Sommario Frontespizio Copyright Dedica Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Ringraziamenti
ISBN: 978-88-6508-725-1 Edizione ebook: marzo 2016 Titolo originale: Dark Wild Night © 2015 by Christina Hobbs and Lauren Billings © 2016 by Sergio Fanucci Communications S.r.l. Il marchio Leggereditore è di proprietà della Sergio Fanucci Communications S.r.l. via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma tel. 06.39366384 – email: info@leggereditore.it Indirizzo internet: www.leggereditore.it Originally published by Gallery Books, a Division of Simon & Schuster Inc. All rights reserved, including the right to reproduce this book or portions thereof in any form whatsoever Proprietà letteraria e artistica riservata Tutti i diritti riservati Progetto grafico: Grafica Effe Questa copia è concessa in uso esclusivo a [customer_name] ordine numero: [order_number] Per Eddie, il nostro Superman.
1 Lola Mentre seguiamo la receptionist lungo il corridoio di marmo disegno mentalmente le tavole della scena che ho davanti. La donna indossa dei tacchi neri da quindici centimetri, le sue gambe sono infinitamente lunghe, i suoi fianchi ondeggiano a ogni passo. I suoi fianchi ondeggiano a sinistra. I suoi fianchi ondeggiano a destra.
I suoi fianchi ondeggiano a sinistra. Il mio agente, Benny, si china verso di me e mi sussurra: «Non essere agitata.» «Sto bene» mento. Lui risponde con uno sbuffo e si raddrizza. «L’accordo è pronto, Lola. Sei qui per firmare, non devi impressionare nessuno. Sorridi! Oggi è la parte più divertente.» Annuisco tentando di convincermi a concordare con lui: Guarda quest’ufficio! Guarda queste persone! È tutto così eccitante! Ma è fatica sprecata. Lavoro ai disegni di Razor Fish sin da quando avevo dodici anni e per me la parte divertente è sempre stata la sua creazione. La parte spaventosa è percorrere un anonimo corridoio costeggiato da cubicoli di vetro e da locandine di film patinate e incorniciate per andare a firmare un contratto a sette cifre per l’adattamento cinematografico. Lo stomaco sembra essermisi incastrato da qualche parte nella trachea e mi rintano nella mia zona di conforto. I suoi fianchi ondeggiano a destra. I suoi fianchi ondeggiano a sinistra. Le sue gambe lunghissime vanno dalla terra fino alle nuvole. La receptionist si ferma davanti a una porta e la apre. «Siamo arrivati.» Gli uffici dello studio sono alla moda in modo quasi osceno: l’intero edificio sembra l’equivalente moderno di un castello. Le pareti sono di alluminio satinato e marmo, le porte sono tutte in vetro. Ogni singolo mobile è fatto di marmo oppure di pelle nera. Benny ci guida entrambi con fare disinvolto all’interno della sala e la attraversa per andare a stringere la mano ai dirigenti seduti dall’altro lato del tavolo. Io lo seguo, ma quando lascio la porta questa si richiude pesantemente alle mie spalle e il gong stridente del vetro che sbatte con forza contro il metallo rimbomba per tutta la stanza. Il suono è rotto solo da un paio di sussulti provenienti dall’altra sponda del tavolo. Cazzo. Negli ultimi tre mesi ho visto abbastanza foto di me stessa in situazioni imbarazzanti per sapere che in questo momento non ho l’aria confusa. Non chino la testa e chiedo scusa; non mi piego goffamente, non strizzo gli occhi anche se, appena
la porta sbatte con quel suono sgraziato, sento che lo stomaco si stringe in mille nodi. A quanto pare, sono brava a nasconderlo. Il New York Times ha fatto una bellissima recensione su Razor Fish, ma mi ha trovato ‘distante’ durante un’intervista nella quale mi era parso di essere stata spigliata e affascinante. Il Los Angeles Times ha descritto la nostra telefonata come ‘una serie di pause lunghe e riflessive seguite da risposte a monosillabi’, quando invece al mio amico Oliver avevo detto di essere preoccupata di averli subissati di chiacchiere. Quando mi giro verso le dirigenti, non mi sorprende trovarle impeccabili come il mobilio. Nessuna delle donne sedute al tavolo fa commenti sulla mia entrata tutt’altro che discreta, ma giurerei che l’eco dello schianto riecheggia nella stanza per tutto il tempo che ci metto ad andare dalla porta al tavolo. Benny mi fa l’occhiolino e mi indica con un gesto di sedermi. Trovo una morbida sedia di pelle, mi alliscio il vestito sulle cosce e mi siedo lentamente. Ho le mani sudaticce, il cuore mi pompa nel petto. Conto fino a venti, e poi di nuovo, per non farmi sopraffare dal panico. La vignetta ritrae la ragazza: espressione fiera e una palla di fuoco nei polmoni. «Lorelei, è bellissimo conoscerti di persona.» Guardo la donna che ha parlato e stringo la mano che mi porge. I suoi capelli sono biondi e lucenti, il suo trucco è impeccabile, così come i suoi abiti e il suo viso inespressivo. Dopo aver dato una sbirciatina, all’alba, sul sito dell’IMDb, sono quasi certa che si tratti di Angela Marshall, il produttore esecutivo che assieme al suo collaboratore abituale Austin Adams ha partecipato alla guerra al rilancio della scorsa settimana per acquisire i diritti di Razor Fish, guerra di cui io non conoscevo nemmeno l’esistenza. Eppure i suoi capelli nella foto erano rossi. I miei occhi corrono veloci verso la donna alla sua sinistra, che però ha la pelle leggermente scura, capelli neri ed enormi occhi castani. Di sicuro non è Angela Marshall. L’unica persona che ho visto spesso su foto e riviste è Austin ma, a parte Benny, non ci sono uomini in questa stanza. «La prego, mi chiami Lola. Piacere di conoscerla...?» dico con tono di domanda, perché in situazioni normali mi sembra che sia questo il momento in cui si fanno le presentazioni. Invece la stretta di mano dura per un tempo infinito e a questo punto
non so a chi rivolgere la mia calorosa gratitudine. Perché nessuno si presenta? Si aspettano forse che io conosca già i loro nomi? Quando lascia andare la mia mano la donna finalmente dice: «Angela Marshall.» Ho la sensazione di essere stata messa alla prova. «Piacere di conoscerla allora» dico di nuovo. «Non riesco a credere...» Il mio pensiero si blocca e restano tutti a guardarmi, in attesa di sentire cosa ho da dire. A essere sincera potrei stare giorni interi a dilungarmi su tutte le cose a cui non riesco a credere. Non riesco a credere che Razor Fish sia là fuori, nel mondo. Non riesco a credere che le persone lo comprino. E quello che davvero non riesco a credere è che le persone in gamba che lavorano in questo enorme studio cinematografico stiano trasformando il mio fumetto in un film. «Non riusciamo ancora a crederci.» Benny viene in mio soccorso, ma ride imbarazzato. «Siamo ancora elettrizzati per come sono andate le cose.Elettrizzati.» La donna accanto ad Angela lo guarda con un’espressione del tipo ‘oh, sei elettrizzato eccome’, perché sappiamo tutti che a Benny è andata più che bene in questo affare: il venti percento di un sacco di soldi. Ma questa constatazione ne porta a sua volta un’altra: a me è andata anche meglio che a lui. Con quest’unica transazione la mia vita è cambiata per sempre. Siamo qui per firmare un contratto, per discutere del cast, per preparare una tabella di marcia. La vignetta ritrae la ragazza che si sveglia con un sussulto quando un bastone d’acciaio le viene conficcato nella spina dorsale. Tendo la mano all’altra donna. «Salve. Mi scusi ma non ho sentito il suo nome. Io sono Lola Castle.» Lei si presenta come Roya Lajani, poi abbassa lo sguardo su dei fogli davanti a sé mentre si accinge a prendere parte alla conversazione che sta avendo luogo in quel momento. Ma prima che riesca a dire qualcosa la porta si spalanca ed entra l’uomo che riconosco essere Austin Adams, portando dentro un turbinio di suoni di cellulari che squillano, tacchi che risuonano nel corridoio e voci che riecheggiano dalle stanze adiacenti.
«Lola!» mi dice con voce calda e piena di brio, trasalendo quando la porta si richiude alle sue spalle con un boato. Poi rivolgendosi ad Angela: «La odio questa cazzo di porta. Si può sapere Julia quando cavolo ha intenzione di provvedere?» Angela fa un cenno con la mano come a intendere ‘non stare a preoccuparti’, poi osserva Austin ignorare il posto accanto a lei e prendere una sedia alla mia destra. Mentre si siede studia il mio viso e mi fa un enorme sorriso. «Sono un tuo grande fan» dice senza preamboli, senza nemmeno presentarsi. «Giuro. Ti ammiro moltissimo.» «Io... wow» dico con una risatina imbarazzata. «Grazie.» «Ti prego dimmi che stai già lavorando a qualcosa di nuovo. Non posso più fare a meno della tua arte, delle tue storie, di tutto.» «Il mio prossimo fumetto esce in autunno. Si intitolerà Junebug.» Sento Austin protrarsi in avanti con entusiasmo e istintivamente aggiungo: «Ci sto ancora lavorando.» Quando rialzo lo sguardo verso di lui vedo che sta scuotendo la testa, stupito. «È tutto vero?» Austin mi guarda con espressione gentile mentre il suo sorriso si affievolisce. «Stai già incamerando il fatto che sei tu l’ideatrice del prossimo incredibile film d’azione?» Di solito, davanti a una frase come questa, in una situazione simile – quella in cui temo di dover sentire un mucchio di complimenti inutili – mi morderei la lingua per evitare di sembrare scettica, eppure, nonostante Austin sia un grandissimo produttore e regista, mi sembra davvero un tipo sincero. È un bell’uomo, ma ha l’aspetto totalmente trasandato: i suoi capelli biondo-rossicci sembrano essere stati ravviati con le dita; non si è fatto la barba, indossa dei jeans e una camicia abbottonata male, l’orlo destro supera quello sinistro. Persino il colletto inamidato della camicia è rigirato all’indentro. Un trasandato molto costoso. «Grazie» rispondo, e mi stringo le mani per evitare di giocare con il lobo dell’orecchio o con una ciocca di capelli. «Dico davvero» aggiunge lui, appoggiando entrambi i gomiti sulle cosce e mantenendo l’attenzione ancora fissa su di me. Non credo che si sia accorto della presenza di Benny. Le nocche mi sono diventate bianche. «So che sembreranno
parole scontate, ma in questo caso è la pura verità. Sono rimasto incollato sin dalla prima pagina e ho detto sia ad Angela che a Roya che dovevamo averlo.» «E noi siamo state d’accordo» interviene Roya inutilmente. «Be’» dico, sforzandomi di trovare qualcos’altro da dire che non sia grazie. «È fantastico. Mi fa piacere sapere che a quanto pare ha conquistato un suo piccolo pubblico.» «Piccolo?» dice lui con aria di scherno mentre si sposta indietro sulla sedia e abbassa lo sguardo sulla sua camicia per poi riguardarla sconcertato. «Porca miseria. Non so neanche vestirmi.» Mi mordo il labbro inferiore per smorzare la risata che minaccia di esplodermi dalla gola. Tutta questa situazione mi stava facendo fare scena muta per il panico fino a quando non è arrivato lui. Sono cresciuta facendo compere da Goodwill, abbiamo ricevuto per anni i buoni dell’assistenza sociale e possiedo ancora una Chevrolet del 1989. Non riesco nemmeno a immaginare come tutto questo mi cambierà la vita. Come se non bastasse le ‘Stepford Sisters’ sedute al tavolo non fanno che aggiungere estraneità all’atmosfera che c’è nella stanza. Austin però sembra proprio qualcuno con cui è facile immaginare di lavorare insieme. «So che ti è già stata fatta questa domanda,» dice «ho letto le interviste. Ma voglio sentirlo raccontare da te. La notizia in esclusiva per gli addetti ai lavori. Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro? Cos’è che ti ha ispirato veramente?» È vero, mi è stata già fatta questa domanda prima d’ora. Tante di quelle volte, a essere sinceri, che mi sono creata una risposta standard e automatica: adoro l’idea di un supereroe al femminile che agisce nella vita di tutti i giorni, perché ci dà l’opportunità di gestire in maniera diretta gli squilibri sociali e politici scomodi, nell’arte e nella cultura popolari. Ho descritto Quinn Stone come la ragazza che rappresenta tutte le ragazze, una sorta di Clarisse Starling o Sarah Connor: lei diventa un’eroina con le sue sole forze. Quinn viene trovata da un uomo bizzarro con le sembianze di un pesce che proviene da un’altra dimensione. Questa creatura, Razor, aiuta Quinn a trovare il coraggio di lottare per sé stessa e per la sua comunità e così facendo si rende conto che non vuole lasciarla per ritornare da dove proviene, anche se in realtà potrebbe. L’idea mi è venuta quando ho sognato che nella mia stanza c’era un uomo grosso, muscoloso e ricoperto di squame che mi diceva di mettere in ordine il mio armadio. Per tutto il giorno seguente non ho fatto che chiedermi come
sarebbe stato se me lo fossi trovato davvero dentro la stanza. L’ho chiamato Razor Fish. Ho immaginato che al mio Razor non gliene sarebbe fregato un cavolo se il mio armadio era in disordine: lui mi avrebbe detto di alzarmi e combattere per qualcosa. Ma non è questa la risposta che mi esce fuori oggi. «Ero incazzata» ammetto. «Pensavo che gli adulti fossero degli stronzi, oppure dei coglioni.» Vedo che gli occhi verdi di Austin si spalancano leggermente, poi sospira e annuisce con fare comprensivo. «Ero arrabbiata con mio padre perché era un disastro e con mia madre perché era una vigliacca. Sono sicura che è questo il motivo per cui ho sognato Razor Fish: lui è scontroso e non sempre capisce Quinn, ma sotto sotto le vuole bene e desidera che qualcuno si prenda cura di lei. Disegnare il personaggio di Razor e il modo in cui all’inizio lui fa fatica a capire il lato umano di Quinn, poi l’addestra a combattere per infine rimettersi a lei... Ecco, perdermi in questa storiella era il premio che mi concedevo quando stavo a casa da sola la sera, dopo aver lavato i piatti e fatto i compiti.» La stanza è rimasta in silenzio e provo la strana sensazione di dover riempire il vuoto. «Mi piaceva vedere il modo in cui Razor iniziava ad apprezzare la forza non convenzionale di Quinn. Lei è magrolina, riservata. Non ha la corporatura da amazzone. La sua forza è meno lampante: è una che osserva. Crede in sé stessa senza farsi troppe domande. Voglio essere certa che questa cosa sia resa chiaramente. C’è parecchia violenza e azione, ma Razor non ha una rivelazione su Quinn quando lei impara a tirare un pugno. Ha una rivelazione quando lei capisce come tenergli testa.» Lancio uno sguardo verso Benny – non ero mai stata così aperta riguardo la mia vita e il mio libro – e sul suo viso è palese la sorpresa. «Quanti anni avevi quando tua madre se n’è andata?» mi chiede Austin di getto. Si comporta come se non ci fosse nessun altro nella stanza assieme a noi ed è facile far finta che sia così, visto che improvvisamente non si muove una foglia. «Dodici. Mio padre era appena rientrato dall’Afghanistan.» La stanza sembra essere stata inghiottita dal silenzio appena pronuncio questa frase e Austin rilascia un sospiro. «Be’, un vero schifo.» Finalmente mi lascio andare a una risata.
Lui si avvicina di nuovo e i suoi occhi scrutano i miei quando dice: «Amo questa storia, Lola. Amo questi personaggi. Il nostro sceneggiatore ne farà un lavoro fantastico. Conosci Langdon McAfee?» Scuoto la testa imbarazzata, perché dal modo in cui lo dice sento che invece dovrei, ma Austin fa un gesto di noncuranza con la mano. «È uno davvero in gamba. È tranquillo, sveglio, organizzato. Vuole scriverla in collaborazione con te.» Apro la bocca davanti a questa rivelazione inaspettata – io che collaboro a unasceneggiatura – ma emetto solo un rantolo soffocato. Nonostante la mia espressione sbalordita Austin continua a parlare: «Voglio che ne parliamo un sacco, okay?» Continua ad annuire per caricarmi. «Voglio che sia assolutamente come tu lo vuoi.» Si fa più vicino e aggiunge: «Voglio che tu veda come il tuo sogno diventa realtà.» «Dimmi di nuovo tutti i dettagli» dice Oliver. «Non credo nemmeno che stessi parlando la nostra lingua la prima volta che me li hai detti.» Ha ragione. Ho a malapena preso fiato – e non mi ricordavo nemmeno come scandire le parole – quando mi sono catapultata nel suo negozio di fumetti, il Downtown Graffick, parlando a tutto spiano. Oliver ha alzato lo sguardo non appena sono entrata, e il suo dolce sorriso si è dissolto in un’espressione confusa mentre gli spiattellavo davanti migliaia di parole incoerenti e tutte le mie emozioni. Nel viaggio di ritorno in macchina da Los Angeles ho passato due ore al telefono con mio padre, cercando di elaborare il resto della riunione. La cosa non sembra aver aiutato un granché perché adesso, mentre ne parlo ad alta voce davanti a una delle persone a cui tengo di più, mi sembra di nuovo tutto assolutamente surreale. In questi otto mesi, da quando siamo diventati amici, non credo che Oliver mi abbia mai visto così: balbetto, mi mangio le parole e sono quasi sul punto di piangere perché sono così sopraffatta dalle emozioni. Se c’è una cosa di cui vado fiera è la mia capacità di mantenermi lucida e imperturbabile persino davanti agli amici, quindi ce la sto mettendo tutta a non andare fuori di testa, ma Cristo quant’è dura. Faranno un film tratto dalle mie idee d’infanzia.
«Okay» ricomincio. Inspiro ed espiro profondamente. «La scorsa settimana Benny mi ha chiamato e mi ha detto che c’erano novità per quanto riguardava il film.» «Avevo capito che l’aveva mandato...» «Mesi fa» lo interrompo. «Giusto. C’è sempre il silenzio prima dell’esplosione, vero? Perché questa mattina, mentre ero in macchina dal suo ufficio al loro ufficio, mi ha detto che è stato venduto in questa folle guerra al rilancio...» Mi premo la mano sulla fronte. «Sto sudando. Guardami. Sto sudando.» Lui mi guarda e ride intenerito, poi scuote leggermente la testa prima di tornare alla scatola che sta aprendo con un taglierino. «Tutto questo è incredibile, Lola. Continua.» «Hanno vinto la Columbia e la Touchstone» gli dico. «Oggi siamo andati nei loro uffici e abbiamo incontrato delle persone.» «E?» Mi punta di nuovo gli occhi addosso mentre tira fuori una pila di libri dalla scatola. «Ti hanno fatto una buona impressione?» «Voglio dire...» Annaspo cercando di rievocare cosa ho provato quando Austin ha spostato la sua attenzione verso le altre persone nella stanza e la riunione è diventata un ricordo sfocato di acronimi e istruzioni sussurrate del tipo ‘prendere nota del programma di Langdon per il lancio dello script’ e ‘vediamo se riusciamo a inviare il calcolo di profitti e perdite a Mitchell entro l’ora di pranzo’. «Sì, c’erano un paio di persone un po’ impettite e di poche parole, ma il produttore esecutivo, Austin Adams, è davvero una persona carina. Ero così emozionata che non so quanto ho davvero elaborato.» Mi passo le mani fra i capelli e guardo il soffitto. «È tutto così assurdo. Un film.» «Un film» ripete Oliver e quando lo guardo vedo che i suoi occhi azzurri mi osservano con espressione misteriosa. Quando si inumidisce le labbra con la lingua devo distogliere lo sguardo. Oliver è il mio ex marito e al tempo stesso il tipo per cui mi sono presa una cotta. Ma la cosa resterà per sempre non corrisposta: il nostro matrimonio non è stato un vero e proprio matrimonio. È stato ‘quella cosa che abbiamo fatto a Las Vegas’. Certo, le altre due coppie che si sono messe insieme a Las Vegas – i nostri amici Mia e Ansel e Harlow e Finn – sono felicemente sposate. Ma di tanto in tanto (soprattutto quando siamo ubriachi) a me e a Oliver piace vantarci di essere gli unici
ad aver vissuto questo matrimonio lampo a Las Vegas come dovrebbe essere veramente: pentimento, annullamento e una bella sbornia. Vista la distanza emotiva che ha sempre mantenuto, credo che tra noi due sia Oliver quello a pensarla davvero così quando elogia la nostra scelta. «E non è stato solo qualcosa tipo ah, ci piace l’idea, compriamo l’opzione e poi vediamo» dico. «Lo hanno comprato e hanno già in mente un regista. E oggi abbiamo parlato delle scelte del cast. Hanno anche un pezzo grosso interessato alla faccenda.» «Non ci credo» mormora lui, chinandosi in avanti per dedicarmi la sua totale attenzione. E se non conoscessi Oliver come lo conosco, direi che si è soffermato a guardarmi la bocca. Ma lo conosco bene: in realtà lui guarda ogni singola parte del mio viso quando parlo. Non c’è nessuno che ascolti bene come lui. «E poi... contribuirò a scrivere la sceneggiatura» aggiungo quasi senza fiato e lui strabuzza gli occhi. «Lola, Lola, cavolo!» Mentre mi accingo a raccontargli ancora una volta la riunione che ha avuto luogo durante la mattinata, Oliver si rimette a tirare fuori dalla scatola i fumetti appena arrivati e ogni tanto mi lancia un’occhiata con quel suo sorrisetto assorto. Pensavo che con il tempo avrei imparato a capire cosa gli passa per la testa, come reagisce alle cose. Ma in realtà lui resta ancora indecifrabile per me. L’appartamento che condivido con la mia amica London è a solo due isolati di distanza dal negozio di fumetti di Oliver e anche se lo vedo quasi tutti i giorni, mi sembra ancora di avere la sensazione che metà del tempo passato con lui devo impiegarlo a decifrare cosa intenda con questa o quella risposta a monosillabi o quel sorriso indugiante. Se fossi più simile a Harlow glielo chiederei e basta. «Quindi non vedi l’ora di vederlo sugli schermi?» mi chiede. «Non ne abbiamo parlato perché è successo tutto così in fretta. So che alcuni artisti non sono così entusiasti all’idea di un adattamento.» «Stai scherzando?» gli chiedo. Come può dire sul serio? L’unica cosa che amo più dei fumetti sono i film basati sui fumetti. «È un’emozione incontenibile, ma stupenda.»
E poi mi ricordo che ho una email con diciassette copioni in allegato da leggere ‘come riferimento’ e mi sale un’ondata di nausea. «È un po’ come costruire una casa» gli dico. «Vorrei già trovarmi nella parte dove vado ad abitarci e saltare quella in cui devo occuparmi degli impianti e delle maniglie.» «Speriamo solo che non ‘george-clooneizzino’ il tuo Batman» mi dice. Alzo il sopracciglio con espressione ammiccante e rispondo: «Possono ‘georgeclooneizzare’ tutto quello che gli pare per quanto mi riguarda, mio caro.» Non-Joe, l’unico dipendente di Oliver nonché un fattone con la cresta per il quale tutti proviamo quel tipo di affetto simile a quello che proveremmo per un cagnolino, emerge da dietro una libreria. «Clooney è gay. Lo sapevi, sì?» Sia Oliver che io lo ignoriamo totalmente. «In effetti» aggiungo «se mai ‘george-clooneizzare’ verrà inserito nell’Oxford English Dictionary come nuovo verbo, aggiungo immediatamente quest’attività alla mia lista dei desideri.» «Della serie sei mai stata ‘george-clooneizzata’?» mi chiede Oliver. «Esatto. Tipo: siamo andati a fare una passeggiata e abbiamo ‘george-clooneizzato’ fino alle due. Buonanotte.» Oliver annuisce e infila delle penne in un cassetto. «Probabilmente anche io dovrei aggiungere quest’attività alla mia lista.» «Ecco, vedi, è per questo che io e te siamo amici» gli dico. Stargli accanto è come prendersi uno Xanax. Ha effetti calmanti. «Hai capito subito che questa cosa di trasformare George Clooney in un verbo sarebbe così grandiosa che, gay o meno, ne vorresti un pezzetto anche tu.» «È gay al cento percento» dice Non-Joe, a voce più alta stavolta. Oliver mormora scettico e alza lo sguardo verso di lui. «Veramente non credo che lo sia. È sposato.» «Davvero?» chiede Non-Joe poggiando i gomiti sul bancone. «Ma se lo fosse, te lo faresti?» Io alzo la mano: «Assolutamente sì.» «Non lo stavo chiedendo a te» dice Non-Joe e mi liquida con un gesto della mano.
«Chi sarebbe quello attivo e chi quello passivo?» domanda Oliver. «Voglio dire, verrei ‘george-clooneizzato’ o ‘george-clooneizzerei’?» «Oliver,» dice Non-Joe «stiamo parlando di George Clooney, cazzo. Lui non viene ‘george-clooneizzato’!» «Ci stiamo davvero rincretinendo» mormoro. Mi ignorano entrambi e alla fine Oliver fa spallucce. «Sì, okay, perché no?» «Cioè stiamo proprio perdendo punti del nostro quoziente intellettivo» insisto io. Non-Joe mima di aggrapparsi a un paio di fianchi e fa dei movimenti avanti e indietro col bacino. «Questo. Glielo lasceresti fare?» Oliver si stringe nelle spalle sulla difensiva e dice: «Joe, ho capito di cosa stiamo parlando. So anche come funziona il sesso tra uomini. Quello che intendo è che se devo andare con uno, perché non il Batman cattivo?» Gli sventolo la mano davanti al viso. «Dovremmo tornare alla parte in cui il mio fumetto sta per diventare un film.» Oliver si gira verso di me, più rilassato, e il suo sorriso è così dolce che mi sento sciogliere tutta. «Sì, dovremmo proprio. È una cosa fantastica, Lola.» Inclina leggermente la testa e i suoi occhi azzurri restano incollati ai miei. «Sono davvero orgoglioso di te in questo momento.» Sorrido e poi mi mordo il labbro inferiore perché quando Oliver mi guarda in questo modo non riesco proprio a essere disinvolta. Ma lo intimorirei se mi lasciassi andare a effusioni nei suoi confronti. Non è così che ci comportiamo l’uno con l’altra. «Quindi, come si festeggia?» mi domanda. Lascio vagare lo sguardo nel negozio come se la risposta fosse lì davanti a me. «Facendoci un giro da queste parti? Non lo so. Forse dovrei mettermi a lavorare un po’.» «No, no, non hai fatto altro che viaggiare, e persino quando sei a casa lavori in continuazione» risponde lui. Faccio uno sbuffo e gli dico: «Dice il tizio che passa ogni santa ora in questo negozio.»
Oliver si sofferma a guardarmi: «Stanno per fare il tuo film, Lola Love.»Questo soprannome mi provoca un tuffo al cuore. «Stasera bisogna fare qualcosa di speciale.» «Potremmo andare da Fred?» dico. Il nostro solito posto. «Perché fare finta che siamo tipi fichi?» Oliver scuote la testa. «Andiamocene in centro, così non devi preoccuparti di guidare.» «Ma poi sarai tu a dover guidare fino a Pacific Beach» controbatto a mia volta. Dietro a noi Non-Joe fa finta di suonare il violino. «Non è un problema» dice Oliver. «Non credo che Finn e Ansel ci siano, ma inviterò comunque le ragazze.» Si gratta la mascella ispida e poi dice: «Vorrei portarti fuori a cena o qualcosa di simile, ma...» «Oh, no, non preoccuparti.» L’idea di Oliver che lascia il negozio per portarmi fuori a cena mi provoca il capogiro e un senso di angoscia. L’edificio non prenderebbe certo fuoco se lasciasse questo posto prima che faccia buio, ma ciò non significa che il mio corpo non possa provare questo senso istintivo di panico. «Credo che me ne andrò a casa a dare di matto nella mia camera e poi più tardi andrò a prendermi una bella sbronza.» Il suo sorriso mi fa squagliare. «Mi sembra una buona idea.» «Pensavo avessi un appuntamento stasera» dice Non-Joe a Oliver mentre gli si avvicina da dietro con un’immensa pila di libri. Oliver impallidisce. «No, non stavo... Voglio dire, non lo è. Non ce l’ho.» «Un appuntamento?» Sento che sto inarcando il sopracciglio mentre tento di ignorare il nodo che mi si sta formando nello stomaco. «No, non è così» insiste lui. «È solo la tipa di fronte, quella che lavora...» «Hard Rock Allison» canticchia Non-Joe. Ho un tuffo al cuore: non si tratta ‘solo della tipa di fronte’, ma proprio di una persona che, come abbiamo notato un paio di volte, ha dimostrato un forte interesse nei confronti di Oliver. Faccio del mio meglio per mostrare una reazione positiva.
«Ma smettila!» dico, e do uno schiaffetto sulla spalla di Oliver. Poi con marcato accento francese aggiungo: «Un appuntamento molto sensuale.» Oliver brontola e si massaggia la spalla, fingendo di provare più dolore del dovuto. Con la testa indica Non-Joe. «Voleva portare la cena a entrambi, qui al negozio...» «Sì, certo, perché voleva scoparti» lo interrompe Non-Joe. «O forse perché è una tipa gentile» dice Oliver, nella voce uno scherzoso tono di sfida. «In ogni modo preferisco uscire a festeggiare con Lola. Mando un sms a Allison per avvertirla.» Sono sicura che Hard Rock Allison sia una ragazza in gamba, ma in questo momento sapere che Oliver ha il suo numero e che può tranquillamente inviarle un sms per cambiare i programmi accordati, be’, mi fa quasi desiderare che venga investita da un treno – in quel modo torbido e maligno con cui desideri che capitino le peggiori cose a una nuova fidanzata. Allison è carina, alla mano, e così minuta che entrerebbe nella mia borsa a tracolla. Questa è la prima volta che mi trovo ad affrontare la possibilità che Oliver frequenti un’altra ragazza, la prima volta che il nostro rapporto di amicizia deve affrontare una cosa del genere, almeno per quanto ne so io. Ci siamo sposati e abbiamo divorziato nell’arco di una giornata ed è ovvio che non è mai stato innamorato di me, ma non abbiamo mai parlato di appuntamenti amorosi con altre persone prima d’ora. Come dovrei reagire in questo caso? Tranquillamente, decido dopo essermi analizzata. Felice per lui. «Rimandiamo senza problemi» dico facendogli il sorriso più sincero che mi viene. «È davvero carina. Portala al Bali Hai, è così bello.» Lui mi guarda. «È da un secolo che voglio andare in quel posto. Tu lo adori. Dovresti venire.» «Oliver, non puoi portarmi con te a un appuntamento.» Oliver spalanca gli occhi da dietro gli occhiali. «Ma non lo è. Io non... Non lo farei» dice e poi aggiunge subito: «Lola, non si tratta di nessun cavolo di appuntamento.» Okay, a questo punto mi pare chiaro che non sia innamorato di Allison. Il peso allo stomaco si alleggerisce e mi metto a fissare il bancone con estrema concentrazione per evitare di sorridere.
Dopo qualche respiro profondo ci riesco. Alzo lo sguardo verso di lui e vedo che mi sta ancora fissando, la sua espressione è calma come la superficie di un lago in un canyon. ‘A cosa pensi?’ vorrei chiedergli. Ma non lo faccio. «Lola» inizia lui. Deglutisco, non riesco a smettere di spostare lo sguardo – anche solo per un secondo – sulla sua bocca. Amo la sua bocca. È una bocca ampia: il labbro inferiore e quello superiore hanno lo stesso spessore. Sono labbra piene, ma non femminee. Le ho disegnate centinaia di volte: labbra dischiuse, labbra premute tra loro. Labbra piegate in quel suo sorrisetto o incurvate mentre riflette accigliato. Labbra dalle quali sbucano denti aguzzi o, una volta, labbra aperte in un sussulto scabroso. Riesco a malapena a contare fino a due quando alzo lo sguardo sui suoi occhi. «Sì?» Ci mette un secolo a rispondere e quando lo fa ho passato in rassegna un miliardo di possibili domande da parte sua. Hai mai pensato di baciarmi? Come la vedresti una scopata nel retrobottega? Vestiresti mai i panni di Zatanna? Ma lui chiede soltanto: «Cosa ti ha detto Harlow quando le hai detto del film?» Inspiro profondamente e scaccio via dalla mente l’immagine di lui che si china verso di me e poggia la sua bocca sulla mia. «L’avrei chiamata fra poco.» E poi questa frase prende forma nel mio cervello. Oliver mi guarda scioccato e accanto a lui Non-Joe emette uno stridulo rantolo di panico che mi fa pensare che la polizia è alla porta oppure che stiamo per essere tutti uccisi da Harlow per causa mia. «Oh, caaazzo perché l’ho fatto?» chiedo portandomi la mano alla bocca. Harlow è da sempre la seconda persona a cui dico le cose dopo mio padre. Mi ammazzerebbe se sapesse che sono venuta qui. «Ma cosa avevo in mente quando sono venuta a dirlo a te prima che a tutti gli altri?» Mi avvicino di un passo e li guardo con
espressione minacciosa. «Non potete assolutamente dirle che lo sapevate prima di lei e che sono stata qui per...» «Mezz’ora» mi interrompe volenteroso Non-Joe. «Mezz’ora!» grido io. «Ci farà tutti a pezzettini e ci seppellirà nel deserto!» «Cazzo, chiamala subito allora» dice Oliver puntando un dito verso di me. «Non sono pronto per affrontare Harlow con un’ascia.»
2 Oliver «Da quanto lo sai, Oliver?» Alzo lo sguardo verso il suo lato del tavolo e faccio un enorme sorriso. «So cosa, Harlow?» «Non fare il furbo.» Harlow guarda veloce da un lato per accertarsi che Lola sia ancora al bar. «Quando hai saputo che il film è stato opzionato e approvato in un colpo solo?» Sposta ripetutamente lo sguardo tra Joe e me, in attesa, ma Joe si china per dare un morso gigante al suo hamburger e lascia che sia io a rispondere. «Oggi» rispondo evasivo. È una risposta del cavolo perché anche Lola lo ha saputo oggi. Lei vuole che io le dica proprio l’orario esatto. Harlow socchiude gli occhi ma si tiene per sé una rispostaccia perché Lola ritorna al tavolo con un vassoio di shottini e quando mi rivolge lo sguardo mi fa quel suo sorrisetto segreto. Non sono nemmeno sicuro che sia consapevole di farlo. Le labbra le si piegano all’insù, abbassa appena gli occhi e poi sbatte lentamente le palpebre, come se mi avesse appena immortalato in una fotografia. E se l’avesse fatto, avrebbe colto l’immagine di un uomo che è profondamente e disperatamente innamorato. C’è quella scena in The Amazing Spider-Man numero 25, quando Mary Jane Watson compare per la prima volta: il suo viso è celato sia al lettore che a Peter Parker. Fino a quel momento infatti Peter la conosce solo come la ragazza che sua zia vuole che lui porti fuori, ‘quella cara ragazza Watson della porta accanto’. Ma Peter non è interessato. Se piace a sua zia, allora Mary Jane non è il suo tipo.
Poi nel numero 42 finalmente il suo viso viene svelato e Peter scopre quanto lei sia fantastica. È un duro colpo per lui, è stato davvero un idiota. Si tratta di un’analogia perfetta per descrivere il mio rapporto con Lorelei Castle. Sono stato sposato con Lola per esattamente tredici ore e mezzo e se fossi un tipo più sveglio forse sarei stato in grado di cogliere l’attimo mentre stava accadendo, invece di dare per scontato – solo perché indossava un abitino corto e si stava ubriacando a Las Vegas – che Lola non fosse il mio tipo. Nel giro di poche ore eravamo tutti ubriachi... e ci siamo sposati senza pensarci. Mentre i nostri amici battezzavano le stanze d’albergo, Lola e io abbiamo camminato per chilometri, parlando di tutto. È facile confidarsi con gli sconosciuti, specialmente quando si è ubriachi, così a notte inoltrata mi sembrava che eravamo già molto intimi. A un certo punto sulla Sunset Strip si è fatto buio – un accenno dello squallore che può offrire il lato malfamato della città – e Lola si è fermata a guardarmi. Il diamantino del piercing sopra il suo labbro ha catturato una luce e sono rimasto incantato dalla sua bocca rosea, dove ormai non c’era più traccia di rossetto. La sbornia era già evaporata e stavo pensando a come avremmo affrontato le procedure di annullamento del giorno successivo. A quel punto lei mi ha chiesto se avevo voglia di prendere una stanza da qualche parte. Insieme. Ma io... non volevo. Non volevo perché nel momento in cui lei mi ha fatto quella proposta mi sono reso conto che Lola non è un tipo da una botta e via. Lola è il tipo di ragazza per cui potrei perdere la testa. Il punto però è che non appena è tornata a San Diego la sua vita è esplosa in un uragano. Per prima cosa è stato pubblicato il suo fumetto, Razor Fish, ed è subito volato in cima a tutte le top ten di letteratura di genere. Poi è entrato nei canali di distribuzione più conosciuti, tramite i più grandi rivenditori, e il New York Timesl’ha definito ‘il nuovo marchio cinematografico da promuovere’. I diritti del libro sono appena stati venduti a un grosso studio di produzione cinematografica e oggi ha persino incontrato i dirigenti che metteranno i milioni sul progetto. Non credo che le resti un nanosecondo di tempo per pensare all’amore, ma non fa niente: ci sono qui io a pensarci per entrambi. «Non so chi abbia inventato l’usanza secondo la quale chi festeggia il compleanno debba tagliare a fette la propria torta» dice Lola facendo scorrere verso di me un
bicchierino con dell’alcol di un verdognolo sospetto «o questa nuova versione in cui la ragazza alla quale hanno comprato i diritti del film offre gli shot. Ma non mi piace un granché.» «No,» obietta Mia «è quella che sta per correre a Hollywood che deve offrirli.» «In anticipo» dice Harlow. «Come penitenza.» Tutti si girano per lanciare un’occhiata scettica verso Harlow. Diversamente da tutti noi, l’intera esistenza di Harlow ruota attorno a Hollywood. Cresciuta con una madre attrice e un padre che ha vinto un Oscar come direttore della fotografia, e sposata con un uomo che sta per diventare una star di Adventure Channel, sono più che certo che abbiamo tutti in mente la stessa cosa: se il fatto di appartenere all’establishment hollywoodiano determina chi pagherà il conto, starebbe a Harlow offrire gli shot. Come se ci avesse letto nel pensiero, Harlow fa un gesto con la mano e dice: «Fatela finita. Il prossimo giro lo offro io.» Alziamo i cicchetti e Harlow fa il discorso per il brindisi: «Per la tipa più tosta che sia mai esistita: Lorelei Louise Castle. Vai e conquistali tutti, ragazza mia!» «Senti senti» dico. Lola coglie il mio sguardo e ricambia ancora una volta con il suo sorrisetto segreto. Facciamo tintinnare i bicchieri – Harlow, Mia, Joe, Lola, London e io – e ci scoliamo d’un fiato lo shot, poi ci lasciamo andare a un brivido sincronizzato. La coinquilina di Lola, London, per un pelo non si strozza. Si tratta della ‘Chartreuse verde’. Inizia a tossire e i suoi capelli biondi, annodati in uno chignon disordinato, tremano pericolosamente mentre scuote la testa. «Dovrebbe essere vietato.» «Fa veramente schifo» concordo. «Ho chiesto al bartender di inventarsi qualcosa per ‘festeggiare’» dice Lola con una smorfia mentre si pulisce la bocca con il dorso della mano. «Mi dispiace. Ho la sensazione di aver bisogno di una doccia adesso.» Anche Mia tossisce. «Quel ragazzo deve pensare che festeggiare equivale a soffrire.» Prende la mia birra e ne beve un gran sorso prima di girarsi verso Lola. È così insolito uscire con Mia senza che ci sia Ansel attaccato a lei: infatti è bellissimo
averla qui da sola e desiderosa di socializzare. Mia è dolce e delicata, come potrebbe esserlo una sorella minore. «Allora, bellezza. Raccontaci di questa mattina.» Lola sospira e beve un sorso d’acqua prima di fare spallucce con espressione sgomenta. «Davvero, com’è strana la vita, vero, ragazzi?» Mi poggio alla spalliera del séparé e ascolto intenerito mentre Lola racconta molto di ciò che ho già sentito. A dir la verità, credo che potrei riascoltarla altre cento volte senza mai riuscire a comprendere a fondo: non riesco nemmeno a immaginare che effetto possa fare a lei. Lola, che come lei stessa ammette passa più tempo a parlare con le persone nella sua testa che con quelle che ha intorno, è una tipa davvero magnifica. Per quanto possibile, cerco di attenuare la mia reazione nei confronti del suo lavoro perché so che in parte è dovuta all’affetto che provo per lei. E comunque non è che posso starle a dire in continuazione che le sue creazioni sono geniali e che lei è una delle persone più in gamba e più sexy che conosco. Ogni volta che posso però ne declamo le qualità con i clienti e dico loro che il libro è originale e diverso da qualsiasi cosa che abbia mai letto prima, eppure, al tempo stesso, sembra così familiare. Razor Fish mi ha fatto provare lo stesso brivido che ho provato da bambino quando ho preso il mio primo fumetto dal giornalaio di zona. Ero ossessionato dalla forza, dalle lotte, dal potere della storia raccontato a parole e a colori. A undici anni ero il ragazzino più alto e smilzo della prima media e quindi i bulletti della classe mi avevano soprannominato Stecco. A sedici anni, quando anche i miei compagni mi avevano raggiunto, il soprannome mi è comunque rimasto. A quell’epoca però torreggiavo sopra di loro da parecchio ormai e avevo cominciato ad andare in bici dappertutto. Non ero più quello smilzo. Ero diventato forte e primeggiavo negli sport scolastici. Stecco era il nome di un supereroe, non di un codardo. Guardo Lola e mi stupisce vedere quanto ci somigliamo – infanzie solitarie che ci hanno trasformato in adulti introversi ma ambiziosi – e quanto il mondo dei fumetti è stato fondamentale nelle nostre vite. Ma mentre lei sta ancora fluttuando sulla nuvola della sua nuova avventura, raccontando degli uffici surreali, ridendo sull’inizio un po’ impacciato della riunione e dell’arrivo esplosivo di Austin nella stanza, io sento di dovermi isolare un attimo e mando giù un sorso di birra. Devo levigare un po’ le mie sensazioni per poter elaborare tutto quanto. Quel che è certo è che la vita di Lola sta per cambiare. Ciò
che finora per lei è stata solo una passione sta per diventare un lavoro che le porterà tensioni e problemi che conosco forse meglio di quanto lei pensi. Inoltre Lola ha sì un gran talento, ma vive una vita protetta: Hollywood può trasformare i sogni in realtà, ma può anche essere dura e spietata. Voglio tenere a bada questo riflesso apprensivo che mi porta a preoccuparmi per lei, che mi inquieta, che mi fa pensare che tutto questo la distruggerà o come minimo attenuerà quella sua parte meravigliosamente creativa – quella parte che ha reso tutto questo possibile – e che non sono certo valga la pena di sacrificare nel nome di una fetta di vita da sogno. Mi viene voglia di proteggerla, di dirle di ascoltare le voci nella sua testa, perché per Lola quelle voci sono più vere della maggior parte di quelle che sente nella vita reale, e lo sono state sin da quando era bambina. Per me è stato lo stesso. Sono cresciuto senza fratelli né sorelle e con genitori assenti. I miei nonni mi hanno preso in affido quando ero piccolo, ma avevo otto anni ed ero più interessato a Superman e a Batman che a quello che mia nonna aveva guardato in tv quel giorno o alle persone che entravano nel negozio di mio nonno. Lola sta arrivando alla fine del racconto – la parte in cui i dettagli logistici sembrano letteralmente fioccare uno dopo l’altro e dove tutto diventa offuscato e carico di termini tecnici – quando il suo cellulare poggiato sul tavolo si illumina. Lei lo guarda, si appoggia allo schienale e mi guarda negli occhi. «È Austin.» Il fatto che guardi proprio me – non Harlow, né London o Mia – mi provoca un tuffo al cuore: una fiammella lanciata nella caverna dentro al mio petto. «Rispondi» la incoraggio indicando il telefono. Lei tenta maldestramente di prenderlo, rischiando di farlo cadere per terra prima di riuscire a rispondere con un frettoloso «Pronto?». Non ho il privilegio di poter sentire la conversazione dall’altra parte della linea, quindi non so cos’è che la fa arrossire e sorridere quando dice: «Ciao Austin. Scusa, no. Sono riuscita a rispondere per un pelo.» Lola ascolta intensamente mentre tutti la fissiamo intensamente. Riusciamo a sentire solo una parte della conversazione: «Sono ancora tutta scombussolata» dice «ma sto bene...» Alza gli occhi per guardarsi attorno e dice: «Sì, con alcuni amici... in un locale di zona... a San Diego!» Ride. «Ma è un bel pezzo di strada, Austin!» Cosa?!?
Guardo Harlow che si gira a sua volta verso di me e sembra pensare la stessa cosa. Non avrà mica intenzione di guidare fino a qui? Guardo il mio orologio: sono quasi le dieci e ci vogliono almeno due ore. «Sono emozionata anche io» sta dicendo Lola, mentre si porta una mano all’orecchio per giocherellare con un orecchino. «Be’, non ho mai scritto una sceneggiatura prima d’ora quindi il mio obiettivo qui è solo rendermi utile...» Ridacchia quando ascolta la sua risposta. Ridacchia. I miei occhi tornano a guardare Harlow. Lola ridacchia con noi. Non ridacchia con persone che ha conosciuto solo qualche ora prima. A meno che quella persona non sia io, a Las Vegas, e preferisco pensare che quella sia stata un’occasione speciale. «Non vedo l’ora di sentirli... No, non lo farò, le opinioni sono positive... Lo so, scusami. C’è rumore qui... Okay, lo farò. Promesso!» Un’altra risatina del cavolo. «Okay, okay, ciao.» Preme il pulsante di fine chiamata ed emette un sospiro prima di alzare gli occhi verso di me. «Era Austin.» Con una risata rispondo: «Così pare!» Nonostante abbia un oggetto estraneo e molesto conficcato nel petto riesco lo stesso a riconoscere quanto debba essere emozionante per lei trovarsi subito a proprio agio con la persona alla guida del lavoro creativo più importante della sua vita. «Non è che sta venendo in macchina da Los Angeles, vero?» chiede London con, se non sbaglio, un accenno di diffidenza nella voce. Mi è sempre piaciuta London. «No, no» risponde Lola abbassando gli occhi verso il tavolo con un enorme sorriso. «Stava solo scherzando.» Per qualche secondo rimaniamo tutti in silenzio a guardarla. Harlow rompe il silenzio: «Be’, allora perché cavolo ha chiamato?»
Lola la guarda sorpresa. «Be’, voleva solo accertarsi che stessi bene dopo la riunione, e per dirmi che stava mettendo insieme delle idee per trasporre la prima parte in un film.» «‘La prima parte’?» ripeto. Lei scuote la testa in piccoli movimenti continui e confusi e una ciocca dei suoi lunghi capelli lisci le rimane impigliata al labbro. Non riesco a evitarlo: allungo la mano per scostargliela. Ma lo fa anche lei e le sue dita arrivano alle labbra prima delle mie. Scanso veloce la mano e mi sento addosso lo sguardo di Harlow, ma non riesco a distogliere gli occhi da Lola che a sua volta mi fissa, gli occhi pieni di muta frenesia. «Porca miseria, Oliver.» Accanto a noi London prende il suo cellulare. «Voglio cercare questo tipo, Austin Adams, su Google.» Mi è davvero sempre piaciuta London. «‘La prima parte’?» ripeto a Lola con tono più gentile. «Mi ha detto che lo studio vedrà tre film» dice con voce stridula. «E mi vuole parlare di alcune idee.» Harlow impreca, Mia fa un urletto, Joe le lancia un sorrisone, ma Lola si copre il viso con un gridolino di panico. «Cazzo!» strepita London. «Ma questo tipo è davvero sexy!» Gira il telefono per farcelo vedere. Okay, forse London non mi piace poi così tanto. La ignoro e dico a Lola: «È una buona notizia» mentre dolcemente le abbasso le braccia. Non riesco a evitare di dirle: «Vuole parlartene adesso? Devi andare di nuovo a Los Angeles domani?» Lei scuote la testa. «Credo al telefono. Voglio dire, riesco a malapena a immaginare di collaborare a scrivere una sceneggiatura, figuriamoci tre» dice premendosi le dita sulle labbra. «Si tratta proprio di collaborazione» le ricordo. «Non è quello che ti ha detto Austin stamattina?» Vedere come cresce la sua preoccupazione mi aiuta a tenere a
bada la mia. «Forse con il secondo e il terzo film potrai guidare meglio tutto il processo, ma è una buona cosa, non ti pare?» Lola annuisce decisa, attingendo dalla mia sicurezza, ma poi incurva le spalle e fa una risatina di scherno. «Non credo di esserne capace.» La sua mano tremante e sudata stringe la mia. «Ci vuole altro alcol!» dice Harlow senza scomporsi. Con la coda dell’occhio vedo che si alza per andare a prendere altri shot. Joe allunga un braccio per massaggiare il collo di Lola. «Lola, sei una pietra preziosa in mezzo a una montagna di ghiaia. Tu andrai lontano.» Annuisco, concordando con lui. «Te la caverai. Nessuno conosce questa storia meglio di te. Sei tu che devi guidarli. Loro sono gli esperti della parte cinematografica.» Lei sospira, le sue labbra morbide si curvano in una O e tiene gli occhi incollati ai miei come se questo l’aiutasse a non crollare. Si rende conto di quando desidero essere il suo coraggio? «Okay» dice. E poi di nuovo: «Okay.» Alla fine riusciamo a scolarci cinque shot ciascuno e l’argomento di conversazione è passato dalla folle giornata di Lola a un dibattito accalorato sulla fine del mondo. Come al solito è tutto merito di Joe, ma Lola ha le guance arrossate e non fa che ridacchiare a ogni suggerimento appassionato: zombie, impulsi elettromagnetici, invasioni aliene. Finalmente sembra completamente efelicemente distratta. «Ve lo dico io, sarà per colpa di quel cazzo di bestiame» dice Joe mentre rischia per un pelo di far cadere il bicchiere di vino di Harlow quando muove la mano per mimare la distruzione totale. «Una specie di mucca pazza o influenza suina. Magari qualche malattia degli uccelli.» «La rabbia» dice Mia annuendo lentamente con aria ubriaca. «No, non la rabbia» dice lui scuotendo la testa. «Qualcosa che ancora non conosciamo.» «Sei proprio un raggio di sole.» London gli dà un colpetto sulla spalla e lui si volta a guardarla.
«È un dato di fatto» dice lui. «Quei cazzo di polli saranno la nostra rovina.» Lola fa il gesto di spararsi in testa con le dita e finge di svenire su di me, contorcendosi mentre mima la morte. I suoi capelli sfiorano il mio braccio e solleticano la pelle nuda sotto la manica corta della maglietta e per la prima volta non reprimo la voglia che ho di toccarli. Le poggio la mano aperta sulla testa e la faccio scorrere verso il basso, trascinando le dita tra i suoi capelli. Lei alza la testa e mi guarda. «Mi sa che Oliver è ubriaco» annuncia biascicando, ma a quanto pare sono l’unico a sentirla. «Perché dici così?» le chiedo. Il sorriso che le rivolgo è un gesto inconscio, qualcosa di istintivo dovuto alla sua vicinanza. «Perché mi stai toccando» dice lei a voce più bassa. Mi faccio leggermente indietro per scrutarle meglio il viso. «Ma io ti tocco un sacco di volte.» Lei scuote la testa lentamente strusciandola contro il mio braccio e infine si getta all’indietro poggiandosi allo schienale. «Come amico. Questo era come un innamorato.» Il sangue mi diventa mercurio. Se solo sapesse. «Davvero?» «Mmm.» Ha l’aria stanca. Le palpebre pesanti reclamano il sonno. «Scusami allora, Lola Love» dico mentre le sposto i capelli dalla fronte. Lei scuote la testa con enfasi da una parte all’altra. «Non scusarti. Tu sei il mio eroe.» Scoppio a ridere, ma lei si rimette dritta con un movimento improvviso e dice: «Non sto scherzando. Cosa farei adesso se non ci fossi tu?» Indica Harlow. «Leiè sposata.» Poi indica Mia. «Anche lei lo è.» Introducendosi nella conversazione London dice: «Io non lo sono.» «No» dice Lola facendole un sorriso enorme e ubriaco. «Ma tu sei sempre sulla tavola da surf. O impegnata a fare la bartender. O a rifiutare gli uomini.» Joe annuisce e London gli dà uno schiaffetto scherzoso sul petto.
«Quindi, Oliver è il mio eroe» dice Lola girandosi verso di me. «La mia roccia. La mia àncora di salvezza.» Aggrotta le sopracciglia. «Il mio parafulmine?» «Un orecchio amico» sussurro. «Giusto» scatta lei. «Quello.» Poi abbassa la voce e si avvicina a me. Così vicino che il mio cuore inizia a correre all’impazzata e mi stringe la gola. «Non lasciarmi mai.» «Mai» le dico. Cazzo. Non potrei mai. Vorrei stringerla e portarla in giro tra le mie braccia per proteggerla da tutte le persone ipocrite e avare che sarà costretta a incontrare. «Mai» dice lei sventolandomi un dito minaccioso davanti alla faccia. Mi accosto di più e le mordo la punta del dito. I suoi occhi si spalancano. «Mai» dico con il suo dito tra le labbra e cazzo se non avrei voglia di sporgermi di più e mordicchiarle anche le labbra.
3 Lola Di solito sono uno zombie prima del caffè, specialmente dopo una nottata a base di shot, festeggiamenti e chissà che altro. Non mi ricordo nemmeno di aver percorso il tragitto a piedi dal bar a casa, quindi quasi non credo ai miei occhi quando alle sette del mattino trovo Oliver addormentato sul mio divano. È spaparanzato in modo scomposto, così alto e spigoloso com’è. Un piede è appoggiato sul pavimento, l’altro sporge dal bordo del divano. La camicia si è alzata scoprendogli le costole e lascia alla vista il ventre piatto attraversato da una striscia di peluria scura. Una gamba sola, le braccia distorte e il collo piegato in una posizione che lo farà svegliare tutto indolenzito... È qui, per davvero, ed è stupendo. Non è la prima volta che Oliver passa la notte nel mio appartamento, visto che si trova a pochi isolati dal suo negozio. È per questo che gli abbiamo dato un mazzo di chiavi: in caso servisse a una di noi per poter entrare, o magari per fargli aggiustare un rubinetto che perde oppure per potersi fare un panino al volo nell’ora di pausa. Negli otto mesi trascorsi da quando lo conosco Oliver ha dormito qui due volte: una volta perché aveva fatto talmente tardi la vigilia dell’inaugurazione del negozio che
era riuscito a malapena ad arrivare a piedi a casa nostra, figuriamoci quindi a prendere la macchina per arrivare dalle sue parti. Ma quando mi sono alzata lui era già andato via. Un’altra invece perché eravamo usciti dopo la chiusura del negozio ed eravamo troppo ubriachi per metterci alla guida. Ma quella volta era rimasta a dormire tutta la banda e c’erano corpi ammassati su ogni superficie morbida a disposizione. London si è già alzata ed è uscita – a fare surf, probabilmente – e non avevo mai avuto il piacere di svegliarmi e trovarlo qui, da solo. Devo essere sincera, mi faccio un po’ paura a starmene qui a guardarlo mentre dorme – e farò di tutto per mortificarmene, più tardi – ma in questo momento adoro che sia lui la prima cosa che vedo appena alzata. Una vera delizia. So che è solo una questione di tempo prima che lo stress dovuto all’apertura del negozio diminuisca e Oliver cominci a concentrarsi su altri aspetti della vita... come ad esempio uscire con le ragazze. Tipo Hard Rock Allison. Dio solo sa quante ragazze gironzolano nel negozio con la speranza che il bel proprietario le noti. L’idea non mi va giù, ma so che prima o poi succederà. Anche io ho visto la carriera annullare qualsiasi distrazione, e tutti i viaggi fatti ultimamente mi hanno permesso di mantenere la testa sotto la sabbia e non pensare a quanto lui mi piaccia davvero. Mi hanno permesso di accontentarmi di qualsiasi cosa potessi prendere.
Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto?
Scarica Full Version libri