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ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI VICENZA

"Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”

ARCHITETTI VICENZA

Saucier + Perrotte Facoltà di Scienze Farmaceutiche di Vancouver 3XN Architects The Blue Planet Renzo Piano Building Workshop Auditorium del Parco de L’Aquila Opus 5 Architectes École de Musique Maurice Duruflé di Louviers

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AVI architetti Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8223 del 18 gennaio 2012

Direttore Editoriale Giuseppe Pilla Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Consiglio dell’Ordine Stefano Battaglia, Arduino Busnardo, Laura Carbognin, Monica Castegnaro, Joelle De Jaegher, Marisa Fantin, Andrea Grendele, Marcella Michelotti, Manuela Pelloso, Giuseppe Pilla, Ugo Rigo, Enrico Tadiotto, Francesca Professione, Giuseppe Clemente, Miriam Scaramuzza Hanno collaborato Manuela Garbarino, Donatella Santoro Stampa ARBE Industrie Grafiche - Modena www.arbegrafiche.it finito di stampare in aprile 2013

Via Roma, 3 - 36100 Vicenza Tel. 0444.325715 - www.ordinearchitetti.vi.it

KOrE E D I Z I O N I

Via F. Argelati, 19 - 40138 Bologna Tel. 051.343060 - www.koreedizioni.it




sommario 17

Editoriale

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Primo piano

Giuseppe Pilla Burocrazia e politica

L’obbligo della formazione Professione architetto: una proiezione al femminile

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Panorama Un monolite a Siracusa Nuove produzioni di energia Un ufficio immerso nel verde Quasi sospeso sul lago Costruire con i container Tschumi in Italia

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p.18 p.21

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Progettare Una porta sul futuro Facoltà di Scienze Farmaceutiche di Vancouver Progetto di Saucier+Perrotte

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Antico e nuovo École de Musique Maurice Duruflé Progetto di Opus 5 Architectes

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Musica al cubo Auditorium del Parco de L’Aquila Progetto di Renzo Piano Building Workshop

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Spirale volumetrica The Blue Planet Progetto di 3XN Architects

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Eventi Momenti di cultura

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Vivere senza auto

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Appuntamenti Architettura, Arte & Design

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AVI - Focus La cittĂ e i suoi cambiamenti Lectio magistralis di Libeskind Saint-Nazaire Theatre Progetto di K-architectures Teatro polivalente Progetto di MDU architetti Gindi Holdings Sales Center Progetto di Pitsou Kedem Architects Hovenring, Circular Cycle Bridge Progetto di ipv Delft

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p.94 p.98

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La Falegnameria Nardi offre una gamma di prodotti molto ampia e completa pensata per soddisfare anche le richieste più difficili. Tra tante linee classiche, moderne, citazioni antiche, particolari legati alla tradizione, ciascuno potrà trovare i modelli che meglio si adattano alle proprie esigenze architettoniche, di sicurezza e di privacy.

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editoriale

Burocrazia e politica La burocrazia, sia che riguardi le procedure per i lavori privati sia l'ormai mitica e insuperabile regolamentazione riferita ai lavori pubblici, è quella che con norme, solo prescrittive e mai prestazionali, uccide la qualità dell'architettura. Perché i regolamenti edilizi diversi in ognuno degli 8090 comuni italiani, le leggi regionali, le norme sui lavori pubblici, tendono a dirci come dobbiamo fare il progetto dandoci indicazioni deliranti, fino alla forma del parapetto delle scale, che uccidono il progetto. Per questo sono un danno innanzitutto alla qualità dell'architettura. Sono danno, poi, alla concorrenza perché portano a vincere coloro che sono bravi a usare il sistema burocratico e non coloro che sono bravi a fare l'architettura. Portano arbitrio perché l'assoluta incertezza del diritto in campo edilizio-urbanistico porta all'arbitrio da parte di coloro che usano questo strumento invece di altri. Un recente lavoro de Il Sole 24 ORE sulle soprintendenze mette in evidenza una situazione gravissima. Laddove c'è una persona intelligente va tutto bene, ma dove c'è una persona, un collega, incapace di decidere e che ha un potere autocratico, antidemocratico, la situazione diventa inaccettabile e non esiste nessuna possibilità di rivolgerti a qualcun altro. Le macro ragioni che più di altre ci indignano sono di seguito espresse. I costi: il processo edilizio grazie alla burocrazia costa tre volte, quattro volte; questo uccide gli investimenti. I tempi: i tempi della burocrazia italiana in campo edilizio urbanistico sono quattro volte quelli degli altri paesi. Gli investitori internazionali se ne sono andati, non hanno certezza del diritto, costa loro di più e non sanno quando riusciranno a realizzare. Per forza non c'è più lavoro in Italia! La corruzione: questa burocrazia è la vera sorgente della corruzione perché è sull'arbitrio e l'incertezza del diritto che la corruzione si annida. I danni al territorio: ha salvato l'Italia questa bulimia legislativa? Ha salvato il territorio italiano dai danni che noi denunciamo? Ha evitato l'abusivismo edilizio? Perché è più grave la crisi edilizia italiana che non quella degli altri paesi? La bolla immobiliare vera è stata in Spagna, non è stata in Italia. Alcuni fondamentali economici sono meglio qui che altrove. Perché in Italia è così drammatica la situazione? Perché c’è questo virus che abbiamo solo noi. La burocrazia è il problema! Ma su questo è sbagliato pensare di restare da soli. Tutta la filiera delle costruzioni, costruttori-professionistiforze sindacali devono darsi un piano per intervenire tutti assieme a dire basta... L'altro problema sul quale va presa una posizione comune è la situazione politica. Non dobbiamo pen-

sare di dover parlare solo dei problemi del comparto dell'edilizia; sappiamo che se non ci sono le condizioni per un governo, non vengono istituite le commissioni parlamentari e il Parlamento non funziona. È evidente che gli Ordini professionali non prendono parti politiche, ma siamo cittadini di questo Paese e stiamo morendo per la crisi internazionale e soprattutto per l'incapacità della dirigenza politica di arrivare ad un governo. E di questo dobbiamo indignarci, perché di un governo che funziona e di un Parlamento che funziona abbiamo bisogno, di qualunque parte sia. La politica senza interlocutori non si fa. Per cui non solo dobbiamo dire che la burocrazia fa enormi danni e che bisogna porre subito rimedio al problema, ma gli architetti cittadini italiani pretendono che la politica debba smetterla di guardarsi allo specchio; la politica deve mettere in piedi un governo che faccia lavorare il Parlamento, perché c'é il bisogno di intervenire sulla burocrazia e questo necessita di interventi governativi o parlamentari. C'é bisogno di regole urbanistiche ragionevoli, c’è bisogno di sistemi di incentivi, c’è bisogno di norme sul riuso in grado di riavviare il mercato privato con ritorni grazie a risparmi energetici, idrici e sui costi di manutenzione che in altri paesi ci sono e che permettono ai piccoli proprietari, come la diffusa e frazionata situazione proprietaria italiana, di intervenire. E se vogliamo fare ripartire i grandi numeri del mercato privato sono necessari tali interventi da parte di un governo che riconosca queste priorità. Protestiamo non perché non rientriamo a far parte del gioco, ma perché coloro che devono fare funzionare la macchina sono latitanti e litigano fra di loro. Gli architetti possono e devono chiedere un governo subito e un Parlamento che funzioni perché c’è una montagna di cose da fare per riuscire a sopravvivere. Forse è un discorso qualunquista, ma siamo arrivati al limite. Di queste cose dobbiamo imparare a indignarci fuori dalla nostra materia. Se il paese non funziona il lavoro non c'é, l'architettura non interessa a nessuno e i talenti della gente brava non vengono fuori. Noi siamo prima di tutto cittadini, non siamo un sindacato, siamo un pezzo dello Stato. Continuiamo a credere che lo Stato sia una cosa importante e se chi gestisce lo Stato non è in grado di farlo allora alziamo la voce!

Giuseppe Pilla

Presidente Ordine Architetti PPC di Vicenza

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L’obbligo della formazione

La formazione professionale sarà continua e obbligatoria. L’Ordine e la Fondazione di Vicenza avviano la fase di sperimentazione. Tra le novità i corsi on-line: gli iscritti potranno seguire i corsi da casa, utilizzando un PC con accesso a internet, uno smartphone o un tablet Il 24 gennaio 2013 il Consiglio Nazionale degli Architetti ha licenziato una propria bozza di regolamento per quanto riguarda la formazione professionale continua e obbligatoria: si tratta ancora di una bozza, pertanto suscettibile di modifiche, perché il documento definitivo sarà pubblicato entro il 15 agosto 2013, dopo che avrà ottenuto l’approvazione del Ministero della Giustizia. Il periodo dell’attività di aggiornamento obbligatoria decorrerà dal 1° gennaio 2014. Il regolamento sarà applicato a tutti gli iscritti all’albo degli Architetti P.P.C. e la formazione professionale costituirà un obbligo previsto nel Codice di deontologia professionale. Tra le attività dell’aggiornamento e sviluppo professionale continuo (ASPC) ci saranno corsi abilitanti, giornate di studio, tavole rotonde, conferenze, convegni, master, seminari, wor-

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kshop, attività ordinistiche e anche attività strutturate con formazione a distanza usando gli strumenti dell’e-learning. L’unità di misura dell’ASPC è il credito formativo professionale che corrisponde, se non diversamente specificato, a un’ora di formazione. Il regolamento prevede un periodo transitorio iniziale di 3 anni; durante tale periodo i CFP da acquisire dovranno essere almeno 60. A regime invece gli iscritti avranno l’obbligo di acquisire 90 CFP per ogni triennio. ll CNAPPC avrà il compito di promuovere, monitorare e coordinare l’attività degli Ordini territoriali tramite un’apposita commissione di esperti e inoltre realizzerà e svilupperà uno speciale strumento informatico che consentirà la registrazione degli eventi di formazione di ogni iscritto, con l’attribuzione dei crediti, per ottenere una gestione coordinata delle attività di


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aggiornamento su tutto il territorio nazionale. All’interno di questo quadro, l’Ordine e la Fondazione di Vicenza, ritenendo di fondamentale importanza che l’obbligatorietà dell’aggiornamento professionale non diventi un business per enti di formazione più o meno qualificati, a danno degli iscritti, ma una effettiva opportunità di migliorare e perfezionare le proprie competenze tecniche e professionali, si sono fatti parte attiva nell’offrire un ampio ventaglio di occasioni formative, tutte con costi molto ridotti o gratuite. È stata quindi avviata a partire dal 15 marzo 2013, un’intensa fase di sperimentazione dell’offerta formativa, anche con l’uso dei nuovi strumenti, che consenta di valutare, oltre agli aspetti positivi, le criticità, allo scopo di apportare i necessari aggiustamenti prima che inizi la fase di obbligatorietà dei crediti formativi, che porterà necessariamente ad un consistente aumento della partecipazione agli eventi formativi. Alcuni dei corsi proposti in questo periodo sono effettuati esclusivamente in modalità on line, mentre per altri è stata prevista la doppia opzione, con la possibilità di seguirli in sede oppure attraverso il web. I corsi on-line si avvalgono, in questa fase di sperimentazione, dell’uso della piattaforma di e-learning “Xclima Europe”, già utilizzata anche dall’Ordine di Pa-

dova. Gli iscritti all’Ordine possono seguire i corsi comodamente da casa o dall'ufficio, utilizzando un qualsiasi PC con accesso ad internet o anche tramite l’uso di smartphone o tablet, senza la necessità di essere presenti fisicamente in aula. Questa modalità di insegnamento offre la possibilità di ascoltare e vedere in diretta il relatore e di visualizzare vari contenuti multimediali (presentazioni in PowerPoint, documenti PDF, schede tecniche, filmati, ecc.). Nel corso dell'esposizione da parte del docente, il partecipante può collaborare alla lezione, pur essendo a distanza, ponendo delle domande, scrivendole nell'apposita chat, e il docente può rispondere sia in viva voce che attraverso la chat. L’offerta formativa è stata articolata in diversi corsi che toccano varie tematiche dell’ambito professionale e ordinistico; è possibile iscriversi a uno o più corsi, senza alcuna limitazione. Al termine di ciascun corso è previsto il rilascio di un attestato di frequenza (con una partecipazione ad almeno l’80% delle ore dei singoli corsi).

Ugo Rigo

Presidente Fondazione Ordine Architetti PPC di Vicenza

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Professione architetto: una proiezione al femminile

Nonostante negli ultimi anni sia cresciuta la presenza femminile nella professione, ostacoli e resistenze ritardano la realizzazione di una vera pari opportunità nel mondo del lavoro. Valorizziamo le diversità Nel 1919 per la prima volta le donne venivano ammesse all'esercizio delle libere professioni. È passato quasi un secolo eppure la strada per la piena affermazione lavorativa della donna si dimostra ancora lunga, nonostante l’aumentare dei numeri. Tra i dieci Consigli nazionali con il maggior numero di iscritti nel 2012 solo uno, quello dei Consulenti del lavoro, è stato presieduto da una donna con un consiglio, però, tutto al maschile. Tra questi il mondo degli architetti non è meno popolato da donne, anzi registra in questi anni un aumento costante d’iscrizioni al femminile senza dimenticare i picchi degli anni Novanta dove ai tavoli degli esami di stato si respirava un clima tutto rosa. Non si capisce allora perché il genere femminile, nonostante la crescita in termini d’iscritti, continui a essere così poco rappresentato nei Consigli provinciali (27%) e in ambito nazionale (6%), con un solo consigliere su 15. Si spera che le 16 presidenti elette nella passata tornata elettorale provinciale siano un segnale positivo, soprattutto in vista delle prossime elezioni. Alla fine del 2012 si contano 61.955 colleghe su 151.312 iscritti totali, numeri da capogiro se pensiamo che vent’anni fa a fatica si contavano in qualche migliaio di unità. A oggi il 41 per cento degli iscritti sono donne, di queste il 10 per cento hanno meno di 31 anni e il 35 per cento un’età compresa tra i 31 e i 40 anni. I dati confermano che il 54 per cento dei giovani professionisti di età inferiore ai 40 anni sono donne. Possiamo quindi constatare il rapido processo di femminilizzazione della nostra professione che induce ad accurate riflessioni sulle necessità e criticità in continua evoluzione. Dai dati Cresme si ha conferma di quanto la professione femminile venga penalizzata su più fronti, a partire da quello economico, il gender pay gap (il differenziale salariale tra uomini e donne) è una realtà. Almalaurea, Inarcassa e ancora Cresme allertano il mondo delle professioni tecniche riscontrando una differenza di reddito tra uomini e donne del 75 per cento in favore dei primi. È chiaro che la carenza del servizio di welfare incide negativamente sulla capacità della donna di conciliare il lavoro con la famiglia. Del resto, meno tempo per il lavoro vuol dire meno guadagni. Non meno di rilievo sono i casi di discriminazione di genere che vede la sfera femminile meno considerata nel mondo professionale, in quanto accusata di minor garanzia di continuità in termini temporali. Ancora il Cresme, in un’indagine del 2011, evidenzia i risultati di alcuni quesiti posti ai colleghi sul tema delle pari opportunità. Emerge il convincimento di quanto sia più difficile per una donna crearsi un nome sul mercato per colpa di una radicale diffidenza, trovando così ostacoli all’inserimento nel mondo del lavoro. L’indagine continua con l’affermazione d’insoddisfazione professionale della componente fem-

minile intervistata: il 48 per cento ha dichiarato di avere dovuto interrompere la propria attività professionale per un tempo significativo e l’80 per cento di loro ritiene che tale interruzione abbia ritardato o ostacolato la propria carriera. Sviluppare un sistema di welfare che supporti attivamente le famiglie – sia in termini monetari, con assegni o detrazioni fiscali, sia di servizi come asili nido aziendali, periodi di congedo per i padri, potenziamento statale dell'apparato di assistenza agli anziani – garantirebbe pari opportunità per le professioniste rispetto ai colleghi. Ma la sfida vera è cambiare la cultura e la percezione del ruolo della donna nell’economia e realizzare questo cambiamento senza cadere nel tranello della lotta tra sessi. È innanzitutto il rapporto uomo-donna che deve essere ripensato: non competizione ma collaborazione. “Non tutto ciò che conta si può contare, e viceversa”. Un gioco di parole con cui Albert Einstein voleva sottolineare una verità paradossale: il valore a volte non si può quantificare. Valore inteso come importanza, rilevanza, e non appunto come misura quantitativa. Il premier Mario Monti, al contrario, insiste nel dare un valore a questa energia tutta al femminile ricordando in più interventi l’impulso positivo che ne verrebbe al Pil qualora si riuscisse a promuovere una divisione del lavoro di cura tra uomini e donne all'interno di un modello di famiglia più equilibrata di quella attuale. Il ruolo del mondo femminile in architettura è centrale quando si parla di habitat sociale, di qualità dell’abitare, di servizi e necessità comunitarie. Consapevoli che il merito non vede distinzioni di sesso, dobbiamo ripensare alle aspettative fondamentali su dove, come e quando viene svolta l'attività lavorativa. Sviluppare strumenti di flessibilità come il telelavoro, il coworking o il part-time può rappresentare una via d’uscita: misurare la produttività sui risultati e non sulle ore in ufficio potrebbe essere un vantaggio per uomini e donne. Bisognerebbe immaginare percorsi professionali meno intensivi e più lunghi, anziché una parete verticale da scalare, meglio pensare a una serie di gradini, con soste e persino lievi cadute. Il testo di Riforma sulle libere professioni non apre spiragli di cambiamento: nessuna misura ad hoc per incentivare il lavoro delle donne. Nonostante ciò si segnalano iniziative che partono direttamente dalle Regioni per il finanziamento, non solo delle nuove aperture di tipiche attività produttive e commerciali, ma anche di libere professioni femminili. Un buon punto di partenza, a dispetto del principio Ubi maior minor cessat.

Lisa Borinato

Consigliere Nazionale con delega alle Pari Opportunità e Presidente Dipartimento Professione iunior

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PANORAMA

a cura di Cristiana Zappoli

Connessioni, riflessioni, segnalazioni. Su materiali, architetture e design

I PREMI Un monolite a Siracusa La Medaglia d’Oro all’Architettura 2012, il premio assegnato dalla Triennale di Milano e bandito in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con MADE expo, è andata al Padiglione di accesso agli scavi dell’Artemision di Siracusa, frutto di un lungo lavoro completato nel 2011 dall’architetto siciliano Vincenzo Latina. La giuria, presieduta da Ennio Brion, ha dichiarato che «nella scelta di questo progetto si vuole testimoniare la grande capacità dell’architettura italiana di intervenire usando le risorse a disposizione nonostante le difficoltà del contesto. Il progetto racconta una storia: è la storia italiana. È in questo modo che l’architettura moderna e contemporanea, intervenendo nella storia, ne diviene parte». Da alcuni anni la città di Siracusa è impegnata attivamente in un vasto programma di interventi di riqualificazione urbana volti al rilancio qualitativo, economico, turistico e culturale. La realizzazione di un “piccolo” edificio a padiglione mette in luce un settore importante del tempio ionico (se-

condo l’interpretazione di alcuni archeologi dedicato ad Artemide), localizzato nel cuore dell’isola di Ortigia e corrispondente all’Acropoli della città antica. Il tempio è stato scoperto parzialmente, negli anni Sessanta, dagli archeologi Gino Vinicio Gentili e Paola Pelagatti, a seguito degli scavi precedenti alla realizzazione di un edificio comunale limitrofo all’area di progetto, a opera dell’architetto Gaetano Rapisardi. Tale costruzione ingloba, al piano interrato, i resti delle fondazioni del tempio ionico, a cui si accede attraverso una scala di servizio interna all’edificio comunale. Il Padiglione di accesso agli scavi del tempio ionico si pone in continuità con l’area scoperta negli anni Sessanta del secolo scorso. Conterrà prevalentemente i numerosi reperti rinvenuti nell’area e renderà fruibili gli scavi archeologici inglobati negli edifici. L'area di progetto, situata nel tessuto urbano, conserva un piccolo affaccio su “piazza Minerva”:

In questa pagina: fronte del padiglione su piazza Minerva a Siracusa

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era caratterizzata da un vuoto, o meglio da uno squarcio che interrompeva la continuità della cortina edilizia e conteneva all’interno alcuni resti di murature pericolanti, per lungo tempo puntellate, di un edificio comunale demolito negli anni ‘60 del secolo scorso. Vi era anche una grande cabina Enel, un prefabbricato di cemento, a vista su piazza Minerva. Tale stato non rispondeva a nessun criterio di qualità. Sul lato opposto, infatti, vi è l'eccezionale presenza della colonna d'angolo del peristilio del tempio di Atena, inglobato nel sistema murario della cattedrale. Il progetto realizza, mediante lo scavo archeologico, il collegamento con un'area “sepolta”, oggi poco conosciuta, quella dei sotterranei dell'edificio comunale che custodisce parte della testimonianza millenaria dell’isola di Ortigia. In questa si individuano i resti delle fondazioni del tempio ionico, di alcune capanne sicule della tarda età del bronzo e la cripta della chiesa di S. Sebastianello. Il progetto trova la genesi nell’area di sedime che è stata interpretata come genius loci creatore di spazi. Il padiglione è concepito come un “monolite” di calcare duro, generato dal “magnetismo” delle vestigia sotterranee del tempio ionico e dall’adiacenza dell’Athenaion. La colonna d’angolo di quest’ultimo dista dal padiglione soltanto 18,30 metri. L’interno del padiglione è caratterizzato dal forte movimento plastico, per cui l’androne di connessione e accesso al piano archeologico è stato immaginato come una cella aperta, a interpretazio-

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Sopra: fasi di progetto: 1- fase antecedente lo scavo; 2- scavo archeologico; 3- inserimento del muro di contenimento del terreno; 4- posizionamento dei pilastri su smorzatori sismici; 5- trave di collegamento; 6- inserimento dei volumi. Sotto: sezione trasversale di Piazza Minerva

ne della memoria del nàos del tempio ionico che genera all'interno dell'edificio uno spazio “ipetrale”, simile ad un’opera di “scavo” attuata nella massa dell’edificio. I materiali e l’illuminazione interna del padiglione sono interpretati come evocazione contemporanea di un ipogeo, memoria delle latomie del Paradiso di Siracusa. Il padiglione è caratterizzato dalla penombra e dalla luce misurata con parsimonia, che filtra attraverso una grande “lanterna” che diventa una camera di luce sugli scavi sottostanti. Al termine del percorso si scopre un piccolo giardino ombreggiato e fresco. Gli allineamenti e le giaciture dei piani di appoggio esatti della struttura portante del padiglione sono scaturiti dalle peculiarità del sito, dal rilevato del piano di fondazione individuato dallo scavo archeologico stratigrafico. La notevole valenza archeologica del sito ha imposto la realizzazione di una peculiare struttura portante del padiglione, costituita da un sistema puntuale e circoscritto di “appoggi”, isolatori sismici elastomerici HDRB/LRB. Gli isolatori sono posizionati alla base dei pilastri della struttura portante del padiglione. I sei isolatori antisismici installati sono ad alta dissipazione di energia in elastomero con nucleo in piombo, sono costituiti da strati alternati di elastomero e acciaio, resi solidali mediante processo di vulcanizzazione e nucleo centrale dissipativo in piombo. Sono stati installati anche due apparecchi d’appoggio multidirezionali in elastomero armato, costituiti da strati alternati di elastomero naturale e acciaio laminato. La struttura del padiglione, del tipo a telaio, non poggia direttamente sul sito archeologico ma su cuscinetti elastici e ha richiesto la realizzazione di un giunto sismico perimetrale all’edificio. Il giunto denota lo stacco dell’edificio dal suolo e conferisce alla compatta massa dell’edificio, “vestito” da un omogeneo strato di blocchi di calcare, un senso di levitazione.



I PREMI Nuove produzioni di energia Infrawater è un progetto di ridefinizione di un paesaggio eco-agriculturale. Studiato da un gruppo di progettisti italiani, Beniamino Fabio Arco, Rosario Badessa, Fabrizia Berlingieri e Giovanna Falzone, ha vinto il concorso Green Boulevards, viali alberati del terzo millennio, concorso internazionale online lanciato dall'IN/ARCH e rivolto ai giovani progettisti, studenti e professionisti under 40, dividendo il primo gradino del podio con un altro progetto italiano, Inwave, del gruppo 3a + r. Iniziativa del Padiglione Italia nell'ambito della 13. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, il concorso chiedeva di realizzare un progetto per utilizzare le reti della mobilità come infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Obiettivo del concorso era il design dei dispositivi di produzione di energia e la capacità di inserirli in maniera appropriata o, meglio ancora, artistica ed evocativa nel paesaggio per innescare la riqualificazione. La sfida progettuale e culturale che si proponeva ai progettisti è stata quella di utilizzare le reti autostradali e ferroviarie, con i rilevati, le trincee, gli svincoli, i viadotti, le aree di rispetto, di risulta e di servizio, per realizzare nuove forme di land art funzionali alla produzione energetica che, senza interferire con la sicurezza delle infrastrutture, potessero generare risorse, da reinvestire nello sviluppo economico dei territori e delle comunità locali. L’asse RO-SA, area metropolitana con oltre 11 milioni di abitanti tra Roma e Salerno, era la parte delle reti, esistenti, da realizzare o dismesse, nel quale contestualizzare le idee proposte dai concorrenti, per la potenzialità di incidere sullo sviluppo e la riqualificazione di ampie porzioni di territorio del Lazio e della Campania. I pro-

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SISTEMA FOTOBIOREATTORE

nucleo centrale

Alcune immagini del progetto Infrawater, vincitore del concorso organizzato da IN/ARCH. All’interno di grandi tubi verticali viene depurata l’acqua che serve per irrigare i campi agricoli e produrre Bio - fuel

membrana biodegradabile

fotobioreattore

gettisti di Infrawater sono partiti dal presupposto che le regioni di Lazio e Campania sono tra le più piovose d’Italia. Il progetto individua, quindi, le aree inutilizzate e inutilizzabili in prossimità dei 26 svincoli presenti lungo il nastro infrastrutturale RO-SA per convogliare e accumulare l’acqua piovana. Una volta depurata attraverso un sistema di coltivazione di micro-alghe, l’acqua è utilizzata, da un lato, per l’irrigazione dei campi agricoli e, dall’altro, per la produzione di olio combustibile utilizzato per sintetizzare Bio-fuel. La coltivazione delle alghe avviene in fotobioreattori, sistemi colturali ad alta resa, studiati per la crescita di microrganismi fotosintetici. Il progetto propone così una reinterpretazione dell'immagine dei fotobioreattori, grandi tubi verticali composti da un nucleo centrale cavo per l’approvvi-


CICLO PRODUTTIVO

acqua

olio di alghe

BIOCARBURANTI

rifiuti infrastrutture

co2

coltivazione alghe

gionamento di acqua e CO2, di cui si nutrono le alghe, e da una membrana plastica biodegradabile che contiene le alghe. Essi sono illuminati durante la notte per aumentare la produzione di olio, ma anche per illuminare gli svincoli stessi. I fotobioreattori sono pensati come segni a grande scala, landmark che misurano il paesaggio e ne accelerano la percezione. Attrattori di un turismo e di una produzione agricola eco-sostenibile,

Obiettivo del concorso era di utilizzare le reti autostradali e ferroviarie per realizzare nuove forme di land art funzionali alla produzione di energia rinnovabile

SISTEMA FUNZIONALE

fotosintesi

pannelli solari acqua filtrata per uso agricolo olio estratto dalla coltivazione delle alghe

BIOMASSA

acqua pulita energia solare

sole

raccolta acqua

ossigeno

AGRICOLTURA BIOLOGICA

questi grandi tubi divengono metafora dei viali alberati tecnologici del terzo millennio. Le proposte presentate alla giuria del premio sono state valutate secondo i criteri di: rilevanza strategica, intesa come possibilità di offrire un contributo significativo allo sviluppo sostenibile ed economico delle comunità locali; di integrazione della proposta nell'ambiente e nel paesaggio; di realizzabilità e concretezza delle soluzioni proposte. La giuria ha assegnato il premio a Infrawater perché “ha particolarmente apprezzato la capacità del progetto di coniugare nuovi sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili, lungo gli assi infrastrutturali, con segni della contemporaneità, capaci di creare nuove forme di land art e di caratterizzare il paesaggio dell’asse autostradale Roma-Salerno. Il progetto presenta anche una proposta interessante a sostegno dell’economia agricola del territorio e delle comunità locali”. La giuria ha ritenuto che la proposta debba trovare approfondimenti sotto il profilo della compatibilità con i contesti paesaggistici specifici coniugando la contemporaneità e la qualità dell’idea progettuale con i valori delle aree coinvolte.

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I PREMI Un ufficio immerso nel verde Shoffice, il cui nome è la crasi di “shed” che vuole dire capanno e “office”, è un padiglione da giardino che contiene un ufficio, costruito nel cortile sul retro di una villetta del 1950 nel distretto londinese di St John’s Wood. L’idea originale è degli architetti di Platform 5, uno studio di architettura londinese fondato nel 2006 ma che ha già ricevuto diversi riconoscimenti. Infatti, Shoffice era tra i progetti selezionati per il premio internazionale AJ Small Projects 2013 e partecipa proprio in questi mesi alla mostra, che raggruppa tutti lavori scelti, per il premio, presso il Building Centre in Store Street, nel centro di Londra, in occasione dell’evento New London Architecture. Il progetto ha richiesto una stretta collaborazione tra architetti, ingegneri e costruttori: la struttura è prevalentemente prefabbricata, per ridurre l’inconveniente di dover trasportare tutti i materiali da costruzione in giardino passando attraverso la casa per tutta la durata della realizzazione. La struttura, estremamente leggera, è fatta con due travi ad anello in acciaio, legno montato controventatura e

Sopra: un esterno del padiglione-ufficio costruito nel giardino di una villetta a Londra. A sinistra: disegno che spiega la realizzazione della struttura, pensata con materiali prefabbricati

compensato. Agli architetti era stato chiesto di realizzare un “oggetto-scultura che fluttuasse nello spazio del giardino”, e così hanno fatto, dandogli la forma di un guscio ellittico che nasconde la vetrata dell’ufficio e si torce attorno a sé per poi finire, con una piccola terrazza, sul prato. Gli interni sono rivestiti in rovere proveniente da foreste a certificazione FSC ed è arredato con una scrivania integrata nella struttura e uno scaffale, nessuno spazio è lasciato inutilizzato. Due lucernai fanno entrare la luce naturale, uno direttamente sopra la scrivania e l'altro sulla veranda. Dalle grandi vetrate, che amplificano il contatto con l’ambiente circostante, si ha una visione diretta sulla casa, fornendo così un collegamento visivo che non intacca la privacy concessa da un ufficio distaccato. Grazie alle finestre e a un ottimo isolamento l'ufficio si scalda velocemente con il sole, mentre per le giornate più fredde è previsto un riscaldamento elettrico. Nel complesso Shoffice è senza dubbio uno spazio di lavoro piacevole, originale nella forma e ben studiato, un workspace pensato come se nascesse naturalmente dallo spazio verde della casa, e consente di lavorare in solitudine e tranquillità pur non allontanandosi da essa.

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I PADIGLIONI Quasi sospeso sul lago L’Art Pavilion di Henning Larsen è situato nella parte occidentale del Videbæk Park in Danimarca, dalla sua posizione si può godere di una splendida vista del lago a sud. È posizionato come fosse una casa da tè giapponese sul bordo del parco e del lago, la caffetteria sulla terrazza galleggia sull’acqua che si riflette sul soffitto grazie a un bellissimo gioco di luce. Per lo studio Henning Larsen Architects, fondato nel 1959 a Copenhagen e oggi una delle realtà più importanti del panorama architettonico mondiale, la luce è un tema centrale, tanto che spesso gli edifici che progettano sono in-

Sopra: interni ed esterni del padiglione progettato da Henning Larsen sul lago del Videbæk Park in Danimarca. Una rigorosa geometria che caratterizza la forma e la struttura interna 34 AVI architetti

terpretati come uno strumento per riflettere la luce del giorno. All’interno dell’Art Pavilion, invece, la luce elettrica sul soffitto al centro della zona espositiva, con l’arrivo del buio fa in modo che il padiglione si rifletta sull’acqua. L’edificio è costituito da due galleggianti orizzontali, due pannelli quadrati, separati da una facciata di vetro sottile e da un variegato sistema di diversi pezzi di parete inclinati. La composizione geometrica di questi pezzi si ispira al paesaggio circostante: ai giunchi sul lago e ai rami degli alberi. La geometria può essere considerata una divertente interpretazione del simbolo di Videbæk, la “V”. Il padiglione è un edificio espositivo flessibile, che può adattarsi ad accogliere mostre diverse. In linea di principio è un spazio di 400 mq estremamente flessibile, dove le pareti di luce possono essere montate a seconda delle esigenze delle diverse esposizioni. La prima mostra ospitata dal padiglione è stata dedicata proprio al lavoro di Henning Larsen e a quello di un altro dei figli famosi della città, lo scultore Jens Lund. Il giorno dell’inaugurazione il sindaco della città di Ringkøbing-Skjern, che comprende anche Videbæk, ha spiegato come il padiglione di Henning Larsen Architects sarebbe diventato un punto di riferimento culturale per l'intera Ringkøbing-Skjern e avrebbe certamente reso Videbæk ancora più attraente.




I RICICLO Costruire con i container Nel 2001 la Dan Municipal Sanitation Association ha iniziato il processo di riabilitazione della montagna Hiriya, una grande ex discarica vicino a Tel Aviv, con l'intenzione di trasformarla in un parco verde che diventasse un esempio di iniziativa eco – friendly in tutto il mondo. Oggi l’Hiriya fa parte dell’Ariel Sharon Park che quando sarà completato, nel 2020, raggiungendo i 2mila ettari di estensione, diventerà uno dei più grandi parchi urbani del mondo. È ispirandosi alla trasformazione della discarica che gli Yoav Messer Architects hanno progettato un ponte di collegamento tra la Lod road di Tel Aviv alla montagna di Hiriya, al centro del parco nazionale Ariel Sharon: 160 metri percorribili da pedoni, biciclette e mezzi leggeri, (il ponte sarà attraversato da veicoli speciali che fungono da servizio navetta per il pubblico dei visitatori dalle aree di parcheggio del parco stesso) fatti interamente da container in disuso. Sono più di 800 mila i container che ogni anno vengono dismessi dal trasporto marittimo, trasformarli in un ponte è come riportare a nuova vita dei rifiuti, esattamente come la discarica è rinata in un parco. Il ponte, che si appoggia su quattro

colonne, è una linea continua di container intervallati da terrazze panoramiche che consentono la vista in tutte le direzioni, anche verso il cielo, attraverso feritoie di ventilazione, e verso terra, attraverso la maglia di calpestio, in più vi si trovano due balconi con posti a sedere e un’ulteriore passeggiata sul tetto. Il ponte, quindi, non è visto solo come luogo di passaggio, ma anche come una destinazione. Tanto è vero che lungo tutto il percorso sono stati installati diversi pannelli per allestire mostre dedicate ai temi ambientali. Il ponte in questo modo diventa una piattaforma culturale ed educativa per insegnare l’importanza del riciclo. Oltre il 70% della costruzione è stato realizzato in fabbrica e questo ha consentito di ridurre al minimo eventuali danni al sito naturale. I lavori di preparazione, trasporto e costruzione sono stati veloci. L’uso ripetuto del container come unità costruttiva e funzionale consente una totale flessibilità. Inoltre, sui tetti dei container, che sono rimasti quelli originali, sono stati posizionati pannelli fotovoltaici che for-

Ogni anno il servizio marittimo dismette 800mila container

Sequenza produttiva che si basa sull’uso di un prodotto esistente

Sviluppo di un sistema volumetrico e spaziale che frammenta la sequenza e trasforma il ponte da luogo di passaggio a luogo

Attraverso una specifica manipolazione otteniamo un ponte che partecipa allo spazio pubblico come via per la circolazione, spazio espositivo e punto di osservazione

niranno energia elettrica pulita per illuminare il ponte e i dintorni e serviranno anche a creare ombra, allo scopo di ridurre l'effetto di riscaldamento del ponte. L’Econtainer bridge è un risultato in mezzo tra l’efficienza delle costruzioni, il risparmio economico e la sostenibilità, che va di pari passo con una moderna idea di design. Il ponte mette al “centro” l’uomo e il suo rapporto con l’ambiente, perché questa, secondo Yoav Messer Architects, è l’essenza dell’architettura. La filosofia dello studio fondato da Messer nel 1987 a Tel Aviv, è quella di creare un luogo in cui il collegamento tra il contesto (ambiente), le persone e lo spirito è fondamentale. Questa nozione di luogo ("makom" - dio) è al centro della religione ebraica. Questi tre elementi sono alla base del concetto di design nel processo di creazione di "un posto". Yoav Messer è nato in Israele e ha studiato progettazione architettonica presso il Technion di Haifa, dove si è laureato con il massimo dei voti. Ha insegnato arte presso l'Accademia Bezalel di Arte e Design a Gerusalemme e il Collegio Michlala Leminhal a Tel Aviv, la città che è da sempre al centro della vita professionale e personale di Messer.

Alcuni rendering del ponte che sarà costruito a Tel Aviv. Lungo 160 metri e percorribile da pedoni e biciclette è interamente costruito con container in disuso

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I PRE-VISIONI Tschumi in Italia La prima volta di Bernard Tschumi in Italia. Sarà a Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno. Il progetto si chiama “Anima” ed è stato commissionato all’architetto svizzero dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e dal Comune di Grottammare con l’obiettivo di favorire l’identificazione del territorio e connotare la sua immagine attraverso la realizzazione di un polo pubblico, di attrazione per le più eterogenee manifestazioni della cultura. Il progetto, la cui ultimazione è prevista per il 2016, costituisce un futuro punto di riferimento, un generatore di idee per il territorio, inteso sia nella sua dimensione fisica sia nel suo potenziale creativo. Compresa in una zona a margine del tessuto urbano fra il mare e le colline, a metà della dorsale autostradale

Sopra: un rendering che rappresenta l’entrata principale di “Anima”. Sotto: uno schema volumetrico

+8.0 m +4.0 m

+4.0 m

+_ 0.0

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adriatica dalla quale è ben visibile e immediatamente raggiungibile dall’uscita di Grottammare, la nuova opera è caratterizzata da un’elevata flessibilità. I suoi spazi, infatti, sono configurabili in funzione degli eventi. La scelta di affidare l’incarico a Bernard Tschumi si deve alla sua grande esperienza nella progettazione di spazi dedicati alla cultura. Il nome dell’opera, ANIMA, nasce da una consultazione pubblica ed è un acronimo: A come Arte, N come Natura, I come Idee, M come Musica, A come Azione. Sono le “cinque anime” del progetto, che l’architetto ha interpretato come un’identità in divenire. L’opera sarà un catalizzatore di interessi, interazioni, sinergie, voluto da una committenza che guarda all’architettura come a un processo piuttosto che a un prodotto concluso. La superficie sulla quale l’opera si colloca coincide pressappoco con quella del piccolo centro medievale di Grottammare, poco più di 7mila metri quadrati. Il progetto si accosta al cuore storico della cittadina non solo nelle dimensioni: esso richiama, sia all’esterno sia all’interno, il concetto di urbs. All’esterno il primissimo lavoro di Tschumi nel nostro paese si presenta come un corpo compatto, un quadrato perfetto che, se per certi versi allude a un’idea di chiusura e di protezione, si infrange e dimostra da subito un’elevata permeabilità. Una riflessione sul tema della facciata è, infatti, alla base della ricerca che ha portato Bernard Tschumi a una soluzione informale per le grandi pareti verticali che contornano l’edificio e che trova la sua più forte espressione in corrispondenza della parete sud, attraverso la quale si accede al complesso. Visto dall’esterno il volume si caratterizza come un oggetto ben riconoscibile che esiste in funzione delle risorse presenti nelle vicinanze e che si identifica in una struttura permeabile e ricettiva. Una volta entrati nel corpo quadrangolare ci si trova immersi in uno spazio scom-


posto, in parte interno e in parte esterno. La complessità di tale spazio è determinata dalla rotazione di un grande volume parallelepipedo che occupa l’area centrale dell’edificio e che contiene la sala principale, con 1.500 posti a sedere, flessibile e configurabile in base alle variabili esigenze di capienza. La rotazione di questo volume determina un sistema di quattro ampi cortili, verso ciascuno dei quali la sala principale ha la possibilità di aprirsi definendo un sistema fluido e dinamico di percorsi fisici e visivi. Inoltre, un articolato sistema di rampe permette di muoversi all’interno di questo ambiente eterogeneo e mobile, osservandolo da prospettive e altezze continuamente variabili. Adiacenti alla sala principale e a essi spettacolarmente collegati attraverso una molteplicità di percorsi in quota sono disposti i laboratori, gli uffici, il caffè-ristorante, gli spazi accessori. Nel descrivere il progetto Bernard Tschumi ha affermato: «È possibile progettare una facciata senza fare ricorso a una composizione formale? È possibile fare in modo che non sia né astratta né figurativa ma, per così dire, senza forma? La motivazione che ci ha spinto a sollevare queste domande è di natura sia economica sia culturale: in un’epoca di crisi economica, indulgere in geometrie formali prodotte da complesse curve volumetriche non ci è sembrata una scelta responsabile. L’epoca del cosiddetto “iconismo” sembra terminata, insieme alle figure scultoree arbitrarie del passato recente, spesso prodotte senza considerazione per il contesto, il contenuto e il budget. Allo stesso modo, i discorsi che in alcuni circoli architettonici hanno invocato la necessità di una “autonomia” dell’architettura, radicati nelle costanti della storia, ci sono sembrati obsoleti nel momento in cui l’obiettivo del progetto “Anima” era il dialogo con altre discipline, dall’arte alla let-

Sud - corte expo

Est - giardino

Nord - cortile all'aperto

Ovest - spazio mercato

Sotto: primo piano dell’architetto svizzero Bernard Tschumi. A sinistra: alcuni schizzi del progetto. In fondo: un rendering di “Anima”

teratura, alla musica. Non a caso abbiamo esaminato il lavoro di Vedova, Burri, Manzoni, Fontana e perfino Fazzini, un artista nato e attivo a Grottammare. Ciascun artista ci ha aiutato a comprendere una specifica condizione italiana, differente da quella che può essere praticata a Shanghai, Dubai o Mumbai. Per “Anima”, piuttosto che aggiungere una nuova autonoma e iconica figura scultorea, abbiamo deciso di indagare interazione, semplicità e sobrietà. Abbiamo capito che l’organizzazione interna degli spazi era socialmente e culturalmente importante, ma che l’immagine esterna del progetto era altrettanto significativa. Per questo abbiamo concepito una semplice pianta quadrata con quattro facciate equivalenti e, come copertura, una quinta facciata. Ciascuna facciata ha un suo vocabolario così da permettere di affrontare temi come la protezione dal sole, l’illuminazione naturale, la ventilazione e al tempo stesso proiettare una forte identità sul mondo esterno».

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I LIBRI Icone del XXI secolo Il titolo di questo libro è legato alla consuetudine di indicare gli edifici contemporanei, che più spiccano per la loro creatività, con il termine icona. Edifici del XXI sec. pensati per rappresentare le città e sollecitare l’interesse nei loro confronti. Ma è anche giusto dire che queste icone architettoniche sono comunque quelle strutture che più identificano e rendono noti chi li ha progettati. Sono interventi puntuali promotori di un rinnovato fermento economico. Sono musei, concert hall, biblioteche, padiglioni e altre grandi strutture socialmente utili, simboli di ricercatezza e di qualità. Luoghi architettonici che arrecano benefici a città note e meno note, ricche e povere, di provincia o capitali, cambiandone le sorti. Perché l’architettura, come scrive Francesco Pagliari nella presentazione di questo libro, è una “forma superiore di civiltà, visibile e raggiungibile, una rappresentazione sincretica di desideri, di speranze, di attenzione”.

N. Leonardi (curatore) Scripta Maneant Libro rilegato, illustrato 256 pagine Icons

I LIBRI L’identità come segno distintivo N. Leonardi (curatore) Scripta Maneant Libro rilegato, illustrato 256 pagine Corporate Identity

I LIBRI Sostenibilità nel mondo A voler imparare sulla sostenibilità da progetti realizzati nel mondo, in questo volume è possibile conoscerne 4 realizzati in Asia, da architetti del calibro di Mario Cucinella, Kengo Kuma, Steven Holl, Morphogenesis; 7 in Europa su progetti di Behnisch, BRT e Herzog, in Irlanda Bucholz McEvoy, Abatos Herreros e Mario Cucinella e Piergiorgio Semerano; 2 in Africa firmati da Guido Moretti e Peter Rich, e tra i 4 degli Usa ci sono Behnisch, Thom Mayne, Renzo Piano e Alejandro Aravena. Tutti nomi noti. Architetti che hanno scelto proprio questo campo per esprimersi: la sostenibilità. Un ampio contenitore che mai prescinde da efficienza energetica, appartenenza all’ambiente, climatizzazione, ricercatezza nei materiali e tecnologia. Perché chi progetta seguendo la ricerca sulla sostenibilità non rinuncia alla composizione né ad essere all’avanguardia. Oramai è una necessità progettare secondo questi principi e lo scopo è quello di ridurre l'esorbitante consumo di energia da parte del mondo industrializzato. I più sono consapevoli della progressiva esiguità delle risorse ed è giusto quindi che anche l’architettura si interroghi in merito e dia soprattutto efficaci risposte. E fino ad oggi questa disciplina ne ha già date con la coibentazione, le nuove tecniche di riscaldamento, l'illuminazione naturale e il ricambio d’aria. Intuizioni dell’architettura vernacolare-tradizionale attualizzate attraverso l’uso di tec40 AVI architetti

nologie innovative che hanno comunque permesso di non rinunciare al piacere della composizione architettonica. Stessa sorte per alcuni materiali tradizionali che reinterpretati e assemblati hanno acquisito nuove valenze. Da tutto ciò nascono architetture sostenibili: autosufficienti, innovative, ricercate e al passo coi tempi.

N. Leonardi (curatore) Scripta Maneant Libro rilegato, illustrato 240 pagine Sustainability

Per presentare questo libro basta citare il titolo della presentazione: tradurre forme in identità, il progetto della riconoscibilità. Uno scritto che comincia così: “Formare identità è un aspetto dell'operare architettonico, all'interno di un contesto urbano o paesaggistico. Il progetto d'architettura produce e orienta elementi in grado di denotare e identificare edifici, funzioni e luoghi, introducendo l'espressione di caratteri distintivi. Le architetture così si aggiungono ad un luogo, ad un territorio, ne confermano, ne riproducono le linee guida e le caratteristiche…”. Questa è l’identità degli spazi architettonici. Un’identità legata o slegata dalla funzione, che fa dell’architettura un contenitore. Un tramite per valorizzare l’intorno. Un unicum dalle forti potenzialità espressive, come il Duravit Design Centre di Philippe Starck, il Vitrahaus di Herzog & De Meuron, la Sede Gruppo Ermegildo Zegna di Antonio Citterio, il Museo Mercedes Benz di Ben Van Berkel o il Rolex Learning Center dei SANAA.

I LIBRI L’importanza della trasparenza N. Leonardi (curatore) Scripta Maneant Libro rilegato, illustrato 248 pagine Trasparency

La trasparenza è un valore aggiunto. È presente nell'architettura moderna (senza per questo dimenticare il mitico Crystal Palace di Paxton del 1851) ed è molto importante in quella contemporanea. Michael Webb in questo volume così comincia la sua presentazione: “viviamo in un’era che celebra la trasparenza e la luce naturale". Nulla di più vero. La trasparenza la si associa all’idea di un mondo nuovo, di benessere, di serenità e dunque di bellezza. Infatti molti architetti contemporanei lo usano proprio per rinforzare l'idea stessa di apertura verso l’esterno, verso l’altro da sé. Condizione che rinforza il concreto paradosso che il vetro è un materiale che "smaterializza". Infatti il vetro diffonde la luce all’interno e alleggerisce l’involucro all’esterno. Avvicina alla natura. Crea continuità tra interno ed esterno. Genera una dinamica osmoticità che al contempo tutela e separa. I progetti proposti in questo libro sono in totale 17: 8 negli Usa, 6 in Europa e 3 in Asia.





Una porta sul futuro

progettare

A Vancouver il futuro è ricerca. La nuova FacoltĂ di Scienze Farmaceutiche, progettata dallo studio Saucier + Perrotte, acquista anche un’altra valenza: quella di un gateway in grado di interlacciare storia, ricerca e futuro di Mercedes Caleffi



Gli ambienti di lavoro sono confortevoli. Hanno grandi aperture verso il verde che si trova all'esterno. E la luce naturale che penetra all’interno insieme all’attenzione posta, dallo studio di progettazione, nel rivestimento murario e nell'interior design rendono gli uffici accoglienti. Gli spazi sono semplici, dai colori classici, e comunque in armonia con tutto il resto dell’edificio.


Il legno d’acero che riveste le pareti caratterizza quasi tutti gli ambienti destinati alla comunicazione e al lavoro. L’immagine mostra parte della hall del piano terra, il piano destinato a fare da elemento di comunicazione con il resto dell’Ateneo. L’essenza lignea è esaltata dai colori opachi del pavimento, realizzato in battuto di cemento lisciato e delle scale realizzate con una pietra scura.


Sfaccettate pareti in calcestruzzo "faccia a vista" si innestano con quelle rivestite in legno senza generare alcun contrasto. Anzi i ricorsi materici, sia del legno che del cemento si raccordano tra loro senza appesantire l’insieme. Nonostante le scelte cromatiche tendano piÚ verso i colori scuri, gli ambienti del piano terra sono luminosi, grazie ai due corpi scala che hanno anche valenza di pozzi di luce.


Le pareti tinteggiate di bianco dei camminamenti dei piani superiori esaltano la luce proveniente dall’alto e si raccordano bene con i parapetti che affacciano nei due pozzi di luce, e quindi sull’atrio. Anch’essi rivestiti con pannelli di legno d'acero assemblato, come gran parte del piano terra-basamento, i ballatoi disegnano e scandiscono i due ampi corpi scala.


Cliente University of British Columbia Architetti Saucier + Perrotte architectes Strutture Glotman Simpson Illuminotecnica Applied Engineering Solutions Cemento armato UCC group


PIANTA PIANO TERRA

Vancouver, a soli 30 minuti dal centro, si trova la University of British Columbia, uno dei campus più famosi del Canada, immerso in rigogliosi giardini e poco distante dall'Oceano Pacifico. A far parlare di questo Ateneo attualmente è la nuova Facoltà di Scienze Farmaceutiche progettata dallo studio canadese Saucier + Perrotte. Un nuovo edificio-gateway dalla traslucida facciata protuberante e un interno studiato per rendere l’edificio una struttura di rappresentanza. Vancouver è una città “giovane”, caratterizzata da un forte dinamismo multiculturale che la rende interessante agli occhi delle nuove generazioni. È la terza più grande città canadese situata nella Columbia Britannica e ha una florida condizione economica. La città è in crescita ed entro il primo ventennio di questo secolo, secondo una possibile proiezione demoscopica, raggiungerà una popolazione di 3 milioni di abitanti, oltretutto ha una densità di popolazione tra le più alte del Nord America. Per quanto riguarda l'aspetto economico-imprenditoriale Vancouver ha sempre contato sulle risorse na-

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turali come le foreste, le miniere, la pesca e l’agricoltura. Negli ultimi anni comunque la sua economia si è diversificata e oggi vive anche dell’industria high-tech fortemente in espansione, almeno quanto quella del turismo e del nuovo e florido mercato legato alla produzione cinematografica, che fa di Vancouver una nuova Hollywood. Inoltre nel 2010 ha ospitato i Giochi Olimpici e Paraolimpici Invernali e da allora, e per tutte le ragioni prima illustrate, è considerata la prima città al mondo ad offrire la più alta qualità di vita. Vista in questa prospettiva si comprende la ragione che ha spinto la University of British Columbia a costruire una nuova Facoltà, quella di Scienze Farmaceutiche, con un approccio architettonico atto a farla diventare la principale porta d'accesso dell'Ateneo. Questo nuovo corpo edilizio è stato concepito come una porta che, posta al bordo sud-est del campus, è in grado non solo di coinvolgere la giovane comunità universitaria, con il trasparente piano terra che mette in mostra tutte le funzioni pubbliche presenti nell'edificio, ma punta anche a far diventare questo piano il simbolo

Sopra: la planimetria del piano terra. La disposizione interna è aperta. È una piazza a disposizione degli studenti dell’Ateneo. In questo piano è previsto anche uno spazio espositivo fluido da usare come luogo di incontro sia per i docenti e i ricercatori, sia per gli studenti e il pubblico

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PLANIMETRIA GENERALE

Sopra: la sequenza di immagini illustra le 4 fasi costruttive. Prima fila: a sinistra il lotto e a destra il basamento solidale con i due corpi scala. Seconda fila: a sinistra i tre corpi costruiti tra la struttura; a destra l’insieme è completato dal sistema della facciata


SEZIONE TRASVERSALE

LIVELLO 6

sale

LIVELLO 5 LIVELLO 4 scale in acciaio

LIVELLO 3 LIVELLO 2

esposizione storia della medicina LIVELLO 1

di un campus che si proietta con convinzione verso il futuro. Vancouver è una città che crede nei giovani e fa sì che i giovani credano in essa. E l’University of British Columbia con questo edificio rende chiaro e manifesto quanto anch’essa voglia puntare su di loro e soprattutto sulla ricerca, e ciò che ne concerne: il potenziamento dei rapporti internazionali e il miglioramento, l'ottimizzazione e l’efficienza nella preparazione culturale delle nuove generazioni. La nuova Facoltà di Scienze Farmaceutiche è dunque l’emblema di tutto ciò. E lo rappresenta con un interno improntato su una plasticità dinamica, sfaccettata, aperta e accogliente. La suggestione iniziale parte dall'idea della chioma di un albero che, schematizzata geometricamente, si è semplificata in pochi volumi che slittano gli uni sugli altri creando piacevoli variazioni all’interno come in facciata. Il tronco di questo albero concettuale che sorregge questa chioma diventa un atrio pieno di luce naturale. Un ampio camino di luce che rende possibile l’estensione dell’illuminazione naturale anche in spazi come i laboratori. D’altra parte il de-

sign dell’intero edificio mette in luce la classe dei ricercatori di Scienze Farmaceutiche. E volutamente è stato impostato così da diventare un elemento di attrazione e di comunicazione dello stesso dipartimento e di tutta la comunità scientifica. Infatti tra le sue sfaccettate geometrie offre piacevoli spazi vivibili pensati per la ricerca e la formazione, e nuovi ambiti pubblici e privati che favoriscono lo scambio di idee. Al piano terra è stato previsto anche uno spazio espositivo fluido che può essere usato come spazio di incontro sia per i docenti e i ricercatori, sia per gli studenti e il pubblico. Al piano superiore l’esposizione si prolunga affrontando la storia della medicina e della professione, prendendo in considerazione anche le prospettive future della farmaceutica. Nel suo complesso questo nuovo edificio, a cavallo tra l’essere una facoltà e un gateway, risponde pienamente allo scopo di promuovere la creatività, la ricerca individuale e collaborativa e rappresentare l'eccellenza accademica e scientifica per la quale UBC, la University of British Columbia, è rinomata.

Sopra: una sezione trasversale del corpo scala di destra. È chiara la scansione ritmata dei parapetti rivestiti di legno. La copertura in vetro rende facile l’illuminazione almeno fino al secondo livello del basamento

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Tutte le foto di Luc Boegly

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Antico e nuovo

Costruito nel XVII secolo per i fratelli del Terzo Ordine di San Francesco, il convento dei Penitenti, un’antica struttura nel cuore della città di Louviers, in Normandia, torna alla ribalta delle cronache e dei dibattiti. A riportarlo in auge, il restauro realizzato dallo studio parigino Opus 5 di Iole Costanzo


nnosa questione. Antico e moderno possono convivere? La domanda così impostata lascia libera l’interpretazione. A voler focalizzare meglio il tema è più esatto allora dire: è ancora valida oggi la tesi sostenuta dallo storico Cesare Brandi che riteneva alquanto inadatto "inserire nuove espressioni artistiche in un contesto antico”? E allora c’è da chiedersi: tale condizione è accordata anche quando il contesto risulta frutto di stratificazioni di epoche diverse? Ricordando però che, a detta dello stesso studioso sopra citato, un’eventuale nuova inserzione, resa necessaria per assicurare la “continuità di lettura del testo figurativo” di tutta l’opera, potrebbe risultare comunque più che giustificata. Dunque la questione è stagnante. In Italia l’atteggiamento più comune è quello della conservazione a ogni costo. Intendendo con ciò una propensione verso una posizione critico-conservativa ben lontana dalle istanze di completamento e innovazione. Rigida condizione che, secondo molti, tende ad aggravarsi con gli anni, anche se nel resto d’Europa la situazione sta radicalmente cambiando. A tale proposito, come non presentare la particolare École de Musique Maurice Duruflé di Louviers inaugurata lo scorso giugno e curata dal gruppo parigino Opus 5? L'intento del progetto? Offrire alla città una nuova scuola di musica dalle prestazioni contemporanee, funzionale e per molti aspetti unica. Un autentico emblema culturale, ma non solo. Oltre a ciò il progetto ha anche puntato sulla valorizzazione del patrimonio archeologico presente. Più precisamente, il sogget-

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SEZIONE LONGITUDINALE

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to di tale interesse è il Convento dei Penitenti, una struttura più volte rimaneggiata nei secoli, che con questo nuovo progetto è stato riattato, rivisto, restaurato, consolidato e ampliato. Molti spazi didattici sono stati ricavati sia nella preesistenza sia nei volumi di nuova costruzione aggiunti e sono state così ottenute 24 aule, una biblioteca e due grandi spazi per l’orchestra. Un lavoro complesso che, oltre a tutta la preesistenza, ha dovuto tenere in debito conto l’eccezionale esempio di un “chiostro sull'acqua”, struttura prospiciente il fiume L'Epervier e giunto, a differenza delle diverse stratificazioni e rimaneggiamenti presenti nel resto del complesso, quasi intatto fino ai nostri giorni. Buona parte dell’antico Convento è stata costruita tra il 1646 e il 1659. La chiesa costruita a ovest, che per lungo tempo è stata usata come tribunale, nel 1827 ha subìto la completa demolizione, mentre le due ali conventuali che circondano l'edificio centrale, trasformate in carceri dagli anni della rivoluzione francese fino al1934, già dal 1990 sono state riutilizzate dalla città come scuola di musica. Pietra, vegetazione e acqua: un equilibrio armonico molto vicino a un quadro impressionista. Un’immagine che ha supportato il nuovo progetto. Una suggestione su cui è stata costruita la contemporaneità della “nuova” scuola di musica di Louviers. Restauri e consolidamenti hanno donato maggiore stabilità alla muratura indebolita e seguendo la teoria dell'approccio filologico gli architetti hanno rispettato l'intero apparato murario lasciandolo nella sua particolare

In basso: la sezione longitudinale, quella più significativa, che evidenzia i due corpi di nuova costruzione. A destra: parte del prospetto principale. Varcata la porta si trova un camminamento che costeggia il fiume e conduce nella hall d’ingresso. Intorno al portico è stato creato un nuovo camminamento di metallo con balaustra. Le nuove facciate in vetro creano, specchiando, continuità tra il nuovo e le preesistenze



PIANTA PIANO TERRA

Locale tecnico

Segreteria

Pianoforte

Direzione

Sala d’ingresso

Batteria

Jazz

Formazione strumentale Formazione strumentale Formazione strumentale

Sala d’attesa

Percussioni

Braccio del fiume L’Epervier

Formazione strumentale

[

I tre piani ospitano 24 piccoli laboratori musicali, 2 spazi per l’orchestra e altri spazi comuni con affaccio sul fiume. Nel blocco compatto tra l’edificio preesistente e quello di vetro è stato creato uno spazio a tutt’altezza che funziona da pozzo di luce per gli ambienti interni, attraversato da passerelle di collegamento. All’interno del volume sul fiume si trova la hall d’ingresso, la biblioteca per gli spartiti musicali e la sala grande per l’orchestra

PIANTA PRIMO PIANO

Sala insegnanti

Pianoforte Formazione musicale Piccola orchestra Formazione musicale

Formazione strumentale Formazione strumentale Formazione strumentale Formazione strumentale

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Archivio spartiti musicali

[


Sopra: l’ingresso ampio, molto luminoso ed essenziale nell’arredamento. La parete esterna presenta numerosi finestroni, tutti ricavati dalle ex arcate dell’antichissimo portico, e si affaccia sul braccio del fiume L’Epervier e sul nuovo camminamento. Il panorama risulta suggestivo e quasi unico nel suo genere

PIANTA SECONDO PIANO

Giardino pensile

Pianoforte

Orchestra 2

Formazione musicale

Orchestra 1

Formazione strumentale Formazione strumentale Formazione strumentale Formazione strumentale

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Progettisti Opus 5 Architectes Cliente città di Louviers Strutture Batiserf Acustica Impedance Facciate in vetro MGE Costo dei lavori 4 500 000 euro Superficie 2 000 m²


A sinistra: il pozzo di luce con i camminamenti nel vuoto. In questa pagina le tre immagini riprendono la sala 1, utilizzata per le prove d’orchestra. L’ambiente è considerato il simbolo del nuovo intervento. Durante le ore serali da fuori è possibile vedere le prove d’orchestra che i musicisti, tutti giovani, svolgono all’interno condizione: identico a se stesso, cristallizzato nello stato in cui è giunto fino a noi. Ma lo studio Opus 5 ha comunque fatto una scelta in un certo senso inusuale. È intervenuto sulle lacune e ha ricostruito i volumi mancanti con il vetro, proseguendo con un restauro di completamento: a nord, dove ha riproposto l’intero volume demolito della chiesa, e a sud, dove ha completato quel volume, solo in parte diruto, che prospetta sul portico. Un volume puro, un parallelepipedo, un nuovo emblema per la scuola di musica. E proprio in questo volume la facciata pricipale, realizzata con vetro cromato a strisce, riflette l'ambiente circostante e il cielo, presentando peculiarità che la connotano diversamente dai comuni prospetti traslucidi: ritmo, vibrazione e creatività durante il giorno, calore, luminosità e trasparenza di notte. Oltretutto la leggerezza, tipica degli elementi costruiti in vetro, contraddistingue questa parte di edificio dal resto del complesso rigoroso e severo. È una struttura, infatti, diversa, quasi un’eco per la musica che nasce al suo interno. È un contenitore della sala d’orchestra che la sera alza il sipario e l’arte dei suoni non solo la fa sentire ma anche vedere, esaltando così l’immagine quasi poetica del suono. Anche se, aldilà del suo valore iconico, dovuto soprattutto a queste doppie valenze di leggero e pesante, vecchio e nuovo, l’École de Musique Maurice Duruflé resta per sua stessa natura una costruzione introversa. E nonostante vi sia stato creato un taglio di luce di 8 metri d’altezza e 2,4 di profondità tra i setti cronologicamente differenti, presenta alcuni ambienti non sempre ben illuminati. Ma è la magia di vivere nella storia.

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Musica al cubo

Tre semplici volumi di cui uno ruotato. Puri, lineari e colorati. Antisismici e sostenibili. È l’Auditorium del Parco de L’Aquila progettato da Renzo Piano.Tre cubi tra loro collegati che funzionano come uno strumento sonoro. E come in uno Stradivari la musica in loro risuona, si propaga, echeggia, si diffonde. Arriva dritta al cuore degli spettatori di Iole Costanzo

Tutte le foto © Marco_Caselli_Nirmal

progettare


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tavano le attività musicali. L’Auditorium del Parco è una struttura temporanea, facilmente spostabile altrove, che è stata costruita nella porzione di parco compresa tra il Castello e la Piazza della Fontana Luminosa. Una scelta urbanistica determinata dal desiderio di andare incontro alle abitudini dei cittadini. Un’accortezza progettuale che cerca di non modificare i movimenti, le associazioni di idee, le consuetudini esistenti, nella speranza che tutto possa tornare come prima al più presto. Ma perché rinunciare intanto all’arte che sempre ha accompagnato questa città? Oltretutto l’Auditorium del Parco è un dono. È stato realizzato senza che l’amministrazione e la comunità abruzzese sostenessero alcuna spesa. L’iniziativa è stata totalmente finanziata dalla Provincia di Trento che ne ha coordinato anche la completa esecuzione. Gli edifici sono provvisori, temporanei, ef-

Sotto: Claudio Abbado, che ha diretto il concerto d’inaugurazione avvenuto il 7 ottobre 2012, e Renzo Piano, fotografato durante la direzione dei lavori. In basso: schizzo sezione del corpo centrale. Il cubo ruotato, il cui spigolo più alto è di 18.93 ml, contiene la sala concerti. L’inclinazione di uno dei lati risponde all’inclinazione della platea

Foto Peter Fischli

re cubi di legno per 250 spettatori e 40 musicisti. È l’Auditorium del Parco de L’Aquila, la nuova struttura progettata da Renzo Piano e realizzata in “abete di risonanza”, il legno pregiato della Val di Fiemme del Trentino. Costruito accanto alla cinquecentesca monumentale architettura militare, il Castello Spagnolo, luogo tradizionalmente destinato ad importanti eventi musicali, il nuovo auditorium è formato da tre volumi. Tre solidi lignei dalle differenti dimensioni e dall’irregolare dislocazione, che rispondono a diverse funzioni: quello centrale è la sala concerti, gli altri due, collegati al primo attraverso passerelle in ferro, vetro e legno, contengono i servizi al pubblico, il foyer e la toilette, i locali tecnici, e i camerini per gli artisti. Il legno con cui è stato costruito ha ottime qualità acustiche, è la stessa pregiata essenza utilizzata dai maestri liutai di Cremona, a cui nel seicento Stradivari ha dato massima fama. Travi in legno e pannelli di lamellare che garantiscono alla struttura sostenibilità, risparmio energetico e soprattutto antisismicità, aspetto assecondato anche dagli isolatori sismici elastomerici montati al di sotto della platea che li sorregge. Ma la scelta di questo materiale è dovuta anche alla praticità nella lavorazione, condizione che ha consentito di velocizzare le fasi costruttive facendole risultare comunque poco invasive. Sì perché quest’opera è ovviamente legata alla ricostruzione che si è avviata a L’Aquila dopo il sisma del 6 aprile 2009, il terremoto che ha seriamente compromesso buona parte del centro storico cittadino e anche tutte le sedi che ospi-

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ESPLOSO ASSONOMETRICO

Rivestimento in doghe di larice termotrattato Listello in abete di supporto delle doghe Manto di impermeabilizzazione realizzato con guaina in poliolefine Pannello OSB Strato isolante in lana minerale Pannelli d’abete con funzione strutturale Travi in legno di abete lamellare Canali di aerazione per il condizionamento della sala Riflettore acustico in abete rosso Tende acustiche fonoassorbenti Riflettore acustico in abete rosso

Pannello d’abete con funzione strutturale Travi in legno di abete lamellare Pannello d’abete Parete in legno di abete con fresature “acustiche” Riflettore acustico in abete rosso Riflettore acustico in abete rosso

Impalcato in pannelli di kerto con pavimentazione in doghe Sottopalco con struttura in legno di abete

Scala di accesso alla copertura e parafulmine

Basamento di distribuzione in cemento armato

Isolatori sismici costituiti da dischi alternati di acciaio e di elastomero collegati tramite vulcanizzazione

Pilastri in cemento armato Platea di fondazione con muri controterra

Canali di aerazione per il condizionamento della sala

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I 5 macro pannelli d’abete con funzione strutturale e realizzati con doghe orizzontali colorate e termotrattate sono collegati a una sottostruttura che con l’intercapedine creata procura gli stessi benefici di un sistema a facciata ventilata. Le diverse gradazioni cromatiche naturali del legno passano a tinte piÚ vivaci componendo una fantasia gradevole che non disturba l’ambiente circostante. Le pareti vibrano. I colori nel loro insieme sono già musica


SEZIONE TRASVERSALE

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1. Travi in legno lamellare 2. Pannelli d’abete con funzione strutturale 3. Rivestimento in doghe di larice 4. Scala di sicurezza in metallo 5. Pilastri in cemento armato 6. Isolatori sismici 7. Canali di aerazione 8. Sottopalco con struttura in legno di abete 9. Impalcato con pannelli di kerto 10. Basamento di distribuzione in cemento 11. Griglia di mandata dell’aria 12. Griglia metallica di sacrificio in caso di sisma 13. Griglia di ripresa dell’aria 14. Paraneve 15. Canali di aerazione 16. Riflettore acustico in abete rosso 17. Parete in legno di abete

17

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8 10 6 7

PLANIMETRIA GENERALE

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fimeri, ma nonostante tutto rispondono in modo eccellente ai requisiti acustici e funzionali necessari per uno spazio dedicato alla musica. E nel loro insieme sono un vero e proprio strumento musicale. Un grande Stradivari installato nei pressi del Castello, almeno fino a quando quest’ultimo non verrà restaurato. Tale ubicazione ha anche un'altra valenza: essere vicino al centro storico, nei pressi della cosiddetta ‘zona rossa’, e alimentare quindi i più che motivati desideri di una veloce riqualificazione e rivitalizzazione del centro cittadino senza incorrere in restrizioni per i lavori di ricostruzione. Proprio per questa ragione il nuovo auditorium è stato pensato anche come un centro polifunzionale entro cui realizzare conferenze e videoproiezioni. Un autentico dispositivo ideato per polarizzare le attività collettive. L’edificio centrale ha una inclinazione di 30° che assorbe la pendenza della gradinata interna offrendo un’ottima visibilità dell’orchestra, posta su un podio rialzato di 40 cm, nella parte centrale del volume. Le dimensioni dei tre cubi stereometrici non sovrastano il Castello. Sono decentrati rispetto all’asse Piazza della Fontana-Castello e non occludono la vista sul Forte Spagnolo, anzi in alcune visuali vi fanno da quinta. Modulano diversamente una parte del parco pri-

va fino ad oggi di una propria identità. Si può dire, dunque, che questa nuova architettura accompagna la storica preesistenza, la lascia scoprire, oggi che è in fase di restauro e farà sì che non venga dimenticata. Claudio Abbado, che ha partecipato all’ideazione, alla stessa progettazione e soprattutto all’inaugurazione ha dichiarato: “Ritengo che il nuovo Auditorium del Parco, sia per L’Aquila un’opera di grande valenza simbolica. In brevissimo tempo è stato realizzato uno spazio che aiuterà la ripresa delle attività non solo musicali, ma culturali e sociali in genere. Questo nel rispetto dell’ambiente e della situazione architettonica circostante”. C’è da aggiungere, infatti, che per costruire questo auditorium sono stati sicuramente abbattuti degli alberi in Trentino, ma sul sito ne sono stati spostati tre a poca distanza. Comunque nelle immediate vicinanze ne verranno piantati altri 250, la cubatura di legno equivalente a quella utilizzata nella costruzione. E tutto ciò è l’applicazione di una nuova logica sostenibile. Una garanzia per il futuro. Un domani migliore per quei giovani che stanno crescendo tra le rovine. E che hanno anche partecipato, attraverso l’università, ad uno stage formativo, che li ha portati a stretto contatto con questo cantiere.

Sopra: vista interna della sala. La pianta dell’Auditorium si articola in una zona centrale e due zone contrapposte inclinate con andamento a gradoni

Progettisti Renzo Piano Building Workshop architects in collaborazione con Atelier Traldi di Milano Città L’Aquila Cliente Provincia Autonoma di Trento Strutture Favero & Milan Acustica Müller BBM Sicurezza New Engineering

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progettare

Spirale volumetrica

Tra acqua e cielo. Nello stretto di Øresund è stato inaugurato, il 21 marzo scorso, The Blue Planet, il nuovo acquario danese progettato dallo studio 3XN. La spirale che conduce i propri ospiti nelle profondità subacquee di Mercedes Caleffi l vortice in acqua è un fenomeno interessante: destrorso o sinistrorso secondo l’emisfero in cui si trova. È un mulinello. Un turbine, quasi un’implosione. Un’opportunità per conoscere i fondali subacquei. È così che il gruppo 3XN ha pensato The Blue Planet, l’acquario più grande d’Europa, costruito a Taarnby, un piccolo comune a otto chilometri da Copenhagen, sulle sponde dell’Øresund, lo stretto che separa la Svezia dalla Danimarca. La zona è ben collegata, ed è servita da autostrade, metropolitane, treni, aeroporto e il Ponte di Øresund. Una scelta urbanistica ponderata per un nuovo centro di propulsione

Tutte le foto di Adam Mørk

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economica. Con il termine “the blue planet” solitamente si indica il nostro pianeta visto dall’alto. Un pianeta formato all’80% d’acqua, e che per tale ragione visto da lontano risulta essere completamente blu. Blu come l’acqua dei mari, degli oceani, dei fiumi e dei laghi. Mondi in buona parte sconosciuti, ricchi di flora e di fauna. Una porzione di natura che affascina, che incuriosisce, e che produrrà in questa zona della Danimarca un aumento dei flussi turistici. Storicamente l’acquario danese è stato fondato nel 1939 e nonostante le difficoltà dovute alla seconda guerra mondiale è rimasto aperto, a fare da cornice all'istruzione e al

Sotto: il plastico rende facile la lettura dell’impostazione spiraliforme del nuovo acquario. Un vortice dalle valenze semantiche, difficile da cogliere nella sua totalità


I prospetti plastici seguono i lembi del vortice ed esaltano, con la loro morbida spigolosità , la dinamicità e la forza centripeta di tutto l’edificio

I prospetti ricoperti da lamine di alluminio specchiano e riflettono i colori e le luci delle stagioni che si susseguono e delle diverse fasi del giorno


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Gli interni ospitano grandi vasche in cui sono stati riprodotti alcuni biomi acquatici. E i visitatori, nel percorrere le diverse sezioni del vortice, possono conoscere la flora e la fauna di laghi, fiumi e mari

divertimento di più generazioni, fino ai giorni nostri. Negli ultimi anni però l’interesse verso questa struttura è scemato e già negli anni '90, quando Jesper Horsted, il curatore dell’Acquario della Danimarca, ha illustrato quale doveva essere lo scopo della struttura, fu chiaro che rinnovare il vecchio edificio sarebbe stato costoso e poco proficuo, e quindi era necessaria una nuova struttura in grado di dare ai visitatori straordinarie avventure. Il direttore creativo del gruppo 3XN, Kim Herforth Nielsen, ha dichiarato: “Il nostro desiderio era quello di condurre i visitatori fin giù, negli abissi del mondo subacqueo. La progettazione di The Blue Planet, pertanto, si è basata sulla storia dell’acqua e della vita sottomarina”. L'ambizione è quella di raggiungere i 700mila visitatori annui, e ciò sarà possibile anche perché The Blue Planet è già considerata una delle cinque attrazioni turistiche più importanti del paese. E sarà la stessa struttura ad attrarre la curiosità dei visitatori. Perché è un’architettura enfatica e simbolica. Un vortice tridimensionale che esplicita l'idea progettuale: approfondire i meravigliosi mondi subacquei. L'edificio, situato a nord di Kastrup Harbor, è in una posizione “anfibia”, sorge tra terra e mare, e fa da legame tra i due mondi: l’acqua e la terraferma. Ha 10 facciate, 2 per ogni lembo della spirale, e sono ricoperte da lastre di alluminio di ridotte dimensioni, che accompagnano le linee organiche, sinuose, avvolgenti e

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coinvolgenti. Mentre luci e colori, senza alcuna mediazione, con una naturale spontaneità entrano nel gioco delle proporzioni, dei volumi, e riflettendosi nell'acqua e sull'alluminio li omogeneizzano rendendo il corpo di fabbrica cangiante e sensibile alla mutevolezza della natura. L’aspetto di questo tutt’uno fatto di acqua e volumi costruiti acquista dinamicità. Una dinamicità che si proietta anche nel futuro: la possibilità di espandersi nel tempo è stata calcolata, prevista e programmata. I cinque lembi possono allungarsi e il vortice può crescere e potenziarsi. Può fare aumentare la sua forza centripeta. Quella stessa forza che attualmente conduce i visitatori dall’ingresso fin sotto la superficie del mare. Il primo elemento del vortice è quello più lungo. La suggestione è che un lembo di terra, attraversando l’acqua, conduca lentamente in medias res: nel foyer. E sin dall’ingresso il mare è presente, compenetra la struttura e giunge lambendola quasi al cuore della spirale, lì dove il “blu”, l’essenza dell’acqua, è totalizzante. Sì perché già nel circolare foyer, il luogo di propulsione di tutti i percorsi, sono presenti i cangianti e madreperlati riflessi dell’acqua. Ed è proprio qui che il visitatore-spettatore sceglie con quale mondo vuole cominciare la sua visita: il lago, il fiume o il mare? Tre mondi acquatici, diversi e unici. Tre mondi che, pur incontrandosi e in alcuni casi compenetrandosi e influenzandosi, restano in buona parte differenti.

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Grandi schermi che prospettano sulle vasche immagini, suoni e voci didascaliche, accompagnano lungo i percorsi la visita. Anche la luce all'interno simula quella che può essere percepita sott’acqua. I riflessi sulle pareti conferiscono a tutti gli ambienti un aspetto cangiante e dinamico


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SEZIONI TRASVERSALI

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I 5 lembi della pianta spiraliforme non sono uguali tra loro. Sono volumi che variano in sezione: cambia l’altezza così come cambia la larghezza. Tre parti dell'edificio ospitano le ricostruzioni dei biomi acquatici, gli altri due invece sono di servizio. C’è tra questi un’ala dedicata alla comunicazione ed è suddivisa in auditorium, aula scolastica e ristorante. Mentre il lembo da cui si accede è suddiviso e organizzato per la gestione amministrativa del tutto

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L’acquario è costato circa 700 milioni di DKK. È stato completato nel tempo e nel budget previsto, grazie agli sforzi fatti da tutte le figure che hanno partecipato al processo di costruzione. Il presidente dell’acquario Flemming Frandsen ha dichiarato “La nostra ambizione è quella di accogliere 700.000 visitatori ogni anno. The Blue Planet è una delle cinque attrazioni turistiche più importanti del Paese”

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PLANIMETRIA

ESPLOSO ASSONOMETRICO

Sopra: il foyer, cuore della spirale. È circolare ed è il luogo da cui cominciano i percorsi espositivi

Progettisti 3XN Architects Ingegneria Moe & Broodsgaard Consulenza esposizione Kvorning design & kommunikation Luogo Taarnby, Copenhagen, Danimarca Premiazione concorso 27 giugno 2008 Inizio costruzione 1 ottobre 2010 Inaugurazione 21 marzo 2013 Costi 730 milioni DKK Superficie totale 10.000 mq

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eventi

Momenti di cultura

Gli architetti vicentini visitano il complesso residenziale “Le Albere” realizzato su progetto di Renzo Piano. Una giornata di studio e riflessione dedicata ai rivestimenti in zinco-titanio, organizzata in collaborazione con l’azienda Zintek Srl. di Ugo Rigo, Presidente Fondazione Ordine Architetti PPC di Vicenza

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Nell’ambito delle giornate di approfondimento sull’uso di materiali innovativi, proposte dalla Fondazione dell’Ordine di Vicenza, è stata effettuata, il 5 aprile scorso, una visita dedicata ai rivestimenti in zinco-titanio organizzata in collaborazione con l’azienda Zintek Srl presso il quartiere Le Albere di Trento. Riservata agli architetti dell’ordine professionale di Vicenza, la visita ha visto la partecipazione di oltre 60 progettisti vicentini, che hanno potuto assistere alla presentazione dettagliata di una delle creazioni più recenti di Renzo Piano, e ammirarla poi in prima persona girando per il cantiere. Il quartiere Le Albere nasce dalla riqualificazione dell’area industriale ex Michelin, che viene restituita alla collettività, dopo un periodo di degrado e di abbandono, come luogo a misura d’uomo e delle sue esigenze, proponendo un nuovo standard per la qualità della vita. Le sfide costruttive portate avanti dal disegno progettuale del Renzo Piano Building Workshop, erano quelle della ricucitura dell’area con il tessuto cittadino e del recupero del rapporto con l’ambiente fluviale, attuato con la realizzazione di un ampio parco attrezzato posto lungo l’Adige. Per rafforzare ulteriormente il legame con l’acqua,


è stato progettato, all’interno del quartiere, un sistema di canali, che andranno ad alimentare due grandi bacini. Il progetto è stato costruito con linee originali e rigorosa modularità, puntando all’utilizzazione di materiali naturali come il legno e la pietra, rispettosi della tradizione locale, e applicando l’uso di energie rinnovabili, cosa che caratterizza il lavoro di Renzo Piano. Nel corso della giornata presso il quartiere Le Albere, i partecipanti hanno potuto scoprire tutti i particolari relativi all’opera, dalla visione progettuale alla realizzazione, grazie all’intervento di autorevoli relatori, quali i professori Marco Imperadori e Gabriele Masera del Politecnico di Milano. È stato possibile visitare anche gli interni degli edifici, scoprendo come gli appartamenti, gli uffici e gli spazi commerciali siano stati concepiti e proposti nella loro composizione architettonica e negli arredi. Eccezionalmente si sono poi aperte ai partecipanti le porte del MUSE, il Museo tridentino di storia naturale, che con le sue forme decisamente ardite, gli spazi a diverse altezze e il profilo frastagliato, che ricorda quello delle montagne circostanti, è uno straordinario esempio di come l’architettura possa integrarsi organicamente nel paesaggio urbano.

La visita ha visto la partecipazione di oltre 60 progettisti vicentini, che hanno potuto assistere alla presentazione dettagliata di una delle creazioni più recenti di Renzo Piano

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eventi

Vivere senza auto

Riflessioni a margine di una mostra presentata presso il Forum Center di Vicenza. È possibile pensare la nostra vita senza l’utilizzo dell’automobile? Alcuni esempi europei di insediamenti abitativi liberi dal traffico ci aiutano a capire l’importanza del recupero di spazi da adibire a verde, spazi per la comunità e spazi da gioco per bambini di Giovanni De Felice

In una indagine dell’Anci del 2007 “La città che vorrei” gli italiani intervistati individuavano tra i problemi principali del malessere urbano quelli legati al traffico, ai parcheggi e all’inquinamento. Le soluzioni che nel corso degli anni hanno seguito delle strategie politiche legate alle direttive europee sensibili all’ambiente e alla sostenibilità e al benessere dell’uomo, provengono da esperienze legate ai paesi del nord europa: Svizzera, Germania, Svezia, Olanda, Austria. Alcune di queste esperienze sono state studiate in una ricerca che ha visto dal 12 aprile 2013 presso il Forum Center di Vicenza la sede di una mostra intitolata: Vivere senz’auto scelta possibile? Attraverso una fattiva collaborazione tra la Fondazione dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Vicenza e IUAV Alumni, coordinati dal Prof. Mauro Lena, docente dello IUAV di Venezia, l’iniziativa rientra nel più ampio progetto di “Laboratorio di progettazione. La casa di qualità per il benessere dell’individuo e della comunità”, promosso dalla Fondazione dell’Ordine P.P.C. di Vicenza.

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La mostra ha inteso rappresentare attraverso l’analisi di tre insediamenti campione, Vauban (Svizzera), GWL Terrein (Olanda), Florisdorf (Austria), la realizzazione di quartieri car free. E lo ha fatto attraverso le tre sezioni della mostra: 1) selezione di immagini con analisi sulla mobilità-uso delle risorse-comunità; 2) selezione di video per comprendere come gli insediamenti vengono vissuti dagli abitanti; 3) selezione di immagini che rappresentano la comparazione dei tre insediamenti presi a campione. La mobilità, aspetto fondamentale nel concepire quartieri carfree, significa eliminare quasi totalmente l’uso delle auto all’interno del quartiere, con l’introduzione di sistemi ausiliari come l’uso della bicicletta attraverso percorsi ciclabili, ma soprattutto l’uso di mezzi pubblici che permettono il collegamento al centro cittadino e ai servizi. L’eliminazione della viabilità carraia interna al quartiere permette di recuperare spazi da adibire a verde, spazi per la comunità, spazi gioco per bambini. L’introdu-


ta come acqua di scarico. La manutenzione delle aree esterne condominiali viene effettuata a rotazione dai condomini stessi. La partecipazione attiva della comunità di residenti di questi quartieri è fondamentale: sia per la definizione del progetto che per l’autogestione dei servizi comuni. Alla base del processo vi è un modello di progettazione flessibile in cui i residenti hanno potuto definire gli spazi pubblici e verdi. Gli architetti hanno messo a disposizione diversi gradi di approccio alla partecipazione. Anche la realizzazione ha potuto integrare misure di partecipazione e autogestione di alcune opere riguardanti l’appartamento stesso. Molte sono le iniziative all’interno del quartiere volte a far crescere la coesione sociale come l’attivazione di servizi tipo falegnameria, riparazione di cicli, iniziative di mercatini all’interno ecc.ecc. Queste tematiche ci fanno riflettere su alcune questioni che stanno alla base della difficoltà di attuazione di progetti di questo tipo in Italia e nella nostra provincia veneta. Che fare allora? Sono convinto che anche i quar-

tieri della città veneta possono essere sottoposti a un processo di rigenerazione urbana attraverso un patto con i residenti stessi e un impegno con l’amministrazione pubblica. Il patto riguarda la “rinuncia” a far uso della macchina per gli spostamenti entro i 3-5 Km attraverso l’utilizzo della bicicletta. Quindi un cambio mentale e culturale. Dall’altra l’impegno dell’amministrazione a introdurre nel territorio connessioni sistemiche mediante intermodalità tra mezzi di trasporto verso una più ragionata localizzazione dei servizi, coadiuvata dalla realizzazione delle piste ciclabili. Credo che questo ritardo italiano possa, attraverso la conoscenza delle esperienze europee, essere colmato in fretta per il futuro delle nostre generazioni e il benessere della comunità stessa.

TRE ESEMPI EUROPEI A CONFRONTO

zione di sistemi di carsharing assolvono esigenze di spostamenti a più largo raggio. L’uso delle risorse all’interno di questi quartieri viene visto in chiave ecologica affrontando le tematiche energetiche con un approccio globale. Gli edifici utilizzano sistemi solari passivi (pannelli in copertura) sia attivi con lo studio della porzione finestrata più ampia a sud e posa in opera di isolanti di forte spessore per limitare la dispersione termica. Comune a questi quartieri l’utilizzo delle acque reflue con cui viene recuperato il calore mediante scambiatori termici. Di sicuro interesse l’utilizzo delle coperture piane degli edifici che diventano giardini e orti coltivabili. L’acqua piovana confluisce in specchi d’acqua interni al quartiere, mentre l’acqua grigia viene filtrata per essere riutilizza-

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materials

Il segno creativo della trasparenza A destra: parapetti in cristallo extrachiaro serigrafato. Sotto: parapetti in cristallo extrachiaro temperato

VETRERIA COGO SRL Via L. Da Vinci, 23 36066 Sandrigo (VI) Tel. 0444.659143 Fax 0444.659060 info@vetreriacogo.it www.vetreriacogo.it

«Il vetro è trasparenza, resistenza, leggerezza, inalterabilità nel tempo, perfetta compatibilità con qualunque materiale». Così Oscar Cogo, uno dei titolari della Vetreria Cogo, racconta il vetro, una passione della sua famiglia fin dal 1968, quando Giovanni Cogo, suo padre, fondò in provincia di Vicenza una vetreria artigianale di piccole dimensioni. «Fin da allora prosegue Oscar Cogo - il nostro obiettivo principale era che i nostri clienti fossero soddisfatti in ogni loro richiesta. E ancora oggi cerchiamo di lavorare con la qualità e l'attenzione che useremmo se la casa fosse nostra». Oggi la Vetreria Cogo offre un’ampia gamma di prodotti, dai box doccia su misura ai complementi d’arredo, dalle pensiline e i parapetti alle porte e ai divisori, fino alle vetrate artistiche. Il vetro è un materiale versatile che si adatta a ogni tipo di ambiente, spiega Renata Cogo. «Può essere funzionale all'utilizzo specifico richiesto e allo stesso tempo abbellire e arredare l'ambiente in cui si trova, sia esso trasparente, monocromatico o decorato. Può essere personalizzato, a seconda del gusto e delle esigenze del cliente, nelle forme, nelle dimensioni e nella tipologia, e applicato ai vari ambienti con elementi metallici di qualità e nuovi sistemi tecnologici». A partire dal 2007, Vetreria Cogo ha ricevuto la certificazione CE per la costruzione di vetrate isolanti di ultima generazione, prodotte con vetri basso emissivi e con l'immissione di gas nobili quale l'argon (per il suo elevato isolamento termico). Nasce così Isolveco, la vetrata isolante che coniuga prestazioni eccellenti con una grande attenzione alle normative vigenti in materia di sicurezza e rispetto dell'ambiente. Queste vetrate vengono impiegate nelle nuove costruzioni come nelle ristrutturazioni per diminuire la trasmittanza termica degli edifici, come richiesto dalle normative in fatto di riclassificazioni energetiche. Una buona vetrata isolante in doppia camera con vetri basso emissivi, gas argon e canalino termico riesce a raggiungere un valore Ug di 0.5 in tutta la superficie. Limitando la dispersione termica, «i vetri BE, - spiega Mirco Magnago Amministratore delegato - oltre a migliorare il comfort interno degli ambienti, consentono di diminuire notevolmente i costi per il riscaldamento e di ridurre inoltre l'emissione di anidride carbonica nell'atmosfera. L’11 dicembre 1997 in Giappone è stato sottoscritto da più di 160 paesi il Pro-

tocollo di Kyoto, riguardante il riscaldamento globale. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra vengono soddisfatti mediante l’applicazione di questo vetro basso emissivo nella vetrata isolante». Lo staff della Vetreria Cogo è costituito da personale giovane e qualificato che segue il cliente in ogni fase della realizzazione del progetto con sopralluoghi, rilevazioni, misure ed esecuzione della posa in opera. «La nostra forza - concludono Oscar e Renata Cogo - è un mix di disponibilità, qualità e servizio. Servizio inteso come velocità nella formulazione dei preventivi, come consigli riguardanti le diverse soluzioni da adottare e precisione nel fornire al progettista le caratteristiche tecniche dei prodotti, così che possa avere un ulteriore aiuto nel pensare l'ambiente».



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Seguire il design e le sue evoluzioni SOSSAN Via Prà Bordoni, 7 Zanè (VICENZA) Tel. 0445.315409 Fax 0445.315853 www.sossan.com info@sossan.com

Mille metri quadri adibiti a show-room allestito ad arte, dove sono esposti i migliori prodotti del mercato mondiale: è questo il biglietto da visita di Sossan srl che, in oltre quarant’anni di attività, è diventata un’azienda leader nel mercato della pavimentazione, dei rivestimenti e dell’arredo bagno. «Fin dagli anni Settanta – racconta il fondatore, Francesco Sossan – mi sono occupato del settore ceramico, prima in qualità di posatore, poi di rappresentante di pavimenti e rivestimenti. Il mercato, in quei tempi, era decisamente in espansione e io ho deciso di cavalcare il momento aprendo un piccolo punto vendita. Era il 1978». Oggi il punto vendita di Zanè, in provincia di Vicenza, è unico per tipologia di materiali e prodotti proposti. È un luogo dedicato a chi vuole accarezzare l'idea di un ambiente raffinato, dove il cliente può progettare infinite soluzioni di interior design insieme al team Sossan. Infatti, attraverso uno studio costante di forme e materiali e un’attenta analisi delle proposte compositive più efficaci, il cliente viene affiancato nella creazione di ambienti e spazi individualizzati, grazie, ad esempio, alla combinazione di pavimenti ceramici e di legni pregiati, all’impiego di marmi preziosi e mosaici in pietra lavica e vetro, alla miscelazione di pietre e di colori, per dare vita a cromie suggestive e uniche. Sossan coordina e cura le fasi di personalizzazione di ambienti e spazi, dall’esecuzione alla posa, fino ai processi di finitura, grazie alla collaborazione di professionisti esperti e abili artigiani. L’offerta del materiali è ampia e varia e la disponibilità garantita. Talvolta, in nuo-

ve costruzioni o in ristrutturazioni, l’uso di alcuni prodotti chimici associato alla scarsa ventilazione e alla ridotta traspirabilità dei materiali utilizzati, non favoriscono il comfort ambientale necessario. È proprio in questo contesto che Sossan propone una gamma di prodotti che possano soddisfare i gusti estetici più raffinati, senza tralasciare l’aspetto eco-compatibile, in sinergia con partner qualificati e frutto della collaborazione con Piero Lissoni. Da anni, per esempio, collabora con KeraKoll per la realizzazione di pavimentazioni continue di elevatissima qualità, garantendo nel tempo i lavori grazie alla serietà e competenza che entrambe le aziende possono offrire. L’ultimissima novità è il Cementoresina®, un composto innovativo a basso impatto ambientale. La qualità estetica e architettonica, è frutto della collaborazione fra KeraKoll e Piero Lissoni. Questo progetto è estremamente attuale e molto versatile, offre alte prestazioni nella realizzazione di superfici continue orizzontali e verticali, ideale in spazi privati, commerciali e pubblici. Una particolare attenzione viene dedicata da Sossan all’ambiente bagno, per trasformarlo da semplice stanza di servizio a confortevole luogo di relax, una piccola zona wellness nella propria casa, grazie a marchi che hanno fatto la storia del design e del lusso.




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ARCHITETTURA, ARTE & DESIGN

UN OMAGGIO A MEIER In occasione dei cinquant'anni di attività di Richard Meier, gli spazi della Fondazione Bisazza accoglieranno un'ampia e inedita retrospettiva dell'opera dell'architetto americano. Richard Meier progetterà inoltre un'installazione site-specific, intitolata “Internal Time”, che andrà ad arricchire la Collezione Permanente della Fondazione. La mostra sarà organizzata dalla Fondazione Bisazza in collaborazione con lo Studio Meier e includerà alcuni dei lavori più emblematici del famoso architetto americano. I progetti presentati nell'ambito dell'esposizione metteranno in luce per la prima volta in Italia la sua filosofia del design, con esempi delle diverse tipologie di lavoro da lui affrontate. La retrospettiva includerà una selezione di modelli, bozzetti originali, rendering, fotografie e prodotti di design meno conosciuti come alcune collezioni per la tavola. Alcuni tra i progetti più noti presentati in mostra saranno: Smith House nel Connecticut, Getty Center a Los Angeles, la Neugebauer Residence in Florida e la Chiesa del Giubileo a Roma. Altri progetti in mostra sono famose realizzazioni quali le Perry Street Towers, l'High Museum of Art ad Atlanta, il Museo Ara Pacis di Roma e il Museo Arp a Rolandseck in Germania, comple-

tato di recente. In aggiunta a quest'ampia selezione, verranno presentati anche alcuni progetti come le proposte per il World Trade Center Memorial, il New York Avery Fisher Hall e la Bibliothèque Nationale in Francia. Oltre alla presentazione dei progetti, è stata commissionata un'installazione site-specific progettata appositamente dall'architetto americano, che andrà ad arricchire la Collezione Permanente della Fondazione Bisazza. Il progetto, dal titolo Internal Time, è un giardino geometrico, un bosco stilizzato di possenti elementi verticali in mosaico bianco in cui perdersi e in cui un unico modulo orizzontale accoglie una seduta dedicata alla meditazione. Piero e Rossella Bisazza, Presidente e Vicepresidente della Fondazione Bisazza, dichiarano: “Considerata la vocazione della Fondazione Bisazza ad inserirsi con contributi originali nel dibattito culturale dell'architettura contemporanea, abbiamo voluto rendere omaggio ad un architetto come Meier. Siamo onorati che la restrospettiva che accoglieremo sia completamente inedita, realizzata in collaborazione con lo studio Richard Meier & Partners di New York”. Montecchio (VI), Fondazione Bisazza/ Richard Meier. Architettura e Design/ Dal 17 maggio al 28 luglio 2013

IL DESIGN DI GAE AULENTI Triennale Design Museum ricorda Gae Aulenti attraverso una selezione dei suoi più iconici oggetti di design realizzati dal 1962 al 2008, a cura di Vanni Pasca con progetto di allestimento dello studio Gae Aulenti Architetti Asso-

ciati. La mostra si sofferma in particolare sugli oggetti di design, partendo da progetti (come la Sgarsul, del 1962, rilettura di una poltrona a dondolo, derivata dall’incrocio di due ellissi in legno curvato, o i mobili Locus Solus, del 1964, in cui viene piegato non il legno ma il tubolare metallico) che appartengono a una fase, influenzata da Rogers, in cui il design italiano cerca una strada autonoma, superando il paradigma razionalista attraverso la rilettura della tradizione viennese e promuovendo così quella cultura dell’abitare che si delinea negli anni sessanta. Gae Aulenti esplora le potenzialità linguistiche relative a una fuoruscita dai rigori del funzionalismo, ma sempre con una ricerca progettuale controllata attraverso l’uso attento delle geometrie. La mostra prosegue con una serie di oggetti in cui la razionalità si incrocia con la cultura pop: dalle lampade, come Pipistrello (1965), Ruspa e Rimorchiatore (1967), ai tavoli composti di un piano di cristallo con ruote, per arrivare al recupero di tecniche della tradizione come il vetro soffiato, per esempio nella lampada Parola (con Piero Castiglioni, 1980) o nei vasi per Venini (1995). La mostra vuole inoltre documentare l’attenzione della designer ai progetti sistemici, tra cui, per esempio, i manuali per il sistema di arredamento coordinato dei punti vendita dei con-

cessionari Fiat del 1975. Viene poi fornita una lettura sintetica dei progetti di spazi interni attraverso una selezione di immagini di alcuni progetti esemplari: l’intervento alla Triennale del 1964 dedicata al tempo libero, dove le figure femminili in corsa di Pablo Picasso diventano metafora di una trasformazione epocale degli stili di vita; gli showroom per Olivetti a Parigi, concepito come una piazza, o a Buenos Aires (1968), uno spazio continuo articolato in una serie di livelli; la Casa del collezionista a Milano (1969); o, ancora, i lavori per il teatro, fra cui la scenografia de Il viaggio a Reims di Rossini, dove l’articolazione volumetrica del palcoscenico si incrocia con l’irruzione del corteo nuziale dalla piazza esterna nel teatro. Milano, Triennale Design Museum/ Gae Aulenti. Gli oggetti e gli spazi/ Fino all’8 settembre 2013

SANT’ELIA E LA CITTÀ NUOVA L’esposizione analizza un secolo di visioni urbane, attraverso 100 opere, alcune delle quali inedite, tra dipinti, disegni, modelli, filmati, installazioni di artisti, architetti, registi quali Antonio Sant’Elia, Umberto Boccioni, Fernand Léger, Mario Sironi, Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Fritz Lang, Yona Friedman, Archizoom, Superstudio, Chris Burden, Carsten Höller e altri. In contemporanea, una sezione allestita nella Pinacoteca Civica presenta 50 disegni di Antonio Sant’Elia di proprietà del Comune di Como, da anni inaccessibili al grande pubblico. L’evento espositivo nasce da un originale progetto scientifico, pensato per uno sviluppo

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drammatici problemi, igienici, morali, politici, culturali, funzionali, che richiedevano riforme radicali sia nel campo della viabilità e dei trasporti, che in quello dell’abitazione e della organizzazione della vita domestica.

triennale, e analizza cento anni di visioni urbane che hanno attraversato l’intero ventesimo secolo, prendendo avvio dai disegni di Antonio Sant’Elia (Como, 1888 Monfalcone, 1916). La rassegna vedrà nel 2015 il suo ideale completamento, in contemporanea con l’apertura dell’Expo 2015 di Milano, con una grande esposizione dedicata alle tematiche dello spazio urbano, delle sua identità presenti e future, dei luoghi e delle forme della convivenza collettiva. “La mostra afferma Luigi Cavadini, assessore alla cultura del Comune di Como - nasce dalla considerazione che parlare di Expo significa parlare di città; questo comporta una riflessione sul futuro e sullo sviluppo del panorama urbano. È naturale che tutto dovesse partire da Antonio Sant’Elia che, all’inizio del secolo scorso, guardava a queste prospettive con occhio lucido e lungimirante”. Il percorso espositivo in Villa Olmo si aprirà proprio con “La Città Nuova”, ovvero una serie di dodici disegni che Sant’Elia aveva presentato alla mostra milanese delle Nuove Tendenze del 1914, nei quali si riassumevano le visioni urbane del giovane architetto comasco che aveva appena formulato il suo manifesto per una architettura futurista. Fin dal suo apparire, nel corso dell’Ottocento, la metropoli era apparsa come una delle manifestazioni più drammatiche e più contraddittorie dell’età moderna, caratterizzata da inediti e

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Como, Villa Olmo e Pinacoteca civica/ La città nuova. Oltre Sant’Elia/ Fino al 14 luglio 2013

I “MURI STRACCIATI” DI BELLONI In mostra 40 scatti di Silvano Belloni, a cura di Rosy Fuga De Rosa e della Direzione di Artes, in collaborazione con l'Associazione no profit Leonardo e la società Palazzo del Moro S.r.l., che ritraggono manifesti lacerati, graffiati e maltrattati, testimoni, quasi involontari, dei grandi temi di oggi: la politica, i giovani, il ruolo delle donne, la necessità di apparire, le ambiguità della comunicazione, i diritti umani, la famiglia, l'infanzia, il lavoro, le speranze. Attraverso le foto l’artista vuole stimolare la fantasia e la sensibilità del pubblico. Le sue immagini vogliono renderci una cruda testimonianza della realtà che ci circonda attraverso una dimensione estetica di alto livello, suscitando attrazione ma lasciando allo sguardo di ciascuno di noi l'interpretazione. E per raggiungere questo scopo, Belloni scarta il superfluo che sta attorno all’immagine. Nel suo lavoro seleziona, inquadra, ritaglia ed elimina quanto non serve o può

nuocere al risultato finale che non deve mai dire troppo, che deve limitarsi a restare a metà strada tra il dire e il non-dire. Attraverso la scelta di un’inquadratura piuttosto che di un’altra, l’artista si muove tra la spinta propulsiva per la ricerca di contenuti e una rigorosa conoscenza tecnica ed estetica legate al mondo dell'arte e della comunicazione. Silvano Belloni nasce a Milano nel 1974. Ama l'arte e la grafica, il teatro e la musica. Poco più che ventenne scopre la fotografia. Inizia allora una serie di sperimentazioni sulle possibilità della fotografia e sui materiali fotografici. Viaggia e fotografa tutto ciò che in lui desta curiosità particolari, paesaggi, persone spinto dal desiderio di "fermare" la realtà. Nel 2009 l'Atelier Hlam Design di Milano ospita la sua prima personale "A prima vista". 40 scatti restituiscono l’immagine della città contemporanea, fatta di architetture, oggetti, muri stracciati, panoramiche, visioni urbane e gente... in cerca di riposo. Mortara (Pavia), Palazzo del Moro/ Muri stracciati. Opere di Silvano Belloni/ Fino al 9 giugno 2013

desh (1962-83). Con la mostra Louis Kahn – The Power of Architecture, il Vitra Design Museum gli dedica la prima grande retrospettiva degli ultimi vent'anni. La mostra contiene una vasta collezione di modelli, illustrazioni originali, foto e film che non sono mai stati presentati. Tutti i progetti più importanti vengono ampiamente documentati, dai suoi primi piani urbanistici e villette unifamiliari, fino alle opere più tarde e monumentali come il Roosevelt Memorial a New York (1973/74), che fu completato postumo nell'ottobre del 2012. In più lo sguardo sulle opere architettoniche di Louis Kahn viene arricchito con una selezione di acquerelli, disegni a pastello e carboncino che egli stesso ha creato durante i suoi numerosi viaggi e che documentano, attraverso il suo tratto, la sua competenza come illustratore e artista. Uno dei pezzi forti della mostra è il modello di quattro metri della spettacolare City Tower di Philadelphia (1952-57), così come alcune riprese cinematografiche di Nathaniel Kahn,

L’ARCHITETTURA SECONDO LOUIS KAHN L'architetto americano Louis Kahn (1901-1974) è considerato uno dei grandi maestri costruttori del XX secolo. Con le sue complesse strutture spaziali e le coreografie luminose Kahn creava delle costruzioni cariche di una bellezza arcaica e di un potere simbolico e universale. Alcune delle sue opere più importanti sono il Salk Institute, a La Jolla in California (1959-65), il Kimbell Art Museum a Fort Worth in Texas (1966-72) ed il palazzo del Parlamento del Bangladesh a Dhaka, in Bangla-

suo figlio e registra del film "My Architect", che vengono qui presentate per la prima volta. Le interviste con architetti del calibro di Frank Gehry, Renzo Piano, Peter Zumthor o Sou Fujimoto sottolineano l'importanza attuale dell'opera di Kahn. Weil am Rhein, Vitra Design Museum/ Louis Kahn – The Power of Architecture/ Fino all’11 agosto 2013




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Pensieri. Commenti. Interviste. Schede di progetto ALFREDO MELA - CRISTINA BIANCHETTI DANIEL LIBESKIND

SAINT-NAZAIRE THEATRE • TEATRO POLIVALENTE DI MONTALTO DI CASTRO • GINDI HOLDINGS SALES CENTER, SHOHAM • HOVENRING, CIRCULAR CYCLE BRIDGE, EINDHOVEN


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LA CITTÀ E I SUOI CAMBIAMENTI L’incontrollato allargamento degli insediamenti urbani. La modificazione di “senso” nella definizione di cittadino. L'allarme crescente verso il consumo e spreco di suolo. L’incapacità delle amministrazioni nella riorganizzazione del territorio. Su questi e altri temi si confrontano Alfredo Mela, professore di Sociologia e Cristina Bianchetti, professore di Urbanistica, entrambi presso il Politecnico di Torino

Il limite dell'espansione cittadina nei secoli si è più che modificato. Oggi la dimensione della città è molto vicina a quella del territorio. Quali ragioni portano oggi gli insediamenti ad allargarsi senza alcun criterio? Come intervenire?

Ciò che più colpisce è che nelle grandi città si sia modificata anche l’idea di essere cittadini. E al desiderio di migliorie oggi segue l’accettazione di ciò che si ha. Allora una città non progettata porta alla remissività dei propri abitanti?

Alfredo Mela La tendenza allo sviluppo di insediamenti periurbani a bassa densità è riscontrabile in tutti i continenti; quando si parla di una crescita della concentrazione urbana della popolazione globale, in realtà si deve intendere in gran parte una espansione in forme diffuse al di fuori dei nuclei compatti delle città. Le ragioni di questa crescita sono differenti. In Italia, in alcune regioni l’espansione si produce sia a partire dalle grandi città, sia da una struttura insediativa basata su una molteplicità di piccoli centri e da una fitta rete di connessioni viarie. Vi è una pluralità di ragioni che concorrono a produrre questa forma insediativa: esse dipendono da fattori che agiscono sia sul versante dell’offerta edilizia, sia su quello della domanda. Per poter intervenire a contrastare gli effetti negativi è necessario comprenderlo. Cristina Bianchetti Oggi la dimensione della città è vicina a quella del territorio. Quando nel 1990 Francesco Indovina ha parlato di «città diffusa» alludeva a un diverso modo di organizzazione della società nello spazio. Un modo caratterizzato dal fatto che la vita nei territori esterni la città, poteva considerarsi a pieno diritto urbana. La diffusione ha innanzitutto a che fare con questo diverso riarticolarsi dei rapporti tra territorio, società ed economia. Ed è oggi profondamente in crisi. Non credo che ciò sia avvenuto «senza alcun criterio». I criteri ci sono e sono quelli di una società che vive in modo diverso il rapporto con lo spazio. Questo ha fatto sì che negli ultimi 40 anni abbiamo assistito ad un enorme espandersi di un patrimonio edilizio disperso di modesta qualità. Si tratta di un fenomeno complesso e pervasivo. Alfredo Mela Le idee connesse con la cittadinanza si stanno modificando: in gran parte questi cambiamenti derivano da processi che riguardano la società nel suo complesso, come ad esempio dalle tendenze all’individualizzazione e alla frammentazione di interessi, aspirazioni e stili di vita. Non direi che il segno di queste trasformazioni sia quello della remissività, né quello di un disinteresse per la propria città. C’è una crescente sfiducia nella politica, ma direi che questa colpisce maggiormente i livelli superiori (lo Stato, in primo luogo), piuttosto che il livello urbano, certamente più vicino ai cittadini. Più che di remissività parlerei di difficoltà a far convergere le istanze che provengono da gruppi eterogenei verso una domanda complessiva di città, capace di confrontarsi costruttivamente con le amministrazioni. Il fatto che la città sia poco e male progettata ha senz’altro un peso negativo sulla condizione urbana; spesso, però, lo hanno anche alcuni grandi progetti, calati dall’alto senza partecipazione, di fronte ai quali i cittadini non hanno altro strumento di intervento se non un’opposizione tout-court. Cristina Bianchetti Intravedo due temi. Il primo ha a che fare con l’idea di cittadinanza, con il desiderio di essere cittadini. È qualcosa che sta tra l’universalità dei principi e dei diritti da un lato e i dispositivi selettivi che regolano l’appartenenza a una comunità politica dall’altro. La cittadinanza ha molto a che fare con la rivendicazione di diritti. E i diritti hanno molto a che fare con lo spazio. Non perché lo spazio (la città) «mette in scena» i diritti, ma perché costruisce le condizioni di una loro affermazione o negazione. Il primo problema può essere riformulato nella domanda: in una fase difficile come quella che stiamo attraversando quale possibilità ha il desiderio di migliorare la propria idea di cittadinanza? Il secondo tema non è legato al primo se non dalla sopravvalutazione del ruolo che la pianificazione ha poiché lega il carattere progettato dello spazio alla remissività dei cittadini o alla loro capacità di attivarsi.

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È professore straordinario di Sociologia al Politecnico di Torino. Si occupa di analisi sociologica per la pianificazione territoriale, progettazione urbanistica e percezione soggettiva dello spazio costruito e dei rischi ambientali. Tra le sue pubblicazioni, Sociologia delle città, Urbanistica partecipata. Modelli ed esperienze (con Daniela Ciaffi). Alfredo Mela

È condivisibile l'allarme sempre maggiore verso il consumo, forse definibile anche spreco, del suolo?

È professore di Urbanistica presso il Politecnico di Torino. Ha insegnato nelle Facoltà di Architettura di Pescara, Venezia, Milano. Collabora con numerose riviste disciplinari ed è nel comitato redazionale de L’Indice. Tra i suoi scritti: Pescara, Abitare la città contemporanea, Urbanistica e sfera pubblica, Il Novecento è davvero finito. Cristina Bianchetti

Alfredo Mela L’aspetto più importante è la interpretazione del suolo come bene comune, alla stregua, ad esempio, dell’acqua. La mobilitazione che si è avuta in occasione del referendum sull’acqua potrebbe, forse, allargarsi presto ad altri beni comuni e favorire una più larga opposizione alle modalità di espansione che hanno caratterizzato soprattutto gli anni recenti. Una difficoltà che i movimenti incontrano dipende dal fatto che, spesso, il consumo del suolo deriva da una molteplicità di micro-interventi privati - e talora anche pubblici - anziché solo da quei grandi interventi che più facilmente incontrano un’opposizione sociale. Un altro ostacolo è dato dal disinteresse della gran parte delle forze politiche per questo tema, mentre è frequente che su progetti di espansione urbanistica che si traducono in perdita di suoli agricoli e di biodiversità si determinino accordi tra partiti e operatori economici. Cristina Bianchetti Oggi è utile uno sguardo capace di cogliere le nuove questioni che si stanno ponendo in questa fase. Alcuni urbanisti si stanno muovendo in questa direzione. Provano a immaginare la possibilità di un diverso funzionamento del territorio. Di quel territorio disperso che è il bersaglio diretto di tutti i ragionamenti sul consumo di suolo. Si prova a pensare alle forme e ai modi di un diverso funzionamento delle infrastrutture minute, quelle che riguardano la distribuzione dell’acqua, dell’energia, il muoversi, gli insediamenti, gli spazi del produrre e dello scambio. Un funzionamento che valorizzi il capitale sociale già fissato nel territorio. Che eventualmente sappia rimetterlo in funzione. Oggi la parola riciclo è molto utilizzata, ma dietro a questa c’è soprattutto l’intuizione del fatto che il territorio, i materiali che vi insistono, possono essere pensati come oggetti di diversi «cicli di vita».

Il disinteresse verso i piani di attuazione da parte dei progettisti è sicuramente la causa principale del volgere delle nostre città verso la dissolvenza, lo sprawl. Ma quanto a tutto ciò hanno contribuito amministrazioni poco lungimiranti e per nulla preparate?

Alfredo Mela Credo che le cause dello sviluppo periurbano in aree a bassa densità siano molteplici e non riguardino solo i progettisti, né solo l’assenza di pianificazione. Anche numerose amministrazioni locali hanno avuto un ruolo per nulla lungimirante. In una fase di tagli sempre più pesanti alle amministrazioni comunali, gli oneri di urbanizzazione sono diventati una voce di entrata sempre più importante e questo ha portato ad una rincorsa nel cercare di attrarre nuova edificazione. Per questo i piani di molti comuni contengono previsioni di edificazione molto ampie. Poiché la domanda si è rivolta verso lottizzazioni esterne ai nuclei compatti, il risultato è quello sparpagliamento delle frange urbane che comporta crescente consumo di suolo. Non parlerei solo di impreparazione: a determinare il fenomeno convergono gli interessi di molti attori, anche se l’esito va contro l’esigenza di sostenibilità. Cristina Bianchetti Penso che nel ritenere lo sprawl esito di un disinteresse dei progettisti verso alcuni strumenti urbanistici vi sia una sopravvalutazione del ruolo del loro agire. Lo sprawl, l’espansione di territori segnati dalla frammentarietà, ha ben altre ragioni. Le competenze tecniche sono fondamentali nel cercare di organizzare meglio il funzionamento di quei territori. Sono fondamentali nel mostrare come la «città diffusa» potrebbe meglio funzionare. Quello che l’urbanista porta in campo sono idee. La sua attività non può essere ricondotta alla costruzione di norme, magari sempre più minuziose e astratte. È bene che il progettista sia attento alle sue competenze, ma non può essere costruito un legame di determinazione tra fenomeni complessi e apparati giuridico normativi del piano. Che poi alcune amministrazioni siano poco preparate è un elemento che incide. AVI architetti 95


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L’urbanizzazione pubblica in molti altri paesi europei si basa, ancora oggi, sull'acquisizione delle aree da parte del comune, con successiva cessione del diritto di superficie. Condizione che ha garantito negli anni un controllo dei costi di costruzione, delle opere e anche dei servizi. Perché in Italia è stato ed è difficile attuare questi tipi di processi?

Oggi la crisi economica ha reso nuovamente attuale la rivendicazione di una confortevole abitazione a un prezzo adeguato. Come si sta muovendo l’Italia?

Alfredo Mela Non c’è dubbio che altri paesi abbiano impostazioni molto più efficaci, con risultati migliori; peraltro, il problema dello sprawl ha radici più complesse e riguarda anche contesti con una regolamentazione dell’uso del suolo migliore di quella italiana. In Italia, la difficoltà sorge da una scelta politica che ha un ruolo quasi strutturale nella storia recente: quella relativa alle modalità di edificazione rappresenta una delle opzioni politiche di più lungo periodo su cui si è consolidata nel tempo una pluralità di interessi. Il basso livello di pianificazione (che, d’altra parte, si abbina a un alto livello di burocratizzazione), come pure la scelta di favorire unicamente la proprietà privata della casa sono delle costanti della vita politica italiana, che si sono radicate nel costume e nelle aspettative di larga parte della popolazione. Si tratta di scelte che definirei multi-partisan: favorite soprattutto da alcuni blocchi di interessi, ma non osteggiate da altri. D’altra parte, nei momenti di crisi, è diffusa la convinzione che basterebbe ridar fiato all’edilizia e questo produrrebbe effetti a catena su molti altri settori. Cristina Bianchetti Le condizioni in cui versa l’amministrazione pubblica oggi precludono anche solo di immaginare politiche attive sul mercato fondiario. In passato nel nostro Paese si è scelta una strada diversa, come la sempre richiamata vicenda Sullo ha mostrato con chiarezza. Le ragioni sono molto articolate, difficili da trattare in poco spazio: in definitiva attengono a un differente modo di intendere il ruolo del pubblico e i sistemi di protezione sociale. Sistemi entro i quali la città ha avuto un posto importante. È quello il piano entro il quale si può articolare un discorso sulla capacità dello Stato di far fronte al problema abitativo e urbano: ovvero la particolare costruzione del welfare in Italia, nella seconda parte del XX secolo. In questa esperienza le politiche per la casa sono state in primo luogo politiche di «acquisizione del consenso» attraverso facilitazioni di accesso alla proprietà. Inutile ribadire la divergenza con l’esperienza delle democrazie nord-europee. Alfredo Mela Il sistema politico, a livello centrale, mi sembra ben poco attento a queste problematiche. Iniziative più interessanti provengono dalle iniziative messe in atto da alcuni comuni. Esse sono ispirate dalla convinzione che il problema della casa è mutato e il quadro delle esigenze, cui occorre dare risposta, è più articolato di quello che aveva ispirato le politiche dei decenni precedenti. Oggi coesistono problematiche molto diverse: quella legata alle situazioni estreme dei senza casa (una popolazione in aumento e a sua volta sempre più diversificata); quella della cosiddetta “fascia grigia”, che riguarda anche ceti medi impoveriti; quella legata alle trasformazioni demografiche (con un numero crescente di anziani soli); quella propria della popolazione giovanile che non riesce a rendersi indipendente dalla famiglia d’origine; quelle legate all’immigrazione e così via. Tuttavia, lo sforzo di dare risposte ricade in larga parte sulle municipalità, cui peraltro vengono dati sempre meno i mezzi per farlo. In parte, però, comincia a svilupparsi anche una iniziativa diretta da parte della società civile, come mostra l’interesse per il cohousing, o per altre forme di auto-organizzazione su temi urbani. Cristina Bianchetti La crisi economica ha bloccato gran parte delle operazioni di riqualificazione urbana, il mercato edilizio e quello immobiliare. Su questo sfondo, si cercano sempre altre forme di accesso all’abitazione. Ci si arrangia come si può, spesso erodendo patrimoni familiari in via di veloce sgretolamento. Non colgo rivendicazioni. Piuttosto l’emergere di altre forme di abitare che fanno riferimento al superamento di modelli tradizionali. Abbiamo condotto una ricerca su queste forme nella città europea. I materiali e le riflessioni sono nel blog www.territoridellacondivisione.wordpress.com. Il fenomeno è interessante e, benché puntuale, sembra avere la forza di cambiare in profondità la città. Almeno nelle sue due forme tradizionali: quella della città individualista, dell’emergere del soggetto (la città diffusa di cui parlavamo) e quella della comunità chiusa. Le nuove forme abitative hanno ragioni economiche, ma non solo. Esprimono un mutato quadro valoriale. Si abita in cooperative per avere più spazio di quanto un appartamento tradizionale offra, più gente intorno di quanto non accada nella famiglia tradizionale, per godere di più tempo, essere più virtuosi dal punto di vista ecologico. Il riscontro è molto lavoro e un sorta di eccitazione continua. Una forma estrema di «superamento della solitudine» accompagnato da un eccesso di comunicazione e promozione via web.

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Quando in Italia sarà chiaro che al pregio dell'ambiente interno di un'abitazione è giusto che corrisponda anche una qualità ambientale esterna, qui più volte non rispettata a favore della speculazione edilizia?

Alfredo Mela La casa è stata e continua a essere una delle priorità essenziali nella percezione degli italiani e, di fronte ai singoli cittadini e alle singole famiglie, l’interno si presenta come una variabile direttamente controllabile, mentre la qualità ambientale esterna dipende tanto da variabili strutturali, quanto dall’effetto di comportamenti aggregati di molti soggetti. Al problema dell’interno può essere data una risposta individuale; a quello dell’esterno occorre una risposta collettiva, oltre che una molteplicità di scelte da parte di ciascuno. Torna a questo riguardo il tema dei beni comuni: il termine “qualità ambientale” evoca l’idea di una equilibrata tutela di una pluralità di commons: acqua, aria, suolo, paesaggio ecc. Penso che la questione dei beni comuni sarà uno dei nodi fondamentali per la definizione di un modello di sviluppo praticabile nel prossimo periodo. Un tema che dovrebbe essere connesso con quello relativo alla fuoriuscita dalla crisi economica. Su di esso credo che siano destinate a focalizzarsi in modo crescente anche le preoccupazioni e le attese della popolazione. Cristina Bianchetti La qualità è un concetto molto utilizzato da parte di architetti, urbanisti, amministratori, promotori immobiliari, politici. Si usa il riferimento alla qualità per valutare ambienti o progetti: in questo caso guardando agli aspetti morfologici con riferimento a una tradizione che in Italia è stata importante e ha avuto una specifica attenzione allo «spazio tra le cose», ovvero al suolo, al suo disegno, al rapporto tra spazio costruito e spazio aperto. Si usa il riferimento alla qualità per valutare la capacità di un brano di città di rispondere alle esigenze di coloro che lo abitano. Più in generale, si usa il riferimento alla qualità per costruire fiducia, legittimare interventi, giustificare valori. La qualità è alla base di un insieme molto vasto di dispositivi di controllo (osservatori, agenzie di certificazione, uffici studi) ed è al centro di molti momenti partecipativi. Dispositivi e pratiche partecipative cercano di consolidare (i primi), contestare (le seconde) l’autorità legittima di un progetto o di una politica in nome della qualità. Nei due casi, la qualità è rispetto all’adesione di protocolli, norme, indici. Costruisce una uniformità che i francesi chiamano «ville garantie». Qualcosa di molto diverso dalla qualità per chi abita la città e il territorio. In altri termini, il tema è ambiguo: rende esplicite, non nega, le proprie contraddizioni. Considerarlo il rovescio della speculazione è una scorciatoia.

Lo squilibrio tra spazi privati e pubblici in Italia coinvolge anche altri campi oltre all'assetto urbano: i servizi, i trasporti e il regime del suolo. Le ultime frane e alluvioni dovrebbero far riflettere. Come vive il cittadino questa condizione di profonda precarietà e incertezza?

Alfredo Mela Nell’ultimo rapporto annuale dell’Osservatorio Europeo della Sicurezza, del gennaio 2013, ciò che si profila è un quadro di aumento complessivo delle percezioni di insicurezza da parte degli italiani. Come è comprensibile, le preoccupazioni legate al lavoro e alla crisi economica sono in forte aumento. Ciò non di meno, nella graduatoria delle paure, la “distruzione dell’ambiente e della natura” compare al primo posto, essendo condivisa circa dai 2/3 degli italiani e, con percentuali minori, emergono anche le preoccupazioni relative alla sicurezza del cibo e alle frane e alluvioni. Non si può dire che le preoccupazioni di tipo ambientale, come quelle legate al territorio e al consumo del suolo, non siano ben presenti ai cittadini. Tuttavia esse stentano a trovare un’adeguata rappresentazione nei mass media, a trasformarsi in una domanda politica continuativa e in una pressione perché questi temi orientino l’agenda politica. In molti casi, essendo chiamati a formulare un parere diretto, gli italiani si sono espressi a favore di una coerente difesa dell’ambiente. Cristina Bianchetti Al contrario di quanto dicevamo in rapporto alla qualità, non c’è molta discussione pubblica attorno a questo tema. Della vulnerabilità ambientale del territorio si parla concitatamente nel momento in cui alluvioni, frane, terremoti accadono. Ci si indigna, si sottoscrivono appelli. Ma poi è come se le priorità fossero sempre altre. Bisognerebbe tenere conto del rapido mutamento che ha investito il nostro territorio che ha come riscontro anche la sua più evidente esposizione a rischi ambientali e sociali. Entro nuove combinazioni di economia e società insorgono, evidenti, nuove problematiche di vulnerabilità ambientale (rischi idrogeologici, inquinamenti, congestione, erosione risorse) e sociale (immigrazione, working poor, difficoltà del ceto medio). Certo il mutamento è una condizione stratificata e altamente contraddittoria sulla quale si delineano nuove relazioni tra le competenze (non solo tecniche) e le decisioni. Ma non possiamo non cogliere l’urgenza di un ripensamento profondo, mentre il dibattito pubblico nel nostro Paese sembra semplicemente guardare altrove.

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EVENTI

Lectio magistralis di Libeskind Invitato al Saie3, di fronte a un’attenta platea, Daniel Libeskind ha messo a fuoco i punti cardine che guidano la sua filosofia progettuale. Sottolineando l’importanza di far convergere la cultura tutta all’interno del processo architettonico. Inteso come luogo di stratificazione storica e sociale, ma soprattutto fonte di ispirazione per un dialogo costante tra il nostro passato e il futuro prossimo

Quando sale sul palco del Saie3 di Bologna, davanti a una platea di architetti, giornalisti, addetti ai lavori e soprattutto tantissimi studenti, Daniel Libeskind è sorridente e sembra sinceramente entusiasta. Indossa una giacca di pelle nera, una t-shirt giro collo e un paio di stivali texani con la punta. Durante tutta la sua lectio magistralis e la successiva intervista condotta da Nicola Leonardi, direttore di The Plan, riesce a essere coinvolgente, interessante, mai banale, con intelligenza e con uno spiccato senso dell’umorismo. Le sue parole, la sua gestualità, i suoi racconti: tutto parla di un uomo che, a quasi 67 anni e dopo aver pensato e realizzato alcuni dei progetti architettonici più importanti al mondo, è ancora capace di meravigliarsi davanti alla vita e di affrontarla con una mente aperta e pronta ad essere stimolata. E alla fine dell’intervista, interrogato su cosa avrebbe voluto consigliare ai tanti giovani presenti, Libeskind li invita a prendersi dei rischi, a uscire dal “sistema”, ad allontanarsi dalla loro casa per conoscere cosa c’è al di fuori, ad andare avanti da soli. E a sostegno della sua tesi cita Mosè, che invitava i giudei a lasciarsi tutto alle spalle per andare in nessun luogo, “nowhere”. L’architetto polacco viene introdotto da Leonardi: nato nel 1946 a Łódź da genitori scampati a un campo di sterminio nazista, dopo aver vissuto in Israele, dove studia musica, si trasferisce a New York all’età di 13 anni. Qui abbandona la musica per dedicarsi all’architettura: si laurea nel 1970 alla Cooper Union for the Advancement

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of Science and Art e nel 1972 ottiene un diploma post laurea in Inghilterra alla School of Comparative Studies della Essex University. Il 1988 è il momento della consacrazione, espone i propri lavori al Moma, insieme a Zaha Hadid, Frank O. Gehry e Peter Eisenman, in occasione di una mostra dedicata agli architetti decostruttivisti. «Decostruttivismo - specificherà nel corso della conferenza - è un termine strano per definire un modo di fare architettura, l’architettura infatti è “costruction” non “decostruction”». Nel 1989 si stabilisce a Berlino. Tra i suoi progetti più conosciuti ci sono il master plan per la ricostruzione del World Trade Center e il Museo ebraico di Berlino. A fine 2011 il suo studio, Studio Daniel Libeskind, ha completato la riprogettazione di quello che oggi è il più grande museo della Germania: il Museo di Storia Militare di Dresda. Attualmente sta lavorando ad alcuni progetti molto importanti in tutto il mondo, tra cui la riqualificazione dell’area City Life a Milano, Archipelago 21, il master plan per il distretto finanziario internazionale di Yongsan a Seoul e l’Istituto per la democrazia e la risoluzione dei conflitti che si trova in Inghilterra. Daniel Libeskind ha tenuto conferenze e insegnato in molte università del mondo e nel 2001, primo architetto nella storia, ha ricevuto l'Hiroshima Art Prize, un riconoscimento che premia gli artisti che hanno a cuore la pace. Il titolo della conferenza, “Anatomy of Architecture”, è anche il nome dell’installazione che Libeskind ha progettato per il Futuredesign


2013 e che rappresenta una riflessione su come la posizione della testa abbia da sempre influenzato la percezione dell’architettura. Libeskind parte proprio da qui, spiegando che pensa alla testa come all’emblema della realtà e che la posizione della testa è la chiave di lettura del suo lavoro: gli spazi ruotano intorno all’occhio umano e alla prospettiva con cui osserva la realtà che lo circonda. E parlando di prospettiva parla di Piero della Francesca, del rigore matematico che utilizza nei suoi dipinti e dei suoi importantissimi studi sulla prospettiva: «non solo è stato uno dei più grandi pittori mai vissuti, ma anche uno dei più grandi architetti, pur non avendo mai progettato edifici. Il suo libro “De prospectiva pingendi” è sempre sulla mia scrivania». L’architetto polacco entra nel vivo dei suoi lavori architettonici cominciando dalla 18.36.54 House, un’abitazione privata situata nel Cunnecticut occidentale e completata nel 2010, il cui nome deriva dai 18 piani, 36 punti e 54 linee nel nastro a spirale che ne definisce gli spazi abitativi. Attraverso questo lavoro Libeskind evidenzia due punti fondamentali della sua poetica: la luce e l’inserimento dell’edificio nel paesaggio circostante. La casa infatti è rivestita di un acciaio inossidabile bronzato che riflette il paesaggio circostante e cambia colore a seconda del tempo e delle stagioni. In un secondo momento, interrogato da un partecipante riguardo all’uso dei colori in architettura, l’architetto risponde che non ama colorare i propri edifici, «mi piacciono i colori naturali dei materiali perché in fondo, tutto è colore; e, più ancora dei materiali, amo la luce, che in architettura è la cosa più importante e che cambia sempre incontrando la materia». Libeskind affronta uno dei tempi portanti della sua architettura, il tema della memoria, attraverso il Military History Museum di Dresda. L’architetto ha progettato l’ampliamento dell’edificio preesistente, risalente all’800, studiando un grande corpo appuntito di forma triangolare fatto di acciaio e vetro che si conficca come una freccia nella struttura già esistente dividendola in due. Fin dalla sua fondazione nel 1897, il Museo di Storia Militare di Dresda è stato un’armeria sassone e, successivamente, un museo nazista, un museo sovietico e un museo tedesco-orientale, oggi è il museo di

storia militare di una Germania unita e democratica. «Quello che volevo realizzare era un museo che esprimesse una visione critica della storia, che ne conservasse memoria ma che rappresentasse anche un paese, la Germania, che oggi ha una nuova identità. Il mio museo non vuole essere solo un “contenitore” di reperti storici, vuole portare il visitatore a farsi delle domande, a chiedersi “perché c’è la guerra?”, “cosa ci spinge a fare la guerra?”, “da dove viene la violenza che porta alla guerra?”». Libeskind ha voluto che l’edificio più antico fosse ricostruito in maniera del tutto fedele all’originale per creare un dialogo costante tra passato e presente. Salendo sulla cima dell’edificio, nel punto più alto, a 30 metri di altezza, si gode un ampio panorama della città di Desdra, ricostruita dopo i bombardamenti che la distrussero nel 1945: «Dalla parte opposta, – spiega l’architetto – alla base dell’edificio, si trovano le armi che hanno portato alla distruzione della città. Il percorso che porta dalla base al punto più alto del museo rappresenta un percorso di rinascita, la possibilità di un futuro migliore. Dagli spazi bui dove sono custodite le armi, si arriva alla luce che caratterizza il percorso che porta al punto panoramico. Il passato non deve essere nascosto, deve essere compreso per poter migliorare il futuro. Il museo è l’emblema di come la Germania abbia cambiato il proprio modo di vedere la storia per farne tesoro e costruire un futuro migliore». E in conclusione non risparmia una “stoccata” a noi italiani: «mi sorprendo sempre quando sento che in Italia ci sono ancora persone che guardano positivamente a Mussolini, è una totale mancanza di consapevolezza». La storia, per Daniel Libeskind, non è qualcosa che puoi fotografare e non è solo nostalgia, è qualcosa che c’è, che è viva, è come l’anima di un uomo che c’è anche se non si vede. Parla ancora di memoria quando racconta del masterplan per Ground Zero e della difficoltà di trovare un giusto equilibrio tra il rispetto per la tragedia avvenuta e la vita che ricomincerà in quello stesso luogo. «Nel ragionare sulla direzione da prendere per quel progetto ripensai alla prima volta che vidi la skyline di New York, nel 1959, quando la nave su cui c’erano i miei genitori, io e altre centinaia di immigrati, entrò nel porto della città. Ho ripensato ai miei genitori che, proprio come tanti altri newyorkesi, prendevano tutte le mattine la metropolitana per andare a lavorare in fabbrica. Capii che quello che volevo era che il mio progetto non fosse solo per i pochi che avrebbero lavorato in quel luogo, volevo che fosse per tutti, che diventasse il più grande spazio pubblico di New York. Per questo motivo, dei 16 acri su cui dovevo lavorare, 8 sono dedicati al memoriale delle vittime e allo spazio pubblico». L’architettura, per Libeskind, che lo ribadisce a più riprese durante la lectio magistralis di Bologna, ha a che fare con tutta la cultura. «Non è un caso che i miei architetti preferiti non siano architetti, per esempio Michelangelo e Piero della Francesca, come dicevo all’inizio». Come la musica e come la letteratura, l’architettura racconta l’animo umano. Rifacendosi alla sua formazione musicale, spiega che creare un edificio è come comporre della musica: non è solo mettere insieme porte e finestre, come la musica non è solo mettere insieme delle note. Entrambe queste arti creano emozioni andando oltre le regole matematiche che ne costituiscono il fondamento. L’architetto deve costruire seguendo il “musical sense of armony”, il senso musicale dell’armonia. (di Cristiana Zappoli)

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SCHEDE Saint-Nazaire Theatre, Saint-Nazaire (Francia)

Foto Patrick Miara

Foto Luc Boegly

Progetto: K-architectures

Foto Luc Boegly

Il nuovo teatro di Saint-Nazaire, in Francia, occupa il vuoto lasciato dalla distruzione di una vecchia stazione ferroviaria neoclassica distrutta durante la seconda guerra mondiale. La superficie di calcestruzzo perforato ripropone caratteristici motivi floreali dei tessuti di seta del XVII secolo

Il teatro di Saint – Nazaire, un comune francese situato nel dipartimento della Loira Atlantica, nella regione della Loira, è stato costruito sui resti di una vecchia stazione ferroviaria dove un tempo sono passati alcuni dei commercianti più ricchi del mondo e i passeggeri dei grandi transatlantici. L’area della stazione è stata da poco coinvolta nel rinnovamento urbanistico che ha interessato il porto della città, che ancora oggi è uno scalo marittimo importante per l’economia locale. Durante la seconda guerra mondiale, l'edificio ha subìto un pesante bombardamento che ha distrutto i due terzi della città. Lo studio K-architectures, con sede a Parigi, ha progettato il teatro ispirandosi, nei materiali e nello stile, agli edifici circostanti. La massa monolitica richiama un bunker presente nelle vicinanze, mentre la superficie di calcestruzzo perforato ripropone i tipici motivi floreali dei tessuti di seta del XVII secolo. Il bombardamento distrusse la galleria vetrata che accoglieva i visitatori e questo vuoto rimane anche nel restauro dei K–architectures, lasciato per testimoniare la storia di quel luogo: l’entrata è costituita da quello che rimane della vecchia stazione. Appena sorpassate le arcate ci si ritrova nello spazio vuoto che custodisce i resti dei preesistenti binari del treno. È uno spazio che gli architetti hanno interpretato come un foyer all’aperto, dove gli spettatori possono cogliere l’incontro tra la storia del luogo e la nuova architettura. Al volume di cemento destinato all'auditorium maggiore e al palcoscenico, è stato annesso un altro corpo che comprende la hall, l'area per le prove, gli spogliatoi e altri ambienti tecnici. Le facciate di questo nuovo volume sono state realizzate usando due tipi di cemento, quello montato in opera e quello prefabbricato dei pannelli decorativi.

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Teatro polivalente, Montalto di Castro (Viterbo) Progetto: MDU architetti Il Nuovo Teatro di Montalto di Castro, vincitore dell'International Property Awards 2010, è stato realizzato dallo studio di Prato MDU architetti. Il progetto nasce con un duplice obiettivo: si propone come modello concettuale di misurazione del territorio e contemporaneamente cerca di esprimere la magia esercitata dall'evento teatrale nello spettatore. Il territorio di Montalto di Castro affonda le origini nell'antropizzazione etrusca, le cui vestigia testimoniano un'architettura di grandi masse stereometriche in tufo. Nell'immaginario collettivo contemporaneo Montalto di Castro evoca il mondo delle macchine della più grande centrale elettrica italiana. Il progetto propone un corto-circuito temporale rispetto al quale l'evoluzione del territorio viene espressa in un unico momento architettonico: arcaicità etrusca versus estetica della macchina. Il Nuovo Teatro è un grande monolite in cemento, caratterizzato da leggere variazioni cromatiche e di texture, sul quale la torre scenica appare appoggiata in modo etereo: un volume in vetro industriale Uglass che si smaterializza di giorno confondendosi con il cielo e che di notte, illuminandosi dall'interno, si trasforma in una grande “lanterna”. Una nuova, allungata, piazza in asfalto colorato, concepita come deviazione del tracciato della strada di accesso al centro storico, conduce all'ingresso del Nuovo Teatro individuato da un'imponente copertura a sbalzo. Attraverso di esso lo spettatore viene introdotto in un ambiente continuo in cui foyer e platea fluiscono l'uno nell'altra. Le pareti in cotto dall'andamento spezzato generano uno spazio che deriva concettualmente dallo scavo del monolite in cemento. Questa pesantezza morfologica è contraddetta dalla vibrazione del materiale che avvolge lo spazio con una grande tenda e introduce lo spettatore alla magica attesa dell'apertura del sipario. Alla platea per 400 persone è contrapposta un'arena all'aperto per 500 persone che può usufruire della scena del teatro.

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SCHEDE Gindi Holdings Sales Center, Shoham (Israele) Progetto: Pitsou Kedem Architects

Nelle foto, esterni e interni del Gindi Holdings Sales Center di Shoham. L’edificio attira la curiosità dei passanti. I suoi punti di forza sono la moderazione monocromatica dell’esterno e la geometrica divisione degli spazi interni 102 AVI architetti

Tutte le foto Amit Geron

Il Gindi Holdings Sales Center di Shoham, in Israele, è una struttura utilizzata dalla compagnia immobiliare come ufficio vendite per un progetto residenziale in costruzione. È stato realizzato dallo studio israeliano Pitsou Kedem Architects, fondato nel 2002 da Pitsou Kedem e che oggi si compone di altri otto architetti, Hagar Tsvi, Irene Goldberg, Nurit Ben Yosef, Raz Melamed, Noa Groman, Ran Broides, Hila Sela, Omer Dagan. Il progetto si pone al confine tra architettura, marketing e consumo. Lo studio di architetti ha scelto di relazionarsi a questo edificio come a un padiglione contemporaneo, nel tentativo di combinare, in un’unica costruzione, principi moderni, minimalisti e architetturali. Allo stesso tempo il Gindi Holdings Sales Center riesce, attraverso purezza e forza, a servire la necessità del marchio di una grande compagnia immobiliare, il cui scopo è solitamente evidenziare la sua grandiosità. La struttura, nonostante la propria natura temporanea (sarà demolita nel giro di un anno) porta con sé quelle qualità che sono di norma associate alla durata. L’edificio attira la curiosità e l’attenzione dei passanti pur mantenendo la sua moderazione monocromatica e la sua forza estetica. Utilizza vasche riflettenti per rafforzare il proprio aspetto e creare illusioni e riflessi e combina i cortili interni e centrali con alberi che spuntano da spazi bianchi e bidimensionali, dando la suggestione dello spazio e del volume all’interno dell’edificio. Uno schema geometrico di linee verticali lignee funge da involucro per dividere gli spazi. I raggi solari, urtando la parete, creano un effetto ripetitivo e tridimensionale. Il padiglione riesce perfettamente a rispecchiare entrambe le sue funzioni, quella architettonica e quella di marketing. È stato disegnato e costruito in appena tre mesi. È interamente costituito da uno scheletro metallico per la maggior parte realizzato in fabbrica e poi trasportato sul sito per essere eretto e rifinito. Il Design Team del progetto comprende Pitsou Kedem stesso, Irene Goldberg e Raz Melamed.


Hovenring, Circular Cycle Bridge, Eindhoven (Olanda) Progetto: ipv Delft

Uno spettacolare ponte ciclabile circolare nella città olandese di Eindhoven, l’Hovenring, è stato recentemente aperto al pubblico. Il ponte, sostenuto da cavi, progettato dallo studio di architettura ipv Delft, offre a ciclisti e pedoni un’eccitante traversata. Con il suo impressionante pilone dal diametro di 72 metri, il suo ponte e la sua cospicua illuminazione, questa rotatoria ciclistica è il nuovo punto di riferimento visivo per la città. Comprende, oltre all’imponente pilone, 24 cavi d’acciaio e una superficie circolare in acciaio. I cavi sono attaccati alla parte interna del ponte di copertura, proprio dove il pavimento si unisce al contrappeso circolare. I supporti fatti a “M”, vicino agli accessi, assicurano ulteriormente la stabilità. Una delle sfide del processo di progettazione è stata la speciale integrazione con il luogo. L’infrastruttura e gli edifici esistenti hanno segnato i limiti per i pendii che conducono su per la rotatoria. Poiché lo spazio era limitato, si è pensato di abbassare l’intersezione sotto il livello del suolo di circa un metro e mezzo, permettendo una comoda salita a pedoni e ciclisti. Gli architetti hanno pensato a un design luminoso: lo spazio interno tra il contrappeso metallico e il pavimento è stato riempito con lamine di alluminio, un rivestimento translucente e ilLa rotonda d’acciaio ha un diametro di 72 metri sostenuta da un luminazione tubolare, che di notte si pilone centrale alto 70, collegato alla rotonda stessa da 24 tiranti. Pedoni e ciclisti possono accedere tramite quattro rampe rivelano in un anello di luce ben visibile. AVI architetti 103





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