tra i riccioli scuri. Ammise di avere un debole per gli uomini dai capelli mossi e così morbidi. Erano setosi sotto il tatto e si permise di tirarli. Lui gradì.
«Avanti, andiamo! Sai fare di meglio, bellezza» le gridarono alle spalle. Selene riaprì le palpebre, consapevole di essersi persa nel loro bacio. Non sarebbe stato sufficiente un bacetto per accontentare quei maiali. Possibile che l’unica soluzione fosse arrivare fino in fondo con lui? Avere un pubblico non la entusiasmava, anzi, la atterriva. La prima volta avrebbe dovuto essere con il ragazzo che amava e soli, senza spettatori curiosi. «Lascia fare a me» la rassicurò l’uomo dagli occhi taglienti. Certo, come no, con il rischio di trovarsi con un’erezione tra le cosce che la prendeva come se fosse stata un giocattolino spassoso da buttare via dopo l’uso. Gli poggiò le mani sul petto, cercando di tenerlo lontano da lei. L’uomo dovette intuire la sua resistenza, perché si rifiutò di rimanere al proprio posto e chinò il capo ricciuto su di lei. Selene si sorprese di quel gesto. La sollevò su di lui, premendola contro il rigonfiamento evidente tra le gambe, poi si chinò sui suoi seni e chiuse un capezzolo tra i denti. Selene sobbalzò sia per la scarica d’adrenalina che la fece boccheggiare, sia per l’inaspettato intenso piacere. Mr Ghiaccio era davvero pericoloso come lei aveva pensato; lui capiva quali corde toccare per far sciogliere la tensione fisica che la attanagliava. Le dita maschili scesero a stringerle i glutei e la strusciarono sull’eccitazione evidente. «Avanti! Scopatela» strillavano incitando quelle voci, ma le parvero ormai lontanissime. L’uomo sotto di lei era diventato tutto il suo mondo. Selene ignorava il resto e sentiva solo pulsare se stessa e il proprio cuore dentro il petto. Era sbalorditivo trovarsi tra quelle braccia, le sembrava di essere protetta dagli sguardi inopportuni che invece stavano smaniando in attesa di godersi lo spettacolino. L’attimo idilliaco finì quando una presa le artigliò le spalle e le fece provare una nuova fitta di sofferenza. Un’occhiata dietro di lei la avvertì della presenza del trafficante. Li osservava malevolo, per nulla bendisposto. Lo sconosciuto seduttore si scostò appena, sorridendo garbato verso “Jack”. Sembrava fosse appena rincasato da una normale cena d’affari, non che stesse per fare sesso con una donna. Impeccabile, studiò l’altro con chiaro disprezzo. Selene non aveva dubbi in proposito, era puro sesso quello che stavano facendo, anche se lui indossava ancora i vestiti. L’aveva percepito, roccioso e indomabile
mentre la teneva contro di sé. Dubitava di potersi rimettere in piedi sulle proprie gambe come se niente fosse accaduto. «Ti dispiace pagare prima?» lo minacciò l’affarista. «Non voglio perdere un tesoro prezioso come questo.» «Hai concesso una prova gratuita. Non credo di essere diventato sordo» gli rispose Mr Ghiaccio, fingendosi ingenuo. «Una vergine non si prova mai prima di averla comprata. Ho cambiato idea» si intestardì Jack. «Altrimenti perde di valore.» Il pensiero dell’aguzzino aveva una sua macabra logica. Selene sperò che questo non volesse dire rimetterla all’asta, perché non era sicura di poter sopportare oltre. Era arrivata al limite. Si sentiva accaldata, le guance in fiamme; un uomo la stava stringendo, mentre altri godevano della nudità che le era stata imposta. Neanche nei film porno si vedeva un tale scempio della dignità umana, o forse sì, ma lei non era un’esperta di simili oscenità. Le venne da piangere, ma frenò la disperazione ricacciandola in un angolo del suo cuore. Si sarebbe fatta forza e avrebbe combattuto. «Allora?» disse Jack. «Quanto?» «Quindicimila dollari» propose Mr Ghiaccio. «Sedicimila» rilanciò qualcuno. Preferiva di gran lunga lui agli altri. Sperava che non la lasciasse andare per una banale aggiunta di mille dollari. Le sembrava tra i presenti il più propenso a ridarle la libertà, ma forse Selene si sbagliava. L’avrebbe usata come chiunque dei presenti e poi… «Diciassettemila» gridò un altro. Oh, merda, le cose si complicavano. Si voltò verso chi aveva parlato e riconobbe il biondino accanto al biliardo. Selene represse l’impulso di mostrargli la lingua e prenderlo in giro: non l’avrebbe comprata, lei apparteneva soltanto a se stessa. Certo, era a cavallo di un uomo impassibile, ma l’aveva costretta con l’inganno, quindi non contava. «Ventimila» ribatté proprio Mr Ghiaccio.
Sospirò di sollievo e l’incantatore gelido dovette accorgersene perché l’erezione guizzò orgogliosa tra le sue gambe. Selene arrossì a quell’ennesima prova di maschilità sconvolgente e si domandò se per caso non avesse iniziato a sottovalutarlo per istinto di conservazione. «Troppo, lascio.» Il primo si arrese. «Ne vale davvero la pena per una verginella inesperta?» domandò il ciccione con le ascelle maleodoranti. «Non è un grande affare.» Selene si indispettì. Per una come lei valeva la pena, eccome. Quel branco di pecore non riusciva a riconoscere una vera donna quando la vedeva? Irrigidì le spalle, impettita, ma Mr Ghiaccio le posò una mano sulla schiena e iniziò a massaggiarla per calmarle i muscoli tesi. Il gesto la colse alla sprovvista… era tenero, e da un animale pronto a un probabile stupro di gruppo non se lo sarebbe mai immaginata. «La prendo io, Jack. Ti firmo l’assegno. Finiamola. Ventiduemila se sparisci in due minuti e fai uscire tutti dal salone» terminò l’estraneo seduttore. Il trafficante non se lo fece ripetere, si sfilò veloce una pistola dalla fondina sotto la giacca e la puntò sugli altri. «Non me ne vogliate, ma il tempo passa» disse. I presenti borbottarono seccati, ma non parvero impressionati dall’arma, piuttosto divertiti dalla reazione del trafficante. Uscirono in fila per uno dalla sala e Selene pensò che sembrasse tutto un brutto scherzo, un teatrino, non una compravendita. Quando, però, il venditore richiese il pagamento, si ricredette: non era una recita, ma una vera e propria tratta. «La signorina mi tiene stretto» si giustificò Mr Ghiaccio senza muoversi. «Levati, piccola. Gli uomini hanno da fare, vedi di sparire. Ora tocca a noi.» Jack tentò di farla cadere sul tavolino con uno spintone violento. Lo odiò per questo e puntò il braccio scoperto con l’intenzione di affondarci i denti, ma lo sconosciuto piacente la bloccò, afferrandola prima che potesse farsi male. La sistemò seduta accanto a lui sul divanetto. «Trattala bene la mia merce. Non la voglio danneggiata» minacciò. Dalla tasca posteriore prese il blocchetto di assegni e dalla tasca della giacca una costosa penna nera. Figuriamoci se tipi del genere se ne andavano in giro con le bic.
Selene si rannicchiò contro i cuscini e provò a chiudere gli occhi per calmarsi. Sperò che si trattasse di una fantasia grottesca, doveva aver mangiato troppo e per quel motivo ora immaginava orribili trafficanti di uomini e gente pronta a comprarsi una donna come schiava. Purtroppo, quando la loro compravendita fu conclusa, Selene si accorse di essersi sbagliata, ma, in compenso, l’uomo misterioso l’aveva coperta con la propria giacca e un piacevole profumo aleggiava intorno a lei. «Come ci sei finita qui?» le chiese, di nuovo in un italiano invidiabile. «Non lo so» rispose. «Non ti ricordi?» dubitò lui. «Niente. Ricordo che sono andata a chiedere una proroga per il pagamento dei debiti della mia famiglia, poi mi ha invasa una grande sonnolenza e mi sono ritrovata nuda su questo parquet in mezzo a una decina di uomini arrapati.» Perché stava confidando la verità a Mr Ghiaccio in persona? Adesso gli apparteneva, era la sua schiava di diritto. Nessuno l’avrebbe cercata, forse le avrebbero addirittura cambiato nome e quella che era stata sarebbe definitivamente scomparsa. «Mi dispiace, Selene» disse e le sembrò sincero. «Dispiacerti di cosa?» gli domandò mentre lei si sistemava la giacca grigia sulle spalle e cercava invano di coprirsi le parti intime. Era inutile sentirsi in imbarazzo, però aveva ancora del pudore e una dignità personale da difendere, non si sarebbe fatta intimorire da lui. «Sei finita in un giro di prostituzione» le spiegò. «Qui dentro scelgono le prostitute migliori da far lavorare in tutta la Russia.» Selene sgranò gli occhi, incredula, e le lacrime minacciarono di scorrere sulle sue guance. Le ricacciò indietro, decisa a non farsi sopraffare dalla paura. Era riuscita a controllarsi di fronte a dieci uomini e non si sarebbe lasciata andare ora, non davanti a quel riccone che l’aveva comprata. Non sapeva niente di lui, a parte che aveva un fisico invidiabile. «Io, una prostituta?» sussurrò, sconcertata.
«Appena ti ho vista, ho capito subito che di questo ambiente non sapevi nulla» sottolineò lui. Mr Ghiaccio sprofondò nei cuscini accanto a lei dopo aver tirato fuori un pacchetto di sigarette dalla marca sconosciuta. Ne prese una e se la portò tra le labbra. La accese e continuò: «Sei stata portata qui con la forza, purtroppo è uno dei loro modi di operare.» «Io… io…» balbettò lei. «Ho una famiglia in Italia.» «Non importa cos’hai o cosa non hai. Quello che conta ormai è qui davanti ai miei occhi in bella mostra.» Le indicò il seno e la peluria che si intravedeva ancora tra le cosce. Selene divenne paonazza. Ora sembrava immune a lei e alla sua bellezza. Non sapeva se esserne felice oppure credere che il suo interesse precedente fosse stato solo finzione a beneficio dei porci instabili mentalmente che occupavano il salone. Non poteva essere così, decise, si era eccitato. «Mi lascerai libera?» domandò, esitante. La sigaretta tra quelle dita affusolate riuscì a catturare il suo sguardo. La portava alla bocca con il languore tipico di un uomo appagato da una nottata di sesso sfrenato. Si corresse, era come immaginava lei un maschio che aveva appena fatto del sesso da urlo.
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