POINT Z.E.R.O. 8

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RIVISTA PROMOSSA E PATROCINATA DAL CNAPPC

ZERO . . . .

A STAZIONE FERROVIARIA DI DELFT DELLO STUDIO MECANOO.

ISSN 2281-7573

POINT ZERO ENERGY ENVIRONMENTAL REFURBISHMENT OPERATING SYSTEM


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INDICE

9. EDITORIALE / Social showing 10. BOOK-SURFING 15. EVENTI / Architettura, edilizia, design

19. REPORT / Notizie e riflessioni dal mondo

PROGETTI

32. Morbida scultura / Opera House, Harbin (Cina) / MAD Architects

42. Trasparenze (culturali) / Biblioteca, Girona (Spagna) / Mario Corea, Lluís Moran, Sebastián Guerrico

62. Geometrie dinamiche / Polo scolastico “André Malraux”, Montpellier (Francia) / Dominique Coulon & Associés

72. Welcome in Delft / Stazione ferroviaria e uffici municipali, Delft (Olanda) / Mecanoo

BLOCK NOTES

54. Arturo Lanzani / Rigenerazione urbana

56. Sandro Fuzzi / Cosa succede al clima? 57. Anna Laura Palazzo

58. Marialisa Nigro

59. Daniela Ciaffi

60. Francesca Oggionni / Gli orti in città

84. Palcoscenici urbani / Coltivare gli spazi pubblici

VERSATILE E LEGGERA

94. Design / 100. Robusta e funzionale / 104. In Italia siamo sempre più green

106. Tecnica e creatività: binomio vincente / 110. Le piastrelle fatte al 100% di scarti

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POINT Z.E.R.O. Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8210 del 16 novembre 2011 Anno 4 - n.8 - settembre 2016 Trimestrale

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director

Laura Lebro

CNAPPC - Consiglio Nazionale Architetti Pino Cappochin: Presidente / Rino La Mendola: Vice-Presidente/Dip. Lavori Pubblici / Carmela Cannarella: Vice Presidente Aggiunto/Dip. Agenzia Urbana e Politiche Europee / Fabrizio Pistolesi: Dip. Semplificazione / Massimo Crusi: Tesoriere/Dip. Riforme e Politiche per la Professione / Marco Giovanni Aimetti: Dip. Lavoro, Nuove Opportunità e Innovazione / Walter Baricchi: Dip. Cooperazione, Solidarietà e Protezione Civile / Ilaria Becco: Dip. Formazione e Qualificazione Professionale / Alessandra Ferrari: Dip. Promozione della Cultura Architettonica e della Figura dell’Architetto / Franco Frison: Dip. Interni e Magistratura / Paolo Malara: Dip. Università Tirocini ed Esami di Stato / Alessandro Marata: Dip. Ambiente Energia e Sostenibilità / Luisa Mutti: Dip. Accesso alla Professione Politiche Junior e Giovani Arturo Livio Sacchi: Dip. Esteri / Diego Zoppi: Dip. Politiche Urbane e Territoriali Redazione Enrica Borelli, Federica Calò, Silvia Di Persio, Rossana Galdini, Luciano Sandri, Margherita Tedeschi, Caterina Vecchi, Gianfranco Virardi Hanno collaborato Arturo Lanzani, Sandro Fuzzi, Anna Laura Palazzo, Marialisa Nigro, Daniela Ciaffi, Francesca Oggionni Si ringraziano MAD Architects, Mario Corea, Lluís Moran, Sebastián Guerrico, Dominique Coulon & Associés, Mecanoo Per la pubblicità KORE EDIZIONI - Tel. 051.343060 Stampa Grafiche Baroncini - Imola (Bo) - www.grafichebaroncini.it Finito di stampare: settembre 2016

Via Santa Maria dell'Anima,10 - 00186 Roma - www.awn.it

KOrE E D I Z I O N I

Via F. Argelati,19 - 40138 Bologna - Tel. 051.343060 - www.koreedizioni.it - www.pointzerocnappc.it

Questa rivista è dedicata a Giancarlo De Carlo, che mi ha trasmesso il valore della responsabilità nel lavoro e nel rapporto con gli altri, ad Hassan Fathy, che è stato tra i primi a farmi capire l'importanza di agire sempre nella direzione che possa consentire uno sviluppo sostenibile del mondo, a Bruno Munari, dal quale ho preso la voglia e l'entusiasmo di vedere il mondo attraverso gli occhi curiosi e interessati dei bambini, a Bruno Zevi, grazie al quale, da studente, ho imparato a vedere criticamente l'architettura con gli occhi dello studioso.

Alessandro Marata

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In copertina: Cyclone, Fabbian




EDITORIALE / PointZero n.8

SOCIAL SHOWING

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alla prima edizione della Biennale di Venezia sembra essere trascorso davvero molto tempo. Era il 1980 e il tema di quella edizione, La presenza del passato, conduceva il dibattito architettonico totalmente sul piano della forma, tra tipologia e ornamento. Poi finalmente Hans Hollein che, con Sensori del futuro, L’architettura come sismografo, segnò una svolta nei contenuti e nella comunicazione. E successivamente Massimiliano Fuksas con Less Aesthetics, More Ethics; Richard Burdett con Città. Architettura e società; Kazuyo Sejima con People Meet in Architecture; David Chipperfield con Common Ground; Rem Koolhaas con Fundamentals. Tutte edizioni di grande interesse dal punto di vista concettuale, tecnologico e culturale. Questa quindicesima edizione però si caratterizza per la scelta dei temi e degli obiettivi che si prefigge: sociali, politici, etici. Come dice Pierluigi Panza sul Corriere della Sera “questa biennale ha nascosto come polvere sotto al tappeto la stagione postmoderna delle archistar e dei rendering che rendono stupefacente anche il progetto di un pollaio”. Reporting from the front, il titolo di questa edizione, fa capire molto chiaramente dove Alejandro Aravena vuole andare a parare: solidarietà, inclusione sociale, democrazia, sostenibilità, architettura bottom up, tecnologie e materiali locali, autocostruzione. Anche la mostra allestita nel Padiglione Italia, a cura dello studio italiano TAMassociati, percorre la stessa strada. A fianco di progetti che propongono differenti interpretazioni del recupero delle periferie sono state chiamate cinque associazioni non profit che lavorano per l’ambiente, naturale e umano. Il titolo della mostra è Taking care. Progettare per il bene comune ed esprime compiutamente il lavoro dello studio: “Avere cura degli spazi, delle persone e poi metterle all’interno dei progetti. Pensiamo all’architettura come ad un servizio”. Ad ogni associazione è stato affiancato un architetto insieme al quale è stato realizzato un dispositivo mobile al servizio delle periferie e dei cittadini. Dal sito di Emergency: “Obiettivo della mostra è che le associazioni, coprotagoniste di questo laboratorio sociale impostato dai curatori, abbiano a disposizione uno strumento di monitoraggio e sensibilizzazione ambientale, un ambulatorio mobile e centro di mediazione culturale, uno spazio per la lettura e un punto di accesso all’informazione e al prestito di libri, per favorire la socializzazione di adulti e bambini, e un presidio, situato nel cuore di un bene confiscato alle mafie, aperto alla riflessione e azione della cittadinanza”. Le cinque unità trovano spazio entro altrettanti box e sono: U.M.A. Unità di monitoraggio ambientale, Green Box, per Legambiente onlus; Campolibero, Legality Box, per l’associazione contro le mafie Libera; BiblioHub, Culture Box, per AIB, Associazione Italiana Biblioteche; Articolo 10, Health Box, per Emergency ong onlus; TO MOVEs Torino Sport Box per UISP, Unione Italiana Sport per Tutti. Finalmente i temi della sostenibilità sociale ed ambientale sono sbarcati alla Biennale di Venezia. Le parole chiave del curatore

cileno, Premio Pritzker 2016, se da un lato hanno attirato molte critiche per via di una oggettiva banalità, dall’altro lato rappresentano una buona dose di coraggio nel proporre temi totalmente al di fuori delle consuetudini: qualità della vita, ineguaglianze, segregazione, insicurezza, periferie, migrazione, informalità, igiene, rifiuti, inquinamento, catastrofi naturali, sostenibilità, traffico, spreco, comunità, abitazione, mediocrità. Per quanto riguarda i Padiglioni Nazionali il Leone d’Oro è stato attribuito a quello della Spagna, come sempre uno dei più interessanti e il cui titolo è Unfinished; l’esposizione si prefigge di mostrare in quale modo la Spagna abbia reagito alla crisi immobiliare attraverso un uso sapiente dell’architettura. Da segnalare la qualità molto raffinata dell’allestimento, che è stato realizzato con costi molto bassi. Nel Padiglione della Germania, titolo della mostra Making Heimat, sono stati aperti varchi nei muri perimetrali dell’edificio eretto dall’architetto di Hitler, Albert Speer, nel 1938. Il messaggio metaforico è esplicitamente rivolto all’abbattimento nel 1989 del muro di Berlino, evento che ha indubbiamente aperto non solo le frontiere, ma anche la mente e la consapevolezza degli abitanti del continente europeo. E poi il Padiglione del Portogallo, preceduto da mesi di preparazione sui social media, che ha proposto temi direttamente collegati alla città di Venezia e con il coinvolgimento della popolazione. Tra i progetti speciali della Biennale occorre infine segnalare la mostra Report from Cities: Conflicts of an Urban Age, curata da Ricky Burdett per LSE, la London School of Economics Cities della quale è direttore. L’esposizione tratta le trasformazioni di dodici grandi città del mondo all’interno di due archi temporali: l’ultimo secolo e gli ultimi venticinque anni. Le città sono Addis Abeba, Kinshasa, Lagos, Delhi, Manila, Dacca, Città del Messico, San Paolo, New York, Los Angeles, Londra e Mosca. La mostra anticipa Habitat 3, la Conferenza Mondiale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che viene convocata ogni venti anni, che ha come tema gli Insediamenti Umani e lo Sviluppo Urbano Sostenibile e che quest’anno si terrà alla fine del mese di ottobre nella città di Quito in Ecuador. La fine di quest’anno vedrà anche il realizzarsi di un altro evento di epocale importanza; la ventiduesima Conferenza Mondiale sul Clima, Cop 22, che si terrà a Marrakech a metà del mese di novembre. Un’edizione della Biennale dedicata all’uomo, la Conferenza Mondiale sul Clima e la Conferenza Mondiale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Urbano Sostenibile; per essere un anno bisestile questo 2016 pare concludersi, almeno per questi aspetti specificatamente sociali ed ambientali, ineludibili e fondamentali, in modo luminoso. Alessandro Marata Direttore Editoriale POINT Z.E.R.O. 9


BOOK-SURFING

BOOK-SURFING / Alessandro Marata

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Marc Augé Perché viviamo? Biblioteca Meltemi

erché viviamo? Forse per consumare. E per competere, sempre, comunque e ininterrottamente. La visione antropologica del mondo che Marc Augé propone ai lettori indica la via della fraternità per uscire dalla trappola dell’individualismo provocato dalla globalizzazione, con la convinzione che, insieme alla conoscenza del mondo e dei saperi, ci condurrà fuori dalle trappole del mondo contemporaneo, migliorando la condizione umana, Fondata sulla cultura, tra arte e scienza. La società, insegna Gustavo Zagrebelsky, è un insieme di rapporti astratti di persone che però fanno parte di una comunità nella quale si riconoscono e la cultura che, con le sue idee, le sue felicità, le sue insidie e la sua libertà, è l’essenza stessa della collettività. Il futuro della cultura, il Futuro del classico, la cultura è collettività, che non dimentica le sue radici, vive il presente guardando verso il futuro. Salvatore Settis indica nel confronto tra antichi e moderni la chiave per formare le nuove generazioni, che

Salvatore Settis Futuro del “classico” Einaudi

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Gustavo Zagrebelsky Fondata sulla cultura Einaudi

del futuro saranno le protagoniste. Parla della storia antica come storia universale, del classico come repertorio, dell’eternità delle rovine, del futuro del classico, del classico come discrimine tra postmoderno e moderno. Il classico non è una eredità inerte; è attraverso la comparazione tra società diverse, classiche e contemporanee, che si può capire il presente e vedere prima, prevedere, il futuro. Istruzioni per l’uso del futuro, parla del patrimonio culturale e della democrazia del mondo che verrà. Parla della famiglia e della scuola; delle biblioteche e delle opere d’arte; del paesaggio e della cultura; dei diritti e dei doveri; dell’educazione, della conoscenza, del bene comune, della humanitas, della ricerca, dello spazio pubblico, della verità. Parla della vita pubblica come strumento per costruire uguaglianza e democrazia, per rovesciare la dittatura del mercato del consumismo. La cultura nell’età dei consumi, Per tutti i gusti, è assimilabile a un reparto di un supermercato, piena di scaffali, offerte, cose prelibate e ve-

Tomaso Montanari Istruzioni per l’uso del futuro minimum fax


BOOK-SURFING / Alessandro Marata

Zygmunt Bauman Per tutti i gusti Editori Laterza

leni dai quali rifuggire. Zygmunt Bauman mette in guardia da una cultura pronta a offrire facili tentazioni, futili attrazioni, pericolose seduzioni. Forse la cultura odierna è fatta per plasmarsi alle richieste delle infinite libertà individuali. Il concetto di cultura è cambiato; al giorno d’oggi gli indicatori che segnalano il livello culturale di un individuo o di un gruppo sociale sono completamente diversi, a volte antitetici rispetto al passato. Tutto ciò è il segnale di una società in crisi o semplicemente del fatto che i cambiamenti a volte sono imprevedibili? Dopo la crisi una nuova società è possibile. è quello che sostiene Alain Touraine spiegando che l’attore, noi, agisce sempre più in maniera indipendente dal sistema, la società in cui viviamo. I prossimi anni saranno caratterizzati da fenomeni oscillanti tra la catastrofe e la rifondazione, tra rassegnazione e nuovi entusiasmi; un futuro fluttuante del quale è difficile individuare le mete e i nuovi modelli del Postcapitalismo. Paul Mason fornisce una guida a un fu-

Paul Mason Postcapitalismo il Saggiatore

Alain Touraine Dopo la crisi Armando Editore

turo che è la conseguenza irreversibile dalla crisi del capitalismo. La crisi economica del 2008 si è trasformata in una crisi sociale. Il mondo si è davvero trasformato con una velocità più che liquida, i più deboli sono rimasti maggiormente schiacciati, il mondo è in pericolo, i conflitti aumentano, la popolazione invecchia e la democrazia e la pace sono a rischio in molte parti del pianeta. Il benicomunismo e i suoi nemici è il titolo che Ugo Mattei ha voluto dare ad alcune sue considerazioni sul modello neoliberale in crisi per la progressiva riaffermazione del concetto di bene comune, contro la privatizzazione assoluta e selvaggia. La nozione di bene comune viene declinata dal punto di vista storico, ideologico e politico nell’ambito del lavoro, del diritto, dell’ambiente, dell’ecologia, dell’utopismo e dell’idolatria. E anche della realtà e dell’immaginazione ed è proprio lì che i Paesaggi dell’anima di Umberto Galimberti descrivono il sapere psicoanalitico e le sue contraddizioni, le ambiguità, le modalità per

Ugo Mattei Il benicomunismo e i suoi nemici Einaudi

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BOOK-SURFING

BOOK-SURFING / Alessandro Marata

Umberto Galimberti Paesaggi dell’anima Oscar Saggi Mondadori

una formazione sana e razionale che possa aprire le porte alla buona follia, all’interiorità, all’intelligenza, alla felicità. L’anima e il corpo vanno curati e ascoltati in simbiosi perché le malattie dello spirito sono più gravi di quelle metaboliche. Dentro di noi vi sono paesaggi che la velocità della vita oggi non sempre ci consente di riconoscere. E proprio per rallentare questa rapidità contemporanea Duccio Demetrio ci accompagna all’interno di una riscoperta Filosofia del camminare che descrive in capitoli quali: lungo strade secondarie meditazioni a zonzo, qui in parte, in parte altrove, vie del sacro e sentieri profani, prima che la strada cominci, nel molteplice specchio del mondo, la filosofia come malattia che ci guarisce, sulla soglia, in itinere: “Dove si preavverte il lettore che lo scopo di questo libro non mira soltanto a invogliare a camminare di più, ma a scoprire, strada facendo, l’invisibile delle cose incontrate”. Anche Sebastiano Brandolini, girando A piedi nella metropoli ricerca pa-

Sebastiano Brandolini Milano - A piedi nella metropoli Editrice Compositori

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Duccio Demetrio Filosofia del camminare Raffaello Cortina Editore

norami fisici e paesaggi dell’anima. Nei paesaggi urbani di oggi siamo costretti a ricercare orizzonti artificiali che mutano con il variare della velocità all’aumentare della quale le percezioni si fanno sempre più repentine, erronee e instabili. Non si fissano nella mente, e potremmo dire neanche nella fisicità del corpo, perché sono istanti non sedimentati, liquidi nel loro scorrere incessante. Il cammino invece è conoscenza, organizzazione, consultazione e successiva archiviazione. Passeggiare induce alla meditazione e all’assorbimento delle informazioni che possiamo raccogliere, dal paesaggio che ci circonda, durante il viaggio. Un paesaggio che, come scrive Salvatore Settis, in Paesaggio Costituzione Cemento, è il grande malato d’Italia e quello che fu il bel paese sta autodistruggendosi afflitto da un livello così grande di incuria da lasciare stupefatti. Il paesaggio, dice, è una riserva di caccia nella quale tutti sono pronti a fare profitti. Anche le leggi, vedi il Piano Casa, non lavorano spesso a favore del pae-

Salvatore Settis Paesaggio Costituzione Cemento Einaudi


BOOK-SURFING / Alessandro Marata

Marcello Di Paola Giardini Globali Luiss University Press

Jacopo Gresleri Co-Housing plug_in

saggio; anche il mercato, con la bolla immobiliare degli ultimi anni, e che non ha ancora esaurito i danni che ha causato, non guarda in faccia a niente e a nessuno. Etica, cultura e tutela dell’ambiente fanno quello che possono. Il degrado delle città italiane è uno dei problemi più gravi e ineludibili del nostro paese. Le questioni sull’ambientalismo urbano e il greening delle città sono sempre più presenti nel dibattito architettonico contemporaneo. Marcello Di Paola scrive delle città come Giardini Globali che possano portare benefici ai cittadini, non solo in termini di salute fisica, ma anche e soprattutto per la qualità che il verde riesce a conferire agli spazi urbani. Parallelamente, in ambito abitativo, si sta sviluppando anche nelle città italiane, nel nord Europa è già diffuso da decenni, l’uso del Co-Housing, l’abitare condiviso. Jacopo Gresleri spiega perché avere spazi in comune sia così importante, soprattutto nel modello di vita che caratterizza la società di oggi, dura e difficile, poco inclusiva

e aggregante. Ricorda che abitare spazi condivisi non comporta solo risparmi economici, che pure sono importanti; significa prima di tutto essere più aperti e disponibili con gli altri, avere relazioni sociali più complesse e gratificanti. Potremmo dire: essere più felici? Avere un rapporto sociale più giusto? Ne La società giusta Salvatore Veca argomenta sull’etica pubblica per una migliore società democratica e una più equa giustizia sociale. L’incipit, tratto dagli scritti di Carlo Rosselli, riassume bene i contenuti del saggio: “Ma è possibile qualificare una politica come razionale se non tiene conto in primissimo luogo dell’idea di giustizia?”. Potrà mai esistere una società perfetta, giusta, equa fonte di sola felicità ed esente da ogni forma di male? Forse è solamente possibile quella che nel 1998 Avishai Margalit identificò come The decent society. Restando in attesa di Ecotopia, il luogo che Ernst Callenbach, come Wells, Huxley, Verne ed Orwell, ha immaginato per l’uomo del futuro.

Salvatore Veca La società giusta il Saggiatore

Ernest Callenbach Ecotopia Castelvecchi

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EVENTI

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1. Aftermath_Catalonia in Venice, Venezia, Cantieri Navali, fino al 27 novembre 2016 Attraverso installazioni audiovisive si indagano sette interventi architettonici di carattere pubblico 2. Disegnare la villeggiatura. Progetti di vacanza dalle Dolomiti al Garda, Rovereto, Mart, fino al 13 novembre 2016 Alcuni progetti di architetti e ingegneri trentini, impegnati nel corso del ’900 a proporre le migliori soluzioni per una vacanza extraurbana 3. Alberto Burri: lo Spazio di Materia, Città di Castello (Pg), Ex Seccatoi Tabacco, fino al 6 gennaio 2017 L’arte contemporanea del secondo dopoguerra del XX secolo dialoga con l’arte di Burri 4. Zaha Hadid, Venezia, Palazzo Franchetti, fino al 27 novembre 2016 La Fondazione Berengo organizza la prima grande retrospettiva dedicata all’archistar da poco scomparsa

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5. Nella mente di Vincenzo Scamozzi, Vicenza, Palladio Museum, fino al 20 novembre 2016 L’obiettivo della mostra è raccontare come Scamozzi concepiva le proprie architetture 6. Organismi. Dall'Art Nouveau di Émile Gallé alla Bioarchitettura, Torino, GAM, fino al 6 novembre 2016 Una mostra d’arte, architettura, design, fotografia e cibo che mette in relazione l’Art Nouveau con la contemporaneità

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EVENTI

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1. Alberto Biasi: gli ambienti, Cittadella (Pd), Palazzo Pretorio, fino al 6 novembre 2016 La mostra si concentra sugli ambienti, realizzazioni a immersione totale che l’artista ha prodotto fin dai primi tempi

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2. Horizontal Metropolis, Venezia, Isola della Certosa, fino al 27 novembre 2016 La mostra indaga la Metropoli Orizzontale, i suoi spazi, le sue tradizioni e gli stili di vita dei suoi abitanti, la sua rilevanza oggi 3. Designing the complexity, Venezia, Scuola Nuova di Santa Maria della Misericordia La mostra, organizzata dallo Studio Marco Piva, affronta il tema del progetto quale processo di ricerca e invenzione estetica e funzionale 4. Soggettivo-Primordiale, Nuoro, MAN, dal 21/10/2016 al 5/02/2017 Una riscoperta dei movimenti dell’espressionismo tedesco attraverso oltre cento opere provenienti dall’Osthaus Museum di Hagen 5. Gangcity, Venezia, Spazio Thetis Arsenale Nord, fino al 27 novembre 2016 80 scatti in bianco e nero di sei maestri della fotografia per raccontare oltre 40 anni di relazione tra degrado urbano e degrado sociale

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REPORT / Dal mondo

INNOVAZIONE

monitorare il consumo di suolo Nel mese di giugno è stato presentato in Senato Soil Monitor, uno strumento innovativo per valutare il consumo di suolo su scala nazionale, realizzato con la collaborazione dellÊIstituto Nazionale di Urbanistica. Soil Monitor permette allÊutente di selezionare una qualsiasi, più o meno estesa, porzione di territorio, ed è in grado di fornire come „output‰ non solo la quantità di suolo consumata negli anni ma di andare molto più a fondo nella „qualità‰ delle rilevazioni. Della porzione di territorio selezionata si può valutare lÊuso e lÊimpatto dellÊuomo sulle superfici, capendo se un certo tipo di utilizzo ha compromesso alcune funzioni quali ad esempio lÊintegrità del territorio rurale o lÊapprovvigionamento alimentare o se alcuni aspetti, come le colture di pregio, per la loro eventuale permanenza negli anni possono essere considerati fattori identitari, e quindi da preservare. Altre risposte le fornisce utilizzando indici comuni nella pianificazione come la frammentazione, lo sprawl, la diffusione urbana. ˚ uno strumento pensato per un valido supporto ai Comuni e ai pianificatori, responsabili, attraverso gli strumenti urbanistici, dellÊuso e della gestione dei suoli. Soil Monitor, infatti, può fornire uno sguardo approfondito sullÊuso negli anni e sullo stato del suolo e facilitare e rendere più mirata e sensata la programmazione futura. NellÊambito della futura e auspicata applicazione del disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo la piattaforma può aiutare a orientare le decisioni sullÊuso dei suoli e il monitoraggio su scala sia nazionale che e locale. Altre risposte e supporto Soil Monitor può fornirli nellÊambito del contrasto allÊabusivismo edilizio e nellÊapplicazione della legge sugli ecoreati.

ROMA

Rinasce Corviale

Il progetto vincitore coordinato dall’architetto Laura Peretti punta a migliorare qualità urbana , vivibilità e sicurezza del Serpentone

IlCorviale,situatonellaperiferiaoccidentale di Roma, è un complesso residenziale di proprietà dell’Ater.Progettatoall’iniziodeglianni Settanta dall’architetto Mario Fiorentino, prende il nome dal quartierecheloospita.Chiamatodairomani impropriamente Serpentone, il complesso si staglia rettilineo per un chilometro e in origine doveva essere un progetto avve-

niristico di edilizia popolare, comprendente negozi e servizi per la collettività, situati al quarto piano. Le cose non sono andate come previsto: oggi la struttura conta settemila abitanti, ai quali se ne aggiungono molti altri considerati abusivi. Per riqualificare Corviale, l’Azienda Territoriale per l’Edilizia ResidenzialedelComunediRoma in stretta collaborazione e con il fi-

nanziamento della Regione Lazio e anche con la partecipazione dell’Ordine degli architetti di Roma, hanno bandito un concorso internazionale, “Rigenerare Corviale - Look beyond the present”, che si è concluso il 4 dicembre 2015. Il concorso ha raccolto e selezionato 48 proposte provenienti da tutto il mondo, per modificare il sistema degli spazi comuni del

[L’azienda cinese, Hanergy Holding Group, ha realizzato quattro prototipi di autosolare smart con una “seconda pelle” fotovoltaica [ 19


REPORT / Dal mondo

corpo principale del complesso edilizio per ottenere una nuova e migliore qualità urbana e spaziale e una migliore vivibilità e sicurezza. Il concorso chiedeva di riprogettare principalmente l’attacco a terra dell’edificio, che comprende il piano terreno e il garage, e la relazione con il contesto e la città, ripensando perciò tutte le connessioni e funzioni a grande scala. Anche la copertura era oggetto dell’intervento, per la localizzazione degli impianti per la produzione di energia solare e fotovoltaica e anche come risorsa di spazi e attrezzature per usi comuni degli abitanti e per localizzare, eventualmente, le pertinenze spostate dal piano terra. Il progetto richiesto dal concorso non tocca quindi gli appartamenti che attualmente sono 1202 (più i 103 appartamenti che hanno occupato l’area del 4 piano, e che sono stati

sanati dal progetto “il km verde” di Guendalina Salimei ) ma si occupa di ridefinire tutto lo spazio pubblico che afferisce a Corviale. Il progetto vincitore coordinato dall’architetto Laura Peretti - Studioinsito, è quello che meglio affronta i temi richiesti dal concorso, perché esprime la capacità di controllare alle varie scale la sua complessità, a livello paesaggistico, urbano, della circolazione interna all’edificio e dello spazio pubblico. «Il Corviale spiegal’architettoLauraPeretti-costituisce un modello unico di alta densità abitativa. è stato concepito come organismo autonomo e autosufficiente a salvaguardia del territorio circostante, contro il consumo indiscriminato di suolo, tipico dello sprawl urbano. Malgrado questa qualità e malgrado il suo essere architettura iconica e ideale, il degrado degli edifici, il non completamento del complesso e una condizione generale di disorientamento e alienazione legate ad alcuni aspetti tipologici non hanno reso possibile, negli anni,

lo sviluppo di relazioni significative con il contesto immediato e con quello più esteso». Insieme a Laura Peretti ha lavorato al progetto un team di architetti formato da Giulia Fortinato, Silvia Milesi, Andrea Amelio, Giuseppe di Costanzo. Il gruppo di lavoro dell’Ater è convinto che l’idea dei progettisti di dotare la comunità di Corviale di una piazza e parco-giardino in continuità con i nuovi accessi sia un’idea risolutiva, e che sarà in grado di divenire un elemento vitale, il nuovo cuore pulsante di Corviale. Il progetto intende ricostituire, alle diverse scale dimensionali, un sistema chiaro di relazioni degli spazi pubblici e di circolazione: l’introduzione di un nuovo tracciato per la strada di arrivo (Poggioverde) permette di realizzare quella scala intermedia oggi mancante nell’edificio: attraverso la nuova strada curvilinea si introduce un sistema di differenze spaziali che danno qualità e individualità all’attacco a terra di Corviale, prefigurando luoghi di atUn chilometro di cemento e degrado alla periferia di Roma: Corviale è il simbolo della cattiva amministrazione cittadina. In queste pagine alcuni rendering del progetto di riqualificazione dell’area

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{Il governo di Nuova Delhi cofinanzierà piccoli impianti sperimentali alimentati a rinnovabili nelle comunità off grid del Paese}


REPORT / Dal mondo

CULTURA

Architetture di Gehry a fumetti

[ Un report della BP spiega che le emissioni di CO2 nel 2015 sono rimaste quasi invariate grazie alla crescita delle rinnovabili

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traversamento diversificati lungo tutto il km. Lo schema rigido dei percorsi veicolari, che ingabbia oggi Corviale, viene ripensato a favore dei percorsi pedonali quotidiani e della vita degli abitanti. Viene proposta una sequenza di avvicinamento e di attraversamento dell’edificio che lo rende finalmente in grado di filtrare, ordinare, orientare e riaprire verso altre prospettive. Inoltre è previsto un processo partecipato per la gestione degli spazi comuni e un intervento di illuminazione sostenuto dalla possibilità di creare un distretto energetico autonomo e sostenibile, e di incrementare l’efficienza, la sicurezza e l’efficientamento energetico praticamente a costo zero, attraverso un impianto fotovoltaico in copertura e recuperando anche le acque meteoriche per irrigare le aree verdi. Si ipotizza che per realizzare il progetto ci vorranno circa sei anni e in totale verrà a costare intorno ai venti milioni di euro.

„La città danzante. Un demone in vacanza fra le architetture di Frank O. Gehry‰: è questo il titolo di una suggestiva graphic novel pubblicata da 24 ORE Cultura e firmata da AkaB in cui Satana in persona chiede a uno dei suoi demoni di trascorrere un giorno sulla Terra, per stilare un rapporto sullo stato dellÊumanità. Inizia così una vacanza esistenziale tra uomini gretti, corrotti, banali. Eppure, vagando sullo sfondo delle più bislacche opere di Frank O. Gehry, il piccolo demone dai grandi occhi lucidi imparerà a guardare il mondo da unÊaltra prospettiva, e finirà con lÊinnamorarsi della vita. Un viaggio trasognato e dolceamaro alla scoperta della condizione umana: 48 pagine dense, scabre, dipinte con i colori della terra e dellÊinferno, in cui il tratto inquieto di AKaB si fonde con le strutture visionarie del celebre architetto. Questa graphic novel è parte di una collana che racconta lÊarchitettura, il design e i suoi protagonisti attraverso il linguaggio del fumetto. Ogni libro è una storia ambientata fra le architetture delle più importanti archistar o gli oggetti dei più importanti designer del mondo: storie di fantasia e riletture in forma di fumetto danno una visione nuova delle architetture e degli oggetti più iconici del mondo e dei maestri che le hanno create. Ogni volume termina con una mappa illustrata e „raccontata‰ delle architetture e degli oggetti incontrati nella storia.

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REPORT / Dal mondo

Architetture sospese PORTOGALLO

Passerelle sospese, scale ripide e balconi si affacciano sulla natura incontaminata

Un’esperienza da vivere immersi nella natura in uno degli habitat più affascinanti d’Europa. è questo che offrono le Paiva walkways, ovvero le passerelle sul fiume Paiva. Sono un progetto dello studio di ingegneria Trimétrica che ha vinto il concorso indetto nel 2010 dal comune di Arouca, nel Portogallo settentrionale. Il fiume Paiva è lungo circa 110 Km e fa parte di Natura 2000, un network di siti di interesse comunitario e di zone di protezione speciale creato dall’Unione europea. Si trova nella parte settentrionale del Portogallo, nasce nella Serra de Leomil e sfocia nel fiume Douro vicino al Castelo de Paiva. Le passerelle si snodano sulla riva sinistra del fiume e coprono una lunghezza di 8,7 Km. Sono camminamenti panoramici in legno, una combinazione di passerelle sospese, scale ripide e

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balconi in posizione strategica tra rocce e boschi da dove godere di una vista mozzafiato. Sono immerse in un habitat vario e affascinante, caratterizzato da rupi, foreste, cascate di acqua cristallina, cristalli di quarzo e alcune tra le specie animali europee a rischio di estinzione. Il percorso collega la spiaggia del fiume Areinho con quella del fiume Espiunca e fra loro si trova la spiaggia del fiume Vau. Ogni punto dei camminamenti è immerso in una natura meravigliosa fatta di querce, frassini, ontani, rocce e il fiume Paiva scorre sempre a fianco delle passerelle. Lo studio Trimétrica ha progetto le passerelle per offrire ai visitatori i migliori panorami possibili e per rendere possibile l’accesso a luoghi che prima erano inavvicinabili. Sono state pensate per garantire al visitatore un senso di si-

curezza e di profondo equilibrio con la natura. Tutti i luoghi chiave sono stati identificati fin dall’inizio tenendo conto sia dei panorami che del rapporto con le rupi e il fiume. Le Paiva Walkways appaiono da lontano come una singola linea che viaggia attraverso il luogo, sottolineandone tutta la ricchezza naturale e geologica nel pieno rispetto del suo paesaggio. Le passerelle e le scale sono costruite su una struttura in legno appoggiata sulle ripide pendici del fiume e ci sono ponti sospesi che consentono di attraversarlo. L’intera costruzione è stato progettata e strutturata per diventare un corpo architettonico coerente, in cui tutte le parti sono collegate tra loro. Le materie prime che sono state utilizzate sono state scelte per essere totalmente integrate con il paesaggio e per rispettare i vincoli strut-

turali della zona, anche dal punto di vista della manutenzione. La semplice geometria della struttura interagisce con il paesaggio esistente, portando con sé nuove dinamiche ma rispettando però profondamente quelle esistenti.

{Secondo Ispra gli italiani pagheranno 800 milioni di euro all’anno dal 2016 a causa del consumo di suolo degli ultimi 3 anni }


REPORT / Dal mondo

TRASPORTI

Londra: a piedi o in metro? Da qualche mese Transport for London ha diffuso una nuova mappa della metropolitana londinese in cui viene indicato, per le zone 1 e 2, in quanti minuti si può andare a piedi da una stazione allÊaltra, considerando unÊandatura media. La nuova mappa, chiamata Walking Tube Map, mostra come spesso sia più conveniente andare da una stazione allÊaltra camminando in superficie piuttosto che prendere la metro per arrivarci. „Camminare – si legge sulla mappa – può essere un modo semplice e veloce per muoversi, soprattutto durante gli orari di punta, dal lunedì al venerdì dalle 8,00 alle 9,00 e dalle 17,30 alle 18,30‰. LÊobiettivo è chiaro: convincere le persone che per brevi spostamenti è meglio andare a piedi piuttosto che affollare treni già pienissimi. Oltre a essere più salutare può diventare un modo per scoprire nuovi angoli della città.

AMBIENTE

Grenoble rallenta Grenoble, in Francia, è stata la prima grande città europea ad aver imposto il limite di velocità di 30 chilometri orari sullÊ80% delle proprie strade. Dal primo gennaio, infatti, allÊentrata della città gli automobilisti vengono accolti da cartelli in cui si legge: „Benvenuti in una metropoli attenuata‰. LÊiniziativa è stata del sindaco, lÊecologista Eric Piolle, che ha fortemente voluto estendere la zona con il limite a 30 km/h, che prima comprendeva solo il 25% delle strade. Oggi restano escluse da questo limite solo le grandi strade periferiche. Il cambiamento fondamentale, ha spiegato il primo cittadino, non è stato tanto la diminuzione della velocità media dei veicoli, quanto il differente approccio alla città e a chi vi circola, ovvero la maggiore attenzione agli altri, in particolare ai pedoni e ai ciclisti.

✸ In Germania una piattaforma potrà prevedere con precisione la produzione fotovoltaica ed eolica in base alle condizioni meteo

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REPORT / Dal mondo

Record Bloom Pavilion CALIFORNIA

è il padiglione più alto del mondo ottenuto con l’utilizzo della stampante 3D

Un team di ricerca dell’Università di Berkeley ha creato la più grande struttura in cemento stampata in 3D al mondo. è il Bloom Pavilion. Superai2,5metridialtezzaehauna pianta di 3,65 x 3,65 metri ed è composto da 840 blocchi perso-

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nalizzati stampati in 3 D e fatti di un nuovo polimero di ferro-cemento Portland privo di ossidi. è la dimostrazione delle enormi potenzialità della stampa in 3D, che graziealnuovopolimerosupera,infatti, molti dei limiti precedentemente attribuiti a questo metodo: in particolare velocità e costi di produzione e applicazioni funzionali ed estetiche. Il polimero è un derivato biologico resistente ai raggi UV che riduce le emissioni di gas serra del 50% rispetto alla produzione di resine epossidiche a base di petrolio perché utilizza materiali di

origine vegetale. La rimozione dell’ossido di ferro, che conferisce il tipico colore grigio al cemento, rende le operazioni di stampa molto più facili, realizzando un materiale più leggero che permette, inoltre, di ridurre le emissioni per il trasporto. I blocchi, ognuno numerato,sonostatiprodotticonillavoro simultaneo di 11 stampanti e collocati tra il College of Environmental Design printFARM e la sede di Emerging Objects. Le forature di ognuno sono state realizzate in modo tale che la luce potesse attraversarli tutti in maniera differentecreandoquindimotividiversi. Una volta assemblati i blocchidicementocreanounmuroondulato caratterizzato da un motivo decorativo che ricorda le decorazioni floreali tradizionali thailandesi. I blocchi sono connessi da elementi metallici stretti a mano con semplici utensili da ferramenta,

metodo che rende l’assemblaggio estremamente veloce. Dopo la suapresentazioneilBloomPavilion è stato smontato e spedito al Siam Research and Innovation Co. Ltd inThailandia,doveèrimastodiversi mesi in esposizione per poi cominciare a viaggiare verso diverse location in tutto il mondo per mostrare le potenzialità della stampante 3D unita al cemento. «Per quanto ci riguarda - ha spiegatoildirettoredelloSRI,SanitKessuwan - il nostro obiettivo è di aiutare lo sviluppo della tecnologia del cemento. La nostra collaborazione con Ronald Rael e il College of Environmental Design di Berkeley ci ha permesso l’opportunità di lavorare con uno dei più importanti centri di design ambientalenelmondoaiutandoliasviluppare ulteriormente il materiale di cui ci occupiamo per creare un nuovo paradigma costruttivo».

Il New Energy Outlook 2016 rivela che i costi del carbone e del gas in picchiata non freneranno le energie rinnovabili


Il successo della Vetraria Viola risiede in una solida tradizione, risalente al 1959, anno in cui Stefano Viola iniziò l’attività, specializzandosi nella lavorazione del vetro piano. La Vetraria Viola offre infinite soluzioni di design per rendere il Vostro arredo elegante e raffinato. La dedizione minuziosa nella cura dei particolari e l’esperienza maturata in tanti anni di attività caratterizzano le opere e le installazioni a regola d’arte dell’azienda. Attrezzature moderne e all’avanguardia permettono lavorazioni accurate. Vetri calpestabili, scalini in vetro, parapetti sono sempre più utilizzati per interni, dove la trasparenza e l’eleganza sono la parola d’ordine. L’obiettivo è quello di esprimere competenza e abilità nel realizzare elementi di eccezionale effetto.


Avvincenti prospettive REPORT / Dal mondo

BELGIO

Realizzata a Lommel una torre panoramica avvolta in tre chilometri e mezzo di corda

Lo studio Ateliereen Architecten ha progettato per il comune di Lommel, in Belgio, una torre di osservazione alta tre metri, in collaborazione con lo studio di architettura belga Mamu Architects. Il Lommelse Sahara, dove si trova la torre, è un parco naturale ca-

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ratterizzato da dune di sabbia circondate da alberi di pino, un luogo molto popolare usato principalmente per passeggiate e relax. Lommel è la terza città commerciale della provincia fiamminga del Limburgo: famosa perché ospita un importante cimitero militare tedesco, gode anche di numerose aree verdi e, soprattutto per questo motivo, negli ultimi anni l’affluenza turistica è notevolmente aumentata. La torre ha una struttura in acciaio di grandi dimensioni ed è composta da triangoli: una geometria strutturalmente molto efficiente. I triangoli fanno in modo che la forma della torre sembri cambiare a seconda del punto da cui la si guarda. Da alcuni luoghi la struttura sembra essere distorta. Il nome del parco naturale è stato fonte di ispirazione per la progettazione della facciata della torre, in cui le linee ondulate che caratterizzano le dune di sabbia sono ben riconoscibili. La struttura è avvolta in oltre tre chilometri e mezzo di corda. La corda è abbastanza pesante ma anche flessibile, tanto da creare delle linee che ricordano le dune. Il visitatore, quindi, quando sale le scale può ammirare il paesaggio attraverso

le corde. La torre ha tre piattaforme: la piattaforma più bassa si estende verso l’acqua ed è accessibile da una rampa. Da questo livello si possono prendere le scale per raggiungere un’altezza di quasi trenta metri. A metà strada c’è un’altra piattaforma e infine la terza, in cima, da dove si può godere del panorama più completo. Le ringhiere delle scale e delle piattaforme sono rivestite in legno.

Alcune foto della torre panoramica. Costruita in acciaio e composta da triangoli, presenta una geometria strutturalmente molto efficiente. A seconda del diverso punto di vista da cui la si guarda la forma, visivamente, sembra mutare

Un’azienda ligure, la Sunchem, nel 2007 ha brevettato un processo per estrarre biocarburante dai semi del tabacco



La foresta accogliente e dinamica REPORT / Dal mondo

Un progetto di sviluppo urbano differente a Parigi. Una struttura che somiglia a una nave accoglierà sul suo tetto una foresta

Sorgerà nei pressi di Boulevard Pershing, nel 17° arrondissement diParigi.MilleArbres èunodeiprogetti vincitori del concorso “Réinventer Paris”, bandito dalla capitale francese a fine 2014 per rigenerare 23 siti urbani degradati. Progettato dall’architetto giapponese Sou Fujimoto e da Manal Rachdi, si tratta di una struttura somigliante a una nave che accoglie sul suotettounagrandeforestaformata da mille alberi. Mille Arbres, la cui inaugurazione è prevista per il 2022, sorgerà proprio in corrispondenza della tangenziale di Parigi, la Boulevard Pèriphérique, che delimita la città separandola dalla periferia. Sarà uno spazio pubblico che ospiterà una foresta con condomini e uffici, un albergo, ristoranti, una vasta area dedicata ai bambini, una stazione degli autobus. Mille Arbres sarà il collegamento tra Parigi e Neuilly-surSeine, un comune limitrofo. Le specie degli alberi che saranno piantati sono state selezionate in base alla loro capacità di crescere in un ambiente urbano e formeranno un’importante barriera contro l’inquinamento. Parigini e turisti provenienti da tutto il mondo saranno immersi in un ambiente protetto, caratterizzato dalla biodiversità, 28

senza eguali in un contesto urbano. Come garanzia di tutto questo, il parcoaccoglieràunaCasadellaBiodiversità, che sarà anche un luogo deputato a lezioni e laboratori didattici. «Il focus alla base del nostro progetto - ha spiegato l’architetto Sou Fujimoto- è un nuovo modo divivereinunambienteurbanoche unisce intimamente la natura e l’architettura in un modo speciale. Questo sito particolare, sulla tangenziale, è come se fosse il confine di Parigi. Mille Arbres è per me come un sogno, un villaggio galleggiante nel mezzo della foresta in una città come Parigi. Si tratta di un nuovo modo per scoprire la città. Anche a livello della strada ci sarà una foresta all’interno di un parco pubblico, dove ci si potrà sentire tranquilli e si starà al fresco».

Sou Fujimoto Architects + Manal Rachdi Oxo Architects + Compagnie de Phalsbourgh + Ogic + Morph

FRANCIA

❛ Negli Stati Uniti è nato il programma Net per la raccolta differenziata delle reti da pesca e la loro rinascita in oggetti di consumo ❛


REPORT / Dal mondo

abitano nelle vicinanze e che usufruiscono dei servizi in comune. Gli uffici sono distribuiti su una superficie totale di 27.589 m2 in due edifici indipendenti con un atrio e un accesso ciascuno. è previsto anche un hotel a 4 stelle con 250 stanze, pensato per i viaggiatori di oggi, un nuovo tipo di clientela che cerca confort, cordialità e un’esperienza unica. Ci sarà una strada, chiamata la “Strada degli chef”, che collegherà Parigi a Neuilly, caratterizzata da una corte del cibo di nuova generazione progettata da Philippe Starck: un luogo con tavoli per gli ospiti dove si svolgeranno

workshop e si terrà una scuola di cucina. Gli architetti hanno pensato di integrare al progetto di Mille Arbres anche una stazione degli autobus ultra moderna, organizzata su due livelli. Il piano terra sarà destinato ad accogliere i passeggeri, una biglietteria, un ristorante, zone di attesa e di informazione. Lo spazio sotterraneo è accessibile dal piano terra attraverso delle scale mobili, ascensori e scale normali. Mille Arbres ospiterà anche un centro per bambini composto da un ampio parco giochicopertoe laboratorisultemadella biodiversità con focus su apicoltura, giardinaggio e botanica.

Ospitati all’interno della foresta ci saranno 127 appartamenti (di proprietà,affittatiecondivisi),incui piccoli e grandi spazi saranno accuratamente disposti in modo da consentire la possibilità di combinare o separare le diverse unità. Per completare gli spazi privati ci saranno quattro spazi condivisi: una zona doveorganizzare riunionie feste di vario genere; camere per accogliere eventuali ospiti (una specie di bed&breakfast); una terrazza - giardino all’ottavo piano dotata di una cucina esterna; una lavanderia al settimo piano. Sarà sperimentata inoltre una nuova modalità di gestione condominiale che utilizzerà strumenti digitali per garantire che il portiere possa soddisfare tutte le esigenze degli utenti del condominio e di coloro che

ENI ha presentato il progetto Italia che prevede l’installazione di 220 MWp di nuova capacità rinnovabile nelle aree dismesse 29


Passaggio sulla natura REPORT / Dal mondo

NORVEGIA

Acciaio corten e legno. Questi i materiali che caratterizzano il Tintra Footbridge

soffitto in legno. Per il comune di Voss era fondamentale che dal ponte si potesse avere una buona visibilità sulla natura che circonda la zona. Il fiume è anche un luogo adattoallapescaedasempreilponte è stato considerato un posto dove svagarsi e svolgere diverse attività, un aspetto, questo, che gli architetti hanno dovuto tenere in grande considerazione. Il design del Tintra Footbridge ha trovato ispirazione dall’idea di un gioco ritmico e visivo dei moduli che attraversano il fiume con intervalli regolari, riducendo così la monotonia dell’attraversamento del fiume. Que-

struzione; il legno, che si trova all’interno, comunica informazioni sensoriali a misura d’uomo. Come spesso accade quando si parla di ponti, la manutenzione era un problema importante per il comune di Voss che è quindi rimasto molto colpito dall’idea di utilizzare il corten per la struttura principale e il legno di Accoya come materiale di rivestimento. Materiali che combinano resistenza e durata, ed eliminano i costi di manutenzione nel corso degli anni. Un altro aspetto apprezzato è stata l’idea di coprire il ponte con un tetto, in modo da eliminare la necessità di spalare la neve nei mesi invernali.

Tutte le foto di Dag Jenssen

Nella primavera del 2015 il comune di Voss, nella Norvegia occidentale, ha invitato imprenditori e architetti a partecipare alla gara d’appalto per realizzare un ponte pedonale sul fiume Vosso. Il nuovo ponte avrebbe dovuto sostituire quello storico, distrutto dalla piena del fiume l’anno precedente. La gara è stata vinta dal team formato da IKM Steel & Facade,SKLangelandeRintalaEggertsson Architects che ha realizzato un ponte a traliccio in acciaio corten con pavimento, pareti e

sto gioco sarebbe basato sulla distanza tra i pilastri già esistenti, gli unici resti del vecchio ponte. Lastrutturaprincipaleinacciaiofornirebbe il ritmo di base e la struttura in legno un movimento secondario,simileallapartituradiuno strumento a percussione. Ledue“stanze”sullapartesuperiore dei pilastri sono state utilizzate per generare le pause di questo ritmo, offrendo una sosta lungo la passeggiata e un contatto più diretto con il paesaggio circostante. Inoltre sono la piattaforma ideale da cui pescare senza essere disturbati dal passaggio. La vecchia struttura era un ponte sospeso, con un linguaggio visivo chiaro, e questa chiarezza è stata un importante punto di partenza per la progettazione del nuovo ponte. L’acciaio e il legno, i materiali principali, sono due materiali molto diversi che quindi giocano ruoli ben distinti. L’acciaio, utilizzato per la struttura portante, mostra all’esternolaforzacheattraversalaco-

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Secondo Navigant Research saranno più di trentacinque milioni le biciclette elettriche vendute in tutto il mondo nel 2016


Villa Ca’ Conti dei Marchesi Rusconi Camerini

Ca’ Conti è una splendida villa cinquecentesca aperta al pubblico per visite guidate da maggio a fine ottobre su prenotazione. A vostra disposizione per ricevimenti, meeting, concerti, wedding.

Via Ca' Conti, 14 35040 Granze (PD) tel. +39 389 2370310 www.facebook.com/villaCaConti www.villacaconti.it


OPERA HOUSE / Harbin (Cina)

L’isola della cultura. È così che è nota la nuova Opera House della città di Harbin. Le sue forme sinuose si distaccano dal particolare paesaggio del greto acquitrinoso del fiume Songhua di Iole Costanzo

Luogo Harbin,Cina Tipologia Opera House Capacità Gran Teatro 1.600 posti Studio d’architettura MAD Architects Cliente Harbin Songbei Investment and Development Group Landscape Architect Beijing Turenscape Institute


OPERA HOUSE / MAD Architects

MORBIDA SCULTURA


OPERA HOUSE / Harbin (Cina)

Sopra: entrata laterale del teatro piccolo, da cui si accede alla grande “lobby� del piano terra, comune a entrambe le sale. In questa foto: parete laterale del teatro grande tagliata dal percorso che gradatamente accompagna il visitatore a una piazza sul retro dell’edificio, da cui godere di un diverso punto di vista


OPERA HOUSE / MAD Architects

In questa immagine: l’edificio del teatro grande, caratterizzato nella parte centrale da una sinuosa copertura a vetro che dalla parte più alta della sala giunge fino al livello zero dove si trova l’accesso principale. Sotto: scorcio laterale del complesso visto da uno dei percorsi che collegano l’Opera alla città



Sotto: all’interno il foyer invita a entrare nella sala grande attraversando un diaframma di frassino della Manciuria lavorato dagli artigiani del luogo. In alto: il rivestimento ligneo della sala prove adatta anche a esercizi tersicorei

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i potrà parlare di integrazione topografica, ma di certo non di quella cromatica, in particolar modo nella stagione calda, quando tra i colori della vegetazione e il baluginio dell’acqua si staccherà in modo netto questo avveniristico immobile di alluminio bianco. La struttura ha una massa voluttuosa e avvolgente che bene accompagna i morbidi dislivelli del terreno. E il suo candore nelle gelide e nevose giornate invernali sicuramente renderà difficile individuare la linea di demarcazione tra l’architettura e la natura. È la nuova Opera House della città di Harbin. Un’architettura a sé stante. Diversa. Organica. Tutto l’impianto è noto come “l’isola della cultura” e si trova nella Cina nordorientale, in Manciuria, sulle rive del fiume Songhua. Lo studio pechinese che l’ha progettato, il MAD Architects, nel 2010 ha vinto il concorso internazionale proponendo il progetto di un teatro dell’opera pensato come un centro culturale e impostato dal punto di vista planimetrico in modo tale da coinvolgere il particolare paesaggio circostante. La natura intorno è particolare e il sito su cui insiste tutta l’Opera House si trova nel mezzo di una zona umida formata da ampi acquitrini. Il nuovo teatro della città di Harbin è un'architettura sinuosa e morbida, è

il punto focale dell’intera isola della cultura, e occupa un sedime di 78mila mq su un totale di circa 1797 mq di superficie. È composto da due volumi e potrà ospitare eventi diversi e anche molti spettatori: per l’esattezza l’edificio grande ne conterrà 1.600 mentre il più piccolo potrà ospitare un pubblico di circa 400 persone. La costruzione, posta tra le paludi, è stata progettata proprio tenendo ben presente il clima rigido e la natura incontaminata e selvaggia presente su tutto il territorio. L’Opera House di Harbin evoca forme erose da agenti atmosferici quali il vento e la pioggia e proprio per questo, nonostante la grande mole, si integra con il contesto, pur staccandosene con il suo colore, adattandosi con le movenze sinuose e in un certo senso delicate e morbide alla topografia del luogo. Ma il distacco cromatico diventa nullo durante i mesi invernali, quando la neve è copiosa e in città si svolge il Festiva Internazionale delle Sculture di Neve. Un evento che si ripete da anni e che è legato alla cultura dei suoi cittadini, in buona parte di origine russa. L’Opera House ha una identità che le è propria, fatta anche di legami con l’arte e con la cultura locale, e ha una forza espressiva legata all’emulazione degli effetti che gli agenti atmosferici hanno sui corpi. Concetto presente sia all’esterno


OPERA HOUSE / Harbin (Cina)

Anche l’interno della sala grande del teatro è tutto rivestito di frassino della Manciuria. E anche qui la perizia artigianale ha portato a esaltare il tema dell’erosione. I palchi sono ricavati all’interno di sinuose asole che modellano l’intero rivestimento della sala. A sinistra: un particolare

A sinistra: l’accesso ai palchi. A destra: il palco inserito all’interno del rivestimento di frassino. La sala è acusticamente servita da pannelli di legno dalle movenze morbide e naturali. Questa immagine propone il punto di vista del palco centrale

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OPERA HOUSE / MAD Architects

che all’interno, dove il legno, il frassino della Manciuria, sfruttato nelle sue precipue peculiarità con l’effetto levigato, quasi di erosione dovuta ai venti, mette in bella mostra le sue venature lievemente in contrasto tra loro. Gli architetti hanno puntato soprattutto sul concetto di integrazione, e non a caso Ma Yansong, direttore dello studio MAD, ha dichiarato durante un’intervista: «Abbiamo concepito il teatro dell’opera di Harbin come un centro culturale del futuro. È una sala da concerti spettacolare, un meraviglioso spazio pubblico che incarna l’integrazione tra uomo, arte e identità urbana. Instaura un rapporto sinergico e di totale sintonia con la natura circostante». Anche il solo accedere all’isola, e quindi all’Opera House, è quasi un rito. Vi si può arrivare in macchina o a piedi percorrendo una strada leggermente curva, da cui è possibile ammirare la laguna che si trova intorno all’edificio. L’impianto prevede un ampio parcheggio

ipogeo per accogliere le automobili e una grande piazza pensata per abbracciare e avvolgere gli spettatori. Usando un linguaggio poetico nel descrivere l’edificio si potrebbe quasi dire che la materia di cui è fatto si piega e si ammorbidisce creando una forma organica e naturale su cui lo spettatore può passeggiare fino a raggiungerne la parte più alta, dove ad accoglierlo trova uno spiazzo da cui godere di un diverso punto di vista. E questa è la forza dell’isola della cultura. Nonostante la Cina non sia un paese sensibile ai temi della sostenibilità e Harbin sia tra le città più inquinate, c'è un punto molto importante che fa entrare quest’architettura a pieno titolo tra quelle pensate con un approccio sostenibile, ed è la capacità avuta dalle maestranze, guidate da un progetto ben strutturato, di non deturpare il paesaggio durante le diverse fasi costruttive. Il progetto ha previsto la tutela di quel paesaggio che si ha poi modo di apprezzare sia all’interno sia all’esterno. 39


PIANTA PRIMO LIVELLO

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1. foyer; 2. sala grande; 3. sala piccola; 4. sale prova; 5. ingresso parcheggio; 6. scale accesso parcheggio; 7. piazza

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PIANTA SECONDO LIVELLO 1

1. sala prova


PIANTA COPERTURA

SEZIONE LONGITUDINALE 1. sala prova; 2. backstage o retroscena; 3. terrazza; 4. palco principale;

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tetto giardino; palchi e platea; foyer; parcheggio

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SEZIONE TRASVERSALE 1. backstage; 2. terrazza

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BIBLIOTECA / Girona (Spagna)

Localizzazione Girona,Spagna Progettisti Mario Corea,Lluís Moran,Sebastián Guerrico Strutture David García / BIS Arquitectes Impresa di costruzione Copcisa Superficie 8.072 mq Anno 2014

TRASPARENZE (CULTURALI)


BIBLIOTECA / Mario Corea, Lluís Moran, Sebastián Guerrico

A Girona, a nord di Barcellona, gli architetti Mario Corea, Lluís Moran e Sebastián Guerrico, hanno concluso un progetto di 8mila mq destinati alla più grande biblioteca pubblica di questa zona dedicata a Carles Rahola, giornalista, scrittore, politico dei primi decenni del ‘900

Tutte le foto di Pepo Segura

di Federica Calò


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BIBLIOTECA / Girona (Spagna)

uesta nuova biblioteca è situata al centro di Girona nel mezzo di un grande appezzamento rettangolare circondato da un quartiere denso e compatto, composto principalmente di edifici residenziali ad alta densità. È stata progettata con l’intento di rispondere principalmente a due obiettivi paralleli: data la sua importanza culturale e civica si voleva differenziare la struttura e l’architettura dal tessuto degli edifici adiacenti. Secondo obiettivo era di farla diventare un nuovo luogo d’incontro e aggregazione sociale e, insieme, luogo di studio e riflessione. La morfologia della sua architettura e i materiali utilizzati hanno così permesso questa differenziazione dal contesto circostante. Allo stesso tempo la disposizione delle varie funzioni ha seguito uno schema in grado di rispondere alle nuove sfide

vetrate trasparenti in corrispondenza di quegli spazi che richiedevano l’ingresso di luce diretta dai prospetti. In pianta, sul piano di copertura, sono visibili dei patii rettangolari che come varchi permettono alla luce naturale di filtrare fino all’interno dell’edificio. Le pareti vetrate che separano i patii interni dagli spazi verdi esterni sono anch’essi un elemento rilevante perché ricreano questa continuità visiva fra i luoghi e un rapporto fra l’interno e l’esterno, oltre a donare ampia illuminazione naturale agli ambienti interni. Le diverse funzioni a servizio della biblioteca si distribuiscono nelle varie aree all’interno della costruzione suddivise fra i quattro piani secondo una logica che tiene conto dei differenti gruppi di utenti e delle relative attività. Il flusso dei visitatori dall’ingresso è convogliato in una nuova piazza pub-

PROSPETTO EST

PROSPETTO OVEST

programmatiche per organizzare una biblioteca contemporanea: essere al tempo stesso un luogo d’interazione sociale per grandi e piccoli, ma anche luogo di lettura, di studio e di riflessione silenziosa. Esternamente l’edificio si presenta come un imponente parallelepipedo regolare di tre livelli fuori terra incastonato nel suo lotto aperto. Il piano che rimane seminterrato fa da basamento vetrato a tutto il volume sovrastante creando un effetto quasi di galleggiamento dei piani superiori. Questi ultimi, invece, sono rivestiti in facciata da lastre vetrate in U-glass opaco che si susseguono creando un particolare movimento di luci e ombre. Su tutte le facciate, apparentemente secondo una progettazione casuale, sono presenti delle ampie 44

blica all’aperto al piano terra, che li accoglie con una biblioteca per bambini, una sala giochi, un auditorium, una galleria d’arte, una caffetteria e un posto per la lettura di giornali e la visualizzazione di video. Ai due piani superiori sono state dislocate delle aree specializzate e degli spazi per la lettura, la consultazione e la ricerca. Mentre al piano seminterrato, dove l’accesso è limitato al personale della biblioteca, sono stati organizzati gli uffici amministrativi. Un’ampia scala collega i tre livelli consentendo la circolazione verticale degli utenti. Essa è un elemento chiave del progetto perché permette una continuità spaziale all’interno della libreria che ruota intorno a tre cortili interni collegati da que-

A destra: vista del patio interno che lascia intravedere i prospetti finestrati trasparenti in corrispondenza di ogni piano dell’edificio. Il verde penetra nell’architettura sotto forma di terrazzi orizzontali e di rivestimenti verticali a parete


BIBLIOTECA / Mario Corea, Lluís Moran, Sebastián Guerrico

La biblioteca è circondata da un quartiere composto principalmente da edifici residenziali ad alta densità


Un’ampia scala collega i tre livelli consentendo la circolazione verticale. Ăˆ un elemento chiave del progetto perchĂŠ permette una continuitĂ spaziale all'interno della libreria che ruota intorno a tre cortili interni collegati da questo elemento di connessione verticale


La luce penetra all'interno dell’edificio tramite le ampie facciate vetrate trasparenti ricreando ambienti confortevoli per la lettura


BIBLIOTECA / Girona (Spagna)

sto elemento di connessione verticale. I pavimenti sono interamente rivestiti di un parquet di legno naturale che viene ripreso anche come rivestimento della scala principale. Il resto, dalle pareti, ai divisori, agli arredi fino ai telai delle finestre a nastro, è stato realizzato con differenti materiali ma dipinti unicamente di colore bianco, per esaltare l’effetto di luminosità della luce riflessa su di essi e per accompagnare con colori tenui le funzioni di lettura e di concentrazione individuale. Elemento protagonista di questa biblioteca è quindi la luce nelle sue molteplici varianti. Il volume quadrato è quasi interamente vetrato in U-glass, punteggiato da sezioni di vetro trasparente, in grado di inondare l’interno con una luce diffusa particolarmente confortevole per la lettura mentre, al tempo stesso, l’esterno del quartiere diventa tutto visibile attraverso i prospetti traslucidi. I patii ricreati all’interno dell’articolata planimetria fungono così da grandi pozzi di luce naturale che viene ridistribuita dal tetto fino al piano terra dell’edificio. Nelle ore notturne, invece, sempre grazie a una scelta progettuale dell’uso della luce questa volta artificiale, la biblioteca s’illumina come una grande lanterna

SEZIONE TRASVERSALE

SEZIONE LONGITUDINALE

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urbana, invitando tutti a entrare e a vivere da vicino questo luogo di conoscenza, cultura e vita comunitaria. Alcune facciate che corrono lungo i cortili interni sono state ricoperte da una rigogliosa parete verde che prosegue in corrispondenza di alcuni piani anche in orizzontale, rivestendo i terrazzi all’aperto. L’elemento verde è fortemente caratterizzante questo progetto anche mediante la presenza di un albero, la cui altezza raggiunge il secondo piano, posto al centro di un patio. Gli aspetti di sostenibilità sono quindi parte integrante di questo progetto che ha ottenuto la Certificazione Energetica dell’Unione europea in “Classe A”, grazie ai requisiti di massimizzazione nell’uso della luce naturale e per premiare una tipologia di costruzione industrializzata e standardizzata con materiali riciclati e a bassa richiesta di manutenzione. Anche la doppia facciata in U-glass ha contribuito all’ottenimento di tale riconoscimento perché ha permesso di ottenere un isolamento termico elevato dell’edificio. Il tetto ventilato aiuterà nel contenimento di spreco dell’energia e la presenza della parete e dei cortili rivestiti di vegetazione mitigheranno naturalmente le temperature degli ambienti interni.

Le pareti vetrate che separano i patii interni dagli spazi verdi esterni sono un elemento rilevante perché creano continuità visiva fra i luoghi e un rapporto fra l’interno e l’esterno, oltre a donare ampia illuminazione naturale agli ambienti interni. Spazi, questi, che si affacciano direttamente su appezzamenti verdi


BIBLIOTECA / Mario Corea, Lluís Moran, Sebastián Guerrico

Importanti sono stati gli aspetti di sostenibilità, che hanno permesso di ottenere la Certificazione Energetica dell'Unione europea in “Classe A”

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I diversi volumi dei piani interagiscono fra di loro. Si hanno quindi aule computer lineari ed essenziali che vengono interrotte da affacci vetrati rivolti verso altri ambienti collettivi. Le ampie pareti dipinte di bianco si allineano perfettamente con il rivestimento in parquet di legno chiaro



PLANIMETRIA PIANO INTERRATO

PLANIMETRIA PIANO TERRA


PLANIMETRIA PIANO PRIMO

PLANIMETRIA PIANO SECONDO


BLOCK NOTES Clima, edilizia, trasporto, risorse naturali, consumo del suolo e inquinamento. sono tematiche che meritano piena convergenza nel dibattito sulla sostenibilità, in corso tra professionisti, politica e opinione pubblica

Arturo Lanzani

Rigenerazione urbana Bisogna promuovere una nuova urbanistica che muova da quel che c’è. Ordinare, ricomporre, “rimettere al lavoro” il patrimonio esistente. E, soprattutto, dare spazio al verde in tutte le sue forme

quel che c’è vuol dire all'opposto porre al centro il riordino, la ricomposizione, la riforma dell'intero variegato sistema insediativo e al suo interno dello spazio già urbanizzato evitando un nuovo e diverso ciclo di radicali abbandoni. Dentro una prospettiva di continuità del modello economico sociale ciò vuol dire orientare la continua distruzione creatrice del capitale fisso sociale (pubblico e privato) proprio dell’economia capitalista, sui luoghi in cui si è in passato depositato riducendo così l'impronta ecologica del suo farsi. Vuol dire privilegiare una dimensione “di cura” più che della produzione edilizia e infrastrutturale. In tutti i casi vuol dire “far presa” sul patrimonio esistente rimettendolo il più possibile “al lavoro”, consapevoli della limitatezza dei capitali investibili. In tutti i casi vuol dire mettere al centro il patrimonio dei suoi cittadini e in particolare del suo ampio ma in crescente difficoltà ceto medio, tutelandone in qualche misura il “valore”. LA QUESTIONE INFRASTRUTTURALE

Nel nostro paese si riconoscono molteplici strutture insediative con paesaggi e forme di regolazione socio-territoriali differenti: nodi metropolitani complessi; l’urbanizzazione diffusa che avvolge molte medie città; le urbanizzazioni lineari costiere liguri e dell’Italia centro meridionale; la rete di città medie con limitati fenomeni di sprawl isolate nelle poche pianure e colline con un paesaggio rurale continuo; le aree interne di più forte spopolamento. Le dinamiche trasformative che investono queste strutture sono molto diverse da quelle del passato. Riconosciamo porzioni del paese, come il Mezzogiorno e alcune zone interne con forte contrazione demografica e crisi economica e altre caratterizzate da dinamiche di relativa stabilizzazione al termine di una lunghissima ondata di crescita che conoscono una “nuova normalità” fatta di contenuti scostamenti delle principali variabili socio-economiche. Eppure perdurano nelle politiche territoriali e insediative le retoriche della crescita secondo due fondamentali flessioni. La prima più tradizionale, ma non del tutto scomparsa, di individuazione di sempre nuovi assi/direttrici di crescita. La seconda sempre più forte di pesante ricentralizzazione, se non della popolazione, di investimenti e nuovi insediamenti entro le sue poche città metropolitane sempre più spesso attraverso l'attivazione di eventi e l'attrazione di capitali internazionali. Queste retoriche, facendosi realtà, non solo rafforzano l'abbandono degli insediamenti delle “aree interne” con pesanti effetti sul dissesto idrogeologico del paese ma anche di quote dell’edificato e dell’infrastrutturazione, realizzate nella seconda metà di quel secolo lungo, intercluse e affiancate alle aree di nuovo investimento: nelle periferie delle grandi città e nell’urbanizzazione diffusa nelle sue diverse forme. Il tutto dentro una logica legata alla produzione di nuovi “fatti e sistemi insediativi” dal breve ciclo di vita e poi abbandonati come rifiuti a una veloce obsolescenza e senza obblighi di riciclo. Promuovere una nuova urbanistica che muove da 54

Nonostante qualche debole segno di novità introdotto dal ministro Del Rio, in Italia il progetto infrastrutturale continua a rimanere focalizzato su singole nuove opere, molto specializzate, prevalentemente di mobilità stradale, totalmente sovrapposte al territorio e al paesaggio che le accoglie. La prospettiva del riciclo vi si contrappone. Essa muove dalla rete e all’interno della stessa privilegia gli interventi di riforma di infrastrutture esistenti, pur non negando la necessità di qualche nuovo intervento di integrazione; valorizza la necessaria multifunzionalità che ogni infrastruttura dovrebbe sempre avere, ibrida tra loro interventi differenti che nella migliore delle ipotesi oggi procedono rigidamente separati, muove dalle trame insediative e dello spazio aperto esistenti pensando alle nuove infrastrutture come elemento che le innerva, le reinterpreta e le modifica, anziché come elemento che si sovrappone ignorandole. Questo diverso operare può tradursi nel riuso più intenso delle reti ferroviarie regionali e suburbane con innovazione di gestione, maggior integrazione con le politiche di riorganizzazione degli insediamenti esistenti, di localizzazione delle strutture di servizio e commerciali e di organizzazione della mobilità lenta, e anche talvolta con qualche limitato tratto di nuova realizzazione. Può tradursi nel miglioramento di ferrovie e strade esistenti anziché di sempre riproposte duplicazioni con nuovi tratti autostradali o ferroviari. Oppure può esplicarsi in riordino di alcuni bacini fluviali con la rinaturalizzazione delle sue fasce e che nella gestione delle piene metta al lavoro la più estesa rete storica di canalizzazioni minori e laddove vada a realizzare vasche di laminazione lo faccia con vasche e interventi plurifunzionali e su aree dismesse. O ancora, e a titolo esemplificativo, può tradursi in un programma complesso di riqualificazione dello spazio scolastico delle periferie urbane metropolitane e dell’urbanizzazione diffusa esito della politica degli standard, che migliori non solo le prestazioni energetiche degli edifici e cancelli eventuali


condizioni di insalubrità e insicurezza, ma anche ne valorizzi la possibile multifunzionalità per “popolazioni” differenti e soprattutto esca dal perimetro delle loro recinzioni, ripensando lo spazio aperto prospiciente troppo spesso banalizzato dal suo spezzettamento in parti rigidamente monofunzionali e connettendole a reti verdi e di mobilità lenta. Più in generale, può comportare la prefigurazione d’insieme e un progressivo attuarsi nell’urbanizzato di una nuova griglia di ri-organizzazione spaziale e di un esteso progetto di suolo nella forma di una nuova rete di naturalità e di urbanità diffusa che dialoghino ma vadano ben oltre gli spazi e le forme dello spazio aperto della città antica. In generale non si tratta di immaginare e proporre l’applicazione di nuovi modelli infrastrutturali smart o green e di principi di sostenibilità unilaterali. Piuttosto, muovendo da quel che c’è, da una rete infrastrutturale e insediativa ormai in gran parte conformata, dalla pluralità delle situazioni insediative e facendo economia di investimenti e sfruttando le capacità degli attori in gioco, delinei traiettorie plurali e specifiche di miglioramento della dotazione informatica, delle prestazioni energetiche, dei modi di trattamento delle acque, di organizzazione del ciclo dei rifiuti, di promozione della mobilità sostenibile. OLTRE LA RIGENERAZIONE URBANA

Questa prospettiva di lavoro porta del resto oltre l’orizzonte della ristrutturazione urbanistica tramite progetti urbani delle aree dismesse o della rigenerazione di nuclei storici e di periferie pubbliche in crisi con politiche pubbliche di innesto. Richiede innanzitutto una riflessione sui limiti di molte di queste operazioni. Nel primo caso tali limiti si ritrovano frequentemente nell’insoddisfacente, o al più totalmente introverso, disegno del suolo, e nella limitata “cattura” e nella cattiva destinazione dei plusvalori fondiari (in opere pubbliche spesso inutili e di cattiva gestione). Nel caso dei tessuti storici sta nell’avvio di discutibili dinamiche di valorizzazione immobiliare e gentrification tramite risorse pubbliche, mentre per i quartieri pubblici essi si ritrovano nell’impossibilità di affrontare situazioni di disagio che nascono innanzitutto dalla inadeguatezza dell’offerta rispetto alla domanda. Consapevoli di ciò va promossa una logica di intervento diversa in queste situazioni. Nel caso delle aree dismesse è opportuno più spesso riabitare lo spazio già costruito e modificarlo con inserimenti e demolizioni parziali più che promuovere radicali demolizioni e ricostruzioni, spesso insostenibili in un contesto di plusvalenze assenti ed ecologicamente negative. Per la periferia pubblica l’intervento socio-urbanistico locale non può eludere un sempre più necessario ripensamento della politica abitativa nel suo complesso. Nei nuclei storici degradati vanno messi al centro il possibile sostegno agli investimenti dei residenti e va promossa una più estesa isotropa politica di riqualificazione dello spazio pubblico. La “prospettiva del riciclo” richiede soprattutto una politica che si rivolga all’intero e sovradimensionato patrimonio esistente, non solo evitando nuove urbanizzazioni, ma anche mettendo al centro due diverse direttrici del lavoro. La prima direttrice porta a ipotizzate sempre più opportune rilocalizzazioni volumetriche, con demolizioni e talvolta rinaturalizzazioni nelle aree di esondazione fluviale, nei paesaggi agrari degradati da molti incongrui volumi, nelle porzioni di territorio di più difficile infrastrutturazione, con la “caduta” delle suddette volumetrie in forma

di densificazioni, ampliamenti e infiltrazioni, nei punti di maggior accessibilità o anche a favore di quelle poche ma importanti imprese che, espandendosi, dovranno inevitabilmente consumare nuovo suolo (non trovando altre opportunità insediative). La seconda direttrice è quella legata a un diffuso e molecolare rinnovo del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente laddove è, ma spesso non “com’è, ossia con decisi miglioramenti delle prestazioni ambientali (energetiche e idrauliche), con una ridefinizione che tenga conto di pratiche di vita e di lavoro, di forme della famiglia e dell’impresa che cambia, con una forte attenzione alle logiche di prossimità e di distanziazione ricercate da alcune attività. Nel suo farsi questa azione modificativa non potrà basarsi sulla saggezza individuale del singolo progetto, né tanto meno di una procedura regolativa edilizio-paesaggistica centralizzata a cui il singolo progetto dovrà conformarsi. Abbiamo bisogno di un non facile dialogo tra un “design code”, essenziale, multifunzionale, contestuale, con indicazioni categoriche ma anche con indirizzi e suggerimenti che si depositi nei piani urbanistici, e una pratica serrata di “design review” delle varie proposte di trasformazione arrivate dai privati e che vada nel merito delle scelte progettuali, con la consapevolezza che la cultura architettonica più sensibile nel nostro paese e nel suo particolare e sovraffollato mercato professionale solo in alcuni casi sarà protagonista della elaborazione del progetto di trasformazione, ma dovrà fornire la sua consulenza nel processo di revisione. IN ULTIMO, MA INNANZITUTTO, LO SPAZIO APERTO

Pur tuttavia in totale controtendenza con la storia dell’urbanizzazione italiana di buona parte del novecento (ma non con quella di non pochi filoni dell’urbanistica e con la storia della bonifica agraria), sarà il progetto dello spazio aperto verde e vegetale il vero centro di una ipotetica, e per nulla scontata, urbanistica dell’esistente. Lo potrà essere costruendo nuove reti di urbanità e di naturalità diffusa che, come nuove griglie nel già urbanizzato, riorganizzino le relazioni tra pieni e vuoti, tra spazi prevalentemente vegetali e spazi prevalentemente minerali, tra spazi di vita in pubblico totalmente inclusivi e spazi di differenziazione e inevitabile pluralizzazione dei modi di vita. Lo potrà essere dando spazio a forme di large park/ low cost dove, in un regime di contenimento della spesa pubblica e di minor redditi individuali, si dia spazio all’esperienza corporea, a momenti temporanei e mutevoli di vita pubblica, a pratiche individuali di cura del suolo e di autoproduzione alimentare. Lo sarà ripensando il ruolo multifunzionale dell’agricoltura a ridosso dei territori più urbanizzati dove v’è spesso da ricostruire, come si fece con la riforma agraria, una possibile nuova forma di impresa e tutelando lo spazio più produttivo di alcune piane e di alcune colline, sostenendo qualificate e sempre più diffuse imprese agrarie che fanno totalmente parte di quelle “metropoli territoriali” che emergono in diverse parti dell’Europea continentale con qualche originalità e che andrebbero valorizzate nelle loro specificità senza inseguire modelli propri di altri contesti. ✽

(Arturo Lanzani, urbanista e geografo, è professore ordinario al Politecnico di Milano. Tra le sue recenti pubblicazioni “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione”, FrancoAngeli, Milano, 2015) 55


BLOCK NOTES Sandro Fuzzi

Cosa succede al clima? Il riscaldamento climatico è il problema del XXI secolo. I segnali sono molteplici e preoccupanti e la situazione italiana rispecchia il panorama globale. Quello che è certo è che bisogna fare qualcosa al più presto Due sono le conclusioni fondamentali del 5° Rapporto dell’Intergovernmental Panel for Climate Change (IPCC), organismo scientifico dell’ONU che fornisce rapporti periodici sul cambiamento climatico, l’impatto sulla società, i rischi futuri e le opzioni disponibili per limitarne gli effetti: i) il riscaldamento del clima della Terra è inequivocabile; ii) è provata l’influenza delle attività dell’uomo sul sistema climatico terrestre. Sono molteplici i segnali del cambiamento climatico: il primo decennio del XXI secolo è stato il più caldo degli ultimi due secoli, la temperatura media globale del pianeta è aumentata di 1°C rispetto al periodo preindustriale, il livello del mare è aumentato di circa 20 cm nell’ultimo secolo, l’aumento più elevato degli ultimi 2000 anni, l’estensione dei ghiacci si sta riducendo su tutto il pianeta. La situazione italiana rispecchia il panorama globale. La temperatura media del nostro Paese, anzi, è aumentata più della media: 1.4°C in più rispetto al periodo preindustriale. L’aspetto più evidente del riscaldamento climatico nel nostro Paese è l’aumento delle temperature estive che dalla metà degli anni Ottanta sono sempre state sopra la media del trentennio precedente, con l’aumento eccezionale dell’estate 2003 quando si ebbero in Europa oltre 70.000 decessi per l’ondata di calore. Anche le precipitazioni in Italia sono diminuite più del 10% in media negli ultimi cinquant’anni, con punte oltre il 20% nelle regioni meridionali. L’estensione dei ghiacciai alpini si è ridotta di circa il 40% negli ultimi trent’anni. È ormai scientificamente assodato che responsabile del riscaldamento del clima è il cosiddetto effetto serra, dovuto all’emissione in atmosfera di alcuni gas, per questo chiamati “gas serra”, il principale dei quali è il biossido di carbonio (CO2). Tutte le attività umane sono responsabili del rilascio in atmosfera di gas serra: oggi ben 50 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti annue, e nessun settore di attività è esente da colpe: produzione di energia (35%), agricoltura e gestione del territorio (24%), industria (21%), trasporti (14%), usi residenziali (6%). Nel suo 5° Rapporto, IPCC ha anche fornito proiezioni per il futuro del clima della Terra, utilizzando modelli climatici basati su una serie di scenari di evoluzione delle emissioni antropiche, a loro volta collegati a diversi scenari socio-economici di sviluppo della società globale. A seconda che le misure di limitazione delle emissioni antropiche siano più o meno 56

incisive e tempestive, l’aumento di temperatura media del pianeta alla fine di questo secolo rispetto al periodo preindustriale potrà oscillare da 1.5°C fino a oltre 5 °C (ricordiamo che oggi la temperatura è già aumentata di 1°C). L’aumento del livello del mare, a sua volta, oscilla nei due scenari limite da 40 cm a oltre 1 m. Per avere un’idea degli effetti di questi cambiamenti, possiamo solo ricordare che un aumento di un metro del livello del mare comporterebbe la necessità di ricollocare circa 250 milioni di persone che vivono in aree costiere che verrebbero sommerse. Ciò che spesso non viene percepito è che il riscaldamento climatico rappresenta il problema del XXI secolo, in quanto i suoi effetti coinvolgono tutti i bisogni fondamentali della nostra vita sulla terra: la disponibilità di risorse alimentari e di acqua, la salute, la sicurezza delle infrastrutture e, non da ultimo, la pace stessa che verrebbe, e in alcuni casi già viene, messa in pericolo dai conflitti per reperire queste risorse primarie. Il riscaldamento climatico è per sua natura un fenomeno globale. Infatti, una tonnellata di CO2 emessa in Italia ha lo stesso effetto sul clima di una tonnellata emessa in qualsiasi altra parte del globo. È quindi chiaro che le soluzioni vanno necessariamente trovate in un accordo che coinvolga tutti i Paesi della Terra. Ci si salva solo tutti insieme. Esiste una soglia di sicurezza che garantisca la società globale rispetto a possibili esiti catastrofici conseguenti al riscaldamento del clima? IPCC ha valutato che se saremo capaci di contenere l’aumento di temperatura media globale alla fine del secolo entro 2°C rispetto al periodo preindustriale (occorre ancora una volta ricordare che la temperatura è già oggi aumentata di 1°C), i mezzi tecnologici già oggi disponibili potranno permettere alla società umana di continuare a esistere. Da più di vent’anni si sta cercando un accordo internazionale per limitare gli effetti del cambiamento climatico con risultati piuttosto deludenti. La prima difficoltà nel raggiungere un accordo è l’elevato costo per ridurre le emissioni di gas serra. La seconda difficoltà riguarda le responsabilità dei vari Paesi in termini di emissioni di gas serra. I Paesi industrializzati sono ancora oggi responsabili di più del 50% delle emissioni dall’inizio dell’era industriale e solo nell’ultimo decennio le economie emergenti hanno iniziato a contribuire sostanzialmente alle emissioni globali di gas serra. Il 12 dicembre 2015 a Parigi, nell’ambito della XXI Sessione della Convenzione sui Cambiamenti Climatici dell’ONU, 196 Paesi responsabili del 95% delle emissioni globali di gas serra, hanno finalmente raggiunto un accordo sul clima. Non è esagerato definire “storico” l’accordo che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni globali di gas serra per “mantenere l’incremento della temperatura media globale sotto 2°C rispetto ai livelli preindustriali e cercare di limitare l’incremento a 1.5°C, riconoscendo che ciò ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico”. L’accordo prevede piani di riduzione volontari delle emissioni da parte dei singoli Paesi, revisione periodica dei piani di mitigazione, trasparenza dei controlli internazionali e consistenti aiuti finanziari, 100 miliardi di dollari l’anno, ai Paesi meno sviluppati. La riduzione delle emissioni di gas serra di origine antropica comporta due tipi di azioni: miglioramento dell’efficienza energetica e “decarbonizzazione” della società. Il miglioramento dell’efficienza energetica comprende un’ampia varietà di azioni in diversi settori: edilizia a basso consumo, circolarità dei processi produttivi, ottimizzazione dei trasporti e molte altre ancora. Decarbonizzazione significa invece sostituire al più presto i combustibili fossili con forme di energia rinnovabili, un obiettivo che è già oggi tutt’altro che impossibile, come dimostra l’esempio della Danimarca che sta già mettendo in atto politiche che


le permetteranno di diventare carbon neutral per il 2050. Contemporaneamente alle azioni di mitigazione vanno però anche implementate politiche di adattamento: misure tecnologiche e infrastrutturali per contrastare gli effetti del cambiamento climatico (si pensi ad esempio alla salvaguardia delle infrastrutture costiere minacciate dall’innalzamento del livello del mare), necessarie poiché il cambiamento è già in atto e, data l’inerzia del sistema, gli effetti delle misure di mitigazione si verificano con molti decenni di ritardo. La lotta contro il riscaldamento del clima è quindi un obiettivo da perseguire su tempi molto lunghi e interesserà anche le generazioni a venire. Dopo l’accordo di Parigi vi sono buone ragioni per manifestare un cauto ottimismo sulla volontà e la capacità delle nostre società di affrontare e contenere il riscaldamento già in atto entro limiti che siano compatibili con la sopravvivenza stessa della nostra società, almeno per come oggi la conosciamo. L’accordo di Parigi, concretizzatosi dopo oltre vent’anni di negoziazioni fallite, è infatti basato sulle solide basi scientifiche riassunte da IPCC nel suo 5° Rapporto, al di là delle manipolazioni del recente passato, alimentate da fondamentalismi

ideologici e da forti interessi economici. Altro motivo di ottimismo è la consapevolezza da parte dei decisori politici che i costi, senz’altro elevati, delle politiche di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico sono comunque inferiori a quelli che si dovrebbero sostenere nel caso la temperatura media del pianeta eccedesse i limiti fissati a Parigi. Vi è inoltre la consapevolezza che già oggi sono disponibili tutte le tecnologie utili a contrastare il riscaldamento del clima. Anzi, il contrasto al riscaldamento climatico può essere visto come un’opportunità di sviluppo socio-economico e tecnologico per il mondo nel suo complesso. Da ultimo, ma non certo per importanza, è in forte aumento la consapevolezza dei cittadini sui pericoli del cambiamento climatico e la richiesta di azioni concrete per contrastarlo. ✽

Ingegnere, Professore associato di Urbanistica presso l’Università di Roma 3. Da diversi anni si occupa di politiche di rigenerazione urbana in Italia e in Europa

Le sfide energetiche e climatiche dell’ultimo decennio, cadenzate su scenari di drastica riduzione delle emissioni ma anche di produzione locale e distribuzione dell’energia, hanno aggiornato le due fondamentali traiettorie delle agende della sostenibilità, chiamate a operare in stretta connessione: da un lato, le acquisizioni provenienti dalle scienze della natura che postulano l’integrazione dei principi dell’ecologia vegetale nella pianificazione fisica si sono conquistate uno spazio di rilievo anche all’interno dei sistemi urbani; dall’altro, la ricerca e sperimentazione di pattern insediativi in grado di declinare la sostenibilità come “buona forma urbana”, pur nella diversità degli approcci, appaiono orientate al superamento di una forma di governo del territorio intesa come rigida definizione degli assetti ex-ante. Ciò vale anche nelle esperienze di pianificazione di area vasta, dove la buona forma sta per conformance - sostenibilità nello spazio come armonizzazione tra geografie ereditate, modi di possedere, vocazioni e propensioni alla trasformazione – e performance - sostenibilità nel tempo come garanzia di riproducibilità delle risorse. Quali sono i nuovi pattern insediativi che ben accordano densità abitativa e sostenibilità?

Nell’agenda delle amministrazioni nazionali e locali più avvisate, i modelli di sviluppo allo studio

(Ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, studia i cambiamenti della composizione chimica dell’atmosfera causati dalle attività antropiche e i loro effetti sul clima, la qualità dell’aria, gli ecosistemi e la salute)

ANNA LAURA PALAZZO

In questi ultimi anni affrontare la progettazione di un piano di area vasta vuol dire adottare due diversi approcci: conformance e performance. Ci chiarisce la differenza?

da almeno un ventennio sono riconducibili a tre matrici concettuali. La prima, nel richiamarsi alla tradizione europea di governo del territorio, contrasta la nota problematica del consumo di suolo attraverso una “intensità urbana” conseguita con organizzazioni spaziali in grado di favorire mixité funzionale e densità di attività superiori a soglie ritenute critiche, ancorché variabili da caso a caso. La seconda affronta congiuntamente usi del suolo e mobilità dei sistemi urbani, ragionando sull’ottimizzazione delle prestazioni per effetto di un riequilibrio modale, con simulazioni che portano in conto l’incertezza nelle pratiche sociali e nei comportamenti individuali evitando il determinismo dei modelli cibernetici in voga alcuni decenni or sono. La terza, che insiste su temi squisitamente ambientali (aria e acqua, condizioni climatiche), recupera una policy area di tradizione antica, come l’approccio bioclimatico alla progettazione urbana, innestandola nei nuovi avanzamenti tecnologici. Le aree periurbane, o frange urbane, con quali nuove logiche possono essere gestite e controllate così da frenare in modo efficace la loro vorace necessità di nuovo sedime?

Biodiversità e continuità dello spazio aperto, particolarmente compromesse nelle aree periurbane, sono al centro a livello europeo della Green Infrastructure Strategy per la rigenerazione delle risorse e il miglioramento delle prestazioni ambientali, la salvaguardia dei valori naturali e paesaggistici, la difesa del suolo e messa in sicu-

rezza del territorio, la promozione di politiche agro-alimentari sostenibili, la fruizione sociale, il benessere e la salute psico-fisica dei cittadini (EU Commission, 2013). In Francia, questi orizzonti sociali, ambientali e culturali trovano degli elementi di aggancio in diversi dispositivi di politica urbana e una trascrizione operativa negli strumenti di programmazione strategica sovracomunale, in particolare gli Schémas de cohérence territoriale (SCOT). E l’allineamento tra scienze della natura e discipline del progetto (Grenelle de l’Environnement, 2007) avviene proprio a partire dalla “trama verde” che, assistita da efficacia giuridica entro il Code de l’Urbanisme, contribuisce positivamente al metabolismo urbano connettendo alle diverse scale del progetto spazi eterogenei con un ruolo di protezione attiva nei riguardi dei valori naturali e culturali e di contrasto ai fenomeni di frammentazione del suolo. La flessibilità della trama verde è motivo della sua estrema capillarità fin dentro i tessuti edificati dove si qualifica come rete di percorrenze ciclo-pedonali (Liaisons vertes). Anche Oltreoceano, dove il carattere diffusivo dell’abitare assume i contorni dello sprawl, si sono da anni affermate pratiche di Landscape Urbanism (Duany, 2002) che lavorano su sequenze di sezioni rappresentative di habitat umani caratterizzati da diverso gradiente di naturalità, secondo un “Rural-to-Urban Transect”: da quelli a vocazione prevalentemente agricola, marginali nelle logiche dello sviluppo, a quelli più fortemente antropizzati, disponibili tuttavia a un recupero o a modi condivisi di “reinvenzione” del paesaggio con trame di continuità dello spazio aperto il cui valore strutturante è in condizione di dare nuova forma alle conurbazioni. 57


BLOCK NOTES MARIALISA NIGRO

Ingegnere, è docente del corso di Pianificazione dei Trasporti nella laurea magistrale in Infrastrutture Viarie e Trasporti presso il Dipartimento di Ingegneria dell'Università degli Studi Roma Tre Si parla molto spesso di mobilità sostenibile. Cos'è realmente?

Rifacendomi alla definizione di sviluppo sostenibile del Rapporto Brundtland del 1987 definirei “mobilità sostenibile” la possibilità di soddisfare all’attualità le esigenze di spostamento e di trasporto, senza compromettere tutte quelle che saranno le relative esigenze delle generazioni future. Tale definizione mette chiaramente in luce che esistono dei comportamenti “poco virtuosi” che possono pregiudicare la mobilità futura: tali comportamenti risiedono principalmente nell’uso indiscriminato dell’autovettura, che porta come conseguenze immediate il traffico, la congestione, l’aumento delle emissioni inquinanti e acustiche, l’incremento dell’incidentalità. A ciò non si può rispondere semplicemente con maggiori investimenti in strade e parcheggi, perché si è già visto nel tempo come così facendo non si fa altro che alimentare ulteriore domanda su modalità di trasporto privato.

Quali sono le “strade” che fino a oggi hanno portato ad affrontare con successo la sostenibilità nella mobilità?

Sintetizzando parlerei delle “3 I”: Investire, Integrare, Innovare. Gli investimenti nel settore trasporti sono indispensabili, investendo in primis sull’offerta di trasporto collettivo. È chiaro però che andare in tale ambito verso investimenti rivolti alle sole infrastrutture su ferro non può essere l’unica risposta, in quanto parliamo di investimenti con costi molto alti e spesso caratterizzati da elevati gradi di incertezza. Per questo è necessario decidere come investire, valutando con attenzione i sistemi più adatti in funzione della domanda e dell’ambito di inserimento, attingendo all’ampio ventaglio di alternative fornite dall’offerta di trasporto collettivo. Gli investimenti rimangono inutili se non si punta all’integrazione delle reti: integrare le reti significa innanzitutto definire una gerarchia dei sistemi, quindi incrementare l’accessibilità e l’interscambio tra di essi. Si pensi in tal merito alla “cura” dell’accesso alle fermate dei sistemi portanti come metropolitane e linee ferroviarie attraverso l’adeguata progettazione della mobilità pedonale e ciclabile, o l’interscambio tra auto e ferro attraverso la realizzazione di parcheggi di scambio. L’innovazione infine è la chiave di volta: qui si deve parlare sia di innovazione tecnologica, che permette di facilitare il controllo dei sistemi e aumentare la comunicazione e l’informazione, ma anche di innovazione di servizi attraverso l’intro58

duzione di nuove concezioni di mobilità, quali la “sharing mobility”.

Tecnologia e mobilità. Molte città del nord Europa hanno puntato su questa dicotomia per proiettarsi nel futuro. Una per tutte Helsinki. La capitale finlandese sta sviluppando una rete di trasporti articolata sull’infomobilità e attraverso uno smartphone sarà possibile conoscere tragitti, orari e mezzi di trasporto disponibili. In Italia vi sono progetti di questo tipo?

Direi numerosi. Se pensiamo ad esempio al caso romano, si parte da progetti sviluppati da enti di ricerca (si veda a titolo di esempio STREET© di Enea per la previsione dei tempi di percorrenza basato su dati da veicoli sonda), a progetti seguiti dalle singole agenzie di mobilità a livello comunale (si veda ad esempio il recente accordo tra Waze e l’agenzia della mobilità del Comune di Roma per la messa in comune delle informazioni lungo il tragitto). Ma ci sono anche importanti progetti europei che coinvolgono le nostre città: mi viene da pensare al progetto CIVITAS, che va avanti sin dal 2002 e che nelle sue varie declinazioni ha visto la partecipazione di importanti aree urbane quali ad esempio Roma, Venezia e Genova e che nei suoi obiettivi vede un forte accento sulla telematica applicata ai trasporti. Ed i progetti che uniscono tecnologia e mobilità investono anche la mobilità ciclo-pedonale: proprio recentemente all’interno dei bandi Horizon 2020 è stato finanziato il progetto Xcycle che vede la partecipazione dei nostri colleghi di Bologna e che studia come incrementare la sicurezza dei ciclisti tramite l’uso di sensoristica avanzata.

Un progetto di mobilità sostenibile punta quasi sempre alla riduzione dell’uso dell’automobile privata. Quali altre soluzioni sono proponibili?

Innanzitutto bisogna ricordare che la riduzione dell’uso del mezzo privato deve avvenire contestualmente a un potenziamento della rete del trasporto collettivo e a un rafforzamento della sua efficacia. È chiaro però che se si pensa al rafforzamento del trasporto collettivo esclusivamente come incremento dei servizi su gomma, laddove tali servizi continuano a viaggiare in sede promiscua con il traffico privato, risentendo della relativa congestione, non ci si può aspettare di ottenere una variazione modale a loro favore. È necessario operare su più fronti, come già detto investendo, integrando e innovando, ma anche

introducendo interventi di tipo normativo e organizzativo; per fare alcuni esempi, eliminare la sosta sulla viabilità di scorrimento per realizzare dei corridoi del trasporto pubblico, ovviamente individuando preventivamente dei parcheggi di sostituzione; oppure posizionare strategicamente alcune strutture pubbliche ad elevata attrattività, andandole a localizzare vicino a fermate di sistemi di trasporto collettivo portanti. Per ciò che concerne la mobilità il rapporto che si è creato tra la città e il suo hinterland è alquanto complesso. Quali gli obiettivi più impellenti?

Limitare la diffusione urbana e la discrasia temporale tra sviluppo del territorio e sviluppo dei sistemi di trasporto. Lo sviluppo attuale delle aree urbane è esso stesso causa dei comportamenti di mobilità che ne derivano. Non siamo più di fronte a una città compatta, ma la città si è “polverizzata” andando verso un’occupazione di suolo notevole, con creazione di nuovi quartieri troppo spesso a prevalente vocazione residenziale: conseguenza di ciò sono l’aumento degli spostamenti, nonché delle distanze e dei tempi ad essi associati. Inoltre i servizi di trasporto, e in particolare i servizi di trasporto collettivo, sono spesso inseriti sul territorio solo a urbanizzazione effettuata. Così facendo vengono però a essere calati solo in un secondo momento in un land-use che non ha la struttura adeguata ad accoglierli o a renderli una valida alternativa al mezzo privato. Tali fattori generano solo il ricorso generalizzato all’uso dell’autovettura con costi economici e sociali decisamente insostenibili. I PSCL, i Piani di Spostamento Casa Lavoro, quali vantaggi e quali difficoltà presentano?

I PSCL permettono di conoscere abitudini ed esigenze di mobilità, declinando gli interventi da intraprendere su quelle che sono le realtà su cui si deve operare. Il problema è che spesso tali interventi possano rimanere solo sulla carta o che vengano attuati parzialmente, limitando così l’efficacia a livello di sistema. A lei che è docente chiediamo: quale contributo danno le università a questo tema?

Le università hanno sicuramente un ruolo strategico in tema di mobilità sostenibile. In primis per la forte valenza formativa che possono dare a riguardo. Inoltre esse si collocano come veri e propri laboratori a cielo aperto con sperimentazioni condotte in contesti reali. Tanto per citare alcuni esempi che ci riguardano da vicino: l’Ateneo di Roma Tre è molto attivo sul fronte della mobilità sostenibile con diversi interventi rivolti principalmente alla mobilità ciclabile. Un recente progetto ha visto la sperimentazione di bici elettriche in collaborazione con Enel Green Power e a breve partirà una sperimentazione sempre con Enel Green Power di un servizio di car sharing di Ateneo che coinvolgerà studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo nell’uso di una forma di mobilità condivisa.


DANIELA CIAFFI

Architetto e membro del direttivo Labsus. Insegna Sociologia urbana a Palermo. Si occupa di forme comunitarie di partecipazione alle trasformazioni urbane e territoriali nel mondo occidentale Può sintetizzare ai lettori cos'è Labsus?

Labsus sta per Laboratorio per la Sussidiarietà: Labsus è tante cose insieme. Labsus.org nasce a metà degli anni duemila, a qualche anno di distanza dall’introduzione nella nostra Costituzione del principio di Sussidiarietà. Da un lato è una piattaforma che trae la sua forza dagli italiani attivi su pratiche di recupero, valorizzazione e cura dei beni comuni. Dall’altro è una rivista scientifica con un comitato scientifico di cui fanno parte alcuni dei più autorevoli esperti italiani di diritto amministrativo e sociologia. Tutti d’accordo sul motto: “Il tempo della delega è finito”. Per Labsus c’è un prima e un dopo 2014, anno in cui la città di Bologna adotta il Regolamento per la collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, messo a punto proprio insieme a Labsus. Da quella primavera ciò che più ci ha sorpreso è stata la crescita esponenziale di una vera e propria comunità di affinità: siamo in tanti, in tutta Italia, coi profili più diversi, ma tutti accomunati da una visione condivisa del futuro possibile. In cosa consiste l’adozione del Regolamento da parte dei comuni?

I comuni che adottano il Regolamento aprono la strada a una grande svolta culturale, dicendo ai cittadini: “D’ora in poi possiamo fare dei patti di collaborazione: avanti a chi ha una buona idea di cura, rigenerazione, riuso, gestione di un bene comune! Proviamo a fare nuove alleanze tra soggetti che stanno fuori e dentro il municipio, non importa se fanno parte o no di un’associazione formalmente riconosciuta. La nostra città - ma anche la nostra valle, il nostro lago o il nostro litorale - può diventare un laboratorio straordinario su molti temi”. Considerando quanto le problematiche presenti nelle nostre realtà amministrative siano tra loro diverse, come si diversificano tra loro i regolamenti?

I Regolamenti traggono tutti la stessa base dalla base del Regolamento messo a punto da Labsus, non solo a Bologna ma in moltissime altre città sia più piccole che più grandi. Questo testo ha una prima parte che è sempre la stessa ed è fondamentale: il Comune si pone in una posizione non autoritativa nei confronti dei cittadini ai quali propone - e che gli propongono - i Patti di collaborazione. Questi patti si stipulano tra contraenti che sono alla pari. Ogni contesto ha le sue specificità e la sua storia: infatti le città e i

territori hanno proposto alcuni adattamenti e modifiche al testo. Ad esempio esistono Regolamenti messi a punto da più comuni insieme per la cura di un territorio, come nel caso del lago di Bracciano. Oppure Regolamenti che vogliono capitalizzare decenni di esperienze partecipative, come nel caso di Torino. Il sito di Labsus è costantemente aggiornato a riguardo. Come i cittadini possono partecipare alla rigenerazione di beni comuni?

I cittadini che vivono in città che hanno adottato il Regolamento possono appunto proporre di stipulare un patto di collaborazione ad altri soggetti privati, del terzo settore e pubblici: il proprio Comune in primis, ma anche altri enti.

Si sono aggiunti altri principi: Ragionevolezza, Precauzione, di Accesso ai beni, e quello della Responsabilità sociale. Ce ne descrive le diverse caratteristiche?

Tra tutti questi principi direi che quello di Responsabilità è centrale: noi preferiamo parlare di società responsabile anziché di società civile. L’amministrazione condivisa, che si attua attraverso il Regolamento, piace a chi vuole condividere non solo un progetto con dei partner, ma anche e soprattutto a chi sceglie di responsabilizzarsi per far fronte alla complessità dei problemi ambientali, sociali, economici e istituzionali.

Nel caso in cui siano i cittadini a curarsi dell'amianto ad esempio, ci si chiede: c'è la giusta preparazione, nonché un’adeguata tutela dal rischio?

Non possono essere i cittadini a rimuovere l’amianto. È chi vanta il diritto di proprietà dell'area ad avere l'obbligo di rimuoverlo, e solo attraverso l’opera di ditte specializzate (normalmente le stesse che hanno l'appalto per la gestione particolare dei rifiuti pericolosi). Diverso può essere il discorso per la sensibilizzazione rispetto al tema della rimozione dell'amianto e al censimento delle aree dove ancora è presente (sono ancora tante): quello potrebbe essere un tema che i cittadini possono affrontare.

Sicuramente il cittadino copre le mancanze dell'amministrazione, ma questo non deresponsabilizza ulteriormente i comuni?

Il cittadino non si sostituisce all’amministrazione. A noi di Labsus non piace sentir parlare di adozione di luoghi pubblici da parte dei cittadini, perché l’adozione presuppone l’abbandono. Sosteniamo invece qualcosa di ben diverso: i cittadini che hanno proposte, idee, risorse di diverso tipo, devono poter essere liberi

di collaborare con l’amministrazione. Reciprocamente, l’amministrazione deve poter proporre soluzioni nuove a problemi calcificati. Le combinazioni possibili sono infinite, e le prime decine di patti di collaborazione che sono state stipulate nelle città del Regolamento sono già significative di come possano essere messe in pratica azioni diversissime. Alcune ce le si poteva aspettare, altre proprio no. Tra chi si responsabilizza, ad esempio, ci sono a Bologna degli abitanti senza fissa dimora. Attraverso un patto di collaborazione, ad Acireale in Sicilia, è stato rimesso a posto un teatro chiuso da tempo. Ma a volte anche dietro a patti che potrebbero sembrare banali può nascondersi grande coraggio, come nel caso di chi sfida alcuni contesti malavitosi prendendosi cura di un piccolo pezzo di spazio pubblico. E in ogni caso il meccanismo del patto di collaborazione va nella direzione dello snellimento burocratico.

A sovrintendere tutti questi gruppi di cittadini volenterosi ci sono dei tecnici?

Il verbo sovraintendere non è appropriato: il soggetto pubblico è un contraente alla pari del patto di collaborazione che ha stipulato con gli altri contraenti, associazioni, privati, eccetera. Questa è la radicale differenza rispetto agli accordi, che il soggetto pubblico può invece rescindere in modo autoritativo quando sia insoddisfatto dell’accordo e di come si sta/stiano comportando gli altri soggetti che sovraintende.

I tre Patti di collaborazione più noti e presi in esame da Labsus sono quelli stipulati nei comuni di Bologna, Siena e Casapulla. Riguardano la cura e la rigenerazione di spazi pubblici, la manutenzione e il restauro di un monumento pubblico e la creazione e l’uso di orti didattici. Come sono andate queste esperienze?

Le esperienze in corso, queste e molte altre, stanno andando molto bene: c’è un dato che parla da solo. Dopo due anni il Comune di Bologna parla di 200 patti di collaborazione stipulati, e 103 sono pubblicati sul sito. Ma il giudizio positivo non è tanto a partire da risultati quantitativi. Ciò che più colpisce è piuttosto la qualità dei processi di co-progettazione che si stanno muovendo in tutta Italia, costruendo alleanze inedite e affrontando sfide difficili.

Come cambiano o si adattano i Patti alle diverse realtà passando queste da metropoli come Roma o città a misura d'uomo come Bologna a piccole realtà come Pontecorvo?

Come sottolineavo prima ogni città ha caratteristiche uniche: a queste si adattano, minimamente, i rispettivi Regolamenti, e, massimamente, i patti di collaborazione (che in alcune città sono stati ri-battezzati patti di condivisione). L’invito è quello di seguire il nostro sito web per leggere questi documenti che Gregorio Arena ha definito “nuove fonti del diritto”, e che anche all’estero stanno riscuotendo sempre maggior curiosità e interesse. 59


BLOCK NOTES Come nasce e cresce, fino alla sua completa realizzazione, l’idea di un orto urbano?

Francesca Oggionni

Gli orti in città L’orticoltura urbana sta ridestando interesse in tutta Europa. È un’opportunità per recuperare dei rapporti naturali tra l’uomo e il suo intorno. Ha un valore sociale, culturale, paesaggistico e ambientale Quali fattori o cause o ideali promuovono un sempre crescente interesse per gli orti urbani?

L’orto urbano esplica la sua funzione sociale rivolgendosi in modo particolare agli anziani e ai giovani: doversi recare sul posto con frequenza praticamente quotidiana permette di intrecciare legami interpersonali tra i conduttori, che sfociano poi nel confronto, nell’interesse e nel dialogo. Di importante valore in questo senso è la presenza di una zona di aggregazione dove siano previsti liberi spazi di ritrovo per tutti gli “ortisti”. A ciò si aggiungano l’impegno fisico che può derivare dalla conduzione di un piccolo orto e le sensazioni psicologiche che fornisce un’attività di questo tipo, in cui la soddisfazione (o il rammarico) dettata dai risultati ottenuti rappresenta comunque uno sfogo, uno stimolo per la propria applicazione, una fonte di serenità per il proprio impegno. L’orto urbano si afferma quindi come vera opportunità di recupero dei rapporti naturali tra l’uomo e il suo intorno; esso offre la possibilità di stare all’aria aperta, in un luogo di “pausa” rispetto alla vita cittadina, che permette di riscoprire, a contatto con la natura, stimoli e meccanismi invariati, che l’uomo spesso pensa di aver perso. Stare in mezzo al verde, lavorare all’aria aperta, stare a contatto con altre persone, fare esercizio fisico, questa è la scelta fatta da migliaia di persone che hanno trovato nell’orto un nuovo modello di stile di vita. L’orto urbano moderno si fa sempre più polifunzionale. Esso non è più un’attività residuale alla fine delle ore lavorative, e la sua coltivazione non rappresenta più il ritorno alle origini degli operai nostalgici, perché i nuovi anziani non hanno origini rurali a cui tornare. Al contrario comincia in tutto il mondo una stagione di sperimentazione legata a questi spazi che chiama in causa nuove questioni: sociali, culturali, paesaggistiche, ambientali, intensificando come mai il significato stesso di orto. Orti didattici, orti terapeutici, orti temporanei, orti ornamentali, giardini di famiglia, community garden, sono tutti volti di una stessa realtà che trova il suo comune denominatore nell’attività di coltivazione. 60

Un orto urbano può avere un’estensione molto variabile, generalmente compresa tra i 50-70 e i 120-170 mq, a seconda del paese in cui si trova e delle normative a cui è sottoposto; ma le dimensioni possono raggiungere livelli anche superiori. Tendenzialmente l’orto urbano è uno spazio delimitato singolarmente non necessariamente recintato. Oggi, per favorire l’integrazione, l’orto urbano è spazio aperto dove ciascuno coltiva la propria particella ma nel contempo può confrontarsi con il vicino. Le forme ottimali e più diffuse per il lotto di un orto sono quelle regolari, ma è possibile, per ragioni di natura del terreno e vincoli preesistenti, che assumano forme diverse e, soprattutto nel caso di aggregazioni consistenti, si tende a introdurre variazioni per evitare la ripetitività stessa degli elementi. Anche l’organizzazione interna del lotto consiglia, per gli aspetti pratici, disposizioni regolari. Una questione importante è legata al tipo di recinzione esterna del complesso degli orti dove invece è opportuno mantenere le permeabilità faunistiche necessarie. La dotazione del singolo orto consiste o in un capanno per il ricovero degli attrezzi e dei prodotti per la conduzione dell’orto, o in tettoie o in casse porta attrezzi distribuite in ciascun orto. Importante è la costruzione di un punto di rilassamento all’ombra di una pergola o di un grande albero. Questi spazi comuni sono eccezionali per creare gruppo e solidarietà. Generalmente i capanni sono di legno, ma anche strutture in plastica o metallo sono diffuse: i materiali usati possono essere di recupero o nuovi, dipende dalla libertà lasciata all’orticoltore nella gestione del proprio lotto dai regolamenti imposti e dalle condizioni generali in cui si trova il lotto. Spesso, infatti, i regolamenti delle associazioni prevedono l’uniformazione dei caratteri di capanni e recinzioni, a vantaggio di un aspetto complessivo regolato, piacevole e ordinato. Talvolta anche una serra può essere presente come struttura aggiuntiva; generalmente si tratta di piccoli tunnel di plastica o vetro, necessari per la protezione di alcune colture nei mesi più rigidi dell’anno o per realizzare i semenzai. Utili i vialetti di accesso alle singole parcelle e un impianto idrico semplice, ma diffuso. Quest’ultimo può essere realizzato attingendo da pozzi, dal reticolo idrico presente nel comune o, ma meno sostenibile, da acquedotto. Importante è che sia comunque dettato il criterio del risparmio idrico, condizione per mantenere elevato il grado di sostenibilità dell’attività. Nati come gestione spontanea, da parte di cittadini, di terreni incolti e abbandonati, gli orti urbani sono diventati una valida occasione di riqualificazione del territorio e di integrazione sociale. Come si evolve questa nuova sfida paesaggistica?

La produttività è il carattere specifico che distingue i paesaggi commestibili dagli altri spazi verdi urbani. Alternando la vocazione redditizia e di sostentamento a quella ricreativa, queste forme di paesaggio hanno spesso accompagnato le città – si pensi ai giardini pensili di Babilonia e all’hortus conclusus medievale oppure agli allotment gardens riproposti ciclicamente in tempo di guerra – e tornano oggi alla ribalta nella forma dell’orto urbano e del community garden di matrice anglosassone, che riflettono le modificazioni in atto sul piano dei comportamenti e dei consumi nella sfera dell’abitare e del


tempo libero. Gli orti urbani sono oggi, innanzitutto, catalizzatori di socialità. Nel caso di un complesso ortivo, per esempio, la dimensione individuale della coltivazione della singola parcella è smorzata dalla vicinanza con le altre: gli ortisti parlano tra loro, si scambiano informazioni, consigli, condividono un hobby e uno spazio per praticarlo. Non si dimentichi il presidio sul territorio che svolgono gli ortisti: all’interno di parchi è una funzione essenziale e importante. La nostra società ha in divenire un processo di crescente analfabetismo rispetto alle questioni legate al mondo della ruralità e della natura. Il cittadino è sempre meno consapevole del paesaggio e del territorio in cui vive ed estraniato dalle logiche produttive del “fare” agricolo. Il cittadino può essere di nuovo educato, e reso consapevole della percezione dello spazio e del tempo, stimolato e coinvolto a tutto tondo nel complesso delle sue percezioni sensoriali: visive (forme e colori), tattili (consistenza, umidità, sofficità), uditive (foglie secche, uccelli), gustative (assaggio diretto dei prodotti) e olfattive (odori delle verdure, dei frutti, dei fiori, del letame...). Se e quando entra in gioco l’architetto paesistico?

Importanti tutte le figure che guardano in modo trasversale alla società: non solo architetti ma anche agronomi, sociologi educatori sono importanti. Sempre più bisogna guardare in modo trasversale alla tematica che investe la nostra società. Risposte settoriali sono di minore efficacia. Certamente il paesaggista sa cogliere aspetti che vanno oltre l’organizzazione di uno spazio, mettendola in relazione con il contesto . Ma è fondamentale e spesso viene a costituirsi proprio un processo di progettazione partecipata per accogliere fin dall’inizio le istanze della cittadinanza. Qual è il ruolo degli enti pubblici in queste realtà?

Il ruolo, la volontà e le risorse dell’Amministrazione pubblica locale sono condizione indispensabile per l’avvio e la continuità di un’esperienza di orti urbani in assenza dei quali possiamo avere solo sporadiche esperienze di orti abusivi che nel migliore dei casi hanno un impatto negativo sul paesaggio. La realizzazione di orti urbani consente di far crescere la funzione dell’Amministrazione e delle sue politiche da un lato e dall’altro la concreta possibilità per i cittadini di partecipare alla creazione di valore ambientale, sociale ed economico. Non ultimo la voglia da parte delle amministrazioni di entrare in un rapporto di condivisione con la cittadinanza nel favorire l’integrazione di nuove etnie e di accoglienza per i nuovi cittadini. L’interesse verso gli orti si è svegliato in tutta Europa. Quali sono i paesi più sensibili e più all’avanguardia in questo tipo di progetto di paesaggio urbano?

In tutti i paesi europei si sta assistendo a un rinnovato interesse per la pratica amatoriale dell’orticoltura urbana. Una delle prime esperienze di questi tipi di orti è sorta a metà del secolo XIX in Germania. Fu il medico tedesco Daniel Schreber a lanciare l’idea di reperire i terreni liberi alla periferia di Lipsia per realizzarvi dei piccoli giardini, i cosiddetti Kleingarten, il cui intento principale era quello di consentire ai bambini di giocare all’aria aperta in un momento storico in cui l’urbanizzazione aveva chiamato tante famiglie dalla campagna in spazi ristretti e senza verde. In seguito i Kleingarten diventarono presto orti urbani a disposizione di intere famiglie. Dopo la prima guerra mondiale ebbero una grande diffusione, tanto che una legge del 1919 ri-

conobbe ufficialmente la loro importanza e vennero introdotte varie forme di sostegno pubblico. Oggi in Germania gli orti urbani della sola città di Berlino investono una superficie di oltre 4000 ha. In Francia il ruolo di iniziatore del movimento degli orti urbani spetta a un sacerdote cattolico: Jules Lemire con la creazione dei jardin ouvriers. Acquistava, alla periferia delle città industriali, terreni inedificati da assegnare agli operai perché li coltivassero a orto. Lemire voleva perseguire contemporaneamente intenti sociali e morali: coltivando un orto gli operai raggiungevano una certa sicurezza alimentare e insieme disponevano di un modo sano di trascorrere il tempo libero. Vi erano anche benefici morali: antidoto all’alienazione del lavoro in fabbrica e mezzo di educazione ed elevazione morale della classe operaia. La rinascita dell’interesse per la coltivazione dell’orto coincide con la crisi economica che ha colpito l’Europa a partire dagli anni Ottanta. Sino a pochi anni fa era l’ultima moda delle feste dei divi di Hollywood invitare gli ospiti a cena e offrire le primizie coltivate sulla propria terrazza o veranda. In Gran Bretagna la Ong, che si occupa della gestione del patrimonio culturale della Gran Bretagna, assegna appezzamenti compresi nelle terre delle dimore storiche del Regno Unito ai cittadini che hanno espresso il desiderio di coltivarsi in proprio frutta e verdura. La decisione del National Trust è maturata di fronte a una lista d’attesa di oltre 100 mila persone che hanno fatto richiesta di “allotment”, cioè di piccoli appezzamenti di terra ad uso agricolo spesso situati nel centro delle città. "Capital growth" è il nome di una campagna avviata a Londra per trasformare zone derelitte e spazi di risulta della città in progetti comunitari di coltivazione di frutta e ortaggi allo scopo di fornire alle comunità locali cibo naturale prodotto in loco. Il progetto (attraverso l'attivazione del contributo in terreni richiesto a scuole, aree residenziali, aziende e singoli cittadini) consiste nell'offerta di un supporto tecnico e finanziario alle comunità interessate ad avviare esperienze di autosufficienza alimentare all'insegna della sostenibilità. Questa accelerazione tutta britannica verso gli orti in città è in realtà inserita in una tendenza presente da decenni in molti Paesi europei: in Svizzera o in Germania gli orti urbani costituiscono vere e proprie fasce verdi, in Olanda fanno parte integrante della progettazione dei grandi parchi urbani.

Orti verticali, orti sui terrazzi, orti aziendali. Le realtà aumentano e si diversificano. Se è una reale esigenza allora ci si chiede: perché in alcune realtà di provincia i terreni restano incolti e abbandonati?

L’abbandono di terreni in periferia segue altre logiche. I terreni agricoli non trovano più interesse nella coltivazione perché il loro raggiungimento risulta difficile , imbrigliati come sono all’interno del tessuto urbano. Ma sono proprio gli orti una forma di riuso che potrebbe in modo interessante coinvolgere terreni residuali compresi quelli in attesa di nuova definizione urbanistica. ✽

(Francesca Oggionni è agronoma e docente in materie ambientali. È titolare dello studio Progetto Verde che da oltre 20 anni si occupa di progettazione del verde, di recupero ambientale e di pianificazione nel paesaggio rurale) 61


POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Montpellier (Francia)

Tipologia nido d’infanzia,scuola materna,scuola elementare,mensa Architetti Dominique Coulon & Associés Committente Comune di Montpellier Ingegneria strutturale Batiserf Ingénierie Paesaggio Bruno Kubler Area 3.444 mq Completamento 2015

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POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Dominique Coulon & Associés

GEOMETRIE DINAMICHE Lo studio Dominique Coulon & Associati ha progettato un complesso di scuole a Montpellier, dedicato allo scrittore e politico francese “André Malraux”. Ipercolorato, il polo scolastico fa parte di un programma di sviluppo che ha tra gli obiettivi anche quello di collegare la città al mare

Tutte le foto di Eugeni Pons

di Federica Calò

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U

POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Montpellier (Francia)

n ambizioso progetto quello condotto dalla comunità di Montpellier che ormai da anni si sta tentando di realizzare e che prevede la creazione di un asse attrezzato che, partendo da questa città, raggiungerà le coste del Mar Mediterraneo. Sono state insediate lungo questo collegamento lineare una serie di attività particolari e attrattive, fra le quali un nuovo polo scolastico progettato dallo studio Dominique Coulon & Associati inaugurato nello scorso settembre 2015. Quest’insieme di scuole di diverso ordine e grado hanno occupato un piccolo isolato di forma triangolare su via Joan Miró, come previsto dal piano ur-

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bano comunale e in linea con la politica urbana di quest’amministrazione che punta a densificare di propulsori le nuove zone residenziali, per evitare la creazione di soli quartieri dormitorio. La scuola, circondata da verde e adiacente al Parco Georges Charpak, ospiterà un totale di quindici classi divise in dieci sezioni elementari e cinque di scuola materna, e una sala da pranzo, un ufficio, spazi per le attività del doposcuola e strutture all’aperto come patii e cortili. Al piano terra si trovano la scuola materna e il centro per le attività del pre e del dopo scuola. Sopra la copertura della materna è stata realizzata un’artico-

L’edificio scolastico di Coulon è caratterizzato da una serie di corpi architettonici di forme geometriche regolari. I differenti materiali sottolineano l’esistenza di questa complessità compositiva


POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Dominique Coulon & Associés


POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Montpellier (Francia)


POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Dominique Coulon & Associés

lata area giochi, mentre la scuola elementare occupa i due piani successivi del complesso. L’edificio scolastico di Coulon è caratterizzato da una serie di corpi architettonici di forme geometriche regolari ma aggregati fra loro secondo delle composizioni che regalano movimenti dinamici. I volumi, i materiali e i colori, infatti, si sovrappongono su tre livelli, in una composizione che assomiglia a una combinazione tipica di un gioco di costruzioni per bambini. L’incrocio fra essi crea dei patii interni, stanze accoglienti, aule inondate di luce naturale e una grande struttura a sbalzo, elementi architettonici alla base di questo progetto pensato per un uso da parte dei piccoli utenti. Ogni volume è caratterizzato da un colore e da un materiale diverso in base alla funzione ospitante: all’esterno alcuni corpi mostrano una finitura a cemento grezzo liscio accostati ad altri volumi intonacati di grigio ghiaccio o color rosa confetto, mentre i due corpi a sbalzo sospesi sono rivestiti dallo stesso intonaco rosa confetto o nero, arricchiti dal fissaggio di piccoli prismi in 3D tono su tono che donano una vibrazione e un gioco di ombre sulle facciate. Internamente le varie aule sono collegate da ampi spazi di collegamento con un pavimento rivestito da ceramiche di piccolo formato scure intervallate da un gioco apparentemente casuale di piccole piastrelle dai toni caldi. Soffitti e pareti riprendono la finitura del cemento grezzo liscio dell’esterno. Le aule della scuola materna tentano di riprodurre, con un gioco di colori a tinta unita rosa confetto e con morbidi arredi, un ambiente confortevole e familiare adatto per le esigenze dei più piccoli. Mentre le aule per i bambini delle elementari si vestono di bianco e riflettono maggiormente, proprio per questo, tutta la luce naturale che filtra da intere pareti vetrate rivolte verso i giardini piantumati. Le aule al primo piano, infatti, si possono raggiungere

PROSPETTO OVEST

PROSPETTO EST

SEZIONE TRASVERSALE

PROSPETTO NORD

PROSPETTO SUD

SEZIONE LONGITUDINALE


POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Montpellier (Francia)

SCHEMA ESPLICATIVO DEL PROGETTO

Sopra: lo schema aiuta a comprendere il confronto fra una disposizione funzionale degli spazi di una scuola tradizionale e una divisione pensata per il comportamento dei bambini, con spazi più articolati ai fini didattici. Sotto: vista degli interni illuminati da ampie vetrate e curati nella scelta dei materiali e dei toni cromatici

direttamente dall’area giochi esterna, senza dover necessariamente attraversare tutto l’edificio. Le superfici vetrate hanno un ruolo importante e sono state progettate considerando il miglior orientamento e la maggiore quantità di luce necessaria utile alle attività svolte. Sono presenti aperture sia a nord che a sud e garantiscono così le migliori condizioni d’illuminazione possibili insieme e un’ottima areazione naturale. Anche le zone di passaggio sono illuminate naturalmente grazie alla presenza dei patii verdi interni e di ampie finestre a nastro poste

lungo le facciate. Ampie scritte colorate riproposte su alcune vetrate dell’ingresso e ricorrenti anche sulle superfici verticali trasparenti degli spazi interni contribuiscono a donare quell’aspetto giocoso tipico degli ambienti ludici. La stessa attenzione posta per il disegno degli spazi interni è stata utilizzata anche per la progettazione degli spazi gioco esterni. Il momento del gioco, infatti, è una delle fasi in cui ogni bambino è libero di poter esprimere al massimo il suo istinto creativo e la sua immaginazione. I cortili a piano terra sono stati lasciati in parte a cemento, dove sono stati


POLO SCOLASTICO “ANDRÉ MALRAUX” / Dominique Coulon & Associés

SCHEMA FUNZIONALE DELL’EDIFICIO

COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA DELL´EDIFICIO Cortile della scuola elementare protetto dai venti

Cortile dell’asilo nido protetto dai venti

vento Maestrdi ale

area ricreativa amministrazione scala principale mensa asilo nido scuola elementare

riprodotti giochi disegnati a terra come piste o percorsi ludici, e in parte ricoperti da pavimenti antitrauma dal colore rosa shocking, sopra i quali sono stati appoggiati i classici giochi con scivoli e altalene. L’area giochi, invece, ricavata sopra la copertura della scuola materna presenta delle barriere verticali in rete metallica verniciata di bianco che permette la visibilità della veduta circostante. Tale spazio ospita un campetto da calcetto e da basket. La ricchezza degli spazi interni, con i loro giochi di forme, colori e trasparenze, stimolano le percezioni dei bambini che,

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trovandosi ad affrontare il percorso di crescita all’interno di spazi pensati apposta per loro, vengono aiutati e stimolati nei loro processi di apprendimento e di formazione. Questa nuova scuola si contraddistingue per le sue capacità di assorbire e restituire energia positiva resa possibile da uno studio specifico fatto sulle scelte progettuali accoppiate alle esigenze primarie degli utenti che vivono e abitano in un determinato spazio secondo logiche di comfort ambientale, adeguata illuminazione, capacità di ventilazione e ricircolo dell’aria naturale.

In alto, a sinistra: lo schema rappresenta la disposizione delle funzioni all’interno dei differenti volumi, mentre lo schema a fianco dimostra come i vari corpi sono stati posizionati secondo una logica in cui i volumi proteggono dal vento le aree gioco all’aperto. Sotto: l’edificio dialoga con l’esterno tramite superfici vetrate che si affacciano su ampi spazi verdi all’aperto


INQUADRAMENTO TERRITORIALE

PLANIMETRIA PIANO TERRA

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1. hall di ingresso; 2. ufficio permanente; 3. ufficio del direttore; 4. reception; 5. stanze di servizio; 6. ufficio dello psicologo; 7. sala delle riunioni; 8. sala delle attività; 9. sala attività extra curriculari; 10. sala multimediale; 11. ingresso dell’asilo nido; 12. aule; 13. camere da letto; 14. locali tecnici; 15. cortile dell’asilo nido


PLANIMETRIA PRIMO PIANO

1. aule della scuola elementare; 2. cucina; 3. stanze di servizio; 4. sala da pranzo per l’asilo nido; 5. sala da pranzo per la scuola elementare; 6. raccolta rifiuti; 7. spazi attrezzati per lo sport; 8. cortile della scuola elementare

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PLANIMETRIA SECONDO PIANO 1. stanze per gli operatori didattici; 2. aule della scuola elementare; 3. sala multimediale

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STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Delft (Olanda)

WELCOME IN DELFT Progetto Stazione ferroviaria e uffici municipali,Delft Cliente Ontwikkelingsbedrijf Spoorzone;ProRail;CittĂ di Delft Progetto architettonico Mecanoo Progetto strutturale Abt Dimensioni 28.320 mq

Foto di Harry Cock

Stato In corso 2012-2017;inaugurata nel 2015 solo la stazione ferroviaria

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STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Mecanoo

A pochi chilometri da Rotterdam, a Delft, in Olanda, è stata inaugurata e aperta al pubblico la nuova stazione ferroviaria progettata dallo studio di architettura olandese Mecanoo di Federica Calò


STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Delft (Olanda)

Tutti i prospetti del volume architettonico sono realizzati in lastre riflettenti di vetro, articolate con pannelli di vetro fuso con delle piccole sfere sulla superficie (esplicito riferimento alle finestre vernacolari che si susseguono in tutta la città storica). Gli ingressi sono caratterizzati da un basamento vetrato trasparente che dà leggerezza all’architettura

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el febbraio dello scorso anno ha visto la fine dei lavori e la successiva apertura al pubblico la nuova stazione ferroviaria a Delft. La struttura, che conterrà nei prossimi anni anche parte degli uffici comunaliedelnuovomunicipio,fapartediuncomplesso urbano che si trova all’estremità di un nuovo tunnel ferroviario costruito al posto del vecchio viadotto di cemento. Questo imponente corridoio di connessione ha in realtà diviso la città in due parti fin dal 1965 e verrà demolito nel 2017, quando municipio e uffici saranno completati e definitivamente collegati alla stazione. L’intento dello studio di architettura olandese Mecanoo era quello di concepire questa nuova infrastruttura come fosse un ingresso rappresentativo e simbolico della città, che esprimesse nelle linee e nelle forme la sua lunga storia e la sua potenza legata alla moltitudine di edifici storici e canali, alla città “Prinsenstad” strettamente connessa alla famiglia reale olandese e alle fabbriche di ceramiche Delftware, tutte cause e conseguenze che dimostrano oggi perché la Delft University of Technology spicca tanto in fatto d’innovazione tecnologica. Concentrare questi temi in un’architettura-infrastruttura è stato alla base dell’intento dei progettisti che hanno convogliato questi fattori nella complessità compositiva di un volume architettonico. L’architettura nella sua interezza è stata studiata ad hoc e puntualmente modificata in fase decisiva del progetto definitivo al fine di ottenere somiglianze con aspetti tipici degli edifici esistenti della città. Le linee del tetto sono state abbassate agli angoli per ottenere una graduale transizione verso la morfologia più in piccola scala del centro di Delft e dell’adiacente quartiere Wester. Mentre nelle incisioni nel volume di vetro si possono ritrovare rimandi ai vicoli e ai cortili tipici della struttura intricata di Delft. Da questi dettagli è percepibile un attento studio della composizione dell’edificio al fine di ottenere un’architettura impattantecon il contesto e molto efficiente e compatta. Non si voleva, quindi, ottenere un edificio isolato, ma esso doveva trovare compimento nella molteplicità di rapporti intrecciati con l’ambito circostante e, soprattutto, con il mutamento urbano che interessa l’area ferroviaria inglobando quindi una forte visione urbanistica.Progettatosenzainquadrarevolutamenteunprospetto

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Tutte le foto di Mecanoo

STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Mecanoo


La grande hall che caratterizza l’edificio della stazione accoglie tutti i fruitori con uno spazio di ampio respiro sovrastato da un imponente soffitto a volta ondulata, composto di tante lamelle in alluminio ravvicinate e ripetute poste di taglio, sulle quali sono state riportate stampe della cartografia di Delft del 1877


STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Mecanoo



STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Mecanoo

anteriore o posteriore, il volume è compatto e sfaccettato come un diamante, in particolare negli spigoli del tetto e si sviluppa in senso orizzontale. Un basamento completamente in vetro trasparente in corrispondenza delle entrate e delle uscite facilita la connessione tra l’interno e l’esterno individuando la zona pubblica dell’atrio della stazione e del municipio; mentre ai piani superiori saranno dislocati gli spazi privati, gli uffici comunali, la presidenza del sindaco, le sale conferenze e gli spazi multifunzionali. L’involucro esterno è realizzato in lastre riflettenti di vetro, pensato appositamente per far rispecchiare il contesto intorno a tutte le facciate dell’edificio. Le superfici vetrate sono, inoltre, articolate da pannelli di vetro fuso con delle piccole sfere che sono un esplicito riferimento alle finestre vernacolari che si trovano nella città stori-

ca. La combinazione dei pannelli di vetro ad alta prestazione e di quelli decorati in vetro fuso permettono, oltre al movimento estetico, anche un elevato grado di efficienza energetica, perché riducono il consumo del 35% rispetto alla normativa olandese, con il 20% del fabbisogno totale che proviene dai pannelli posti sul tetto. La trasparenza dell’involucro di questo volume, oltre che dall’esterno, è visibile anche dall’interno dell’edificio appena il viaggiatore si approccia alla stazione e approda in città e questo innesta fin da subito quella sensazione di curiosità e di scoperta che si ha quando si arriva per la prima volta in un nuovo luogo. Internamente la stazione è stata organizzata come una grande hall di ampio respiro, sovrastata da un imponente soffitto a volta ondulata composto di tante lamelle in alluminio ravvicinate e ripetute, poste di taglio, sulle

Pagina precedente, in alto: vista del forte contrasto fra la trasparenza delle vetrate e il ritmo cromatico delle grafiche dato dalle lamelle poste come controsoffitto. Pagina precedente, in basso: la scala mobile che conduce ai piani superiori, dedicati ai servizi e alle attività commerciali. L’andamento morbido di questa copertura conferisce movimento a tutto l’ampio spazio

Sopra: l’inquadramento territoriale della stazione rispetto al suo contesto circostante. Sotto: schizzo dell’idea iniziale di progetto, dove si percepisce l’intenzione di far dialogare il contesto con la nuova architettura

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STAZIONE FERROVIARIA E UFFICI MUNICIPALI / Mecanoo

Sopra: la planimetria del piano terra mostra la disposizione funzionale occupata principalmente dalla grande hall centrale. Sotto: l’immagine mostra la vista dal piano rialzato, che ospita gli spazi di servizio alla stazione. Nei prossimi anni saranno concluse anche le parti dedicate agli uffici comunali e al nuovo municipio

quali sono state riportate un susseguirsi di stampe della cartografia di Delft del 1877. La definizione di questo dettaglio è stata realizzata dallo studio Geerdes Ontwerpen, il quale ha sviluppato un software in grado di riprodurre l’immagine grafica sulle 1.929 lamelle, alte 20 centimetri, spesse 7 e collocate a una distanza di 30, per coprire l’intero ingombro del plafone del terminal di circa 7.700 metri quadrati. La copertura sarà riproposta anche lungo i percorsi che condurranno al nuovo edificio del municipio ora in fase di realizzazione e solo nel 2017 si potrà camminare in continuità fra i due nuovi volumi architettonici. Nell’ampio atrio della stazione, un rivestimento personalizzato avvolge le pareti del corridoio, le colonne e le pareti arricchendo ulteriormente lo spazio. Questa texture propone una reinterpretazione contemporanea della ceramica di Delft attraverso una sorta di mosaico che accosta quattro tipi di piastrelle che spaziano dal blu al bianco. Come nella maggior parte delle stazioni i binari della rete ferroviaria corrono nel piano interrato del volume della stazione e questo permette di lasciare una continuità fra le due parti di città che negli anni passati veniva per la maggior parte dei casi divisa dalla tratta ferrata. Ciò consente ampia flessibilità e funzionalità agli spazi dislocati ai piani superiori, che diventano luoghi pensati anche per la socialità. 81


PROSPETTO OVEST

PROSPETTO SUD

PROSPETTO NORD

PROSPETTO EST


SCHEMA DEL FUNZIONAMENTO ENERGETICO DELL´EDIFICIO

massa dell'edificio compatta per ottimizzare il rapporto tra superficie del pavimento e superficie di facciata

sistema di accensione dell’illuminazione dipendente dalla luce solare

superficie di facciata opaca 60% e di facciata vetrata 40%, per l'ottimizzazione del rapporto tra l'ingresso di luce naturale e trasmissione di calore

sistema di ventilazione con il riutilizzo del calore residuo

parametro greencalc + indice di edificabilità 273 epc = 0,66

vista su verde all’esterno

tempi di costruzione brevi grazie alla prefabbricazione

centro di riciclaggio dei rifiuti

sistema di ventilazione a soffitto finestre per la ventilazione naturale luce diurna

sistema di illuminazione con basso carico termico

vetro ad alta prestazione

pavimento flessibile

aria fresca convogliata nel patio

risparmio energetico grazie all’uso di computer

vicinanza ai trasporti pubblici

locale tecnico ICT con sistema di accumulo calore

scambio calore

pompa di calore accumulatore di calore

falda acquifera sotterranea

accumulatore di raffrescamento

pannelli solari


PALCOSCENICI URBANI / orti urbani e orti didattici

COLTIVARE GLI SPAZI PUBBLICI

N

Gli orti urbani determinano la riqualificazione degli spazi e sono considerati dispositivi di socialità, solidarietà e sicurezza egli ultimi anni si registra in Europa e, di recente, anche in Italia una rinnovata attenzione verso il tema degli spazi collettivi, oggi al centro del dibattito politico e disciplinare e oggetto di interessanti esperienze promosse da attori individuali e pubblici. Nelle aree urbane e periurbane si diffondono, in misura crescente, pratiche di riappropriazione e riuso di aree generalmente interne alla città, gli orti urbani, che riscuotono il consenso di amministratori e progettisti e rivelano interessanti risvolti di tipo spaziale e sociale. Gli orti urbani, spazi coltivati a uso agricolo all’interno della città, utilizzano aree aperte verdi o spazi abbandonati, privi di funzione con modalità autorizzate o informali. Il fenomeno legato al riutilizzo delle aree marginali e interstiziali si riferisce a pratiche ambientali so-

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stenibili che possono contribuire alla costruzione di un diverso modello di sviluppo urbano. I potenziali esiti di queste azioni non riguardano solo il recupero della naturalità nei contesti urbani: gli orti sono considerati dispositivi di socialità per la loro capacità di promuovere solidarietà e sicurezza sociale attraverso forme comunitarie di occupazione del territorio. Gli orti urbani, esperienze di gestione condivisa e di riqualificazione degli spazi, sono diffusi nei comuni a forte urbanizzazione e nelle aree periurbane delle grandi metropoli. Gli orti, i giardini, gli spazi dismessi, inutilizzati della città e le azioni civiche collocate nello spazio pubblico rappresentano i nuovi scenari in cui trovano attuazione pratiche attivate dai cittadini, che diventano protagonisti di processi basati sulla condivisione di spazi e di


PALCOSCENICI URBANI / orti urbani e orti didattici

tempi e promotori di innovazione sociale. Le aree verdi pubbliche sono anche i luoghi strategici di questi processi; essi rappresentano elementi in grado di stimolare attenzioni, di orientare una nuova progettualità verso iniziative, proposte, piani e progetti di riutilizzo sociale, didattico, culturale, economico e creativo. L’idea che promuove queste pratiche si basa sulla convinzione che siano proprio questi frammenti di città a rappresentare una condizione favorevole per la ricerca e lo sviluppo di sinergie tra istituzioni e parti sociali nell’invenzione di nuovi contenuti per la sfera pubblica. Piccole azioni per promuovere grandi cambiamenti, con potenziali benefici non solo in termini economici o spaziali, ma estesi anche agli aspetti immateriali, a benefici di tipo sociale, educativo, civico, nel tentativo di creare o ricostruire quelle reti di solidarietà che i processi di trasformazione urbana hanno contribuito a lacerare. Secondo una prospettiva sociologica è opportuno riflettere sull’emergere di una diversa percezione del rapporto tra le aree periferiche delle città e le zone agricole, sia a livello spaziale che sociale e sul ruolo dei cittadini che desiderano un ritorno alle attività rurali, anche se in modo diverso da come avveniva in passato e da come avviene anche oggi in molti paesi del sud del mondo. Nella città contemporanea i confini tra urbano e rurale appaiono sfumati: la campagna penetra nella città e la città si disperde nella campagna rendendo poco visibili i confini tra cityscape e landscape. Lo sviluppo spesso caotico dell’urbano non elimina lo spazio rurale ma problematizzailrapportotraleduedimensioni.Ilrisultato è la proliferazione di paesaggi ibridi, al tempo stesso urbani e rurali. A una crescente domanda di città si affianca una domanda sociale di paesaggio, di spazi aperti, di legami sociali che i processi di globalizzazione hanno contribuito ad affievolire, di una ritrovata voglia di

comunità. Nella ricerca di un difficile quanto auspicato equilibrio tra i territori, l’agricoltura urbana riveste una funzione importante. L’interesse crescente verso i temi della sostenibilità e del benessere proprio e della collettività, il tentativo di conoscere e realizzare filiere corte, migliorando l’accesso al cibo, le abitudini di vita e di recuperare un rapporto (fino a ora trascurato) con la natura e il mondo agricolo, trasformano l’agricoltura in una attività più nuova e moderna, non solo nelle tecniche, ma anche nelle forme di conduzione e di attivazione sociale. I nuovi agricoltori “civici” sono cittadini, cooperative sociali o scuole che coltivano direttamente piccoli appezzamenti di terreno di proprietà comunale con diverse finalità: oltre all’esigenza di avere dei prodotti sani e a prezzi molto convenienti, l’orto urbano rappresenta oggi un’attività di tempo libero, uno strumento educativo, una modalità per recuperare deficit psicomotori ma soprattutto uno strumento per la coesione sociale. Il desiderio di cooperare, di esprimere la propria creatività, la presenza di aspetti ludici che incentivano la partecipazione, la socializzazione e l’integrazione sono alla base del consenso e della diffusione di queste esperienze. Gli orti urbani oggi si impongonoperchérappresentanoinunadimensionemicrocome un’altra città sia possibile. Le pratiche di attivismo urbano reinventano lo spazio pubblico creando luoghi di condivisione e di socialità e ambiti di inclusione. Le recenti pratiche di agricoltura urbana diffuse in misura crescente in molti paesi del mondo hanno in realtà un’origineantica.DagliSchrebergärtendiffusiinGermania nel XIX secolo come spazi ricreativi e salubri dove trascorrere il tempo libero dopo le ore in fabbrica, ai Kleingartenkolonies concessi alle fasce più deboli della popolazione per provvedere ai loro bisogni alimentari; dai jardins ouvriers (giardini operai) francesi in cui l’orto era

A destra: un esempio di urban farm all’interno del Kingsborough Community College a Brooklyn. L’urban farm è espressione di un’economia verde post-carbon e di un’agricoltura etica. Sopra: un orto collettivo in Francia

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PALCOSCENICI URBANI / orti urbani e orti didattici

non solo una risorsa economica e alimentare ma anche un luogo di socialità, agli orti inglesi come forma di welfare; dai victory gardens degli Stati Uniti alle recenti pratiche di urban farm, espressione di un’economia verde post-carbon e di un’agricoltura etica, lo spazio urbano coltivato è, da sempre, espressione di molteplici esigenze materiali e immateriali, economiche e sociali. Se nell’immediato dopoguerra in Germania e anche in Italia gli orti urbani erano finalizzati alla sussistenza, oggi la domanda alimentare rappresenta solo una delle motivazioni che avvicinano i cittadini alla coltivazione di un orto urbano. Gli orti sono considerati importanti mezzi di aggregazione, informazione e formazione. Costituiscono dei veri e propri strumenti didattici. Nella consapevolezza del ruolo che la scuola riveste per la divulgazione del rispetto del territorio e dell’ambiente e per una corretta educazione alimentare, l’orto didattico rappresenta uno strumento multidisciplinare per costruire relazioni tra la scuola, gli studenti e le loro famiglie come rappresentanti di una comunità coinvolta nei temi dell’ambiente e della salute. Anche in Italia l’orto didattico è una realtà diffusa e sono numerose le istituzioni, dalle scuole dell’infanzia fino alle superiori, che sperimentano la coltivazione di ortofrutta. Le finalità

degli orti didattici sono legate all’esigenza di far acquisire ai bambini conoscenze e comportamenti corretti e il più possibile consapevoli nei confronti del cibo e della sua origine; diffondere un’adeguata conoscenza della stagionalità e della provenienza degli alimenti di cui ci nutriamo; promuovere il consumo consapevole di cibo, per favorire l’adozione di abitudini sane e sostenibili; sviluppare il concetto di rispetto ambientale, nella consapevolezza che una sana educazione alimentare debba proprio cominciare fin dalle prime classi. I ragazzi imparano a conoscere ciò che mangiano producendolo da soli e rispettando le risorse del pianeta. La coltivazione dell’orto vissuta come attività ludica veicola, nello stesso tempo, valori importanti come il senso di responsabilità, il lavoro di gruppo e lo spirito di collaborazione, la tutela dell’ambiente e il rispetto per la natura e i suoi ritmi attraverso un approccio nuovo, originale e, soprattutto in un contesto insolito: a contatto con la natura. Gli orti scolastici fanno ormai parte dei progetti educativi diffusi in tutto il mondo. In Europa l’importanza della natura nell’educazione dei ragazzi era già stata espressa da personalità autorevoli come Rousseau e Comenius; in Germania Froebel fu l’ideatore dei Kindergärten in cui i giardini erano considerati strumenti

A destra: orto didattico a Milano in una scuola d’infanzia. Nel capoluogo lombardo sono tanti i progetti di educazione alimentare e ambientale nelle scuole pubbliche. Sotto: uno spazio pubblico destinato a orto urbano a Wattrelos nel nord della Francia


PALCOSCENICI URBANI / orti urbani e orti didattici

educativi; a sua volta Froebel era stato influenzato dallo svizzero Pestalozzi che individuò nei termini “hands, heart and head” presenti nell’agricoltura le linee guida dei processi educativi. Negli Stati Uniti ai primi del Novecento questi principi furono ripresi dal movimento degli School Gardens. A metà degli anni Novanta nasce a Berkeley (California) il primo School Garden di Slow Food, da un’idea di Alice Waters, vice-presidente Slow Food Internazionale, finalizzato a ricreare il rapporto dei ragazzi con la terra. In Italia il progetto di Slow Food “Orto in condotta”, iniziato nel 2014 coinvolge oltre 16 mila bambini, insegnanti, famiglie e esponenti delle istituzioni locali, prevede percorsi formativi per gli insegnanti, attività di educazione alimentare e del gusto e di educazione ambientale per gli studenti e seminari per genitori e nonni ortolani per la trasmissione alle giovani generazioni dei saperi legati alla cultura del cibo e alla salvaguardia dell’ambiente. Nel programma è prevista la costituzione di una rete per la condivisione e lo scambio di idee ed esperienze anche a distanza grazie alla piattaforma virtuale che connette scuole situate in tutto il territorio italiano. A Milano, città caratterizzata da una forte pressione antropica, si osservano esperienze di agricoltura di prossimità e iniziative come MiColtivo, Orto a Scuola, un progetto di educazione alimentare e ambientale nelle scuole pubbliche che promuove una corretta e sana alimentazione. Anche a Roma si registra un aumento degli orti e dei giardini condivisi, che nell’ultimo anno sono passati da 100 a 150. Tra le pratiche più significative, si annovera il Parco delle Magnolie che ospita un orto didattico gestito dal comitato di quartiere di Serpentara all’interno del

Municipio III. Di forte potenzialità sociale e ambientale sono anche i nuovi orti Tre Fontane e quelli del parco diAguzzano,mentrecostituisconorealtàdiinteresseeducativo e culturale le esperienze di Ortolino, nel giardino storico dell’Acquario romano, un orto didattico realizzato all’Esquilino, nel cuore della Roma multiculturale, in collaborazione con il Laboratorio di Architettura del Paesaggio dell’Università Sapienza. Tra gli orti impiantati negli ultimi anni, alcuni meritano un’attenzione particolare, per l’originalità o le valenze sociali che contraddistinguono il progetto, come l’Hortus Urbis, orto didattico con piante antico romane nel Parco Regionale dell’Appia Antica, che ha visto la riattivazione di uno spazio abbandonato, lungo l’antico e sacro Almone, attraverso il contributo dei giardini e orti condivisi della città su progetto di Zappata Romana e del Parco dell’Appia Antica e che ospita tutte le domeniche laboratori per bambini. L’orticoltura didattica rappresenta, inoltre, uno strumento per favorire l’inclusione scolastica dei bambini con qualche forma di disabilità. L’orto scolastico può diventare luogo di incontro, d’interazione e integrazione permanente. Riguardo i potenziali effetti positivi sull’ambiente non è ancora chiaro se la presenza di queste aree verdi riesca a diminuire i livelli di inquinamento o a influire sui comportamenti e sulle scelte di consumo dei cittadini. Tuttavia, l’analisi degli open data disponibili consente di osservare la crescente diffusione della domanda da parte delle fasce dei più giovani e degli anziani per cui si ipotizza nei prossimi anni un aumento di interesse verso queste iniziative. (Rossana Galdini, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche, Sapienza Università di Roma)

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AZIENDE / Fracaro Arte

Interpretare l’arte del bronzo Un mestiere antico, quello del fonditore, che per lo più si tramanda di generazione in generazione. Un mestiere grazie al quale l’idea di un artista si può trasformare in opera d’arte

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La fusione a cera persa è un’arte antichissima, già conosciuta dagli Egizi e molto diffusa nella Grecia classica. È utilizzata principalmente dagli scultori per realizzare opere di bronzo, oro e argento. Oggi le fonderie che operano la fusione a cera sono pochissime e le tecniche utilizzate sono praticamente le stesse di allora che si tramandano da generazione in generazione. Quello che la tecnologia ha cambiato sono gli strumenti a disposizione di queste tecniche. Fracaro Arte opera nel settore della fusione artistica del bronzo da più di mezzo secolo: un’azienda che si è fatta conoscere in Italia e all’estero attraverso l’eccellenza delle sue opere., realizzate grazie a un mestiere antico e prezioso. «La nostra azienda - spiega il titolare Alessandro Rosina - nasce nel 1949 con la generazione che ha vissuto e partecipato alla Seconda Guerra Mondiale. Noi, seconda generazione, abbiamo ereditato questo bene prezioso, qualcosa che nel mondo moderno sta quasi per scomparire: una fonderia a cera persa». Quando e come nasce Fracaro Arte? «L’azienda nasce da una collaborazione con la Campagnolo, famosa azienda produttrice di cambi e accessori per biciclette: allora (anni ’50) si fondevano le pedivelle e alcuni altri componenti in alluminio e ottone. In un secondo momento, poi, sono entrate in gioco la fantasia e

la dedizione al lavoro tipiche di noi veneti: fondere un oggetto meccanico, privo di personalità non bastava più, il desiderio era quello di creare invece oggetti con una personalità, oggetti che si distinguessero dalla massa. E qual è il settore che più di tutti ci avrebbe dato l’opportunità di intraprendere una strada originale? Senza dubbio l’arte. Poi da cosa nasce cosa, inizialmente eravamo una classica fonderia per fusioni a terra, poi l’esigenza di inseguire l’obiettivo “arte” ha portato alla scelta obbligata di diventare una fonderia a cera persa». Qual è la mission di Fracaro Arte? «Lavorare per l’arte, l’arte come lavoro, questo è stato e sempre sarà il nostro motto. Mostrare, con il nostro impegno, la chiave di lettura dell’opera scultorea. Bronzo e marmo sono gli elementi che l’artista sceglie per esprimere al mondo e alle persone il proprio sentimento e il proprio essere. Il marmo lo scolpisce lui personalmente, il bronzo glielo facciamo noi. Il nostro è un mestiere molto complesso, basato su grandi doti di intuizione ed esperienza. Un lavoro manuale che si affida alle esperte mani di bravi operai che lavorano in simbiosi con lo scultore, di cui devono conoscere le preferenze, le scaltrezze e anche le manie. Molto spesso la personalità estroversa degli artisti si scontra con le esigenze tecniche della fusione, vietando l’op-


AZIENDE / Fracaro Arte

portunità di certe soluzioni artistiche che il maestro d’arte ha in mente. Qui entra in gioco la bravura del nostro team che con abilità riesce, anche dove non è possibile, ad accontentare l’espressione artistica dello scultore. Per questo motivo mi sento di affermare che la fonderia a cera persa crea la simbiosi di arte e lavoro. Questo è il principio ispiratore della nostra professione, che diventa missione quando l’oggetto artistico nasce dalle mani di famosi scultori. L’esperienza fornisce quel valore aggiunto che determina la qualità delle lavorazioni e la semplicità con cui si risolvono difficoltà tecniche che si possono verificare in corso d’ opera». Quanti e quali tipi di fusione eseguite? «La nostra principale attività è la fusione a cera persa, ma fondiamo anche nel metodo tradizionale detto a terra o a sabbia. Dove l’elemento per la formatura del negativo è la “terra di Francia”, impasto di sabbia silicica. Mentre per la cera persa la forma negativa è composta da una malta di argilla e gesso, niente a che vedere con la silice. La lega principale e fondamentale del nostro lavoro è il bronzo, ma l’ottone e l’alluminio sono comunque metalli con cui normalmente ci confrontiamo». Il settore in cui lavorate maggiormente? «Il settore che maggiormente occupa la nostra attività è la scultura, che non è sempre sinonimo di arte. Il settore del monumento come arredo è un ramo della scultura che curiamo in modo particolare, perché molto richiesto all’estero come in Italia. La fontana di piazza piuttosto che il monumento alla nobile figura del luogo, la ricorrenzaolastatuacommemorativa,ilsimbolocheidentifica la specialità o il mestiere di un certo territorio, il Santo Patrono, l’eroe, il mito, sono tutti soggetti che suscitano nella gente il bisogno di appagamento estetico o di emulazione. Da un po’ di anni ci siamo spinti anche in settori non tradizionalmente praticati, mi riferisco al settore dell’ arredodomestico,siainternocheesterno,conparticolare propensione all’alberghiero. Collaboriamoconaziendedelferrobattutoperdecorarecon ilbronzocancelli,inferriate,ringhiereeballatoi.Forniamo accessori in bronzo o ottone ai mobilifici, al settore del lighting, del serramento, del giardinaggio, del marmo, della nautica, persino il settore della cinematografia ci ha richiesto collaborazione per allestimenti scenici». Tradizione e tecnologia: quanto contano l’una e l’altra nel vostro lavoro? «Gli oltre 65 anni di esperienza nel settore della fusione artistica del bronzo mi permettono di affermare che c’è un perfetto equilibrio fra tradizione artigianale e aggiornamento tecnologico. La fusione a cera persa è un’arte talmente antica che non è possibile indicarne con precisio-

ne le origini. Oggi le tecniche sono fondamentalmente le stesse di 2500 anni fa, supportate naturalmente da materiali speciali per stampi, da prodotti industriali, da macchinari per la cottura di serie e da forni fusori. Ma come in tutti i lavori dove è in prevalenza la mano e l’ingegno dell’uomo a prevalere mi sento di dire che la tradizione, che per me è esperienza, è sicuramente fondamentale più che la tecnologia». Se dovesse individuare i punti di forza di Fracaro Arte, quali sarebbero? «Fracaro Arte è un’azienda conosciuta e apprezzata nel mondo, in grado di eseguire qualsiasi tipo di fusione senza limitazioni di carattere tecnico, capace di supportare il cliente con un prezioso servizio di consulenza qualificata. Penso sia questo il punto di forza determinante. Poi, ovviamente, la tipologia di lavoro, non molto conosciuto, quindi raro e affascinante. Nei paesi dell’Est europeo, ai tempi del comunismo, la fonderia artistica aveva una solidissima tradizione, supportata dallo stato centrale. Avevano la necessità di palesare la loro forza rappresentando i loro eroi con mastodontici e bellissimi monumenti. Con la caduta del comunismo questa esigenza è venuta meno, e con la chiusura di queste fonderie si è persa una conoscenza di grande valore, tutto a vantaggio dell’Occidente, ma a scapito della nobiltà del nostro lavoro». Quando si parla del vostro lavoro si parla di arte o di artigianato? «Il nostro lavoro ha sicuramente un tratto molto artigianale, e se vogliamo inserirlo nel paradigma che ogni lavoro è un’arte, allora il nostro lo è molto di più di tanti altri. Considerando anche lo strettissimo legame con il mondo dell’arte, possiamo tranquillamente dire che la sua natura sia molto vicina all’arte. Il pittore quando dipinge non ha bisogno che di se stesso e delle sue qualità per esprimere la sua arte. La scultura bronzea ha bisogno oltre che dell’artista anche della fonderia per dare corpo alla bellezza e all’emozione che una scultura artistica sa trasmettere. Quindi quando si parla del nostro lavoro, sicuramente si parla di entrambe le cose».

A sinistra, in alto: monumento ai soldati Sikh caduti in Italia. A sinistra, in basso: cavallo in bronzo bianco, con paramenti arabi del 17° secolo. In questa pagina, in alto: scultura “Indefinito” detto anche Pirellone, perché eretto di fronte al palazzo (Pirellone) della regione Lombardia a Milano, scultore Luigi Gheno. Sopra: cancello in ferro battuto con decori in bronzo brunito e dorato con foglia oro. Sotto: coppia lampade bronzo e foglia oro

PER SAPERNE DI Fracaro Arte Strada Padana sup. verso Verona, 35 36100 Vicenza Tel. 0444563073 www.fracaroarte.com info@fracaroarte.com

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AZIENDE / Gaber

Migliorare l’ambiente Acustico Pannelli a parete, a soffitto e lampade fonoassorbenti progettati per aumentare il benessere di ogni stanza. Prodotti innovativi e sostenibili, riciclabili al 100%

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Gli spazi indisturbati sono sempre più una necessità. Nell’ambiente di lavoro come in quello domestico, vivere in un habitat acusticamente sano migliora la qualità del nostro tempo in modo sorprendente. La progettazione acustica aumenta la produttività, favorisce una sensazione di benessere e aiuta il recupero dallo stress quotidiano. I pannelli fonoassorbenti hanno la funzione di limitare il riverbero all’interno degli ambienti confinati. Negli ambienti chiusi, il rumore complessivo percepito è maggiore della reale sorgente che lo ha generato poiché è incrementato dalle riflessioni prodotte dalle pareti, soprattutto se queste sono costituite da materiali lisci e compatti (riflettenti). La funzione dei pannelli fonoassorbenti è quindi quella di trasformare le superfici riflettenti in superfici acusticamente assorbenti. Gaber, azienda della provincia di Treviso, ha brevettato un programma acustico sviluppato con l’obbiettivo di coniugare il miglioramento ambientale acustico con disegni artistici. Progettato per alleviare l’eccessivo riverbero, il programma si compone di pannelli a parete, pannelli a soffitto e lampade. Il risultato finale è una gamma di prodotti che elevano esponenzialmente il benessere acustico di ogni ambiente, ma che migliorano anche l’esperienza visiva.

Gaber nasce dalla fusione dell’esperienza sviluppata in diverse attività di ideazione, progettazione, costruzione e produzione di particolari in materiale plastico, dedicandosi alla realizzazione di complementi d’arredo dallo stile sempre originale e di grande qualità. Il prodotto Gaber è un oggetto innovativo. La conoscenza dei materiali e lo studio di uno stile personale trovano forma nel concetto di design e comfort che consentono all’azienda di anticipare le richieste del mercato. La sostenibilità dei sistemi acustici Gaber è accentuata dalla riciclabilità, garantita dalla scelta del materiale per il telaio di supporto e dalla facilità di manutenzione delle coperture: entrambi i materiali sono riciclabili al 100%. I prodotti assorbono effettivamente il rumore e i test dimostrano che i sistemi fonoassorbenti Gaber migliorano significativamente l’acustica. La superficie “perforata” dei rivestimenti consente alle onde sonore di penetrare nel centro del sistema (assorbimento); la sezione tridimensionale impedisce alle onde sonore di essere riflesse direttamente, evitando spiacevoli fenomeni di eco (diffusione). I sistemi acustici Gaber sono stati testati in camera riverberante (semianecoica) secondo le norme UNI EN ISO 354 e UNI EN ISO 11654 per determinarne il coeffi-


AZIENDE / Gaber

ciente di assorbimento sonoro. I risultati dei test evidenziano le migliori capacità di miglioramento acustico in relazione al volume occupato, le misurazioni nelle diverse frequenze sono uno strumento indispensabile per i professionisti del settore. Leggerezza ed essenzialità consentono un semplice fissaggio a parete o a soffitto dei sistemi acustici Gaber, con l’ausilio di un supporto brevettato nascosto; i pannelli possono essere posizionati orizzontalmente, verticalmente o diagonalmente, offrendo agli utenti la possibilità di creare disegni simmetrici o asimmetrici. La qualità sei prodotti Gaber si è distinta fina da subito: Stilly, il primo pannello della collezione, ha ricevuto due importanti riconoscimenti, il Good Design 2014 di Chicago, un premio di disegno industriale assegnato dal Chicago Athenaeum: Museum of Architecture and Design, e, proprio quest’anno, il German Design Award, che viene assegnato ogni anno dalla Fondazione German Design Council. Tra i sistemi acustici Gaber, “Fono” merita una menzione speciale perché nasce dalla collaborazione con Marc Sadler, designer eclettico e innovativo. Questo matrimonio non poteva che dar vita a un progetto inedito, in grado di soddisfare anche le più esigenti richieste progettuali con un prodotto che, oltre a decorare con eleganza qualsiasi ambiente, ne migliora la qualità acustica. È un sistema modulare facilmente personalizzabile: elementi semplici, singoli pannelli da assemblare fra loro in architetture di grande impatto decorativo, sia a muro che a soffitto. È una sorta di pixel da unire, ruotare, comporre e scomporre per ottenere diverse percezioni visive. Il perimetro del telaio che è alla base di ogni elemento di Fono può essere illuminata con il risultato di ottenere delle geometrie di luce di grande fascino. Se con-

A fianco: Fono; in basso a sinistra: Diamante sospensione orizzontale; a destra: Diamante double. Nella pagina a fianco, sopra: Diamante con piedistallo; in basso: Madison

sideriamo le variabili cromatiche del tessuto superficiale e della presenza o meno della retro illuminazione comprendiamo di avere a disposizione uno strumento davvero ricco e versatile. “Fono”, lungi dall’essere nato come un progetto tecnico, deve essere considerato come un progetto decorativo in grado di risolvere anche esigenze tecniche. Ogni elemento è composto da un telaio strutturale in tecnopolimero sul quale poggia uno strato di materiale assorbente rivestito da un tessuto decorativo in lana. La sostenibilità del sistema è garantita dalla totale riciclabilità dei materiali impiegati. Il sistema di fissaggio a parete o a soffitto e di clipsaggio degli elementi fra loro è semplice ed efficace, rendendone particolarmente facile la posa. Gli altri due sistemi acustici ideati da Gaber sono “Madison” e “Diamante”. Il primo è un sistema a pannelli modulari per controsoffitti che unisce un elevato assorbimento acustico a un’estetica moderna ed elegante, in sintonia con le nuove tendenze dell’architettura e dell’interior design. La sua modularità e l’ampia gamma cromatica lo rende adatto a qualsiasi tipologia di ambiente migliorandone la vivibilità. Gli elementi quadrati Uniko e Madison di 60x60cm consentono di intervenire a posteriori su superfici orizzontali, installando i pannelli sulla struttura standard del controsoffitto, con una copertura totale dell’area disponibile. “Diamante” è caratterizzato dalla modularità e dalle grandi dimensioni dei pannelli fonoassorbenti 120x60cm, che possono essere posizionati a parete, a soffitto, a sospensione, a piedistallo o attorno a una scrivania. I pannelli Diamante garantiscono così, oltre a un considerevole miglioramento acustico, una maggiore privacy sul posto di lavoro grazie alla separazione degli spazi.

PER SAPERNE DI

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GABER srl Via Schiavonesca, 75/1 31030 Caselle di Altivole (TV) Italy Tel.: +39 0423 915521 Fax: +39 0423 919417 www.gaber.it - info@gaber.it

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AZIENDE / SGL Cubicatura

Diamo spazio a nuove idee per l’arredo Nuove tecniche e soluzioni d’avanguardia per il mondo del design. Grazie ai risultati estetici della cubicatura e della floccatura si aprono nuove strade per le decorazioni

Nel mondo del design la creatività è imprescindibile. I designer sono costantemente alla ricerca di nuove idee e di tecniche adeguate per realizzarle. Tra queste la cubicatura e la floccatura, negli ultimi anni, hanno offerto nuovi spunti mostrando, inoltre, innumerevoli applicazioni. La cubicatura è un particolare processo di decorazione tridimensionale che si applica su qualsiasi superficie, plastica, legno, ceramica, metallo e leghe, vetro. La lavorazione si svolge tramite una pellicola che si deposita sulla superficie dell’acqua che si trova in una vasca particolare a temperatura controllata: non può superare i 35 gradi e non deve essere inferiore ai 32. Successivamente, con un opportuno trattamento, si immerge l’oggetto. Il decoro viene fissato con un rivestimento trasparente che dà una finitura ottimale e molto resistente nel tempo. «I vantaggi dell’utilizzo di questa tecnica sono molteplici, - spiega Giuliano Ronca, titolare di SGL Cubicatura - primo fra tutti la possibilità di trasferire qualsiasi immagine, disegno o personalizzazione su qualsiasi oggetto o finitura». La floccatura è una tecnica più semplice: si ottiene tramite un tipo di colla specifica e l’applicazione del flock con un apposito aerografo. Si applica, come la cubicatura, su qualsiasi tipo di materiale e supporto. Il flock non è altro che un insieme di fibre tessili e, a lavoro finito, la decorazione dà la sensazione di essere di velluto. Al contrario della cubicatura per la floccatura si possono utilizzare solo un numero limitato di colorazioni. Entrambe le decorazioni hanno una manutenzione elementare: per quanto riguarda la cubicatura, si può pulire con qualsiasi prodotto; per il flock basta utilizzare acqua diluita con un po’ di alcol. «Tentiamo di offrire - prosegue Giuliano Ronca - attraverso questo tipo di lavorazioni, nuove idee per l’arredo con prodotti all’avanguardia e, se parliamo della cubicatura, ecologici, perché quello che viene impresso sono pigmenti puramente all’acqua».

PER SAPERNE DI

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DESIGN / Ceramica

È difficile fare una classificazione della ceramica. Può essere diversa per struttura e per composizione. Nonché per colore. È uno dei materiali già presenti accanto all’uomo sin dal Neolitico. Lo ha sempre accompagnato nella sua evoluzione. Fino a oggi, in cui la ceramica è anche usata nel campo dell’elettronica per le sue particolari proprietà da conduttore. Così come in campo biomedico. Impensabile solo qualche anno fa, sono stati generati prodotti ceramici dalla superficie attiva e capaci di interagire con i tessuti ossei. Ma l’uso che l’uomo ne fa non è solo utilitaristico. Un materiale così versatile, diverso, dalle prestazioni multiple, non poteva non entrare anche nel campo dell’arte. E ciò che ha da sempre affascinato l’uomo è la sua plasticità. In tutte le zone geografiche e in ogni epoca la ceramica è da sempre accanto all’uomo. E quanto sono diverse le tecniche di lavorazione tra loro. A cui segue una cospicua ricchezza di prodotti. Di forme. Di usi. Di colori. E anche di espressioni artistiche. La ceramica è un mondo. Un mondo industriale, con e senza design. Artigianale. E anche amatoriale. È un mondo fatto di tecniche, di sperimentazione o di emozione. Fatto di perizie e di scoperte. È arte e tecnica. È un miscuglio di tradizione, cultura e sperimentazione. È terra morbida, plastica, che diventa altro da sé. È l’idea, o il sogno, dell’uomo di poter modellare le cose a sua immagine e somiglianza. O comunque di poter creare ciò che desidera e che pensa. Di dare forma ai desideri. E ha così imparato o scoperto con la forma a darvi anche luce e colore. Stratificazione e trasparenza. Spessore e corpo. Esilità e leggerezza. E con una diversa percentuale Cyclone, Fabbian. La forma curvilinea della lampada, di feldspato e caolino il mondo si amplia disegnata da Bartek Mejor, è ispirata all’idea di mostrare il movimento della ceramica liquida lanciata nello spazio. e cambia completamente giungendo a quello Il vortice ottenuto, bloccato al momento giusto attorno della porcellana. a una fonte luminosa, ha dato la forma al diffusore. 94


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Fossilia, Fos Ceramiche. Una fitta trama minuziosa, che rimanda a fossili di madrepore, fa da scheletro a vasi e ciotole. Fossilia è una collezione di oggetti dal design ricercato, dove la porcellana biscuit dialoga con l’oro e il platino. 95


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Ordini, Driade. La collezione di vasi disegnata da Analogia project è un’interpretazione giocosa e inaspettata degli ordini architettonici classici. La lavorazione ricorda le modanature degli ordini vitruviani, dove le decorazioni architettoniche diventano un elemento ornamentale che gioca con il volume cilindrico del vaso.

Guadalupe, Bitossi Ceramiche. Con questa collezione di vasi Bethan Laura Wood ha deciso di riprendere la tecnica dell’intarsio. Lavorando quindi la superficie come assoluta protagonista, la designer usa l’incisione come primo segno cui solo successivamente si aggiunge il colore. Il colore diventa così un secondo linguaggio che, dialogando con il segno, crea un effetto quasi tridimensionale.

Teapot Monkey, Eligo. La teiera raffigura una scimmia sulla schiena di un serpente: un oggetto funzionale che funge anche da decorazione. Fatto a mano seguendo la tradizione ceramica della bottega di Girolamo Francine a Este: scultore e orafo che alla fine del 700 fonda la sua manifattura di porcellana bianca finissima.

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The Art Collection, Valmori. La collezione di cui fa parte questo tavolino nasce come linea di pezzi d’arte, realizzati con l’utilizzo di materiali che si sposano perfettamente con le proposte ceramiche dell’azienda. È possibile realizzare questo tavolo e gli altri elementi della collezione anche su misura. VasoNaso, Matteo Cibic Studio. Questa collezione è in realtà un progetto di fisiognomica e sociologia degli oggetti. Per tutto il 2016 Matteo Cibic produrrà ogni giorno un vaso in ceramica con un naso, numerato progressivamente da 1 a 365, e ogni giorno alle 13 verrà pubblicata online l’immagine del vaso che potrà essere acquistato solo dal primo offerente.

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Globe Lamp, Entler. Lampada da tavolo in gres pressofuso con raccordi in ottone. Entler è uno studio di design della ceramica situato nel quartiere Echo Park di Los Angeles, specializzato in illuminazione decorativa. Ogni pezzo è realizzato a mano in tiratura molto limitata.

Puzzle, Mutina. Piastrelle in gres porcellanato smaltato che si articolano in un’alternanza tra fondi tinta unita e pattern grafici a più colori. L’idea di base della collezione, disegnata da Edward Barber e Jay Osgerby, risiede nella progettazione dell’intero ambiente e non del singolo rivestimento.

Plumage, BottegaNove. Vaso in ceramica bianca, realizzato a colaggio e smaltato manualmente. La collezione, disegnata da Cristina Celestino, nasce da uno scenario fortemente evocativo, ispirato al piumaggio degli uccelli, che conduce un gioco sottile tra visione contemporanea e lavorazioni tradizionali.

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Zenith, MARC Ceramica Design. Pannello da parete in gres cotto ad alta temperatura (cm 88x33). Una composizione di tre piastre per unire la dinamicità del cerchio alla staticità delle linee e del rettangolo. Fatto interamente a mano dal maestro artigiano Giuseppe Marcadent.

Equilibri, Bitossi Ceramiche. DimoreStudio ha passato in rassegna l’archivio della Fondazione Vittoriano Bitossi per poi decidere di focalizzarsi, in questa collezione, sulla ceramica abbinata all’ottone come in alcune lavorazioni già sperimentate in passato.

Mia, Fabbian. La lampada di Federica Bubani è formata da due corpi conici in ceramica bianca naturale: il primo costituisce la base su cui poggia il secondo, più piccolo, che può liberamente variare posizione a seconda dell’atmosfera che si desidera creare.

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ROBUSTA E FUNZIONALE

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Un materiale amato da architetti e ingegneri che la utilizzano in tutte le sue declinazioni. La ceramica è infatti adatta per l’esterno e l’interno degli edifici. È utilizzata anche nel settore del design, in particolare delle piastrelle. E si può riciclare, come spiega la professoressa Cristina Siligardi

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Cristina Siligardi Si è laureata in Chimica con lode nel 1991 presso l’Università degli Studi di Modena. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Ingegneria dei Materiali nel 1997. Attualmente è professore associato del corso di Scienza e tecnologia dei materiali presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha pubblicato più di 160 articoli su riviste internazionali

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uali sono le caratteristiche principali della ceramica?

Il prodotto ceramico si distingue da altri materiali principalmente per la sua natura refrattaria, ovvero per la sua resistenza alle alte temperature. Si presenta come un materiale con un’elevata durezza, che lo rende particolarmente resistente agli urti e ai segni dell’usura. Altra proprietà importante è l’inerzia chimica che lo rende resistente all’attacco delle principali soluzioni chimiche, acide e basiche, comunemente utilizzate in ambito domestico. A seconda della tipologia di prodotto, i materiali ceramici possono avere alta o bassa porosità; tale caratteristica li rende più o meno densi, ma anche più o meno vulnerabili da un punto di vista meccanico. I materiali ceramici infatti sono fragili poiché la presenza di “vuoti” li rende meno resistenti. Ma se all’aumentare della porosità i materiali ceramici diventano meno resistenti meccanicamente sia alla compressione che alla trazione, le loro capacità isolanti sia dal punto di vista termico che elettrico possono migliorare tantissimo. Infine, aspetto estremamente importante, le superfici dei ceramici possono essere ricoperte con uno strato di materiale vetroso e cristallino, che le rende impermeabili, molto dure, facilmente pulibili, conferendo loro anche particolari caratteristiche estetiche. È corretto dire che i materiali ceramici si dividono in materiali ceramici tradizionali e avanzati? Quale differenza c’è?

Prima di parlare di ceramici tradizionali e avanzati, è necessario fornire la definizione di materiale ceramico: “I materiali ceramici vengono definiti come prodotti ottenuti da materie prime inorga-

niche non metalliche, formati generalmente a freddo e consolidati mediante trattamenti termici che non portano a fusione”. Questa definizione è valida per tutti i ceramici: infatti le materie prime, allo stato di polvere, vengono formate (in presenza o meno di acqua, a seconda del processo di formatura) e cotte ad alta temperatura (processo di sinterizzazione). Dopo cottura il prodotto finito è costituito da un sistema eterogeneo, microcristallino, in presenza talvolta di fase vetrosa e porosità residua. Fino a circa sessant’anni fa i più importanti prodotti ceramici utilizzati appartenevano alla classe dei “ceramici tradizionali”: ne sono esempi la porcellana, i laterizi, le piastrelle, i refrattari, i sanitari e la stoviglieria. In questi prodotti le materie prime di partenza sono di origine naturale, come le argille, i carbonati e il quarzo, i feldspati etc., spesso di basso costo e facilmente reperibili. Negli ultimi decenni è nata una nuova generazione di materiali ceramici detti “avanzati”, che presentano elevate prestazioni strutturali e funzionali, che il ceramico tradizionale non possiede. Per prestazioni “strutturali” si intende la capacità del ceramico di resistere alle sollecitazioni meccaniche e all’usura in condizioni estreme, spesso di alta pressione e temperatura, mentre vengono considerate “funzionali” le proprietà elettriche, elettroniche, termiche, magnetiche, ottiche e chimiche che essi possono presentare in particolari condizioni ambientali. In questi prodotti le materie prime sono pure, spesso di sintesi, selezionate da un accurato controllo granulometrico, spesso costituite da ossidi come allumina e zirconia, carburi, nitruri, boruri, cermets (compositi metallo-ceramici) etc. Anche le temperature di cottura e i cicli termici in questi ceramici sono fortemente dipendenti dalla tipologia di prodotto finito. La loro applicazione si


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A differenza di altri settori produttivi l’industria ceramica, e in particolare quella delle piastrelle, è in grado di riciclare al proprio interno la maggior parte dei rifiuti che produce (foto Niels Timmer/www.freeimages.com). Sotto: Scuole Faes di Milano, ristrutturate dallo studio DRME. La pavimentazione è in gres porcellanato tutto spessore, una delle ceramiche che dà le migliori garanzie qualitative di durata, resistenza e igiene

colloca nei settori aerospaziale, automobilistico, sicurezza, militare, biomedicale e nella produzione di energia. Possiamo quindi dire che le prestazioni dei materiali ceramici possono essere valutate come “tradizionali” o “avanzate” a seconda della purezza della materia prima e dell’accuratezza del processo produttivo con cui questi vengono realizzati. Qual è il settore in cui si usa maggiormente la ceramica?

Il settore dove si utilizzano maggiormente i ceramici tradizionali è quello edilizio-architettonico. Per quanto riguarda invece i ceramici avanzati sono diversi i settori: dai componenti di macchine utensili (cuscinetti, valvole, tenute) ai componenti per lo scambio termico, dall’aerospaziale alla sensoristica e un largo numero di parti di motore. Quanto e come viene utilizzata la ceramica nel settore edilizio?

Gli architetti e gli ingegneri ormai utilizzano la ceramica in tutte le sue possibili declinazioni: in interno e in esterno, per applicazioni strutturali o funzionali, talvolta solo per fini estetico-decorativi. Le applicazioni quindi possono essere molteplici dai pavimenti e rivestimenti classici ai grandi formati, dalle facciate ventilate alle pavimentazioni ad alto spessore con posa flottante, alle coperture tradizionali e cool roof, per l’arredo urbano, fino ad applicazioni più sperimentali quali le schermature solari.

Quali sono i vantaggi di utilizzare la ceramica per oggetti di design?

Gli oggetti di design vengono definiti tali nel momento in cui trascendono dalla loro funzione pratica per assurgere a simbolo di un’epoca, concepiti dalla mente fruttuosa di talentuosi designer che ne colgono l’essenza più autentica. In questi ultimi anni, tra tutti i materiali ceramici tradizionali, credo che il settore delle piastrelle ceramiche sia quello che ha rivoluzionato il processo produttivo, passando da oggetti prevalentemente estetico-decorativi a oggetti di design. Questo salto è stato possibile grazie all’innovazione del processo di formatura che ha permesso la realizzazione di formati sempre più grandi e sempre più sottili, con superfici diversamente strutturate. Inoltre la tecnica della stampa digitale, sia per la decorazione sia per la

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A destra: l’edificio dei Docks a Marsiglia, ristrutturato da 5+1AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo: utilizza la ceramica di CasalgrandePadana nella pavimentazione e sulle pareti

smaltatura, ha implementato la ricerca sulle possibili soluzioni estetiche. Con tale tecnica si riproduce di tutto: materiali naturali (pietre, marmi, graniti…) legni, cementi, tessuti, resine, tappeti fino alle pelli degli animali. Da quando la tecnica digitale è entrata nel mondo ceramico, le possibilità decorative sono quindi diventate innumerevoli. In che modo la ceramica può essere considerata un materiale sostenibile?

Parlare di sostenibilità di un materiale/processo/prodotto in termini assoluti è improprio in quanto il concetto implica di considerare contemporaneamente le tre dimensioni della sostenibilità: ambientale, economica e sociale. Credo si possa eventualmente parlare di sostenibilità dei ceramici in termini comparativi rispetto ad altre tipologie di prodotto aventi la stessa funzione. In generale la ceramica è un prodotto resistente inerte e riciclabile, infatti in fase di dismissione può essere riutilizzato in opere edili o in filiere esterne come materiale post-consumer. Negli ultimi anni gli investimenti tecnologici e gli sforzi di ricerca hanno permesso di ridurre con successo gli impatti della produzione italiana e di recuperare risorse preziose, come le acque e gli scarti di produzione. I livelli eccellenti raggiunti in Italia nella depurazione delle emissioni gassose, anche inferiori agli standard UE Ecolabel, determinano una migliore performance ambien-

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tale rispetto ai concorrenti stranieri. I livelli delle emissioni gassose delle aziende italiane si collocano ai livelli inferiori dei range di valori indicati dalle BAT (Best Available Techniques): il 90% delle emissioni di Piombo e Fluoro e il 99% delle emissioni di polveri è abbattuto dagli impianti di depurazione. Inoltre sono stati ottimizzati i flussi delle merci, attraverso forme di trasporto intermodale su treni e camion e costituendo una serie di minitransit point per raggruppare le spedizioni. La legislazione italiana che regolamenta la produzione ceramica è diventata un punto di riferimento mondiale e le buone prassi applicate dalle aziende, che vanno oltre quanto prescritto dalle norme, sono diventate uno strumento di differenziazione e di vantaggio competitivo rispetto agli operatori stranieri che operano in contesti normativi meno attenti all'ambiente e alla società. La ceramica si può riciclare? Se sì, come?

La ceramica si può riciclare, ma bisogna ben definire quando è possibile farlo. Il riciclo di un qualsiasi ceramico tradizionale dopo cottura, risulta semplice se a utilizzare lo scarto è la stessa azienda che lo ha prodotto. In generale si ricicla la ceramica che ha grossi difetti e quindi non commerciabile. Infatti lo scarto ceramico opportunamente macinato fino un’adeguata granulometria, può rientrare


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nel processo produttivo come materia prima seconda, come “chamotte”, cioè come fase inerte, in sostituzione al quarzo. Il quarzo nell’impasto ceramico consente di diminuire la plasticità del pezzo in crudo oltre a costituirne fondamentalmente lo scheletro. Un riciclo “interno” risulta più semplice perché vi è un maggior controllo dello scarto da un punto di vista chimico-mineralogico. Se invece si parla di “scarto da demolizione”, cioè quando un materiale ha raggiunto il fine-vita, il discorso risulta un po’ più complesso. Quando si sostituisce un tetto, un muro o semplicemente un pavimento di piastrelle, il “rifiuto” non è “pulito” ma porta con sé tanti altri materiali che sono serviti a metterlo in opera (malte, cemento, gessi, addittivi, etc…) quindi non si può riciclare all’interno del processo produttivo, come nel caso precedente. Infatti l’utilizzo principale di questi scarti è come aggregato. Gli aggregati provenienti da macerie, in Italia, non possono essere utilizzati per scopi strutturali, ma vengono generalmente impiegati in riempimenti, sottofondi stradali, massetti e asfalto. La ceramica è un materiale sottovalutato dagli architetti oppure viene sfruttato al meglio?

Credo che per le ragioni che ho detto in precedenza, negli ultimi anni, anche gli architetti abbiano riscoperto la ceramica per opere di design grazie al fatto che si possono produrre materiali con ottime proprietà funzionali ad altissimi contenuti estetici, caratteristiche che non sempre si trovano nei materiali utilizzati nell’edilizia. Dal punto di vista della ricerca, in Italia stiamo lavorando bene?

Quali sono le ultime scoperte riguardo a questo materiale?

Se ci riferiamo ai materiali ceramici tradizionali, alcune aziende investono nella ricerca, sia internamente sia in collaborazione con le università o i centri di ricerca, in modo da essere sempre competitive sul mercato portando “innovazione” sia nel processo produttivo sia del prodotto finito; questo lo si riscontra molto nel settore delle piastrelle ceramiche. Negli altri settori, laterizi, sanitari, stoviglierie, secondo me, c’è ancora molto da fare. Questo non significa che non ci siano aziende “illuminate” cioè che credono nella ricerca, ma la percentuale sul numero totale, è ancora, secondo me, molto bassa. Un altro aspetto da non sottovalutare è la formazione interna dei dipendenti: se si fa innovazione in produzione o nei materiali, i dipendenti devono essere informati e formati e anche questo approccio, spesso manca. Credo che la scoperta che ha rivoluzionato il modo di fare ceramica, come ho già ribadito, è stata la introduzione della decorazione digitale nel settore delle piastrelle ceramiche. ‘Essendo una tecnologia nuova, è comunque migliorabile, ha sicuramente degli aspetti da approfondire, da diversi punti di vista, non ultimo quello della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Un’altra importante innovazione è stata quella dei formati: da piccoli 20x20cm, 30x30cm si è passati a vere e proprie lastre con spessori e lunghezze variabili arrivando anche a dimensioni pari a 1600mmx3200mmx3-30mm. Questa innovazione ha dato la possibilità alla ceramica di essere applicata anche a nuovi settori produttivi come quelli dei top per cucine e lavabi, oggetti di arredo per interno e urbano.

A sinistra: nuovo polo cimiteriale di Copparo, dell’architetto Mauro Crepaldi: un volume puro e neutro realizzato in lastre ceramiche di Edilcuoghi / Kale di tonalità variabile dal beige al grigio

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La nostra industria ceramica è tra le migliori al mondo anche dal punto di vista della sostenibilità. Le aziende italiane investono ogni anno risorse importanti in ricerca e sviluppo ottenendo risultati eccellenti che sono certificati dalle autorità internazionali

IN ITALIA SIAMO SEMPRE PIÙ GREEN N In basso: un atomizzatore: gli ingenti investimenti in nuove tecnologie innalzano gli standard ambientali dell’industria ceramica italiana

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ell’ambito dell’industria ceramica italiana, temi come lo sviluppo sostenibile e il welfare aziendale, sono già da parecchi anni oggetto di specifiche iniziative e crescenti investimenti da parte delle aziende del nostro paese che puntano alla massima attenzione possibile alla qualità della vita nel territorio anche per affrontare le sfide competitive dei mercati internazionali più avanzati. Oggi l’industria ceramica italiana ha, come dimostrano le analisi ambientali svolte, livelli di emissioni nettamente inferiori ai limiti di legge, tali da rappresentare le BAT (Best Available Tecniques), a livello mondiale, ossia l’impronta ecologica più piccola tra tutte le industrie produttrici del mondo. Una leadership già realizzata da tempo. Per raggiungere tali risultati l’industria italiana negli anni ha compiuto un percorso importante trasformandosi nel tempo: «La forte concentrazione territoriale del distretto di Sassuolo, - spiegano da Confindustria Ceramica unito allo sviluppo impetuoso degli anni Cinquanta e Sessanta portò il tema dell’inquinamento al centro della riflessione nel decennio successivo.

La risposta data fu quella di avviare un monitoraggio delle emissioni e di procedere con ingenti investimenti in tecnologia, volti sia ad aggiornare gli impianti che a ridurre il carico inquinante». I rivestimenti in ceramica sono una componente ideale per l’architettura sostenibile perché la ceramica è un materiale inerte e inalterabile nel tempo, caratterizzato dal più lungo ciclo di vita rispetto a quello dei succedanei destinati a pavimento e rivestimento. Oggi trovano impiego nei grandi progetti di architettura, sia in ambienti interni che esterni, sia a pavimento che a rivestimento. Questo grazie alla versatilità delle superfici ceramiche e alle performance tecniche intrinseche al prodotto. «La cottura del materiale ceramico a oltre 1200°C - spiega l’ufficio stampa di Florim, azienda attiva da oltre cinquant’anni nella produzione di superfici ceramiche per l’edilizia, l’architettura e l’interior design, decisamente all’avanguardia in materia di sostenibilità ambientale, unica ad avere il bilancio di sostenibilità porta ad avere un prodotto che non avrà emissione di sostanze organiche volatili durante l’uso, di conseguenza riduce l’inquinamento indoor, causato da impianti e materiali utilizzati per l’arredo di interni, rispetto a quanto accade invece ad esempio per i pavimenti in legno, i laminati o la moquette». L’industria ceramica italiana si è posta tre obiettivi principali: migliorare i processi produttivi per ridurre le emissioni inquinanti e risparmiare risorse naturali; migliorare la qualità della vita con un prodotto igienico, privo di emissioni nocive e utilizzabile in ogni ambiente; contribuire a realizzare edifici ecocompatibili in termini di risparmio energetico e durabilità. Durante il percorso per raggiungere questi risultati le aziende italiane hanno ottenuto diverse certificazioni ambientali come EMAS e ISO 14001 oltre a due tra le più importanti certificazioni a livello mondiale, Ecolabel e Leed. I crediti Leed attestano i requisiti per la so-


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stenibilità ambientale, sociale ed economica degli edifici, e le piastrelle ceramiche possono contribuire al raggiungimento di questi requisiti. «L’Ecolabel è il marchio di qualità ecologica dell’Unione Europea concesso a quei prodotti che, lungo le diverse fasi del ciclo di vita, rispettano criteri ecologici e prestazionali stabiliti a livello europeo e che riguardano l’estrazione delle materie prime, la selezione dei fornitori, i processi di lavorazione, imballaggio, distribuzione, utilizzo e smaltimento», spiega ancora l’ufficio stampa di Florim, azienda che ha puntato molto sulle certificazioni. «Questi criteri, diversi per specifici gruppi di prodotto, sono periodicamente sottoposti a revisione e resi più restrittivi, in modo da favorire il miglioramento continuo della qualità ambientale». Una scelta, quella della sostenibilità, che sembra premiare anche dal punto di vista economico, come confermano da Confindustria ceramica: «Se si pensa che tutti gli appalti pubblici negli Stai Uniti richiedono una certificazione Leed per i prodotti, ci si può rendere conto di come i mercati più evoluti si stanno chiudendo per coloro che non mettono lo sviluppo sostenibile al centro della propria azione. Sul versante dei primati, il livello di attenzione è in continua crescita e questo non può che essere un aspetto di fondamentale importanza». La grande maggioranza delle industrie del settore, quindi, investono nella ricerca e cercano continuamente di rinnovarsi: nel 2015 il settore, nelle sole fabbriche italiane, ha investito in ricerca 350 milioni di euro, pari al 6,9% del fatturato, record assoluto dei primi 3 lustri degli anni 2000. Oltre alle attività di certificazione e alle politiche di sostenibilità sviluppate dalle singole aziende, il settore della ceramica italiana realizza

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A sinistra: una macchina per il recupero termico dei fumi di cottura dei forni attraverso l’utilizzo di scambiatori di calore progettati ad-hoc che permettono un recupero termico per la produzione di aria e/o acqua calda utile per il processo produttivo. Sotto: piastrelle della collezione Pietra del nord dell’azienda Florim, certificate Ecolabel

progetti e iniziative collettive: «siamo partiti dal monitoraggio della situazione per passare ad analisi e studi di settore sui consumi di energia e dei diversi fattori produttivi, - spiegano da Confindustria Ceramica - utili per sviluppare il benckmarking per le singole aziende, per arrivare a una attività, fondamentale, di comunicazione dei risultati raggiunti, al fine di diffondere una conoscenza dei valori di sostenibilità dell’industria ceramica italiana. E per il futuro, vogliamo continuare sulla strada dell’eccellenza: vogliamo continuare a essere un distretto manifatturiero, con modelli di sviluppo sempre più improntati ad aspetti di sostenibilità, lungo percorsi dove fare innovazione significa immaginare oggi la produzione ceramica di domani. Se a livello di volumi altre aree del pianeta producono di più, a livello tipologico, tecnologico ed estetico l’eccellenza mondiale è fatta in Italia».

SOSTENIBILITÀ - DATI DI SETTORE 2015

ISO 14001: 21 aziende È una norma internazionale ad adesione volontaria che specifica i requisiti di un sistema di gestione ambientale

ISO 50001: 1 azienda È una norma internazionale volontaria che offre alle organizzazioni i requisiti per i sistemi di gestione di energia (SGEn)

EMAS: 17 siti produttivi È uno strumento volontario creato dalla Comunità europea per valutare e migliorare le prestazioni ambientali e fornire ai soggetti interessati informazioni sulla gestione ambientale delle aziende

ECOLABEL: 32 marchi commerciali È il marchio dell’Unione europea di qualità ecologica che premia i prodotti e i servizi migliori dal punto di vista ambientale

GBC Italia: 28 aziende L’Associazione riunisce in Italia le aziende, definisce i protocolli e valida i progetti secondo i propri protocolli ambientali USGBC: 9 aziende È la casa madre americana che svolge, per gli Stati Uniti, analoga attività di GBC Italia, a cui si aggiunge anche il coordinamento internazionale OHSAS 18001: 8 siti produttivi Identifica uno standard internazionale per un sistema di gestione della sicurezza e della salute dei lavoratori

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TECNICA E CREATIVITÀ: BINOMIO VINCENTE Geometrie diverse, contrasti originali, riflessi particolari. Sono queste alcune delle caratteristiche della ceramica che affascinano l’architetto Giampiero Peia titolare, insieme all’architetto Marta Nasazzi, dello studio Peia Associati, che da poco ha ricevuto un premio proprio per un progetto che ha la ceramica come protagonista 106

Giampiero Peia, architetto e designer, negli ultimi 15 anni si è sviluppato in molteplici esperienze progettuali e realizzative in Italia e all’estero


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na villa privata costruita nel 2014 nella splendida isola greca di Antiparos, caratterizzata da un’architettura che si ispira a quella tipica delle isole Cicladi, di cui Antiparos fa parte, dal punto di vista delle forme, dei materiali e dell’orientamento. Con questo progetto lo studio Peia Associati ha vinto il concorso “La Ceramica e il Progetto” per la sezione Residenziale. Si tratta di un concorso di architettura, promosso da Confindustria Ceramica, che premia le migliori realizzazioni architettoniche con piastrelle di ceramica italiane. I criteri di selezione valutano la progettazione nel suo complesso, l’impiego e la progettazione con le piastrelle di ceramica, la qualità della posa, la valorizzazione dell’ambiente grazie alle piastrelle e alle loro caratteristiche di sostenibilità. La villa privata in Antiparos, si legge nelle motivazioni della giuria, “è stato giudicato, all’unanimità, come il migliore intervento soprattutto in relazione alla lettura del contesto, che qui viene riletto correttamente sia dal punto di vista costruttivo sia per quanto riguarda le condizioni naturali (percorso del sole, orientamento dei venti e l’orizzonte del mare) attraverso un uso attento e definito del materiale ceramico di Marazzi, individuato per le sue capacità strutturali, come la resistenza al caldo e alla salsedine, capace di integrare armonicamente interni ed esterni”. Lo studio Peia Associati Srl è stato fondato nel 2006 dagli architetti Giampiero Peia e Marta Nasazzi, si occupa della progettazione in ambiti diversi, dalle residenze agli edifici pubblici, dagli impianti sportivi agli hotel, passando per edifici commerciali. In occasione di Expo

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In questa pagina e in apertura: alcune immagini della villa ad Antiparos, dove il materiale ceramico è stato utilizzato sia per gli interni che per gli esterni, contando sulla sua resistenza al caldo e alla salsedine


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In basso: Centro Culturale Ikeda per la Pace, inaugurato nel 2014 dallo studio Peia Associati. È il centro Buddista più grande di Europa. È stata scelta la ceramica perché capace di simulare dignitosamente l’uso tradizionale della pietra locale (Serizzo e Beola), riprendendo un tipo di posa tradizionale e garantendo al contempo prestazioni tecniche di alto livello per le parti comuni o pubbliche dell’edificio

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2015 lo studio Peia ha firmato il padiglione della Coca Cola, uno degli edifici con il più alto livello di ecosostenibilità. La ricerca progettuale dell’architetto Giampiero Peia si sposa con la filosofia alla base del lavoro professionale, quindi un approccio pragmatico insieme a una visione e una costante volontà di espressività attraverso lo strumento della tecnica, l’utilizzo luce e l’uso di materiali differenti. Tra questi la ceramica è certamente uno dei più sfruttati. Architetto Peia, come ha utilizzato la ceramica nel progetto della villa ad Antiparos?

L’ho utilizzata per tutti i pavimenti interni ed esterni in modo che si costituisse un "pattern lapideo" che ricordasse i pavimenti storici del sito archeologico antistante, in contrasto con alcune parti e scalinate in marmo locale assolutamente bianco. La ceramica, poi, oltre a essere materiale di sintesi e quindi più ecologico dal punto di vista della fonte ambientale, poteva assicurare alcuni requisiti tecnici specifici. Per le caratteristiche antiscivolo e antiabbagliamento (ceramica color sabbia), si adattava meglio del marmo bianco a essere utilizzata nel cortile che, circondato

dai volumi bianchi e rivolto a sud, sarebbe altrimenti diventato uno specchio invivibile. La ceramica posata a pezzature varie e con giunti minimi (1 mm) per sembrare più possibile pietra, avrebbe anche risentito meno della risalita capillare dell’acqua in corrispondenza del cortile e della copertura della grande vasca di accumulo invernale dell’acqua che garantisce autosufficienza idrica per tutta l’estate, riducendo al minimo la necessità di manutenzione. In virtù della strategia di continuità tra esterno e interno serviva poi un materiale unico e allo stesso tempo vario. Non ultimo, il controllo del budget per le grandi superfici ha permesso di poter usare un prezioso marmo locale per molte altre parti, quali bagni, scale e cucina. Più in generale, come utilizza la ceramica nei suoi progetti?

Sempre con due diverse intenzionalità: o per sostituire, con prodotti molto neutri e al limite materici, la pietra vera, per motivi di budget, peso, spessore; oppure come ceramica nel senso tradizionale e decorativo (come nella tradizione italiana e araba) o come elemento essenziale, come nella tradizione giapponese.


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Può farci qualche altro esempio di progetti in cui ha utilizzato la ceramica?

Il mese scorso abbiamo vinto anche il premio Casalgrande Gran Prix nella categoria spazi pubblici. In quel caso abbiamo disegnato un mosaico a bacchette in ceramica nera lucida per tutte le parti di uno Sky lounge al 61 e 62 piano (il punto più alto e panoramico della città) a Doha, in Qatar per la torre dell’Hotel Kempinski realizzata 7 anni fa. Allora vincemmo un altro premio per dei rivestimenti ceramici effetto marmo per la SPA e la piscina sempre del Kempinski. A Shanghai stiamo rivestendo 9 torri e anche alle Maldive, in due resort in costruzione, stiamo utilizzando ovviamente molto Gres porcellanato in bagni, SPA e piscine. Quali sono le caratteristiche più importanti della ceramica dal punto di vista architettonico?

La possibilità di creare geometrie e patterns diversi e soprattutto contrasti tra opacità e riflessi per creare delle vibrazioni particolari sulle superfici. Nel caso appunto del Kempinski, abbiamo riportato e amplificato tutti i riflessi della città e della baia di Doha dentro i volumi interni rivestiti di queste bacchette ceramiche

nere lucide in iterazione continua di riflessi orizzontali in contrasto con la matrice verticale delle componenti e della torre stessa. Secondo lei la ceramica è un materiale che ha ancora delle potenzialità inespresse?

Tecnica e creatività insieme non hanno mai limiti. Se poi come materiale di sintesi si raggiungono buoni livelli di ecocompatibilità, il futuro può riservare ulteriori innovazioni. Dal decoro alla tridimensionalità, dalle grandi dimensioni agli spessori sempre più sottili. Architetti italiani vs architetti stranieri: chi utilizza maggiormente i materiali ceramici?

Viviamo in un mondo globale. Il fatto che le migliori ceramiche e le più grandi previsioni siano in Italia non significa che gli stranieri non le usino. Giappone, Cina e Medio Oriente hanno tradizioni altrettanto importanti. Comunque la scelta dipende da tanti fattori. Le cave di materiali lapidei si stanno un po’ alla volta esaurendo e hanno problemi ambientali maggiori dei consumi energetici che servono per produrre la ceramica (temperature e presse).

Sopra a sinistra: la Spa del Kempinski Residences and Suites, a Doha. A destra: lo Sky Z Lounge. Qui le piastrelle verticali in ceramica a forma di canule (il modello inventato si chiama infatti Bamboo) assecondano le forme curvilinee dei muri

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LE PIASTRELLE FATTE AL 100% DI SCARTI DESIGN / Ceramica

Il Centro Ceramico di Bologna lavorava da tempo sullo sviluppo di un impasto costituito da materiali di scarto. In cui le funzioni tradizionali della ceramica fossero esercitate dai rifiuti invece che dalle materie prime naturali. Oggi sono pronti i prototipi delle piastrelle fatte con questa nuova miscela

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n materia di ambiente, sviluppo sostenibile, tecnologie e innovazione di prodotto, tentare di prevedere il futuro non può che cominciare dall’analisi della tendenza del presente. È questo il lavoro che ha svolto il Centro Ceramico di Bologna a partire dagli anni Ottanta costruendo una vera e propria mappa dei rifiuti che possano essere utilizzati nell’industria dei ceramici tradizionali. Il Centro Ceramico è un centro di ricerca e sperimentazione per l’Industria Ceramica, gestito da un Consorzio Universitario di cui fanno parte Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Confindustria Ceramica, ANCPL Emilia Romagna, e che ha festeggiato a giugno di quest’anno i 40 anni di attività.

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A destra: il grafico mostra le proprietà meccaniche del materiale utilizzato per i prototipi delle piastrelle. Come si vede il Gres porcellanato tradizionale preparato in laboratorio (LAB) e in industria (IND) e cotto a 1160°C ha un valore limite di resistenza a flessione di 31 MPa e tutte le nuove miscele sono sopra tale limite. Nella pagina a fianco: 1. prototipi di laboratorio smaltati; 2. prototipi di laboratorio; 3. provini di laboratorio

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Resistenza a flessione, MPa Modulo elastico, GPa

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90 80 70 60 50

Le attuali direttive comunitarie in materia di rifiuti incoraggiano e spingono le industrie verso la Circular Economy in cui gli scarti di un processo diventano risorse per un altro. Per essere veramente competitivo il settore delle costruzioni avrà bisogno anche di nuovi materiali più performanti degli attuali, pur mantenendo la specificità di nuovi materiali a zero impatto per l’ambiente. In tale ottica, il Centro Ceramico lavora da diversi anni sullo sviluppo di un nuovo concetto di impasto ceramico in cui almeno il 60% delle materie prime è costituito da materiali di scarto. I primi risultati sono stati raggiunti grazie alle competenze acquisite nell’ambito di studi interni, tesi di laurea e di dottorato. Ciò ha poi permesso di ottenere

Proprietà meccaniche 80

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73 57

73

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32

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LAB IND MIX 1 LAB Gres porcellanato tradizionale (riferimento) 960°C 1160°C

MIX 1 IND MIX 1 IND 940°C 960°C

MIX 2 LAB 960°C


DESIGN / Ceramica

CHE COS’È IL CENTRO CERAMICO È un centro di ricerca e sperimentazione per l’Industria Ceramica, gestito da un Consorzio Universitario di cui fanno parte Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Confindustria Ceramica, ANCPL Emilia Romagna. Fondato nel 1976 dal Prof. Carlo Palmonari dell’Università di Bologna, il Centro Ceramico svolge oggi la sua attività su due sedi: la sede storica di Bologna (Via Martelli 26) e la sede di Sassuolo (Via Valle D’Aosta 1) nel cuore del Distretto Ceramico. Il Centro Ceramico è attualmente composto da 27 unità di personale che includono ricercatori, tecnici e personale amministrativo. Il Direttore del Centro Ceramico è la Prof.ssa Maria Chiara Bignozzi dell’Università di Bologna (Dipartimento DICAM) e i precedenti Direttori sono stati il Prof. Giorgio Timellini (2006-2014) e il Prof. Carlo Palmonari (1976-2006). Le sedi del Centro Ceramico occupano complessivamente una superficie di 8300 mq e dispongono di laboratori e strumentazioni per eseguire prove di certificazione e marcatura, analisi e caratterizzazione di materiali ceramici tradizionali e avanzati. Da giugno 2011, il Centro Ceramico è Laboratorio di Ricerca Industriale della Rete Alta Tecnologia dell’Emilia Romagna e afferisce alla Piattaforma Costruzioni. Il Centro Ceramico rappresenta da quasi 40 anni un centro di ricerca e prove sui materiali ceramici, fun-

commesse dirette da aziende e progetti finanziati in ambito regionale ed europeo. I primi risultati importanti sono arrivati grazie a un finanziamento Europeo, progetto WINCER (FP7 CIP 2013) in cui sono state prototipate a livello industriale piastrelle con il 99% di scarti. I nuovi prodotti ceramici, oltre ad avere prestazioni analoghe o superiori al grès porcellanato, comportano un significativo abbattimento dei costi fissi industriali. La Regione Emilia Romagna, nell’ambito di POR-FESR 2014-2020, ha ammesso a finanziamento il progetto MATER_SOS (Materiali sostenibili per il ripristino e la realizzazione di nuovi edifici), coordinato dal Centro Ceramico in cui saranno realizzati prototipi di “pacchetti costruttivi” utilizzando materiali da costruzione innovativi e sostenibili (calcestruzzi, geopolimeri, malte, piastrelle) contenenti almeno il 60% di scarti. L’idea innovativa si basa su un nuovo concetto di impasto ceramico in cui le tradizionali funzioni (plastificante, smagrante e fondente) sono esercitate dai rifiuti invece che dalle materie prime naturali (argille, sabbie e feldspati). L’approccio innovativo va oltre la parziale sostituzione delle materie

zionale all’obiettivo di rafforzare la collaborazione tra Imprese, Territorio e Università. Le competenze tecnicoscientifiche presenti permettono un approccio integrato ed efficace alla risoluzione di problemi tecnici e tecnologici alla piccola, media e grande scala. Al contempo, la ricchezza di competenze diversificate e strumentazioni sofisticate permette di sviluppare ricerche scientifiche in diversi ambiti, sebbene il settore ceramico rimanga il core business. L’attività del Centro Ceramico si articola in ricerca e trasferimento tecnologico, servizi e assistenza tecnica alle imprese, analisi e prove su materie prime, semilavorati e prodotti finiti, supporto allo sviluppo di normative nazionali e internazionali, formazione. La direzione del Centro affidata all’Università di Bologna crea una sinergia con la ricerca scientifica universitaria, così da garantire un approccio innovativo alla soluzione dei problemi tecnologici propri del mondo aziendale, una conoscenza di alto livello a forte connotazione applicativa per la partecipazione a bandi regionali/nazionali/europei, trasparenza e rigore nel condurre prove e analisi per certificazioni e conto terzi.

prime naturali e la strategia è focalizzata sulla “sinergia dei rifiuti”. Una selezione di rifiuti pre e post consumo è opportunamente equilibrata e mescolata per ottenere piastrelle in ceramica fatte al 100 % da materiali riciclati. Le nuove miscele, contenenti il 100% di scarti, vengono preparate mettendo a macinare in un mulino le materie prime riciclate insieme ad acqua e a un agente deflocculante. Si è dimostrato che è possibile l’industrializzazione di tali miscele che comunque presentano un comportamento reologico simile alle miscele tradizionali, una buona stabilità durante la cottura e buone proprietà meccaniche. Anche se questo materiale viene cotto a temperature inferiori (circa 200° C in meno) rispetto al gres porcellanato tradizionale, secondo i requisiti standard EN 14411, appartiene alla stessa classe di prodotti (Bla). Dal 2015 il Centro Ceramico ha esteso il tema “Riciclo” alle membrane filtranti sostenibili per il trattamento delle acque reflue. Il Progetto Europeo REMEB ha come obiettivo la validazione di un bioreattore a membrana assolutamente innovativo, che utilizza membrane inorganiche ottenute a partire da materiali di scarto.

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