Il libro Dopo aver abbandonato la rigida comunità religiosa che l’ha cresciuta, Rachel è determinata a vivere libera e sperimentare tutto quello che le è stato finora proibito, incluso il sesso. Così partecipa a un’asta per scapoli e si aggiudica per una notte Ben Harris, affascinante ed enigmatico agente delle unità speciali antiterrorismo. Ben è abituato a vivere di pericolo e adrenalina, e quando si rende conto che Rachel è vergine si sente invadere dal senso di colpa, e si offre di educarla alla passione, senza impegni di alcun genere. Ma quanto tempo può passare, prima che l’allieva superi il maestro?
L’autrice Dopo studi universitari in storia e letteratura e anni in azienda, Anne Calhoun ha deciso di mettere su carta le idee di storie che le venivano durante le monotone ed estenuanti riunioni di lavoro e il suo primo romanzo ha vinto il prestigioso EPIC Award for Best Contemporary Erotic Romance. Quando non scrive, si dedica a leggere, a fare la maglia e allo yoga. Vive nel Midwest con la sua famiglia.
Anne Calhoun
Una passione come nessun’altra Traduzione di Alessia Di Giovanni
UNA PASSIONE COME NESUN’ALTRA 1 Quando un enorme pick-up nero arrivò a gran velocità e parcheggiò in divieto di sosta di fronte al centro didattico della Silent Circle Farm, Rachel Hill si alzò in piedi. Era tutta la sera che gli acquirenti dell’asta silenziosa e i clienti del negozio in ritardo parcheggiavano in divieto di sosta temendo che scoppiasse un temporale da un momento all’altro. — Me ne occupo io, stavolta — disse. Jess la udì nonostante la barzelletta spinta della banditrice e le risate della folla e annuì. Rachel infilò velocemente gli acquisti di un cliente in un sacchetto... frutta e verdura, prodotti da forno, quattro presine di feltro e un vasetto di miele della fattoria... e lasciò Jess da sola alla cassa. Passò sotto il bordo del tendone e si diresse verso il pick-up. — Scusi — disse, quando l’uomo al volante aprì la portiera. — Non può parcheggiare lì. Come se lei non avesse neanche parlato, un enorme stivale si posò sulla ghiaia. Un tuono pigro e minaccioso rimbombò in quella fredda e cupa serata. Quando svanì, Rachel alzò la voce perché forse l’uomo non l’aveva sentita. — Signore, non può parcheggiare lì.
Senza dire una parola, lui scese e camminò a grandi passi verso di lei. Il fulmine di un tipico temporale primaverile divise il cielo in due, “tanto rumore e tanta furia per niente”, come diceva sempre suo padre. In quel vivido bagliore Rachel studiò meglio l’uomo che stava attraversando il parcheggio. Spalle larghe e gambe lunghe. Stivali neri con i lacci. Pantaloni con i tasconi blu. Una polo blu che gli aderiva alle spalle ampie e alle braccia muscolose. Un simbolo bianco e rotondo ricamato sul pettorale sinistro. Una pistola al fianco destro. Da quei dettagli persino Rachel, che non aveva mai avuto a che fare con un poliziotto o un vicesceriffo, capì che si trattava di un piedipiatti. I suoi denti bianchi brillarono sul viso abbronzato mentre batteva un dito sul distintivo. — Certo che posso — le disse, appena il rombo di un tuono particolarmente forte svanì. Guardò il tendone illuminato che occupava gran parte del parcheggio, poi tornò a puntare gli occhi su di lei. Notò il logo della Silent Circle Farm sulla sua maglietta. — Tu lavori a questa festa? — le domandò. Lei annuì. — Sì. Il mercatino biologico di lana, ortofrutta e miele e l’asta degli scapoli in favore della Gulf Coast Harvest Co-op aveva attirato una certa folla. Il tendone ospitava due dozzine di tavoli occupati da persone che mangiavano carne di maiale grigliata della fattoria Tumbled Stones che stava più giù, sulla stessa strada. Sui tavoli lungo il muro laterale c’erano dei cestini pieni di frutta e verdura fresca. Solo lo spettacolo dell’asta degli scapoli rallentava il passaggio degli ortaggi e dei prodotti biologici dai tavoli ai sacchetti della spesa riutilizzabili che contenevano dei regalini di ringraziamento per gli ospiti che avevano sborsato cinquanta dollari a testa per partecipare alla raccolta fondi. Era una festa. Rachel si chiese se avrebbe mai trovato un posto dove non si sarebbe sentita completamente sola pur tra una folla di persone. — Leanne Gunderson? — La banditrice? — Rachel la indicò sorpresa: era ancora in piedi sotto i riflettori che erano serviti per illuminare gli scapoli. — C’è qualche problema? — Dipende da cosa significa per te problema. Io sono il suo prossimo pezzo di manzo — replicò lui. Rachel batté le palpebre perplessa. Quel sorrisino scintillante brillò e si spense, dopodiché l’uomo posò una mano sulla pistola infilata nella fondina alla cintura e si fece largo a spallate tra la folla, la scritta bianca POLIZIA che spiccava sul retro della maglietta. Come se fosse la prua di una nave che divideva l’oceano, al suo passaggio le donne si scostarono per poi raggrupparsi e sussurrare nella sua scia. Vedendolo in azione, la pancia di Rachel arse di eccitazione. Tornata sotto la luce, lo seguì con lo sguardo nel tendone mentre riguadagnava il suo posto dietro la cassa. Jess, la sua compagna di stanza nella casa dei lavoranti della fattoria, batté gli acquisti di un altro cliente e lei li infilò con cura nella busta. Ma ora era distratta. Il poliziotto parlò all’assistente di Leanne, poi si mise in fila insieme agli altri scapoli. Restò lì, alto, con la schiena dritta, le gambe rigide e le braccia incrociate sul petto. — Perché mai una donna dotata di amor proprio dovrebbe comprare un appuntamento con un uomo? — disse Jess tra un cliente e l’altro. — Questa è la vera domanda. A Rachel vennero in mente un sacco di ragioni. — Parteciperai all’asta? — Forse — rispose l’altra fissando la fila.
La banditrice diede un colpetto al microfono poi si guardò intorno nel tendone affollato. — Ora, gente, è il turno di Rob Strong, proprietario della Silent Circle Farm. Ci ha messo a disposizione questo posto. E gli alcolici. Il pubblico urlò e applaudì. Rob entrò nel cerchio di balle di fieno che serviva da palco. Rasato di fresco, con i capelli biondi solitamente in disordine pettinati alla bell’e meglio, indossava dei pantaloni sportivi e una camicia elegante, la cintura e le scarpe marroni. Sembrava diverso e Rachel pensò che fosse per gli abiti, ma poi si rese conto che accanto a lui non c’era il suo border collie. — Si occupa di agricoltura biologica da dieci anni, ma non preoccupatevi. Non vi metterà al lavoro durante il vostro appuntamento. — La banditrice fece una pausa. — A meno che non siate voi a volerlo... Altre risate. Jess si tese in avanti sulla sedia. Rachel seguì la direzione dei suoi occhi e vide che Rob stava guardando lei, non Jess. Il suo capo le strizzò l’occhio. Colta di sorpresa, gli sorrise prima che lui tornasse a concentrarsi sulla banditrice. A quel punto Rachel gettò un’occhiata al poliziotto che aspettava il suo turno appena fuori dal cerchio di balle di fieno. E scoprì che lui la stava fissando. Ma, diversamente dal gioco di sguardi che si erano appena scambiati lei, Rob e Jess, l’uomo non distolse gli occhi. Il cuore di Rachel batté rapido e arrossì. Era bruno, i capelli folti tagliati corti. Gli occhi, contornati di lunghe ciglia nere, di un azzurro intenso che scintillava sotto le luci del tendone, la fissavano con lo stesso desiderio e consapevolezza di Rob... eppure in modo completamente diverso. Più virile. Rude, con un pizzico di noncuranza. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo e la sua reazione la sconvolse tanto che fu costretta a distogliere gli occhi per prima. Quando ebbe il coraggio di guardarlo di nuovo, lui aveva puntato il suo devastante sguardo sulla banditrice che stava ancora presentando Rob. — Il signor Strong offre una serata a Houston che include una cena e due posti palco a una partita degli Astros. Chi vuole aprire l’asta? — Cinquecento — disse una voce dal fondo del tendone che scomparve nella confusione delle offerte seguenti. Anche Jess partecipò finché restarono solo in quattro, ma poi lei si riappoggiò allo schienale della sedia mentre la vincitrice dell’asta avanzava tra la folla per reclamare il suo premio, un sorriso esultante sul viso. Lo sguardo di Jess era venato di amarezza mentre guardava i tacchi, il vestito provocante, i capelli lucidi e le unghie laccate, ma si congratulò con la vincitrice quando Rob la accompagnò alla cassa. — Bene, signore, l’ultimo scapolo della serata avrebbe dovuto essere Brian Rogers, il fratello del nostro primo partecipante, Troy, il proprietario del Lazy R. Ma Brian è un membro del dipartimento di polizia di Galveston e stasera lavora, così l’agente Ben Harris ha gentilmente accettato di sostituirlo. Il pubblico applaudì con apprezzamento ma anche con civetteria. Harris entrò nel cerchio di balle di fieno e rivolse loro quel suo sorriso smagliante e un lieve cenno del capo. Rachel sentì il chiacchierio delle donne presenti aumentare, l’energia saturare la sala. L’oggetto di tutto quell’interesse se ne stava al centro della scena con le braccia incrociate sul petto, scrutando le facce, guardandosi intorno. Il suo sorriso si spense per riaccendersi di nuovo. Rachel seguì il suo sguardo: in fondo al tendone c’era una bruna che aveva già vinto all’asta uno scapolo, una bottiglia di limoncello tenuta languidamente vicino alla spalla. Squadrò l’agente Harris con un sorrisetto felino. Rachel tornò a concentrarsi su di lui e lo vide battere impercettibilmente le palpebre. Si sporse verso Jess. — Che ne pensi? — Lo conosco. Fa il buttafuori al No Limits, un bar a Galveston, e, quando non è occupato a sedare le risse nel parcheggio, usa l’uniforme per scopare. In più ha anche un’autentica fossetta sul mento — sussurrò. — È un attaccabrighe.
Quindi l’uomo più virile che Rachel avesse mai visto nella sua vita era un attaccabrighe. Una cosa positiva per lei. Come molte poco più che ventenni, Rachel aveva una lista di cose da fare ma, diversamente dalle ragazze della sua età, in cima al suo elenco c’era “prendere la patente” e “comprare una macchina”. Aveva spuntato quei due punti qualche mese prima. Appena aveva capito che il mondo fuori dipendeva da computer e smartphone, acquistare un portatile e un telefono erano subito balzate in cima all’elenco. Riguardo a trovare un impiego e un posto in cui vivere, doveva ancora dedicarcisi seriamente. Per il momento lavorava alla fattoria e divideva una stanza con Jess. Sui punti più importanti dell’elenco, “richiedere una copia del diploma” e “iscriversi a veterinaria”, stava facendo progressi. Okay, si era impantanata. L’e-mail con la domanda d’iscrizione era ferma nella cartella bozze del suo computer pronta per essere spedita. Fare quel passo in un certo senso la spaventava. Stava migliorando permettendosi di sentire, cosa che sicuramente la aiutava a identificare le emozioni che provava, ma sapere perché sentiva una certa cosa e come affrontarla poteva apprenderlo solo con l’esperienza. Jess si alzò per incassare i soldi da una delle poche donne sotto il tendone non concentrata sull’agente Harris. La busta che teneva infilata nella tasca posteriore dei pantaloni si impigliò nello schienale della sedia pieghevole. — Ah, quasi dimenticavo — le disse e tese la busta a Rachel. — C’era questa nella cassetta della posta, oggi. Rachel la prese senza fare commenti. Un’altra lettera su cui il padre aveva scritto in stampatello: DA RISPEDIRE AL MITTENTE. Gliene aveva mandate più di trenta, una a settimana da quando aveva lasciato l’Elysian Fields Community of God, la comunità religiosa in cui aveva vissuto isolata per tutta la vita. Gliene inviava una ogni lunedì, tre o quattro pagine in cui gli raccontava la sua nuova vita, aneddoti divertenti sulle sue giornate alla fattoria Silent Circle. Come si sentiva. Chi stava diventando lontano dall’unica vita che aveva conosciuto. E finiva sempre nello stesso modo. Ti voglio ancora bene, papà. Voglio ancora essere tua figlia. Ti prego, rispondimi. Con amore, Rachel Non gli aveva mai scritto che le dispiaceva per quello che aveva fatto, perché non era così. Ma la sua mancanza di rimorso aveva poca importanza, visto che il padre non solo non aveva mai letto una sua lettera, ma non le aveva neanche risposto. Inspirò profondamente, analizzando la sensazione che le attanagliava i nervi finché non la identificò. Rifiuto, visto il modo in cui la infastidì e per un istante le levò il fiato. Più di trenta lettere respinte nella sua nuova vita e soffriva ancora. Conosceva fin troppo bene quella sensazione, era il prezzo che pagava per aver abbandonato la sicurezza dell’Elysian Fields. Niente la placava. Aveva provato quasi tutto quello che offriva quel mondo: una varietà di cibi etnici, ricchi dessert carichi di zucchero e cioccolato, film che non aveva mai visto, musica che non aveva mai ascoltato, libri che non aveva mai letto. Anche se il sovraccarico emotivo ogni tanto la distraeva, non cancellava mai davvero il dolore che provava per essere stata rifiutata dall’unico genitore che le restava. Lo hai rifiutato tu per prima. Rachel si rilassò contro lo schienale della sedia e si risintonizzò sulle scherzose punzecchiature della banditrice. — Va bene, signore, so che siete ansiose di andare a fare shopping, ma c’è ancora un uomo in vendita, stasera. Scavate per bene nei portafogli per sostenere la Gulf Coast Harvest Co-op e tutto il bel lavoro che fanno per promuovere l’azienda agricola nella regione. Niente di meglio di un uomo in uniforme. — Sì che c’è! — replicò il poliziotto.
Le risate scossero il tendone e raggiunsero Rachel. Il suo corpo reagì prima del suo cervello. Un brivido di eccitazione le scese lungo la schiena, poi arrossì. Raramente capiva le allusioni sessuali. Guardò l’agente Harris scrutare le acquirenti che, quasi senza accorgersene, avanzarono verso il cerchio di balle di fieno. Gli occhi azzurri che sprizzavano intimo divertimento, il sorrisino che gli sollevava un angolo della bocca. Un pensiero proibito si fece largo nella mente di Rachel. Nella tua lista di cose da fare ce n’è una che il mondo offre e che tu non hai ancora provato. — Eccovelo, signore! — proseguì Leanne insinuante. — Chi vuole aprire l’asta? — Ottocento! — offrì la donna bruna in fondo al tendone. — Wow! — esclamò Jess, e Rachel fu d’accordo. Dei dieci scapoli messi in vendita, tre erano stati vinti con molto meno e la prima offerta non aveva mai raggiunto quella cifra. — Ma in palio cosa c’è di preciso? — domandò maliziosamente la donna. Il sorriso di Harris brillò tra le risate. — Ha importanza? Le teste si girarono, come se duecento persone stessero guardando una partita di tennis. — Te lo dirò dopo! — Novecento! — offrì un’altra donna. — Mille. — Mille, bene! — disse Leanne. — Ma aspettate un minuto, signore. Scopriamo cosa offre l’agente Harris. — Sto solo sostituendo Troy, perciò farò qualunque cosa abbia concordato lui — rispose Harris. Non dovette tendersi verso il microfono per parlare, la sua voce risuonò chiara nel tendone. Leanne guardò il suo microfono. — L’agente Rogers ha offerto una cena per due al Gaido e una serata al Pleasure Pier. — Bene per me. — E per me! — replicò la donna bruna. — Mille e cento! — Tu hai già vinto un uomo all’asta! — ribatté una donna nella folla. — Posso farcela — rispose lei senza distogliere lo sguardo da Harris. — Non vedo l’ora — disse lui. Quelle parole risuonarono nella testa di Rachel come un campanello di allarme. Lui. Era perfetto per quello di cui aveva bisogno. Le offerte arrivarono a millecinquecento ma, quando la bruna rilanciò di duecento dollari, la sua rivale scosse la testa sconfitta. — Millesettecento e uno — scandì Leanne. A Rachel il cuore batté all’impazzata. Aveva già superato la parte difficile. Un appuntamento con l’agente Harris sarebbe stato facile perché lui l’avrebbe reso facile; sarebbe stato divertente, delizioso, licenzioso dall’inizio alla fine. Doveva solo comprarlo.
I quattro fogli e la busta le pesarono nella tasca posteriore dei jeans. Quando se n’era andata, mai avrebbe pensato che il padre non l’avrebbe perdonata. Era la sua unica figlia, la luce dei suoi occhi e, benché avesse ogni ragione per essere arrabbiato, aveva pensato che dopo qualche settimana avrebbe ceduto e almeno accettato le sue lettere. Non poteva tornare indietro. L’agente Harris attirò il suo sguardo. Il sorriso che le rivolse, del genere “certo che posso”, era in parte divertito, in parte qualcosa che il suo cervello non decifrò, a differenza del suo corpo. L’eccitazione le sfrecciò lungo i nervi, superando la cappa di piombo che sentiva sul petto. Oh. Se vuoi spuntare qualcosa dalla tua lista, invia il modulo di iscrizione alla scuola per tecnico veterinario. No, fa’ questo! — Millesettecento e due — scandì Leanne con un tono di ammonimento. — Duemila dollari. La voce di Rachel mise a tacere il chiacchierio nel tendone. Come l’umidità prima di un temporale, tutti gli sguardi si appiccicarono al suo viso struccato, ai suoi capelli raccolti in una coda francese, ai suoi jeans semplici e alla sua Tshirt con lo scollo a cucchiaio con il logo della Silent Circle Farm, ma lei non distolse mai gli occhi da Ben Harris. Leanne proseguì tranquillamente la sua tiritera. — Duemila! Ho un’offerta di duemila per una serata con l’agente Harris. Qualcuno offre duemila e cento? Rachel non ebbe bisogno di girarsi per capire la risposta. Trasparì dal modo in cui Leanne drizzò la schiena soddisfatta dell’ultima offerta dell’ultima asta della serata, e dal sorriso di Ben Harris. — Aggiudicato! La folla scoppiò in un fragoroso applauso che coprì le ultime parole di Leanne. Rachel avanzò tra tutte quelle persone e fece quello che avevano fatto le altre vincitrici nel corso della serata. Allungò il braccio per stringergli la mano. — Non toccarmi mentre porto l’uniforme. Lei si irrigidì, poi lui le appoggiò un palmo caldo e duro sulla spalla, le dita forti sulla sua clavicola mentre la guidava non alla cassa a pagare ma tra la folla, nel buio del parcheggio. Si lasciarono dietro il rumore e il vociare delle donne ora libere di fare acquisti e la condusse verso il pick-up da cui era sceso neanche dieci minuti prima. Non staccò la mano da lei finché non furono accanto all’auto. Si appoggiò alla portiera del guidatore e la squadrò. — Duemila testoni? — le domandò, tornando impertinente. — Non so se sarò all’altezza. Duemila cosa? — Non dubito che lo sarai. Di nuovo quel sorrisino, che nascondeva più cose di quante ne rivelava, poi svanì, salvandola da un quasi infarto. Cos’aveva quel sorriso? Era al contempo arrogante, seducente e respingente, con una sottesa tensione che non capiva fino in fondo. Cadde il silenzio, strano viste le risate e il vociare di sottofondo. La studiò in un modo che la costrinse ad alzare il mento e a guardarlo a sua volta. Impossibile che lui lo capisse. Non c’era modo che lo capisse da una semplice occhiata. — Meglio se ci mettiamo d’accordo adesso. — Buona idea — gli disse lei. — Noi siamo aperti il venerdì sera ma il sabato chiudiamo alle sei.
— Non posso nessuno dei due giorni. — La domenica siamo chiusi — gli propose. La domenica, che una volta era il suo giorno preferito della settimana, ora era quello più difficile. Anziché trascorrerla in chiesa, la passava a scrivere la lettera al padre, sapendo che l’avrebbe imbucata il lunedì e che le sarebbe tornata indietro il sabato. — Vengo a prenderti alle sei. — Oh, non è necessario — replicò in fretta. La fattoria si trovava nella valle del fiume ed era molto distante dalla città. — Ho delle commissioni da fare a Galveston. Dopo posso raggiungerti al Gaido. — Per due testoni, dovrei almeno darti un passaggio. Aveva ascoltato troppe volte Jess flirtare con i ragazzi per non sapere come rispondere. — Vorrà dire che mi farai fare un giro dopo cena. Lui stava inserendo l’appuntamento nell’agenda del telefono e alzò gli occhi su di lei, abbagliandola di nuovo con quel suo sorrisino, quel sorrisino pericoloso e malizioso. — Forse non mi spingerò così in là — rispose con uno strano tono scherzoso. Rachel restò a bocca aperta. Lui sbuffò divertito. — Tranquilla, lo farò. Come ti chiami? — Rachel Hill. — Il tuo numero, nel caso succeda qualcosa? Glielo snocciolò e memorizzò il suo nel telefono. L’unica luce era quella dei cellulari sui loro visi, l’atmosfera misteriosa e irreale finché rimbombò un altro tuono e un fulmine illuminò il cielo. Indifferente, Ben digitò sulla tastiera con più abilità di lei. Cogliendola completamente di sorpresa, a un certo punto le prese il viso e le diede un bacio sulla guancia. Rachel restò immobile, sentendo le scintille dell’eccitazione danzarle sottopelle. — Ci vediamo domenica — mormorò. Rachel fece un passo indietro e lui salì sul pick-up, avviò il motore e uscì a gran velocità dal parcheggio. La polvere sollevata al suo passaggio turbinò nella serata calda. Lei tornò dentro e si rimise alla cassa, mentre si congratulavano con lei. Tirò fuori la sua carta di credito e la passò nello scanner. Dietro il tavolo c’era Jess, che stava servendo dei clienti. — Be’, guardati... — le disse maliziosa mentre infilava dei vasetti di marmellata, gelatina e miele in un sacchetto di carta. — Non pensavo fossi il tipo da comprare un uomo, soprattutto un tipo del genere. Rob è più nelle tue corde. Dall’altra parte del tendone Rob la guardò corrucciato. — Cosa intendi? — Rachel digitò duemila sul POS, guardò il display che segnava l’acquisto più importante di tutta la sua vita, poi premette OK. — A Rob piacciono le relazioni dolci e innocenti. L’unica cosa che l’agente Harris ama della dolcezza e dell’innocenza è la possibilità di guastarle. Perfetto, perché lei aveva appena scommesso duemila dollari sul fatto che non andasse in cerca di una relazione, non pensasse che il sesso fosse qualcosa di speciale tra moglie e marito e che non fosse il tipo da richiamare. “Verginale” era la parola che Jess aveva usato una sera, quando tutti i ragazzi erano usciti a bere e Rachel si era
offerta di guidare quando nessuno voleva farlo. La “vergine della Silent Circle Farm”, l’aveva definita scherzosamente senza sapere la verità. Perché Rachel era vergine. Non era mai stata a letto con un uomo. Nessuno l’aveva mai toccata sotto la cintura e nemmeno sotto il collo. Non era mai stata neanche baciata finché Ben Harris non le aveva sfiorato la guancia poco prima e quella fugace pressione e il suo caldo respiro l’avevano incendiata. Ma Jess non doveva saperlo. Lasciare l’Elysian Fields aveva significato non solo riprendere il controllo del suo corpo e delle sue emozioni, ma anche della sua privacy. Voleva provare tutte le esperienze umane e poter scegliere se tenersele per sé. — Rob e io lavoriamo insieme — rispose, ignorando intenzionalmente i commenti sul poliziotto. — E siamo amici. Tutto qui. Ti va di aiutarmi a comprare un abito? Essendo nata a Galveston, Jess conosceva tutti i negozi di vestiti di seconda mano in città, inoltre aveva un occhio migliore del suo su modelli, colori e su cosa sarebbe stato più adatto. — Certo — rispose Jess stringendosi nelle spalle. — Meglio prendere anche della biancheria sexy. Le mutandine di cotone non sono il suo stile. Rachel tornò ad aiutare i suoi colleghi al tavolo della Silent Circle, il ricordo del sorriso di Ben Harris che le balenava nella mente. Poco importava se non era il suo tipo. Non si sarebbe innamorata del primo uomo con cui faceva sesso. Non si sarebbe legata a lui, le era costato troppo liberarsi della sua vecchia vita. Il prezzo era troppo alto per commettere quell’errore. Quel sorriso, però, lo rendeva l’uomo perfetto per perdere la verginità. Rachel non era il tipo da scommettere, ma scommetteva che lui non se ne sarebbe neanche accorto.
2 Era passata una settimana da quella ridicola serata all’asta degli scapoli, una settimana intrisa dei tipici odori che ogni poliziotto sentiva. L’onnipresente profumo “Galveston”, che sapeva di salsedine, crema solare e pesce. Lubrificante, diesel, vinile caldo, i panini all’aglio che aveva mangiato e poi sudato l’ultimo tizio che aveva guidato quell’auto di pattuglia, il leggero odore di olio bruciato che saliva dal motore. Sudore rancido e odore di corpo da stendere un toro a trenta passi di distanza offerti per gentile concessione dai drogati che non si lavavano da settimane nel tentativo di non far trasudare la droga dalla pelle. La paura aveva un odore preciso. Così come la rabbia, l’odio, la collera e la superficialità. Aveva sentito tutte quelle cose e anche di più, ma neppure l’aria fredda che sbuffava dalle bocchette di ventilazione del suo pick-up poté scacciare l’indefinibile profumo che permeava ancora le sue narici. Entrò nel parcheggio del Gaido con solo dieci minuti di ritardo. Non male, dato che solo un’ora prima era in un ufficio minuscolo a prendersi una lavata di capo. Il tenente e il capitano del distretto gli avevano urlato contro così forte da risvegliare i morti seppelliti in Louisiana. Sì, signore, aveva assistito a una rapina in una stazione di servizio, aveva chiamato il 911, poi era intervenuto. Sì, signore, non era in servizio. Sì, signore, era disarmato. No, signore, non aveva la divisa.
Sì, signore, aveva provocato il rapinatore per distrarlo dalla donna che stava proteggendo il figlio piccolo dietro il bancone perché loro potessero fuggire dalla porta sul retro e il benzinaio suonasse l’allarme. E sì, signore, quando il rapinatore aveva allontanato la pistola da lui e l’aveva puntata sul benzinaio, Ben lo aveva stordito con un pugno. Scese dal pick-up e piegò le dita. Colpire la mascella di un uomo, sentirla rompersi sotto il pugno.Maledizione! Una scarica di adrenalina aveva lo stesso sapore del miglior sesso di sempre. Non lo sorprendeva. Chiuse il pick-up, attraversò il parcheggio ed entrò nel ristorante. Il bar sulla destra della direttrice di sala era pieno zeppo, così restò sulla porta e cercò la donna che aveva sborsato due testoni per passare la serata con lui. Quando delle persone si spostarono per raggiungere il loro tavolo, Ben la vide ma rallentò il passo per assicurarsi che fosse proprio lei. Si fermò alle sue spalle, osservando con indifferenza la luce che, colpendo la sua elaborata crocchia di capelli, evidenziava riflessi biondi e castani. Indossava un abito aderente e smanicato lungo fino al ginocchio dello stesso rosso del fondo delle pentole di rame di sua madre. Inspirò. Sì, era lei. — Rachel? Lei si voltò e, per un attimo, vederla lo lasciò senza parole: quella donna non somigliava per niente alla contadina che aveva atteso l’ultimo momento per vincerlo all’asta. Nella luce bassa del bar, la pelle del suo collo e delle sue spalle evocarono in lui calde notti trascorse nel retro di un pick-up, e il suo ombretto trasformava i suoi occhi castano chiaro in due pozze misteriose e feline. Quella combinazione gli fece venir voglia di leccarle e mordicchiarle il collo. Invece le diede di nuovo un bacio sulla guancia, avvertendo la morbidezza della sua pelle abbronzata e sentendola di nuovo restare senza fiato proprio come era successo la sera dell’asta. Il sangue gli scese nell’inguine. Doveva assolutamente scopare quella sera. Se non crollava prima. Aveva lavorato al No Limits fino alle due di notte, poi era andato a una festa per un paio d’ore e aveva dormito per altre due finché la luce del giorno non lo aveva svegliato. Un semplice giro in una stazione di servizio per prendere il caffè e il giornale si era trasformato nell’intera giornata passata al dipartimento con tanto di ramanzina da parte di due poliziotti anziani che a turno gli avevano urlato in faccia. Chissà cosa sarebbe successo quando il tenente della SWAT lo avesse saputo. L’avrebbe pagata cara. Ora, però... Ora aveva Rachel Hill di cui occuparsi. Quando si staccò da lei, Rachel lo guardò con gli occhi sgranati. Si schiarì la gola provando a fare una normale conversazione. — Cosa stai bevendo? — Acqua — gli rispose. Solitamente a quell’ora le donne avevano un cocktail in mano, ma forse era disidratata dopo una lunga giornata passata all’aperto. Ordinò una birra e ne bevve quasi metà prima di tornare a guardarla. Questa volta vide che stava osservando la sua camicia, la stessa che aveva indossato ai matrimoni del fratello e della sorella. Nonostante la giornataccia che aveva avuto, un appuntamento da duemila dollari richiedeva una camicia. Era con quell’abito che probabilmente avrebbero passeggiato per il Pleasure Pier e fatto un giro sulle giostre, che avrebbero ammirato il tramonto sul golfo prima di scomparire nel buio del suo appartamento o in quello di lei. Bevve un po’ della birra rimasta nel bicchiere e indicò il leggio della direttrice di sala. — Vediamo se il nostro tavolo è pronto.
Lei lo precedette fuori dal bar e nell’ingresso, dove altre coppie aspettavano il tavolo. Ben si informò e la hostess tirò fuori due menu di cuoio da sotto il suo leggio e li accompagnò a un tavolo accanto alla finestra con vista sull’oceano. Quando scostò la sedia a Rachel e lei si sedette, Ben cercò di decifrare il suo profumo. A differenza di molte donne, il calore del corpo di Rachel e il suo sudore non erano coperti da nessun profumo, shampoo o crema. Era autentica, come l’aria prima di un temporale. Sapeva di terra calda e aria umida, pericolo e distruzione. Rachel si accomodò, gli rivolse un breve sorriso da sopra una spalla per ringraziarlo di quel gesto di cortesia, si posò il tovagliolo sulle gambe e, mentre lui si sistemava davanti a lei, prese il menu. Anche Ben lo studiò, scelse una costata di manzo nella sezione carni e lo richiuse. — Vedi qualcosa di buono? — Tutto è buono — rispose lei, continuando a scorrere il menu. Arrivò il cameriere, elencò i piatti del giorno, poi chiese se gradivano qualcosa da bere. — Vino? — domandò Ben, guardando Rachel. — Sì, grazie. — Rosso o bianco? — Abbiamo dell’ottimo vino della casa che si sposa molto bene con i medaglioni di carne — suggerì il cameriere. Rachel guardò di nuovo il menu, poi disse: — Gradirei il piatto di pesce. Non voleva essere convinta di qualcosa che non desiderava. Quello gli piacque e le sorrise. — Meglio del vino bianco con quello. Io invece prenderò una costata di manzo. — Un aperitivo? — No, grazie — rispose lei. Ben alzò una mano, fermando il cameriere prima che ricominciasse a parlare. — Stavi guardando qualcosa. Un rossore le imporporò il viso abbronzato e, per un attimo, Ben si chiese se avrebbe avvertito la sua pelle scaldarsi sotto le dita, se le avesse sfiorato la morbida guancia. La luce del tramonto che filtrava dalla grande vetrata sull’oceano la fece somigliare a un crepuscolo autunnale, un’aurea di mistero che traspariva dall’incarnato abbronzato. Aveva pensato che la settimana trascorsa, dalla sera in cui lo aveva vinto all’asta, avrebbe attenuato l’attrazione per lei. Non era stato tanto fortunato. Quella non era una ragazza rimorchiata al No Limits, andare a letto con lei dopo che lo aveva vinto dell’asta gli sembrava inappropriato. Ma, diversamente dalle ultime donne che si era portato a letto, Rachel gli era rimasta impressa. — I calamari — ammise lei. — Allora cominciamo con i calamari. Il cameriere fece scegliere loro il condimento che preferivano, raccolse i menu e scomparve. Rachel allineò le posate, prese un sorso d’acqua, poi giunse le mani in grembo, cosa che lo colpì. — Sei nervosa? Il rossore sulle sue guance passò dal rosa al viola. — Sì.
— Mi sorprende. Volevi uscire con me così tanto da sborsare duemila dollari. Non mordo, tranquilla. Magari più tardi e solo se me lo chiedi tu. — Quella risposta scherzosa, accompagnata da un sorriso, gli venne naturale come respirare e, come prevedeva, Rachel parve rilassarsi. — Raccontami della raccolta fondi. — Giusto. Tu non avresti dovuto neanche essere lì. Perché il tuo amico alla fine non è venuto? Arrivò il cameriere con il vino, lo stappò e ne versò un dito nel bicchiere di Ben. Lui lo assaggiò meccanicamente e annuì, solo allora il cameriere lo versò a entrambi. — Qualche settimana fa sono entrato nella SWAT — le spiegò mentre finiva la sua birra. — Roger invece è stato assegnato ai Vice e lavorava quella sera. Rachel sgranò gli occhi da sopra l’orlo del suo bicchiere. — Siamo stati fortunati che tu ti sia offerto di sostituirlo — gli disse e bevve. — Il fatto è che anche lui voleva entrare nella SWAT ma io l’ho battuto, così Roger ha detto che il minimo che potessi fare era sostituirlo all’asta — le raccontò. — Ma l’asta degli scapoli per cos’era? — Una raccolta fondi per un orto urbano. Rob vuole far partire un’iniziativa, “truck garden”, cioè un orto urbano itinerante. Ieri sera ha tirato su abbastanza soldi da comprare un camion e metterlo a posto. — È da molto che lavori alla fattoria? — le domandò mentre arrivavano i calamari. Accennò verso il piatto pieno. — Coraggio! — I calamari non erano il suo genere, ma ne mangiò qualcuno per gentilezza. — Spero di lavorarci solo questa stagione. — Si versò qualche dorato calamaro fritto nel piatto e vi aggiunse po’ di salsa. — Sono cresciuta in una fattoria ma voglio iscrivermi a una scuola per veterinari e lavorare in un ambulatorio. E tu? Com’è fare il poliziotto? Quella era in assoluto la domanda più comune che gli facevano alle feste, agli appuntamenti e quando era in compagnia. Sapeva per esperienza che nessuno voleva la vera risposta, ma aveva l’impressione che quello che il suo tenente definiva “la stronzata del complesso dell’eroe martire” non avrebbe impressionato neanche Rachel Hill. Si appoggiò allo schienale, il bicchiere di vino in mano, e cominciò: — La scorsa settimana ero in ricognizione e c’era un barbone che spingeva il suo carrello sul marciapiede sullo Strand. Non è una buona pubblicità per i negozi così qualcuno ha chiamato il 911. Sono andato io. Incespicava, forse era malato, più probabilmente era alcolizzato. Mi sono accostato e ho cominciato a parlargli. Puzzava come se avesse fatto il bagno in un barile di birra, ma tremava per l’astinenza perché mi ha chiesto dei soldi per poter bere prima di vomitare. Ho raccolto lui e il suo carrello pieno di buste di roba e l’ho portato al ricovero accanto all’ospedale. L’assistente gli ha chiesto come si chiamava. Lei sollevò le sopracciglia. — Va’ avanti. — Lui si è tirato su e ha detto: “Jesus” — proseguì Ben imitando il tono offeso ed esasperato dell’ubriaco. Come se qualcuno dubitasse che il figlio di Dio si fosse reincarnato in un barbone. Lei sollevò gli angoli della bocca. — L’assistente era abituata a cose del genere e non ha fatto una piega. “Cognome?” gli ha chiesto. “Cristo!” — proseguì Ben, pronunciandolo con lo stesso tono esasperato usato dall’ubriaco, tipo “Sei stupida?”. — “Scritto normale?” gli ha chiesto allora lei. Rachel rise. — Ecco com’è fare il poliziotto.
Lei emise un piccolo verso che poteva essere un “capisco” o solo un “senti senti”. Quando arrivarono gli altri piatti, gli raccontò la storia di una capra scappata dall’ovile perciò Ben mantenne un tono leggero. Nessun riferimento ai rischi, ai vicoli o ai corridoi bui da affrontare senza rinforzi o alla furiosa lavata di capo del tenente per quello che aveva fatto quel giorno. Finirono il vino. Quando arrivò il dolce, le versò quel poco che era rimasto nel bicchiere. Aveva le guance e le labbra rosse per l’alcol, gli occhi leggermente lucidi mentre lo guardavano attraverso il tavolo a lume di candela. Quando vide l’ultimo boccone di crème brûlé scomparire tra le sue labbra, Ben accennò al cameriere perché gli portasse il conto. Era l’appuntamento più strano che aveva avuto ultimamente... be’, era anche l’unico appuntamento che aveva avuto ultimamente. La prima ondata di stanchezza lo travolse. Mancanza di sonno, il calo di adrenalina, l’alcol. Poi, però, tutto scomparve e si chiese cosa avrebbe dovuto fare perché quel rossore le scendesse sul collo e perché i suoi occhi sereni si chiudessero in segno di resa. — E ora? — gli domandò Rachel, quando il cameriere portò il conto. Lui stava per estrarre il portafoglio, si fermò e le gettò un’occhiata. — Tu hai pagato per il Pleasure Pier, ma scegli tu — le disse noncurante. Rachel si morse il labbro inferiore e lo guardò dritto negli occhi. — Vorrei andare da te. Il suo tono, chiaro e basso, azionò il radar di Ben. Quelle parole, infatti, gli parvero quasi forzate ma, in realtà, non gli importava. Questo era ciò che era, ciò che faceva perché poteva farlo. Contò i biglietti da venti e chiuse la piccola pila di banconote nella cartella di pelle, poi si alzò e le tese una mano, guidandola verso l’ingresso e fuori nel parcheggio. — Sono col pick-up — le disse, indicando il suo Ford F 150 nero a doppia cabina. — Stammi attaccata. La piccola Focus verde di Rachel, che aveva delle ammaccature da grandine che neanche il carrozziere avrebbe potuto sistemare, lo seguì nel traffico e, quando giunsero al palazzo in cui abitava Ben, parcheggiò nel posto riservato ai visitatori. Mentre salivano le scale verso il suo appartamento, lei restò in silenzio. Lui accese la luce nell’ingresso, si levò la giacca e la drappeggiò sullo schienale di una delle sedie del tinello. Rachel si chiuse la porta alle spalle. Ben si voltò verso di lei. — Vuoi una birra? — Sto bene così — gli rispose. — Hai cambiato idea? — Riguardo cosa? — le chiese, quasi certo di non aver accettato di fare niente su cui normalmente avrebbe potuto cambiare idea. — Riguardo a spingerci oltre. Mai nella sua vita una donna si era assicurata che fosse in vena di farlo. — Forse — rispose con voce rauca per il divertimento. Rachel tese un braccio accanto a lui per posare la borsa sul tavolo. Quel gesto glielo fece diventare duro all’istante. Lei lo guardò come se non avesse idea di cosa dovesse succedere adesso. La sua esitazione lo divertì e la invitò ad avvicinarsi con un cenno del capo. Il movimento dei muscoli delle sue spalle lo ammaliò mentre il suo profumo di terra e umidità gli saliva alle narici. Desiderio. Lei aveva lo stesso odore del rischio e del desiderio, ma smise di catalogare quei profumi non appena Rachel si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò.
Bocca contro bocca, corpo contro corpo, l’eccitazione gli scese dritto nel sesso. Le avvolse un braccio attorno alla vita, stringendola a sé mentre Rachel gli sfiorava appena le labbra. Il modo in cui il suo respiro gli scaldò la bocca gli solleticò i nervi, spingendolo a volere di più. Prese di più, inclinando la bocca, infilandole la lingua tra le labbra per toccare la punta della sua, leccandole la curva del labbro inferiore. Rachel emise uno stranissimo, lievissimo verso gutturale tra il sorpreso e il soddisfatto. Persino attraverso la camicia e l’abito di lei sentiva il cuore batterle rapido nel petto. — Molto persuasiva — le disse quando Rachel si ritrasse e inspirò tremando. La tenne sollevata sulla punta dei piedi con il braccio, premendole l’erezione contro il ventre. Portava delle scarpe basse, altra stranezza in anni in cui era obbligatorio sfoggiare tacchi vertiginosi, alla “scopami subito”, perciò lei dovette alzare la testa per guardarlo. I suoi occhi misteriosi luccicarono di insicurezza. — Davvero? Non c’era bisogno di dirle che quella sera, tra tutte le sere, lui era una garanzia. Preferì tenerla stretta a sé, studiandole il viso, le labbra socchiuse, la vena giugulare che pulsava. Rachel non flirtò, non lo stuzzicò, non lo sedusse. Non si leccò le labbra. Non si mise in ginocchio per un lavoretto di bocca. Emanava solo un’eccitazione selvaggia e intensa che le ribolliva sottopelle in modo sincero e autentico. Era diversa da qualunque cosa lui avesse mai provato prima. — Sì. — Bene — rispose concisa. — Facciamolo. Perfetto perché la stanchezza che si annidava in un angolo della sua mente minacciava di prendere il sopravvento. Quella sera recitò il suo ruolo facilmente, in modo un po’ aggressivo, un po’ brusco, molto intenso. Le affondò la mano nell’ordinata crocchia di capelli e le inclinò la bocca esattamente come voleva. Le infilò la lingua tra le labbra, avvertì un sapore di vino bianco e crema pasticcera bruciacchiata, poi le baciò la mascella sentendo per la prima volta il sapore della sua pelle. Quando la mordicchiò, Rachel rabbrividì ma Ben non le lasciò andare la testa. Continuando a tenerla sollevata a qualche centimetro da terra, camminò lungo il corridoio e si gettò con lei sul letto. Rachel restò senza fiato quando si ritrovò stesa sulla schiena ed ebbe la stessa reazione quando Ben le insinuò la mano sotto la gonna per accarezzarle la coscia. Le passò il pollice sul monte di Venere, risalendo ancora, quindi chiuse il pugno tra i suoi capelli e le spinse indietro la testa obbligandola a esporre il collo. Le leccò e mordicchiò la gola, scendendo sul generoso décolleté sopra la scollatura del suo abito color rame. — Abbassalo — le ringhiò. Lei batté le palpebre, gli occhi ancora esageratamente felini. Le posò una mano sulla zip sulla schiena perché capisse cosa doveva fare, allora lei si inarcò contro di lui cercando di afferrare la linguetta. La cerniera scese con un suono sordo. Ben strofinò il viso sui suoi seni sodi e pieni e le leccò un capezzolo, levandole di nuovo il fiato e facendole emettere un gemito soffocato, questa volta. Rachel gli sfiorò la vita, facendo una leggera pressione finché Ben non trovò la giusta combinazione di lingua e denti e lei si contorse lentamente sotto di lui. A quel punto lo strinse con più foga e gli tirò fuori la camicia dai pantaloni, sbottonandogliela a partire dal basso. Per risolvere il problema dei troppi abiti tra loro, Ben si inginocchiò sul letto e si sfilò dalla testa la cravatta, la camicia e la maglietta. Con una mano le imprigionò entrambi i polsi sopra la testa e si rese conto di quanto Rachel fosse scompigliata. La crocchia disfatta, i capelli sparsi sul lenzuolo, i seni pallidi su cui spiccavano i capezzoli turgidi e arrossati per i suoi baci. Le era salita la gonna sulle cosce. Gliela sollevò con l’altra mano rivelando delle mutandine di pizzo nero. Gliele abbassò senza distogliere gli occhi dal suo viso.
Quando le infilò le dita nelle morbide pieghe, lei sbatté le ciglia. Le mutandine le tenevano chiuse le gambe ed emise un basso verso di panico, quando Ben la tastò, sentendo che era per lo più asciutta. Sempre fissandola negli occhi, si infilò il dito medio in bocca, lo leccò, poi cominciò a tracciarle dei lenti cerchi attorno al clitoride. Per alcuni lunghi momenti l’unica sua reazione fu rabbrividire dal seno alle cosce, poi la piccola protuberanza si inturgidì sotto le sue dita. Quando scese più in basso per controllare se era lubrificata, sentì che era bagnata. Mentre lei si contorceva al suo tocco, avvolse una gamba attorno alla sua e le si sfregò contro il fianco. Rachel non era pronta. C’era quasi, ma non era pronta. Così le sfilò le mutandine e si sistemò tra le sue gambe. Quando le insinuò una mano sotto il fondoschiena per sollevarle il bacino e leccarla, però, lei si alzò sui gomiti. — No — gli disse. — Voglio solo... Ti voglio solo dentro di me. Qualcosa non andava, le sue strane risposte, la lentezza iniziale e ora tutta quella fretta; ma la sua impazienza suscitò in lui la tipica reazione virile. Si slacciò i pantaloni, se lo tirò fuori, indossò il preservativo e si stese sopra di lei, le mani appoggiate sulle sue spalle, le ginocchia a spalancarle ancora di più le cosce. — Guardami. Rachel sgranò gli occhi ma fece come le ordinò mentre si avvicinava alla sua entrata e la penetrava fino in fondo. Stretta. Maledizione. Così dannatamente stretta, umida, rigida e tremante sotto di lui. Entrò e uscì da lei con gli occhi fissi sul suo viso e il suo corpo sempre più teso. Lei si aggrappò alle sue braccia, gli occhi ferini e indecifrabili, il fiato corto mentre lui la prendeva più vigorosamente, più velocemente. Quando lei chiuse gli occhi, Ben le disse brusco: — Guardami. Rachel gli conficcò le unghie nel braccio e sollevò le ginocchia, avvolgendogli le gambe attorno alla vita. — Ben... — gli sussurrò senza fiato. Mentre la scopava, la frizione le scompigliò i capelli, le ciocche che brillavano alla luce del parcheggio che filtrava dalla finestra. I suoi morbidi seni sobbalzarono a ogni affondo e una bollente ondata di eccitazione gli incendiò le vene. Non era brillo. Neanche un po’. E neppure Rachel. Lei lo stava bruciando vivo. Ricadde su un gomito, le afferrò una gamba e gliela spalancò ancora di più. Lei emise una tremante risata soffocata. Ben cambiò inclinazione ma, mentre lui era a un passo dall’orgasmo, lei no. Ci era vicina ma non stava ancora per venire. Ben non era troppo orgoglioso per non chiedere il suo aiuto, così rallentò e disse: — Dammi una mano, Rachel. Lei gli avvolse la nuca con una mano e gli morse il tendine del collo. Lui si irrigidì, poi però Rachel gli leccò il collo tracciando un caldo percorso fino all’orecchio. — Non fermarti — gli sussurrò e gli morse il lobo. Quella pressione e quella sensazione inaspettate gli attraversarono i nervi, scendendogli direttamente nel sesso. La penetrò un’ultima volta con un lungo gemito gutturale e rabbrividì violentemente contro di lei mentre veniva. Ma Rachel non lo seguì. Tremò sotto di lui, vagando ancora nella terra del quasi orgasmo. — Non intendevo questo, quando ti ho detto di aiutarmi — le sussurrò appena riprese fiato. — Non c’è problema. Il sollievo nella sua voce lo mise sull’attenti, ma c’era una mezza dozzina di ragioni se una ragazza andava a letto con un poliziotto, e venire non era l’unica.
Si sfilò da lei e si sdraiò sulla schiena, levandosi il preservativo. Lo gettò nel cestino accanto al letto e restò fermo lì. La stanchezza lo colpì come un pugno così, quando per un secondo il letto si inclinò leggermente, pensò di essere su una scialuppa di salvataggio diretto al porto. Invece era solo Rachel che si alzava. Che si tirava su la zip dell’abito. Che cercava le sue mutandine nel mucchio di abiti sul pavimento. — Te ne stai andando? Puoi restare... — le disse. — Oh, non posso proprio — gli rispose quando raddrizzò la schiena, del pizzo nero stretto in una mano. Non era uno di quegli stronzi che cacciava via una donna appena il preservativo finiva nel cestino, pensò, accorgendosi troppo tardi di averlo detto ad alta voce. — Sto bene — ripeté Rachel uscendo. — Mi chiudo la porta dietro. Si fermò nel tinello, probabilmente per indossare le mutandine. Udì il fruscio della sua borsa, il tintinnio delle sue chiavi, infine la porta che si apriva. Il più strano appuntamento della tua vita, cazzo. Avrebbe dovuto almeno alzarsi, appendere la camicia, farsi una doccia, ma il letto lo risucchiò. L’ultima cosa che sentì prima di ripiombare nel buio fu la serratura che scattava mentre la porta si chiudeva.
3 Rachel non riusciva a smettere di tremare. Piccoli brividi imprevedibili le scuotevano il corpo dalle spalle alla punta dei piedi. E non sapeva se era perché aveva perso la verginità o per le sensazioni che Ben Harris le faceva provare. Le singhiozzò in gola una risatina incerta. L’ho fatto davvero? Ho guidato davvero da sola per incontrarlo al ristorante senza accompagnatore? Ho davvero bevuto alcol? Ho davvero mangiato con lui, sono andata davvero nel suo appartamento e l’ho baciato? Perché sono stata io a baciarlo per prima. L’ho baciato, l’ho aiutato a spogliarsi, ho allargato le gambe per lui e ho fatto sesso con lui. Sicuramente tutto questo non sarebbe finito nella lettera di quella settimana a suo padre. Ho davvero accolto nel mio corpo un uomo che non è mio marito? E dopo me ne sono andata? L’ho fatto davvero? Era improbabile che raggiungesse l’orgasmo la prima volta, lo sapeva, eppure era stata un’esperienza intensa, viscerale, totalizzante che l’aveva lasciata tremante per la promessa di qualcosa rimasto inappagato. Sempre due passi dietro a lui, rimpianse di non avergli saputo dire di cosa aveva bisogno. Probabilmente era stato un bene che lo ignorasse. Cedere all’orgasmo sommersa com’era dall’energia virile che Ben Harris emanava le avrebbe fatto perdere completamente la testa. L’ho fatto ed è stato bello. Dannazione, è stato bello. Lo farò di nuovo. Lo aveva ingannato. Grazie a Jess e alla sua approfondita conoscenza dei negozi di seconda mano di Galveston. Per tutta la vita aveva indossato camicette con le stampe, jeans o gonne kaki. Tutti abiti che nascondevano le forme del suo corpo e indicavano che, non solo era una donna, ma una donna degli Elysian Fields. Non aveva mai scelto i vestiti per il colore o la forma o perché la facevano sentire in un certo modo. Quell’abito, invece, lo aveva amato fin da subito. Il vivido color rame, la seta morbida, il modo in cui la copriva dalle clavicole alle ginocchia fasciandole
allo stesso tempo il corpo. Un abito di un colore che la faceva sentire sexy, desiderabile. Normale. Solo una donna... che aveva un appuntamento... con un uomo. L’uomo che le aveva preso la verginità senza guardarsi indietro. Ora come ora avrebbe dovuto vergognarsi. Aveva giaciuto con un uomo al di fuori del vincolo del matrimonio, senza avere neppure una relazione con lui. Fondamentalmente era un estraneo. Avrebbe dovuto vergognarsi, invece guidò nella notte verso la fattoria sentendosi semplicemente arrabbiata. L’avevano tenuta lontana da tutto quello. Il padre, il pastore, tutti i maschi della comunità, le donne che la guidavano e le insegnavano l’avevano tenuta lontana da quella cosa intima, vibrante e scioccante, e lei ne era furiosa. Oppure, forse, in lei riecheggiava ancora un po’ dell’energia di Ben, prolungando le sensazioni che coinvolgevano delle parti del suo corpo a cui non aveva mai pensato prima che ne diventasse pienamente consapevole. Mentre si lasciava alle spalle le strade illuminate di Galveston e imboccava la statale a due corsie, il lieve formicolio ai capezzoli graffiati dai denti di Ben svanì, ma il dolore tra le gambe non scomparve. Il tempo, il buio e la solitudine le offrirono l’occasione di metabolizzare quello che era successo. Le pulsavano le labbra per la pressione della bocca di lui. Le aveva dato dei baci potenti, esigenti. Potenti come il suo corpo che aveva solo intravisto... la pelle morbida tesa su muscoli, tendini e ossa. Non aveva mai visto un’erezione sporgere fiera e gonfia dal nido di peli castano scuro dell’inguine di un uomo, e sicuramente non aveva mai sentito il sesso di un uomo farsi largo dentro di lei. L’accesso a internet era severamente controllato all’Elysian Fields e questo le aveva impedito di approfondire quello che potevano fare uomini e donne insieme, ma saperlo e provarlo erano comunque due cose diverse. Era stato un atto disinvolto e violento in un modo che non si aspettava... il modo in cui l’aveva tenuta ferma mentre la prendeva, il modo in cui i fianchi di lui le avevano sbattuto contro l’interno coscia. L’aveva presa come gli piaceva affondandole le mani tra i capelli, allargandole le gambe con i fianchi, scivolando nel suo copro con il suo membro. Era stata un’esperienza indescrivibile e incomprensibile. Ma l’aveva intrigata perché quel tocco brusco l’aveva avvolta come spire calde. Si era sentita accaldata, dolorante e bisognosa, aveva provato una misteriosa esigenza di aggrapparsi a lui mentre si muoveva. Era stata un’esperienza sua. Solo sua. Autentica. Reale. Non filtrata dalle descrizioni sussurrate delle anziane, o dalle decisioni o dalle aspettative degli anziani. Sua e basta. Superò l’entrata principale della fattoria e svoltò nella stradina sterrata che conduceva al parcheggio dei dipendenti e alla casa in cui abitavano coloro che lavoravano stagionalmente alla fattoria. La macchina di Jess non c’era ancora e neppure il furgone dei ragazzi che si stavano laureando alla Texas A&M. Sopra la porta della casa era accesa una lampadina. Rachel scese dall’auto e trasalì, ma in cucina e in salotto non c’era nessuno per notarlo. Si affrettò nella stanza che condivideva con Jess, si levò il vestito e indossò la vestaglia di cotone, poi prese il necessario per la doccia e andò in bagno. I raggi della luna piena entravano dalla finestra, illuminando le pareti di pino e il linoleum consumato della stanza. Entrò nella doccia e restò lì per un attimo, la testa gettata all’indietro, gli occhi chiusi, lasciando che l’acqua calda scorresse sul suo corpo. Versò del sapone sulla spugna e si lavò il trucco dal viso, poi versò dell’altro sapone e si pulì delicatamente la pelle dolente tra le gambe. Sulla spugna rimase una macchia di sangue che svanì sotto lo spruzzo d’acqua. Si asciugò, si infilò la camicia da notte dalla testa, poi finalmente prese coraggio e si guardò allo specchio. La sua faccia, gli enormi occhi castani, gli zigomi alti, il mento squadrato e la bocca piena erano quelli di sempre. Non sembrava diversa. La cosa più preziosa che una donna possedeva, secondo il pastore e le altre figure autoritarie della sua vita, la cosa che valeva più dei rubini, più dell’oro, era scomparsa per sempre e tutto quello che provava era il desiderio di ripetere l’esperienza.
Quando Rachel rientrò nella loro stanza, Jess era seduta sul letto con la maglietta che usava per dormire. — Ehi — le disse curiosa. — Com’è andata? — Bene — rispose lei. — Il ristorante era eccellente. — Sei uscita con un eroe, sai? — Sì? Credevo avessi detto che è un attaccabrighe. — Forse è tutte e due. Oggi è incappato in una rapina in una stazione di servizio. Il rapinatore aveva una pistola e l’agente Harris, che lavora al dipartimento da otto anni e che ora è entrato nella SWAT — raccontò l’amica, mimando il tono del telegiornale — lo ha colpito. Il rapinatore teneva sotto tiro tre ostaggi e il tuo cavaliere gli ha mollato un cazzotto come fosse in un film! Il video sta girando su internet. Oh. Oh, oh, oh. E invece lui le aveva raccontato di quel povero barbone. Fece una risatina. Sfumature. Il suo “attaccabrighe” aveva delle sfumature inaspettate.
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