Stammi lontana ma non troppo (bickering love vol 1)

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STAMMI LONTANA

(…ma non troppo)

Battibecchi e scaramucce non mancano tra Vanessa e Alex. Non riescono proprio ad andare d’accordo quei due. Lei una ragazza solare, responsabile, con la battuta sempre pronta, che non si da mai per vinta. Affronta la vita di petto, seguendo il proprio istinto. Lui, un ragazzo taciturno, a volte lunatico, con un passato difficile. Per una serie di vicissitudini, si scontreranno spesso. Vanessa cercherà in tutti i modi di sedurre il bel tenebroso, ma lui non sembra voler cedere. Non è molto felice di averla tra i piedi. Tutto quest’odio nasconde forse un amore? Non resta che scoprirlo.


Sommario

Non oggi Di male in peggio Loch Il piano Luna piena Maledetto ponte tibetano Allucinazioni Dov’ è il mio maggiolino? Maiali Alex Nessie Il mio eroe Alex Nessie Vecchiette Malefiche Chiarimenti Mezze verità Possesso Stai vicino a me Una serata perfetta


Amore Non è finita Alex Nessie Coccole Compleanno Alex Ringraziamenti

Non oggi Magari qualcosa, una moneta che cade, un piccolo braccialetto che si impiglia alla maglia di qualcuno, uno scontrino che scivola via, cambia il destino di una persona. E quella persona, per un piccolo, banalissimo gesto, non farà più le stesse cose che avrebbe fatto invece se quel gesto non si fosse verificato. E la sua vita prende un altro binario. Magari per sempre. Magari per un po’ soltanto. Chissà. (Stefano Benni)

‹‹No, no non mi abbandonare proprio ora! Stai con me un altro po’, ti prego. Siamo stati insieme per così tanto tempo, non puoi lasciarmi proprio oggi, è il giorno più importante della mia vita! Ti prometto che d’ora in poi ti tratterò bene. Lo giuro.›› Incrocio le dita della mano sinistra mentre ruoto la mano destra sperando in un miracolo. ‹‹Che tu sia maledetto.›› Impreco alla fine esasperata.


‹‹Non puoi mollarmi ti prego, cosa ho sbagliato con te? Perché ti comporti così? Guarda arrivo anche a supplicarti, ma non lasciare››. Riprovo, ma non vuole sentire ragioni. ‹‹Brutto maggiolino, ingrato che non sei altro, dopo tutti questi chilometri insieme mi pianti così?›› Le minacce non servono a molto, così provo con l’adulazione e le promesse. Forse ci vuole un tocco più dolce. ‹‹Ti prometto che mi prenderò cura di te. Cambierò l’olio, controllerò la pressione delle gomme e tutte quelle spie luminose che ogni tanto fai accendere! Farò tutto quello che serve per fare di te, una macchina degna di rispetto. Ti prometto che da oggi in poi non mi limiterò a solo mettere l’acqua per i tergicristalli. Mi prenderò veramente cura di te. Ma devi ripartire. Ora!›› Provo ad inserire la chiave di nuovo, prego tutti i santi in paradiso, prendo un bel respiro, chiudo gli occhi e provo ad avviarla. Forse, forse riparte. Si, dai, sento qualche rumore. È buon segno, no? Riprovo. Giro di nuovo la chiave, il motore mostra segni di vita, sembra che stia per ripartire, ma sul più bello, si spegne. ‹‹Maledetto maggiolino!›› esclamo battendo la mano sul volante. Sono demoralizzata, tra tutti i giorni dell’anno perché proprio oggi? Quando ho intuito che questi sarebbero stati i suoi ultimi borbottii, ho accostato il più possibile, fino a raggiungere il bordo della carreggiata, in modo da non intralciare il traffico. Fortunatamente sono riuscita a mettermi in una posizione sicura, ma le macchine che sfrecciano accanto al mio ex fidato maggiolino continuano a strombazzare quando mi passano accanto. Più di questo non posso fare. Vedere una ragazza, in una macchina ferma con la testa appoggiata al clacson non impietosisce più nessuno ormai. Non è mica colpa mia se non riparte. Cosa dovrei fare secondo loro spingerla? Vanno tutti così di fretta! Non si è fermato nessuno per darmi una mano. È proprio vero che non ci sono più gli uomini di una volta. Forse potrei scendere e cercare di capire quale sia il problema, sono una donna moderna posso fare tutto. Non può essere così complicato. Forse potrei, dovrei…


Dal momento che la macchina non dà segni di vita di alcun genere, non riesco a far funzionare l’aria condizionata questa situazione sta diventando paradossale, apro il finestrino, magari facendo circolare un po’ d’aria la situazione migliora. Okay no, direi proprio di no. Non è stata una delle mie idee migliori. Entrano masse d’aria calda, che non fanno altro che farmi boccheggiare, come un pesce fuori dall’acqua. Ci saranno quarantacinque gradi fuori, un sole cocente, e un caldo soffocante già alle prime ore della mattina, il mio abbigliamento poi, non aiuta. Indosso un vestito classico, e le scarpe con il tacco, ho un appuntamento per un importante colloquio di lavoro. Non posso presentarmi in short e canotta e non vorrei arrivarci con i vestiti sgualciti. È fondamentale fare una buona impressione. Osservo per un attimo il mio riflesso allo specchietto, nonostante il caldo, il trucco sembra reggere, ho messo giusto un filo di correttore per coprire le occhiaie e un leggero tratto di matita per mettere in risalto i miei occhi verdi, legando i capelli in una coda. Per ora tutto sembra al proprio posto. Rimanere in auto non ha senso. Decido di uscire da qui. Mentre le macchine continuano a sfrecciare accanto alla mia auto ferma, apro lo sportello e scendo ed è proprio in questo istante passa un tir mastodontico, a tutta velocità. Tempismo perfetto! Lo spostamento d’aria mi sposta indietro, e mi ritrovo spalmata sulla fiancata dell’auto. Bene. Perfetto. Ottimo. Non importa, mi tiro su mi rimetto in ordine, e guardando la mia macchina con ostilità, apro il cofano. Lo aggancio al ferretto in modo che non si richiuda, faccio un passo indietro e mi porto le mani ai fianchi. Ecco. E adesso? Osservando questo ammasso di fili e cavi, dovrei capire quale sia il problema? La meccanica non è proprio il mio forte. Generalmente nei film, quando vedono una ragazza ferma al lato della strada, con il cofano aperto qualcuno si ferma sempre a soccorrerla, ma evidentemente oggi non è proprio il mio giorno fortunato. Dopo dieci minuti, non è ancora successo niente, non si è fermato nessuno. Qualcuno ha rallentato, lanciandomi uno sguardo compassionevole, e ha tirato dritto. Così non vado da nessuna parte, decido di intervenire. Non riesco a stare con le mani in mano. Provo a fermare qualcuno. Sento in lontananza il rombo di una moto così decido di sfidare la sorte. Fermare una due ruote dovrebbe essere più facile e meno pericoloso rispetto ad una macchina. Mi posiziono accanto al mio maggiolino e quando scorgo una moto a


pochi metri da me, sollevo il braccio per cercare di attirare l’attenzione del motociclista e faccio un altro piccolissimo passo verso il centro della carreggiata. Il centauro, colto alla sprovvista scarta all’improvviso verso sinistra, rischiando di essere travolto da una macchina sbucata dall’altra corsia. Il motociclista, e le macchine che sopraggiungono cominciano ad inchiodare. Si sente il rumore delle ruote che scivolano lungo l’asfalto. Chiudo gli occhi aspettando il classico rumore del tamponamento. Continuo a tenere gli occhi chiusi, e prego mentalmente che non succeda nulla di grave. Non sento nulla. È buon segno no? Riapro gli occhi, uno alla volta, molto lentamente. Solo quando trovo il coraggio per aprirli entrambi, mi accorgo che fortunatamente non c’è stato nessun incidente. Posso tornare a respirare. Osservo la scena intorno a me e noto che il traffico è fermo, è tutto bloccato. Cazzo, questa volta l’ho fatta grossa. Mi sento leggermente osservata. Dopo un attimo di calma apparente, il centauro, che è riuscito miracolosamente a rimanere in piedi, osserva la scena intorno a se abbassa il cavalletto della moto per poi raggiungermi a passo spedito. Forse è un po’ arrabbiato. Cerco di non guardarlo mentre avanza, distolgo lo sguardo. Più si avvicina, più vorrei avere il potere di farmi sempre più piccola, fino a sparire. Toglie il casco con gesti nervosi, avvicinandosi sempre di più. Wow, che figo! E io che stavo per ucciderlo. Cado in un brodo di giuggiole. Quando è pochi passi da me, posso ammirare la sua bellezza. Ha i capelli color castano chiaro, medio lunghi, non così lunghi da poterli legare, ma abbastanza da dargli quell’effetto spettinato che mi piace tanto, sembrano mesciati, ha delle ciocche più chiare. Non riesco a vedere il colore degli occhi, ma ha un viso bellissimo, il suo incedere è elegante, deciso. Oh, oh, non riesco a vedere il colore dei suoi occhi, ma anche da qui posso dire che quello è uno sguardo arrabbiato, molto arrabbiato. ‹‹Ma sei pazza, hai tendenze suicide? Stavo per metterti sotto›› Mi urla contro. Che bella voce profonda e sexy, cosa sta dicendo? Vedo che muove le labbra. Belle labbra, carnose, chissà se sono morbide da baciare?


‹‹Ehi dico a te, rispondimi! Sei ferita?›› chiede schioccando le dita davanti al mio viso. Dal momento che mi sono letteralmente incantata prova a sbloccarmi, toccandomi la spalla. Quando sento la sua mano su di me, mi sveglio dal mio sogno ad occhi aperti. ‹‹Hai i colpi di sole?›› Forse era meglio rimanere in silenzio ‹‹Cosa?›› Chiede leggermente confuso. I suoi occhi mi studiano, forse sta provando a decifrare il mio comportamento. Torno in me. Gli ho appena chiesto se ha dei colpi di sole? Eppure non mi sembra di aver battuto la testa. Vanessa ripigliati. ‹‹Come scusa, cosa mi stavi dicendo?›› ‹‹Non ci posso credere, le incontro tutte io le pazze›› borbotta scrollando la testa ‹‹Ehi non sono pazza, cercavo aiuto›› affermo risentita. ‹‹Tu l’aiuto devi cercarlo da uno psicologo, non per strada›› Che fa offende? ‹‹Piano con le parole, cercavo aiuto perché mi si è fermata la macchina, poi non mi sembra di aver fatto nulla di male›› ‹‹Cosa? Non hai fatto niente di male? Ma ti sei guardata intorno?›› Osservo la scena intorno a me, per la prima volta da quando si è tolto il casco. Ero rimasta talmente affascinata dalla sua bellezza che non ho avuto occhi per altro. Okay, analizziamo la situazione. Cosa avrò combinato mai? Giro lentamente su me stessa, per esaminare bene quello che mi circonda. O mio Dio, ho paralizzato il traffico nell’ora di punta sulla via principale. Cazzo. Ora come ne esco? Pensa Vanessa, pensa… ‹‹Non è colpa mia›› Ci tengo a precisare ‹‹Ah no?›› Esclama inarcando un sopracciglio, come se volesse sfidarmi a provare il contrario. ‹‹No, è la tua moto che blocca il traffico, non la mia.›› Mi guarda a bocca aperta. Provare a difendersi non è reato. Tutti hanno diritto ad una difesa. All’improvviso, senza dire una parola si volta, dirigendosi verso la moto. Sono sicura che stia per ripartire per allontanarsi il più possibile dalla sottoscritta. La pazza


della strada! Invece aggancia il casco allo specchietto, toglie il cavalletto e sposta la moto davanti alla mia macchina, in modo da liberare la carreggiata, e far defluire il traffico. Torna verso il mio maggiolino senza guardarmi. Si china sull’auto, e tocca qualche filo. ‹‹Cos’ha quest’ auto che ha rischiato di farci uccidere?›› mi chiede scocciato. ‹‹Non lo so, non sono un meccanico›› Si sporge dal cofano, osservandomi. Scrolla la testa, poi torna ad analizzare qualunque cosa ci sia lì dentro. ‹‹Cosa gli è successo? Come si è fermata? Ha fatto qualche rumore?›› Mi chiede annoiato, come se stesse parlando con una bambina. ‹‹Ha iniziato a perdere velocità e sobbalzare, poi si è fermata. Non è più ripartita›› ‹‹Okay, senti al momento non ho gli attrezzi per capire cos’ha…›› Sorrido, che scusa patetica. D'altronde è un uomo, non ammetterà mai che non ci capisce un piffero. ‹‹Senti se non sai dove mettere le mani, lo puoi dire tranquillamente›› dico canzonandolo. È stato gentile ho apprezzato il fatto che si sia fermato ad aiutarmi, anche se leggermente costretto, ma non è colpa mia se non ci capisco nulla di motori. Non ci sto a farmi trattare come una donnicciola incompetente. Anche se effettivamente non ci capisco un h, di motori. Mi osserva per alcuni secondi. Si avvicina posizionandosi davanti a me, i nostri nasi quasi si sfiorano, mi osserva dritto negli occhi. ‹‹Ti do un consiglio, non dire mai ad un uomo che non sa dove mettere le mani›› dice con voce roca senza distogliere lo sguardo dal mio. Si allontana di qualche passo. Posso tornare a respirare. Avevo smesso per qualche secondo. Sa benissimo che effetto fa al genere femminile e si diverte a giocare con la sua bella presenza. Sbruffone. Però, in tutto questo, c’è un lato positivo. Ho scoperto il colore dei suoi occhi: sono nocciola. Tira fuori qualcosa dal portafoglio, mettendomi un biglietto da visita, davanti gli occhi.


‹‹Chiama questo numero. Verranno in tuo soccorso››. Visto che non reagisco in alcun modo, prende la mia mano, ci mette dentro il biglietto da visita, e poi me la richiude formando un pugno. Mi guarda un ultima volta e se ne va. Quando ormai è in sella, in qualche modo mi riprendo. ‹‹Ehi scusa potresti darmi un passaggio? Sono in ritardo›› Si volta, e mi osserva sorridendo. ‹‹Mi dispiace per colpa tua sono in ritardo anch’io››. Prende, accende la moto, e parte alzando la mano a mo’ di saluto, lasciandomi lì come una cretina. Con il numero dell’officina in mano, e la macchina rotta. Stronzo.

Di male in peggio È proprio quando stai per buttarti che la vita manda qualcuno a salvarti. Matteo Marchioron

Compongo il numero dell’autofficina. ‹‹Officina Motors buongiorno, dica?›› Risponde una voce annoiata. ‹‹Si buongiorno, ho bisogno del vostro aiuto, la mia auto è in panne lungo la strada, mi servirebbe un carroattrezzi›› ‹‹Che genere di problema ha?›› Come? Scosto il telefono dall’orecchio. Lo guardo per un attimo, è uno scherzo vero? Possibile che vogliano sapere tutti la stessa cosa da me? D'altronde il numero me l’ha dato quel ragazzo, dovevo aspettarmelo.


‹‹Non so quale sia il problema, so solo che si è fermata e non vuole ripartire.›› Tento di spiegare al meccanico. Il signore dall’altra parte sospira. ‹‹Okay. Quindi non mi può dare altri dettagli?›› Sono ad un soffio dal perdere il controllo, ma decido di mantenere la calma. ‹‹No, non posso›› Sbuffa dall’altra parte del telefono. Mi sento quasi in colpa. ‹‹Okay, saremo lì tra circa due ore›› Forse non ho capito bene. ‹‹Come? Due ore? Ma è tantissimo. Si rende conto del caldo che fa? Sono in mezzo alla strada, sotto al sole cocente, secondo lei dovrei semplicemente… aspettare?›› domando incredula ‹‹Se vuole può incamminarsi a piedi›› Detto ciò, chiude la telefonata. Rimango attonita, ad ascoltare il silenzio dall’altra parte. Fa anche lo spiritoso.

Dal momento che devo ingannare l’attesa, decido di telefonare alla sede della società dove dovevo recarmi per il colloquio, per avvisare del ritardo. Prendo il telefono e scorro i numeri sulla rubrica. Fortunatamente avevo salvato il numero dell’ufficio. Compongo il numero e aspetto. Mi risponde la segretaria al terzo squillo. Chiedo di parlare con il responsabile delle risorse umane. Dopo aver ascoltato per ben due volte la canzoncina dell’attesa, me lo passa. ‹‹Risorse umane, pronto?›› ‹‹Si buongiorno sono Vanessa Andreini, dovevamo incontrarci oggi per un colloquio di lavoro alle nove e trenta, ma la mia macchina è in panne, quindi arriverò in ritardo›› ‹‹Va bene non si preoccupi›› Finalmente una buona notizia. C’è ancora qualcuno tollerante in questo mondo. Tiro un sospiro di sollievo. ‹‹Grazie, lei è veramente comprensivo, significa molto per me, le assicuro che non è una scusa, la mia auto è veramente in panne, in mezzo alla strada›› L’uomo dall’altra parte del telefono sghignazza. Cosa ho detto di divertente? ‹‹Forse non ci siamo capiti signorina. Non si disturbi a tornare per il colloquio›› ‹‹Come?›› Chiedo terrorizzata.


‹‹Si ha capito bene›› Mi conferma. Lo sento ancora ridacchiare dall’altra parte del telefono ‹‹Mah, non è colpa mia, se la macchina ha un guasto. Telefonicamente mi avete garantito che il mio profilo è in linea con le vostre necessità›› ‹‹Signorina si svegli, siamo in piena crisi economica, lo sa quanti colloqui ho fissato solo per oggi?›› ‹‹No›› Mormoro abbattuta. ‹‹Venti signorina. Se non può venire, gli altri diciannove candidati saranno sicuramente più motivati di lei e saranno felici di prendere il suo posto. Arrivederci›› Riattacca. ‹‹Ma io sono motivata›› dico, anche se so, che nessuno mi sta ascoltando dall’altra parte. Era l’unico colloquio che ero riuscita a fissare da quando mi sono laureata. Perfetto. Questa giornata va di male in peggio.

Mi sono seduta accanto alla ruota della macchina. Ormai preservare un aspetto formale mi sembra inutile, dal momento che non devo fare nessun colloquio. Mi sono tolta la giacca, e ho raccolto i capelli sulla nuca con delle forcine che ho sempre in borsa, per cercare di alleviare un po’ la sensazione di caldo soffocante. Potrei aspettare nel maggiolino, ma con queste temperature ho paura di diventare carne lessa in scatola. Almeno qui posso sfruttare l’ombra dell’auto. Aspetto. Dopo un’ora e mezza arriva il carroattrezzi. Lo vedo accostare, ferma il mezzo davanti alla mia auto e scende. Dovrei alzarmi e andargli in contro, ma questo caldo mi ha tolto ogni brandello di forza, così rimango seduta. Mi trova esattamente come mi sono sistemata un’ora fa. Rivolgo lo sguardo verso l’alto, proteggendomi gli occhi con una mano sulla fronte, dal momento che ho il sole contro. Scende un uomo sui trentacinque anni, paffuto con una pancia da birra, che sta pacatamente mangiando un panino farcito lo afferra con due mani, addentandolo con voracità.


‹‹È lei che ha chiamato stamattina per un auto in panne?›› chiede con la bocca piena, tra un boccone e l’altro. È un incubo non è possibile. ‹‹Secondo lei?›› ‹‹Potrebbe essere›› dice scrollando le spalle, mentre da un altro morso al panino. ‹‹Mi scusi, ma sono seduta a terra, sotto il sole, accanto ad una macchina con il cofano aperto, e lei mi chiede se ho telefonato io per un auto in panne?›› ‹‹Non ne ero sicuro›› ‹‹Si, sono io.›› Ci rinuncio. ‹‹Oh okay. Allora finisco di mangiare il panino, poi provvedo per il traino. Sa è quasi mezzogiorno, avverto un certo languorino›› ‹‹No, ma faccia pure con comodo›› dico sarcasticamente ‹‹Grazie, lei è molto gentile››. Si siede dietro al carroattrezzi e finisce di mangiare. Non ci credo. Lo guardo meravigliata. Cosa ho fatto di male nelle mie vite precedenti? Dopo dieci minuti, finalmente il meccanico ha finito il panino, ed è pronto a fare il suo lavoro. Saliamo sul mezzo. ‹‹Si tenga forte signorina si parte››. ‹‹Non c’è limite al peggio›› Mormoro ‹‹Come dice?›› ‹‹Niente, quanto ci vuole per raggiungere la sua officina?›› ‹‹Ah tranquilla dieci minuti›› Lo uccido. ‹‹Come scusi? E perché diavolo mi ha fatto aspettare due ore sotto il sole, se era qui vicino›› ‹‹Ha deciso lei di aspettare. Le ho detto di venire a piedi.›› ‹‹Ma non mi ha detto che era così vicino››


‹‹Credevo lo sapesse. È stata lei a telefonare, pensavo conoscesse l’indirizzo.›› Dice come se io fossi stupida. Calma l’omicidio non è ammissibile. Decido di rimanere in silenzio, per non aggravare la situazione.

Dopo soli dieci minuti, siamo realmente arrivati nel piazzale dell’autofficina. Spegne il motore e scende. Lo imito, ma dal momento che indosso delle scarpe con il tacco, incontro qualche difficoltà. Scendo da questo dannato mezzo ma la ghiaia presente nello spiazzo non facilita il mio atterraggio. Questo non fa che peggiorare il mio umore, oggi non me ne va bene una. Scendendo sbatto la portiera. Mi porto di fianco al carroattrezzi e osservo le manovre di scarico del mio maggiolino traditore. Lo sto guardando con ostilità. È tutta colpa sua, maledetto. Se non mi avesse tradito, ora potrei avere un ottimo impego. Malefico. Finalmente il mio maggiolino è a terra. Il meccanico senza dire nulla, si dirige all’interno dell’autofficina. ‹‹Ehi aspetti, dove sta andando?›› ‹‹Dentro, fa un caldo che si muore lì fuori›› Sul serio? Non me ne sono accorta mentre l’aspettavo per due ore sotto il sole. Decido di seguirlo, anche se non è facile con questi tacchi, riesco a raggiungerlo.

In qualche modo riesco anche io ad arrivare l’interno. Finalmente un po’ di fresco. Stare sotto il sole per tutto quel tempo mi ha disidratato e mi ha fatto venir sete. Provo a chiedergli un bicchiere d’acqua. ‹‹Senta non ha per caso un bicchiere d’acqua da darmi, ho una sete tremenda›› chiedo educatamente al meccanico. ‹‹Maaaaaa porta l’acqua›› Grida. Spalanco gli occhi, esterrefatta. O mio Dio. Ma dove sono capitata. Ha appena urlato alla madre di portargli l’acqua!!! Dopo qualche secondo esce una vecchina con un vassoio in mano con sopra un bicchiere e una bottiglia d’acqua. Si dirige verso il figlio, questo mi fa pensare che questa cosa avvenga abitualmente.


‹‹Non è per me Ma, è per la signorina›› dice scocciato il meccanico. La signora senza fare una piega per i modi sgarbati del figlio, si gira obbediente verso me, porgendomi l’acqua. Mi sembra di essere in una scena di un Film. Non saprei dirvi a quale personaggio somiglia il meccanico, se a Cettola Qualunque o Alan di “Una notte da leoni” ma il genere è quello. Non resisto. ‹‹Signora non è necessario tanto disturbo, venga appoggi il vassoio qui›› le dico indicando il banco da lavoro lì accanto. ‹‹Mi servo da sola l’acqua, grazie mille, è stata veramente gentile››. Regalandomi un timido sorriso, veloce e silenziosa così com’è apparsa scompare dietro la porta. Ancora incredula la osservo andare via, mentre verso l’acqua nel bicchiere. Bevo. Almeno non sono costretta a rivolgere la parola ad “Alan”. Mentre mi disseto, osservo l’ambiente circostante. Quest’officina rappresenta il classico cliché. Calendari di donne nude ovunque; sembra vogliano essere sicuri di ricordare come sia fatta una donna, ce n’è uno in ogni parete. Forse c’è una ragione, “Alan” non deve averne viste molte. Mentre sto contando quanti calendari ci sono in giro, ormai sono curiosa, non ne avevo mai visti così tanti, vedo che c’è un ragazzo che sta lavorando ad una macchina. È di spalle, piegato un po’ in avanti, ha un bel fisico e tiene qualcosa in mano, credo sia una chiave inglese, ma potrebbe essere benissimo qualcos’altro, non ci capisco nulla. Niente male il ragazzo, altro che “Alan” qui. Sarà 1.80, spalle ampie, porta una tuta da meccanico tirata giù fino alla vita, ha le braccia scoperte, anche da lontano si vede che sono piene di tatuaggi, alcuni sono colorati. Non mi piacciono molto quelli colorati, ma penso che ci si possa passare sopra, con quelle braccia che si ritrova. Sto ancora sbavando, quando lui cambia posizione e si alza un po’. Adesso posso vedergli la parte dietro della nuca e un pezzo di profilo. Un attimo, io quei capelli li ho già visti. Senza aspettare ne tre ne quattro, cammino spedita verso lo stronzo. Arrivata alle sue spalle, facendo un casino terribile con questi tacchi, che ticchettavano per tutta l’officina, neanche si volta. Non mi ha sentito? Possibile?


Picchietto insistentemente con il dito sulla spalla. Lui gira solo il volto, rivolgendomi un’occhiata di sufficienza. Mi ero dimenticata quanto fosse bello, quel ciuffo che cade sulla fronte è una tentazione troppo grande, fa venir voglia di spettinarlo. Non incantarti. Riprenditi. Ricordati che sei arrabbiata con lui. ‹‹Oh guarda chi si vede, la pazza››. Molto arrabbiata! Corrugo la fronte ‹‹Io non sono pazza›› chiarisco per l’ennesima volta ‹‹Ti sei gettata in mezzo la strada›› Dice annoiato, senza interrompere il suo lavoro. ‹‹Non esagerare›› Dico allargando le braccia ‹‹Chiedevo aiuto, non mi sono buttata in mezzo alla strada, come dici te. Comunque è una strana coincidenza il fatto che tu lavori qui. Vero?›› Prende il pezzo che ha appena smontato dalla macchina e lo pulisce con uno strofinaccio, che era infilato nella tasca posteriore della tuta da lavoro. Le sua mani sono grandi, e sporche di grasso, ma ben fatte. ‹‹Non la chiamerei coincidenza, ti ho dato io il biglietto da visita›› A bene. ‹‹E perché diavolo non mi hai dato un passaggio allora?›› domando esasperata. ‹‹Perché non ero tenuto a farlo›› ‹‹E tu fai solo quello che devi?›› ‹‹Certo, soprattutto se si tratta di sconosciuti›› ‹‹Ma io sono una ragazza›› Esclamo ‹‹Si questo lo vedo›› dice osservandomi, senza troppo interesse ‹‹Se lo vedi, dovresti mostrarti gentile nei miei confronti. Ero in difficoltà, avevi il dovere di soccorrermi›› ‹‹L’ho fatto ti ho dato il biglietto da visita›› Lo fulmino con lo sguardo. Uno di quegli sguardi che solo una donna è capace di fare. Uno di quelli che può uccidere, se fatto bene. Effettivamente se non mi avesse dato quel numero, probabilmente ora sarei nei pasticci.


‹‹Secondo te, questo basta? Non potevi suggerire al tuo collega di venirmi a prendere prima, e non dopo due ore?›› ‹‹Non è il mio collega, è il mio capo›› ‹‹Beh, quello che è, non fa differenza, potevi sollecitarlo.›› ‹‹Chi lui?›› Mi chiede scettico, spostando lo sguardo alle mie spalle. Mi volto, e “Alan” sta leggendo il giornale comodamente seduto dietro il banco da lavoro. Niente di impegnativo tranquilli, è solo la gazzetta dello sport, non il sole 24 ore. Sospiro, perché sembra aver sempre ragione? ‹‹Potevi provarci almeno, o meglio ancora, potevi darmi un passaggio direttamente tu, questa mattina, e portarmi fino qui.›› ‹‹Si potevo›› dice rimettendo il pezzo appena pulito a posto ‹‹Si potevo›› lo scimmiotto. Non la prende troppo bene ‹‹Per quando ti serve la macchina?›› Deglutisco rumorosamente. Forse ho esagerato, devo tenermelo buono. “Alan” non mi sembra in grado di riparare nulla. ‹‹Okay, calmiamoci tutti e due.›› ‹‹Io sono calmo›› ‹‹Va bene, mi calmo solo io allora›› dico sospirando. ‹‹Senti per colpa tua, stamattina, ho perso un importante colloquio di lavoro…›› ‹‹Perché sarebbe colpa mia?›› ‹‹Perché non mi hai dato un passaggio›› È ovvio. ‹‹Quindi, non è colpa tua che non hai fatto la manutenzione alla macchina, o della macchina che si è rotta. Ma la colpa, è del povero disgraziato che hai quasi ucciso.›› ‹‹Esatto.›› Logico. ‹‹Non sono dalla tua stessa opinione›› Afferma lui. Continuo seguendo il mio ragionamento ‹‹Quindi per sdebitarti potresti ripararmi l’auto oggi stesso››. Si gira, guarda me, guarda il maggiolino, guarda Alan, e di nuovo me.


‹‹Okay senti, mettiamo bene in chiaro una cosa. Io, se non l’hai capito, lavoro praticamente da solo qui, e ho altre due macchine da riparare, ma anche se così non fosse, non lascerei mai tutto, per assecondare i capricci di una ragazzina viziata che pretende tutto e subito.›› Riprende a lavorare con gesti stizzosi. Fortuna che era calmo. Io non sono una ragazzina viziata. L’automobile mi serve. Abito in periferia e senza macchina non posso fare nulla. Inoltre se mi chiamano per dei colloqui come faccio senza un mezzo? Non abito in città, non posso usare i trasporti pubblici. Non lo capisco, lo studio per qualche secondo. Osservare quelle braccia che lavorano è un vero spettacolo. Vedere quei muscoli tendersi, guizzare da una parte all’altra, scatenano in me pensieri peccaminosi. Immagino come sarebbe averle intorno a me, ed essere stretta dal suo abbraccio, perdendomi in stupide e romantiche fantasie. Riprende a parlare, interrompendo il mio sogno ad occhi aperti. ‹‹La tua macchina sarà pronta fra tre o quattro settimane. Non prima.›› ‹‹Mah…›› ‹‹Ti consiglio di non dire altro, le settimane potrebbero diventare cinque›› Sospiro sconfitta ‹‹Almeno potresti darmi un’auto sostitutiva›› Provo a limitare i danni ‹‹Si certo. Ti sembriamo quel tipo di officina?›› Non dico tanto, ma almeno una cosa potrebbe andare per il verso giusto? Giro i tacchi e me ne vado. Forse l’altro meccanico, dal momento che è il titolare, sarà disposto ad aiutarmi.

Loch Sono essere mitologici, mezzi uomini e mezzi pirla


Luciana Littizzetto

Il rumore dei miei tacchi rimbomba, di nuovo, per tutto lo stabile, fin quando non raggiungo Alan. Ovviamente non mi degna di uno sguardo, è troppo concentrato sulla lettura. ‹‹Ehm ehm…›› Solleva la testa, ma non dice una parola. L’attenzione al cliente dovrebbe essere migliorata! ‹‹Scusi se la disturbo, il meccanico là in fondo›› dico indicandoglielo ‹‹Mi stava spiegando che per riparare la macchina, occorrono quattro settimane, potrebbe dargli uno sguardo lei e cercare di velocizzare un po’ i tempi?›› Riprende a leggere il giornale ignorandomi completamente, poi con le testa bassa senza degnarmi di particolare attenzione afferma: ‹‹Se Alex dice che occorrono quattro settimane, non posso aiutarla.›› Ah quindi si chiama Alex, interessante. Gli si addice mi ricorda un nome nordico, un po’ da vichingo, non so perché, peccato che sia un po’ troppo scontroso per i miei gusti. ‹‹Scusi, non vorrei essere insistente, ma non l’avete neanche guardata, magari è una stupidaggine.›› Mi risponde scocciato e si rivolge a me con sufficienza ‹‹Senta signorina, Alex è l’esperto. Mi affido a lui. Ora se vuole scusarci abbiamo del lavoro da fare. Se non le dispiace dovrebbe uscire, non può stare qui dentro›› Certo leggere la gazzetta è un lavoro impegnativo ‹‹E come me ne dovrei andare secondo lei? Abito ad un’ora da qui, e non ho la macchina›› ‹‹Non la può venire a prendere nessuno?›› Calma, respira. ‹‹Evidentemente no›› Sto provando a mantenere i nervi saldi, ma non è semplice ‹‹Non so come aiutarla.›› afferma scrollando le spalle ‹‹Non potete darmi neanche un mezzo in sostituzione?›› tento ancora ‹‹No signorina, l’unico che abbiamo è già occupato››. Perfetto.


Esco per un attimo, ho bisogno di un po’ d’aria. Fa ancora troppo caldo, ma non importa devo solo schiarirmi le idee. Passeggio aventi e indietro nel piazzale mentre provo ad organizzarmi. Posso provare a telefonare a mia madre, anche se prima di alcune ore, non potrà essere qui. Termina il turno alle diciotto ed è appena l’una. Intanto la chiamo per avvisarla. Non è detto che risponda. Non porta quasi mai il telefonino con se. Compongo il numero e aspetto. Al quinto squillo sto per rinunciare, quando sento la sua voce. ‹‹Si?›› ‹‹Ehi Mamma›› ‹‹Ciao tesoro, com’è andato il colloquio?›› ‹‹Non ci sono mai arrivata›› ‹‹Come mai?›› ‹‹Si è rotta la macchina lungo la strada.›› ‹‹Oh no, tu stai bene?›› ‹‹Si si tranquilla, non mi sono fatta nulla, solo che non parte più, ho dovuto chiamare il carroattrezzi›› C’è un lungo silenzio da parte di entrambe, sappiamo bene cosa vuol dire. ‹‹Ah! Quanto ci vuole per ripararla?›› ‹‹Intendi in tempistica, o in soldi?›› ‹‹Tutti e due›› ‹‹Dicono quattro settimane, per quanto riguarda i soldi non lo so ancora, non mi hanno fatto il preventivo. Sinceramente non ho ancora capito quale sia il guasto›› ‹‹Non ci voleva, questo mese siamo un po’ a corto›› ‹‹Lo so. Non posso neanche chiedere a Mario di farmi lavorare qualche sera in pizzeria, non ho l’auto per arrivarci. Però posso provare a chiedere alla vicina se gli serve ancora qualcuno per le pulizie di casa, come lo scorso anno››


‹‹Ma tu sei laureata, non voglio che ti metta a fare le pulizie›› Sempre il solito discorso. Mia madre teme che mettendomi a fare questi lavoretti saltuari, distolga tempo dalla ricerca di un lavoro vero e proprio, vanificando tutti i miei sforzi accademici. La capisco, lei in fondo ha abbandonato tutto quando era ad un passo dal suo sogno. Mio padre, se così si può definire, ci ha mollate, appena scoperta la mia esistenza. Lei aveva solo ventitré anni ed ha sempre fatto tutto il possibile per farmi crescere, non mi ha fatto mai mancare nulla. Ha chiesto aiuto ai nonni, solo in caso di necessità, è sempre stata lei a mantenermi a scuola, anche se con molti sacrifici. Appena sono stata abbastanza grande da poterla aiutare, mi sono trovata dei lavoretti saltuari, in modo da poter almeno contribuire. Fino all’università ce la siamo cavata abbastanza bene. La retta non è mai stata un problema grazie alle borse di studio che riuscivo ad ottenere. L’incognita maggiore erano i libri. I testi universitari costano moltissimo e solitamente per ogni esame, ne occorre più di uno. Nonostante i costi, mia madre ha sempre insistito affiche mi laureassi. Forse perché lei ha dovuto interrompere gli studi quando è rimasta incinta. Era una brillante studentessa di medicina, ma a pochi esami dalla fine, ha lasciato tutto per prendersi cura di me. Non ha mai parlato di mio padre, in casa non c’è neanche una sua fotografia, non so neanche a chi somiglio in realtà. Forse i miei occhi verdi sono una sua eredità, dal momento che mia madre li ha marroni; ma non potrei dirlo con certezza. Se dovessi incontrarlo per strada non lo riconoscerei. Il fatto di non averlo mai conosciuto però, fa sì che non mi manchi. Penso che sarebbe stato diverso se ci avesse lasciato dopo qualche anno, in quel modo avrei avvertito una sensazione di perdita, così no. Non si può perdere qualcuno che non hai mai conosciuto. ‹‹Cosa c’entra la laurea Mamma, se serve, si fa tutto. E a noi serve›› Sospira rassegnata. Ormai mi conosce quando mi metto in testa una cosa, è difficile farmi cambiare idea. ‹‹Dammi l’indirizzo dell’officina, così dopo ti vengo a prendere››. Gli detto l’indirizzo che trovo sul biglietto da visita, che mi ha dato Alex, poi chiudo la telefonata. Mi appoggio al muro dietro di me, lasciandomi scivolare lungo la parete. Rimango accucciata, con le mani tra i capelli. Questa proprio non ci voleva.


Contavo proprio su questo stage. Inizialmente lo stipendio non sarebbe stato un granché, ma c’erano ottime possibilità di inserimento. Questa spesa imprevista non facilita le cose. Dovrò rimandare la ricerca di un nuovo posto di lavoro, fin quando non sarò riuscita a riprendere la macchina, e pagare il conto del meccanico. ‹‹Non stare fuori con questo caldo. Tieni bevi, e mangia qualcosa›› Sollevo la testa, trovandomi davanti il bel meccanico. Allora è umano, ha avuto un po’ di pietà per me. ‹‹Grazie›› Mi porge una bottiglietta d’acqua fresca, che appoggio immediatamente sulla fronte e dietro il collo per darmi un po’ di sollievo. Appena si distrae, rigiro la merendina che mi ha dato tra le mani. Devo assicurarmi che non sia scaduta, non mi fido molto di questa strana coppia. Bene sembra a posto. La apro, do un morso e torno a volgere la mia attenzione al bell’imbusto. ‹‹Non ho altro posto dove andare, devo aspettare mia madre e il tuo boss non mi vuole attorno›› ‹‹Dai seguimi, se prometti di stare buona, puoi stare dentro›› Non sono mica una bambina! ‹‹Okay, però non parlarmi come se fossi una bambina››. Il suo viso lascia trapelare un certo scetticismo al riguardo. Si incammina verso l’interno. Non mi lascia altra scelta quindi lo seguo. Decido di togliermi i tacchi, e camminare a piedi nudi una volta dentro. Non ne posso più di queste scarpe! ‹‹Siediti lì›› Mi indica una stanza a sinistra. Sbircio all’interno, sembra un ufficio. Indicandomi la sedia davanti la scrivania, fa segno di accomodarmi. Mi fa entrare per prima, la porta è stretta, e lui non si sposta per farmi passare. Sono costretta a passargli a pochi centimetri. Al ragazzo piace giocare sporco. Passando lo fisso dritto negli occhi, e sorrido maliziosa, non sono stata io ad iniziare questo gioco, ma non mi tiro di certo indietro. Nonostante gli sia passata ad un soffio, non sono riuscita a capire che tipo di profumo porta. Ma è buono. Sa di pulito e non so, forse sandalo e pompelmo, strano, ma piacevole.


Una volta seduta, poggio le scarpe che ho ancora in mano, al lato della sedia, alzo lo sguardo, e sobbalzo. Me lo ritrovo praticamente davanti. Ha appoggiato le mani sui braccioli della sedia, e mi fissa dritto negli occhi. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Posso sentire il suo respiro su di me. Decido di stare al gioco e di sostenere il suo sguardo. Non mi faccio spaventare da lui. ‹‹Non ti muovere da qui, e non toccare nulla›› Prova ad intimorirmi, in tono serio. ‹‹Si, padrone›› Ribatto canzonandolo. Non ho resistito. Continua a fissarmi. Si alza, ed esce dall’ufficio, senza aggiungere altro. È passata solo mezz’ora da quando Alex mi ha lasciato in questo sgabuzzino, barra, ufficio mi sto annoiando da morire. Per un po’ ho curiosato sui profili facebook dei miei amici, poi ho fatto un paio di partite a Candy Crush Soda, poi ad un certo punto il telefono mi ha avvisato che la batteria era quasi scarica, quindi decido di lasciar perdere il gioco, preservandone un po’ per dopo, nel caso mia madre provasse a contattarmi. Mi guardo intorno. Stranamente non ci sono calendari di donne nude in questa stanza. C’è solo una piccola finestra in alto, che dà verso l’esterno, e un’altra che permette di vedere all’interno dell’officina. Quest’ ultima, consente di avere un ampia visuale del garage. Noto che la situazione non è cambiata molto da quando sono entrata, Alex sta ancora lavorando a quella macchina, e Alan sta ancora leggendo la gazzetta, potrebbe almeno aiutarlo poverino. Riprendo ad ispezionare l’ambiente intorno a me, sembra in ordine e pulito. Ci sono solo dei fogli sparsi sulla scrivania, che creano un po’ di disordine. Comincio a spostarne tre o quattro così per vedere di cosa si tratta. Ci sono delle fatture, dei cataloghi di pezzi di ricambio, fogli, carte riviste e il riepilogo delle presenze dei lavoratori, in questo caso di Alex, dal momento che è l’unico operaio. Scopro così il suo cognome, si Chiama Alessandro Proietti, nato a Roma nel 1985, precisamente il 30 settembre. Quindi festeggia i trent’anni tra due mesi. Appena torno a casa devo cercarlo su facebook, sperando che abbia un profilo pubblico, e che abbia il social network in questione. Dal momento che è fine mese, posso dare uno sguardo alle presenze. Vedo che è venuto a lavorare tutti i giorni senza neanche chiedere due ore di permesso. Un vero stacanovista. Alzo lo sguardo, per controllare che nessuno mi stia osservando.


Aguzzo l’udito, non vorrei che mi trovasse a mettere il naso tra i documenti. È un tipetto un po’ irascibile. Metto via il foglio delle presenze. Decido di mettermi comoda. Distendo le gambe, poggiandole sull’angolo della scrivania, pesano come due macigni. Prendo un altro mazzetto di fogli ed inizio a leggere. Trovo anche una specie di manuale su come fare la corretta manutenzione di un tipo di auto d’epoca. Decido di leggerla, tanto per tenermi impegnata.

‹‹Nessie, Nessie svegliati›› Qualcuno mi scuote la spalla. Ops credo di essermi addormentata. Mi sveglio piano piano. Mi ci vuole qualche secondo per rendermi conto che sono ancora nell’autofficina. Fuori il sole non è alto come prima. Il cielo inizia a colorarsi di arancione, devono essere quasi le sette di sera. Alex ha ancora la mano sula mia spalla, mentre mi osserva. ‹‹Finalmente Nessie, pensavo non ti svegliassi più›› Mmh… proprio un bel vedere non c’è che dire. Mi tiro un po’ su, mentre cerco di ricompormi. Mi accorgo di non avere più i fogli che stavo leggendo tra le mani. Forse mi sono caduti? Guardo in basso e non ci sono. Che strano, non ricordo di averli messi via. ‹‹Cerchi qualcosa?›› ‹‹No, nulla›› dico continuando a cercarli con lo sguardo. Non possono essersi smaterializzati. Poi mi ricordo che mi ha chiamato con un nome strano

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