Voce dall’ombra Trilogia Essenze I
Marta rei
Romanzo
Voce dall’ombra Copyright © 2015 Marta Rei Cover art and design by © Manuela Castaldo All rights reserved.
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questo libro è un'opera di fantasia. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi e località è puramente casuale.
Pagina facebook autrice: https://www.facebook.com/Marta.Rei.romanzi
Dedicato a voi lettori, grazie per aver dato una possibilità a questo romanzo.
Capitolo I: Lui
Lui mi guardava, come facessi a saperlo, quello non avrei potuto definirlo con certezza. Nell’oscurità mi sembrava di sentire i suoi occhi su di me, carichi d’aspettativa. Io, però, non sapevo cosa fare; io, ero abituata a tutt’altro tipo di vita. Non avevo mai avuto a che fare con un uomo nell’intimità e lui era molto più di questo: uno sconosciuto, mi venne chiaro in mente, nessuno di cui potessi fidarmi, nessuno con cui scambiassi due parole durante la giornata. Era buio fitto là dentro, perciò mi accostai alla parete dietro di me, per avere un contatto con qualcosa di solido. Inutile. Mi avevano gettato nella tana dei leoni: “Se vuoi rimanere, allora devi accettarne le conseguenze,” così mi era stato riferito. Non c’era altro posto in cui potessi andare, ero sola, senza un padre e una madre, quel teatro era la mia unica casa. Avevo paura del futuro, non volevo ritrovarmi in mezzo a una strada a chiedere l’elemosina per sopravvivere, perciò… meglio quello.
Si trattava di una notte, una sola notte di sesso, in fondo. Potevo farcela, non era difficile: il sesso era facile, bastava non pensarci troppo e sarebbe passato presto, come tutto il resto. Sentivo parlare di sessualità da quando abitavo all’interno della struttura teatrale, il mondo dello spettacolo era il luogo perfetto per far emergere il vizio della lussuria; vedevo coppie di ogni genere ed età sbaciucchiarsi o fare altro proprio di fronte a me, incuranti della presenza di una ragazzina già invisibile. Era facile, mi ripetevo, facile come bere un bicchier d’acqua, e poi avrei potuto lasciarmi alle spalle i timori e continuare a vivere ogni giorno come avevo sempre fatto. Semplice, dovevo smetterla di farmi paranoie. «Vieni» mi interpellò una voce. Maschio, senza ombra di dubbio. Il tono era gentile, ma deciso, non avrebbe accettato un mio diniego, perché – ero stata avvertita –, quell’uomo, ora nella stanza con me, non era qualcuno con cui potessi giocare a mio piacimento. Si trattava di una persona pericolosa, da non sottovalutare. Chi fosse, non mi era dato saperlo, ma il fatto che non riuscissi a vederlo era un buon modo per difendermi dal suo sguardo e dalla verità di quella situazione scabrosa. A vent’anni avevo capito che la vita era parecchio ingiusta e quindi non mi facevo più domande di alcun genere, lasciavo agli altri il timone e io mi facevo sbatacchiare, in balia delle onde. «Vieni, dai» ripeté, ma non era stufo di aspettare, semplicemente desideroso di approfondire la nostra “conoscenza”. La voce suonava baritonale e ben modulata. Forse era un cantante lirico. Sentii una goccia di sudore freddo scivolarmi sulla tempia. Be’, non era un buon inizio. Strinsi forte i lembi della vestaglia rosa. Odiavo quel colore, ma avevo pensato che non sarebbe servito a nulla stare tanto a ragionare su cosa infilarmi addosso, visto e considerato che avremmo fatto sesso al buio. «Ti aspettavo» continuò lui e un brivido di timore mi corse lungo la schiena. Era sbagliato. Quella persona era un mostro che voleva mettere le sue mani sporche di me. Poteva essere un sessantenne, oppure un assassino, io non lo sapevo,
ma, se aveva fatto una richiesta come quella di avermi, non poteva considerarsi un uomo per bene. «Non parli?» insisté. «M-mi scu-scusi tanto» balbettai. Per ore, prima dell’orario stabilito, mi ero imposta di non farmi prendere dal panico. Avevo fatto i gargarismi col collutorio e impegnato la mia voce in esercizi per non farmi spaventare da lui. Ecco com’era finita, mi sentivo una micetta terrorizzata di fronte alle fauci di un’enorme bestia indistinta, pronta a mangiarmi. «Avvicinati, non voglio farti del male.» Quella poi… mi avrebbe solo scopata senza rimorso. Il genere maschile aveva proprio una strana concezione del male, ma io non volevo stare a polemizzare, per quanto fossi tentata di farlo. Dovevo essere remissiva, attendere che tutto finisse, da brava ragazza. Me ne sarei rimasta ferma mentre lui si prendeva da me ciò che voleva, mentre lui si infilava dentro me e si muoveva come un forsennato. Chissà perché, poi, gli uomini si muovevano così veloci dentro il corpo di una donna. Avevano forse tanta fretta di finire i loro sporchi comodi? Mi mossi. Con quale forza, non sapevo, ma lo feci, un passo avanti all’altro, un piede fermo a contatto col pavimento freddo. Andai, però, a sbattere contro qualcosa di duro, persi l’equilibrio e caddi su una morbidezza imprevista. Capii che si trattava di un letto. L’incubo stava diventando realtà. Deglutii saliva amara, come veleno, scese nella gola e mi fece venire mal di stomaco. Dannazione, non era così che avevo previsto tutto. Volevo fosse più facile, ce l’avevo messa tutta per crederlo. Poi lo percepii, il suo tocco. Come se avesse saputo fin dove potersi spingere, lui mi sfiorò il polso e appoggiò il palmo della mano sul mio, riverso sul letto dopo la caduta. «Ho pensato fosse più comodo per te.» Ma che carino! Si era premurato di far portare un letto, per non farlo proprio in piedi come gli animali. Mi portai prona, rannicchiandomi su me stessa, per proteggermi. La sua carezza bruciava sulla mia pelle. Il fuoco mi avrebbe danneggiata di meno se fossi caduta nelle fiamme.
La voce, tuttavia, quella non era male. Ero abituata ad ascoltare voci, si alternavano sul palco del teatro, perciò capivo quando incontravo una bella sonorità, un tono profondo e carismatico. «Sento la tua paura» mormorò. E io il suo desiderio. Non mi aveva ancora accarezzata, ma era così forte la sua ansia di avermi da permeare l’intera stanza. Una piccola parte di me ne era lusingata, forse perché in ogni donna esisteva un inconscio desideroso di riceve apprezzamenti dal genere maschile, mentre il resto di me era immobile, dalla punta dei capelli a quella dei piedi: ero paralizzata. Un passo falso e la mia vita sarebbe andata in pezzi. «Mi prenderò cura di te. Ti piacerà, piace a tutte.» Interessante. Quindi era anche un habitué del giochino macabro in cui ci saremmo cimentati. Bravo! Arrivò. La sua mano, per aiutarmi ad alzare il capo. Le dita si persero nei miei lunghi capelli e li strinsero. Mi parve di sentire i suoi pensieri quando chiuse una ciocca folta nel pugno: mi avrebbe volentieri sbattuta al muro così, prendendomi per la folta massa serica, e iniziando a fottermi. La parola volgare mi fece inorridire. Mi aveva parlato? No, non aveva aperto bocca, ma io l’avevo sentito lo stesso. Avevo captato il suo desiderio e, per questo, il mio corpo era un fascio di nervi tremanti. «Non tremare» disse lui. «Non succederà niente che tu non voglia.» «Non volevo questo» replicai, flebilmente. Ma lui sì, per questo non mi rispose. Mi prese per le spalle e, con una spinta, riuscì a farmi sollevare. Il mio cuore batteva ovunque, persino le pareti attorno a noi pulsavano a ritmo di quell’organo impazzito. Ero sicura, anche lui poteva sentirlo, ma lo ignorava, perché non desiderava avere problemi con la sua coscienza. Se l’aveva, una coscienza. «Luce…» mi chiamò. Sapeva anche il mio nome. L’aveva mormorato. Era stato un attimo, come un battito d’ali, ma aveva rimbombato dentro me e peggiorato la mia ansia.
Le dita maschie ripresero ad accarezzarmi i capelli. Guardavo il vuoto, davanti a me, perché non c’era appiglio a cui aggrapparsi; nemmeno chiedere pietà sarebbe servito a qualcosa. Il suo fiato mi sorprese all’altezza del collo. Il respiro dell’uomo era regolare, controllato, e questo placò un po’ l’angoscia in me. Non era ancora pronto per saltarmi addosso e prendersi ciò che voleva. Forse, forse… «Non pensare di poter uscire da qui senza avermi dato ciò che voglio» sussurrò. Bugiardo. Aveva detto poco prima che non sarebbe successo niente se non l’avessi voluto io. Era stato un modo per tenermi buona. Gli dovevo dare atto che, per un attimo, la speranza era perfino nata dentro di me, morta con la sua ultima frase. «Mi farà male?» Ora sì che apparivo come una bambinetta piagnucolosa. Ero una donna, non più la ragazzina sola e timorosa della vita di quattro anni prima, quella orfana, disprezzata da tutti perché uno scarto della società. «Non se starai ferma» rispose. Quindi dovevo attuare il mio piano. Mi gettai supina sul letto e aprii la vestaglia. Chiusi gli occhi e aspettai. Speravo fosse una questione di pochi minuti, una botta e via, come avevo sentito dire, ma lui sembrava volersi prendere tutto il tempo del mondo. «Potresti,» Mi schiarii la voce, «potresti sbrigarti?» Mi congratulai con me stessa per il coraggio. Avevo preventivato di dirglielo appena entrata, ma mi era passato di mente: la paura aveva preso il sopravvento sull’audacia. «No» ribatté. Girai la testa da un lato, verso la direzione da cui era arrivata la risposta secca. Aveva fegato, però, per rispondere in quella maniera a una donna inerme. La sua bocca si avventò si me, proprio mentre stavo per aprire la mia e dirgli di smetterla di spaventarmi. Le labbra toccarono le mie, socchiuse, e la sua lingua sbatté contro i miei denti.
All’inizio mi ribellai. Venne istintivo. Sollevai le braccia e spinsi per allontanarlo da me; dovevo cacciarlo via per proteggere me stessa. Mi resi conto di avere le sue spalle sopra di me, torreggiavano, pronte per sopraffare una ragazza indifesa. Le mie mani si appoggiarono a un corpo solido e teso, duro come la roccia. Sgranai gli occhi, sconvolta, ed emisi un gemito meravigliato: non me lo aspettavo. Ero convinta che fosse un vecchio. Perché un uomo giovane avrebbe dovuto prendersi la briga di perpetrare un ricatto per avere una ragazza? Invece… Scesi con le dita sulla schiena, per tastare e verificare di non essermi sbagliata. La pelle era liscia sotto i polpastrelli. Fino a dove riuscii a toccarlo, non c’era niente di flaccido. Annusai l’aria, sperando di non sentire il puzzo del suo sudore, ma niente. C’era un vago profumo di colonia maschile e dopobarba. «Baciami» mi impose. «Eh?» risposi, confusa. Era giovane! Oddio, non un maniaco decrepito. Cercai il suo viso nell’oscurità. Era steso vicino a me, le vibrazioni del suo corpo mi parlavano di pulsioni represse. «Chi sei?» gli domandai. «Quello che ti scoperà per la prima volta» disse. Oh, senza ombra di dubbio, ma non intendevo quello. Arrossii e ringraziai la mia buona stella di non poter essere vista. Avrei fatto solo la figura della sciocca. Le labbra si posarono di nuovo su di me, questa volta sulla scapola. Abbassai il mento, per riuscire a decifrare qualsiasi cosa che lo riguardasse. Risalì sulla spalla, poi i nostri respiri si fusero. Stavo respirando lo stesso ossigeno di un uomo perverso. La gola si chiuse e il mio stomaco si ribellò, brontolando nel silenzio circostante. Lui non rise, né fece commenti su quella mia reazione fisica. Mi baciò ancora, pretendendo una risposta, ordinando al mio corpo di dargliela, e io replicai con un assenso. Era più forte di me. Non era il caso di reagire male a quell’invasione, sarebbe stato un tentativo inutile, perciò schiusi la bocca e gli permisi di avere ciò che desiderava. «Hai una bella bocca, carnosa» mi disse, poco prima di riprendere fiato.
Mi aveva mai vista? Forse tra i corridoi del teatro, prima di uno spettacolo. Era uno dei ballerini della compagnia? Uno degli attori che si alternavano sul palco? La domanda rimaneva, l’interrogativo non aveva soluzione. «Ah!» sbottai quindi, quando qualcosa di umido si appoggiò sul mio ventre. Si era messo a cavalcioni su di me. La mano sul mio stomaco pesava, ma la mia attenzione era attirata da altro: quello, quello… tossii, perché la saliva mi era andata di traverso. La sua erezione mi pungeva sull’ombelico e i suoi umori stavano lasciando traccia su di me. «No» bisbigliai. Non era previsto questo. Pensavo che mi avrebbe aperto le gambe e si sarebbe concesso un prolungato orgasmo dopo una corsa forsennata e piena di sudore. Invece stava accadendo l’impossibile, l’assurdo: lui voleva giocare con me. «Bastardo!» urlai e alzai un braccio per colpirlo. Lo presi, con tutta la forza di cui ero capace, ma non riuscii a smuoverlo di un millimetro. Era forte, sì, lo era. «Ti piacerà» commentò ancora. «Vaffanculo» proruppi tra i denti. «Un po’ tardi per i ripensamenti, non trovi, Luce?» Stronzo. Laura mi aveva assicurato che sarebbe successo tutto in fretta, ma cosa poteva saperne lei, abituata alle sveltine nei camerini con uomini simili a capre. Grugnivano come maiali mentre la penetravano. Da ragazzina mi nascondevo per non essere vista mentre lo faceva con uomini improponibili; lei era la mia unica amica, trascorrevamo insieme le serate dopo gli spettacoli, perciò lo sapevo. «Lasciami, preferisco la strada.» La consapevolezza di ciò che avevo appena detto, mi fece rimanere con l’animo sospeso sopra di me. Se ora mi avesse cacciata, la mia esistenza sarebbe finita. Io volevo soltanto un posto da chiamare casa. Non si fermò, perché era eccitato. Gli uomini con un’erezione come quella non si bloccavano davanti a una stupida bambina lagnosa, ma continuavano e si divertivano
a violentarla. Ero spacciata. Se quello sconosciuto fosse stato un malato di mente qualsiasi, avrebbe potuto persino picchiarmi e ridere delle percosse, prima di fare sesso con me. Invece lui risalì con la sua eccitazione fino al mio seno. Le sue cosce mi stringevano sopra la vita, in modo che non potessi scappare. Mi afferrò la mano e la guidò su di sé. «Sì, lo so, preferiresti scappare da me. Io ti faccio paura» sussurrò e il mio cuore fece una capriola, due, tre, mille. Persi il conto. Le mie dita si chiusero attorno a quello spessore, mentre si muoveva piano tra i miei seni, su e giù. Avrei potuto prendermi una rivincita e fargli male, male sul serio, un bel colpo ai testicoli e lui sarebbe quasi svenuto dal dolore. Non lo feci. No, non lo feci! Avrei dovuto, ma un lato di me era incuriosito da ciò che toccava. Ero anche io una donna, non avevo mai toccato un uomo così, ma spesso avevo desiderato farlo. Quando vedevo i ballerini indossare quelle strette calzamaglie, mi domandavo sempre come sarebbe stato tastare i loro magnifici corpi. Le donne mi erano indifferenti, sapevo com’era fatto un paio di tette, le avevo anche io, ma i maschi erano diversi, mi attirava la loro profonda differenza. Quello sopra di me, che mi bloccava, non era un uomo qualunque, e forse avrei potuto trarre beneficio dall’esperienza. Non tutti i mali venivano per nuocere, no? Perciò non mi ribellai alla sua imposizione. I polpastrelli scivolarono lungo la dura lunghezza e si fermarono alla base. Ripercorsi da sola il tratto inverso fino alla punta. Un organo insolito e notevole. Chissà perché gli uomini ne erano dotati e le donne no, un motivo stringente doveva pur esserci. Non un suono strano venne dalla sua bocca, niente gemiti esagerati o brontolii colmi di piacere. Persino il respiro era ancora regolare. Quell’uomo doveva avere un controllo incredibile su se stesso. Mi lasciò fare e io circondai lo spessore intero con il palmo. Tutto qui? Io credevo fosse più pericoloso. Lui ridacchiò. Bene, se stava ridendo di me, avremmo dovuto mettere in chiaro alcune cosette per andare d’accordo. «Curiosa?» mi chiese. «Niente che non possa risolvere» borbottai tra i denti.
Scoppiò a ridere. Proprio così, lo sconosciuto rise e si negò alla mia mano. Si allontanò da me e iniziò a baciarmi l’incavo tra i seni. Protestai. Desideravo ancora il suo sesso, l’avevo appena sfiorato. «Fa’ silenzio un attimo» mi intimò. Roteai gli occhi verso l’alto, anche se non potevo vedere nulla. L’atmosfera tra noi era mutata. Non c’era più timore e lo sconosciuto si stava prendendo libertà che io gli avevo concesso. Una sorta di mutua tregua. «Il buio è dalla nostra parte, sfruttalo per soddisfare le tue fantasie. Sarà divertente» mi propose mentre la sua bocca si chiudeva su un mio capezzolo. Mi irrigidii, convinta che sarebbe stato doloroso, invece no, non c’era niente di male in quello, anzi… un formicolio piacevole invase il piccolo seno e si diramò fino allo stomaco, poi più giù, sulla pancia. «Bello» mi sfuggì. «Lo so» commentò. Dedussi una certa arroganza in lui, ma non mi dispiaceva. Se non fosse stato sicuro di se stesso, a quell’ora forse io sarei già scappata via e non avrei potuto conoscere quell’aspetto piacevole delle carezze. Mi sollevai sulla schiena per raggiungere i suoi capelli. Lo annusai ancora. Niente puzza. Affondai le dita in una massa morbida e liscia, mentre lui continuava il suo lavoro certosino su di me. Non mi fermò quando mi presi la libertà di toccarlo, perciò seguitai la mia ispezione alla scoperta dell’estraneo. Gli accarezzai la schiena. I muscoli tesi del dorso si tesero ancora di più sotto il tocco delle mie dita, parvero quasi guizzare, e io capii: non c’era bisogno una laurea in scienze motorie per comprendere che quell’uomo possedeva un corpo mozzafiato. Per questo scesi a toccargli il sedere e lo scoprii altrettanto sodo. Con le dita disegnai cerchi concentrici su quei glutei e mi fermai nello spazio tra le natiche, scendendo verso la parte frontale. Accarezzai i testicoli e mi parve di sentirne l’odore acre. In passato avrei vomitato nell’immaginare il profumo della pelle d’un uomo, quello che lo rendeva maschio, invece ora mi accorsi di esserne perfino eccitata. «Soddisfatta, piccola?»
Solo allora mi accorsi della sua immobilità. Si era fermato per permettere a me di esplorarlo. «No» ammisi. Sollevai l’altra mano e la poggiai proprio sulla punta della sua erezione, poi proseguii in lunghezza. Oh, cavolo, quello sì che poteva dirsi un uomo dotato. «Cazzo!» mormorai. La mia femminilità tra le cosce ebbe un sussulto e la sentii formicolare a causa di una non ben nota nuova emozione. «Sì» rispose lui, divertito. «Il termine è quello giusto.» Avvampai d’imbarazzo quando mi fece notare quel dettaglio. Lui sapeva di certo come comportarsi con una donna, non era uno sprovveduto, e il suo sarcasmo mi faceva sentire una sciocca. Di fatto, lo ero, alla sua mercé ed era proprio quello a eccitarlo fino al limite. Si stese accanto a me; sentii il suo respiro sulla mia pelle, mi alitava sul braccio. Era alto? Basso? E i suoi occhi? La sua bocca? Mi voltai su un fianco, e di nuovo allungai la mano per accarezzarlo. Arrivai al suo viso, che era vicinissimo al mio. «Cosa fai?» mormorò. «Ti tocco». La mia voce era appena un sussurro, ma fu chiaro a entrambi che fosse roca. La guancia era ruvida, perché un filo di barba stava ricrescendo sul viso squadrato. Avevo soltanto il tatto per soddisfare la mia curiosità e mi scoprii ansiosa, non più intimorita, di intuire come fosse fatto. I polpastrelli gli sfiorarono il naso, percepii una lieve gobba, poi risalii verso gli occhi: erano chiusi. La fronte spaziosa era corrugata, come se lui non si aspettasse affatto di essere toccato. «Basta giocare» bisbigliò, infastidito, e io deglutii. Per me quello non era un gioco, ma evitai di dirglielo. Sentii un rivolo di sudore scendermi tra i seni, mentre il suo corpo si piegava di nuovo sul mio. Questa volta lo sentii nella sua interezza: era più alto di me. La sua eccitazione si premette sul mio stomaco e scese a sfiorarmi i peli pubici. La saliva si fermò nella mia gola, mentre lo sentivo spingere contro di me.
«Hai la pelle morbida come l’avevo immaginata» sibilò. Non riuscii a rispondergli. Aprii la bocca per parlargli, ma lui me la tappò prima che potesse uscirne un suono. Le sue labbra erano lisce e asciutte. Venni colta da un secondo di panico, perché non sapevo con quanta forza mi avrebbe baciata, tuttavia non fu violento. La sua bocca si modellò alla mia e pretese una risposta spontanea, ma la chiese con coercizione, costringendomi a dargli ciò che voleva. Come ci fosse riuscito, non lo capii in quell’istante, ma la mia lingua saettò contro la sua e il suo gusto mi piacque. Il suo sapore mi fece venire l’acquolina in bocca, per questo non mi fermai e replicai con altrettanto slancio. Una breve smorfia compiaciuta si impresse sulle labbra sconosciute, prima di ritornare a concentrarsi su di me e aumentare il contatto. Era orgoglioso di aver ottenuto il bacio che voleva, perché così anche il resto sarebbe stato semplice strapparlo senza colpo ferire. Fu un turbinio di sensi, con la sua lingua riuscì a farmi eccitare: si strusciava contro la mia, poi si ritirava per tornare a infilarla nella mia bocca. Il gesto, premonitore di altro, a ogni colpo era una stilettata liquida tra le mie cosce. «Ci sei, piccola, brava» mormorò, interrompendo l’effusione. La sua mano scese ad accarezzarmi lo stomaco e poi più giù. Si insinuò tra le mie gambe e io pensai di non doverglielo permettere. Fu un flash di razionalità che scomparve non appena il suo dito mi toccò il clitoride. Ero bagnata fradicia. «Oh, Luce» sospirò. «Lo sapevo, l’ho sempre saputo.» Deglutii, terrorizzata dalla reazione del mio corpo. La fisicità non era il mio forte con la gente, non ero tipa da baci e abbracci con tutti, mi reputavo schiva e indifferente, guardavo gli uomini sempre di sfuggita e mai in viso, perciò considerai traditrice una reazione tanto diversa da me. Mi odiai. «No, non farlo» sussurrò lui. «Non irrigidirti.» Chi, chi gli aveva donato una voce tanto carezzevole? La immaginai cantare sul palcoscenico e mi venne la pelle d’oca. Sciolse ogni mia resistenza con il suo tono baritonale e io sentii le sensazioni piacevoli sul mio corpo acuirsi: tremai. Il respiro di lui si fece finalmente irregolare. Chinai il capo di lato, quando mi accorsi di quel nuovo particolare, cercandolo con gli occhi, dimentica di non poterlo guardare. Strinsi le palpebre, sfidando il buio, ma invano.
«Pensa a me, pensa a quanto ti piacerà essere fottuta da un estraneo. Ti senti? Sei bagnata» iniziò a bisbigliare. Detestare e bramare allo stesso tempo, ora ne capivo il senso. Mi sentivo sporca, ma eccitata; mi sentivo depravata, ma sensuale. Strinsi le labbra per non rispondergli, perché sapevo che la replica sarebbe stata un timido gemito di piacere. Mi vergognavo. «Girati a pancia sotto» mi ordinò. Lo feci. Nascosi il viso sul morbido copriletto e mi limitai a permettergli ciò che voleva, con la scusa che avrei sopportato in silenzio per il benessere del mio futuro. In realtà ero tesa fino all’estremo, perché desideravo su di me le sue carezze proibite. Riprese con il dito indice a titillarmi e farmi godere. Ero gonfia, perciò non impiegai molto ad avere il primo vero orgasmo della mia vita. Tante piccole scariche di piacere mi inondarono e venni con le palpebre spalancate, meravigliata che fossi così reattiva a lui. Proprio mentre pensavo che stesse per interrompersi, lo sconosciuto si chinò su di me, sentii il suo petto premersi sulla mia schiena. Un mugolio mi sfuggì dalle labbra. Lui parlò. «La mia piccola» mi soffiò sull’orecchio. «Rimarrà un segreto tra noi due, nessuno lo saprà mai.» La punta umida della sua erezione strusciò tra le mie natiche, ma il languore che provavo dopo essere venuta non mi permise di reagire: ero rilassata, pronta per venire presa da quell’uomo. Lui lo sapeva e ne percepivo l’orgoglio tutto maschile, quasi si aspettasse un diverso tipo di esperienza e fosse vittorioso di avermi schiacciata, convinta a cedergli con le sue lusinghe. Mi afferrò il bacino, sollevandolo con leggerezza per farmi cambiare posizione. Era in piedi, dietro di me, adesso. Con una spinta più invasiva, lo sentii premere poco sotto le natiche, in una parte del mio corpo mai violata prima. La delicatezza di prima era scomparsa, fu impetuoso quando cercò di farsi strada in me. Strinsi il copriletto tra le dita e rilasciai il fiato; la cosa peggiore fu sentirmi mugolare di disappunto. Mi morsi il labbro a sangue quando accadde, perché non volevo dare l’impressione di stare rifiutando le sue carezze. Ancora poco, mi dicevo, poco e poi sarei stata libera. Aveva un grosso… grosso, ecco. Quando l’avevo toccato mi ero subito accorta delle dimensioni abnormi e pensai, forse ingenuamente, che mi avrebbe fatto male.
Socchiusi le palpebre e le dita si aggrapparono al letto sotto di me, quando lui riuscì a farlo entrare. «Grida» ordinò. Spalancai la bocca per far uscire un suono, accettando la sua intimazione, e l’urlo uscì. Con un colpo deciso finì di farsi largo dentro di me e io sfogai il dolore intenso che mi riverberò nel corpo, dalle cosce fino alla gola. «Ancora» mi impose, quando la mia voce venne meno. Non ero più bagnata ora, la sofferenza stava divampando fino a farmi tremare. Le cosce fremevano, desiderose di cambiare posizione e cercare sollievo. Il primo istinto fu girarmi e colpirlo, cercare di togliermelo di dosso, col suo peso e il suo pene assurdo. Lo detestai e glielo dissi. «Ti odio! Bastardo.» strillai. «Stronzo!» aggiunsi. Le sue mani non mollarono la presa. Decise e forti, mi stringevano le ossa del bacino e mi comunicavano una personalità dalla ferrea risolutezza. Scoppiò a ridere, infatti, e mi diede una sculacciata ben assestata sulla natica destra. Sobbalzai, sconvolta da quella violenza gratuita, anche se sopportabile. «Ne vuoi ancora?» Rideva, l’infame, di me e della mia inesperienza. La rabbia mi fece perdere la ragione. Cercai perciò di oppormi a lui, ma non feci che accrescere la sua eccitazione. Il modo in cui mi mossi per reagire alla sua invasione non fece che farlo adattare meglio al mio corpo dolorante e così mi ritrovai schiacciata dallo sconosciuto contro il copriletto, mentre mi teneva la testa per impedirmi il movimento. «No, non farlo» cominciò. «Non se vuoi rimanere qui, in questo teatro.» «Meglio fare la puttana!» gridai, in preda al panico. «Non puoi ribellarti a me» proruppe. Era pazzo. «Sta’ ferma. Farò presto, questa volta.» Le ultime due parole mi terrorizzarono. Sarebbe successo ancora in futuro? Una lacrima mi scese sulla guancia mentre cercavo di pensare ad altro. Fantasticai di stare nel mio letto, con la luce spenta, a contare le pecorelle per addormentarmi, mentre fuori la pioggia batteva sulla finestrella che dava sulla strada asfaltata. Pensavo che si sarebbe mosso come un animale, mugolando parole sconce verso di me, invece,
quando comprese che non mi sarei ribellata, mi lasciò e iniziò ad accarezzarmi la schiena. Le dita mi tastarono la spina dorsale, con maestria, e il suo respiro, nonostante fosse affannato, non si trasformò in un grugnito animalesco. «Rilassati, Luce.» Scese a coprire un mio seno con il palmo, poi con l’altro. Inarcai la schiena d’impulso e l’erezione dentro di me si mosse per avvertirmi della sua presenza. Come se avessi potuto dimenticarmene; mi sembrava arrivasse fino al mio stomaco, ed era impossibile. «Piano, piano» mormorava. La cantilena della sua voce, riuscì a farmi rilassare. «Sì, sei stretta, ma calda.» Cominciò a muoversi, si tirò indietro e poi si spinse in avanti. La sensazione fu strana, fastidiosa. Ero umida, ma non di umori. Avevo sentito dire che a una donna vergine perdeva sangue durante la sua prima volta, tuttavia non avevo la certezza che fosse successo anche a me. «Schiudi le cosce» mi ordinò. Non mi sculacciò quando esitai, piuttosto mi accarezzò il sedere, scendendo a stuzzicarmi di nuovo il clitoride. «Sei piena di me» disse. «Mi senti?» Inclinai il mento e i lunghi capelli mossi mi finirono davanti al viso. Provai a concentrarmi sui nostri corpi, per esorcizzare l’indolenzimento, cacciarlo via e rasserenarmi. In effetti non c’era più dolore, anche se le sue dimensioni rimanevano piuttosto ingombranti per una donna minuta come me. «Anche troppo» bisbigliai in risposta. Uno sbuffo spazientito spezzò il suo autocontrollo. L’avevo fatto irritare. «Puoi tenermi tutto dentro di te, Luce, il tuo corpo è stato creato per questo.» E la sua voce era stata creata per stordirmi, riflettei. Riusciva a toccare corde in me che raramente erano state pizzicate. Solo gli attori di teatro, con la loro passione, riuscivano a farmi eccitare quanto il tono baritonale dello sconosciuto. «Sei un attore?» domandai, confusa. «Sono chi vuoi che io sia. Se ti fa godere il pensiero che io lo sia, allora lo sono.» Continuava a stuzzicarmi tra le cosce, rimanendo fermo. Per un attimo pensai che avessi smesso di eccitarlo con le mie frasi insulse, ma poi riprese a spingere e capii di
aver creduto male. Era marmoreo e i suoi colpi si mossero all’unisono con il polpastrello sul clitoride. Ingoiai la saliva, mi stava impastando la lingua, prima di concentrarmi sul nostro odore. «Ho sognato di scoparti» disse lui. «L’ho fatto centinaia di volte con te nella mia mente, mentre mi fottevo altre, sognavo questo». Un colpo più forte me lo fece sentire tutto e io gemetti. Non di dolore. Lui, oddio, lui mi stava di nuovo eccitando. «E ho fantasticato di leccarti la figa finché tu avessi gridato per me, mentre la mia lingua ti riempiva. Mi hai ossessionato, ma non potevo, non dovevo averti per me. Sei troppo giovane.» La mano che mi stringeva il fianco si spostò e un suo dito si infilò nell’unica parte del mio corpo ancora inviolata da lui. Venni. Quando infilò il secondo dito e si spinse di nuovo a fondo fino a colmarmi tutta, qualcosa si ruppe in me e dilagò come una diga sfondata da un’onda troppo alta. Forse la penetrazione non era stata piacevole, ma le sue parole, unite alla voce da sturbo, con le dita che giocavano esperte su di me, avevano fatto il resto e concluso la sua opera di seduzione. L’orgasmo mi travolse e fu come scoprire una nuova dimensione; capii perché uomini e donne ne erano dipendenti, la ragione per cui gli esseri umani arrivavano a perdere la testa per una notte di sesso. Mollò la presa su di me e io ricaddi sul letto a peso morto, mentre il respiro affannoso mi faceva fremere il seno. Un liquido denso si riversò sulla mia schiena, mentre un gemito roco proveniva da quella bocca invisibile. Mi affascinò sentirlo perdere il controllo, anche solo per un secondo, ebbi come la sensazione che non fosse abituato a farlo e che quell’attimo tra noi fosse stato irripetibile. Anche il suo respiro era ansante, perciò non riuscii a capire bene dove iniziasse il suo e finisse il mio nell’oscurità fitta. Entrambi riprendevamo aria a fatica e rilasciavamo con affanno il respiro. Non sapevo cosa fare. Schiusi le labbra, per parlargli, ma non venne fuori una sola parola. Allora pensai di toccarlo, raggiungerlo, e stringerlo forte, ma un uomo come lui non avrebbe accettato una simile imposizione, perciò decisi di tranquillizzarmi e stare a vedere cosa avrebbe fatto. Il tempo trascorse e il respiro dell’uomo si calmò. Rabbrividii quando la sua mano mi raggiunse ancora, questa volta in una carezza diversa, sul fianco. Riconobbi una sorta di gratitudine in quel tocco, oppure esitazione.
Mi voltai, supina, e sentii freddo. Un rumore mi fece riscuotere da un attimo di sonnolenza. La porta sbatté e la luce si riaccese all’improvviso. Mi portai la mano di fronte al volto, perché gli occhi protestarono quando si ritrovarono di colpo accecati. Gemetti e il corpo protestò con me quando mi mossi… «Merda» farfugliai. Tornai a mettermi seduta sul bordo del letto e sbattei le palpebre finché riuscii ad abituarmi di nuovo alla luce artificiale. Mi guardai attorno: di lui non c’era traccia. La mia vestaglia rosa era abbandonata ai piedi di quell’alcova color panna. La temperatura della camera era bassa e mi stava ghiacciando le ossa, o forse era il trauma per aver vissuto un’esperienza tanto intima con un estraneo a farmi gelare. Le tracce di lui erano ancora su di me. Mi portai una mano sulla curva della schiena, laddove avevo percepito il suo sperma, e i miei polpastrelli incontrarono il liquido denso e appiccicoso sulla pelle. Sospirai, desolata. Dovevo reagire. Ero di nuovo sola, potevo tornare in camera mia e stare sicura che nessuno mi avrebbe cacciata dal teatro, perché avevo adempiuto al mio dovere. Mi drizzai dopo aver contato fino a tre e barcollai, le gambe non mi sorressero. Ricaddi sul copriletto panna e mi accorsi di alcune macchie di sangue a colorare quella distesa lattea. Era la prova che non era stato un sogno, ma la realtà. Il bisogno di scappare fu più forte della debolezza che mi infiacchiva le membra. Riuscii ad alzarmi in piedi e a riprendere la vestaglia. La indossai, senza guardarmi attorno, e puntai la porta a poca distanza da me. Di nuovo respirai a fondo, per permettere al mio corpo di abituarsi alla me stessa estraniata dalla realtà e avulsa dalle nuove sensazioni provate. Un passo dopo l’altro raggiunsi la porta e la spalancai. Uscii, quasi di corsa, e percorsi il lungo corridoio che divideva i camerini degli attori dagli spazi riservati al personale del teatro. Arrivai trafelata al mio appartamento, che condividevo con Laura, ed entrai quasi avessi un diavolo alle calcagna. Lei non era sola. Ascoltai i suoi gemiti e fu troppo: quando voltai la testa, la inquadrai contro il muro, con un uomo addossato a lei che si premeva al corpo della mia amica. Laura spalancò gli occhi, sorpresa dal rumore, ma lui era intento a muoversi dentro di lei e non si era accorto di nulla. Lei mimò qualche mugolio di piacere, naturalmente finto, e con la mano mi fece segno di andarmene in camera, che mi avrebbe raggiunta dopo.
Osservai per un secondo l’uomo con cui si stava divertendo, sempre se di divertimento si trattava. Laura era una prostituta di professione, oltre a essere una maschera, proprio come me. Lui era disgustoso: grosso e sudato. Mi scossero brividi di nausea. Il mio sconosciuto stupratore era come quell’essere immondo? Ricordai il profumo dell’estraneo che mi aveva tolto la verginità e poi annusai l’aria nel salotto condiviso. No, l’uomo che mi aveva scopata senza rimorso aveva un buon odore. «Oh sì, sfondami, amore!» urlò lei. Mi venne da ridere e lo stesso a Laura. Guardò in alto, come a dire: “Dimmi te cosa devo fare per sopravvivere”. Continuò a mimarmi di andare via, perché altrimenti non avrebbe potuto continuare in pace a lavorare. Feci spallucce e con le mani cercai di indovinare la grandezza del pene del suo cliente. Era un gioco che facevamo spesso con i suoi amanti. Lei roteò gli occhi e, con la mano libera di muoversi, unì pollice e indice. Ops, il tipo ce l’aveva piccolo. Mi sfuggì una risatina divertita che riuscì a calmare i miei nervi tesi. «Ohh!» gridò lei, le labbra a “O”. Un finto orgasmo in piena regola. Lui grugnì, proprio come un maiale, e poi venne. Mi rifugiai in camera mia appena in tempo per non assistere alla spregevole esibizione dell’animale. Odiavo i gemiti degli uomini e anche l’odore dell’orgasmo maschile. Era rivoltante, acido, e si spargeva nella stanza insistente, quasi come il fumo di una sigaretta. Lo sentivo impregnare le pareti, se mi fossi impegnata avrei potuto anche riconoscere la differenza da uomo a uomo. Laura scopava con uno o più maschi al giorno e quindi ero diventata un’esperta di profumi. A parte gli scherzi, ero davvero brava a inquadrare gli uomini, nonostante nessuno di loro mi avesse mai… no, be’, mi corressi, uno c’era appena riuscito. Mi spogliai della vestaglia e mi guardai allo specchio, pensierosa. La schiena era inondata di seme. Ne aveva perso parecchio. Presa da uno strano senso di appartenenza a quello sconosciuto, forse perché era stata la mia prima volta, indugiai prima di decidere di andare a lavare via la prova della mia stupidità. Dieci minuti dopo Laura entrò in camera mia senza bussare. «Un altro maiale, però paga bene» disse.
Era nuda come mamma l’aveva fatta, proprio come me. Tra noi due non c’era nessuna vergogna, ero abituata a farmi vedere senza vestiti. Spesso facevamo la doccia insieme e ci prendevamo in giro per i nostri difetti fisici. «Perché non ti dai una lavata?» sbottai e poi cominciai a ridere. Le sue espressioni, dopo aver fatto sesso, mutavano a seconda dell’umore. Se non le era piaciuto, era fortemente irritabile. «Domani spero in qualcosa di meglio, è durato cinque minuti. Sudava troppo, puzzava… vado a darmi una sciacquata, ma dopo mi devi raccontare tutto» pretese. Lei sapeva. Era stata lei a convincermi. L’ultimatum era arrivato una settimana prima, proprio dalla mia amica. Le era stato riferito che mi avrebbero cacciata, se non avessi accettato di farmi scopare di mercoledì sera, alle ventitré, nella stanza D, proprio alla fine del corridoio. «Dimmi solo una cosa… donna o uomo?» chiese, prima di uscire. «Assolutamente uomo» mormorai. «E…» continuò. Arrossii. «Oh, santo cazzo enorme!» bisbigliò, sconvolta. «La mia bambina è cresciuta. Aspettami qui, non ti muovere.» Scappò via. Lo specchio rimandò l’immagine di una depravata arrossita. Mi era piaciuto, sì, da impazzire. Questo significava essere prostitute? No, non lo credevo. Laura subiva, spesso non le piaceva ciò che le facevano. Diceva di trovarsi meglio con le donne, perché almeno erano gentili; gli uomini erano spesso violenti, però li adorava. Diceva di avere una vera e propria ossessione per gli uccelli, soprattutto quelli spessi e venosi, più che lunghi. Impazziva quando un suo cliente ne possedeva uno del genere. Ritornò appena possibile e si chiuse la porta della mia camera alle spalle. «Cosa ci fai ancora nuda davanti allo specchio. Aspetta…» si bloccò. «Quello è sperma?» Si mosse verso di me e anche lei lo toccò con la mano. Sporse le dita alla luce e poi se lo portò alla lingua.
«Laura, che schifo» borbottai. «Zitta, tesoro, ne ho ingoiata di questa roba, più di quanto immagini.» Tremai. Non riuscivo ancora a muovermi verso il bagno adiacente alla mia camera per darmi una ripulita. «Allora?» bisbigliai. «Non è un mio cliente.» «Come lo sai?» proruppi.
Fine dell'estratto Kindle. Ti è piaciuto?
Scarica la versione completa di questo libri