E-R magazine 2/2014

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emilia-romagna magazine n. 2 | anno XVII dicembre 2014 | poste italiane | spedizione in abbonamento postale | regime libero 50% |aut. drt/dcb (bo)

2/2014

magazine La rivista degli emiliano-romagnoli nel mondo

Il capitale umano Investire in competenza e innovazione per crescere insieme the Human Capital Investing in competence and innovation to grow together

imprese enterprise | Packaging Valley Portfolio | La Grande Guerra. The Great War


magazine

dicembre 2014

Trimestrale d’informazione dell’Agenzia informazione e comunicazione della Giunta della Regione Emilia-Romagna e della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo. N. 2 – Anno XVII dicembre 2014

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Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Piera Raimondi Cominesi

Editoriale

Il futuro tra Storia e possibilità — Roberto Franchini

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Segreteria di redazione Editorial Assistant Rita Soffritti

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Pubblicazione registrata col n. 5080 presso il Tribunale di Bologna il 30 aprile 1994 Progetto grafico Graphic design Kitchen www.kitchencoop.it

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Primo Piano

Capitale umano Economia

Verso Expo 2015

Packaging Valley

— Piera Raimondi Cominesi Made in ER

Un secolo in bellezza

— Angela Simeoni

— Giovanna Antinori

Direzione – Redazione Editorial Office Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna Telefono (+39) 051/5275440 Fax (+39) 051/5275389 Internet: www.regione.emilia-romagna.it E-mail per cambio indirizzo: stampaseg@regione.emilia-romagna.it

Imprese

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Portfolio

La Grande Guerra

— Gianni Bosi

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FOTO DI FABIO MANTOVANI

Direttore responsabile Chief Editor Roberto Franchini

2/2014

magazine La rivista degli emiliano-romagnoli nel mondo

Il capitale umano Investire in competenza e innovazione per crescere insieme Human Capital Investing in competence and innovation to grow together

04 imprese business | Packaging Valley Portfolio | La Grande Guerra. The Greate War

FOTO DI PAOLO RIGHI

emilia-romagna magazine n. 2 | anno XVII dicembre 2014 | poste italiane | spedizione in abbonamento postale | regime libero 50% |aut. drt/dcb (bo)

Stampa e spedizione Printing & mailing Tipografia Pazzini


18 15 28 Società App resistenti — Saverio Malaspina 30

Cultura

I piedi a Bologna e la testa nel mondo

— Piera Raimondi Cominesi

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Cultura

Una nuova legge per il cinema — Leonetta Corsi

36 Storie rubriche Bologna negli anni della Grande Guerra 14/18 — Claudio Bacilieri Regione e Notizie 40 Letture La Maria dei dadi da brodo — Marinella Manicardi Federica Iacobelli

43 Profili Un architetto sul Rio della Plata — Claudio Bacilieri

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editoriale

di Roberto Franchini

Il futuro tra Storia e possibilità

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ari Lettori, proprio mentre stiamo andando in stampa con questo numero della rivista, la Regione Emilia-Romagna ha il suo nuovo Presidente, eletto domenica 23 novembre. È Stefano Bonaccini, nato a Modena nel 1967, sposato e padre di due figlie di 22 e 12 anni. Ha fatto parte della segreteria nazionale del Pd, guidata da Matteo Renzi, per il quale ha coordinato la campagna nazionale delle Primarie 2013. Dal 2009 al 2014 è stato il segretario regionale del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna. Nel 2010 è stato eletto nel Consiglio regionale dopo essere stato amministratore pubblico cinque anni a Campogalliano e sette a Modena. Il suo tour elettorale è partito da Medolla, in una azienda colpita dal sisma del 2012, e dopo 20mila chilometri percorsi in camper attraverso tutta la regione, si è concluso a Casa Cervi, a Gattatico, luogo simbolo della Resistenza. Non senza una tappa europea a Bruxelles dove ha incontrato il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Questa geografia racconta già di alcune delle priorità che il Presidente ha indicato nel suo programma: occupazione innanzitutto, difendendo i posti di lavoro già esistenti e creando politiche attive che ne favoriscano di nuovi, facendo sì che imprese, istituzioni e territori possano giocare insieme un ruolo ancora più dinamico in Europa e nel mercato globale. Come avviene già oggi per le aziende della Packaging Valley, leader mondiali dell’automazione industriale, di cui vi parliamo in queste pagine. L’Emilia-Romagna, regione tra le più avanzate d’Europa e del mondo, sta attraversando meglio di altre la crisi, grazie anche a una capacità di tenuta sociale consolidata in decen-

a destra 1. Stefano Bonaccini, il nuovo Presidente della Regione Emilia-Romagna eletto il 23 novembre 2014. 2. Bologna, Persone in fuga durante un allarme (FOto tratta dalla app resistenze mappe). 3. macchina per il confezionamento di tè in sacchetti filtro ecologici, foto di Fabio Mantovani.

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ni di sviluppo economico, diffuso e partecipato. Ha tutte le carte in regola dunque per candidarsi a essere locomotiva del cambiamento in Italia e in Europa, investendo i 2,5 miliardi di nuovi fondi strutturali per rafforzare il territorio, il capitale umano e sociale, guardando avanti senza lasciare indietro nessuno. L’immagine di copertina e il tema dell’articolo di apertura raccontano proprio di questo sguardo volto al futuro. Investire nel capitale umano, trasmettere il sapere e il “saper fare” alle nuove generazioni rappresenta una delle sfide fondamentali di una comunità. Così come la procreazione garantisce il perpetuarsi di una specie, la formazione è il processo di riproduzione di una società che qui si immagina composta di esseri umani portatori di forti potenzialità di sviluppo e soggetti di diritti. Non partiamo certo da zero, ma le possibilità per governare la crescita e riposizionare il nostro sistema a livello globale sono ancora tante. In questo numero anche tanti anniversari: i cent’anni della Grande Guerra, con la eccezionale collezione di cartoline Baldini del Museo “Francesco Baracca” e l’esperienza del sindaco bolognese Zanardi, e il secolo di vita della Maserati, marchio made in Emilia-Romagna tra i più famosi al mondo. E ancora, i settant’anni della Resistenza, festeggiati in web 2.0 con una serie di app, e i sessanta della casa editrice il Mulino, proiettata oggi verso l’editoria digitale più evoluta. Anniversari importanti che ci ricordano che pensare il mondo al medesimo tempo come Storia e come possibilità ci aiuta ad essere appassionati ricercatori di un futuro migliore. Al Presidente i nostri auguri di buon lavoro, a lui e a tutti voi quelli di un sereno e fiducioso 2015.


The future between History and possibility

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ear Readers, at the very moment of going to print with this issue of our magazine, the Region Emilia-Romagna has a new President, elected on Sunday, 23rd November. It is Stefano Bonaccini, born in Modena in 1967, married and father of two daughters aged 22 and 12. He was a part of the national management of the Democratic Party, led by Matteo Renzi, for whom he coordinated the national campaign for the Primary Elections of 2013. From 2009 to 2014 he was the regional chairman of the Democratic Party of Emilia-Romagna. In 2010 he was elected to the Regional Council after being a public administrator in Campogalliano for five years and in Modena for seven years. His electoral tour started from Medolla, from a company affected by the earthquake in 2012, and after travelling for 20,000 kilometres in a camper, throughout the region, it ended at Casa Cervi, in Gattatico, a place which is a symbol of the Resistance. A European stop in Brussels was also included, where he met the president of the European Parliament, Martin Schulz. This geography shows some of the priorities which the President specified in his programme: first of all employment, defending jobs already in existence and implementing active policies such as to promote new ones, enabling enterprises, institutions and territories to play together an even more dynamic role both in Europe and on the global market. Just as it already happens for the companies of the Packaging Valley, world leaders in the field of industrial automation, whose stories we are telling you in this issue. Emilia-Romagna, one of the most advanced regions in Europe and worldwide, is going through the crisis better than others, also thanks to its social solidity, strengthened by decades of

widespread and common economic development. It shows all the qualities to promote itself to be the locomotive of change in Italy and in Europe, investing 2.5 billion Euros of new structural funds to enhance its territory, its human and social capital, looking forward without ever losing sight of anyone. The image on the cover and the topic of the opening article deal with this idea of looking at the future. Investing in the human capital, passing down knowledge and “know-how” to the new generations is one of the fundamental challenges of a community. Just like procreation ensures the perpetuation of a species, education is the process through which a society reproduces itself, a society made up of human beings with strong potentials for development and having certain rights. We are certainly not starting from scratch, but the margin to manage growth and reposition our system within a global scenario is still large. In this issue, we also celebrate many anniversaries: the one hundredth anniversary of the Great War, with an exceptional collection of Baldini postcards in the “Francesco Baracca” Museum and the experience of the mayor of Bologna Zanardi, and the one hundredth birthday of Maserati, one of the bestknown Emilia-Romagna brands worldwide. In addition to this, the seventy years of history of the Resistance, celebrated in web 2.0 through a series of applications, and the sixtieth anniversary of Il Mulino publishing house, today increasingly more intensely looking to the most advanced digital publishing methods. Important anniversaries which remind us of the fact that interpreting the world both as History and as a possibility helps us to look for a better future. We would like to wish the new President a fruitful mandate, and him as well as you all a happy and optimistic 2015.

strenna di natale “la traviata”, e-book multimediale per tablet e smartphone, sarà disponibile da natale gratuitamente in tutte le librerie digitali, italiane e straniere. Si tratta del primo titolo della collana “all’opera con verdi” realizzato dall’agenzia informazione e comunicazione.

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primo piano

Capitale umano Human Capital

Con l’infrastruttura ER Educazione e Ricerca, l’Emilia-Romagna investe sulle persone per offrire nuove competenze professionali, sostenere potenzialità, intelligenza, creatività e talento delle persone in una dimensione europea. With infrastructure ER Educazione e Ricerca, Emilia-Romagna is investing in people to offer new professional skills, support people’s potential, intelligence, creativity and talent at a European level. di Giovanna Antinori 4 | e-r magazine n. 2 | dicembre 2014

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egare le opportunità di crescita di un territorio alla qualità del suo capitale umano è una precisa scelta di governance. La globalizzazione prima, la crisi che sta attraversando il nostro Paese e l’Europa oggi, hanno reso ancora più necessaria una formazione efficace e la Regione Emilia-Romagna ha risposto a questo bisogno con una serie di leggi e con la creazione di un sistema di formazione, unitario negli obiettivi e integrato nelle sue componenti: dalla scuola dell’obbligo al dottorato di ricerca, alle imprese. Integrando istruzione (scuole statali, università) e formazione (corsi della Regione) senza considerarli due mondi separati, l’infrastruttura ER Educazione e Ricerca Emilia-Romagna, offre ai giovani diverse possibilità di studiare e di imparare un lavoro qualificato in ogni fase del loro cammino, una professionalità soddisfacente per loro e utile alle imprese. Al termine delle scuole medie i ragazzi che vogliono imparare un lavoro senza rinunciare in partenza a terminare la scuola di secondo grado hanno a disposizione nuove forme di qualificazione professionale; dopo il diploma di scuola superiore si può accedere invece a corsi di formazione molto specializzati e paralleli all’università, in Italia e all’estero; per i laureati: master mirati e dottorati connessi al sistema produttivo, assegni e borse di studio per l’alta formazione e accordi con importanti imprese, italiane e straniere, per fare scuola in azienda. Gli obiettivi del nuovo sistema sono molteplici. In primo luogo promuovere l’integrazione tra 550 autonomie scolastiche, oltre 200 enti di formazione accreditati dalla Regione, 4 università, centri di ricerca e mondo imprenditoriale, per accrescere e innovare le competenze professionali, tecniche e scientifiche delle persone e delle imprese. Ma anche ricercare un nuovo equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, tenendo conto delle specificità territoriali e proiettandole in uno scenario internazionale, per creare nuova occupazione e favorire la mobilità sociale, contrastando diseguaglianze economiche e territoriali. Perché ognuno possa contribuire con le proprie potenzialità al benessere collettivo. Un contributo fondamentale per ER Educazione e Ricerca, viene dall’Unione Europea che attraverso il Fondo Sociale Europeo assegna alle Regioni fondi per qualificare la competenza delle

persone, promuovere la qualità dell’occupazione e aumentare la mobilità geografica. Un efficace utilizzo dei Fondi Fse da parte delle Regioni è fondamentale per uno sviluppo innovativo, coeso e sostenibile, e in questo l’Emilia-Romagna è una delle più virtuose a livello europeo. ER Educazione e Ricerca è finanziata con 200 milioni di euro all’anno e si articola in quattro capisaldi: Istruzione e Formazione Professionale. Una nuova proposta educativa che si rivolge ai ragazzi in uscita dalla scuola media e permette loro di conseguire, in un percorso di tre anni orientato al lavoro, una qualifica professionale. Le qualifiche per entrare preparati nel mondo del lavoro sono 25: vanno da quella per operatore agricolo o per operatore grafico a quella per operatore della pesca e dell’acquacoltura. Il triennio è caratterizzato da un elevato grado di sperimentazione didattica e da un forte grado di interazione con le imprese, e contrasta la dispersione scolastica.
 Rete Politecnica. Istituita per formare e specializzare fornendo competenze tecniche, tecnologiche e scientifiche, intercettando e rispondendo rapidamente ai fabbisogni espressi dal sistema produttivo. Ne fanno parte la Formazione superiore, l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (Ifts) e l’offerta degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) (vedi mappa a pagina 6 ), tre opportunità che sono completamento e specializzazione dei diplomi di istruzione professionale e tecnica. L’offerta della Rete Politecnica è stata programmata dalla Regione a partire dall’analisi dei punti di forza dell’economia regionale. Alta formazione, ricerca e mobilità internazionale. Complementare alla Rete Politecnica, è il segmento che prevede gli interventi più sperimentali e innovativi, attraverso la costruzione di reti di conoscenza e di percorsi condivisi tra istituzioni, imprese, università ed enti di ricerca, indispensabili al territorio per confrontarsi con le nuove sfide economiche e sociali. In Emilia-Romagna c’è una concentrazione di grandi infrastrutture scientifiche, di strutture di alta formazione fra le più rilevanti a livello nazionale e di imprese e reti di impresa che, grazie all’alto valore aggiunto della loro produzione, si misurano con successo nel mercato globale. Lavoro e Competenze. Completa l’infrastruttura regionale con interventi di politica attiva per accompagnare le persone nelle transizioni tra i percorsi e-r magazine n. 2 | dicembre 2014 | 5


primo piano formativi e il lavoro e tra un lavoro e l’altro, per aggiornare progressivamente le competenze dei lavoratori, per supportare le imprese impegnate in processi di innovazione organizzativa e produttiva. Fanno parte d quest’ultimo segmento i tirocini formativi e l’apprendistato, nelle sue tre tipologie: apprendistato per la qualifica e il diploma sotto gli istituti tecnici superiori (its) in emilia-Romagna.

professionale, apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere e apprendistato di alta formazione e di ricerca. L’apprendistato rappresenta il canale di accesso privilegiato al lavoro, ma anche una componente fondamentale del sistema educativo e formativo, carente proprio nelle transizioni. L’Emilia-Ro-

PARMA Tecnico Superiore responsabile delle produzioni e delle trasformazioni agrarie, agroalimentari e agro-industriali

MIRANDOLA Tecnico Superiore per la produzione di apparecchi e dispositivi diagnostici, terapeutici e riabilitativi

PIACENZA Tecnico Superiore per l’infomobilità e le infrastrutture logistiche indirizzo logistica integrata

magna ha regolamentato gli aspetti formativi – le ore, i contenuti e le modalità – in un disegno coerente con l’infrastruttura educativa regionale per ampliare le opportunità delle persone di conseguire un titolo di studio, anche quelli più alti previsti dall’ordinamento nazionale, rafforzando l’equità del sistema.

FERRARA Tecnico Superiore per la conduzione del cantiere di restauro architettonico

RAVENNA Tecnico Superiore per l’approvvigionamento energetico e la costruzione di impianti

RIMINI Tecnico Superiore per la gestione di strutture turistico-ricettive

Mobilità sostenibile Agro-alimentare Meccanica, meccatronica, motoristica e packaging Nuove tecnologie della vita Territorio, energia, costruire

REGGIO EMILIA Tecnico Superiore per l’innovazione di processi e prodotti meccanici con specializzazione in meccatronica

Industrie creative

BOLOGNA

MODENA Tecnico Superiore per l’innovazione di processi e prodotti meccanici

Turismo e benessere

CESENA

Tecnico Superiore per l’automazione ed i sistemi meccatronici FAENZA Tecnico Superiore per la progettazione e prototipazione di manufatti ceramici

CESENA Tecnico Superiore per l’organizzazione dell’informazione e della conoscenza

Tecnico Superiore per la mobilità delle merci e dei prodotti agricoli indirizzo logistica e commercializzazione dei prodotti freschi

Alternanza scuola/lavoro in Ducati e Lamborghini Quarantotto studenti di età inferiore ai 25 anni e in possesso di una qualifica professionale in ottobre hanno iniziato a frequentare lezioni davvero speciali, retribuiti con un assegno mensile di 600 euro. È nato infatti a Bologna il progetto di formazione professionale, Dual educational System Italy - DESI, che si svolgerà sia in aula che in azienda, con lezioni teoriche e pratiche per diventare tecnico meccatronico per il settore moto o per il settore auto, oppure operatore CNC (macchine a controllo numerico). Si tratta una novità assoluta a livello nazionale, frutto dell’intesa siglata nei giorni scorsi dall’Assessorato scuola e formazione professionale, università e ricerca, lavoro della Regione Emilia-Romagna, Ufficio scolastico regionale, Ducati Motor Holding Spa e Automobili Lamborghini Spa, grazie ad un accordo di rete che coinvolge gli istituti bolognesi Belluzzi-Fioravanti e Aldini Valeriani e la Fondazione Volkswagen. Il percorso formativo è regolato da un bando. Regione e Ufficio scolastico regionale si impegnano, attraverso un Comitato di governance, a monitorare l’andamento del

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percorso e i risultati raggiunti; la Fondazione Volkswagen sostiene l’iniziativa con 2 milioni e 300 mila euro. Il 25% dei posti a disposizione per accedere al progetto sono riservati a giovani provenienti da famiglie in situazione di disagio.


Chef to chef Gli chef più rinomati dell’Emilia-Romagna si mettono a disposizione degli studenti e aprono le cucine dei loro ristoranti alla formazione. Tra questi: Massimo Spigaroli dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (Pr), Alessio Malaguti della trattoria La Rosa di Sant’Agostino (Fe), Paolo Teverini di Bagno di Romagna (Fc) e Marco Merighi del ristorante Don Giovanni di Ferrara. Il progetto è nato dalla collaborazione tra il sistema formativo regionale e le eccellenze che il territorio esprime nel settore, grazie a un protocollo di intesa tra gli assessorati regionali alla Scuola e Formazione e all’Agricoltura, l’Ufficio scolastico regionale e l’associazione Chef to Chef Emiliaromagnacuochi, che riunisce cuochi di fama internazionale, produttori di qualità e gourmet. La collaborazione tra questi soggetti nasce dalla comune convinzione che le competenze acquisite in percorsi di integrazione tra momenti in aula e momenti in azienda sono la leva per innalzare le competenze di tutti, studenti e operatori, e per valorizzare le eccellenze che contraddistinguono la nostra regione e che troveranno nell’Expo 2015 una speciale occasione per raccontarsi. Ai ragazzi degli istituti alberghieri, sotto la guida degli chef stellati, sarà affidato il ristorante durante la settimana dell’Emilia-Romagna a Expo (18-24 settembre).

Alta formazione firmata Vuitton

a sinistra Laboratorio fisica in moto (foto gentilmente concessa da Ducati). in alto un’iniziativa di chef to chef emiliaromagnacuochi. Laboratorio fisica in moto (foto gentilmente concessa da Ducati). il logo educazione Ricerca della Regione EmiliaRomagna. a destra rendering del nuovo stabilimento Berluti.

Sarà a Ferrara la scuola dei maestri calzaturieri targata Louis Vuitton, un vero e proprio fiore all’occhiello del sistema produttivo e di formazione professionale dell’Emilia Romagna. La multinazionale del lusso scommette su una scuola superiore di formazione che investe proprio sulle competenze del territorio e più in generale del Made in Italy. Si tratta di un centro di alta formazione rivolto alle maestranze specializzate nella produzione di calzature da uomo di alta gamma, con il passaggio di competenze dai vecchi maestri artigiani alle nuove leve reclutate da Manifattura Berluti. Con la firma dell’accordo tra Regione Emilia-Romagna, Comune e Provincia di Ferrara e Manifattura Berluti, la controllata dalla francese Berluti S.A. che fa capo alla multinazionale del lusso, è stato dato il via libera alla realizzazione di un nuovo stabilimento di 8mila metri quadrati che raddoppierà l’estensione dei siti produttivi emiliani del gruppo nei prossimi cinque anni. Con la diretta conseguenza di un incremento dell’occupazione, il numero dei dipendenti passerà infatti dagli 80 attuali a quasi 200.

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economia

Verso Expo 2015 Ci stiamo preparando a raccontare sul grande palcoscenico mondiale la nostra identità e le nostre risposte alla domanda che pone questa edizione di Expo: come garantire in modo sostenibile cibo sicuro per un’umanità in crescita. Towards Expo 2015. We are getting ready to tell all the world about our identity and our answers to the question this Expo focuses on: how to guarantee food in a sustainable way to a growing population.

di Gianni Bosi

R

acconteremo di legalità e diritti, di biodiversità, del valore della ricerca e dell’attitudine tipica di questa terra a cooperare e “fare insieme” e, più in generale, del sistema Emilia-Romagna fatto di conoscenza, innovazione tecnologica, saperi, produzioni e tradizioni. Valori e idee per nutrire la terra è il tema conduttore della partecipazione della Regione Emilia-Romagna a Expo Milano 2015. L’obiettivo è fare dell’Esposizione Universale non solo una vetrina, ma soprattutto un’occasione per promuovere le eccellenze del sistema Emilia-Romagna nel mondo. Quindi un’agricoltura di qualità, forte di

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prodotti che rappresentano il meglio del Made in Italy, grandi marchi dell’agroalimentare conosciuti in tutto il mondo, una rete di centri della ricerca e dell’innovazione impegnati sui temi della sicurezza alimentare, della tracciabilità e sostenibilità ambientale, ma anche il volto della solidarietà, del no profit e della cooperazione per raccontare una regione e la sua identità. In questa prospettiva Expo 2015 potrà diventare per l’Emilia-Romagna un’occasione concreta di crescita, di internazionalizzazione e di promozione sui mercati internazionali. Il progetto regionale di eccellenza è il World Food research and innovation Forum, un percorso che coinvolgerà esperti, ricercatori, grandi imprese,

policy maker di fama internazionale, per affermare l’Emilia-Romagna quale capitale mondiale del cibo di qualità. Il Forum si pone l’obiettivo di creare in Emilia-Romagna un laboratorio di pensiero internazionale consolidato, dedicato alle strategie di sviluppo del settore dell’alimentazione globale, focalizzato su sostenibilità e sicurezza, che diventi un punto di riferimento per gli stakeholder globali nella ricerca, nell’industria, nel governo e nella finanza, grazie al quale potersi confrontare e definire gli scenari di ricerca e sviluppo sostenibile. Expo può essere anche una straordinaria occasione di promozione turistica dell’Emilia-Romagna, grazie alla


vicinanza della regione a Milano e alla straordinaria capacità di accoglienza che può contare su un milione di posti letto e un rapporto qualità-prezzo tra i migliori nel mondo. Si colloca in questo ambito il Progetto Via Emilia: il turismo dell’esperienza, che propone nuovi prodotti turistici orientati a una domanda internazionale di alta qualità e definiti attraverso specifici disciplinari sottoscritti dai Club di Prodotto della regione. Cinque le grandi proposte: Wellness Valley – Romagna Benessere per fare della Romagna il primo distretto internazionale sui temi del benessere e della qualità della vita; Motor Valley Experience, per promuovere la grande tradizione motoristica dell’Emi-

lia-Romagna; Food Valley – Turismo enogastronomico di eccellenza: 14 Club di Prodotto e offerte integrate per promuovere il legame tra il patrimonio agro-alimentare regionale e il territorio e valorizzare l’intera filiera produttiva; Progetto Musica – Ravenna Festival Expo 2015: per la creazione di pacchetti turistici dedicati a Giuseppe Verdi e abbinati a tour verso Expo. Sull’onda lunga del Bicentenario verdiano, il Festival realizzerà esclusivamente per il pubblico di Expo tre rappresentazioni di Falstaff (23, 25, 26 luglio 2015) con la direzione di Riccardo Muti. All’interno di un percorso verdiano che ripercorre i luoghi della vita e dell’opera di Verdi – da Milano a Busseto (Casa natale, Salone

Barezzi, Teatro Verdi) a Villanova d’Arda (museo e giardino di Villa Verdi) – il programma porterà il pubblico a Ravenna per assistere all’opera, allestita con scenografie ispirate ai luoghi verdiani. Dei 2.200 posti a disposizione, Ravenna Festival ne ha riservati 1.300 circa per il pacchetto turistico, con due o più pernottamenti che Apt Servizi sta commercializzando attraverso i Tour Operator e canali web, con il sostegno dell’Unione di Prodotto Città d’Arte, Cultura e Affari.

Made of italians Made of Italians è una grande opportunità per riscoprire la propria cultura e partecipare all’Esposizione Internazionale di Milano. Si tratta di un programma speciale dedicato a tutti coloro che vivono all’estero e per i cittadini stranieri di origine italiana, per ritrovare i luoghi dell’infanzia e della giovinezza o per imparare a conoscere quell’Italia vissuta attraverso i racconti dei propri nonni e parenti. Le Consulte regionali dell’emigrazione hanno aderito al progetto e promuoveranno l’Esposizione Universale di Milano grazie al coinvolgimento di oltre 3.000 associazioni regionali, dall’Argentina al Giappone, che contano più di quattro milioni e mezzo d’italiani residenti all’estero con cinquanta milioni di discendenti. Ogni singola consulta regionale arricchirà con la propria offerta personalizzata l’iniziativa promozionale, con vantaggi e sconti esclusivi che vanno dall’accoglienza turistica a ingressi ridotti per eventi culturali e musei. Gli italiani nel mondo potranno usufruire di promozioni e tariffe agevolate per venire in Italia, e abbinare al soggiorno la visita a Expo Milano 2015, appositamente personalizzata e arricchita con servizi ed esperienze esclusive, per rendere ancora più emozionante il viaggio di ritorno alle proprie origini.

a sinistra rendering del padiglione italia all’expo 2015. sopra logo del world food research & innovation forum. Falstaff, produzione ravenna festival 2013 (©Maurizio Montanari).

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imprese

Packaging Valley Sono lungo la Via Emilia i leader mondiali dell’automazione industriale del mercato globale. The world leaders of the global market industrial automation are located along Via Emilia. ™ translation at page 47

di Piera Raimondi Cominesi

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acchine confezionatrici, riempitrici, dosatrici, chiuditrici, macchine di controllo di tutto il mondo sono prodotte perlopiù dalle nostre parti, nella grande valle dell’automazione industriale che si stende lungo la Via Emilia. Le aziende emiliane sono tra i leader mondiali del settore che in Italia produce un fatturato di 5,5 miliardi di euro, con una forte propensione all’export, circa l’83% per 4,6 miliardi di euro, con vendite in Italia pari a 941 milioni euro. Il comparto conta nel nostro Paese circa 635 aziende, moltissime di piccole dimensioni, che occupano complessivamente 26.000 addetti. La maggior parte di queste imprese si trova in Emilia- Romagna, nel distretto produttivo che ha il suo centro a Bologna e articolazioni tra Modena, Reggio Emilia e Parma e che sembra non conoscere crisi, grazie ai grandi numeri dell’export, alla

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sua particolare propensione all’investimento in ricerca e sviluppo, alle conoscenze tecniche diffuse proprie di questo territorio e al suo capitale umano. Il fatturato è dovuto quasi tutto al 5,4% di aziende con fatturati superiori a 25 milioni di euro, che totalizzano ben il 63,5% del volume d’affari complessivo. Ma è proprio la disparità di dimensioni, sia economica che strutturale, una delle caratteristiche vincenti di questo tessuto produttivo, come ci racconta nell’intervista Daniele Vacchi, direttore della comunicazione corporate di Ima, tra i leader

di mercato nati in Emilia-Romagna, insieme a Coesia, Sacmi e Marchesini Group. — Perché il distretto delle macchine per imballaggio nasce proprio qui, lungo la Via Emilia? Nel secondo dopoguerra erano disponibili i capitali e le competenze di un sistema di produzione meccanica che aveva avuto degli sviluppi già a partire dagli anni Trenta. Un sistema molto ben impiantato, nato intorno alle scuole tecniche il cui modello - importantissimo anche livello nazionale - era quello delle Aldini Valeriani. Anche il sistema di piccole o medie imprese artigiane che durante la guerra si erano trasformate per la produzione bellica e che venivano dal comparto della motocicletta, nel dopoguerra trova uno sfogo naturale nell’automazione industriale, a partire dal packaging. Oggi l’automazione industriale in senso stretto non è solo packaging, ma parte dai processi e arriva fino alla logistica. Andrebbe quindi aggiornata la definizione di packaging valley e sarebbe più corretto parlare di grande valley dell’automazione industriale.


— Quello emiliano sembra essere un distretto non toccato dalla crisi, sia per quanto riguarda i grandi, quindi Ima, Coesia, Sacmi, Marchesini Group, ma anche per i piccoli. Questo perché la produzione è legata a settori come l’alimentare o il farmaceutico o c’è dell’altro? C’è sicuramente dell’altro, la forza del distretto è legata alla sua configurazione interna essendo strutturato per strati di sub-fornitura che fanno sì che i grandi marchi che esportano abbiano mediamente un tasso di esportazione intorno al 70%, fino al caso Ima che supera il 90%. Questi grandi marchi si occupano di realizzare e commercializzare tutto quello che ha a che fare con il rapporto diretto con il cliente, mentre il prodotto viene sostanzialmente generato all’interno del distretto, in una rete di sub-fornitura complessa e stratificata che al suo

interno racchiude competenze uniche che difficilmente riscontrabili in altre parti del mondo. — In Europa c’è un’altra packaging valley, quella del Baden Wüttenberg, sono loro i nostri concorrenti più agguerriti e in cosa siamo diversi? La differenza tra l’industria meccanica del Baden Wüttenberg e quella emiliano-romagnola è proprio nella struttura. L’industria tedesca è un po’ più verticale della nostra, all’interno dell’impresa si svolgono più funzioni produttive con la tendenza all’irrigidimento delle caratteristiche del prodotto. Nel nostro caso invece, potendoci avvalere di sub-fornitori capaci di accettare variazioni anche per piccolissimi lotti, siamo più flessibili e siamo disponibili a fare quella che è automazione industriale, ossia a fare

prodotti tutti diversi l’uno dall’altro. — In una società liquida come la nostra dove l’informazione viaggia in rete, che senso ha per il settore investire risorse ed energie, spostare persone e macchine, per le grandi fiere internazionali? La fiera viene vista come luogo d’incontro tra persone che devono avere dei rapporti di lungo periodo e però si conoscono poco, viene vista come un luogo in cui si confermano le relazioni tra i produttori di beni di largo consumo e i produttori delle macchine che servono per fare questi beni. Più in generale la fiera è uno dei due elementi del marketing mix dell’automazione industriale e cioè forse l’unico modo per mettere in contatto gli operatori in un momento magico, o forse direi chimico, di relazione personale dove il prodotto, la macchina,

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imprese

Il distretto racchiude al suo interno competenze uniche difficilmente riscontrabili in altre parti del mondo.

è un pretesto per una conoscenza che deve basarsi, nei prossimi anni e per i molti a venire, sulla fiducia reciproca.

la Cina. Quando si è in tutto il mondo si gode di fatto della possibilità di non fermarsi mai.

— Quali sono i Paesi dove il distretto emiliano-romagnolo esporta maggiormente? L’area europea, considerata ormai come un territorio limitrofo, è ancora oltre il 40%. L’Europa non può più essere considerata come “paesi stranieri”, non soltanto per la moneta unica ma anche per un certo grado di uniformità delle politiche produttive e delle normative. Gli Stati Uniti sono sempre in buona seconda posizione rispetto all’Europa e poi ci sono altre aree del mondo che consentono, attraverso i loro flussi di crescita e di arresto, di dare alla dinamica della produzione della meccanica emiliana una caratteristica anticiclica: quando cresce il Medio Oriente si ferma il Sud America, quando riparte il Sud America cresce la Russia o l’area indiana, o

— Cosa significa innovare in questo settore? L’innovazione nel nostro caso ha due tipologie fondamentali: esiste la piccola innovazione quotidiana che viene generata in parte dal rapporto con sub-fornitori molto specializzati, i quali suggeriscono costantemente piccole innovazioni che vanno spesso a vantaggio dei loro costi di produzione, dell’efficacia finale del prodotto fatto per noi e del loro posizionamento competitivo. Quindi abbiamo un costante apporto di piccola innovazione quotidiana, poi ci sono le grandi innovazioni che invece sono epocali, tra le quali basta menzionare la trasformazione della macchina automatica da “piano di lavoro” in “parete di lavoro”. Questa grande trasformazione è stata realizzata per alcune linee di prodotto della farmaceutica

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ed è uno dei fiori all’occhiello di Ima, assieme alla capacità di tutto il nostro distretto di fare meccanica integrata in maniera molto ergonomica, quindi riuscendo ad aggregare più funzioni sulla stessa macchina. — Il packaging è un mezzo di comunicazione potente, lei come vede la sua evoluzione? Penso ad esempio al grande tema dello spreco alimentare e del packaging parlante. Ima è iscritta a un’associazione internazionale che si chiama Save Food, generata proprio all’interno di Fiera Dusseldorf, della quale fanno parte molte multinazionali sia di tecnologie che di produzione diretta. L’iniziativa è volta proprio a trovare le soluzioni tecniche e di marketing commerciale adatte alla riduzione dello spreco alimentare in un mondo dove ci sono ancora 200 milioni di persone sottonutrite. La questione è molto complessa perché interessa le norme per la preparazione e il confezionamento alimentare che sono molto rigorose e il cui rigore però in qualche caso va al di là del buon senso e fa sì che noi sprechiamo oltre il 40% della produzione alimentare mondiale. Spesso non siamo disponibili a consumare un litro di latte il giorno della sua scadenza di legge, anche se perfettamente conservato in frigo, perché abbiamo paura che succeda chissà che cosa. In realtà molto spreco alimentare potrebbe essere evitato se si usassero tecnologie di confezionamento diverse, basate su materiali nuovi. Oggi bisogna riuscire a coniugare i nuovi materiali


Export emiliano-romagnolo in crescita L’export dei distretti dell’Emilia-Romagna è cresciuto del 5,8% nel secondo trimestre 2014. Sono dati in accelerazione rispetto ai mesi precedenti che danno il segno di una maggiore vivacità dei nostri distretti rispetto agli altri italiani che attestano la crescita al +3,1%. Nella nostra regione infatti 17 distretti su 19 hanno chiuso il trimestre in positivo, guidati ancora una volta dai due principali per valori esportati: le piastrelle di Sassuolo (+7,9%) e le macchine per l’imballaggio di Bologna (+4,3%). Sono questi i principali dati che emergono dal “Monitor dei distretti industriali dell’Emilia-Romagna” curato dal Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo per Carisbo, Cariromagna e Banca Monte Parma. I distretti del nostro territorio continuano così a dimostrarsi realtà fortemente internazionalizzate, dinamiche e competitive, anche rispetto ai competitor internazionali. Va sottolineata infatti la miglior performance dell’Emilia-Romagna anche rispetto a paesi come Germania e Francia. La crescita riguarda anche l’alimentare: i salumi del modenese (+2,6%), l’alimentare di Parma (+7,1%), l’ortofrutta romagnola (+8,7%), i salumi di Parma (+2,5%), il lattiero-caseario Parmense con un incremento del 20%, il lattiero-caseario di Reggio Emilia (+3,4%) e i salumi di Reggio Emilia (+7,5%). In crescita anche il settore della meccanica trainato dalle macchine utensili di Piacenza (+49,73%), dalle macchine agricole di Modena e Reggio Emilia (+3,4%), dai ciclomotori di Bologna (+6,4%), dalla food machinery di Parma (+5,2%), dalle macchine per il legno di Rimini (+5,5%). Segno più anche per le macchine per l’industria ceramica di Modena e Reggio Emilia (+31,8%). Bene i mobili imbottiti di Forlì (+3,1%). Nel sistema moda risultati positivi

per il confezionamento con il tema della compatibilità e della sostenibilità. Contemporaneamente occorre studiare nuove tecniche per il dispiegamento logistico dei beni alimentari, anche per cercare di aiutare il terzo mondo. — Cosa significa essere un’impresa così fortemente radicata nel territorio e qual è secondo lei il ruolo sociale dell’impresa? Se guardiamo alle statistiche, in Emilia-Romagna il 75% della ricchezza, intesa come saldo attivo dell’export contro l’import, è di 16 miliardi. Di questi, 12 sono prodotti dall’automazione industriale e dalla meccanica in generale. Se noi togliamo la parte automotive e macchine utensili e aggreghiamo tutta la parte meccatronica con l’automazione industriale, oltre il 60 % di questa quota, cioé i 12 miliardi di attivo della bilancia di pagamento della meccanica, sono la conseguenza di un rapporto con il territorio. Le persone che lavorano nella meccanica sono il 6% della forza lavoro della regione: non riuscirebbero mai in così pochi a

per l’abbigliamento di Rimini (+6,9%) e le calzature di San Mauro Pascoli (+14%), mentre chiudono in negativo la maglieria e abbigliamento di Carpi (-10%) e le calzature di Fusignano Bagnacavallo (-14,8%). I mercati che crescono maggiormente sono i cosiddetti mercati maturi (+8,7%), trainati dalle vendite in Germania (+11,3%) e negli Stati Uniti (+17,2%). Bene le vendite anche in Spagna e Paesi Bassi, mentre arretra l’export verso il Canada. Tra i nuovi mercati spicca l’Indonesia, mentre si segnalano segni meno in Ucraina, Egitto, Turchia e India. Per quanto riguarda la Russia: nel 2013 l’export dei distretti dell’Emilia-Romagna verso il mercato russo-ucraino è stato di 695 milioni di euro, pari al 6,4% del totale esportato. In particolare questo mercato ha un peso rilevante per i distretti dell’abbigliamento di Rimini e per le calzature di San Mauro Pascoli. Seppur in ripiegamento il monte ore di cassa integrazione autorizzato nei primi 8 mesi del 2014 resta su livelli elevati a conferma di un quadro del mercato del lavoro ancora problematico, nonostante i buoni risultati sui mercati esteri.

produrre così tanta ricchezza se non ci fosse una forte componente territoriale, se non ci fosse nel territorio la capacità di motivare continuamente le persone, di conferire una dignità particolare alla tecnologia, al lavoro della meccanica, al lavoro industriale e alla piccola curiosità quotidiana di questi tecnici che permette loro di migliorare continuamente il proprio lavoro. Il territorio è quindi anche una fonte molto importante di ricchezza individuale, di intelligenza. L’industria che è sensibile a questo, come Ima, deve comunque cercare di stabilire con il territorio delle relazioni attive, come ad esempio facciamo nel progetto con il carcere della Dozza o in collaborazione con altre entità come nei progetti di prevenzione sanitaria o legati all’abbandono scolastico. Più in generale si deve cercare di avere con il territorio una relazione che promuova quella

che si potrebbe chiamare intelligenza territoriale: fare in modo cioè che la cultura nel territorio si possa sviluppare secondo linee più ragionevoli che coinvolgano i singoli.

pagina 10 sede storica di IMA in Via Emilia 428-442 a Ozzano dell’Emilia, Bologna. pagina 11 stabilimenti ima, particolare di una blisteratrice IMA con un tecnico al lavoro. stabilimenti produttivi marchesini group (© Marchesini Group). a sinistra personale Marchesini Group (© Marchesini Group). prodotti confezionati da Marchesini Group (© Alberto Cocchi). sopra un tecnico al lavoro su una macchina IMA per il confezionamento di tè in sacchetti filtro ecologici, (foto Studio Baraldi).

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Regione & notizie

innovazione

Le sacche per Ebola da Mirandola in tutto il mondo

Le abbiamo viste in ogni telegiornale durante l’emergenza, sono le sacche per trasportare in sicurezza i malati di Ebola e sono prodotte a Mirandola. La Tecnoline di Concordia sulla Secchia (Modena), azienda che produce presidi medico-chirurgici, è riuscita a costruire un dispositivo che consente di trasportare, in aereo o in ambulanza, i malati senza rischio di contagio per il personale. Nel 2012 il terremoto aveva distrutto lo stabilimento di Tecnoline, ma nel giro di sei mesi l’azienda ha costruito un nuovo capannone, perfettamente antisismico e in grado di riprendere la produzione. Oggi il loro prezioso prodotto è l’unico al mondo in grado di fornire un oggetto così “su misura” per affrontare l’epidemia. L’azienda produceva già, per l’Esercito Italiano, una sacca con saldature particolari per il trasporto di pazienti contagiati, ma dopo i primi casi di Ebola ha modificato il prodotto che era concepito per contaminazioni meno letali. Tecnoline ha innovato il prodotto ideando filtri e saldature particolari lunghe alcuni metri che assicurassero una tenuta al 100%, innovazione che nessuna grande azienda avrebbe studiato e sperimentato per così pochi pezzi.

e associazioni impegnate nell’ambito delle migrazioni italiane all’estero, supervisionati da un consiglio scientifico di 50 esperti che rappresentano l’Italia e numerose altre nazioni. L’opera è ideata e diretta da Tiziana Grassi, con il coordinamento scientifico di Delfina Licata, la direzione editoriale di Enzo Caffarelli e la collaborazione della Fondazione Migrantes. Nonostante il rigore scientifico dell’indagine, il taglio è anche divulgativo, perché gli studiosi hanno raccolto un gran numero di testimonianze, illustrazioni, documenti e hanno evitato un linguaggio troppo tecnico. Gli argomenti trattati appartengono tanto agli aspetti teorici, ai sistemi di valori, ai segni e ai simboli, ai sentimenti, alla psicologia, quanto a luoghi e fatti, oggetti concreti, circoscritti nel tempo e nello spazio.

immagine tratta dal volume “trovare l’america”

rubriche

editoria 2

Italiani alla conquista della “Merica”

editoria 1

L’ABC delle migrazioni Italiane nel mondo

È in libreria un libro che non possiamo non segnalarvi. Si tratta del Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo, volume di 1500 pagine che racconta la grande emigrazione tra Otto e Novecento e giunge fino ai nostri giorni, con migliaia di italiani che continuano a muoversi verso altre terre. Una pagina fondamentale della storia italiana, fatta di coraggio, sacrifici, sogni, conquiste e che ha visto partire oltre 27 milioni di connazionali. Oggi gli “italiani col trattino” sparsi nel mondo sono circa 80 milioni. I nostri emigrati partivano con la paura e con il passaporto, con la speranza e con i ricettari per continuare a mangiare cibi all’italiana. Trovavano spesso la solitudine e il carbone delle miniere, la discriminazione e la carne che in Italia non potevano permettersi, la voglia di tornare in patria e il denaro da inviare alle famiglie rimaste a casa. Il dizionario è il frutto del lavoro di 168 autori, per lo più docenti universitari e rappresentanti di istituzioni

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Ancora un volume, Trovare l’America. Storia illustrata degli Italo-americani nelle collezioni della Library of Congress, per chi desidera ripercorrere la storia dell’emigrazione italiana. In questo libro di grande formato, gli autori, Linda Barret Osborne e Paolo Battaglia, hanno selezionato 500 immagini relative alla storia degli italiani in America dalle collezioni della Library of Congress, l’istituzione che più di ogni altra rappresenta la memoria ufficiale degli Stati Uniti. La narrazione offre una prospettiva originale sulla complessa esperienza degli italiani in America, da Colombo ad oggi. Oltre a personaggi noti come Fiorello LaGuardia, Joe Di Maggio, trovano spazio uomini come Giacomo Beltrami, il primo a esplorare le sorgenti del Mississippi nel 1823, e Joe Petrosino, precursore della lotta al crimine organizzato. Il libro ricostruisce la vita, spesso difficile, affrontata da milioni di emigranti italiani e il percorso che li ha portati a essere una grande risorsa per gli Stati Uniti. Insieme ad autori noti come Lewis Hine, il libro riscopre artisti italiani come Carlo Gentile, che fotografò i nativi americani nell’Ottocento, e Athos Casarini, pittore futurista e illustratore per le riviste newyorkesi d’inizio Novecento. Le tre sezioni “Esploratori”, “Emigranti” e “Cittadini”, sono introdotte da saggi di Mario B. Mignone e Antonio Canovi, e ricostruiscono l’evoluzione della presenza italiana in America. Il volume, edito in Italia per i tipi di AnniversaryBooks, è aperto da una premessa di Martin Scorsese.


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Un secolo in bellezza

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regione madeein notizie er

La Maserati compie cent’anni: lusso, passione e tecnologia made in EmiliaRomagna. A Century in beauty. Maserati celebrates one hundred years: luxury, passion and technology made in Emilia-Romagna. ™ translation at page 47

di Angela Simeoni

È

il primo dicembre 1914 quando Alfieri Maserati apre in via de’ Pepoli, nel centro storico di Bologna, proprio dietro piazza Santo Stefano, un’officina per la riparazione di automobili destinata a diventare una delle scuderie più celebri e ammirate al mondo. Da allora la Maserati ha sempre avuto una parte importante nella storia e nella cultura dell’automobile sportiva a livello internazionale. L’attività inizia ufficialmente il 14 dicembre dello stesso anno. Alla guida dell’azienda, insieme ad Alfieri ci sono due dei suoi fratelli, Ettore ed Ernesto. I tre ragazzi si interessano di meccanica e amano la velocità, tanto da mettersi tutti al volante di un’automobile da corsa negli anni d’oro delle competizioni. Un

quarto fratello, Bindo, entra in officina alla morte di Alfieri, nel 1932. Nel 1926, primo dopoguerra, la Fratelli Maserati cambia sede e diventa la Officine Alfieri Maserati Sa, un progetto preciso nato con l’intenzione di costruire una vettura adatta a gareggiare nelle competizioni internazionali. C’è bisogno di un logo per la nuova ditta. Della sua creazione è incaricato Mario Maserati, fratello artista e poco appassionato di automobili. Mario viene consigliato dal Marchese Diego de Sterlich, amico di famiglia, che gli propone di ispirarsi alla statua del Nettuno di Bologna. Oltre al Tridente di Nettuno, Mario decide di utilizzare i colori rosso e blu, sottolineando l’appartenenza bolognese, colori che distinguono tuttora il Tridente e la scritta Maserati.

Proprio in quel 1926 la Fratelli Maserati Sa costruisce la sua prima automobile, un’auto da corsa Tipo 26, che debutta con una vittoria alla Targa Florio dello stesso anno. È la prima di una lunga serie di successi tra cui si annoverano due edizioni della 500 Miglia di Indianapolis, nove vittorie in Formula Uno e il Campionato del Mondo di F1 nel 1957. Nel 1947 Maserati stupisce il mondo con la sua prima vettura stradale, la A6 Granturismo. Ancora un’idea vincente nel 1963: si tratta della prima generazione della Quattroporte, una berlina sportiva di lusso, con cui Maserati crea un nuovo segmento di mercato. Il trasferimento da Bologna a Modena, presso l’attuale stabilimento di Viale Ciro Menotti nel 1940, l’acquisizione da parte della Ferrari S.p.A. nel 1997 e

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made in er

Il percorso storico della Maserati è quello di un marchio nato nella Motor Valley emilianoromagnola e diventato una grande realtà internazionale presente in 43 Paesi del mondo. il passaggio a Fiat (oggi FCA) nel 2005, sono solo alcuni dei momenti cruciali nella vicenda di questa azienda. Il percorso storico della Maserati è quello di un marchio che nato non a caso nella Motor Valley emiliano-romagnola, è diventato una grande realtà internazionale presente in 43 Paesi del mondo. Le celebrazioni per il centenario sono state diverse, come ad esempio il Raduno Internazionale del Centenario Maserati che si è svolto a settembre tra Bologna, Modena e Torino. Nell’arco della tre giorni è stato possibile partecipare a esposizioni, a una gara di regolarità, una prova in circuito e a un concorso d’eleganza. È stato possibile visitare le due fabbriche Maserati (la storica a Modena e la nuova a Grugliasco), ma soprattutto vedere sfilare automobili e collezionisti da tutto il mondo. I proprietari delle Maserati di oggi sono perlopiù negli Stati Uniti, in Cina, Corea, Russia, Emirati Arabi, Azerbaijan. I proprietari di auto storiche sono arrivati in gran parte da Australia, Cina e Giappone o per restare in Europa da Norvegia, Svezia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Grecia. Oggi sono la GranTurismo, la GranCabrio, la Quattroporte e la Ghibli che fanno innamorare ogni giorno migliaia di appassionati in tutto il mondo. La Casa del Tridente non poteva festeggiare in modo migliore questo anniversario: le consegne nel trimestre sono state pari a 8896 vetture (3953 nel terzo trimestre 2013), grazie soprattutto all’andamento della Quattroporte e della Ghibli. I ricavi sono stati pari a 652 milioni di euro (444 nel terzo trimestre 2013) e l’Ebit è migliorato a 90 milioni di euro dai 43 dello stesso periodo dell’anno scorso per effetto della crescita dei volumi. Il

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nostro mercato, grazie a cento nuove immatricolazioni nel solo mese di settembre, si conferma come prima piazza europea per il marchio modenese, un dato ribadito dalle quasi mille unità immatricolate dall’inizio dell’anno, con un aumento del 572% rispetto allo stesso periodo del 2013, e che fanno registrare una crescita superiore a quella degli altri mercati europei.

pagina 15 Maserati Quattroporte Ermenegildo Zegna Limited Edition (© maserati). A sinistra dall’alto 1965, Uffici Tecnici, Sala Disegnatori (© maserati). Reparto lavorazioni meccaniche, 1956 (© maserati). la Spyder 3500 GT Vignale del 1958 (© maserati). A destra Maria Teresa de Filippis, Nel 1958, al Gran Premio del Belgio, entra nella storia come prima donna a guidare una monoposto di Formula 1 (© maserati). sotto mostra per i 100 anni della maserati al museo enzo Ferrari di Modena

Maserati in mostra “Maserati 100 - A century of pure italian luxury sports cars” è in mostra al Museo Enzo Ferrari di Modena, a poca distanza dallo stabilimento fino a gennaio 2015. Decine di modelli storici e l’opportunità di rivivere, grazie a una spettacolare proiezione immersiva, fatti e gare di cent’anni di storia, come le vittorie di Nuvolari, i successi alla 500 Miglia di Indianapolis, i titoli Mondiali di Formula 1 con Fangio e soprattutto le automobili per le corse sportive. La mostra propone anche l’esposizione comparativa delle più celebri Ferrari e Maserati, nelle diverse epoche.

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Regione & notizie

certificazioni 1

Igp per Piadina e Salama da Sugo

© archivio fotografico Rimini Turismo

Con i suoi 41 prodotti a marchio Dop e Igp, l’Emilia-Romagna consolida il primato italiano ed europeo, come territorio con il più alto numero di produzioni agroalimentari a qualità certificata. Gli ultimi due prodotti ad aver ottenuto il riconoscimento della Commissione europea sono la Salama da Sugo Igp e la Piadina Romagnola Igp. Si tratta di un traguardo importante per due produzioni di qualità, il cui valore aggiunto è rappresentato proprio dalla forte identità territoriale. Con il riconoscimento della Denominazione d’origine protetta e dell’Indicazione geografica protetta le produzioni che non rispettano il disciplinare potranno essere sanzionate. Una garanzia sia a tutela dei produttori che dei consumatori. La Piadina Romagnola Igp è uno dei simboli della Romagna. Il disciplinare di produzione differenzia le diverse tipologie di piadina romagnola, disponendo un’etichettatura specifica per quella alla riminese, più sottile e larga. Gli ingredienti per tutte le tipologie sono comunque gli stessi: farina, acqua, sale, grassi, lievito. Non è consentito l’uso di conservanti, aromi e altri additivi. L’area di produzione corrisponde al territorio delle province di Rimini, Forlì-Cesena, Ravenna e, in parte, di Bologna. La Salama da Sugo Igp è un salume tipicamente ferrarese, la cui caratteristica forma a melone, con divisione in 6/8 spicchi e strozzatura mediana, risale al periodo estense. Composto da una miscela di carni suine aromatizzate e insaccate nella vescica naturale del suino, previo asciugamento e stagionatura, è venduto come prodotto crudo o, con successivo trattamento termico, come prodotto cotto pronto per il consumo. Le caratteristiche gelatinose dei tagli di carne impiegati fanno della salama da sugo un prodotto che al palato si presenta morbido e granuloso. La zona di lavorazione, condizionamento e confezionamento coincide con quasi tutta la provincia di Ferrara.

certificazioni 2

Marchio “Emilia” per il Lambrusco

Gli Stati Uniti hanno accolto la domanda di registrazione del marchio “Emilia” presentata dal Consorzio di Tutela dei Vini Igt dell’Emilia, costituito fra i produttori di Reggio e di Modena. La registrazione ufficiale da parte dell’United States and Trade-

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mark Office, l’ufficio statunitense dei brevetti e dei marchi di fabbrica, risale al 10 giugno scorso ed è catalogata al numero 4.545.990 della categoria numero 33 riservata ai vini. Il Lambrusco emiliano è già ampiamente affermato nel mercato americano e la sua qualità certamente riconosciuta dai consumatori, ma la registrazione del marchio è un passaggio importante per la valorizzazione delle nostre produzioni vitivinicole in uno dei mercati internazionali più interessanti.

© Gabriele Arlotti

rubriche

riconoscimenti

Una giornata mondiale per la dieta mediterranea

Per ora è solo una proposta ma Andrea Segrè, direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari e presidente del Last Minute Market, ci crede e ha lanciato la proposta di dedicare alla Dieta Mediterranea, dichiarata patrimonio culturale immateriale dell’umanità UNESCO nel 2010, una Giornata Mondiale. Nel presentare l’iniziativa, ha anticipato i risultati di una ricerca dell’Università di Bologna grazie alla quale si fanno scoperte interessanti: non è vero che mangiare bene costa di più, non è vero che una dieta sostenibile non esiste o comunque non è stata ancora inventata. La dieta mediterranea è un esempio concreto di come si possa davvero mangiare bene e stare in salute, spendere il giusto e praticare uno stile di vita corretto dal punto di vista nutrizionale. La ricerca ha comparato tre diversi modelli alimentari valutandone l’aspetto nutrizionale e quello economico: dieta corrente (normalmente seguita), dieta mediterranea, dieta fast food. Analizzando i dati emersi dai carrelli della spesa si nota che il menù attualmente consumato dagli italiani costa settimanalmente a una persona 48,17 euro, mentre quello mediterraneo 50,28, solo 2,02 euro in più. Se invece ci si nutre in un fast food la spesa sale a 130,64 euro. L’impatto negativo dal punto di vista delle patologie legate all’alimentazione è in relazione a questi dati, risulta infatti che le fasce meno abbienti soffrono di alti tassi di obesità, diabete, malattie cardiovascolari, osteoporosi, carie dentali e alcune forme di cancro. “La giornata mondiale della dieta mediterranea - ha dichiarato Segrè - oltre a riconoscere un patrimonio mondiale, servirà anche a trasmettere una corretta informazione e a creare una coscienza alimentare che il nostro Paese deve avere”.


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La Grande Guerra La Collezione di cartoline illustrate Enrico Baldini. e-r magazine n. 2 | dicembre 2014 | 19


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Vita al fronte

in apertura [firma non leggibile], La via dell’onore. a destra Anonimo, Dragoni in marcia. Riccardo Salvatori, Soldati. sotto Plinio Codognato, Combattimento aereo. nella pagina accanto Tommaso Cascella, Alpini in trincea. Tommaso Cascella, Posto avanzato (Forcella Cianalot). Tommaso Cascella, Cavalleggero ferito.

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La Collezione, di cui vi proponiamo in questo Portfolio una piccolissima parte, è nata per iniziativa del fante Enrico Baldini (18981977), mutilato e decorato della Grande Guerra, e poi continuata dal nipote Eraldo Baldini, noto scrittore e saggista ravennate, che vi ha dedicato decenni di ricerca e acquisizioni nei mercati internazionali. Il Fondo, che si trova nel Museo “Francesco Baracca” di Lugo, consta di 2.905 cartoline italiane, tutte in ottimo stato, in parte nuove e in parte viaggiate. È stato acquisito dal Comune di Lugo in collaborazione con l’Istituto per i Beni Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. Al termine della catalogazione, curata dall’Istituto storico di Ravenna, sarà consultabile online nel Catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna e nel sito del Museo Baracca.

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La propaganda

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sotto Osvaldo Ballerio, La bandiera issata. Achille Luciano Mauzan, Fate tutti il vostro dovere. a destra in senso orario Anonimo, Soldati della 5° Armata. Anonimo, L’unione fa la forza. IMCA, Il dovere. Adelina Zandrino, Soldati d’Italia. Adelina Zandrino, soldats de l’entente.


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Dio, patria e famiglia

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a sinistra in senso orario Buzzini, La preghiera della madre italiana. anonimo, raccoglimento Anonimo, Preghiera. Riccardo Salvadori, Il grido supremo dei bambini d’Italia. Anonimo, La famiglia.

sopra Umberto Brunelleschi, La guerra delle donne. sotto Giovanni Nanni, ritorno. Giovanni Nanni, ricompensa.

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portfolio

Satira

dall’alto in senso orario anonimo, momento amletico Piccoli, L’invidia. Anonimo, Ritirata. Golia, L’ingordo. Anonimo, Satira. nella pagina accanto F. Vecchi, Infermiera che legge e soldato. Anonimo, Infermiera che soccorre un ferito. V. Finozzi, Sottoscrizione del prestito nazionale.

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Il Museo “Francesco Baracca”, aperto nel 1926 nella Rocca estense di Lugo e trasferito nella Casa natale dell’eroe del primo conflitto mondiale nel 1993, ospita anche uno dei pochi esemplari esistenti al mondo del velivolo SPAD VII, uno degli aerei della mitica 91ª Squadriglia comandata dall’asso degli assi dell’aviazione italiana, costruito in Francia nelle officine Blériot nel 1917. Su un fianco della fusoliera il grifo, simbolo della Squadriglia, mentre sull’altro svetta il Cavallino Rampante che, alla morte di Baracca, fu donato dai familiari a Enzo Ferrari per le sue vetture. Nell’atrio una Ferrari F300, guidata da Schumacher nel ‘98, unisce simbolicamente due grandi leggende del Novecento, ricordando le radici lughesi del marchio della Scuderia di Maranello. Oltre cinquecento tra cimeli, fotografie, lettere e filmati accolgono il visitatore nei tre piani dell’edificio in stile liberty, attualmente sottoposto a restauro e chiuso fino a maggio 2015, ma con una sede provvisoria aperta al pubblico nel castello estense (www.museobaracca.it). e-r magazine n. 2 | dicembre 2014 | 27


società

App resistenti Gli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna mettono in rete una serie di app gratuite per scoprire luoghi della Resistenza nelle città capoluogo della regione. Resistant Apps. The Historical Institutes of Emilia-Romagna are making available a series of free apps to discover the places of the Resistance in the capital towns of the region.

di Saverio Malaspina

I

n occasionedel settantesimo anniversario della Resistenza, l’Istituto per la Storia e la Memoria del Novecento “Parri Emilia-Romagna” ha realizzato – in collaborazione con gli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna in Rete – una collana di app, Resistenza mAPPe, scaricabili gratuitamente da Google Play e da iTunes. Resistenza mAPPe consente a tutti coloro che visitano le città emiliano-romagnole di poter individuare i luoghi topici della Resistenza e della Seconda Guerra Mondiale con informazioni, immagini e dettagli il cui rigore scientifico è garantito dagli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna. Le app, come nella loro natura, veicolano informazioni sintetiche e divulgative trasportando virtualmente il fruitore (cittadino, turista, studente) dove si sono svolti gli eventi storici, evitandogli però in questo caso di incorrere in fonti non scientifiche e portandolo a “toccare con mano” i luoghi degli avvenimenti storici in un vero e proprio tour della Storia e della Memoria.

Per non perdere il senso della storia e il filo della memoria, le app sono state rese disponibili in momenti diversi per ogni città, in riferimento a date simboliche del territorio: a Bologna per esempio il 7 novembre 2014, anniversario della battaglia di Porta Lame. I percorsi sono in totale 29, ciascuno costituito da numerose tappe e ideato seguendo la traccia di questi macro-argomenti: la Resistenza, con i luoghi simbolo dell’attività partigiana e la Repressione, i sacrari dei caduti

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per mano nazifascista. E ancora la Vita quotidiana, i bombardamenti con la distruzione delle costruzioni civili e artistiche e la costrizione dentro i rifugi antiaerei. Infine, le Persecuzioni, perpetrate nei confronti delle minoranze e delle comunità ebraiche. Insieme alle app è stato sviluppato un sito, www.resistenzamappe.it, punto di riferimento per quanto riguarda la comunicazione, gli eventuali aggiornamenti e soprattutto il dialogo con i navigatori del web, grazie all’integrazione con gli account social che hanno come obiettivo quello di avvicinare una platea trasversale alla storia della Resistenza e della Seconda Guerra Mondiale. Per l’occasione sono stati creati una pagina Facebook (“Resistenza Mappe”) e un account Pinterest dove sarà possibile condividere e scambiarsi immagini riguardanti gli argomenti trattati.

Ci racconta del progetto Luisa Cicognetti, responsabile della Sezione Audiovisivi dell’Istituto Parri Emilia-Romagna. — Come è nata l’esigenza di creare “Resistenza mappe”? Questo progetto editoriale nasce innanzitutto dalla consapevolezza che siamo al settantesimo anniversario della Resistenza, dunque il momento storico in cui si verifica inevitabilmente il passaggio tra la memoria diretta dei protagonisti e la Storia. Tutta l’attività che, come Istituti Storici, facciamo con le scuole e con la divulgazione è a un passaggio epocale. Dobbiamo, noi istituti che conserviamo la documentazione, gli archivi e anche le competenze per raccontare e insegnare questo tipo di Storia, presentare uno strumento che sia al passo con i tempi. Oggi tutti fanno app, su ristoranti o per gite turistiche, e chiunque potrebbe fare una app su percorsi storici, credo però che il valore aggiunto che gli istituti hanno messo nel raccontare e nel creare questa serie di app sia proprio quello di fornire uno strumento divulgativo al passo con i tempi per raccontare le cose in modo scientifico e adeguato. — Come avete lavorato? È stato un lavoro di squadra tra tutti gli Istituti dell’Emilia-Romagna, ci siamo messi insieme e proprio per questo abbiamo potuto fare un lavoro su tutta la regione con gli stessi parametri. Ogni città ovviamente ha i suoi percorsi autonomi, ma insieme


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abbiamo deciso quali tipologie di percorsi fare. Questo è importante perché così abbiamo prodotto un’uniformità di narrazione storica e didattica. Ci tengo a dire che è stato un grande lavoro di squadra. Sulla base dei temi che avevamo scelto ogni città ha creato i suoi percorsi attingendo ai suoi archivi, alle proprie competenze. Ad esempio Bologna aveva fatto già delle guide cartacee ai luoghi della Resistenza e della Guerra che ci sono state utilissime perché avevamo già una mappatura storica della città, ad esempio sapevamo già dove erano i rifugi. Quindi sulla base di lavori già fatti e con l’uso della tecnologia si è lavorato per raccontare i percorsi in un modo nuovo. — Ne è venuta fuori anche una narrazione “emotiva”? Sì e no, nel senso che il primo dovere di uno storico è quello di non farsi prendere dall’emotività. Quello che abbiamo raccontato e vogliamo raccontare è come esattamente si sono svolti i fatti, un lavoro di rigoroso scavo scientifico. Dall’altro lato, l’emotività è un valore aggiunto che può riguardare chi ripercorre quei temi e attraversa quei luoghi. Ad esempio noi stessi ripercorrendo con gli studenti le zone in cui si è svolta la battaglia di porta Lame, a Bologna, o le zone dove erano le basi dei partigiani, ci siamo emozionati. Però terrei ben distinti i due momenti. — Cosa significa allora essere un luogo della memoria?

Tante cose, Porta Lame appunto dove ci sono le statue di due partigiani che testimoniano l’evento storico, è un luogo che riesce ancora ad emozionare perché se arrivo lì so che ci sono state delle persone che sono morte per un ideale. Da questo punto di vista c’è un legame forte tra la memoria e la cittadinanza, so che lì è accaduto qualcosa che mi ha permesso di diventare cittadino. D’altro lato un luogo della memoria deve essere anche letto da un punto di vista razionale e scientifico, va attentamente inquadrato e analizzato da un punto di vista storiografico. Faccio un esempio di luogo della memoria controverso: alle Caserme Rosse di Bologna transitavano le persone che poi venivano deportate in Germania, c’erano anche gli smistamenti per i campi di lavoro. Per tutti però Caserme Rosse è diventato il lager di Bologna, ma a Bologna non c’è mai stato un lager. — I ragazzi che oggi hanno 15 anni in un mondo di mutamenti così veloci, raramente oggi hanno ancora un bisnonno che possa raccontare loro la Resistenza, secondo te come arriva loro questa Storia? Questo è proprio uno dei motivi per cui ci siamo detti “dobbiamo fare il salto dalla carta al digitale”. Nella mia esperienza di questi giorni in cui si susseguono le manifestazioni per il settantesimo anniversario, non ho mai visto tanti ragazzi come quest’anno, perché la Storia arriva direttamente non solo da quell’ormai sparuto gruppo di partigiani che ancora entrano

nelle le scuole per raccontare la loro esperienza, ma soprattutto dal lavoro di insegnanti sensibili e dal lavoro di Istituti come il nostro. Qui abbiamo una sezione didattica che tutti gli anni presenta alle scuole della regione e della provincia diversi progetti didattici. E poi nel progetto Resistenza Mappe abbiamo “assoldato” dei ragazzi di 15-16 anni che hanno lavorato nel backstage e hanno preparato dei videoclip che entreranno a far parte di questa collana di app. — La Resistenza può essere ancora un’indicazione di metodo? Racconta ancora di come un popolo può assumere la propria responsabilità di fronte alla Storia? Assolutamente sì, prendiamo ad esempio la nostra Costituzione, di cui in certi momenti sembriamo perdere cognizione, che è nata dalla Resistenza. Non è solo retorico, anche se a volte lo è stato, dire che effettivamente in quella Carta ci sono ancora valori a cui chi pratica la resistenza ai regimi totalitari può ispirarsi.

a sinistra la statua del nettuno imbragata per protezione dai bombardamenti (foto tratta dall’app resistenzamappe). sopra reggio emilia, liberazione (foto tratta dall’app resistenzamappe). le icone delle app.

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cultura

I piedi a Bologna e la testa nel mondo Il Mulino compie sessant’anni. È stato punto d’incontro internazionale tra pensiero liberale, cattolicesimo democratico e socialismo. Ne parliamo con Andrea Angiolini, direttore editoriale della storica casa editrice. Feet in Bologna, head in the world. Publishing house Il Mulino turns sixty. It has been an international meeting point for liberal thoughts, democratic Catholicism and socialism. We spoke about it with Andrea Angiolini, manager of the historical publishing house.

di Piera Raimondi Cominesi

MARTHA C. NUSSBAUM Emozioni Politiche, 2014

WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

I

l Mulino ha compiuto 60 anni e ha festeggiato questo importante compleanno con iniziative che guardano al presente, senza grandi commemorazioni. Perché questa

scelta? Futuro al Presente, la due giorni che abbiamo organizzato a metà di ottobre a Bologna e che ha avuto un grande successo, guardava al presente ma anche avanti. La manifestazione è stato il punto di arrivo di una serie di iniziative che abbiamo preso lungo tutto il 2014, alcune rivolte alla nostra

30 | e-r magazine n. 2 | dicembre 2013

SAMUEL P. HUNTINGTON

Ordine politico e scontro di civiltà, 2013 WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

storia, come il documentario realizzato sull’esperienza politico-culturale di Pedrazzi, altre rivolte al contemporaneo come la produzione editoriale dell’anno che è stata una parte dei festeggiamenti. — Nella Bologna degli anni Cinquanta il panorama editoriale è popolato da University press come Zanichelli, Patron, Cappelli, Clueb. Il Mulino nasce in questo contesto e dichiara però, sin da subito, di voler essere un laboratorio di pensiero. Come si è evoluto e trasformato

MARY DOUGLAS

Purezza e pericolo, 1975 WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

negli anni questo spirito originario? Il Mulino nasce come un’esperienza di alcuni studenti del Liceo Galvani che non hanno fatto la guerra, ma l’hanno vissuta e a un certo punto si chiedono che cosa poter costruire sulle sue macerie. Guardano alle scienze sociali, all’empirismo di matrice anglosassone, lasciano da parte gli ideologismi e approcciano la realtà con una prospettiva empirica. Questo talento iniziale non è cambiato, ma si è trasformato e ha dato i suoi frutti lungo sessant’anni di cambiamenti del Paese


60

I LE AR IA RS LINO ECVE L MU SPNI I DE N NN A A

L’industria culturale, 1963 WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

che il Mulino ha tentato di seguire. Però il principio secondo cui la realtà si studia a partire dagli elementi di fatto – che possono essere offerti dalle scienze sociali, dalla storia o dagli strumenti della cultura letteraria o del diritto – e che il confronto deve essere libero per contribuire alla formazione di un’opinione pubblica informata e capace di intervenire, non è mutato. Ovviamente si è articolato. Quei giovani studenti hanno cominciato pubblicando la relazione introduttiva a un convegno – la rivista aveva già

HANNAH ARENDT

La vita della mente, 1987 WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

qualche anno – e poi hanno iniziato a pubblicare libri, qualcuno diceva solo quelli che a loro interessava leggere. Naturalmente, con il tempo, è arrivata la maturazione editoriale e quindi è iniziato il confronto con il pubblico accademico, ma anche con quello non specialista. — La storia della casa editrice è fatta di molte figure fondamentali, tra queste Giovanni Evangelisti, deus ex machina del Mulino, che è stato alla direzione editoriale per oltre quarant’anni. C’è ancora

TOMMASO PADOA-SCHIOPPA La veduta corta, 2009

WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

la sua impronta? Il Mulino è un’opera collettiva, e questo ce l’ha insegnato Evangelisti, quindi ha l’impronta di tanti intellettuali e colleghi che si sono susseguiti nel corso degli anni. L’impronta principale nella casa editrice è certamente quella di Giovanni Evangelisti, un grandissimo imprenditore culturale che sapeva coniugare sensibilità culturale a fortissima sensibilità organizzativa. Quindi l’organizzazione della casa editrice, la sua articolazione, il rapporto con l’Associazione il Mulino,

e-r magazine n. 2 | dicembre 2013 | 31

con il patrocinio del

si ringrazia

EDGAR MORIN

WWW.FUTUROALPRESENTE.IT

SULLE SPALLE DEI GIGANTI: SESSANT’ANNI DI LIBRI E DI IDEE

Il Mulino nasce come un’esperienza di alcuni studenti del Liceo Galvani che non hanno fatto la guerra, ma l’hanno vissuta e a un certo punto si chiedono che cosa poter costruire sulle sue macerie.


Edith Wharto

o term gode nte o a d d si è se i una lungh le, che in It ivine. a m is del be pre accom sima tradiz lia nesse pagna ione, re psi nostro ta la ch ri vi di Ca aggio com ico e spiritu cerca ra a fra cu calla e tocc incerà dalleLAleB.AIlTTAG i LIA D ELLE Salso Bagni di Lu herà vari ce Terme IDEE m cc vagare aggiore, Is a, le Term ntri, e di c h fr ia a . sta N grotte , fang bilimenti, ell’acquore sorge hi, è l’ terme o nti, im , che si intessuto di maginario sa disvele d rà a n cro e di pro elle oi. fano,

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Cove r desig n: M iguel Sal & C

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cconto il grande ra in italia del viaggio

e «Il Su on F. erve che pr d vive sulle Prota, Il Mul nto oduce. ino, spalle Falso! » (Later dell’Italia za, 20 13).

«L’inUdNA CO VARE L’I triaLLANA DI TALIA dell’eD’AuUsTO , de ITINER CONTO conomREèTR STOv ARI Re AC iG DitAeE ia ricoli N alianRaIAreEsCtaUre IL CopmeARA , Ril m ALIA d U ma oLT otore DARE i un dra IO eNre ggi sAIT agAG PeER Gstico IN nell’iTnEVI ir ono e ? DnEL dRivMidEu Ci siam ridimato vid i ogg e nsri el L’daecq ggi iondi are o tro via per ame enti ieri i di li ri v p n a a ro allItin aupn erauaeahre avu letosofinlu blemi ma ti d’accord nto. o d z c nonsiupoealiltoticvaaloin a io nansi aalle re dsiumsbtorilicao ll’nani.ticChoitàsì d i siamo div lee ncueltu dei pe m fo i isi lle duneti,»m ra n:g vie itali di culto grinaggi . eta ancora vele a o ne no tra d cciate Al sog legati a fig i cura, feno oggi meni giorn ure sa

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l’equipaggiamento gli incidenti e le trasporto, riviviamo e i sogni e a volte avventure, ma anch primi turisti. lo scoramento di quei é attraverso lo Ma c’è dell’altro, perch la letteratura sguardo degli stranieri, narci un modo di viaggio può inseg all’Italia. Potremo are guard di so diver tica esperienza di così fare l’unica, auten bile oggi: tornando viaggio ancora possi hi visitatori, sui passi di quegli antic fare nostre le loro in loro compagnia, mete favolose.

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RIPART IRE LE IMPRE SE

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il Mu lino

il rapporto con il mondo dei lettori porta ancor oggi fortissima l’impronta di Giovanni Evangelisti. — Tra i “mugnai” ci sono stati tanti intellettuali di grande spessore e di diversa estrazione culturale, tra i molti che potrei citare Ezio Raimondi e Edmondo Berselli. Che ricordo ha di loro? Ricordi ovviamente molto vivi per questioni anche personali. Ho studiato all’Università di Bologna, la mia vita “numero uno” è stata da studente di Filologia classica e ho fatto molti esami con Raimondi. Ricordo in particolare il meraviglioso primo esame di Letteratura italiana nel suo studio, preparato da me con grande ansia e spero anche con scrupolo, che si rivelò poi particolarmente facile perché parlava sempre lui e tu non riuscivi che a dare uno spunto che lui arricchiva di mille possibilità in più. Un grande intellettuale, uno di quelli che riusciva naturalmente a tenere insieme storia dell’arte e storia delle idee, letteratura e una fortissima apertura anche alle scienze sociali. E in questo, quando l’ho ritrovato in casa editrice, ho visto l’imprinting originale del Mulino. Raimondi è stato per tantissimi anni presidente del consiglio editoriale e la sua funzione era proprio quella di cucire le prospettive disciplinari e lasciare che dialogassero tra loro, quindi un grandissimo intellettuale. Con Edmondo ho lavorato tanti anni alla rivista “Il Mulino”, quindi è stato

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un amico oltre che un maestro. Anche lui aveva una capacità e una velocità di intuizione culturale fenomenale unita a un senso del manufatto e della costruzione, della rivista così come di altre cose di cui si occupava, e io con lui, dai prodotti promozionali a collane specifiche. Sempre con grande acume intellettuale e grande sapienza fattuale. — Il Novecento è stato definito il secolo delle riviste, luoghi di scontro culturale e politico dove si formavano le opinioni e si costruiva l’identità collettiva. Cosa sono oggi le riviste del Mulino? Innanzitutto le riviste del Mulino oggi sono tante, più di 60. Sono essenzialmente di due tipi: riviste di intervento, come la rivista “il Mulino” e qualche altra testata e, per la maggior parte, riviste di tipo scientifico-accademico. Le riviste in realtà sono sempre state due cose: il luogo più veloce dove far uscire le idee, ma anche la prima elaborazione della produzione scientifico-accademica, e questo rimane e si rafforza. L’offerta di riviste del Mulino si è articolata nel corso del tempo, si è preparata a servire le prospettive disciplinari più complete e più mature, ma anche le nicchie, perché la produzione scientifica si frammenta, si articola e soprattutto si digitalizza, per cui dal 2004 il Mulino ha attivato Rivisteweb, la principale piattaforma di Humanity and Social Sciences in Italia. Si tratta di un ambiente ad

uso delle università dove gli studiosi trovano i contenuti, ma racchiusi in una serie di servizi di tipo citazionale, referenziale e di ricerca. Oggi il compito principale delle riviste è rivolto all’interno dell’accademia e quindi l’editore si attrezza in questa direzione, sull’esempio dei migliori modelli internazionali. — L’era digitale ha stravolto il nostro rapporto con il sapere e anche il mercato editoriale. Voi avete affrontato, tra primi in Italia, questo cambiamento, laicamente, sottraendovi di fatto alla diatriba cartaceo/digitale. Penso a progetti come Darwin books o Pandora Campus, ce li racconta? Due considerazioni ci hanno guidato, la prima, cercare di dare vita a programmi, non a episodi che per quanto eclatanti poi non sarebbero stati replicabili. La seconda, aggiungere valore al digitale rispetto alla carta, perché se questo deve limitarsi a riproporre altrove cose già disponibili su carta, francamente poi non ci si può lamentare della scarsa penetrazione di un digitale così povero. Da questo punto di vista la carta è perfetta, comoda, sappiamo usarla. Quindi abbiamo cercato una nostra cifra, l’abbiamo cercata in tante direzioni, i due progetti che lei cita sono effettivamente molto diversi, ma corrispondono a queste due coordinate. Darwin books è la collezione di tutte le monografie di ricerca che produciamo, dal 2000

In sovr sede d


— Vige l’idea che il digitale debba costare meno del libro, questo può essere sensato se si parla di semplici trasposizioni di formato, come vi state muovendo invece per la commercializzazione di prodotti più complessi? La politica di prezzo è parte della riflessione corrente, non abbiamo ancora tutti gli elementi per una politica definita, siamo in mezzo al guado e facciamo sperimentazione, oggi gli editori tentano diverse strade. Per

non ci interessa fare perché è possibile, ci interessa fare se questo risponde a qualche bisogno.

60

Roma, zzo Spada a a. racoperta: Pala Galleria Spad di Stato e della del Consiglio

quello che riguarda la produzione non specialistica che è presente su tutti i principali store, da Ibs a Amazon, da Kobo a Apple, la nostra scelta è stata quella di contenere lo sconto rispetto al cartaceo, perché siamo convinti che esista comunque un valore aggiunto nei contenuti e nella qualità delle nostre edizioni, sia pure per i tablet e gli e-reader. Si tratta delle nostre collane non specialistiche, comprese le ultime del 2014, ad esempio Parole contro tempo, collana che sta tra la storia delle idee e la filosofia; Ritrovare l’Italia, collana dedicata a percorsi molto personali, molto godibili, non specialistici attraverso le bellezze italiane o Farsi un’idea, collana non specialistica di oltre 200 titoli, sempre molto apprezzata, che è digitale fin da quando esistono gli store. La nostra politica di prezzo cerca comunque di ribadire, anche nel contenimento di questo sconto, il valore aggiunto che l’editore mette nel progetto. Le riflessioni sono ancora più articolate per un’esperienza come quella di Pandora Campus perché il valore aggiunto che mettiamo nella manualistica è particolarmente elevato. Quando diciamo “figure interattive” o “glossari interattivi” o “strumenti per l’organizzazione del tempo di studio” è chiaro che stiamo aggiungendo valore al libro cartaceo. Quindi la scelta di avere su Pandora un prezzo medio non inferiore al 25% della carta, cerca di venire incontro alle aspettative di un prezzo più basso però ribadisce il punto rispetto al valore aggiunto. Ricordo anche che l’Iva al 22% sulle produzioni digitali, equiparate al software, naturalmente ci impedisce di andare oltre. Poi c’è un’altra considerazione, in Pandora stiamo sperimentando anche modalità di accesso particolari, parlo non a caso di accesso anziché di acquisto. Su Pandora si acquista un accesso, c’è una fruizione a tempo funzionale al tempo di studio, modularizzabile sulla diversa durata e sui diversi stili di comportamento degli studenti. Al momento è possibile comprare l’intero libro o il singolo capitolo, altro elemento di differenziazione rispetto alla carta, per sei mesi; oppure l’intero libro per un mese in un modello di fruizione in streaming di cui oggi tutti parlano, ma che noi facciamo da tempo. E poi vedremo, quello che lega esperienze come queste è anche vederne l’efficacia. Non siamo particolarmente tecno-diretti,

I LE AR IA RS LINO ECVE L MU SPNI I DE N NN A A

a oggi. È dedicato all’università ed è uno strumento per gli studenti e gli studiosi, l’idea è quella di consentire sul testo cose che sulla carta non puoi fare. Un esempio: è possibile cercare tutte le figure che parlano del Pil della Germania, ma solo nei libri di sociologia, e il risultato sono solo le figure. Questo è possibile perché la costruzione dell’edizione digitale è una costruzione ricca, specifica, che va ad identificare il ruolo semantico di porzioni del testo, dunque consente al ricercatore di scavare, di ricavare in automatico le citazioni selezionando porzioni arbitrarie di testo. Ci si è posto il problema di aggiungere un livello di servizio ai contenuti. Pandora Campus prende la medesima direzione, ma cambia completamente l’oggetto perché qui ci si occupa di text books e in questo caso si tratta di una scommessa. È la nuova frontiera dell’editoria in cui si prende atto che anche nelle scienze umane, anche in Italia, anche nella manualistica universitaria, gli studenti studiano in tanti modi diversi. E siccome la carta la facciamo discretamente, e continueremo a farla, ci siamo posti il problema di creare strumenti per la didattica e l’apprendimento di tipo digitale e a valore aggiunto. Abbiamo così reinterpretato il manuale dove alcune zone del testo diventano interattive, dove si aggiungono apparati a corredo degli esercizi per ripassare, dove al docente viene data la possibilità di creare core spec, selezionando singoli capitoli del testo. Alla tradizionale offerta cartacea abbiamo affiancato qualcosa che la carta non può fare, ma sono manuali. Questa è una scommessa, nel senso che mentre l’area di tipo accademico, Rivisteweb e Darwin books è già largamente digitale perché ormai i comportamenti dell’università sono quelli, nella manualistica universitaria si tratta di una frontiera, un terreno più nuovo.

— Il Mulino è bolognese anche nel suo essere stata sin dagli esordi di profilo internazionale. Qual è oggi il suo rapporto con la città? è ancora significativo che la sede sia qui, in Strada Maggiore 37? Lo è sempre stato è non lo è stato mai. Il fatto che Il Mulino nasca da un’esperienza molto precisa e molto coesa, un gruppo di studenti poco più che ventenni del Liceo Galvani, dice di un rapporto con la città e con l’università nel corso degli anni. Al tempo stesso non lo è stato mai, perché dal primo giorno Il Mulino non si è rappresentata come la casa editrice di Bologna e della sua università. Si è rappresentata come un editore con un punto di vista proprio, in dialogo con le realtà locali, ma da queste indipendente. Quindi vale ancora la battuta che diceva “i piedi a Bologna e la testa nel mondo”. È chiaro che per contiguità certe cose sono state possibili probabilmente perché non era Roma, non era Milano, non era Torino. Però il capitale del Mulino sono i suoi autori sparsi in giro per l’Italia e per il mondo ed è con loro che noi ci rapportiamo. La sede del Mulino è il luogo di sintesi di esperienze che si fanno in giro per il mondo.

nelle pagine precedenti immagini della mostra dedicata ai sessant’anni del mulino (ottobre 2014). a sinistra alcuni volumi di recente pubblicazione. sopra andrea angiolini, direttore editoriale de Il mulino.

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cultura

Una nuova legge per il cinema La Regione Emilia-Romagna ha approvato un programma triennale per attrarre le produzioni italiane e straniere. A new law for the cinema. The Region Emilia-Romagna has passed a threeyear plan to attract Italian and foreign productions.

di Angela Simeoni

L’

avventurosa storia del Cinema italiano passa per l’Emilia-Romagna. La nostra regione è stata il set di indimenticabili film che sono diventati patrimonio dell’immaginario collettivo, dai memorabili duetti di Peppone e Don Camillo alla Rimini dei vitelloni felliniani, dalla campagna di Novecento alla Bologna sognata di Pupi Avati. Ma non si tratta solo di immaginario, il cinema è anche industria, posti di lavoro, opportunità di promozione turistica del territorio. Solo in Emilia-Romagna, l’industria creativa e culturale conta 78 mila addetti e 32 mila imprese e corrisponde al 5% del Pil regionale. In questo contesto è nata la nuova legge “Norme in materia di cinema e audiovisivo”, approvata dall’Assemblea legislativa il 23 luglio scorso, con cui la Regione promuove, sostiene e valorizza le attività cinematografiche e audiovisive. Una legge molto attesa dagli operatori del settore, costruita assieme a loro e, significativamente, approvata all’unanimità dall’Assemblea legislativa che ne ha recepito l’importanza. Non solo, si è lavorato in una logica di rete anche internamente, nel progetto sono stati infatti coinvolti quattro assessorati regionali (Cultura, Attività Produttive, Turismo, Lavoro e Formazione) proprio perché il provvedimento nasce per valorizzare e sostenere tutta la filiera produttiva,

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attraverso la formazione degli addetti (non solo artistici, ma anche maestranze e tecnici) e con l’obiettivo di creare, attraverso l’attrazione delle produzioni, più imprese e più occupazione per i giovani nel nostro territorio. Sono state così poste in essere le premesse per dare vita a un vero e proprio “distretto diffuso” del cinema, creando nuovi strumenti per sviluppare opportunità imprenditoriali per la crescita e il consolidamento di tutta la filiera dell’audiovisivo. Tra

questi,l’istituzione di un Film Fund (Fondo per il sostegno all’audiovisivo) e il potenziamento della Film Commission regionale, con compiti di coordinamento delle iniziative regionali. Il Fondo per il sostegno all’audiovisivo avrà una dotazione di circa un milione di euro all’anno per sette anni e sarà costituito da fondi strutturali Fesr, finanzierà lungometraggi, documentari e fiction televisive. Lo scopo principale è muovere l’intero indotto del settore: le produzioni si impegneranno ad


assumere personale tecnico del territorio e a promuovere l’immagine della regione. La Film Commission supporterà le produzioni cinematografiche e audiovisive in termini operativi (facilitazioni logistiche e organizzative, come ad esempio ottenere i permessi per girare, fare ricerca di location, tenere i rapporti con i Comuni e in generale con il territorio), ma si occuperà anche di promozione e strategie di comunicazione riguardanti il territorio, gli autori e la produzione cinematografica e audiovisiva, con

particolare attenzione ai giovani. Più nel dettaglio, la legge, che trova attuazione in un programma triennale, promuove e sostiene rassegne, festival e altri eventi in grado di accrescere e qualificare la conoscenza e la capacità critica del pubblico; incentiva ricerca ma anche raccolta, catalogazione, conservazione e valorizzazione della documentazione cinematografica e audiovisiva. Non manca il sostegno a progetti di alfabetizzazione del pubblico e alla diffusione di opere cinematografiche e audiovisive di particolare interesse

culturale e di interesse regionale.
La Regione sostiene inoltre la crescita del settore multimediale, soprattutto lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile, lungo tutta la filiera produttiva. Persegue questo obiettivo promuovendo nuovi modelli di impresa, con la creazione di reti e di luoghi di aggregazione imprenditoriale nelle città. Importante sostegno viene dato anche alla ricerca, all’innovazione tecnologica, con l’utilizzo del digitale a supporto dei processi creativi, della produzione, distribuzione e conservazione delle opere. Con la nuova legge sarà supportato anche l’esercizio cinematografico, con l’obiettivo di qualificare e diversificare l’offerta. Per favorire la funzione di aggregazione sociale esercitata dalle sale cinematografiche, in particolare nei centri storici e nelle aree svantaggiate, sostiene progetti volti a migliorare l’offerta di servizi e di produzioni culturali nell’ambito della programmazione cinematografica.

in queste pagine locandine di film girati in emilia-romagna

e-r magazine n. 2 | dicembre 2014 | 35


storie

Bologna negli anni della Grande Guerra Una città in piena trasformazione urbana e sociale si affida al sindaco socialista che ha per motto “pane e alfabeto”. Bologna in the years of the Great War. A town undergoing a full urban and social transformation relied on a Socialist mayor whose motto was “bread and alphabet”. di Claudio Bacilieri

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delibera la costruzione della Bologna - Firenze. La città vuole adeguarsi ai nuovi mezzi di trasporto e all’aumento della popolazione, come già hanno fatto le grandi capitali europee. Dal punto di vista culturale e sociale, lo sviluppo non è da meno. Nel 1888 riapre il popolare teatro L’Arena del Sole costruito nel 1810, con due novità: la luce elettrica e una nuova facciata lungo la via della stazione. Borghesi, ma anche facchini e lavandaie, dopo gli spettacoli affollano il caffè del teatro. Il 1895 vede l’inaugurazione della Scuola femminile di arti e mestieri, dove le ragazze delle classi popolari imparano a fare le sarte, le ricamatrici, le impiegate. Due anni dopo l’architetto Collamarini progetta il tempio del Sacro Cuore e l’Istituto Salesiano, in cui sono ospitati un convitto, una scuola elementare, un ginnasio e vari laboratori di arti e mestieri. Nelle aule scolastiche entrano in vigore le nuove norme igieniche e, tra il 1913 e il 1915, lungo i viali di circonvallazione, nelle zone liberate dall’abbattimento delle mura, si costruiscono nuove

0 10

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ochi credevano, nell’estate del 1914, che una disputa sulla Serbia avrebbe portato gli Stati europei a una catastrofe lunga quattro anni. Sembrava che il periodo di pace e sviluppo economico di cui a lungo aveva goduto l’Europa, avrebbe reso antiquata la guerra come mezzo per disputarsi i mercati mondiali e la supremazia politica. Invece, alla fine del 1918 circa dieci milioni di militari e sette milioni di civili erano morti. Anche a Bologna la Belle Époque sembrava non avere fine. Si inauguravano teatri, linee ferroviarie, scuole, centri sportivi. La città era in piena trasformazione urbanistica e sociale. Nel 1902 inizia l’abbattimento delle mura e di due delle vecchie porte d’accesso che, rimodellate e isolate, perdono l’antica funzione daziaria. Fuori delle mura, sorgono i nuovi quartieri borghesi e operai, come la Cirenaica e la Bolognina. Nel 1904, dopo alcune corse di prova, parte il primo tram elettrico. Nel 1911 si completa la linea ferroviaria Bologna - Verona e si

scuole. Nel 1913 in via Indipendenza apre il teatro Apollo, destinato a diventare il più celebre locale di varietà cittadino. Sei anni prima i bolognesi avevano avuto il loro primo cinema. Quanto agli sport, la prima piscina è realizzata nel 1889, il primo campo da tennis nel 1902 ai Giardini Margherita, e nel 1909 nasce ufficialmente il Bologna Football Club. Tanta è la voglia di divertirsi e godersi la vita, anche con il cibo buono, che nel 1911 la Majani, una delle prime aziende in Europa produttrici di cioccolata solida, ottiene il permesso di produrre il famoso cremino a quattro strati vincitore del concorso promosso dalla Fiat. Nel 1912 viene costruita una macchina per fare i tortellini che ottiene la medaglia d’oro al Premio Umberto I. Poi arriva, nel maggio 1915, la dichiarazione di guerra all’Austria - Ungheria. La prima cosa che fanno i bolognesi è mettere in sicurezza il simbolo della città, la statua del Nettuno in piazza Maggiore. Temendo incursioni aeree, dapprima costruiscono intorno

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storie alla statua e alla fontana una gabbia di protezione in legno, poi le portano nei sotterranei del Palazzo Comunale. I fanali a gas dell’illuminazione pubblica sono schermati con vernice blu, e i commercianti al primo allarme hanno l’obbligo di chiudere i negozi e spegnere le luci. Devono invece restare aperti i portoni sulle strade, per consentire alla gente di trovare rifugio. E bisogna tenere stracci a portata di mano: imbevuti di alcool, si portano alla bocca per non respirare i gas, nel caso i nemici ne facessero uso. Per fortuna, l’unico allarme per incursione aerea si ha il 29 settembre 1917, quando aerei nemici raggiungono il Ferrarese, subito messi in fuga dalle batterie contraeree. Ma la particolarità di Bologna, nel periodo della Grande Guerra, è di avere un sindaco contro la guerra, un sindaco socialista. “Pane e alfabeto” è il programma con cui Francesco Zanardi, di professione farmacista, è eletto sindaco il 28 giugno 1914 “in nome del popolo”. La stampa liberale e cattolica subito si allarma: i giornali parlano della “teppa” al comando della città, di “tirannide plebea”, di “onda sovversiva”, di una giunta di “asini” perché nella sua squadra di governo Zanardi ha inserito operai, impiegati, commercianti, al posto dei soliti notabili. Il sindaco ha in mente due cose: alleviare la fame dei bolognesi in tempo di guerra, e favorire l’istruzione delle classi meno agiate. “Noi proclamiamo il nostro orrore per la guerra”, scrive in un manifesto del 1° maggio 1915 la Giunta comunale, attirandosi l’accusa di disfattismo e tradimento da parte di liberali e conservatori. Ai prezzi che aumentano per la scarsità dei beni, come normalmente accade nei periodi bellici, il Comune risponde con i famosi “negozi Zanardi”: 27 tra spacci e negozi in tutta la città in cui si distribuiscono generi alimentari e cibo a costo “politico”. Un quinto dei bolognesi si mette in coda ogni giorno per comprare pane, farina, carne, addirittura scarpe, a prezzi favorevoli. Se i soldati muoiono in trincea, nessuno deve morire di fame a Bologna, dice Zanardi. Là dove oggi sorge il Mambo, il Museo d’arte moderna di Bologna, c’era il panificio comunale voluto dal sindaco socialista, in grado di sfornare oltre 24mila chili di pane al giorno. Oltre al pane per i meno abbienti, c’è l’alfabeto nel programma di governo,

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Se i soldati muoiono in trincea, nessuno dovrà morire di fame a Bologna, dice Zanardi. Oltre il pane per i meno abbienti, c’è l’alfabeto nel programma di governo, vale a dire asili, scuole, biblio­teche. vale a dire asili, scuole, biblioteche. Il Comune provvede anche agli svaghi per i soldati in licenza, alle mense per gli orfani di guerra e al miglioramento delle condizioni igieniche delle abitazioni. Zanardi istituisce i pre-scuola, i dopo-scuola e le scuole all’aria aperta nel verde dei Giardini Margherita e della collina, per i bambini malaticci e gracilini. L’assessore all’istruzione Mario Longhena, insegnante di scuola media formatosi con Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli, si vanta del fatto che, mentre la guerra al fronte “comincia il suo ritmo inutile di morte, la vita rinasce in tutte le scuole di Bologna”. Durante il conflitto, le scuole bolognesi non restano chiuse neppure un giorno. L’amministrazione socialista apre cinque biblioteche comunali, le “nonne”, si può dire, delle attuali biblioteche di quartiere che fanno di Bologna una delle prime città in Italia per consumi culturali. I giorni cupi del conflitto non spen-

gono la voglia di divertirsi: nel 1915 si inaugurano nel sotterraneo del nuovo palazzo Ronzani, nella nuova via Rizzoli, il cinema Modernissimo e il Teatro Centrale. I soldati in licenza per svagarsi hanno a disposizione la Casa del Soldato, una specie di club con padiglioni attrezzati con tavole e sedie, dove si svolgono concerti e spettacoli. Rimane famoso, all’Arena del Sole, lo spettacolo con la celebre attrice Emma Gramatica, fotografata nel palco degli ufficiali feriti. Anche le fabbriche si adeguano: le Officine Calzoni si mettono a fabbricare proiettili e bombe, le Maccaferri filo spinato e paletti per le trincee, la Casaralta carne in scatola per le truppe al fronte. Le donne prendono il posto degli uomini nelle fabbriche, nelle scuole, alla guida dei tram, alle poste, negli uffici e nei campi. Alla fine della guerra, le donne bolognesi sono uscite dal loro isolamento. Avendo sostituito gli uomini per quattro anni, mantenendo le famiglie con il proprio lavoro, si sono guadagnate una discreta libertà di movimento: possono uscire di casa da sole e vestirsi in modo più pratico, adatto ai nuovi lavori. Così, l’abito diventa più leggero, senza ornamenti superflui, le gonne si accorciano, il busto è eliminato, le calze diventano leggere e la scollatura si accentua per lasciare libero il collo. Quando anche a Bologna arriva il taglio di capelli “alla garçonne”, come vuole la moda francese, la guerra è davvero finita e si aprono le porte ai favolosi Anni Venti. Resta solo la memoria dei caduti: il 12

giugno 1925 nel chiostro della chiesa di Santo Stefano si inaugura il lapidario con i nomi di tutte le 2.536 vittime bolognesi di questa tragedia immane. Lapidi e cippi sorgono nelle scuole, nelle fabbriche, nelle parrocchie e nelle associazioni. Anche vie e parchi sono dedicati al primo conflitto mondiale, come la via “Ragazzi del ’99”. I diciottenni mandati a morire sul Piave non sono dimenticati dai ragazzi nati cent’anni dopo, nel 1999, della classe terza media della scuola Giuseppe Dozza. Nel loro volume “Gente comune impigliata nella storia”, frutto di un laboratorio sui bolognesi nella Grande Guerra, ricostruiscono le vite spezzate dei 67 “ragazzi del ’99” che non tornarono più nella loro città. “Nei nostri sogni non c’era la morte”, dice un soldato nell’ultimo film di Ermanno Olmi, Torneranno i prati, dedicato alla Grande Guerra.

a pagina 36 Il Nettuno ingabbiato. a pagina 37 Distribuzione della farina sotto le Due Torri. asinistra dall’alto Caricatura di Francesco Zanardi. Ufficio Notizie per le famiglie dei militari: sala per la schedatura delle cartoline dal fronte. in questa pagina, dall’alto I feriti di guerra all’Arena del Sole. Stabilimento di Villa Contri: pulitura delle cartucce avariate.

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letture

La Maria dei dadi da brodo La storia industriale di Bologna tra romanzo e teatro è il racconto del “saper fare” dei bolognesi. Marinella Manicardi, attrice a autrice teatrale, ha portato in scena con successo questo testo divertito e divertente. Qui ve ne proponiamo una parte: la storia della prima macchina per impacchettare il glutammato. Da questa ingegnosa invenzione nasceranno le macchine per imbustare il tè, i blister per le pastiglie e tutto ciò che ha fatto dell’Emilia la Packaging Valley. Stock-cube Maria. The industrial history of Bologna between novel and theatre. This is the story of the “know-how” of the people of Bologna. Marinella Manicardi, a theatre actress and author, successfully put on stage this amusing and entertaining text. We report a part of it here for you: the story of the first machine to package glutamate. From this ingenious invention, machines to package tea, blister packs for tablets and all that made Emilia-Romagna the Packaging Valley were born.

di Marinella Manicardi e Federica Iacobelli

L

a vera Maria è arrivata al teatro delle Moline una domenica pomeriggio per assistere allo spettacolo La Maria dei dadi da brodo. Federica non l’aveva mai incontrata. Io sì, nel 2001. Con Luigi Gozzi andammo ad abitare in via Mascarella, anzi nella Mascarella, come dicono i bolognesi, casa nuova, nuovi vicini, quindici campanelli, quindici storie, alcuni lì da molti anni, altri arrivati poco prima di noi nel condominio anni Sessanta, tutti molto gentili e accoglienti. Una vera fortuna. – Sono la Maria, abito sopra di voi, però ho anche una casa in campagna, ci vado domani, vi porto le uova fresche, c’ho i polli, le galline, anche le fragole, d’estate. Molto elegante, la Maria, di un’eleganza sobria, con occhi tra il celeste e il viola, brillanti come gli orecchini e gli anelli che sembra orgogliosa di possedere. – Vado a Venezia, a giocare al casinò. Vedi, è venuto a prendermi il mio ragazzo, mi riporta a casa stanotte. I soldi ce li ho, sono miei, me li sono guadagnata lavorando tutta la vita con mio

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marito, che è morto... Pausa, la voce si abbassa leggermente. – Così, ogni tanto vado a Venezia. Delle volte vinco, delle volte perdo. Ma non è mica quello, che m’interessa. L’autista, sempre lo stesso, la Maria tra il materno e il malizioso lo chiama il mio ragazzo, la saluta con deferenza affettuosa, apre la portiera dell’auto blu. Partono. Presi dal nostro lavoro al teatro delle Moline, né io né Gozzi abbiamo chiesto quale fosse, o fosse stato, il lavoro della Maria. Capita che ti isoli nella città, che prepari mappe e sogni per raggiungere Parma, Milano, Roma, non il vicino di casa. E capita che certe mattine apri la porta per uscire e trovi lì ad aspettarti un sacchetto con le uova, o le prugne, o le fragole, d’estate. Qualche anno dopo, ogni anno è sempre così, alla ricerca di figure e racconti della contemporaneità da mettere in scena, Gozzi e io decidiamo una visita al Museo del patrimonio industriale di Bologna. Una delle idee in ballo, mi piace che le idee danzino nella testa, era raccontare la storia del lavoro a Bologna, il lavoro come motore del racconto. E forse anche la città come

personaggio? No, questo è venuto dopo. […] Il Museo del patrimonio industriale è bellissimo, andate a vederlo, sono solo poche fermate del bus 27 per la Bolognina, uno dei quartieri rossi e operai di Bologna... Non tutti sono d’accordo. – Ma quali operai! Una volta! – Adesso ci sono solo pensionati, studenti e cinesi. – Hai visto quanti negozi e ristoranti cinesi che hanno aperto? In effetti. Ma non è per i cinesi che siamo qui, è per il museo, che non è un museo normale, voglio dire come ti aspetti che sia un museo con quadri o pannelli o teche con reperti di un passato che sembra non riguardarti più. E non è nemmeno un museo moderno da archistar. No. Da fuori sembra una casona di campagna con tante finestre tutte uguali, ma dentro, dentro, c’è la sorpresa. È la Fornace Galotti, un anello, no anzi un’ellisse, un’infilata di camere, una dietro l’altra, con muri grossi così, che formano come uno stampo da budino rovesciato di un rosso caldo e pietroso. Dentro quelle camere, una dopo l’altra, venivano impilate le argille da cuocere e la legna per il fuoco. Mentre si


Allora io gli ho detto con Natalino, mio marito, dico:” Ma perché te che sei così bravo” che c’aveva delle mani d’oro! “invece di… perché non inventi una macchina…”. cuoceva in una stanza, si preparava la successiva e si svuotava la precedente con i mattoni già cotti. E si procedeva così, una stanza dopo l’altra. Così nei tre mesi estivi, quando il forno era in funzione, il lavoro non si interrompeva mai. La fornace, che ha funzionato fino al 1966, produceva mattoni, tegole, comignoli, giunti per fognature, ma anche vasi da fiori, mensole ornamentali, cornici modellate. Il forno è solo una delle meraviglie del museo. Al primo piano c’è il paese dei balocchi, dei presepi con gli automi, perché lì certi modelli in legno ricostruiscono il sistema delle acque di Bologna, con le case, le stalle, le persone, i canali, le chiuse che si aprono e chiudono. […] Qui […] l’acqua è azionata da minuscole e precise pompe idrauliche costruite dagli allievi delle Aldini-Valeriani, le scuole tecniche di Bologna, e i plastici non riproducono un paesaggio inventato e improbabile come quello del presepe, ma piazze e strade ben riconoscibili perché sono le strade del centro storico di Bologna. Molte sono rimaste uguali dal Duecento a oggi. Più o meno. […] Ci spostiamo da uno spazio all’altro del museo, dal sistema dei canali, ai telai e torcitoi meccanici per la seta. E lì capiamo che la lavorazione della seta a Bologna non è un mestiere tra i tanti nella storia della città. La seta modifica l’urbanistica, svuota le campagne, forma nuove classi sociali, rende necessarie istituzioni, collega la città con il mondo. Come l’università. Seta e sapere, proto-industria e cittadinanza, ricchezza e assistenza crescono insieme alla città per quattro secoli, dal Duecento al Seicento, e anche dopo. Nota: dovremo studiare, documentarci, chiedere, capire. Poi inventare un modo per raccontarla a teatro, questa storia di

lavoro, di invenzioni e di sbuzzo, questa storia di Bologna. Altre stanze del museo, dalla seta ai motori: il salto ci sembra brusco. Che cosa c’è in mezzo? Tra Sette e Ottocento che cosa succede a Bologna? C’è un buco, un vuoto, c’è paura: di perdere il lavoro, di dover tornare in campagna, di prendersi il colera perché l’acqua dei pozzi è inquinata, c’è paura di non battere la concorrenza delle seterie francesi, poi dei cotton mills inglesi. C’è l’unità d’Italia che incalza come la nascente industria e Bologna è nello Stato della Chiesa, immobile. Nota: perché nella storia della città si parla così poco dell’Istituto delle Scienze, dell’eccellenza di Bologna nelle scienze medicina, fisica, astronomia, matematica, anatomia. Perché? E perché Ferdinando Marsili non viene celebrato e raccontato con mostre, libri, romanzi, film, come un eroe? Nota: questa storia è tutta da raccontare. Nelle ultime sale del museo esplode la passione della Pianura Bassa per i motori, i meccanismi, gli ingranaggi, viti, bulloni, dadi, pulegge, leve, alberi a camme, la desmodromica! Le splendide moto Guzzi e Ducati, le Maserati e Lamborghini, gli apparecchi ottici, i telescopi e microscopi e infine, in una sfilata di macchine automatiche che sembrano uscite da libri di storia dell’arte del Novecento e del Futurismo, le macchine impacchettatrici, quelle che nel dopoguerra hanno reso Bologna la capitale della Packaging Valley: ecco la macchina che prepara cinquemila tortellini all’ora, quella che imbusta la polvere Idrolitina del cavalier Gazzoni, quella che inscatola il cioccolatino FIAT Majani e quella che può imbottigliare qualsiasi liquido, bibita, detersivo, medicinale, la GD che rolla migliaia di

sigarette al minuto, le sigilla in pacchetti, poi stecche e quella... E qui ci fermiamo perché in un video accanto alla macchina della ditta Corazza, che incarta i dadi da brodo, riconosciamo la Maria, la nostra vicina di casa, quella che ci regala le uova. Nel video è più giovane, ma è lei. Racconta come lei e il marito negli anni nel dopoguerra abbiano inventato il dado da brodo, cioè la macchina Corazza che compatta il glutammato a forma di dado, lo avvolge in carta stagnola argentata, poi ne infila dieci o dodici in una scatolina colorata, che con altre trenta o quaranta viene sigillata in un cartone, che sarà impilato sui pallet pronti a essere spediti a negozi e supermercati. La Corazza, la macchina impacchettatrice, è stata venduta in tutto il mondo, acquistata da tutti i grandi marchi produttori di dadi da brodo: Star, Liebig, Knorr, Maggi, Lombardi, tutti. Ed è stata inventata, come tutte le altre che sono nel museo, ma non solo, a Bologna. Nota: dovremmo esserne orgogliosi! Nel video, Maria è seduta su un divano di pelle, direi in un ufficio della fabbrica. Elegante anche allora, giro di perle, vere. Sul tavolino basso davanti a lei c’è la foto di un uomo sorridente in cornice d’argento. È il marito, Natalino Corazza, morto qualche anno prima. – Dunque: mio marito, che aveva fatto le Aldini-Valeriani, è entrato all’ACMA prima della guerra, ed è uscito dopo. Il tono è di chi ha già fatto questo racconto molte volte ma lo rifà volentieri. – Poi assieme ad altri amici, che lavoravano, lui di giorno e questi amici venivano a dare una mano la sera, facevano dei motori. Nel ’57 mio marito voleva costruirne uno nuovo, che aveva in mente lui. Allora io ho gli ho detto con

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letture Natalino, mio marito, dico: “Ma perché te che sei così bravo” che c’aveva delle mani d’oro! “Invece di... perché non inventi una macchina...”. Si ferma, non sa bene come proseguire. – Dunque: è che io non mi compativo a fare il brodo. Usavo il glutammato, che allora te lo davano in un cartoccino che si rompeva, ti cadeva, non sapevi mai come fare. Allora dico a Natalino: “Perché te che c’hai delle mani d’oro non mi fai una macchina che mi prepara come dei pezzettini. Sarebbe più comodo”. Lui non era tanto d’accordo, voleva fare il suo motore. Io ho insistito, mi sembrava una buona idea. Lui c’ha pensato, lì in officina, i suoi bulloni, le sue viti... mi ha fatto un dado. Mi fa: “Maria, va bene così?”, “Ohi, se invece che di ferro me lo fai da brodo, è meglio”. E quello fu l’inizio di tutta la nostra carriera. Sorride, ma subito incalza. – Però, caro mio, per avviarsi con le macchine ci volevano i soldi e noi purtroppo non li avevamo. Fintanto, parlando dove abito ancora io nella Mascarella, amicissima del salumiere, parlando così, un giorno dice: “Ah signora Maria...”. Dico: “Lasci stare, che non sono mica tanto signora, che quasi vorrei essere al suo posto...”. Lui quasi quasi capì che avevo bisogno di soldi, e il Signore si vede che c’ha messo la sua santa mano, e mi fa: “Ha bisogno di soldi Maria? Guardi che io, fin dove posso, le posso venire incontro”. E mi dette, allora, un milione e seicentomila lire, in contanti. E quello fu l’inizio della nostra carriera. Abbiamo sempre fatto così con mio marito, io ci mettevo delle idee e lui ci metteva le mani, perché senza le sue mani le mie idee valevano poco. Sa come chiamavano mio marito gli americani? Mister Cubo. Fine del video. Io e Luigi Gozzi restiamo in silenzio qualche secondo. Sono certa che stiamo pensando la stessa cosa: la Maria, che ci regala le uova, ha inventato, con il marito Natalino, una macchina automatica che ha cambiato la storia di Bologna. Non solo lei, certo, però la sua storia è così importante che è già in un museo, anche se la incontriamo tutte le mattine sotto casa. Improvvisamente la Storia, la Storia grande, che per essere raccontata ha bisogno di distanza, è troppo vicina, troppo intima, addirittura casalinga. La Maria della porta accanto, gentile, curiosa, ma in fondo conoscente, più che conosciuta, almeno da noi, è diventata enorme, ingombrante, grande come una città. Come faremo a raccontarla?

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E anche la città, Bologna, forse è troppo grande, o troppo antica, o troppo complicata, o troppo... Forse è un’idea assurda pensare di raccontarla, a teatro poi, fosse un film! Però in fondo, a pensarci bene, anche noi abbiamo regalato alla città qualcosa che prima non c’era! Anche un teatro, il teatro delle Moline per esempio, è una bella macchina da lavoro, una macchina che costruisce oggetti pensanti, domande inaspettate, intuizioni, relazioni, emozioni, che costruisce un luogo dove “io” non può fare a meno di “noi”. Con un rimpianto: che la macchina Corazza, ancora funzionante, può regalarti lo stupore che nessun oggetto teatrale, nemmeno il più prezioso, può restituirti. Perché la materia vera di cui è fatto il teatro è la stessa dei nostri sogni. Però possiamo esserne orgogliosi. Lasciamo il museo ringraziando Maura Grandi, l’appassionata direttrice che ci ha accolto. Per lo spettacolo, vedremo. Qui dobbiamo far passare qualche anno: sei, sì, forse sei. Nel frattempo sono cambiate molte cose. Luigi Gozzi, mio marito, maestro, compagno d’arte e di giochi, è morto. Il teatro delle Moline, che avevamo inventato e diretto insieme per più di trent’anni, è entrato a far parte di Arena del Sole, il teatro stabile di Bologna, e il progetto sulla storia economica della città è rimasto in un file del mio computer. Ma a Paolo Cacchioli, direttore artistico di Arena, con il quale discuto ogni anno lo spettacolo da produrre, l’idea piaceva molto. C’era già stato un mio primo spettacolo sul lavoro, Luana prontomoda, dedicato all’impero delle paglie e delle maglie di Carpi, nella Bassa padana. Da sette anni lo replico, in molte città italiane, anche in Belgio. Forse adesso era il momento giusto per riparlare di nuovo di lavoro e questa volta il soggetto poteva essere Bologna, rileggerne la storia, soprattutto togliersi di dosso una sensazione di città che sta perdendo il suo orgoglio, la sua dignità, il suo senso civico, il suo futuro. – Bologna non è più quella di una volta! – Quando ero giovane io sì che si stava bene, tutte le sere fuori nelle osterie, di notte. – Adesso non puoi più girare di notte, ci sono i tossici, i punkabbestia, gli spacciatori. – Vivere a Bologna costa troppo, e poi è sporca, guarda i muri con tutte quelle

scritte. – Dopo le otto di sera non ci sono più gli autobus, poi tanto non c’è mai niente da vedere. – Perché non chiudono il centro storico alle auto, come in tutte le altre città? – Pensa te che vogliono chiudere il centro storico! Va a finire che falliscono tutti i negozi! – Città di bottegai! – Città che sfrutta gli studenti, con gli affitti in nero e gli happy hour per ubriacarli. – Non c’è più il partito che controlla tutto, adesso ci sono le mafie, infiltrate anche in... E la città con il consumo culturale tra i più alti d’Italia? E l’orgoglio di essere diversi? Rossi e commercianti, tolleranti e organizzati, colti ma poi si va a ballare? E la tenacia che porta tutta la città il 2 agosto da trent’anni davanti alla stazione per chiedere di togliere il segreto di Stato sulle stragi degli anni di piombo? La città che ha tra gli atti fondativi il Liber Paradisus e che ha creato la più antica università del mondo, va be’, forse la seconda, ma a Carducci possiamo perdonare la bugia. Sì forse era il momento giusto per raccontarla, la storia di Bologna. E la Maria dei dadi da brodo mi sembrò la guida giusta.

La Maria dei dadi da brodo La storia industriale di Bologna tra romanzo e teatro. Federica Iacobelli, Marinella Manicardi pendragon 2013, EURO 12 a pagina 41 Esercitazione di avvolgimento motori elettrici e trasformatori nella Sezione Elettrotecnica dell’Istituto Tecnico Industriale Aldini-Valeriani, anni ‘40 (Museo del Patrimonio Industriale, Archivio fotografico).


profili

Un architetto sul Rio de la Plata Carlo Zucchi, incisore di rame a Reggio Emilia e esule risorgimentale, progettò edifici e piani urbanistici a Buenos Aires e Montevideo. Suo il disegno del Teatro Solís, il più importante dell’Uruguay. An architect in Rio de la Plata. Carlo Zucchi, copper engraver in Reggio Emilia and emigrant during the Risorgimento, designed buildings and town plans in Buenos Aires and Montevideo. He is the architect of Teatro Solís, the most important theatre in Uruguay. ™ translation at page 48

di Claudio Bacilieri

È

un architetto uruguaiano di origini emiliane, Claudio Melloni, a spiegarci la figura, importante per Montevideo, di Carlo Zucchi, architetto anche lui emiliano (nato a Reggio Emilia nel 1789), tornato alla ribalta dieci anni fa quando il Teatro Solís da lui progettato, il principale teatro dell’Uruguay, fu re-inaugurato dopo un lungo restauro cui contribuì anche la Regione Emilia-Romagna. Nella vicenda umana di Zucchi – noto anche per altri edifici urbani in stile neoclassico come Casa Elías Gil e Casa Juan Francisco Giró – Melloni legge una lunga storia di emigrazione che è la stessa della sua famiglia e di tanti altri italiani. «Come Carlos Zucchi – dice Melloni – mio padre, nato a Medicina in provincia di Bologna, sbarcò dalla nave in un posto sconosciuto sul Rio de la Plata e dovette trovarsi un lavoro. Costruì case per una trentina d’anni a Montevideo, e per lui come per me le opere di Zucchi e i travagli che le accompagnarono, sono stati una guida». Quando, nel 2004, le arie più celebri della lirica italiana riecheggiarono nel Teatro Solís riaperto al pubblico, il ricordo andò alla sera della prima inaugurazione, il 25 agosto 1856: per il primo vero teatro dell’Uruguay, in una capitale con le strade ancora in terra battuta, fu scelta la musica dell’“Ernani” di Giuseppe Verdi, e le atmosfere

romantiche e tragiche del musicista di Busseto si diffusero per il Rio de la Plata. Furono gli spiriti romantici a spingere verso l’Argentina un gruppo di esuli italiani oppositori della Restaurazione, dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1820 e ’21. Carlo Zucchi era stato esiliato dal duca di Modena Francesco IV d’Este per le sue idee liberali. Apparteneva alla setta segreta della “Spilla Nera” ed era stato arrestato nel 1822 durante una retata della polizia al teatro di Reggio Emilia. Il futuro architetto riparò dapprima a Parigi, dove nel 1826 partecipò a riunioni massoniche, e quindi in Argentina. Qui, il governo illuminato e repubblicano di Bernardino Rivadavia, in controtendenza rispetto all’Europa, cercava menti fresche e aperte da inserire nella neonata Università di Buenos Aires. Così, una decina di proscritti italiani, non si sa se tramite la massoneria o contatti diretti con emissari di Rivadavia in Europa, sbarcò sulle sponde del Rio de la Plata. Zucchi era tra questi, forse convinto a varcare l’Oceano dal controverso scrittore napoletano Pietro De Angelis, che da fiancheggiatore di Gioacchino Murat sarebbe diventato, in Argentina, sostenitore della restaurazione di Manuel de Rosas. Poco dopo l’arrivo in Argentina, gli esuli italiani trovarono un clima cambiato: la fortuna politica di Rivadavia e-r magazine n. 2 | dicembre 2014 | 43


profili era in declino e il Paese stava scivolando nella guerra civile tra unitari e federali. Gli europei chiamati a favorire il progresso civile e culturale della nazione sudamericana, privati del loro “sponsor”, cercarono di adattarsi alla nuova situazione, come l’ingegnere piemontese Carlo Enrico Pellegrini che, trovatosi senza lavoro, si reinventò pittore, diventando in breve l’affermato ritrattista della buona società porteña. In precedenza Pellegrini aveva lavorato all’Università di Buenos Aires come esaminatore per la cattedra di disegno, e lì sicuramente incontrò Zucchi e Paolo Caccianiga, docente del corso di disegno. Nel giugno 1828 Zucchi e Caccianiga aprirono una scuola d’arte in calle Potosì, che già ad agosto dovettero chiudere per carenza di iscrizioni. Ma in quello stesso anno Carlo Zucchi aveva iniziato il suo lavoro di ispettore presso il Dipartimento delle opere pubbliche della provincia di Buenos Aires, non si sa in base a quali titoli. Uno dei punti controversi dell’esule reggiano sono, infatti, i suoi titoli accademici, mai esibiti e, perciò, motivo di attacchi da parte di avversari e della stampa. Nelle schede della polizia ducale era indicato come “incisore di rame” e non è noto se davvero abbia studiato, come lui sosteneva, alla Scuola delle Belle Arti di Parigi durante l’esilio in quella città. Zucchi conservò l’incarico di ispettore delle opere pubbliche fino al 1835. Le fonti argentine ci dicono che in quel periodo, grazie alla sua adesio-

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ne al partito federale e alla protezione del presidente Rosas, realizzò a Buenos Aires numerose opere, come il palazzo arcivescovile, il Pantheon per gli uomini illustri della patria, l’Ospedale Generale, la chiesa di Quilmes, il portale della chiesa di San Miguel, piazza della Vittoria, la chiesa di San José de Flores, il cimitero generale del Nord, e anche scuole per bambini, ponti di legno, bagni pubblici, case private in città e in campagna. Nel 1836 troviamo Zucchi a Montevideo, dove fu introdotto da Pellegrini. Non sappiamo se a fargli attraversare il Rio de la Plata fu l’avversione alla svolta dittatoriale di Rosas o la scoperta da parte di quest’ultimo, come

suggeriscono le malelingue, di una truffa attuata dall’architetto emiliano. È certo, invece, che nella capitale dell’Uruguay fu accolto benissimo e che, nei sei anni di lavoro come ingegnere della Commissione topografica e delle opere pubbliche, cambiò il volto della città con numerose realizzazioni architettoniche. L’ambizioso piano della ristrutturazione urbana di Montevideo, a partire dalla centralissima piazza del Mercato (oggi Indipendenza), per mancanza di fondi non fu attuato, se si esclude la costruzione di Casa Gil (ancora oggi visibile nel lato meridionale della piazza), ma impressionò il generale Manuel Oribe e il governo cittadino. A Zucchi fu data la possibilità


A Montevideo, in sei anni di lavoro come ingegnere della Commissione topografica e delle opere pubbliche, Zucchi cambiò il volto della città con numerose realizzazioni architettoniche. di costruire numerosi edifici, sia privati sia pubblici, come il Tribunale del Commercio, l’Ospedale Generale, un molo per l’attracco delle navi, lo spazio circostante la tomba del poeta Adolfo Berro e il Teatro Solís, l’opera che più di ogni altra lo ricorda e lo rappresenta, con quella sua facciata neoclassica che riempie armoniosamente il centro urbano. Del teatro, in realtà, Zucchi realizzò solo il disegno nel 1840: il progetto venne successivamente adattato da Francisco Garmendía e ultimato nel 1856. Ma sua è la cifra stilistica, che con il richiamo alle fonti della cultura classica italiana, suona come un atto d’addio al Nuovo Mondo. In quel

periodo, infatti, Zucchi stava meditando il ritorno in Italia. Nella lotta fra colorados e blancos, le due fazioni che si contendevano l’Uruguay, l’emiliano aveva scelto i secondi, stretti intorno al generale Oribe. La vittoria dei primi, comandati dal generale Rivera, lo mise in difficoltà. Zucchi diede le dimissioni dai suoi incarichi, respinte dal nuovo governo. Ma ormai cresceva in lui la voglia di tornare in Italia, alimentata dalla speranza dell’amnistia che il governo austro-ungarico intendeva concedere per i reati politici compiuti negli anni precedenti. Attraverso il nunzio apostolico a Rio de Janeiro, cercò di entrare nella lista degli amnistiati, senza riuscirci. Cominciò allora

a frequentare il Brasile e nel 1842 chiese alle autorità di Montevideo una licenza di sei mesi per soggiornare a Rio de Janeiro. La stampa uruguaiana lo attaccò duramente, accusandolo di essere una spia del presidente argentino Rosas e addirittura di essere complice di un presunto furto di denaro di cui era stato incolpato l’amico De Angelis. Grazie a quest’ultimo lavorò anche in Paraguay, dove intentò una causa al ministro Gelly per il mancato pagamento dello studio di fattibilità sulla costruzione della cattedrale di Asunción. Finalmente, dopo aver partecipato nel 1843 a Rio de Janeiro all’Esposizione di belle arti della locale Accademia con una serie di lavori, s’imbarcò per l’Europa. Si stabilì a Parigi, dove l’editore Bachelier raccolse in un catalogo i suoi «principali progetti composti per ordine dei governi di Buenos Aires e Montevideo», e dove nel 1849 gli fu comunicato l’atto di amnistia del ducato di Modena. Rientrò a Reggio Emilia, la sua città natale, nel maggio di quello stesso anno, e il 9 settembre vi morì, senza sapere che il suo nome sarebbe stato per sempre legato al “suo” Teatro Solís.

a pagina 43 Carlo Zucchi, autoritratto. pagina 44 dall’alto Montevideo negli anni Quaranta. Montevideo, Teatro Solís. sopra Carlo Zucchi, Casa de elias gil. Carlo Zucchi, Casa de Juan Francisco (oggi Museo Histórico Nacional), 1840. a sinistra Montevideo, Plaza Independencia.

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english version

p. 4 The Human Capital by Giovanna Antinori

C

onnecting the growth opportunities of a territory with the quality of its human capital is a precise governance choice. First the globalization, then the crisis which has been scourging our country and Europe, have made it even more necessary to have efficient education and training. The Region Emilia-Romagna has responded to this need with a series of Laws and by establishing a training system with common goals and integrated components, ranging from mandatory school to Ph.D. courses and companies. By integrating education (state schools, universities) and training (courses held by the Region), without considering them two separate worlds, the infrastructure ER Educazione e Ricerca Emilia-Romagna offers young people various opportunities to study and learn a qualified job in each phase of their path, satisfactory professionalism for themselves and useful skills for companies. At the end of junior high school, children who want to learn a job without giving up the idea of completing high school have new forms of professional qualification; after their high school diploma they can access very specialized training courses, parallel to university, in Italy and abroad; for graduates, master’s courses and Ph.D. courses connected with the productive system, scholarships for advanced education and agreements with major companies, both in Italy and abroad, in order to teach in enterprises. The goals of the new system are numerous. First of all, to foster integration among 550 autonomous schools, over 200 qualified training institutes of the Region, 4 universities, research centres and entrepreneurs, in order to increase and innovate professional, technical and scientific skills of people and enterprises. But also to strike a new balance between work supply and demand, taking into consideration the peculiarities of the territory and projecting them into an international scenario, in order to create new jobs and promote social mobility, contrasting economic and territorial inequalities. So that everyone can contribute to the common good with their own potential. A fundamental contribution for ER Educazione e Ricerca comes from the European Union, which through the European Social Funds grants Regions financial support to enhance people’s

a cura di Agata Bienna e Bruna De Luca – Benedict School

skills, promote the quality of labour and increase geographic mobility. An efficient use of the ESF funds by the Regions is of paramount importance for an innovative, consistent and sustainable development, and in this respect Emilia-Romagna has been one of the best in Europe. ER Educazione e Ricerca is financed with 200 million Euros annually and is divided into four main sectors: Education and Professional Training. A new educational proposal, targeting young people who leave junior high school and such as to allow them to achieve a professional qualification after three years of courses focusing on work. There are 25 qualifications devised in order to make them ready to enter the job market: they range from agricultural operator to graphic operator, from fishing operator to fish farmers. These three years are characterized by a high degree of didactic experiments and a strong degree of interaction with enterprises, and efforts are made to reduce school dispersion. Polytechnic Network. Established to train and specialize, by providing technical, technological and scientific skills, detecting and quickly responding to the requirements of the production system. It includes high schools, Higher Schools of Technical Education (IFTS) and Advanced Technical Institutes (ITS) (see picture??), three opportunities which complete and specialize professional and technical education diplomas. The programmes of the Polytechnic Network were planned by the Region, starting from an analysis of the strengths of the regional economy. Advanced education, research and international mobility. This completes the Polytechnic Network, it is the segment characterized by the most experimental and innovative measures, through the construction of knowledge networks and experiences shared by institutions, enterprises, universities and research bodies, fundamental for the territory in order to face the new economic and social challenges. In Emilia-Romagna there is a high concentration of large scientific infrastructures, some of the best advanced education structures at a national level, and enterprises and business networks which, thanks to the added value of their production, compete successfully in the global market. Work and Skills. This completes the regional infrastructure, with active policy measures aiming to guide people in the transition between training courses and work or between jobs, in order to progressively update workers’ skills, to support enterprises engaged in organiza-

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tion and production innovation processes. Training internships and training courses belong to this last segment, divided into three typologies: training for qualifications and professional diplomas, professionalizing training or advanced training and research professional contacts. Training courses are the privilege way to access work, but also a fundamental component of the educational and training system, which has a low number of transitions. Emilia-Romagna has regulated training details – hours, contents and methods – in a consistent scheme with the regional educational infrastructure, in order to increase opportunities for people to achieve a diploma, even the highest ones envisaged at a national level, while strengthening the equality of the system.

p. 10 Packaging Valley by Piera Raimondi Cominesi

M

ost packaging machines, filling machines, dosing machines, capping machines, control machines found in all countries in the world are produced in our region, in the great industrial automation valley which stretches along Via Emilia. Emilia-Romagna companies are among the world leaders in a sector which in Italy accounts for a turnover of 5.5 billion Euros, with a strong inclination for export, about 83% or 4.6 billion Euros, with sales in Italy accounting for 941 million Euros. In our country, this sector includes approximately 635 enterprises, a large number of which are small-size ones, and employs a total of 26,000 workers. Most of these companies are in Emilia-Romagna, in a productive district whose centre is Bologna and which stretches out to reach Modena, Reggio Emilia and Parma, a sector which seems immune to the crisis, thanks to the high figures of its exportations, its inclination to invest in research and development, the technical knowledge present in this territory and its human capital. The total turnover is mostly due to the 5.4% of companies with turnovers higher than 25 million Euros, which account for as much as 63.5% of the total. But it is precisely these very unequal sizes, both economically and structurally, that make this productive network successful, as stated by Daniele Vacchi, corporate communication manager of Ima, one of the market leaders founded in Emilia-Romagna, along with Coesia,

Sacmi and Marchesini Group. — Why was the packaging machine district born here, along Via Emilia? After the Second World War, the capitals and the skills were there, in a mechanical production system which had been developing since the 1930s. A very well established system, focusing on the technical schools whose model – very important even at a national level – was that of the Aldini Valeriani institute. The system characterized by small- and medium-size enterprises which during the war had produced military goods and based on the motorcycle sector also turned to the industrial automation sector after the Second World War, starting from packaging applications. Today the proper meaning of the term “industrial automation” is not just packaging, but starts from processes and includes logistics. For this reason, the denomination “packaging valley” should be updated and it would be more suitable to call it “great industrial automation valley”. — The Emilia-Romagna district does not seem to be affected by the crisis. This applies to both great brands like Ima, Coesia Sacmi, Marchesini Group, and to small ones. Is this due to the fact that production focuses on non-cyclical sectors like the food and pharmaceutical ones, or is there another explanation? There is certainly a different explanation. The strength of the district is due to its internal configuration, since it is based on sub-supply layers; as a consequence, the largest brands normally export around 70% of their turnover, but in the case of Ima this figure is over 90%. These great brands make and market all that concerns a direct relationship with clients, while the product is fundamentally created within the district, in a complex sub-supply and multi-layered network, which includes unique skills, hardly present in other parts of the world. — In Europe there is another packaging valley, the Baden Wuttenberg one. Are they your most dangerous competitors, and what are the differences between you and them? The difference between the mechanical industry of Baden Wuttenberg and the Emilia-Romagna one lies in the structure. The German industry is slightly more vertical than ours, within a company there are several productive functions, as a consequence the product characteristics may be stricter. In our case, instead, since we can count on sub-suppliers capable of accepting modifications even for very small batches, we are more flexible and


willing to make products different from each other. — In a liquid society like ours, in which information travels on the Web, why should the sector invest resources and energy, move around people and machines, to take part in international exhibitions? Exhibitions are interpreted as meeting places between people who need to establish long-lasting relations and who know each other very little. It is an occasion to strengthen relations between consumable product manufacturers and those who produce the machines necessary to make such goods. More generally, exhibitions are one of the two elements in an industrial automation marketing mix, in other words this is maybe the only way to make operators interact in a magic, I daresay even chemical moment, characterized by personal relations, in which products, machines are a pretext for establishing relations which must be based, in the next few years and for many more years, on mutual trust. —What are the countries to which the Emilia-Romagna district exports most? Europe, which is considered to be an adjacent territory by now, still accounts for over 40%. Europe cannot be considered as “foreign countries” anymore, and not just because of the single currency, but also due to a certain degree of uniformity of production policies and regulations. The United States still ranks second after Europe, then other parts of the world follow, which thanks to their growth flows and interruptions of their growth make it possible to make the Emilia-Romagna mechanical production non-cyclical: when the Middle East grows, Southern America stops, then Southern America restarts, Russia or the Indian subcontinent or China grow. When you are present all over the world, you really enjoy the possibility of never stopping. — What does “innovating” mean in this sector? In our case, innovation has two fundamental typologies: there is a little daily innovation, which partially stems from relations with very specialized sub-suppliers, who constantly suggest small innovations frequently beneficial for production costs, the final efficiency of the product and their competitive positioning. Therefore, we receive a constant contribution made up of small daily innovations, but we also have epoch-making great innovations, among which we might mention the transformation from automatic machines to “working floor” and “working

walls”. This great transformation was implemented for some pharmaceutical product lines and is one of the jewels in the crown of Ima, along with the capacity of our whole district to make integrated mechanical works in a very ergonomic way, thus combining several functions on the same machine. — The packaging is a powerful means of communication, how do you see its evolution? For instance, the great issues of food waste and speaking packaging come to my mind. Ima belongs to an international association called Save Food, created within the framework of the Düsseldorf Fair, which includes many multinational companies of both technologies and direct production. The idea is to find technical and commercial marketing solutions suitable to reduce food waste in a world there are still 200 million malnourished people. The issue is a very complex one, since it involves food preparation and packaging regulations which are very strict, thought sometimes their strictness does not comply with common sense, and as a result we waste over 40% of the food we produce worldwide. We do not often want to drink one litre of milk on its legal expiry date, even if it has been stored perfectly in a refrigerator, because we are afraid that something bad may happen. Actually, most food waste could be avoided if we used different packaging technologies, based on new materials. Today we need to combine new packaging materials with compatibility and sustainability. At the same time, we need to devise new techniques for the logistic exploitation of food products, also in an attempt to help the third world. — What does it mean to be an enterprise so deeply rooted in a territory, and what is the social role of an enterprise, in your opinion? If we take a look at statistics, in Emilia-Romagna 75% of the wealth, that is the positive export/import ratio, is equal to 16 billion Euros. Of these, 12 billion Euros are due to industrial automation and mechanics in general. If we take out the automotive sector and machine tools and we include the mechanotronic part with industrial automation, over 60% of this amount, that is the 12 billion of assets in the balance of payments of mechanics, stems from our relation with the territory. People who work in the mechanical sector are 6% of the labour force of the region: so few people could never produce such wealth without a constant capacity of the territory to motivate them, to grant special

dignity to technology, mechanical work, industrial work and without the little daily curiosity of these technical experts, which enables them to constantly improve themselves. Therefore, the territory is also a very important source of individual wealth, of intelligence. A company sensitive to this, like Ima, must in any case try to establish active relations with the territory, as we do, for instance, in a project with the Dozza prison or by collaborating with other bodies, for example in health prevention projects or projects to prevent kids from leaving school. More generally, it is necessary to make an attempt to have such a relation with the territory to promote what we might call a territory intelligence: to enable the culture of the territory to develop along more reasonable lines, involving individuals.

p. 12 One hundred years of beauty by Angela Simeoni

I

n 1st December 1914, in Via de’ Pepoli, in the historical centre of Bologna, just round the corner from Piazza Santo Stefano, Alfieri Maserati opened a car workshop which was to become one of the most famous and prestigious car constructors in the world. Since then, Maserati has always played a key role in the history and culture of sports cars worldwide. The business officially started on 14th December of that same year. Along with Alfieri, two of his brothers, Ettore and Ernesto, also managed the company. The three guys were interested in mechanics and were crazy for speed, up to the point that they decided to drive sports cars in the golden years of car races. A fourth brother, Bindo, started working in the workshop after Alfieri’s death, in 1932. In 1926, in the aftermath of the First World War, Fratelli Maserati changed venue and name and became Officine Alfieri Maserati Sa, on the basis of the precise project meant to build cars suitable to take part in international competitions. A logo for the new company was necessary. Mario Maserati, another brother who was an artist but had little interest in cars, was entrusted with the task of creating one. Mario received a suggestion from Marquis Diego de Sterlich, a family friend, who

proposed to draw inspiration from Neptune Fountain in Bologna. Besides choosing Neptune’s Trident, Mario decided to use the colours red and blue, thus underlying a sense of belonging to the town of Bologna; these colours still characterize the Trident and the Maserati logo. In that same year 1926, Fratelli Maserati SA built its first automobile, a Tipo 26 racing car, which debuted with a victory at the Targa Florio race in the same year. That was the first of a long series of successes, which include two triumphs at the Indianapolis 500-mile race, nine Formula One victories and the F1 World Championship in 1957. In 1947 Maserati surprised the whole world with its first street car, A6 Granturismo. Another winning idea came in 1963: it was the first Quattroporte generation, a luxury sports saloon car, which allowed Maserati to create a new market segment. The transfer of the factory from Bologna to Modena, to the current facilities in Viale Ciro Menotti in 1940, the acquisition by Ferrari S.p.A. in 1997 and the transfer to Fiat (now FCA) in 2005 are just some of the key moments in the history of this company. The Maserati history is the tale of a brand which (it is no coincidence) started in the Emilia-Romagna Motor Valley and has become a great international phenomenon in 43 countries worldwide. Its hundredth anniversary has been celebrated in various ways, for instance with the Maserati Centennial International Meeting which took place in September in Bologna, Modena and Turin. For three days it was possible to take part in exhibitions, a regular race, a track trial and an elegance competition. It was possible to visit the two Maserati factories (the historical one in Modena and the new one in Grugliasco), but more importantly, to see a parade of cars and collectors from all over the world. Today’s Maserati owners are mostly in the United States, China, Korea, Russia, Arab Emirates, Azerbaijan. Most vintage car owners came from Australia, China and Japan, whereas the European ones were from Norway, Sweden, Great Britain, France, Germany and Greece. Today GranTurismo, GranCabrio, Quattroporte and Ghibli steal the hearts of thousands of car lovers worldwide every day. The Trident

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english version company could not find a better way to celebrate this anniversary: in the last quarter, they sold 8,896 cars (3,953 in the third quarter of 2013), mostly thanks to higher sales of Quattroporte and Ghibli. Revenues accounted for 652 million Euros (444 in the third quarter of 2013) and their Ebit improved to 90 million Euros, in comparison with 43 million in the same period last year, thanks to the increased volumes. Our market, thanks to one hundred new registrations in the months of September alone, confirms its leading position in Europe for the Modena-based company, as confirmed by the almost one thousand cars registered since the beginning of the year, or +572% in comparison with the same period of 2013, that is a greater increase than in the other European markets, which are in any case performing very well.

p. 36 Bologna in the years of the Great War by Claudio Bacilieri

I

n the summer of 1914 there were few who believed that a dispute about Serbia would take the European states to a catastrophe lasting four years. It seemed that the period of peace and economic development which Europe had been enjoying for so long would make wars an “old-fashioned” way to lay hands on the world’s markets and to achieve political supremacy. And yet, by the end of 1918, about ten million soldiers and seven million civilians had died. Also in Bologna, the Belle Époque seemed to be there to stay. Theatres, railway lines, schools, sports centres were being opened continuously. The town was undergoing a full urban and social transformation. In 1902 they started demolishing the city walls and two of the old entrance gates which, remodelled and isolated, lost their old custom function. Outside the city walls, new middle- and working-class districts were built, like Cirenaica and Bolognina. In 1904, after a few tests, the first electrical tram was opened. In 1911 the Bologna-Verona railway line was completed and it was agreed to build the Bologna-Florence line. The town wanted to adjust to the new means of transportation and the increased population, as the great European capitals had already done. Development was not less important from a

cultural and social point of view. In 1888 the popular theatre Arena del Sole, built in 1810, was reopened, with two new elements: the electrical lights and a new façade along the street leading to the railway station. Middle-class people, but also porters and washerwomen, crowded the theatre café after the shows. In 1895, the Girls’ School of Arts and Crafts was opened, in which lower-class girls could learn to become tailors, embroiderers, office workers. Two years later architect Collamarini designed the Temple of the Holy Heart and the Salesian Institute, which hosted a boarding school, an elementary school, a high school and various art and craft workshops. In the classrooms, new hygienic rules were applied and, between 1913 and 1915, along the ring avenues, in the areas now free after the demolition of the walls, new schools were built. In 1913 in via Indipendenza the Apollo Theatre was opened, which would become the most popular place in town for variety shows. Six years before, the people of Bologna had their first cinema. As regards sports, the first swimming pool was built in 1889, the first tennis court in 1902 inside the Giardini Margherita park, and in 1909 Bologna Football Club was officially established. People longed so much to have fun and enjoy their lives, also by having good food: in 1911 Majani, one of the first companies in Europe to produce solid chocolate, was granted permission to produce the famous four-layer chocolate which won a competition organized by Fiat. In 1912 a machine was invented to make tortellini, which was awarded a gold medal at the Umberto I Award. Then, in May 1915, war was declared against Austria-Hungary. The first thing the people of Bologna did was to protect the symbol of the town, Neptune statue in Piazza Maggiore. As they feared there would be air raids, they first built a wooden protection around the statue and the fountain, then they moved them to the basement of the Municipal Palace. Gas streetlights were screened with blue paint and at the first alarm shop keepers were obliged to close their shops and switch off the lights. Gates on the street had to be kept open, to allow people to find shelter. And people were required to keep rags at hand: soaked with alcohol, you could push them against your mouth and avoid breathing gas if the enemies were to use them. Luckily, the only air attack alarm was on 29th September 1917, when enemy airplanes reached the province of Ferrara, but were promptly dispersed by the anti-air defence. But the peculiarity of Bologna during the Great War was its anti-war mayor, a

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socialist mayor. “Bread and alphabet” is the programme which gained Francesco Zanardi, a pharmacist, the mandate of mayor on 28th June 1914, “in the name of the people”. The liberal and catholic press immediately worried: journalists warned against the “thugs” managing the town, the “plebeian dictatorship”, “subversive wave”, of a municipal council full of “donkeys”, because Zanardi included in his town council factory workers, office workers, shopkeepers instead of the usual notable people. The mayor has two things in his mind: to alleviate the hunger of the people of Bologna in war time and to foster education for the less wealthy classes. “We declare our horror for the war”, wrote the Municipal Council in a poster on 1st May 1915, which won it harsh accusations of defeatism and betrayal from liberals and conservatives. When prices rose due to the shortage of goods, as it normally happens during a war, the Municipality responded with the famous “Zanardi shops”: 27 selling points and shops scattered all over the town where food products were sold at a “political” price. One fifth of the population of Bologna queued every day to buy bread, flour, meat, even shoes, at advantageous prices. If soldiers die in trenches, nobody must starve to death in Bologna, said Zanardi. Where now the Mambo, the Museum of Modern Art of Bologna, stands, there was a municipal bakery shop established by the socialist mayor, capable of producing over 24,000 kilograms of bread every day. In addition to bread for the less wealthy, the programme of the local government included education, that is kindergartens, schools, libraries. The Municipality also organized entertainment for soldiers enjoying temporary permits, canteens for war orphans and improved the hygienic conditions of houses. Zanardi organized pre-school and after-school activities and open-air schools in the green area of Giardini Margherita and the hillside, for sickly and weak children. The councillor for education, Mario Longhena, a junior high school teacher who had studied with Giosuè Carducci and Giovanni Pascoli, boasted that, while the war on the front “starts its useless rhythm of death, life is born again in all the schools of Bologna”. During the conflict, the schools of Bologna did not close for even one day. The socialist administration established five municipal libraries, the “grannies”, we may say, of today’s district libraries, which make Bologna one of the first cities in Italy from the point of view of cultural consumption. The dark days of the conflict did not

affect a desire to have fun: in 1915, in the basement of the new Ronzani palace, in the new Via Rizzoli, the Modernissimo cinema and the Centrale theatre were opened. Soldiers enjoying permits could go to the Soldier’s House, a sort of club with pavilions equipped with tables and chairs, where concerts and shows took place. At Arena del Sole, a show with the popular actress Emma Gramatica, photographed on the box of wounded officer, remained a famous event. Factories also adjusted: Officine Calzoni stopped producing ammunition and bombs, Maccaferri stopped making barbed wire and poles for trenches, Casaralta stopped producing canned meat for troops on the front. Women replaced men in factories, schools, as bus drivers, in post offices, offices and fields. By the end of the war, the women of Bologna had left their isolation. Having replaced men for four years, supporting their families with their work, they had achieved a certain freedom: they could leave home alone and dress in more practical ways, suitable for their new jobs. So their dresses became lighter, without any superfluous ornaments, skirts became shorter, corsets stopped being used, stockings became light and necklines became lower in order to leave the neck free. When the “à la garçonne” hairstyle reached Bologna, after a French fashion, the war was over and the fabulous Twenties were ushered in. Only the memory of those who died remains: on 12th June 1925, in the cloister of Saint Stephen’s church, a collection of headstones bearing the names of all the 2,536 Bolognese victims of this massive tragedy was unveiled. Headstones and monuments were placed in schools, factories, parish churches and associations. Even streets and parks were dedicated to the First World War, for instance Via “Ragazzi del ‘99”. The eighteen-year-old guys sent to die along the river Piave have not been forgotten by the guys born one hundred years later, in 1999, attending the third class of the Giuseppe Dozza junior high school. In their book “Gente comune impigliata nella storia” (“Common people entangled in history”), resulting from a workshop about the people of Bologna during the Great War, they reconstructed the broken lives of the 67 “guys of ‘99” who never returned to their home town. “In our dreams, death was absent”, says a soldier in the latest film by Ermanno Olmi, “Torneranno i prati” (“The meadows will be back”), dedicated to the Great War.


p. 40 An architect in Rio de la Plata by Claudio Bacilieri

I

t was an Uruguayan architect of Emilia-Romagna origins, Claudio Melloni, who explained to us the life and times of an important person of Montevideo, Carlo Zucchi, another architect from Emilia-Romagna (born in Reggio Emilia in 1789), who rose to new popularity ten years ago when Teatro Solís, which he had designed, the main theatre in Uruguay, was reopened after long restoration works, carried out with some financial support from the Region Emilia-Romagna. In Zucchi’s works – also famous for some other urban buildings in the Neoclassic style, like Casa Elías Gil and Casa Juan Francisco Giró – Melloni sees a long story of emigration, which is shared by his family and by many other Italians. «Like Carlos Zucchi – says Melloni – my father, born in Medicina in the province of Bologna, landed at an unknown place on the Rio de la Plata river and had to find a job. He built houses for about thirty years in Montevideo, and for him like for me Zucchi’s works and the labour which characterized them have been a guiding light». When in 2004 the most famous arias of the Italian opera sounded in Teatro Solís, reopened to the public, a remembrance came out of the night of the first inauguration, on 25th August 1856: for the first real theatre in Uruguay, in a capital whose streets were still made of hardened earth, they chose the music of “Ernani” by Giuseppe Verdi, and the romantic and tragic atmospheres of the musician from Busseto spread along the Rio de la Plata. It was the romantic spirits which attracted a group of Italian emigrants opposing the Restoration to Argentina, after the failure of the revolutionary movements in 1820 and 1821. Carlo Zucchi had been exiled by the duke of Modena, Francis IV d’Este, for his liberal ideas. He belonged to the secret sect called “Spilla Nera” (“Black Pin”) and had been arrested in 1822 during a police raid on the theatre of Reggio Emilia. The future architect fled first to Paris, where in 1826 he took part in Masonic meetings, then to Argentina. Here, the enlightened and republican government of Bernardino Rivadavia, unlike what was happening in Europe, was looking for fresh and open minds

to use for the newly established University of Buenos Aires. So, about ten Italian exiles, nobody knows if through Masonic support or direct contacts with Rivadavia’s agents in Europe, landed on the banks of the Rio de la Plata. Zucchi was one of them, perhaps the person who convinced him to cross the ocean was Neapolitan writer Pietro De Angelis, a supporter of Gioacchino Murat who would later back the restoration of Manuel de Rosas in Argentina. Shortly after reaching Argentina, the Italian exiles found that the situation was changing: Rivadavia’s political parable was falling and the country was slipping into a civil war between Unitarians and Federal supporters. The Europeans called to promote the civil and cultural progress of the South American country, devoid of their “sponsor”, tried to adjust to the new situation, like Piedmontese engineer Carlo Enrico Pellegrini who, not having a job anymore, became an improvised painted and would soon be an esteemed portraitist of the Buenos Aires upper class. Previously, Pellegrini had worked at the University of Buenos Aires as an examiner for the course of drawing, and it is certainly there that he met Zucchi and Paolo Caccianiga, a teacher of drawing. In June 1828 Zucchi and Caccianiga opened an art school in Calle Potosí, which they had to close as early as August due to the lack of students. But in that same year, Carlo Zucchi had also started working as an inspector for the Department of Public Works of the province of Buenos Aires, nobody knows on the basis of what qualifications. As a matter of fact, one of the controversial points in the Reggio Emilia emigrant was his academic titles, never produced and, therefore, promptly criticized by his opponents and by the press. In the records of the Police forces of the Duchy of Modena and Reggio Emilia, he is referred to as a “copper engraver”, and whether he had really studied, as he stated, at the School of Fine Arts of Paris when he lived in exile in that town or not has never been ascertained. Zucchi kept his job as a public work inspector until 1835. Argentinean sources prove that in this period, since he joined the federal party and was protected by president Rosas, he made a great number of works in Buenos Aires, like the Archbishop’s Palace, the Pantheon of the country’s famous people, the General Hospital, The Quilmes church, the Gate of San Miguel’s church, Victory

Square, the church of San José de Flores, the Northern General Cemetery, as well as schools for children, wooden bridges, public baths, private houses in the town and in the countryside. In 1836 we find Zucchi in Montevideo, where he was called by Pellegrini. We do not know whether the decision to cross the Rio de la Plata came to him due to his hatred for the news dictatorial turn in Rosas’s politics or the fact that Rosas, as someone states, had discovered an incident of fraud carried out by the Emilia-Romagna architect. It is certainly true that in the capital of Uruguay he was welcomed very warmly and, in the six years in which he worked as an engineer for the Commission for Topography and Public Works, he changed the face of the city with numerous architectural projects. The ambitious idea to carry out an urban restructuring plan in Montevideo, starting from the very heart of it, Market square (today Independence square) was never accomplished due to a lack of funds, except for the building of Casa Gil (still visible on the southern side of the square), but impressed general Manuel Oribe and the town government. Zucchi was allowed to make numerous buildings, both private and public, like the Court of Commerce, the General Hospital, a pier for landing ships, the space around the tomb of poet Adolfo Berro and Teatro Solís, the work for which he is most famous and which best represents him, with a Neoclassic façade which harmoniously fills the town centre. Zucchi actually only made a drawing of the theatre, in 1840: the project was then adjusted by Francisco Garmendía and completed in 1856. But his style, with a strong inspiration from the Italian classical culture, is like a way to say farewell to the New World. Indeed, in that period Zucchi was considering the idea of returning to Italy. In the fight between colorados and blancos, the two sides which were trying to take control of Uruguay, the Emilia-Romagna born architect had chosen the latter, led by general Oribe. The victory of the former, led by general Rivera, put him in a difficult situation. Zucchi resigned from his mandates, but his resignations were rejected by the new government. His desire to go back to Italy was growing, and it was kindled by the hope of an amnesty which the Austro-Hungarian government meant to grant for political crimes committed in the past. With the intercession of the Apostolic Nuncio in Rio de Janeiro, he tried to be included in the list of those benefitting

from the amnesty, unsuccessfully. He then started to visit Brazil, and in 1842 he asked the Montevideo authorities a six-month leave to sojourn in Rio de Janeiro. The Uruguayan press attacked him harshly, accusing him of being a spy of Argentinean president Rosas and even of being an accomplice in an alleged money robbery in which his friend De Angelis was a suspect. Thanks to De Angelis, he also worked in Paraguay, where he filed a legal case against minister Gelly for a missed payment for a feasibility study for the building of the cathedral of Asunción. Finally, after taking part in the Exhibition of Fine Arts in Rio de Janeiro in 1843, organized by the local Academy, with a series of works, he boarded a ship to Europe. He settled down in Paris, where publishing house Bachelier collected his «main projects listed in an order commissioned by the governments of Buenos Aires and Montevideo» in a catalogue, and where in 1849 he was informed that he had been granted an amnesty by the Duchy of Modena. He returned to Reggio Emilia, his home town, in May of the same year, and on 9th September he died, without knowing that his name would eternally be linked to “his” Teatro Solís.


ForlĂŹ, piazza Saffi.


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