UN’ESTATE A RIMINI PER INNAMORARSI
di Antonella Maggio
Copyright © 2015 Maggio Antonella ASIN: B00Z0CFFHG
Tutti i diritti riservati Copertina realizzata da Le muse-Grafica
Questa è la seconda edizione del romanzo. “Un’estate a Rimini per innamorarsi” nasceva con il titolo “A Rimini con la sposa”, il testo risulta cambiato e migliorato rispetto alla prima edizione.
Questo è un racconto di fantasia. Tutti i nomi presenti, i personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Le similitudini con fatti, persone, nomi, istituzioni sono da considerarsi tutti casuali. A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è
vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.
Sinossi: La Puglia è tremendamente bella con i suoi alberi d’ulivo secolari, le spiagge incantevoli di tutto il litorale adriatico e la buona cucina, ma all’improvviso troppo stretta e triste per chi, come Vito e Camilla, ha deciso di lasciare definitivamente il passato alle spalle. Lui, dopo aver chiuso con la sua ex, deve fare i conti con un dolore che supera di gran lunga la classica fine di una relazione e Rimini è il posto ideale dove ricominciare da zero come Chef tra i fornelli del Sun Marina Sun. Lei, insofferente alla sua famiglia dalla mentalità antica e bigotta, abbandona tutti, compreso il suo futuro sposo sull’altare e scappa via facendo l’autostop. Vito e Camilla. Stessa automobile e stessa meta, due dolori diversi da metabolizzare, un’estate a Rimini per ricominciare e non innamorarsi mai più…
Biografia: Antonella Maggio nasce in Puglia, a Modugno nel settembre 1988. Diplomata come ragioniere turistico con il massimo dei voti, ha pubblicato diversi romanzi attraverso il self-publishing, scrive su una piattaforma di scrittura collaborativa con altri appassionati e ha partecipato a diversi contest letterali aggiudicandosi la pubblicazione cartacea dei racconti sulla rivista “Scrivere” della Fabbri Publishing. Profumo d’amore a New York è il suo primo romanzo pubblicato con Butterfly Edizioni (marzo 2015), divenuto presto Bestseller narrativa italiana e tedesca con oltre 15 mila lettori, conteso da grandi editori. È disponibile sulla piattaforma Amazon in versione digitale o prenotabile in cartaceo in tutte le librerie. Con Butterfly Edizioni ha pubblicato anche Manchi solo tu (settembre 2015) eQuesto nostro dolce Natale (dicembre 2015), raggiungendo ancora una volta la Top100 su Amazon.
Un’estate a Rimini per innamorarsi è il suo primo Romance, auto pubblicato e disponibile su Amazon in versione digitale e cartaceo in una seconda edizione, cambiato e migliorato. Nel 2016 è previsto il seguito richiesto espressamente dai lettori. Un weekend per quattro (gennaio 2015) è un romanzo ironico scritto a quattro mani con Rujada Atzori.
A Giuseppe, lui che rende tutte le mie giornate le più belle nel mondo.
Durante la lettura incontrerete i titoli di alcune canzoni che hanno caratterizzato l’estate 2014, estate durante la quale, la storia è stata per l’appunto ambientata. Consiglio ai lettori di ascoltare le canzoni e soprattutto di far attenzione al testo. L’idea iniziale era quella di trascrivere nel mio romanzo alcune frasi delle canzoni, ma per questioni burocratiche mi sono limitata a citarne solamente il titolo e l’artista. Grazie.
CAPITOLO 1
Vito scelse una pessima giornata per mettersi in viaggio, ma a lui poco importava, aveva ormai appurato da tempo di essere un campione in materia di scelte sbagliate. Si era ficcato in testa di voler abbandonare la sua terra e l’avrebbe fatto con
quaranta gradi all’ombra o con l’acqua a catinelle, sarebbe partito come un temerario, senza temere più nessuno, a parte se stesso. Difatti, era il primo maggio e pioveva a dirotto. Le pessime condizioni atmosferiche lasciarono tutti gli abitanti della Puglia con l’amaro in bocca, tanto che, forse per la prima volta nella storia, anziché festeggiare “la festa dei lavoratori” come da consuetudine in riva al mare, i pugliesi furono costretti a restare chiusi in casa, a maledire la pioggia e i Centri Commerciali rimasti stranamente tutti chiusi per l’occasione. Sembrava che una nuvola nera avesse deciso di restare ferma e stazionaria solo su quella regione del sud dell’Italia e scatenare l’inferno su tutto il tacco dello stivale senza risparmiare alcun paese. «Altro che “lu sule”!». Vito fu l’unico pugliese al volante della sua Fiat Punto grigio metallizzato, che con i tergicristalli perennemente azionati, percorse quasi metà della sua regione, abbandonando Lecce, la città in cui era nato e cresciuto, sperando che l’abbandono fosse per sempre perché a volte scappare è l’unica soluzione che ci resta. Vito aveva trentaquattro anni, per suo padre era un uomo a tutti gli effetti e non più un ragazzo, mentre per sua madre restava ancora il figlio piccolo di casa. Avrebbe compiuto trentacinque anni alla fine dell’estate, ma a lui pareva di averne almeno il doppio e tutto per colpa di Marianna, la sua fidanzata storica divenuta finalmente ex. L’aveva conosciuta dopo le scuole superiori, durante il viaggio a Ibiza fatto con i suoi migliori amici per festeggiare la maturità. Da allora era sempre stato amore e odio, prendersi e lasciarsi fino a quando non si erano ritrovati entrambi sotto lo stesso tetto a pagare l’affitto ogni mese. La convivenza però, non risolse i loro problemi, semmai li peggiorò e quando Marianna comunicò il ritardo del suo ciclo mestruale, tutto andò a scatafascio. Vito ricordava perfettamente cosa fosse successo dopo; la corsa in farmacia per acquistare il test di gravidanza, l’ansia mentre aspettavano il responso, le due lineette rosse e l’immediata confusione. Marianna cominciò a dare i numeri, a dire frasi senza senso, poi prese tutta la roba di Vito e lo cacciò via da casa mentre lei correva a gambe levate in ospedale per abortire. Non era pronta per diventare madre e quel figlio non lo voleva, così come non voleva più condividere la sua vita con quello che era stato il suo fidanzato per dieci lunghi anni, tolti ovviamente dal conteggio gli anni durante i quali erano stati distanti perché lei aveva bisogno di una pausa.
Vito cercò in tutti i modi di convincere la sua ormai ex ragazza a non commettere quell’errore madornale, quello che secondo lui era un vero e proprio omicidio, ma fallì come un miserabile. Si ritrovò presto solo, senza donna e senza figlio. Soffocò il dolore per quella perdita, mantenne il segreto evitando di confessare le sue pene persino ai suoi migliori amici ma, continuare a vivere in quel posto, equivaleva a vivere tra le fiamme dell’inferno nonostante fosse ancora sulla terra; si sentì in trappola, un uccello chiuso in gabbia cui per giunta avevano legato le ali. Si sentì soffocare, annaspò in silenzio nelle acque cristalline dello splendido mare salentino, anche se a lui sembrava tanto che le splendide spiagge di Punta Prosciutto fossero diventate all’improvviso delle lande desolate, dove semmai scorreva acqua nera e putrida. Gli amici di sempre, Sandro e Simone, cominciarono a dargli addosso. Lo definirono un “pappamolle”, accusandolo per giunta di essere diventato uno stupido burattino nelle mani di Marianna. Loro però, ignorarono del tutto come Vito si sentisse. Lui non soffriva per la perdita di Marianna, non più, non avrebbe più sofferto per lei, bensì per quel figlio mai nato che mai lo avrebbe chiamato “papà”. Stanco della vita, della monotonia della sua città che fingeva di essere sviluppata e all’avanguardia dinanzi a tutta l’Italia e all’Europa intera, mentre in realtà non si preoccupava minimamente del futuro dei giovani, Vito prese tutta la sua roba, la concentrò in una sola valigia e decise di partire. Lui non scappava dai problemi e restare a Lecce, non avrebbe significato di certo affrontare le sue paure fino a sconfiggerle. A Lecce non c’era più posto per lui e lui lo sapeva benissimo. A volte, fare valigie e andar via è l’unica soluzione che ci rimane, duole il cuore perché devi salutare e dire addio alla tua famiglia, ai tuoi amici, al bar dove una volta a settimana consumavi birra e salatini o alla palestra dove inutilmente cercavi di sviluppare i muscoli degli avambracci e gli addominali, ma devi farlo; devi andar via per te stesso perché se non ami prima la tua persona, difficilmente riuscirai mai ad amare gli altri, anche se l’ultima cosa che Vito desiderava, era innamorarsi ancora di un’altra donna. Marianna lo aveva spogliato e privato di tutto, della dignità, del sorriso, della voglia di divertirsi, del suo cuore e per ultimo, anche se non per importanza, anche di suo figlio e a Vito, tanto bastava per chiudere con le donne in maniera definitiva. Il ragazzo seguì il canale meteo per oltre una settimana e decise di partire il primo maggio, quando la maggior parte delle previsioni televisive dava pioggia. Le sue intenzioni si rivelarono perfette, la tangenziale era sgombra. L’unico problema fu mantenere l’andatura lenta, cosa che non lo rese molto entusiasta. Percorse quasi
metà del tragitto per decretare l’abbandono della sua regione, da solo e in rigoroso silenzio. Si lasciò incantare dal rumore della pioggia, dalla voce della natura che sembrò cullarlo; l’acqua non fece altro che abbattersi sui vetri dell’automobile, in alcuni tratti in maniera rabbiosa e violenta, accompagnata persino dalla grandine e in altri tratti calma e laconica, in procinto di smettere di venir giù. Sembrò che anche il cielo stesse piangendo per la sua partenza, così come aveva pianto la sua mamma e così come piangeva ancora la sua anima. Spesso si pensa che, nel momento in cui in un rapporto avviene la rottura, a soffrirne siano solo le donne e mai nessuno si sofferma a pensare che anche gli uomini hanno un cuore e quello di Vito era stato preso e stritolato in una morsa, mentre agli occhi del prossimo continuava a sembrare uno di quelli che resta inerme e non si fa scalfire dal dolore di una perdita. Onde evitare che tutti quei pensieri continuassero a influenzarlo, allungò una mano in direzione dell’autoradio, spinse un dito sull’accensione e ben presto l’abitacolo dell’automobile fu invaso dalle note musicali. Emise un piccolo sbuffo e si affrettò ad allungare di nuovo la mano in direzione della radio per cambiare musica e stazione. «Ma che diamine! Vi siete messi tutti d’accordo? Non bastava Jovanotti? Adesso anche Morandi! Che fantasia» inveì contro quelle canzoni e la società priva di fantasia e personalità. Se pioveva, bastava accendere la radio, proprio come quel giorno, per ritrovarsi ad ascoltare tutte le canzoni nuove e del passato con il tema della pioggia. Riportò il dito sul tasto per cambiare canzone e prima di pigiarlo sopra, sperò nella sua testa di scovare una canzone decente. «Basta! Così non ci sto!». Dalle casse fuoruscì di nuovo la voce di Jovanotti con la sua canzone Piove e spense la radio con rassegnazione. Dover sopportare qualcuno che gli rammendasse la pioggia, nonostante lui sotto la pioggia ci stesse già, era davvero insopportabile ma quel che è peggio, era dover ascoltare canzoncine sdolcinate che parlassero dell’amore. Tutte frottole, un mondo di belle parole e un modo come un altro per prendersi gioco della gente. Vito avrebbe voluto scriverla lui una canzone, ma dubitava fortemente che avrebbe riscosso successo!
Continuò a guidare, beandosi del fatto che le ruote della sua automobile fossero le uniche a calpestare l’asfalto bagnato della tangenziale. Era ancora presto per immettersi in autostrada e la strada sgombra di macchine, era facile da percorrere oltre che gratuita. Non era il caso di aumentare il valore del pedaggio che prima o poi avrebbe dovuto sborsare in favore di Autostrade per l’Italia. La pioggia intanto sembrò cadere sempre meno dal cielo, forse aveva deciso di dare una tregua ai pugliesi che a furia di maledirla, avrebbero goduto almeno di mezza giornata di relax fuori di casa o semplicemente e, Vito ne era convinto, il tempo aveva deciso di burlarsi di loro, facendo credere che presto il cielo si sarebbe aperto quando in realtà, era pronto a scatenare ancora l’inferno. «Mi sa che conviene fare il pieno!». Era partito con il serbatoio della benzina quasi a secco, più che altro per non dare spiegazioni al benzinaio dove si recava di solito, il quale sapeva bene che il ragazzo aveva l’abitudine di fare il pieno solo nelle grandi occasioni. Viaggi, matrimoni, scioperi… Afferrò il telefono e aprì l’applicazione che aveva scaricato sul suo smartphone prima della partenza. Un programmino super tecnologico che con l’aiuto del GPS, indicava la stazione di servizio più vicina con i prezzi del carburante più vantaggiosi ed economici. Era necessario prendere la viabilità di servizio e percorrere alcuni chilometri in direzione di Alberobello, cittadina in posizione centrale nella Valle d’Itria meglio conosciuta come la Terra dei Trulli. Lui li aveva visti solo una volta in vita sua durante una gita scolastica, all’epoca aveva diciassette anni e studiava Storia dell’Arte, nonostante avesse scelto l’Istituto Alberghiero della sua città. Ebbe una gran voglia di rivederli dal vivo prima di lasciare una volta per tutte la sua terra, ma ben presto, quel pensiero abbandonò la sua mente, soprattutto quando, giunto in prossimità della stazione di servizio, costatò che quella fosse chiusa. Sulla pompa di benzina c’era un cartello scritto a mano con un pennarello rosso. CHIUSO PER FESTIVO. «Maledizione! Poi dicono che c’è la crisi!». Sconsolato si accinse a riprendere la marcia e mentre guardava la strada per accertarsi della possibilità di rimettersi sulla corsia di destra della tangenziale, inchiodò di colpo. Il ragazzo pensava di aver visto ormai tutto quello che ci fosse da vedere nella vita, ma evidentemente non era così. Vito, mai e poi mai, si sarebbe
aspettato di ritrovarsi sotto la pioggia, una donna vestita da sposa che camminava a piedi, sul ciglio della strada facendo l’autostop.
CAPITOLO 2
Scosse il capo e poi riprese la guida mentre dietro di sé, sentì qualcuno urlare. Guardò nello specchietto laterale posto vicino alla sua portiera e vide la ragazza vestita da sposa che cercava di richiamare la sua attenzione. Rimase allibito per qualche secondo, il motore della macchina perse qualche giro non avendo fatto in tempo a ingranare la marcia e si spense. La ragazza, alle sue spalle, guadagnò terreno e lo raggiunse. Quando se la ritrovò dietro al finestrino, Vito lo abbassò usando l’apposita manovella. «Ciao!». La ragazza lo salutò timidamente e lui, con la stessa timidezza, rispose. Non capitava tutti i giorni di trovare una ragazza vestita da sposa sulla tangenziale, anzi, forse lui era il primo a essere incappato in quel tipo d’incontro. Si guardò per un attimo attorno, per scongiurare che quella fosse una specie di Candid Camera, ma non lo era. La strada era deserta.
«Sto facendo l’autostop» spiegò ed era tutta inzuppata di pioggia; i capelli, completamente bagnati, le ricadevano sulle spalle in maniera disordinata. «Ah!» fu l’unica cosa che il ragazzo riuscì a pronunciare, restando come un ebete seduto al posto di guida. Lei era Camilla, anche se per tutti era Milly. La ragazza, sin da che ricordasse, aveva sempre odiato il nome di battesimo che i suoi genitori le avevano affibbiato, solo ed esclusivamente perché era stato scelto da loro. Milly, da sempre, non aveva avuto un buon rapporto con la sua famiglia e se quel giorno era vestita da sposa e faceva l’autostop sotto la pioggia, era solo per colpa di suo padre che l’aveva costretta sposa a un uomo che lei non amava e di sua madre, che non era stata in grado di difenderla dalle grinfie paterne. Milly non aspettò che il ragazzo le concedesse il permesso di salire sulla sua automobile, anche perché dubitava fortemente che l’avrebbe fatto; sembrava sotto shock e per un attimo sorrise sapendo di essere lei la causa di quel turbamento. Non doveva essere successo a molti di ritrovarsi una sposa autostoppista per strada. Fece il giro ma proprio mentre le sue mani, ricoperte ancora dai guanti bianchi, stavano per poggiarsi sulla maniglia dell’auto, Vito si riebbe e fece in tempo a premere sulla chiusura centralizzata. «Ehi! Che cosa fai?». «Che cosa credi di fare tu?» sbottò, non credendo ai propri occhi e alle proprie orecchie. Ma chi si credeva di essere quella tipa? Se era davvero intenta a fare l’autostop, beh avrebbe continuato a farlo perché lui non aveva nessuna intenzione di portare a spasso con sé una sposa. «Ho bisogno di un passaggio» intervenne Milly sfoderando uno sguardo dolce e malinconico, quello per il quale altri uomini non sarebbero riusciti a resisterle. «Come mai? Per caso l’autista per portarti in chiesa costava troppo?». «Non puoi negarmi un passaggio!». Milly si mise sulla difensiva. Vito lasciò cadere le mani dal volante e incrociò le braccia sul petto. Voleva proprio vedere fino a che punto la ragazza sarebbe stata in grado di elemosinare il passaggio in macchina, passaggio che ovviamente lui le avrebbe negato, ma dopotutto non aveva fretta di raggiungere la sua meta, quindi tanto valeva divertirsi un po’. Divertimento. Sì, era proprio quello di cui lui aveva
bisogno e guarda caso, senza nemmeno farlo di proposito, Vito prima di partire aveva stilato nella mente una lunga lista di buoni propositi e tra i tanti, c’era giustappunto il divertimento. «Certo che posso negarti il passaggio!» rispose tranquillo, godendo dell’espressione meravigliata sul viso bagnato della ragazza. Vide le sue esili mani tremare un po’ e per un attimo, non seppe se incolpare la pioggia per averla inzuppata, rischiando di farla ammalare o i nervi tesi e messi a dura prova. Si convinse della seconda ipotesi, anche perché non aveva nessuna intenzione di provare rimorsi e sensi di colpa per una completa sconosciuta. «No, non puoi!». «E per quale motivo, sentiamo?». «Sarebbe omissione di soccorso! Potrei denunciarti!». «Non lo faresti mai…». «Dici? Per caso mi stai sfidando?». Milly sfoderò un ghigno malvagio mentre Vito non riusciva a credere che quella discussione stesse avendo luogo. Perché le cose strane capitavano sempre e solo a lui? Se lo avesse raccontato a Sandro e Simone, i suoi amici sarebbero scoppiati a ridergli in faccia, dandogli del buffone. In sostanza, non gli avrebbero mai creduto ma ugualmente apprezzato la sua ironia, sinonimo di ripresa dalla delusione amorosa. «Conosco a memoria il tuo numero di targa» disse, mostrando di nuovo gli occhi dolci, anche se a Vito parvero due saette lanciate da qualche demone. A malincuore il ragazzo si ritrovò a liberare l’abitacolo della sua automobile dalla chiusura centralizzata. «Brutta stronza!» esordì mentre Milly, con aria soddisfatta, apriva lo sportello dell’automobile e con notevole difficoltà, a causa dell’abito e del lungo velo bianco, cercava di salire a bordo. Vito non vedeva l’ora di liberarsi di quella pazza, l’avrebbe portata in chiesa e poi sarebbe partito sgommando e superando di gran lunga il limite previsto all’interno dei paesi. Era sempre meglio pagare la multa e farsi togliere i punti sulla patente che rischiare di diventare l’autista personale di una coppia di sposi sprovveduti. «Allora? Dove devo portarti?».
La ragazza non gli rispose, era intenta a togliersi il velo dai capelli. Sembrò litigare con le forcine che la parrucchiera doveva averle bloccato sapientemente nell’acconciatura che ahimè, era andata a farsi benedire. I suoi capelli erano del tutto bagnati, tanto che le ricadevano pesanti sulle spalle, gocciolando come se li avesse lavati da poco sotto il getto dell’acqua di lavandino e non avesse usato alcun asciugamano per tamponarli e togliere l’acqua in eccesso. «Come si apre questo accidenti?» esclamò e poi cominciò a curiosare tra i tasti presenti nell’automobile, alla ricerca di quello giusto per abbassare il finestrino. Vito scosse la testa in segno di disapprovazione. Le donne erano tutte uguali, pensò. Poi indicò la manovella sullo sportello e Milly, senza più considerarlo, abbassò il vetro, subito dopo prese il velo, cercò di appallottolarlo alla bell’e meglio e se ne disfò in maniera definitiva, lanciandolo dal finestrino come un fazzoletto usato. «Ma che diavolo fai?» chiese Vito allarmato mentre seguiva, con lo sguardo nello specchietto retrovisore, il velo che ruzzolava dietro di loro sulla strada. Ne aveva viste di stranezze in vita sua, ma quella continuava a superarle tutte di gran lunga. «Dove vai di bello?» gli chiese lei ignorando la domanda che le aveva posto Vito qualche attimo prima intanto che puliva, servendosi della stoffa del suo abito, le palpebre dagli ultimi residui di trucco. «Rimini!» rispose Vito con un tono di voce abbastanza titubante. Non sapeva se fidarsi o no di quella ragazza. Era una tipa strana, folle e per certi versi lo turbava, cosa che non era mai successa prima di allora neppure con Marianna, la sua ex. «Davvero? Anch’io!» esordì la ragazza e per poco si ritrovò spiccicata al vetro del parabrezza dopo che Vito ebbe inchiodato all’improvviso con la macchina. «Cosa?». «Sei per caso matto? Chi diavolo ti ha dato la patente?» urlò furibonda ma furibondo lo era anche Vito e forse, molto più di lei. Spense l’automobile al centro della carreggiata, dimenticando per un attimo di trovarsi su una strada a rapido scorrimento e scese. Fece il giro e spalancò la portiera del passeggero. «Fuori di qui! Adesso!». La ragazza per un attimo rabbrividì dinanzi al tono di voce che mostrò con chiarezza quanto il suo autista fosse furioso. Beh, forse aveva un po’ esagerato o semplicemente aveva sbagliato a non mettere le cose in chiaro dall’inizio.
«No, ti prego!». «Ho detto va via!». «Ti prego, ti prego! Non puoi cacciarmi!». «Sì che posso! E ora vai pure dai tuoi amici carabinieri a denunciarmi, dopo di che sarò io a denunciare te, razza di psicopatica!». Milly scese dall’auto con aria sconfitta, ma inciampò nell’orlo del vestito bianco finendo inevitabilmente tra le braccia del ragazzo. Lui non si sottrasse, anzi, i suoi riflessi furono prontissimi, l’afferrò ma subito dopo, scampata la caduta, Vito la rilasciò. Quel contatto durò un attimo, ma lui ebbe la sensazione che lei fosse stata in grado di bruciargli i palmi delle mani che l’avevano sorretta per evitare il peggio. «Grazie!». Le guance di Milly si colorarono all’istante di rosso e per un attimo lui rimase spiazzato dinanzi a quell’immagine. Quella ragazza, completamente inzuppata d’acqua e con gli occhioni marroni proprio come i suoi, sembrava così piccola e fragile. Il suo cuore riassaggiò il sapore della tenerezza, una sensazione che lui aveva creduto sul serio di non poter più rivivere se non attraverso i ricordi di un passato che faceva paura e procurava dolore.
CAPITOLO 3
«Alla fine sono scappata…». «Sei scappata dall’altare?». Mancò poco che Vito inchiodasse ancora con l’automobile al centro della carreggiata. Alla fine, la sua bontà d’animo primeggiò sulla ragione e il suo cuore,
tenero oltre la scorza, non gli permise di lasciare per strada una ragazza tutta sola. La colpa era di sua madre che lo aveva educato alla perfezione, mentre, se solo fosse stato più “figlio di…”, forse a quell’ora il suo cuore avrebbe contato meno ferite e scottature. Milly si ritrovò a raccontare tutta la sua storia a un completo sconosciuto, raccontò a Vito di come suo padre, noto imprenditore pugliese, l’avesse costretta a contrarre matrimonio con il figlio di uno dei soci di maggioranza della sua società. Peccato che Milly avesse deciso invece di dare buca a tutti, futuro marito compreso. Aveva studiato un piano e grazie al cielo, tutto era andato come previsto. Al momento dello scambio delle promesse, lei aveva esordito con un sonoro: “NO, NON LO VOGLIO!” dinanzi al prete, al suo sposo e alla folla intera che aveva occupato i posti a sedere all’interno di una chiesetta sita in Alberobello. Dopodiché, era scappata via correndo fuori dalla chiesa nonostante suo padre avesse cercato di rincorrerla per un po’. Lei, invece, era stata più agile e scattante perché, sotto la gonna lunga del suo abito bianco, aveva indossato al posto dei sandali con tacco dodici centimetri, un paio di scarpette da ginnastica che nessuno aveva notato. «Non ci posso credere!». Vito rise di gusto mentre guidava la sua automobile in pieno relax. Anche Milly rise, ripensare in un secondo momento alla sua impresa, fece sorridere pure lei, anche se per un attimo, aveva avuto paura di restare per sempre intrappolata in un maledetto matrimonio di convenienza. Lei, poi, aveva solo venticinque anni, una vita davanti, un futuro da costruire con le sue mani e di cui goderne liberamente. L’epoca dei matrimoni combinati era finita già da un pezzo, ma ciò non era bastato a tranquillizzarla visto il padre bigotto che il destino le aveva affibbiato. «Io comunque sono Milly» disse poi timidamente. Con quel tipo aveva già discusso, litigato e confessato le sue pene, ma nessuno dei due aveva osato anche solo presentarsi. «Milly come la pornostar o diminutivo di?». Milly gli diede una gomitata di risposta. «Milly e basta!». «Non ci credo! Dài che c’è di male?».
La ragazza sospirò. Non aveva mai confessato il suo vero nome a chi, prima di quel ragazzo, le avesse posto la domanda, ma per la prima volta si ritrovò a pronunciarlo, forse contro il suo volere, senza però rendersene conto. «Camilla!». Vito lo ripeté mentre tra sé dovette ammettere che quel nome gli piaceva, ma a lei non l’avrebbe mai detto, più che altro per non darle la soddisfazione. Inoltre, intuì che alla ragazza non facesse molto piacere parlare del suo nome, evidentemente le riportava alla mente ricordi di cui lei avrebbe fatto volentieri a meno e lui sapeva quanto fossero dolorosi alcuni ricordi. «Tu invece?». «Vito!» rispose lui guardando con la coda degli occhi la ragazza che trafficò con il telefono tirato fuori dalle pieghe del vestito, come un mago che tira fuori i coniglietti bianchi dal suo cilindro. Poi la vide voltarsi verso di lui e guardarlo con aria pensierosa. «Che c’è? Non ti piace il mio nome?» e sfoderò un sorriso magnetico che, per un attimo, mise in mostra la sua dentatura perfetta. «No, è solo che…». «Cosa? Sentiamo?». «Non l’avrei mai detto, ecco! Credevo avessi un altro nome, tutto qui!». Di essere strana, quella ragazza lo era e anche tanto. Vito la squadrò con un sopracciglio alzato. Milly non finiva mai di sorprenderlo. «E sentiamo un po’… tu che nome mi avresti dato?». Era curioso. Certo, quella discussione era alquanto strana, ma giacché era costretto a dividere il tragitto con lei, tanto valeva che occupassero il tempo anche con discussioni futili e puerili. «Boh, non saprei. Forse Francesco, Paolo oppure Antonio…». «Antonio?» chiese Vito arricciando di nuovo il suo sopracciglio. Milly sorrise, rendendosi forse conto anche lei dell’assurdità di quella conversazione. «Come Banderas!».
Entrambi scoppiarono a ridere. Vito non assomigliava neppure un po’ a Banderas, ma era affascinante a modo suo. Era alto, con i muscoli appena pronunciati, i capelli biondini appena mossi che formavano un cespuglio crespo sulla testa a causa dell’acqua e dell’umidità di quella giornata e una barbetta incolta, quella che alle donne piace tanto. Aveva sempre avuto l’abitudine di radersi al mattino ma da un paio di giorni, aveva deciso di non farlo. Vito voleva cambiare vita e il modo migliore per riuscirci, era quello di cominciare dal suo aspetto fisico. «Scherzavo… Vito va benissimo!» ammise la ragazza quando le risate si placarono. Seguì subito dopo un momento di silenzio. Vito si limitò a sorriderle appena, poi ritornò a concentrarsi sulla strada e intravedendo sulla destra una stazione di servizio aperta, azionò subito una freccia per indicare il tragitto alle poche macchine che avevano cominciato a circolare sulla strada. Era un self-service con una piccola area ristoro e un negozietto di souvenir. A Milly brillarono subito gli occhi, una brillante idea le balenò nella testa. Continuare a indossare quel terribile abito da sposa non aveva senso, anche perché correva seriamente il rischio di beccarsi una broncopolmonite tenendo addosso la roba bagnata, ma non era neppure il caso di spogliarsi e restare in intimo di fronte a un estraneo. «Ho bisogno che tu mi faccia un favore!» disse al ragazzo raggiungendolo mentre quello era intento a inserire un paio di banconote nel distributore automatico della benzina. «Un favore? Un altro?». Di quel passo correva il rischio che quella ragazza, oltre alla mano, si prendesse anche il suo braccio e la cosa proprio non gli piaceva. Si era promesso di diventare uno duro, tosto, inflessibile e per nulla sentimentale ma come al solito, finiva per fare l’esatto opposto di quello che si proponeva. «Ho bisogno di un cambio d’abiti! Non posso mica girare così! Mi prenderanno per pazza!». «Ma tu sei pazza, Milly!». Vito continuò a negarle quel favore. Non aveva nessuna intenzione di recarsi all’interno del negozio e cercare abiti femminili, correndo il rischio che qualcuno lo credesse un maniaco o peggio ancora un travestito.
«Scordatelo!». La ragazza non si arrese facilmente, lo supplicò perché supplicare era quello che le riusciva meglio nell’ultimo periodo ma le sue parole e i suoi scongiuri non sorbirono l’effetto sperato. Entrare nel negozio con l’abito bianco era fuori discussione, così, fece l’unica cosa che le restava da fare e dinanzi agli occhi allibiti di Vito, cominciò a tirare la stoffa della gonna. Strappò completamente il tessuto, con forza e anche un po’ con rabbia, con l’ira che si era tenuta dentro per non ferire la sua famiglia, anche se poi la sua famiglia non si era preoccupata di fare lo stesso con lei. Suo padre ad esempio, le aveva strappato le ali, l’indipendenza e la libertà di pensiero, le aveva sempre impedito di fare quello che voleva, di vivere come una ragazza della sua età solo perché tutelare il patrimonio di famiglia era più importante della felicità di sua figlia. Riuscì a rendere il suo abito corto come una minigonna e il ragazzo si ritrovò involontariamente a poggiare i suoi occhi su quel corpo tonico e scolpito che fino a un attimo prima, era stato nascosto da tutto quel tulle bianco. «Mi sembra di essere il protagonista di qualche film demenziale prodotto in America!» esclamò tra sé, dopodiché continuò a rifornire di benzina la sua Fiat Punto. Milly, invece, si recò nel negozio ancheggiando in maniera provocante con quel po’ che restava del vestito e le scarpe da ginnastica ai piedi che la fecero apparire ridicola. «Adesso va molto meglio!» sentenziò poi quando ritornò in macchina. Dopo aver dismesso l’abito, costato a suo padre quanto una luna di miele in Polinesia, Milly indossò un paio di pantaloncini, degli shorts in jeans che le coprirono solo metà coscia e una magliettina rossa che non lasciò le sue curve all’immaginazione. Acquistò anche un nuovo paio di scarpe da ginnastica e per ultimo, asciugò i capelli alla bell’e meglio nel bagno della stazione di servizio, sotto a quel dannato affare rumoroso che sprigionava aria calda per asciugare le mani. Solo in quel momento Vito notò i suoi capelli biondi, le onde chiare e setose che incorniciavano il viso di Milly, sul quale comparve uno spesso occhiale da sole dalle lenti marroni, anche se nel cielo c’erano solo nuvoloni scuri. Per un attimo fu tentato di chiederle di metterli via perché offuscavano il suo volto giovane e fresco, ma dinanzi a quel pensiero rabbrividì e cercò di ritrovare un po’ di contegno prestando attenzione alla strada. Ripresero la marcia e dopo aver tentato una nuova discussione, entrambi si arresero, rimasero in silenzio per un po’, forse per paura che le troppe domande
potessero nuocere a entrambi. Alla fine, per sopperire ai pensieri si affidarono alla radio. Vito emise una specie di grugnito. Continuavano imperterriti a proporre canzoni sulla pioggia e lui si maledisse, se la prese con se stesso semplicemente perché prima di partire, non aveva preparato neppure una playlist con tutte le sue canzoni preferite. Era lì, sul punto di sbraitare contro la ragazza affinché cambiasse stazione radio, quando poi lei cominciò a canticchiare Cade la pioggia insieme con i Negramaro e lui rimase zitto ad ascoltarla. Pioggia e amore. Pioggia e dolore. Pioggia e delusione. Perché quella maledetta pioggia andava a braccetto con tutti i suoi problemi? Vito strinse forte il volante tra le mani e le nocche gli divennero bianche. Milly, al suo fianco, sembrò non accorgersi di nulla e continuò a cantare sulle note di quella canzone estremamente malinconica.
CAPITOLO 4
La ragazza non riuscì a canticchiare il resto delle strofe, sembrava che qualcuno le avesse sottratto le corde vocali e che lei non fosse più in grado di emettere alcun suono. Si limitò solo ad allungare un dito in direzione della radio, ma anziché spegnerla, abbassò di poco il volume. Milly detestava i silenzi, aveva passato una vita intera in silenzio, ad accettare le decisioni di suo padre che riguardavano la sua vita, di cui lei però, non ne era assolutamente padrona. A quel punto, era molto meglio il sottofondo di una canzone malinconica o estremamente schifosa, piuttosto che far regnare incontrastato il silenzio. «Ma che diavolo ha oggi la radio? È da questa mattina che mi perseguita!» sbottò dopo l'ennesimo ritornello cantato a squarciagola dal cantante di un gruppo. Vito la guardò stranito e lei gli confessò che, da quella mattina, dal momento in cui aveva acceso la radio in camera sua per allietare quella triste giornata, il Dj non aveva fatto altro che mandare in onda canzoni che trattassero il tema del matrimonio e dell’amore. Una dietro l'altra, tanto che per un attimo la ragazza cominciò a temere che fosse tutta opera del suo futuro sposo, che troppo premuroso
si era persino preso la briga di pagare la stazione radio che lei ascoltava ogni giorno, affinché proponesse tutta quella robaccia esageratamente romantica e sdolcinata. Non che Milly non fosse romantica, anzi lo era sempre stata e sin da piccola, come la maggior parte delle bambine, aveva sognato il giorno del suo matrimonio. Milly aveva sempre immaginato l'abito bianco, i fiori, gli addobbi in chiesa, la sala, la torta nuziale e un marito che avesse lo stesso viso di... pensò a Vito e subito trasalì. Lo stress del matrimonio e la pioggia, le avevano giocato sicuramente un brutto scherzo. Subito dopo, infatti, starnutì. Il raffreddore era il minimo che si sarebbe potuta beccare dopo aver trascorso un tempo imprecisato con addosso la roba bagnata. Vito allungò una mano verso l'interruttore dell'aria calda e azionò la manopola. Lei lo guardò e lo ringraziò silenziosamente incurvando appena le labbra sottili in un sorriso. «Non mi hai detto il tuo cognome». Vito sollevò il suo sopracciglio sinistro. Quella ragazza era davvero un pozzo di sorprese, non faceva in tempo ad abituarsi a qualche stranezza perché subito lei, gliene presentava un'altra direttamente su un vassoio d'argento. «Perché vuoi saperlo?». «Tu mi dici il tuo ed io ti dico il mio!» disse lei senza prima rispondere alla domanda. Era davvero una tipa incorreggibile, questo bisognava ammetterglielo. «A me non interessa il tuo cognome!». «A me invece interessa il tuo! Dimmelo!». «No!». «Ho detto: dimmelo!». «Ho detto: no!». Cominciarono a urlarsi l'un l'altro come fratello e sorella che litigano per chi debba usare prima il bagno al mattino. «Carrieri! Contenta?». Vito pensò bene di sputare il rospo. Quella discussione sarebbe durata all'infinito e quella testa dura che gli sedeva affianco, non si sarebbe certamente arresa. Preferì dunque arrendersi lui per primo e mostrare la bandiera bianca piuttosto che sentire
quella voce petulante durante tutto il tragitto. Milly non rispose, in compensò cominciò a scrivere velocemente qualcosa sul suo telefonino. «E ora che stai facendo?». «Sto cercando notizie su di te!». «Che cosa?». Vito immise subito l'auto nella corsia di emergenza e accese le quattro frecce. Quella che gli sedeva affianco non era una ragazza, era la follia fatta a persona. Milly mostrò al ragazzo il display del suo cellulare. Facebook. Doveva immaginarselo! Quel maledetto social network era peggio dei servizi segreti americani, della CIA e FBI messi insieme. «Quale sei tra questi?» chiese la ragazza mostrando a Vito una sfilza di profili con il suo stesso nome. In cima alla lista c'era un Vito Carrieri con gli occhiali da sole e la camicia sbottonata che mostrava il petto villoso. Al secondo posto c'era suo cugino. Avevano lo stesso nome e cognome ma si erano ormai persi di vista, giacché l'altro Vito si era trasferito a Toronto per lavoro, per di più era molto più grande di lui, sposato e con due figli a carico. Seguirono altri Vito Carrieri, tutti messi in posa per la caratteristica quanto affascinante foto del profilo diFacebook. Tra i tanti ce ne era persino uno che a quanto pareva dalla foto, faceva la Drag Queen e Vito inorridì. «Nessuno di tutti questi!» esordì infine mentre rimise la macchina in moto. Lui non aveva tempo da perdere, ma da quando aveva incontrato Milly, di tempo ne aveva perso eccome, sembrava essere passata un'eternità. Lui suFacebook non si era mai iscritto e mai l'avrebbe fatto. A Lecce erano bastate le vecchie zitelle sue vicine di case a informare il vicinato di tutte le cose che combinava nella sua vita e lui, non aveva voluto togliere il primato alle vecchie sorelle Lorusso, che tra le altre cose, erano anche le migliori amiche di sua madre. «Volevi per caso chiedermi l'amicizia virtuale?» tagliò corto, non riuscendo però a nascondere la sensazione di fastidio. Vito era un libro aperto per chiunque e lui, stava proprio lavorando su quello perché desiderava più di qualsiasi altra cosa, nascondere i suoi sentimenti e tutto ciò che provava, in modo tale che occhi estranei non riuscissero a leggergli dentro. «No! Te l'ho detto, cercavo informazioni su di te!» rispose calma Milly, come se le sue parole fossero normali o banali.
Vito non riuscì a credere alle proprie orecchie. Forse il suo udito cominciava a mostrare i segni dell'età? Eppure a trentaquattro anni si è ancora nel pieno della giovinezza... «Non pensi che sia più semplice chiedermi personalmente quello che vuoi sapere?». Lei si limitò a fare su e giù con le spalle, come se quella domanda non avesse alcun senso. «Tu potresti mentire!». «Mentre su internet c'è solo la sacrosanta verità! Giusto?». Milly, punta nell'orgoglio, abbassò il suo viso e si voltò di lato per guardare il panorama, il triste panorama grigio e bagnato, la sua terra, la terra in cui era nata e cresciuta e che presto avrebbe abbandonato. Non sapeva se quell'abbandono sarebbe stato definitivo, forse un giorno sarebbe tornata ad Alberobello, forse avrebbe aspettato un annetto oppure qualche mese, giusto il tempo che suo padre si calmasse. Restava però sempre un dubbio. E se la sua famiglia l'avesse costretta a un nuovo matrimonio combinato? «Per quanto mi riguarda, potresti essere un malintenzionato!». «Cosa?». Vito era sempre più sconvolto. Possibile mai che quella ragazza facesse sul serio? La guardò con la bocca spalancata mentre lei, con tutta l'indifferenza di questo mondo, cominciò a pettinarsi i lunghi capelli biondi con le dita affusolate delle sue mani. Afferrò poi un elastico che teneva al polso a mo' di bracciale e sollevò i capelli per legarli. Poi bloccò la sua chioma in una specie di chignon arrangiato, ma tremendamente sexy dato che esaltava la curva perfetta del suo collo bianco e liscio. «Ehi signorina! Ti ricordo che quella che mi ha dapprima minacciato e poi supplicato per un passaggio sei tu! Io nemmeno ti ci volevo nella mia macchina!». «Non è carino quello che stai dicendo adesso!» si finse offesa e con le labbra arricciate. Vito deglutì rumorosamente mentre i suoi occhi marroni non smisero di fissare le labbra succose e carnose di lei. Desiderò all’improvviso toccarle, prima con le mani e poi costatare la morbidezza direttamente con le sue. Quella bocca meritava di essere
baciata, assaggiata, morsa. Si passò una mano sul volto, si stropicciò gli occhi mentre cercava di allontanare quei pensieri alquanto pericolosi. Poi vide sulla strada una nuova stazione di servizio e decise di fermarsi di nuovo. Aveva urgentemente bisogno di lavarsi la faccia con l'acqua gelida e raffreddare così i suoi bollenti spiriti, dato che per una doccia fredda avrebbero dovuto aspettare entrambi ancora molto e comunque, una cosa era appurata, Jovanotti doveva avercela necessariamente con lui, visto che per ben due volte quel giorno, l'aveva colpito in pieno con le sue canzoni. L’ultima?Baciami ancora.
CAPITOLO 5
«Che fai? Adesso mi segui anche in bagno? Questo è il bagno degli uomini e tu non puoi entrarci!». Aveva bisogno di starle un po' alla larga, lontano da quella che stava diventando la sua ossessione, ma evidentemente lei non colse il messaggio. «Se tu sei cieco, non è un mio problema!». «Ma cosa stai dicendo?». Milly afferrò Vito per la manica lunga della polo bianca, lo tirò verso la porta del bagno e fece segno al cartello affissò sulla porta. Quello, era un bagno sia per uomini che per donne, senza alcuna distinzione di sesso, quindi lei aveva tutto il diritto di entrarci nonostante ci fosse anche lui. «Mantieni la porta! Devo far pipì!». «Ma per chi mi hai preso? Hanno inventato appositamente le chiavi per chiudere le porte, lo sapevi questo?». Milly si mostrò sconvolta. Quel ragazzo era un cafone, un maleducato, per nulla gentile e tremendamente attraente. «Non posso usare la chiave!». «Per quale dannato e oscuro motivo?».
Da quando si erano incontrati, non avevano smesso un attimo di beccarsi come due bambini dell’asilo che si detestano a vicenda. Lui non voleva ascoltar ragione e lei, beh lei sembrava non ragionare per niente. «Non è detto che la chiave ci sia e anche se ci fosse, non la userei mai!». «Perché?». Subito dopo sentirono il rumore dello sciacquone e un uomo uscì dal bagno centrale. Milly fece una piccola smorfia. Il solo pensiero, che in quei bagni potessero entrarci sia uomini che donne, le diede i brividi e le causò una forte sensazione di ribrezzo, ripugnanza e disgusto. «Perché la porta potrebbe non aprirsi!». «Io continuo a credere che tutto questo è un brutto incubo! Spero solo di svegliarmi al più presto!» e con l’aria sconsolata, si avviò dietro la ragazza. Milly ispezionò prima con meticolosità i tre bagni, alla fine scelse l’ultimo, quello che secondo lei era stato usato meno, quello con meno germi e meno possibilità di contrarre qualche infezione. «Non ti allontanare!». Vito non fece in tempo a emettere un sospiro di sollievo perché la ragazza riaprì la porta. «Devi tenere la maniglia!». «Ma se sono già dietro la porta! Vuoi darti una mossa?». Milly rimase in silenzio ma portò le sue mani sui fianchi. Nuova gara, nuova sfida ma sempre il solito perdente. Vito afferrò la maniglia della porta e sbuffando, la richiuse senza lasciare il pomello. «Beh? Hai finito?». Il mondo tacque e per un attimo temette che la ragazza si fosse sentita male. Pensieri contrastanti si fecero spazio nella sua testa. Quello poteva essere il momento buono per scappare e lasciarsi alle spalle quella pazza da manicomio, ma se la pazza si era sentita poco bene? Era davvero pronto a convivere con altri sensi di colpa? «Non ci riesco!».
Vito sospirò rumorosamente. Stava per perdere la pazienza. Avere a che fare con Milly, era come fare da baby-sitter a un bambino e lui i bambini… Vito aveva sempre detestato i bambini, li aveva sempre considerati mocciosi rompiscatole, produttori di cacca e capricci in quantità industriale. Tutto ciò però, era successo prima che il test di gravidanza di Marianna risultasse positivo. «Mi inibisci!» continuò Milly e grazie al cielo le parole della ragazza riuscirono a scacciare via in tempo i ricordi di quel suo passato non molto lontano. «Quindi?» chiese lui con aria scocciata, anche se in parte le fu grato. Con Milly accanto, aveva pensato sempre meno ai suoi fantasmi del passato e finì per concentrarsi su quel presente alquanto strambo. «Tappati le orecchie!». «Cosa? Bambina, tu sei fuori, lasciatelo dire!». «Ti prego Vito! Tappati le orecchie, altrimenti non ci riesco!». «Se mi tappo le orecchie, sono costretto a non tenere la porta! Quindi dimmi tu cosa diavolo devo fare, ma fa in fretta perché sto per impazzire!». «Tappa le orecchie ma non ti allontanare! Giuralo!». «Lo giuro!» rispose lui controvoglia. Milly lo ringraziò e subito dopo si sentì il rumore della pipì. Vito scosse la testa sorridendo e si allontanò dalla porta del bagno per raggiungere il lavandino e lo specchio. Guardò la sua immagine riflessa. Sembrava uno straccio e di anni ne dimostrava anche più di quaranta forse per via dei primi capelli bianchi che avevano cominciato a invadergli le tempie. Sua madre gli aveva detto che quello era sinonimo di maturità e Vito non aveva avuto il coraggio di dirle che in realtà, erano tutte le preoccupazioni inferte da quella stronza con cui aveva condiviso il letto. Si passò una mano sotto l’occhio, in corrispondenza delle occhiaie violacee che parevano dei lividi, ma non gli facevano male. Aprì il rubinetto del lavandino e senza pensarci due volte, si bagnò la faccia e il capo. La sua schiena fu presto invasa dai brividi, ma non si mosse di un millimetro perché quella sensazione fu a dir poco meravigliosa. Gli sarebbe piaciuto vivere costantemente con la testa sottacqua e cominciò a interrogarsi del perché fosse nato essere umano e non pesce. Forse, se fosse stato un tonno o un delfino, la sua vita sarebbe stata notevolmente migliore, anche se dubitava fortemente che ci fossero dei tonni femmina che rendessero un
inferno la vita del proprio compagno. Non sapeva neppure se i tonni praticassero la monogamia o avessero una specie diHarem subacqueo, lui, dopotutto, i tonni fino ad allora li aveva solo cucinati e mangiati. Con lentezza sollevò la testa e chiuse il rubinetto. L’acqua dai capelli scese sul collo, sul viso e gli bagnò la maglietta. Si passò una mano sui ricci completamente bagnati e proprio in quel momento vide Milly alle sue spalle, nel riflesso dello specchio. Per un attimo si era completamente dimenticato di lei. Si voltò e fece appena in tempo a scansare un calcio che, con ogni probabilità, lo avrebbe centrato in pieno nelle parti basse. «Ti odio!» e cominciò a dirigersi speditamente verso l’uscita del bagno. Lui sospirò ancora e senza sistemarsi, le andò dietro. «Non c’era nessuno nel bagno a parte noi!». «E se fosse arrivato qualcuno?» gridò voltandosi appena e poi riprese a camminare. Le gambe nude si mossero in fretta e a ogni passo i muscoli si contrassero, esercitando un movimento ammaliatore che Vito non poté ignorare. «Dubito fortemente che qualcuno avrebbe potuto farti del male trovandoti seduta sulla tazza del cesso!». «Questo lo dici tu! Non li vedi i telegiornali?». «Cielo, quanto sei paranoica!». «E tu sei uno stronzo!». «Me l’avevi già detto e comunque ti chiedo scusa!». Milly rallentò appena e dentro di sé, sorrise. Era riuscita a strappargli dalle labbra delle scuse. Un uomo che non è in grado di ammettere le proprie colpe con una donna, è un uomo che non merita al proprio fianco una donna. Poi si diresse verso il negozietto dell’area di servizio che fungeva da fast-food e piccolo supermercato; vendevano di tutto, giornali, occhiali per la lettura, patatine e bibite, insaccati sottovuoto e formaggi puzzolenti, gelati confezionati, confezioni di carta igienica o di fazzolettini, preservativi e test di gravidanza, cd musicali e giocattoli per bambini. Milly si fermò davanti allo scaffale delle patatine confezionate e ne afferrò un pacco. «Hai intenzione di mangiare solo quelle schifezze?» le chiese Vito che non molto distante da lei sceglieva il gusto del panino che avrebbe consumato per pranzo.
A furia di guidare e di litigare con lei, il tempo era passato così com’erano passate le due del pomeriggio. Spiegato dunque il motivo per il quale il suo stomaco cominciò a brontolare.
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