ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI VICENZA
ISSN 2284- 2896 / Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale 70% – CN BO
ARCHITETTI VICENZA
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SINTESI 100. Massima libertà di composizione Un serramento in legno-alluminio che integra design e prestazioni di altissimo livello Il nuovo serramento Sintesi 100 di 2F nasce dalla volontà di legare un’impronta estetica ben definita alla flessibilità prestazionale con la quale si rapporta il serramento nell’architettura e nell’edilizia contemporanee. Il profilo interno, dal design squadrato e lineare, si associa indifferentemente con soluzioni a doppio o triplo vetro e con profili esterni in alluminio minimali. La complanarità esterna del prodotto consente la massima integrazione prospettica negli edifici di moderna concezione, lasciando all’interno la possibilità di personalizzazione e la qualità climatica ed estetica del legno. Sintesi 100 è, prima di tutto, rivolto a chi desidera progettare con la massima libertà. Numerose varianti di prodotto rispondono a diverse richieste prestazionali, ma al contempo conservano fondamentali doti unitarie: 4 guarnizioni di tenuta fra anta e telaio, ferramenta antieffrazione di serie (che consente di garantire una tenuta fino alla classe di sicurezza RC3), vetrocamera con warm-edge sono i cardini attorno a cui ogni progettista può costruire e immaginare l’infisso per i propri edifici. Tutto ciò completato dall’esperienza progettuale e produttiva che 2F da oltre cinquant’anni garantisce per ogni singolo infisso. Sintesi 100 vuole tendere chiaramente verso la completa soddisfazione di tutti i requisiti che progettisti e committenti richiedono ad un serramento per esterni: elevate prestazioni termo-acustiche, durabilità, sicurezza e possibilità di personalizzazione.
trasmittanza termica: Uw fino a 0,85 W/m2K - Ug fino a 0,50 W/m2K
SMART
Profili squadrati all'interno e all'esterno con dotazione a triplo vetro, che costituisce lo standard di riferimento per costruzioni ad elevato isolamento termo-acustico
PLUS
DESIGN
DUAL
Complanare
Dotato di triplo vetro con spessore 48 mm, che consente di ottenere valori di Ug pari a 0,5 W/m2K e si integra perfettamente anche nelle costruzioni a standard PassivHouse
Un unico profilo in alluminio all’esterno, che spinge ai massimi livelli il minimalismo degli elementi costruttivi e massimizza l’apporto di luminosità all’interno degli ambienti, nonché l’integrazione praticamente totale nell’involucro edilizio
Soluzione a doppio vetro che consente di contenere l’investimento pur mantenendo lo stesso forte impatto estetico, complanare all’esterno e squadrato all’interno
Ogni variante costruttiva descritta si associa anche alla possibilità di realizzare il telaio complanare all’anta sul lato interno con l’utilizzo di cerniere a scomparsa
Via dei Laghi, 25 - 36077 Altavilla Vicentina (VI) - Tel. 0444.572229 - Fax 0444.335838 www.2f-fanton.it - info@2f-fanton.it
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L’evoluzione del mobile Creiamo e realizziamo qualsiasi vostra richiesta d’arredo, dal singolo pezzo a un’intera struttura. Per saperne di più visita il sito www.laveneta.net
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AVI architetti Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8223 del 18 gennaio 2012
Direttore Editoriale Giuseppe Pilla Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro
FALEGNAMI DA 4 GENERAZIONI OmniaLegno realizza arredamenti e scale su misura moderni e in stile, e anche complementi d’arredo, accessori moda e quadri pirografati a mano proponendosi di mantenere e arricchire quel bagaglio di tradizione e cultura da cui deriva, ma anche di realizzare prodotti moderni e attuali. La collaborazione con colleghi del settore e non, permette all’azienda di commercializzare prodotti come porte interne, serramenti in legno, legno/alluminio, PVC e arredamenti standard.
Ogni albero ha la propria vocazione. All’Artigiano spetta il privilegio di esternare ciò che il Legno vuole essere.
OMNIALEGNO di Dal Zotto Andrea
via Caribollo, 51 - 36063 MAROSTICA (VI) tel-fax 0424 489800 - cell. 339 8025115 - info@omnialegno.it
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Consiglio dell’Ordine Stefano Battiston, Piero Boaria, Andrea Bozza, Matteo Campana, Giuseppe Clemente, Mario Comin, Marisa Fantin, Simone Matteazzi, Elisabetta Mioni, Stefano Orsanelli, Manuela Pelloso, Marco Peruzzi, Raffaella Reitano, Andrea Testolin, Nicola Ziggiotto Stampa Graphicscalve - Vilminore di Scalve (BG) www.graphicscalve.it finito di stampare in dicembre 2015
Via Roma, 3 - 36100 Vicenza Tel. 0444.325715 - www.architettivicenza@awn.it
KOrE E D I Z I O N I
Via F. Argelati, 19 - 40138 Bologna Tel. 051.343060 - www.koreedizioni.it
sommario 15
Editoriale Annabianca Compostella Giuseppe Pilla Architettura per costruire il mondo sociale
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Primo piano La sfida sociale di Tamassociati LĂŠarchitetto dei due mondi
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Panorama La bicicletta senza raggi Una casa interamente riciclata Un poliedro in giardino Panorami e percorsi veriegati Un alloggio spartano Ex Albergo Diurno Conoscere la Pietra di Vicenza
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p.18 p.24
p.29 p.33 p.37 p.38 p.40 p.43 p.44
Materiali Personalizzare il design Cariolato Arredamenti
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Progettare
Cultura e socialità La Coruña, Spagna Progetto di Óscar Pedrós
p.50
Scavato nella roccia Monte Plan de Corones, Alto Adige Progetto di Zaha Hadid Architects (ZHA)
p.60
Museo e landmark Aarhus, Danimarca Progetto di Henning Larsen Architects
p.70
Nel cuore della natura Boulogne Billancourt, Francia Progetto di Chartier Dalix Architectes
p.82
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Appuntamenti Architettura, Arte & Design
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Torresan, una storica vetreria che permette di riscoprire le opere in vetro realizzate artigianalmente, utilizzando gli strumenti classici del vetraio e l’abilità di chi ha appreso quest’arte specializzandosi direttamente sul campo. L’azienda offre un servizio a 360°, dalla consulenza progettuale, con l’utilizzo di tutte le certificazioni idonee, alla manutenzione di vecchi stabili e molto altro. Progetta e costruisce vetro, ma non solo. Infatti è anche specializzata in pensiline, parapetto per scale, lavorazioni personalizzate e su misura.
Piazza S. Pio X, 12 - 36016 Thiene (VI) Tel. 0445.361842 - Fax 0445.361842 www.vetreriatorresan.com vetreriatorresan@yahoo.it
editoriale
Architettura Una città che voglia tener conto degli interessi di tutti modifica di continuo le proprie strutture sulla base dei bisogni delle persone. E non viceversa… Perché è grazie alla gente, al lavoro collettivo, ai sacrifici di tutti che la città esiste. Expo 2015, finita da poco, ha insegnato a valorizzare la cultura dei luoghi, a rispettare la dignità della persona in tutte le sue manifestazioni, a condividere un patrimonio naturale che deve essere di tutti. Facile da capire? Ritornati alle nostre realtà ci appaiono stridenti le innumerevoli situazioni di disuso a cominciare dagli alloggi sotto casa che le immobiliari non riescono a vendere, alle attività che non ci sono più e che hanno lasciato tanti capannoni a un lento graduale degrado, alle aree abbandonate alla ricerca di investitori che si sono di-
leguati. È questo il modello per il quale ci siamo tanto adoperati? O piuttosto quelle che vediamo sono tracce responsabili di un’idea di città sulla quale non abbiamo riflettuto abbastanza? Inconsapevolmente o meno l’architettura ha una parte importante in questo modello che premia, molto spesso, forme estranee alle esigenze di chi la abita. In fondo questa è la sostanza. Il bene comune come principio della progettazione è la proposta con cui tamassociati si sono assicurati la cura del Padiglione Italia della prossima Biennale 2016 di Architettura. La proposta è stata scelta perché «affronta, con coraggio, il tema della riqualificazione delle periferie». Il “mestiere” di tamassociati cerca il coinvolgimento delle persone o della comunità in ogni fase del
progetto, trovando la giusta soddisfazione dei futuri residenti. Un linguaggio che non va unicamente per libri e codici di costruzione e che in questo modo avvicina (mediante una comunicazione chiara da poter essere compresa o intesa da non addetti), e va a soddisfare le esigenze di coloro che vivranno nei diversi tipi di abitazione, i loro bisogni e le ansie, che spesso non si esprimono nel quotidiano sociale. Se valutiamo le varie figure che partecipano al processo di coinvolgimento, questa ricerca di condivisione ha ra orzato il ruolo dell’architetto, non solo come un progettista, ma come agente protagonista nella promozione della cittadinanza sociale. Così, d’accordo con l’interesse sociale, ogni progetto viene concepito come un processo di azione comune, in cui le idee sono prodotte dalla conoscenza tecnica applicata e
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discusso con i veri interessati. La partecipazione fa l'architettura. Si tratta di un metodo che pone al centro della fase di progettazione l'utente finale, ascoltando le sue esigenze e i suoi desideri. La partecipazione non riguarda solo l'utente, ma anche tutte le professionalità coinvolte nel processo di elaborazione: ognuno, in quanto esperto nel proprio campo, condivide la sua opinione apportando un contributo originale e unico al progetto stesso. Dal dialogo con utenti e professionisti si passa poi a una fase successiva, in cui vengono analizzate le possibilità e ettivamente realizzabili e, quindi, proposte diverse soluzioni. Nei progetti curati seguendo questa impostazione i risultati sono stati sorprendenti, soprattutto se si considera l'elemento umano che vive gli edifici. Si è infatti assistito a un superamento dell'individualità a favore della collettività, il che ha generato comunità più coese. «Il vero architetto è l’inquilino. Il progettista, al massimo, può realizzare metà della casa; l’altra metà, il focolare, la costruisce chi sta dentro». È
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la risposta che Alejandro Aravena, direttore della 15ma Biennale di Architettura, dà al problema abitativo. «Mettere in moto relazioni sociali è fondamentale — dice Aravena —. Spesso le megastrutture orizzontali, ma anche i grattacieli, non generano accordo sociale». Già, i grattacieli, propaggine del Movimento moderno che giunge sino alla nostra età hitech. «Sono una risposta alla scarsità di suolo, e funzionano per attività produttive, non abitative — a erma Aravena —. Il loro consumo energetico è spaventoso. Oggi sono quasi tutti in ferro e vetro e con aria condizionata». Racchiusa in pochi passaggi si riconosce l’idea professionale di una vita: «L’architettura deve resistere al tempo. Lo so che molti soldi dell’architettura contemporanea provengono dalle maison di moda; non è un problema. I soldi pubblici non bastano per dare una casa decente a tutti, ben vengano quelli privati, ma utilizzati in vista di un interesse collettivo». Anche in favore dei migranti. «Nei Paesi di origine bisogna costruire opportunità; in quelli di arrivo luoghi più decenti di accoglienza. L’architettura è un elemento di
sintesi, un po’ come l’agricoltura: bisogna partire, seminare per sanare la mancanza di equità nel mondo. Per lo stesso capitale, se le condizioni diventano instabili, la situazione non conviene più». (P. Panza Corriere della Sera, 1 settembre 2015) Alla fine ci rimane una conferma: la struttura architettonica della città deve adattarsi alle persone e alle loro esigenze, e non il contrario. Le cosiddette archistar, esaurita la loro capacità di costruire forme sempre più tecnologicamente avanzate e costose, oltreché resisi conto che siamo arrivati alla fine di un percorso, smontano le architetture e azzerano il loro linguaggio perché non possono stupire oltre se non ripetendo se stessi in forme sempre più stanche. L’architettura quindi torna al nastro di partenza e riprende dalla costruzione degli elementi, ripercorre una via che porta al recupero del valore sociale. L’architettura chiede di esprimere un nuovo linguaggio che ritorni a parlare dell’uomo e della sua attività nel mondo. Direzione di A.V.A. Annabianca Compostella Giuseppe Pilla
primo piano
La sfida sociale Intervista a Simone Sfriso
Foto Andrea Avezzù
Conosciamo più da vicino l’architetto Simone Sfriso, del collettivo veneziano tamassociati, recentemente nominato dal Mibact, con i soci Massimo Lepore e Raul Pantaleo, quale Curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale di Architettura. L’impegno sociale di Alejandro Aravena è stato affiancato, per rappresentare l’Italia, dall’impegno “sul campo” di un gruppo di progettisti, da sempre impegnati nella cooperazione internazionale e nelle tematiche sociali applicate all’architettura.
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TAMASSOCIATI Nel 2013 lo studio tamassociati – protagonista del Social Design a livello planetario - ha ottenuto il premio Aga Khan per l’architettura per l’eccellenza rappresentata dal Centro Salam di cardiochirurgia in Sudan, il premio internazionale Ius-Capocchin per la realizzazione dell’ospedale pediatrico più sostenibile al mondo (Port Sudan) e il Curry Stone Design Prize per l’insieme della sostenibilità (sociale e ambientale) dei recenti progetti realizzati nel mondo. Nel 2014 lo studio ha vinto lo Zumtobel Group Award per l’innovazione e la sostenibilità rappresentate dall’ospedale pediatrico di Port Sudan ed è stato nominato ‘Architetto dell’anno’ “per la capacità di valorizzare la dimensione etica della professione”. Attualmente lo studio è impegnato in Uganda, Senegal, Italia e Afghanistan, ha base a Venezia e uffici a Bologna, Trieste e Parigi.
Giuseppe Pilla e Annabianca Compostella: «Il nostro Ordine ti ha conosciuto diversi anni fa, nel 2007, in occasione del Premio Internazionale di Architettura Intraluoghi, promosso dal sodalizio tra gli Ordini degli Architetti di Avellino, Genova e Vicenza, con il patrocinio del CNA: tamassociati si affermò con la poesia del Padiglione della Meditazione e dellla Preghiera realizzato presso il Centro cardiochirurgico Salam di Emergency a Khartoum, in Sudan. Allora venne riconosciuta e apprezzata nel vostro lavoro la capacità di dialogare con la cultura del luogo, con le istanze della gente, attraverso una progettazione etica e responsabile. Com'è proseguita la vostra attività e ricerca?». Simone Sfriso: «tamassociati è una associazione professionale che nasce più di vent’anni fa e unisce professionisti attivi nei campi dell’architettura, dell’urbanistica, della progettazione del paesaggio, della conduzione di processi partecipativi e didattici, della grafica e della comunicazione sociale. Il nostro lavoro è ispirato ai principi di una progettazione etica e responsabile, convinti della verità dell’affermazione di Giovanni Muzio “l’architettura è un’arte eminentemente sociale”. Lavoriamo principalmente con quella parte di società civile attenta alle istanze sociali, quali istituzioni pubbliche, associazioni e organizzazioni non profit. Da sempre, in ogni progetto, cerchiamo di promuovere tecnologie sostenibili, processi partecipativi, uso di tecniche costruttive, lavorazioni e materiali locali. Dal 2005 comincia l’attività a fianco di Emergency con l’ambizioso progetto per il Centro Cardiochirurgico Salam: ci immergiamo così nell’ignoto di un ambito di lavoro e di impegno molto difficile, estraneo e ricco di incognite. Abbiamo però la fortuna di lavorare con una ONG
molto strutturata e attenta alle istanze di qualità, che devono essere risolte anche e tanto più in zone già flagellate da innumerevoli difficoltà. Emergency è anche convinta del ruolo centrale del progetto nel processo di realizzazione di un centro sanitario: la qualità di un ospedale dipende dalla buona organizzazione e dalla strutturazione tecnologica degli spazi ma, a pari livello, dall’ospitalità e dall’accoglienza degli stessi, in una visione complessiva dell’ospedale come luogo di accoglienza e cura delle persone. Il progetto per il Centro Cardiologico Salam nasce da un rapporto partecipativo con la struttura di Emergency, con il suo ufficio tecnico e con tutte le diverse competenze e professionalità coinvolte in un progetto sanitario. All’architetto è riservato il compito di sintesi delle varie istanze tecniche e tecnologiche e contemporaneamente di ascolto e di dialogo con le comunità locali, di modo che il progetto non sia calato dall’alto, ma sia condiviso dalla gente e tragga dal luogo le sue linee guida. Altri progetti sanitari, con la stessa filosofia e lo stesso metodo di lavoro, vengono realizzati con Emergency in Darfur, nella Repubblica Centroafricana, in Sierra Leone, fino, in tempi più recenti, in Medio Oriente, nel nord dell’Iraq, a Kabul e nel Panjshir. Il comune denominatore di queste aree è ovviamente l’essere luoghi estremi, dal punto di vista sociale, politico, climatico: veri luoghi di frontiera quindi». Giuseppe Pilla e Annabianca Compostella: «In che modo si riflette l’esperienza realizzata in realtà estreme del mondo con il vostro modo di pensare l’attività dell’architetto nelle nostre zone? Come deve cambiare l’approccio alla progettazione per lo sviluppo realmente sostenibile del nostro territorio?».
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COHOUSING "ECOQUARTIERE QUATTRO PASSI", VILLORBA, TREVISO Foto Andrea Avezzù
L’intevento di Villorba è costituito da otto case singole e da una casa comune, gli spazi esterni sono condivisi, non ci sono recinzioni all’interno e nemmeno verso l’esterno, c’è un accesso unico, un parcheggio comune scoperto in prossimità dell’ingresso e poi la viabilità all’interno del lotto è esclusivamente pedonale
Simone Sfriso: «L’esperienza nel sud del mondo ci ha portato a reinterrogarci su quale deve essere il modo di essere architetti nel nostro contesto, ripensare in modo radicale come fare architettura. Abbiamo sempre abbracciato nella nostra storia di progettisti il tema dell’architettura delle sostenibilità, ma oggi il termine è così abusato che se ne è svuotato il significato. La ricerca di materiali naturali, di soluzioni impiantistiche efficienti, l’utilizzo di energie rinnovabili, ha spesso portato a una progettazione complessa, a soluzioni sofisticate, a volte ridondanti e spesso si traduce in costi elevati. Oggi la nostra filosofia, dopo l’esperienza in realtà dove non si può sprecare nulla, è cercare di capire cosa è veramente necessario in architettura. La nostra ricerca non è più verso la tecnologia “migliore” ma verso la tecnologia più appropriata. I nostri interventi più recenti concepiti con questo approccio sono due progetti residenziali di cohousing, uno a Villlorba (Tv) e uno a San Lazzaro (Bo). In entrambi questi progetti si è cercato di ribaltare la filiera di un tradizionale processo edili-
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zio: non più dall’investitore al costruttore, al progettista, per poi finire con il prodotto confezionato all’utente finale, ma identificare il punto di partenza nelle persone. Nella nostra società stanno cambiando gli assetti tradizionali, la famiglia intesa nell’accezione comune perde sempre più peso, mentre trovano spazio nuove forme di famiglia, persone sole, genitori separati con figli, coppie senza figli, anziani, stranieri. Da questo nuovo assetto societario nasce una domanda sempre più pressante di socialità da parte di una nicchia crescente di persone. L’uomo è animale sociale ed esprime naturalmente una necessità di socialità. Nel nostro contesto, il mercato edilizio sinora ha invece imposto un modello tarato sull’individualismo spinto del nucleo familiare, non ha saputo neanche lontanamente cogliere le istanze di mutuo aiuto e solidarietà. Ciò è evidente osservando il nostro territorio caratterizzato da frammentazione, dalla parcellizzazione della proprietà. I progetti di cohousing nascono negli anni Sessanta nel nord Europa, in ambito scandinavo e anglosassone, dove, già in quegli anni, la società pre-
sentava caratteristiche diverse da quelle storiche tradizionali. Oggi in quelle zone il modello di abitare sociale e condiviso è un modello consolidato. Il cohousing non mette in discussione la legittima esigenza di privacy, ma offre nuove opportunità di socialità, vantaggi di carattere pratico, occasioni di mutuo aiuto e di mutuo scambio: non più l’individualismo e la chiusura del nucleo familiare all’interno del proprio ristretto ambito, ma la possiblità di trarre delle nuove opportunità e una nuova qualità della vita tramite la condivisione e la gestione comune di servizi comuni». Giuseppe Pilla e Annabianca Compostella: «Come si inserisce l’attuale crisi economica in questa evoluzione del concetto di abitare?». Simone Sfriso: «L’attuale crisi prima di essere specificatamente economica è crisi di mercato, ed è legata alla sovra produzione di architettura sbagliata. Il mercato non ha saputo leggere le nuove istanze della gente, ha prodotto molto e male. Per uscire efficacemente dalla crisi economica bisogna saper rein-
ventare le regole del mercato e, per quanto ci compete, le logiche della nostra professione. tamassociati si è quindi fatto promotore di progetti di cohousing, innescando un percorso di partecipazione con un gruppo di persone interessate a un nuovo concetto dell’abitare, a un tipo di intervento residenziale dove allo spazio privato della residenza si affiancano spazi comuni coperti e scoperti che sono di proprietà e gestione comune. Un modello che sembra apparentemente nuovo per le nostre zone, ma in realtà profondamente legato alle tradizioni agricole dei nostri borghi rurali, delle cascine o alle lontane tradizioni delle case a ringhiera nei contesti urbani. Nel 2011 comincia il rapporto con la Cooperativa Pace e Sviluppo di Treviso che ogni anno organizza la Fiera dei Quattro Passi (verso un mondo migliore). In occasione di questa fiera, tamassociati lancia il progetto di un eco-quartiere, che porti in sé tutte le idee di buona pratica proprie della Cooperativa. Comincia così l’organizzazione di una serie di incontri partecipativi dove si raccolgono manifestazioni di interesse da par-
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Foto Massimo Grimaldi
te di persone che desiderano cambiare casa. Dal punto di vista dell’architetto viene offerta una panoramica delle possibili modalità con cui si realizza un progetto di cohousing. Dopo una serie di incontri a scopo divulgativo, si affina il gruppo di persone realmente interessate a un progetto di questo tipo: 8-10 famiglie con le quali ci si confronta sulle esigenze singole e sulle esigenze comuni, definendo le regole del progetto, regole che devono essere condivise da tutti per non creare scontenti che potrebbero poi rivelarsi nocivi per il successo del progetto. Un processo lungo, non sempre lineare, circa un anno di incontri, ma fondamentalmente necessario per individuare la soluzione giusta, nella logica che non si possono sprecare risorse rischiando per un progetto non condiviso. Si avvia quindi la ricerca immobiliare, per individuare l’immobile da ristrutturare o il lotto libero su cui intervenire. A Villorba si sceglie un lotto molto bello, intercluso quindi già servito, e si avvia così la fase della progettazione, sempre a stretto contatto e in dialogo continuo con i fu-
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turi cohouser. L’intevento di Villorba è costituito da otto case singole e da una casa comune, gli spazi esterni sono condivisi, non ci sono recinzioni all’interno e nemmeno verso l’esterno, c’è un accesso unico, un parcheggio comune scoperto in prossimità dell’ingresso e poi la viabilità all’interno del lotto è esclusivamente pedonale. Un intervento a misura delle persone non delle auto, che obbliga i residenti a modificare alcune abitudini per ottenere una qualità della vita migliore: spazi sicuri, protetti, di ampio respiro, senza impatto acustico né inquinamento. Nell’edifico comune, di circa 200 mq, ci sono spazi per la socialità, un mini asilo, un alloggio per persone esterne, ospiti o aiutanti temporanei (infermiere, badante, ecc.), magazzini comuni, spazi tecnologici comuni. Spazi che possono essere utilizzati collettivamente ma anche prenotati e usati volta per volta dai singoli, con regole di gestione comune molto semplici e condivise da tutti. Ne va da sé anche la possibilità di risparmio grazie al contenimento dei costi di gestione».
L’ospedale ha una superficie coperta di 780 mq che accolgono 14 posti letto, 4 posti letto in isolamento, 3 ambulatori, la farmacia e il servizio diagnostico. Sorge su un’area di 5mila mq sulla quale hanno lavorato maestranze del luogo con risorse locali e tecnologie italiane
CENTRO PEDIATRICO, PORT SUDAN, SUDAN
Giuseppe Pilla e Annabianca Compostella: «Il riferimento ad alcune esperienze del movimento moderno è stato un possibile aiuto nello sviluppo e nella realizzazione del nuovo modello di abitare? Pensiamo all’Unité d’Habitation di Le Corbusier». Simone Sfriso: «L’idea dell’abitare condiviso appartiene a una dimensione culturale che affonda le sue radici in tempi molto lontani. Nel movimento moderno Le Corbusier mette in opera un progetto molto ambizioso, forse a una scala troppo grande, in quanto è risultato difficile creare una vera comunità a scala così grande. Ma proprio dai limiti evidenziati da esperienze quali l’Unité d’Habitation di Marsiglia ha fatto maturare l’idea che l’abitare condiviso forse deve avere una scala contenuta tra 8-20 unità sia che si tratti dell’insieme di più case o di un condominio». Giuseppe Pilla e Annabianca Compostella: «È molto interessante osservare come nel
vostro percorso professionale non si è cercato di esportate il nostro approccio progettuale e applicarlo ad altre realtà del mondo, ma, al contrario, dall’insegnamento diretto tratto dalle esperienze di cooperazione internazionale si è sviluppato un nuovo modo di intendere lo sviluppo dei nostri territori». Simone Sfriso: «Certo, nelle esperienze nel sud del mondo ci siamo sempre più convinti della necessità di porre l’attenzione sulla persona, di dare ascolto alle istanze sociali, di saper fare le domande giuste per avere le risposte utili per un progetto riuscito. Ma abbiamo anche imparato la necessità di semplificare le procedure di progettazione, mettendo così a punto un approccio che definiamo “eco semplice” alla progettazione, alla ricerca di cosa è veramente necessario».
Giuseppe Pilla Annabianca Compostella Venezia, 11 dicembre 2015
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primo piano
L’architetto Riflessioni - a margine della mostra - sul ruolo e la capacità dell’architettura di dare risposte non solo ma anche . Gestione delle frontiere, sviluppo urbano sostenibile, , sono temi importanti oggi per l’architetto. Le città del Mediterraneo diventano luoghi di approdo, di transito, prospettando nuovi panorami multietnici. Le migrazioni accelerano i (maggiore urbanizzazione e crescita urbana) e determinano una sempre più articolata composizione sociale. In quest’ottica, dunque, come ricostruire un
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O_BORDERS, la mostra svoltasi ai Magazzini del Sale a Venezia dal 19 al 28 settembre 2014 e promossa da Architetti Senza Frontiere Veneto Onlus, è stata in un certo senso premonitrice della 15a Mostra Internazionale di Architettura del 2016, il cui filo conduttore sarà il tema della “frontiera” a cura del direttore Alejandro Aravena. La mostra si è presentata come piattaforma della cooperazione internazionale sui temi dell’architettura e della città, ovvero dello sviluppo urbano sostenibile e dell’acquisizione di una vita dignitosa per gli abitanti del pianeta terra. Attraverso un percorso ambientale e sensoriale, ha voluto raccontare l’architettura della marginalità, catapultando idealmente il visitatore fra spazi, suoni, odori e colori dei luoghi lontani ed esotici ove sorgono i progetti che nella mostra trovano spazio. Altresì ha tratto spunti e riflessioni per aprire un dibattito sul ruolo e la capacità dell’architettura di dare risposte non solo formali ma so-
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ciali. I progetti in mostra sono il contributo della rete internazionale di ASF, proposti in un allestimento dinamico che ha cercato di abbattere le frontiere che ci dividono dai paesi in via di sviluppo e dai paesi emergenti. La mostra si conclude con le riflessioni sull’emergenza immigrazione che vede al centro il nostro Paese, frutto dell’impegno che ASF sta sviluppando con il programma Sulle Tracce dei Sogni. Displacement and Spatial Inclusion. Infatti, le emergenze umanitarie africane, accompagnate dai pesanti conflitti del mondo arabo, impongono un impegno civile che vada oltre le tradizionali e consolidate pratiche della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario in paesi terzi. L’ingente e incessante flusso migratorio, oggi aggravato dall’instabilità politica di alcuni paesi e dalla debolezza di alcuni rapporti internazionali tra le organizzazioni del mondo occidentale e i paesi arabi e africani, ha spostato la territorialità dei problemi, a cui deve far fron-
A sinistra e sopra: alcune installazioni della mostra NO_BORDERS, che presentava temi legati all’architettura della marginalità
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Foto sopra: Kigali (capitale del Rwanda) quartiere alla prima periferia della capitale. Sotto: Gitarama (Rwanda), parco giochi per bambini
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te la cooperazione internazionale, all’interno dei confini europei. Le città del Mediterraneo sono in continua evoluzione, diventano luoghi di approdo e di transito, acquisendo un crescente carattere interetnico. In quest’ottica i paesaggi urbani si configurano come paesaggi di speranza: riduzione della povertà e delle disuguaglianze, emancipazione sociale e progressiva acquisizione di diritti, non ultimi il diritto alla cittadinanza e alla città stessa. In quest’ottica è possibile ricostruire un ruolo civile dell’architetto? I flussi migratori, sia transfrontalieri che interni ai paesi, sono uno dei principali fenomeni che incidono sulle dinamiche urbane e territoriali a livello globale. La configurazione del paesaggio urbano, per la sua dimensione umana e sociale, ma non solo, ne viene a sua volta influenzata. Le migrazioni sono, infatti, attivatori o alimentatori di processi insediativi, sia in termini di urbanizzazione che in termini di crescita urbana e rappresentano una componente significativa delle origini dell’articolata composizione sociale che oggi si riscontra all’interno delle città. Nel sud globale i fenomeni di crescente urbanizzazione e crescita urbana appaiono inevitabili e inesorabili, considerato che, per i migranti provenienti dalle aree
rurali, dove il paesaggio agricolo spesso non è scenario di benessere, le città, con tutte le loro contraddizioni, insite e indotte, rappresentano, al contrario, il cuore dello sviluppo, dell’innovazione e soprattutto delle opportunità di miglioramento delle proprie condizioni di vita, in termini di maggiore reddito, migliore condizione abitativa, salute, istruzione, o maggiori libertà personali. In quest’ottica, i paesaggi urbani si configurano come paesaggi di speranza, di riduzione della povertà e delle disuguaglianze, per quanto questo processo veda una fase di inurbamento come concentrazione di povertà. Secondo Un Habitat, le configurazioni urbane consolidate oggi risultano ormai superate e insostenibili, per la combinazione tra combustibili fossili, l’uso continuo di veicoli privati, forme urbane altamente segmentate, spazi di segregazione sociale ed economica, periferie urbane senza fine che consumano suolo, risorse e biodiversità, nella prevalenza dell’interesse privato rispetto a quello pubblico. Il paesaggio risultante, dagli insediamenti informali alle periferie delle grandi città, genera un notevole senso di spaesamento venendo meno le regole di composizione e aggregazione spazia-
le a cui si è “culturalmente” e “visivamente” abituati. Al contempo, baraccopoli, slums, bidonvilles, favelas, villas miserias non nascono come spazi di esclusione urbana, piuttosto dall’espansione urbanistica dettata dal mercato. All’urbano si aggiunge la frontiera ai confini dell’impero. Luoghi ormai mitici, come Lampedusa, terra di assai noti sbarchi, cancello meridionale d’Europa, se vista da dentro la fortezza, arenile della terra promessa, se scrutata da dentro il barcone, non è altro che una visibile traccia di un sogno lungo migliaia di chilometri che inizia nell’Africa centrale e arriva fino alle più fredde lande dell’Europa settentrionale. E di certo, proprio la memoria del migrante potrebbe offrire alla comune conoscenza la restituzione di numerosi paesaggi da dentro a fuori la sua storia. La cooperazione internazionale, in effetti, ri-costruisce una molteplicità di paesaggi, ognuno fortemente caratterizzato da particolari ambiti di interazione. Si opera nel paesaggio umano della comunità per generare sviluppo locale e governare i beni comuni, nel paesaggio dei disastri per far fronte all’emergenza umanitaria, nel paesaggio urbano per rispondere in modo adeguato ai bisogni sociali. Per l’architetto, in primis, casa e spazio pubblico e, quindi, l’architettura e la città sono intesi come rifugi per l’uomo. Tuttavia i cambiamenti dell’epoca contemporanea richiedono urgentemente un nuovo quadro analitico per la costruzione di un paradigma differente per la città nel sud quanto nel nord, riconoscendo la diversità delle condizioni sociali, economiche e politiche rispetto alle passate decadi. (Architetti Senza Frontiere Veneto onlus)
Sopra: Gitarama (Rwanda) paesaggio di un villaggio residenziale. Sotto: Gitarama (Rwanda) cantiere edile in fase di produzione ed essiccazione dei mattoni in terra cruda
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PANORAMA
a cura di Cristiana Zappoli
Connessioni, riflessioni, segnalazioni. Su materiali, architetture e design
■ MOBILITÀ La bicicletta senza raggi
Un progetto che può aprire la strada a un nuovo sistema di mobilità fuori dai classici schemi. Una bicicletta ampiamente fruibile e facilmente trasportabile. Sviluppato all’interno del Politecnico di Torino, il progetto Sada Bike è stato ideato da Gianluca Sada. «È un prodotto ‘trasversale’ - spiega- che unisce gli appassionati di design, funzionalità e confort. Accomuna tutti coloro che vogliono muoversi soprattutto in città e utilizzare i mezzi pubblici senza l’ingombro di portarsi voluminose biciclette pieghevoli e avere la possibilità di trasportare la bicicletta piegata con la comodità di uno zaino capiente in un unico packaging. Lo spunto nasce dalla riflessione che la mobilità è una necessità condivisa da una vasta audience, i cui problemi impattano sulla qualità di vita di tutti, principalmente di chi quotidianamente deve raggiungere il proprio posto di lavoro. La congestione delle strade, degli hub metropolitani, è il quotidiano con cui si devono confrontare i commuters. Non ultimo, la mobilità è tra i fattori più incidenti nell’in-
quinamento del nostro pianeta». Sada Bike è una bicicletta hubless, senza raggi, pieghevole, che coniuga design e manifattura italiana di eccellenza, con il rispetto dell’ambiente attraverso zero emissioni e mobilità sostenibile per reali smartcity. Sada Bike ha vinto il premio IDEA-TO indetto dal Congresso dell’Ordine degli Ingegneri d’Italia e il suo inventore è stato selezionato tra i 200 giovani talenti d’Italia dal Ministero della Gioventù. Le ruote, anche se prive di raggi, sono ancorate al telaio con piccole rotelle (agiscono su entrambe le ruote) che permettono ai cerchi di girare, mantenendoli, allo stesso tempo, in posizione. «L’idea è nata per caso, prosegue l’ideatore - tutto il progetto è partito dal concetto innovativo di eliminare i raggi. Poi gli studi in ingegneria mi hanno permesso di modificare e concretizzare questa mia idea fino a depositare il brevetto e a presentarlo come tesi di laurea. Nell’implementazione del progetto, per arrivare al prototipo attuale, mi ha supportato lo studio di Battipaglia TechnoDesign. Il prototipo è stato realizzato in Ergal (lega di alluminio) attra-
Sada Bike è una bici innovativa, pieghevole, con le ruote senza raggi, adatta a un uso in contesti urbani. È realizzata in alluminio e pesa meno di dieci chili
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verso una lavorazione per asportazione di truciolo, con macchine a controllo numerico. Successivamente ho concluso un accordo con un’azienda di Torino per lo sviluppo di nuovi prototipi e per la produzione in serie della bicicletta». La bicicletta ha l’ergonomia di seduta di una citybike con ruote da 26” ma, una volta piegata, il suo ingombro, ruote comprese, è decisamente inferiore alle comuni bici pieghevoli che normalmente utilizzano ruote molto più piccole da 16” o 20”. Il confort di guida della Sada Bike è quindi un fattore che la caratterizza rispetto ai competitors. Il sistema di piegatura presenta un fulcro centrale intorno al quale ruotano le parti inferiori e posteriori della struttura e permette di chiudere tutto il telaio in modo tale da ottenere un ingombro simile a un ombrello. «Tutta la bicicletta è facilmente chiudibile, – spiega Gianluca Sada – una volta divincolato il cerchio anteriore, con un solo movimento. Portando avanti l’asse sellino, la bicicletta si piega automaticamente in pochi secondo grazie a un sistema di guide e ruote dentate». La compattezza della bicicletta, una volta chiusa, permette il suo trasporto in uno zaino monospalla studiato apposta, in cui i cerchi della bicicletta fanno da struttura e all’interno, grazie allo spazio vuoto per l’assenza di raggi, può essere riempito e utilizzato per riporre altri oggetti. Lo zaino infatti prevede una cerniera centrale che permette la sua espansione per aumentarne la capienza; una particolare struttura al suo interno consente di far appoggiare le ruote della bicicletta sul terreno in modo da trasformare lo zaino in un trolley. La Sada Bike ha un cambio nella corona delle pedivelle che permette di moltiplicare la velocità di 2.5 volte.
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Sopra e sotto: si evince come le ruote, anche se prive di raggi, sono ancorate al telaio con piccole rotelle che permettono ai cerchi di girare, mantenendoli in posizione. A sinistra: una volta piegata, l’ingombro della Sade Bike, ruote comprese, è inferiore alle comuni bici pieghevoli che utilizzano ruote più piccole
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Da più di cinquant’anni la ditta Sgarbossa Dino e Figli realizza pavimenti alla veneziana con professionalità e passione. Da poco ha presentato un sistema innovativo attraverso il quale ottenere un legante che lascia filtrare la luminosità, permettendo di creare porzioni di pavimento o corsie illuminate. In questo modo marmi, onici, alabastri, ametiste, quarzi e madreperle prendono vita: grazie alla loro trasparenza trasmettono caldi riflessi, dando forma così ad ambientazioni esclusive, dagli effetti cromatici straordinari.
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■ ABITARE Una casa interamente riciclata Milioni di container vagano sulle navi in mare aperto per poi venire abbandonati ad arrugginire da qualche parte. Una giovane e promettente start up chiamata Sustainer Homes ha ideato un modo per riutilizzarli dandogli una seconda vita e trasformandoli nelle prime case - container al mondo del tutto sostenibili, mobili e offgrid (cioè non collegate alla rete elettrica) al 100%. Grazie alle ultimissime tecnologie green le case container di Sustainer Homes sono indipendenti da tutti i punti di vista: gas, acqua, elettricità e fognature. Invece che contare sui combustibili fossili e su sistemi di tubature sotterranee, ricavano tutto ciò di cui hanno bisogno dalla natura. L’energia viene prodotta da 16 pannelli solari disposti sul tetto a cui si aggiungono, durante le settimane più fredde, due piccole pale eoliche. Per la climatizzazione è stata installata una pompa di calore realizzata con materiali isolanti sostenibili, abbinata a un buon isolamento termico del container. Questo sistema misto di energia solare ed eolica è in grado di produrre circa 5mila kWh all’anno ed è dotato di una batteria per conservare l'energia prodotta in eccesso e consentire un approvvigionamento elettrico costante. L’acqua piovana viene raccolta dal tetto e filtrata fino a diventare potabile secondo gli standard previsti dalla legge olandese, in modo da provvedere ai bisogni di doccia, lavelli, lavatrice e lavastoviglie. Dopo l’uso le acque di scarico vengono filtrate e ripulite per poter essere rilasciate all’esterno. Essere del tutto autosufficienti rende queste case-container assolutamente mobili e facili da trasportare. Possono essere utilizzate come abi-
Sopra: gli interni del container. Gli elettrodomestici e i rubinetti sono privi di piombo, le sedie sono realizzate partendo da vecchi frigoriferi e le vernici sono atossiche. Sotto: l’equipe della start up Sustainer Homes al lavoro
tazioni, case vacanze, uffici o anche come abitazioni di emergenza e possono essere montate in un giorno in aree dove prima era impossibile costruire oppure era troppo costoso. Dietro il nome di Sustainer Homes ci sono quattro giovani imprenditori: oltre a due sociologi, un architetto e un ingegnere di sistemi, entrambi studiosi di argomenti relativi alla sostenibilità. I quattro imprenditori sono convinti di aver ideato la casa del futuro. «Fra qualche anno - dicono - saremo in grado di realizzare il nostro sogno di creare case e comunità sostenibili in tutto il mondo». Il progetto ha preso corpo partendo dall’idea che le nuove generazioni devono affrontare un aumento degli affitti, città che si allargano a macchia d’olio, un aumento dell’incertezza nel loro vivere in città. Hanno quindi
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bisogno di abitazioni più confortevoli, sostenibili e flessibili, niente che si possa trovare attualmente nel mercato immobiliare. Con il loro progetto i quattro imprenditori vogliono dimostrare che una vita vissuta in modo ecosostenibile può essere anche una vita confortevole. La start up olandese ha creato una vera e propria abitazione a bassissimo impatto ambientale con un alto confort domestico per chi le abita. Con l’uso di materiali riciclati o riciclabili e un occhio attento al design, questa giovane azienda ha creato una casa di 30 metri quadri con uno spazio interno accogliente ed efficiente. I pannelli di costruzione derivano dal recupero e dal trattamento dei rifiuti agricoli, sono in Ecoboard, un materiale a bassa energia fatta di erba pressata, sono idrofughi e ignifughi, biodegradabili e riciclabili. Gli elettrodo-
Sopra: rendering illustrativo degli interni del container. Sotto, a sinistra: schema riassuntivo del ciclo dell’acqua. A destra: schema del ciclo energetico. Il sistema misto di energia solare ed eolica è in grado di produrre circa 5mila kWh all’anno
mestici e i rubinetti sono privi di piombo, le sedie sono realizzate partendo da vecchi frigoriferi e le vernici utilizzate sono atossiche. Il prototipo, in grado di ospitare fino a due persone, è stato costruito in quattro settimane in partnership con una delle compagnie per l’energia più importanti dell’Olanda, Eneco, per lavorare per l’integrazione dei sistemi a energia pulita con una singola piattaforma termostatica interattiva. L’azienda punta a integrare il suo sistema con un termostato intelligente, sviluppando un’app per il livello della batteria, i livelli di energia solare, il consumo energetico e le previsioni del tempo. L’obiettivo di Sustainer Homes è quello di aprire la strada a uno stile di vita libero dai costi delle utenze e dalle ipoteche, l’unica spesa che l’acquirente deve affrontare è infatti quella dell’acquisto dell’immobile.
Sotto: installazione dei pannelli solari, nella fase ultima di montaggio del container realizzato da Sustainer Homes
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■ ABITARE Un poliedro in giardino Una struttura leggera ma capace di dare un forte senso di protezione, un vero e proprio rifugio. Il Poliedro Habitable è uno spazio dedicato al relax situato nel giardino di un’abitazione di Bogotà. Progettato dall’architetto colombiano Manuel Villa, autore del padiglione del suo paese a Expo 2015, per una giovane coppia che aveva appena avuto un figlio, il poliedro è realizzato in legno e caratterizza e valorizza fortemente il giardino che non aveva un uso specifico ed è una sorta di ponte tra la casa e il paesaggio circostante. È stato pensato per attività di svago, come la lettura, e di gioco: è un rifugio adatto a tutta la famiglia. La struttura è un poliedro regolare, un cuboottaedro per la precisione, che si affaccia in una apertura tra gli alberi. Le sfaccettature e l’algoritmo della struttura sono stati determinati dopo un certo numero di modelli di studio, e la forma definitiva è stata scelta per la sua versatilità, adattabilità e originalità. L’architetto è partito da un modellino realistico in scala 1:40, per capire come risolvere alcuni problemi costruttivi, prima di realizzare la struttura definitiva. Il poliedro è realizzato in pino verniciato color miele per quanto riguarda l’interno, l’esterno è dipinto di nero. È un volume a sé stante con una faccia aperta verso l’ambiente che lo circonda e con piccole finestre sui lati e in alto che consentono alla luce naturale di entrare e una ventilazione ottimale. La casetta - rifugio è appoggiata su una piattaforma di
Sopra e sotto: alcune foto dell’esterno e dell’interno della casetta a forma di poliedro. È stata realizzata in legno e caratterizza fortemente il giardino che non aveva un uso specifico
legno che la sopraeleva dal terreno per isolarla dall’umidità e renderla più calda. Lo spazio interno è organizzato in un’area da disegno con una scrivania e una zona di riposo con un sofà e in più ci sono diversi mobili incassati. L’idea originaria era quella di recuperare uno spazio naturale cercando soprattutto di ricostruire quella che era la vocazione originaria di un bosco tradizionale, per formare una struttura dal supporto "naturale" per lo sviluppo delle attività e per la disposizione della costruzione di sostegno impostata negli obiettivi del progetto. In questo modo il concetto di "parco" è quello di un contesto naturale recuperato che sfrutta un piccolo ambiente abitabile e che permette lo sviluppo delle attività che gli utenti scoprono man mano che sperimentano e comprendono lo spazio.
SEZIONI
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■ PAESAGGI Panorami e percorsi variegati Lo studio di architettura HHD_FUN con sede a Pechino ha realizzato, tra il 2011 e il 2014, due progetti di architettura del paesaggio sulla vasta area di 23mila metri quadrati a Qingdao, una regione nella parte orientale della provincia cinese dello Shandong, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Orticoltura del 2014. Sono l’Earthly Pond Service Center e l’Heavenly Water Service Center e hanno accolto più di quattro milioni di visitatori durante i mesi dell’esposizione. Si trovano adiacenti a due laghi sulla Baiguo Mountain da cui prendono il nome e durante l’esposizione erano vicini alle
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Sopra: vista dall’alto dell’Earthly Pond Service Center. Ha la forma di un diamante ed è attraversato da un reticolo di strade che con direzioni diverse seguono l’inclinazione del terreno
principali sale espositive: un gruppo di padiglioni in alluminio progettati dallo studio olandese UNStudio dalla forma che ricordava i petali di una rosa. L’Earthly Pond Service Center, così come l’Heavenly Water Service Center, è stato costruito pensando al rispetto di tre elementi fondamentali: l’architettura, le condizioni ambientali, gli esseri umani. La struttura si adatta perfettamente alle pendenze naturali del sito, il cortile incavato nel terre-
no confina con la zona lacustre offendo una combinazione perfetta tra architettura del paesaggio e natura nella sua forma più bella. La disposizione degli spazi è quindi scolpita dalla pendenza naturale del terreno che si traduce in diverse altezze, che offrono ai visitatori scorci, panorami differenti e un’esperienza molto particolare. Ci sono infatti diverse terrazze in legno e osservatori accessibili tramite scale mobili. La parte principale dell’Earthly Pond Service Center è al di sotto del livello della strada, punto da dove è possibile avere una bella visuale della zona lacustre. Per salvaguardare la morfologia esistente, il paesaggio e la vegetazione, tutte le centinaia di alberi presenti in questo sito sono state preservate ed è stata creata una piattaforma verde sul tetto della struttura per una maggiore integrazione con il paesaggio circostante oltreché per migliorare l’efficienza dell’edificio. L’architettura armonizza con l’ambiente nel
Il cortile incavato digrada verso il lago e forma con esso un paesaggio suggestivo, dove terra e acqua si uniscono in un tutt’uno senza soluzione di continuità
modo più naturale possibile e le diverse altezze contribuiscono ancora di più a questo obiettivo. Un sistema multi - percorso crea un reticolo che dà all’Earthly Pond Service Center la forma di un diamante, che visto dall’alto è veramente spettacolare: geometrie fluide che coprono perfettamente le esigenze funzionali di questo spazio. Ogni spazio in questo progetto è matematica pura e dimostra quanto potentemente la matematica, e in particolare la geometria, influenzi il settore dell’architettura del paesaggio e, in questo caso almeno, non la renda rigida ma anzi contribuisca alla sua fluidità. L’uso della matematica è del tutto coerente con gli altri lavori degli architetti che hanno realizzato la struttura. HHD_FUN è uno studio di design e di ricerca che cerca di convogliare sul proprio lavoro le conoscenze provenienti da diversi settori al di fuori di architettura, per sperimentarle nella progettazione architettonica.
SCHEMI MORFOLOGICI
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Tutte le foto Tim Van De Velde
■ RECUPERI Un alloggio spartano Un luogo originale dove dormire per trascorrere qualche giorno di vacanza? In Olanda è possibile alloggiare in un bunker risalente alla seconda guerra mondiale. Il progetto di restyling del bunker faceva parte di una campagna pubblicitaria: l’agenzia belga Famous aveva chiesto allo studio B-ILD di trasformarlo in una casa vacanze per dare la possibilità a due famiglie di vincere il concorso per alloggiarvi. Terminata la selezione il bunker semiinterrato è diventato una casa vacanze a tutti gli effetti, chiunque può affittarlo e può ospitare fino a 4 persone. Si trova nella zona rurale di Fort Vuren, circondato dal verde. La strut-
Per entrare nel bunker si scendono dei gradini attraverso una sala buia, mentre una porta a vetro sulla sinistra conduce alla camera principale. Ogni mobile ha più di una funzione, i letti per esempio diventano divani
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tura, che è stata approcciata dai designer con il dovuto rispetto, è protetta e tutto il progetto è stato sostenuto dalla Dutch Commission for Monuments. Trasformare un vecchio bunker dalla superficie molto ristretta in un alloggio per ospiti ha richiesto un approccio molto originale e la flessibilità doveva essere la caratteristica principale. La stanza più importante è di 9 metri quadrati per un’altezza di 1,8 metri. Per arredarlo lo studio B-ILD si è ispirato a Le Cabanon di Le Corbusier. Ogni elemento di arredo è fatto in legno ed è concepito per massimizzare lo spazio interno: ogni mobile è fatto su misura ed è a scomparsa. Una stessa stanza fa da zona giorno e da camera da letto, quasi tutti i mobili hanno una doppia funzione: gli sgabelli sono usati anche come comodini o tavoli per prendere il caffè. C’è un piccolo angolo cottura munito di un minuscolo lavello e una piastra. Al di fuori del bunker è stata costruita una pedana in legno, una sorta di terrazza dove è possibile mangiare, cucinare o sedersi ad ammirare la natura intorno.
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■ RIQUALIFICARE Ex Albergo Diurno Nell’ambito dei lavori di riqualificazione di Piazza Oberdan a Milano l’amministrazione comunale ha siglato una convenzione con il Fondo Ambiente Italiano per la valorizzazione dell’ex Albergo Diurno Venezia, situato sotto la piazza. L’accordo prevede la concessione dei locali al FAI che si impegna al loro recupero e a un rilancio culturale del complesso abbandonato da quasi dieci anni. L’Albergo Diurno è collocato sotto piazza Oberdan, tra la fermata della metro 1 e lo Spazio Oberdan. Una struttura storica progettata dal noto architetto Piero Portaluppi, con una superficie di 1.200 metri quadrati e un‘altezza di circa 3 metri e 30. Un luogo caratterizzato da corridoi ariosi, decorazioni liberty, fontane e statue d’ispirazione classica. Era aperto, come spiega lo stesso nome, solo di giorno, dalle 7 alle 23. L’ingresso è sul lato sinistro della scalinata per accedere alla metropolitana. È composto da 6 bagni di lusso, 30 promiscui con vasche da bagno e docce. Nel salone, in una parte separata, sono presenti gli spazi in cui venivano offerti il servizio di manicure, pedicure e parrucchiere. Ci sono, inoltre, gli ambienti in cui si trovavano di Primavera, abbiamo capito quanto i milanesi siano affascinati da questo capolavoro di Piero Portaluppi. L’ex Albergo Diurno rivivrà e il progetto del FAI prevede che in parte recuperi la sua funzione originaria, ma che diventi soprattutto un luogo di incontro, un luogo sotterraneo ma aperto alle espressioni artistiche più innovative. Un pezzo della Milano più nobile e nascosta sarà quindi recuperato e questo ci sembra un altro grande passo avanti per questa città che sta vivendo un nuovo fermento», lo afferma il vicepresidente esecutivo Marco Magnifico. Il recupero si avvarrà anche di una raccolta fondi e prevede la pulizia, il riordino e il consolidamento dei locali. Una volta completata la ristrutturazione, il FAI utilizzerà i locali dell’ex Albergo Diurno per organizzare mostre ed eventi culturali. le stirerie e il servizio di pulitura della biancheria. Inaugurato nel 1925, l’Albergo Diurno ha rappresentato per decenni un passaggio obbligato per coloro che arrivavano a Milano e avevano necessità di un momento di relax. Non solo: anche molti milanesi, che non possedevano i bagni nella propria abitazione, li frequentavano. Nel dopoguerra il servizio dei bagni ha iniziato a perdere attrattiva sino a chiudere nel 1985. Gli ex bagni, di proprietà del Comune di Milano fin dalla nascita, sono stati sempre affidati in concessione a consorzi privati fino alla loro chiusura. Nel 2014 l’ex Albergo Diurno era stato in via del tutto eccezionale aperto al pubblico dal FAI durante le Giornate di Primavera: in quell’occasione era stato visitato da 6500 visitatori, tutti molto interessati alla storia e all’architettura della struttura. «Sono veramente soddisfatto che un luogo così straordinario come l’ex Albergo Diurno possa avere un futuro. Quando nel 2014, grazie alla collaborazione del Comune di Milano, è stato aperto durante le Giornate FAI
Durante la ristrutturazione dell’ex Albergo Diurno Venezia verrà sostituita la pavimentazione e verranno riaperti i lucernai che erano stati ricoperti di asfalto all’esterno per ragioni di sicurezza
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■ CULTURA Conoscere la Pietra di Vicenza Specializzata nella lavorazione della Pietra di Vicenza, l’azienda Peotta Armando dal 1903 ha come obiettivo quello di valorizzare ogni tipo di ambiente con realizzazioni per interni, esterni e arredi da giardino. La pietra di Vicenza, denominata anche pietra tenera per la sua facile lavorabilità, si diffonde nel territorio vicentino già dal periodo romano. Fu ampiamente utilizzata da scultori e architetti del Rinascimento e di tutto il Seicento, dal Palladio al Falconetto, dal Sanmicheli al Sansovino. Peotta Armando da sempre collabora con gli architetti e in ottobre ha organizzato un tour di due giorni per gli iscritti all’Ordine degli architetti e giovani architetti di Vicenza per fare conoscere le tecniche di applicazione della Pietra di Vicenza, lo sviluppo e l’utilizzo, dalle
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Sopra: visita alle cave le “Priare”, sotto i castelli di Montecchio Maggiore, escavate a mano e riqualificate dal comune per visite turistiche. Sotto: il gruppo all’interno del laboratorio Peotta Armando
Ville Palladiane alle architetture contemporanee. La visita è iniziata nel laboratorio dell’azienda con un percorso dimostrativo delle varie fasi e tipologie di lavorazione, finiture e trattamenti. Il percorso ha avuto la prima sosta nel magazzino dove sono collocati i blocchi e le lastre di pietra e marmo ed è proseguito con la dimostrazione di come la segamonolama e il telaio tagliano le lastre dai blocchi e, successivamente, come avvengono il taglio con le rese a controllo numerico e la tornitura. I visitatori hanno potuto assistere alle lavorazioni manuali, come la spuntatura e levigatura, e poi alle varie fasi del procedimento per effettuare l’esclusivo trattamento idro-oleorepellente per la Pietra di Vicenza: forno, levigatura e stesura del prodotto. La visita è poi proseguita nello showroom per vedere il prodotto finito, pavimenti, rivestimenti e manufatto per l’arredo interno e per l’arredo giardino con le lavorazioni e finiture illustrate in precedenza. Al di fuori dell’azienda gli architetti sono stati invitati a visitare Villa Pisani Bonetti di Bagnolo, a Lonigo, fra le opere giovanili più rappresentative dell’architetto Andrea Palladio. In particolare l’attenzione si è concentrata sul cantiere della barchessa dove è stato compiuto un impegnativo restauro sia della struttura che dei manufatti in pietra esistenti (pilastri, cornici porte, scalinate) oltre alla posa di nuovi pavimenti e rivestimenti dei bagni in Pietra San Gottardo bianca. Oltre ai proprietari della villa, era presente all’incontro il progettista e DDLL, arch. Cipriano Cavazza, che ha condiviso con i colleghi le modalità di progetto e intervento di restauro e riqualificazione della barchessa, che diventerà un luogo per eventi artistici, commerciali e privati con ristorante, bar, sala ricevimenti e alloggio. Sono state visitate anche le cave, dette “Le Priare”, di Montecchio Maggiore, con un geologo, il dottor Beschin, che ha illustrato le caratteristiche geologiche e storiche del-
A sinistra: visita al cantiere della barchessa di Villa Pisani Bonetti, dove si sta posando il pavimento in Pietra di Vicenza fornito da Peotta Armando. Sotto: ultima visita della prima giornata alla Villa Cordellina Lombardi
Progettata nel 18° secolo dall’architetto Giorgio Massari ispirandosi ai moduli palladiani e avvalendosi della collaborazione dell’architetto Francesco Muttoni, questa villa ha ritrovato la dignità di un tempo dopo una paziente opera di restauro sia architettonico che artistico, riportando alla luce i preziosi affreschi di Giambattista Tiepolo. La domenica il gruppo si è spostato all’Esposizione Universale di Milano, guidato dall’architetto Francesca Grandi che ha illustrato le caratteristiche architettoniche di alcuni padiglioni, con particolare attenzione alla sostenibilità degli edifici, all’uso dei materiali, alle problematiche tecnologiche che i progettisti hanno dovuto sostenere per la realizzazione di queste palazzine.
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la Pietra di Vicenza, la conformazione e particolarità della cava e le tecniche di estrazione. Il sabato si è concluso a Villa Cordellina Lombardi di Montecchio Maggiore, con una visita guidata dall’architetto Rita Francesca Grandi, che fa parte del team del Guiding Architects Milano per la sezione di Venezia, e ha illustrato le peculiarità architettoniche, artistiche, le problematiche che interessano il restauro e la manutenzione dei manufatti in pietra presenti nell’edificio e nel giardino.
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materiali
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gettare, vedere: arredare insieme a Cariolato è un'esperienza a tre dimensioni, prima ancora di entrare nei nuovi spazi e assaporare il piacere di abitarli. Immaginarli è naturale, grazie a un catalogo e uno showroom che raccolgono solo il meglio del design, italiano e internazionale. Progettarli è l’impegno quotidiano di un team esperto, composto da designer e architetti, che ogni giorno dà il meglio di sé per interpretare ambienti ed esigenze del cliente. Per consegnare al cliente non la casa perfetta, bensì la casa perfetta per lui, quella dei suoi sogni. Realizzare progetti chiavi in mano per Cariolato vuol dire avere sempre idee belle ma anche funzionali, scegliere design d’avanguardia che racchiude in sé tendenze, armonia, proporzione e benessere, selezionare oggetti d’autore da inserire nel contesto adeguato. Tutto ciò è possibile anche grazie a una rete capillare di fornitori e partnership produttive, progettuali e logistiche. Negli ultimi anni l’azienda si è molto rinnovata, dalla tecnologia utilizzata nella progettazione fino alla ristrutturazione dello showroom. Superando il concetto di negozio, chi entra da Cariolato trova prima di tutto competenza, stile, professionalità che si traducono in un servizio di consulenza personalizzata ad altissimi livelli.
Pagina a fianco, in alto: render progettuale Suite Hotel in Alta Badia (vista esterna). A sinistra: progetto realizzato Suite Hotel in Alta Badia (vista interna). In alto: progetto personalizzato con boiserie, carta da parati e luci a led incorporate – render fase progettuale. Sopra: progetto nuova abitazione a Vicenza – render di presentazione al cliente.
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Puntoluce si occupa dal 1984 di tutto quanto riguarda il mondo dell’illuminazione: consulenza, progettazione illuminotecnica, vendita al minuto e all’ingrosso, assistenza post vendita. Collaboriamo con le migliori aziende del settore quali Artemide. Flos, Fontana Arte, Leucos, e molte altre, per offrire alla nostra clientela un prodotto di design e di elevata qualità. Con Clickluce, il nuovo marchio dedicato alla vendita on line, il nostro impegno è di offrire attraverso il web, a un pubblico più vasto, la stessa professionalità e competenza che da sempre i nostri clienti ci riconoscono.
L’azienda nasce nel 1954 come F.lli Gatto, conquistando fin dal primo momento la fiducia del mercato locale, evolvendosi nel tempo con nuove soluzioni e proposte di alta qualità, fino a specializzarsi come Euroser nel settore del serramento in alluminio. I nostri prodotti sono fatti esclusivamente a misura, pezzo per pezzo, curando in particolare la scelta dei materiali e l’attenzione nella lavorazione in modo da dare un risultato che duri nel tempo. Ogni servizio è stato impreziosito con una nota di moderna innovazione, con proposte personalizzate e sempre adeguate alle mutevoli esigenze di mercato. La Vetreria Bortoli è un’importante attività artigianale che fornisce servizi di fornitura e installazione di vetri. La lavorazione artigianale si sposa con l'innovazione tecnologica, siamo quindi in grado di garantire prestazioni di alto livello per la posa di vetri per arredi, vetrine, porte interne e finestre. La Vetreria Bortoli tratta vetro di ogni tipologia, da quello stratificato antisfondamento, ideale per garantire la massima sicurezza, a quello artistico, dalle vetrate isolanti agli specchi per arredamento e molto altro ancora. Il nostro fine ultimo è la piena soddisfazione del cliente in termini di qualità del prodotto e tempestività del servizio.
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Cultura e socialità
Tutte le foto Héctor Santos Díez
La Coruña è un comune situato all’estremo nord-ovest della Spagna, nella regione autonoma della Galizia. In questa comunità urbana l’architetto Óscar Pedrós ha concluso la realizzazione di una mediateca concepita come un nuovo contenitore culturale voluto dall’Ente pubblico del Comune di Carballo di Federica Calò
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PLANIMETRIA E SEZIONE DELL’AUDITORIUM
SEZIONE VISTA DA NORD
SEZIONE VISTA DA SUD
arballo è un villaggio di medie dimensioni di circa 30mila abitanti situato a 35 Km da La Coruña. Il contesto dove si è deciso di realizzare questa mediateca è caratterizzato da una forte complessità urbana, da elementi separatori e da molti fabbricati incompiuti. Si tratta dell’immagine di un tessuto urbano di città non consolidata, tipica di una crescita diffusa e non sempre regolata degli insediamenti. Un progetto per una biblioteca, quindi, con il compito di tentare di risolvere una situazione sociale problematica mediante una scommessa basata sulla cultura. L’architetto spagnolo Óscar Pedrós, esperto in urbanistica e tecnologia, è stato così chiamato a progettare per questa città una mediateca che doveva diventare una nuova attrazione per tutta la comunità, proprio come il ruolo che aveva esercitato l’ex biblioteca precedentemente esistente, di cui negli ultimi anni il Comune ha deciso di cambiare la funzione convertendola in centro di archivia-
C
zione. Quest’architettura, infatti, a differenza di quella storica, non doveva assumere le sembianze di una biblioteca tradizionale destinata alla sola funzione di studio, ma assomigliare maggiormente a uno spazio multimediale flessibile in cui persone di diverse età avrebbero potuto sfruttare i propri spazi. Un tentativo quindi di architettura sociale con l’intento di ricucire un tessuto urbano frammentato, in grado di affidare al manufatto costruttivo il tentativo di dare risposta ai disagi sociali e abitativi con progetti e realizzazioni sostenibili in termini economici, ecologici e sociali. Un nuovo luogo dinamico e flessibile, adatto per ospitare come funzione principale la cultura e una serie di altre attività ricreative, è quello che si è voluto ottenere costruendo questa nuova architettura. Óscar Pedrós ha deciso quindi di realizzare un edificio caratterizzato da una conformazione ermetica e chiusa verso il contesto urbano adiacente, ma aperta verso un patio concepito come luogo
Pagina a fianco, in alto: esterno dell’edificio, rivestito da lastre in ceramica che si alternano con una disposizione irregolare alle ampie vetrate trasparenti poste in corrispondenza degli spazi idonei a ricevere la luce. A sinistra: l’immagine del plastico aiuta a comprendere l’articolazione dei piani ortogonali e inclinati del progetto
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A destra: dettaglio delle lastre in ceramica grigio chiaro dello spessore di 6 mm che rivestono l’intero edificio. Sono lastre di grande formato rettangolare che, in corrispondenza delle superfici inclinate, sono tagliate in formati più ridotti, creando un gioco più articolato con le fughe
PROSPETTO OVEST
PROSPETTO SUD
PROSPETTO NORD
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all’aperto destinato alle relazioni. L’edificio prende così le sembianze di un “contenitore” di libri in grado, al tempo stesso, di facilitare la condivisione sociale. Lo concepisce come un elemento fortemente riconoscibile e differente rispetto al resto del contesto, con uno stile architettonico contemporaneo che ha preso in poco tempo le sembianze di un oggetto caratterizzante un quartiere da sempre anonimo. La disposizione planimetrica dell’edificio tiene ovviamente conto di questi aspetti e per meglio ottimizzare gli spazi destinati agli utenti si è cercato di sfruttare il più possibile l’occupazione del suolo a disposizione. La poliedricità delle varie superfici in facciata e la loro irregolarità contribuiscono a creare una rottura con il tessuto circostante. Il piano terra ha una forma a U che circonda un patio centrale con accesso controllato dall'esterno. Il patio si comporta come un prolungamento di un futuro spazio pubblico all’aperto che sarà realizzato in direzione nord. Questo tentativo di collegare
la nuova mediateca alla progettazione dello spazio pubblico intorno sottolinea ulteriormente il desiderio non solo di un’operazione immobiliare fine a se stessa, ma l’intento di rendere piacevole un’intera piazza e futuro spazio pubblico per la comunità. Internamente la presenza di questo cortile racchiuso da vetrate, oltre a portare l’illuminazione naturale al centro dell’edificio, offre anche una zona che permette a bambini, studenti e utenti più anziani di sostare insieme nelle aree pubbliche della mediateca. Oltre quindi a spazi dedicati alla lettura individuale, il progettista ha voluto ricreare diversi ambienti per le attività collettive, facilitando la creazione di rapporti sociali, distribuiti in maniera equilibrata fra gli spazi interni ed esterni. Il primo piano invece si sviluppa con una forma planimetrica regolare chiusa alla quale gli utenti possono accedere attraverso due scale poste al piano terra e pensate, oltre che per il collegamento verticale, anche per incoraggiare i visitatori a esplorare lo spazio ai
PLANIMETRIA PIANO TERRA
PLANIMETRIA PIANO PRIMO
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Scheda progetto Mediateca di Carballo Architetto Óscar Pedrós Strutture E3 Arquitectos Costruttore Ogmios Proyecto S.L. Finanziatore Ministero della Cultura, Governo spagnolo Superficie 1.570,00 mq
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INQUADRAMENTO TERRITORIALE
A sinistra: vista del patio interno all’aperto racchiuso dalle ampie vetrate che si affacciano sugli spazi interni. La presenza di questo cortile, oltre a portare l’illuminazione naturale al centro dell’edificio, funge da zona di socialità dove bambini, studenti e utenti più anziani possono riunirsi e instaurare delle relazioni piani superiori. Queste ampie scale, infatti, rivestite di legno con balaustre leggere in alluminio e vetro, danno respiro agli spazi popolati dalla miriade di libri. A questo livello si distribuiscono i vari ambienti tematici divisi per stanze destinate ai più piccoli, luoghi per gli adulti, fino ad arrivare a un aggetto a sbalzo sull’angolo sudovest che internamente ospita un auditorium dedicato alle proiezioni al coperto e al tempo stesso funge da copertura e migliora l’acustica di una platea all'aperto a disposizione degli spettacoli durante la bella stagione. Questi spazi sono disposti a cerchio e si affacciano verso il piano terra e il cortile centrale e sono stati progettati per favorire l’interazione tra le diverse generazioni, secondo una disposizione accurata che divide le sezioni fra narrativa, fumetti, musica e media. Infine, una zona lounge a sbalzo diventa uno spazio di lettura per i bambini, che viene ulteriormente illuminata tramite la luce naturale di un lucernario. Le varie sfaccettature dell’edificio sono rivestite esternamente da lastre in ceramiche rettangolari grigio chiaro dello spessore di 6 mm che si alternano alle ampie vetrate trasparenti poste in corrispondenza degli spazi atti a ricevere la luce. Internamente i controsoffitti e le pareti sono stati rifiniti di bianco e si sposano con gli arredi che riprendono tonalità chiare per facilitare, in questo modo, maggiore riflessione e luminosità degli ambienti. La pavimentazione è stata realizzata a parquet chiaro, essenza naturale che è ripresa anche per alcuni dettagli decorativi a parete. Le vetrate che separano gli spazi e il cortile sottolineano l’importanza di una così rilevante presenza della luce naturale in un luogo come una mediateca.
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Nelle quattro foto è visibile come gli spazi interni, i controsoffitti e le pareti sono stati rifiniti di bianco e si sposano con gli arredi dello stesso colore. La pavimentazione è stata realizzata a parquet chiaro, essenza naturale che viene ripresa anche per alcuni dettagli decorativi a parete
progettare
Scavato nella roccia
A 2.275 m sul livello del mare si arriva sulla vetta del Monte Plan de Corones, la rinomata località sciistica dell’Alto Adige, da qualche mese caratterizzata dalla presenza del Messner Mountain Museum Corones, settima attrazione voluta e fondata dal famoso scalatore Reinhold Messner. All’interno si può conoscere la storia e la disciplina dell’alpinismo di Federica Calò
aha Hadid e le forme curve e potenti delle sue architetture allungate, caratterizzate da punti di multipla prospettiva e geometria frammentata sono state scelte da Reinhold Messner per realizzare il suo Messner Mountain Museum Corones. Reinhold Messner è stato il primo uomo a scalare le quattordici montagne di tutto il mondo a più di 8mila metri e anche il primo a scalare l’Everest senza l’ausilio di ossigeno. Messner afferma che questo punto di osservazione, chiamato Kronplatz, offre una vista al di là dei confini dell'Alto Adige, e per questo motivo ha scelto proprio questa location naturale ed esclusiva per realizzare il contenitore delle sue esperienze. L’architetto Zaha Hadid è stata chiamata a dare espressione, attraverso la sua architettura, all’energia di quest’uomo che ha dedicato la sua vita e il suo lavoro alla montagna, e l’ha fatto cercando di regalare a ogni visitatore che raggiungerà questo luogo la possibilità di scendere all’interno della montagna per esplorare le sue caverne e grotte, prima di emergere attraverso la parete della montagna sul lato opposto, grazie a una terrazza a strapiombo sulla valle con ai suoi piedi una spettacolare vista panoramica. Il museo sembra emergere dal suolo focalizzandosi in particolare su tre posizioni specifiche: la prima corrisponde a una finestra che si affaccia a sud-ovest fino alla vetta del monte Peitlerkofel. La seconda osserva a sud la vetta Heiligkreuzkofel e la terza è un balcone rivolto a ovest verso l’Ortles e l’Alto Adige. In corrispondenza di ognuna di queste posizioni, incastonate nei frammenti di roccia e di ghiaccio, è presente un’uscita all’aperto come fosse una pensilina dalle forme sinuose e avveniristiche realizzata in cemento armato che s’innesta nel terreno della cima del-
Z
Sopra: vista del Messner Mountain Museum Corones a 2.275 m sul livello del mare in corrispondenza della vetta del Monte Plan de Corones in Alto Adige. A destra: la terrazza a sbalzo con vista ovest verso l'Ortles e l’Alto Adige
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la montagna. Costruito sopra un basamento in cemento armato, la struttura del museo è composta di pareti dallo spessore che varia dai 40 ai 50 cm, mentre la copertura, dovendo sostenere la terra di protezione e la roccia che incorpora parte del museo nella montagna, ha uno spessore che arriva fino a 70 cm. I 1.000 metri quadrati di area espositiva del museo sono disposti su più livelli per ridurre il suo impatto sulla superficie della roccia della montagna. La realizzazione di quest’architettura è avvenuta inizialmente scavando i primi 4mila metri cubi di terra e roccia, gli stessi sono poi stati riutilizzati in seguito come copertura e protezione finale dell’intera architettura, provocando quell’effetto d’immersione del museo all'interno del Monte Plan de Corones. Operazione che ha inoltre contribuito a mantenere anche una temperatura interna più costante fra i vari ambienti ricreati. Una serie di scale, interpretate come fossero cascate di ruscelli di montagna, collegano gli spazi espositivi presenti ai diversi livelli e distribuiscono la circolazione dei visitatori su tre piani. In corrispondenza del livello più basso si ha una visuale dall’interno guardando attraverso le vetrate, mentre, attraversando una galleria, si raggiunge sul lato opposto la terrazza posta con uno sbalzo di
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6 m sulla montagna, punto dove è possibile avere un panorama a 240 gradi sulle Alpi. Si è voluto riprendere i colori chiari e i toni freddi delle cime calcaree frastagliate, tipiche delle Dolomiti e sono così stati predisposti come rivestimento esterno dei pannelli di fibra di cemento rinforzato con vetro, effetto materico che è stato riproposto anche nelle pareti interne del museo, ma con una colorazione più scura per assomigliare maggiormente alla lucentezza dell’antracite, pietra ritrovata in profondità sotto la superficie. Queste forme complesse costruite in 3D al computer secondo il modello dell’architetto Zaha Hadid che danno forma e rivestimento all’edificio sono state ricavate da enormi blocchi di polistirolo, impiegando una fresa robotizzata CNC e con gettate di cemento e fibra di vetro mediante dei casseri di forma conica. In questi stampi, con un procedimento multistrato, sono stati “gettati” alternativamente il cemento e la fibra di vetro, così che al termine sono risultati sistemi dall’altissima stabilità costruttiva con dimensioni fuori norma ma allo stesso tempo snelli e flessibili. Da queste forme sono nati effetti incomparabili grazie anche alle grandi dimensioni che hanno posto in secondo piano le fughe e le giunzioni. La dinamica di queste for-
Sotto: vista del museo che sembra emergere dal suolo focalizzandosi su tre posizioni specifiche: a sud-ovest con vista fino alla vetta del monte Peitlerkofel, a sud verso la vetta Heiligkreuzkofel e a ovest con il balcone rivolto verso l'Ortles e l’Alto Adige. A destra: il museo sembra mimetizzarsi con la roccia calcarea della montagna
INQUADRAMENTO TERRITORIALE SUL MONTE PLAN DE CORONES
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Vista mozzafiato della vetta del Monte Plan de Corones, chiamato Kronplatz, che ospita il Museo che si staglia sulla vallata sottostante. La realizzazione di quest’architettura è avvenuta scavando 4mila metri cubi di terra e roccia, i quali sono poi stati riutilizzati successivamente come copertura e protezione finale dell’intera architettura, provocando quell’effetto d’immersione del museo all'interno della punta del Monte Plan de Corones
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Progetto Messner Mountain Museum Corones Architetto Zaha Hadid Architects (ZHA) Committente Skirama Kronplatz/Plan de Corones Strutture IPM Superficie 1.000m² Posizione 2.275 m sul livello del mare Cronologia 2015
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me è diventata unica, ininterrotta e consequenziale su quasi 400 pannelli tra quelli posizionati internamente e quelli esternamente. Un ponteggio di profilati di acciaio con staffe regolabili per compensare le tolleranze costituisce la sottostruttura del museo. Le contro-piastre per le staffe di collegamento sono state inserite all’interno di ogni pannello durante il processo di prefabbricazione. Le ampie vetrate che si alternano ai pannelli di fibra di cemento permettono, invece, alla luce naturale di penetrare fino all’interno del museo. Un percorso, questo, creato dalla luce stessa che conduce ai tre punti di osservazione esterna dotati di finestre panoramiche e di terrazze. I sette Messner Mountain Museum non sono mu-
sei d’arte o di scienze naturali tradizionali, ma sono il frutto di una ricerca interdisciplinare fra la natura, i materiali e l’architettura finita. Ciascuno di questi musei occupa una posizione unica e sono tutti racchiusi in architetture straordinarie che ospitano cimeli, opere d’arte e raccontano la montagna. Nel 2003 la Campana della Pace Concordia 2000 è stata la prima installazione culturale realizzata da Messner per unire sport e servizi ricreativi, posta sulla sommità del Monte Plan de Corones, che comprende strutture per le attività di deltaplano e parapendio. Sono stati poi realizzati i due ristoranti di Kron e Gipfel, due stazioni sommitali della funivia a Plan de Corones 2000 a Riscone, la funivia a Valdaora e la funivia Ruis a San Vigilio.
Le forme particolari degli elementi prefabbricati e dei rivestimenti sono state costruite secondo un modello in 3D, creato al computer dall’architetto Zaha Hadid. All’interno di enormi blocchi di polistirolo, impiegando una fresa robotizzata CNC, è stato versato cemento e fibra di vetro, dai quali sono fuoriusciti elementi di alta stabilità costruttiva con dimensioni fuori norma ma allo stesso tempo risultati snelli e flessibili
SEZIONE LONGITUDINALE
1
2
2 5 3 2
4 6
1. Ingresso; 2. Area espositiva; 3. Vetrate; 4. Cinema; 5. Sala impianti; 6. Archivio. AVI architetti 67
PLANIMETRIA PIANO TERRA LIVELLO 0
1
3 2
4
1. Ingresso; 2. Biglietteria; 3. Vetrate; 4. Uscita di sicurezza.
PLANIMETRIA PRIMO BASAMENTO LIVELLO -1
1
2
1. Area espositiva; 2. Uscita di sicurezza.
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PLANIMETRIA SECONDO BASAMENTO LIVELLO -2
3
4
1 2
1. Area espositiva; 2. Uscita di sicurezza; 3. Sala impianti; 4. Archivio.
PLANIMETRIA TERZO BASAMENTO LIVELLO -3
5
7 4 7
2 1
7 8
3 6
1. Area espositiva; 2. Terrazza; 3. Vetrate; 4. Cinema; 5. Archivio; 6. Uscita di sicurezza; 7. Servizi igienici; 8. Archivio.
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progettare
Museo e landmark
A Sküde, a 10 Km a sud di Aarhus nel centro est della Danimarca, gli Henning Larsen Architects hanno progettato e realizzato il nuovo edificio polifunzionale per il Moesgaard Museum che è diventato in poco tempo anche un apprezzato landmark di questo paesaggio, visibile dal mare e dalle colline di Federica Calò
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Foto Jens Lindhe
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L’edificio è stato realizzato adiacente a un’antica casa padronale con la quale dialoga attraverso il grande parco verde e allo stesso tempo si contrappone a essa con la sua architettura decisamente contemporanea. L’elemento caratterizzante questa nuova architettura è la particolare copertura in pendenza, rivestita di erba, muschio e fiori dai colori vivaci che rende l’edificio un punto di riferimento visivo
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Foto Jan Kofod
Foto Jan Kofod
Foto Jens Lindhe
Foto Jens Lindhe
uesto nuovo museo progettato da Henning Larsen Architects in collaborazione con Kristine Jensen Architects, sorge nel paesaggio collinare di Skåde, poco più a sud della città danese di Aarhus. Moesgaard Museum, con una superficie complessiva di 16mila mq, contiene la più grande esposizione di reperti e cimeli della storia della cultura vichinga, oltre a essere stato voluto soprattutto per donare a tutta la Danimarca, e non solamente alla città di Aarhus, un polo multifunzionale della cultura e della conoscenza, che andrà a beneficio dei visitatori del museo, degli studenti, ricercatori e di tutti quelli che fruiranno di questo spazio dinamico e interattivo. L’edificio è stato realizzato adiacente a un’antica casa padronale che ospitava il vecchio Moesgaard con la quale dialoga attraverso il grande parco verde e allo stesso tempo si contrappone a essa con la sua architettura certamente contemporanea. L’elemento caratterizzante questa nuova architettura è la particolare copertura in pendenza, rivestita di erba, muschio e fiori dai colori vivaci che rende l’edificio un punto di riferimento visivo e percepibile dal mare e dalle colline circostanti. La pianta rettangolare del tetto verde sembra emergere dal terreno sottostante e durante le stagioni estive si trasforma in un’area ricreativa, in spazio con-
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ferenze o in luogo dove celebrare la tradizionale festa di mezza estate. Durante l’inverno, invece, la neve contribuisce a trasformare la copertura del museo in una pista per slittini. È in questo modo che uno spazio per la cultura diventa flessibile e aperto anche per molte altre attività utili alla comunità. Il gesto delicato e poco invasivo di quest’architettura lo rende quasi invisibile sotto la coltre verde del terreno che lo ospita. In pianta l’edificio scompare confondendosi con la morfologia del pendio naturale presente sotto di esso e si solleva grazie alle vetrate trasparenti e alla gettata inclinata di cemento armato. Se esternamente l’edificio accenna leggermente la sua presenza, nel suo interno provoca una sorta di rilevante spaccatura in profondità, dove è stato proposto un paesaggio terrazzato che nel punto più alto raggiunge i 12 metri di altezza. Quest’andamento a gradoni vuole offrire e ricordare il tema degli scavi archeologici, i quali scoprono, metro dopo metro, strati di storia e mostrano le città antiche del passato, le memorie e le origini di una comunità. Questo percorso a gradoni è articolato da una successione di spazi che ospitano mostre ed esperimenti scientifici in grado di coinvolgere attivamente il visitatore. Con i luminosi cortili piantumati, le terrazze e le piccole grotte, il museo si presta a ospitare generi di mostre interattive e al-
A sinistra: un dettaglio della gettata in calcestruzzo armato, alternato alle ampie vetrate trasparenti che caratterizzano i prospetti laterali della parte dell’edificio che fuoriesce dal terreno. Sopra: la vista che si gode dalla copertura obliqua rivestita di vegetazione che diventa spazio pubblico all’aperto per gli utenti e i visitatori
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SEZIONE LONGITUDINALE B-B
SEZIONE TRASVERSALE C-C
SEZIONE TRASVERSALE E-E
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Il gesto delicato e poco invasivo di quest’architettura la rende quasi invisibile sotto la coltre verde del terreno che lo ospita. In pianta l’edificio scompare confondendosi con la morfologia del pendio presente sotto di esso e si solleva grazie alle vetrate trasparenti e alla gettata inclinata di cemento armato
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PROSPETTO NORD-EST
PROSPETTO SUD-OVEST
PROSPETTO NORD-OVEST
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Foto Jan Kofod
ternative. Il cuore dell’edificio è l’atrio centrale che occupa circa 750 mq e contiene anche le funzioni di servizio come biglietteria, caffetteria e un armadio per gli utenti. Le funzioni più interessanti che esso ospita restano il cortile e l’accesso che conduce alle numerose terrazze, dalle quali si gode di luce proveniente dal tetto-giardino e della vista panoramica sulla baia di Århus. Di fronte alla biglietteria, che si trova vicino all'ingresso principale del museo, i visitatori possono gettare uno sguardo dall’alto in basso in direzione della mostra permanente dal nome “Sette Vichinghi”. In quest’area i visitatori vengono catapultati in un viaggio ricco di eventi che hanno caratterizzato la storia della città di Aarhus in epoca vichinga e della presenza di questa civiltà nel resto del mondo, dove sarà anche possibile ritrovare le vicende di alcune tra le più importanti personalità locali di quel periodo. Tutti gli oggetti di questa esposizione sono nuovi e realizzati apposta per rendere unica quest’esperienza: resti di città e distretti, fisionomie di volti e persone sono stati ricostruiti in questo nuovo museo per ricreare un’atmosfera scenografica la più vicina possibile alle abitudini dell’epoca. La sala espositiva, dedicata invece alle mostre temporanee, è dotata di elevati standard
3
2
1
PLANIMETRIA GENERALE
1. Nuovo Moesgaard Museum 2. Moesgaard esistente 3. Parco esistente
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PLANIMETRIA LIVELLO 0
PLANIMETRIA LIVELLO +1
5
2 4
1 3
Foto Jens Lindhe
1. Sala espositiva Etnografia / Antiquariato / Medioevo 2. Foyer 3. Terrazza centrale 4. Caffetteria
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5. Sala espositiva speciale 6. Sala espositiva araba 7. Sezione didattica 8. Sala conferenze 9. Sala per gli ospiti
PLANIMETRIA LIVELLO +2
PLANIMETRIA LIVELLO +3
8 9
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Foto Jens Lindhe
Scheda progetto Moesgaard Museum Luogo Aarhus, Danimarca Committente Moesgaard Museum Superficie 16mila mq Cronologia 2013 Architetti Henning Larsen Architects Paesaggisti Kristine JensensTegnestue Strutture Cowi
Foto Jens Lindhe
per la logistica, la sicurezza e il controllo del clima interno, proprio per essere in grado di ospitare grandi mostre di respiro internazionale e può inoltre essere utilizzata anche per molte altre tipologie di eventi come conferenze, fiere e sfilate di moda. L’edificio, oltre a ricercare la particolarità nella sua forma architettonica, ha tenuto conto anche dei requisiti di risparmio energetico e della contenuta dispersione del calore. Una strategia globale sostenibile integrata è stata pensata in parallelo nella sua progettazione architettonica. La geometria e l’orientamento del manufatto hanno tenuto conto della massimizzazione del suolo disponibile per la sua realizzazione per evitare sprechi del terreno a disposizione. La superficie del tetto rivolta a sud, oltre a caratterizzare l’involucro, è stata opportunamente studiata in modo da creare un edificio a basso consumo energetico e contribuisce inoltre al raffreddamento di tutti gli ambienti interni durante le stagioni calde e, di conseguenza, riduce l’assorbimento o la dispersione del calore accumulato durante i periodi freddi. Inoltre, grazie sempre a quest’elemento di copertura obliqua, si riesce a ridurre notevolmente anche l’importo complessivo delle acque reflue. Il tetto scende verso il basso, a sud, e con quest’andamento protegge anche gli oggetti in mostra negli spazi interni dalla luce solare diretta che non è gradita soprattutto da opere d’arte di un certo valore. Connessi a ogni sala espositiva della mostra permanente, caratterizzata da ambienti bui, sono presenti delle aree sosta vetrate e illuminate che permettono al visitatore di riadattarsi e riprendere l’orientamento con la natura, con la luce e con il sole. Uno studio ottimale dello sfruttamento della luce naturale nella parte restante del museo ha ridotto la necessità di ricorrere all’illuminazione artificiale, diminuendo di conseguenza il consumo energetico complessivo. Il prestigio di questa nuova architettura è dato anche dall’essere stata scelta come vincitrice dalla giuria del Premio In-Situ, un premio annuale che viene assegnato ogni anno da Dansk Beton e Concrete Danish Industry Association.
Foto Jens Lindhe
A sinistra: vista dell’ampia scalinata che provoca una sorta di spaccatura in profondità, dove è stato riproposto un paesaggio terrazzato che nel punto più alto raggiunge i 12 metri di altezza. A destra: sono visibili gli spazi di connessione che conducono alle varie sale mostre
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progettare
A Boulogne Billancourt, in Francia, è stato costruito un nuovo edificio che, pensato per ospitare una scuola, è divenuto un’enclave di biodiversità. Un’occasione per ospitare la fauna ornitologica. Un’opportunità perché la città diventi più attenta alla sostenibilità di Iole Costanzo
Nel cuore della natura
Foto Cyrille Weiner
Foto David Foessel
Sotto: il volume è compatto e all’interno il cortile viene usato come campetto per i più piccoli. I 5 livelli che formano la scuola sono collegati, attraverso le balconate, tra loro e con la copertura
siste, si sa, o può esistere, una connessione tra poesia e architettura. Perché nell’architettura c’è questo lato umanistico che riguarda soprattutto l’espressività e la comunicatività del progetto. A questa particolare congiuntura può accompagnarsi il pensiero ecosostenibile. Ed è da associazioni di questo tipo che nasce l’idea di una scuola come la Primary School for Sciences and Biodiversity progettata dallo studio Chartier Dalix architects. La scuola, costruita a Boulogne Billancourt, una cittadina dell’Ile de France, è dotata di una palestra e di un suo ambiente naturale. Più che una scuola la Primary School for Sciences and Biodiversity è una enclave urbana dotata di un proprio paesaggio en-
E
dogeno/indigeno: un gioco di parole per sintetizzare che è dalla struttura stessa dell’edificio (endogeno) che nasce l’opportunità di nutrire e accogliere la fauna ornitologica indigena. La Primary School for Sciences and Biodiversity altro non è che un concreto tentativo di costituire una biodiversità all’interno delle aree urbane. È questa la sfida raccolta da questo istituto: ricreare un ecosistema funzionante anche come luogo di apprendimento, uno spazio in cui far crescere i bambini nutrendo il loro potenziale e la sensibilità verso la natura. D’altra parte la zona in cui è stata costruita questa scuola ha una sua particolare storia: fa parte di un processo di pianificazione, ridefinizione e ristrutturazione dell’ex sito industriale Fabbriche Renault nella pianura di Billancourt, a sud della città di Boulogne. Più precisamente la scuola insiste sul sito A4 Est, nella zona di sviluppo urbano nominata
“Seguin-Rives de Seine”, che negli ultimi 15 anni è stata densamente edificata secondo un piano che prevedeva anche la costituzione di viali alberati, giardini oggi ancora in crescita e una cospicua percentuale di edilizia non più alta di 5 piani. Ottime premesse per avere un quartiere rigoglioso già tra una decina d’anni. Il nuovo complesso scolastico consta di due strutture: una scuola con 18 classi, di cui 7 per gli anni pre-scolari, 11 per la scuola primaria, più una palestra che sarà aperta ai residenti. Le due strutture, scuola e palestra, stanno in un unico volume delimitato da un muro realizzato con blocchi di calcestruzzo, al cui interno le scanalature conservano semi per la nutrizione della fauna ornitologica e la crescita di piccole piantine. La scuola ha come fine ultimo quello di diventare il “cuore verde” di un nuovo quartiere che non vuole perdere l’opportunità di un futuro qualitativamente migliore. Ci sono due parti distinte in questo edificio: le facciatemuro e il tetto giardino. Il primo elemento, il muro, si av-
volge intorno alla scuola, donando al volume un contorno rigido ma dalle linee fluide che rendono poco netto, in alcuni punti, il passaggio tra l’interno e l’esterno. I campi da gioco sono due, uno interno adatto a più discipline con funzione anche di palestra, destinato a tutto il quartiere e che occupa con gli spazi di servizio che vi gravitano intorno tutta la parte retrostante dell’edificio e l’altro, di dimensioni molto più piccole, esterno, che invece è dedicato agli alunni in età prescolare e primaria. La Primary School for Sciences and Biodiversity ha in sé qualcosa di primitivo, ed è sicuramente la promessa di voler essere un catalizzatore più o meno a lungo termine per la biodiversità. Una promessa che sarà sicuramente diversa da qualsiasi possibile prefigurazione oggi fatta, perché le piante che vi cresceranno saranno diverse o forse cresceranno in punti diversi da dov’era stato ipotizzato il loro attecchimento. Il muro “corteccia” è realizzato in blocchi prefabbricati di calcestruzzo di cui il lato visibile è liscio, lucido, e in un certo qual modo riflettente. I blocchi presentano delle strette scanalature che aiutano ad incanalare l’acqua verso i lati, creando così due diverse situazioni: la tutela da un possibile in-
Foto Cyrille Weiner
A sinistra: il muro che attornia l’edificio ha la particolarità di essere scabro. È pieno di nicchie appositamente pensate per ospitare quei semi che faranno da nutrimento per la neo fauna ornitologica del quartiere. A destra: la vista dall’alto mostra chiaramente il tetto giardino. È leggibile il percorso che conduce i bambini dal terrazzo del secondo livello fino alla copertura
Foto P. Guignard
vecchiamento della facciata, visto il materiale scelto, e la canalizzazione dell’acqua come nutrimento per le piante che vi cresceranno e gli uccelli che vi sosteranno. La parte inferiore del muro autoportante, fino a un’altezza di circa due metri, si presenta meno scabro proprio per non facilitare l’accesso agli estranei e a possibili predatori, mentre al di sopra di questa altezza la differenziazione dei blocchi e della loro stessa posa in opera assicura più tipologie di habitat per la nidificazione di diverse specie di volatili quali gheppi, pipistrelli, pettirossi, codirossi, rondini, rondoni e storni. Il tetto è invece un vero e proprio giardino pensile, ed è posto a dodici metri sopra la palestra. In totale l’edificio presenta tre livelli di vegetazione: un prato di piante mesophilus che cresce nei 50 centimetri di terra posti sulle balconate previste di fronte alle classi e un boschetto che sta crescendo sul tetto in un impianto di terra profondo poco più di un metro. Questo giardino pensile è strutturato per assolvere a due precise funzioni: accogliere la fauna che già trova un proprio habitat nel muro e migliorare le condizioni climatiche della parte posta a nord dell’edificio.
ambienti dedicati allo sport scuola materna scuola elementare spazio ricreativo per la materna
SPACCATO ASSONOMETRICO
centro ricreativo per le elementari alloggio custode aree esterne
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PROSPETTO SUD
Foto David Foessel
PROSPETTO NORD
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Luogo Boulogne Billancourt Rive de Seine Studio di progettazione Chartier Dalix Architectes Superficie totale 5164 m² Superficie complessiva 6766 m²
SEZIONE LONGITUDINALE A-A
SEZIONE TRASVERSALE F-F
Foto Cyrille Weiner
SEZIONE TRASVERSALE D-D
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PIANTA PIANO TERRA
PIANTA LIVELLO 1
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PIANTA LIVELLO 3
PIANTA COPERTURA
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LA TESTATA PROMOSSA E PATROCINATA DAL CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI ARCHITETTI Point Z.E.R.O. è il magazine trimestrale del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Vuole essere un osservatorio privilegiato dal quale guardare quello che succede nel mondo dell'architettura sostenibile a 360.° Scarica gratuitamente o consulta via web l'app POINT Z.E.R.O. Cerca la copia cartacea nelle fiere di settore
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ARCHITETTURA, ARTE & DESIGN LA FAMIGLIA BRUEGHEL
La mostra ripercorre la storia, lungo un orizzonte temporale, familiare e pittorico di oltre 150 anni portando a Bologna i capolavori di un’intera dinastia di eccezionale talento attiva tra il XVI e il XVII secolo. Brueghel, nome di una famiglia diventata nei secoli passati marchio di eccellenza nell’arte pittorica, comprendeva la più importante congrega di artisti fiamminghi a cavallo tra il XVI e XVII secolo interpreti dello splendore del Seicento. La stirpe che ha meravigliato il mondo con dipinti giunti fino a noi grazie alla preziosità di questi manufatti nota fin dal Seicento, è in mostra a Palazzo Albergati con opere di Pieter Brueghel il Vecchio, La Resurrezione (1563 ca), Pieter Brueghel il Giovane, Danza nuziale all’aperto (1610 circa), Jan Brueghel il Vecchio, Paesaggio fluviale con bagnanti (1595 - 1600), Jan Brueghel il Giovane, Incontro tra viaggiatori (1630 circa), Abraham Brueghel, Grande natura morta con frutta in un paesaggio (1670), Ambrosious Brueghel, Natura morta con fiori (1660-65), in un’esposizione che analizza la rivoluzione realista sulla pittura europea nata dal genio della famiglia Brueghel, che ha influenzato, attraverso lo sguardo degli stessi inventori, i grandi temi della storia dell’arte
occidentale. Una Natura forte e vigorosa, che sovrasta l’uomo, spesso succube e sottomesso di fronte alla sua potenza. Pieter Brueghel il Vecchio, e dopo di lui tutta la sua ricca discendenza, è l’inventore di un codice pittorico che ben presto diventa un marchio, una sorta di “brand” dell’articolata famiglia che, a partire dalla metà del Cinquecento, sarà attiva per oltre due secoli. Bologna, Palazzo Albergati/ Brueghel. Capolavori dell’arte fiamminga/ Fino al 28 febbraio 2016
SETTE MOSTRE IN UNA Non “una” mostra sull’arte italiana ma, letteralmente, “una mostra di mostre” che, attraverso sette percorsi, cerca di esplorare gli ultimi cinquant’anni di arte contemporanea in Italia raccogliendo più di centoventi opere di oltre settanta artisti dall’inizio degli anni Sessanta ai giorni nostri, in un allestimento che si estende sull’intero primo piano della Triennale di Milano. Il titolo prende ispirazione da un'opera di Giulio Paolini, Ennesima (appunti per la descrizione di sette tele datate 1973), la cui prima versione è suddivisa in sette tele. Da qui il numero di progetti espositivi in cui si articola la mostra di de Bellis per la Triennale: sette mostre autonome,
intese come appunti o suggerimenti, che cercano di esplorare differenti aspetti, collegamenti, coincidenze e discrepanze, nonché la grammatica espositiva della recente vicenda storico-artistica italiana. Sette ipotesi di lavoro grazie alle quali leggere, rileggere e raccontare l'arte italiana anche attraverso l'analisi di alcuni dei formati espositivi possibili: dalla mostra personale all'installazione site-specific, dalla collettiva tematica alla collettiva cronologica, dalla collettiva su uno specifico movimento alla collettiva su un medium fino alla mostra di documentazione. Non un unico progetto che cerchi a tutti i costi connessioni tematiche o stilistiche, cronologiche o generazionali, bensì una piattaforma che provi a ipotizzare la compresenza di questi formati e di altri possibili, per raccontare uno spaccato degli ultimi cinquant'anni di produzione artistica. Milano, Triennale/ Ennesima. Una mostra di sette mostre sull'arte italiana/ Fino al 6 marzo 2016
LA SARDEGNA PER BERNARDINO PALAZZI La critica lo ha avvicinato, più o meno propriamente, a Degas, Boldini, Sargent, Carena e Casorati. Ma rispetto a costoro Bernardino Palazzi sa proporre anche altri registri, molti del tutto personali, segreti, ignoti agli stessi studiosi e al grande collezionismo. Che ora, e finalmente, la retrospettiva che la sua Sardegna gli dedica in tre diverse sedi ha il merito di svelare. L’iniziativa è realizzata dalla Fondazione Banco di Sardegna che con essa avvia un progetto ambizioso quanto ne-
cessario: “AR/S - Arte Condivisa in Sardegna”. Partendo dal rilevante patrimonio d’arte conservato dalla stessa Fondazione, AR/S intende favorire la messa in rete di collezioni pubbliche e private, offrendole alla popolazione sarda e agli ospiti dell’isola, spesso per la prima volta, in mostre diffuse in più sedi nel territorio regionale. Il tutto accompagnato da momenti di approfondimento, incontri, laboratori, residenze d’artista e progetti di arte pubblica sul
territorio. Il focus di AR/S è concentrato sulla produzione artistica in Sardegna dalla fine dell’Ottocento a oggi. Un focus che, come conferma già la mostra “L’occhio indiscreto. Bernardino Palazzi. Grafico, illustratore, fotografo”, curata da Maria Paola Dettori, non è rigidamente inteso. Se, infatti, Palazzi è di origine sarda, essendo nato a Nuoro nel 1907, la sua attività artistica si è sviluppata in gran parte tra Padova, Venezia, la Liguria e Milano. A quasi trent’anni dall’ultima mostra a lui dedicata (Vicenza, 1987), Palazzi viene ora indagato nella sua terra d’origine con l’obiettivo di restituirlo alla storia dell’arte europea del Novecento. Nuoro, Museo MAN – Cagliari e Sassari, Sedi Fondazione Banco di Sardegna/ L’occhio indiscreto. Bernardino Palazzi. Grafico, illustratore, fotografo/Fino al 14 febbraio
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OPERE DAL CENTRE POMPIDOU
Matisse “l’ansioso, il follemente ansioso” - così lo descrive uno dei suoi amici divisionisti - domina l’arte della prima metà del XX secolo ed è considerato uno delle coscienze artistiche più affascinanti del Novecento. Sempre al centro di dibattiti, durante tutta la sua carriera è stato capogruppo dei fauves, osservatore critico del cubismo, discepolo di Signac, Renoir e Bonnard, rivale di Picasso, maestro d’accademia e infine precursore di un’arte che anticipa l’espressionismo astratto newyorkese. Con 50 opere di Matisse e 47 di artisti a lui coevi quali Picasso, Renoir, Bonnard, Modigliani, Miró, Derain, Braque, Marquet, Léger - tutte provenienti dal Centre Pompidou - la mostra “Matisse e il suo tempo” si prefigge di mostrare le opere di Matisse attraverso l’esatto contesto delle sue amicizie e degli scambi artistici con altri pittori. Così, per mezzo di confronti visivi con opere di artisti suoi contemporanei, sarà possibile cogliere non solo le sottili influenze reciproche o le fonti comuni di ispirazione, ma anche una sorta di “spirito del tempo”, che unisce Matisse e gli altri artisti e che coinvolge momenti finora poco studiati, come il modernismo degli anni quaranta e cinquanta. Dieci sezioni in mostra illustrano, secondo un percorso cronologico intercalato da approfondimenti tematici, le figure matissiane delle odalische - come in
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Odalisca con pantaloni rossi del 1921-; la raffigurazione dell’atelier, soggetto ricorrente nell’opera di Matisse ma che, negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale, dà luogo a quadri stupefacenti a firma di Braque (L’Atelier IX, 1952-56) e Picasso (Lo studio, 1955); l’opera e il percorso di Matisse dai suoi esordi con Gustave Moreau (1897-99) fino alla sua scomparsa negli anni Sessanta e alle ultime carte dipinte e ritagliate. Torino, Palazzo Chiablese/ Matisse e il suo tempo/ Fino al 15 maggio 2016
è riuscito, più di chiunque altro, a descrivere e caratterizzare una città, uno stile di vita, i colori di una generazione e, più in generale, il vero stile di vita della Parigi di fine Ottocento, la Parigi del Moulin Rouge, di Montmartre, delle maisons closes; quel magnifico periodo in cui, a cavallo tra due secoli, la Ville lumiére era l’indiscussa capitale mondiale dell’arte e della cultura, in cui i più grandi artisti creavano e si influenzavano a vicenda nella continua e incessante ricerca del nuovo. Pisa, Palazzo Blu/ Toulouse-Lautrec. Luci e ombre di Montmartre/ Fino al 14 febbraio 2016
MANIFESTI E DISEGNI DELL’ARTISTA DI ALBI La mostra si avvale del patrocinio della Regione Toscana e del Comune di Pisa ed è organizzata dalla Fondazione Palazzo Blu in collaborazione con MondoMostre; la curatela scientifica è affidata a Maria Teresa Benedetti, accreditata storica dell’arte, stimata critica e Grande Ufficiale della Repubblica. In mostra sono presentate oltre 200 opere dell’artista di Albi, l’intera raccolta dei suoi celebri manifesti, le sue litografie, i disegni e un’attenta selezione di dipinti. A completare il percorso espositivo, un corpus di opere degli Italiens de Paris, capolavori di grandi maestri italiani che, per stile o tematiche, si sono ispirati all’arte di Toulouse-Lautrec. Genio poliedrico, attraverso la sua magnifica produzione di dipinti, locandine, litografie e poster, Lautrec
DE CHIRICO A FERRARA A cento anni dalla loro creazione tornano a Ferrara i rari capolavori metafisici che Giorgio de Chirico dipinse nella città estense tra il 1915 e il 1918. La mostra celebra questa importante stagione dell’arte italiana e documenta la profonda influenza che queste opere ebbero su Carlo Carrà e Giorgio Morandi, e poco dopo sulle avanguardie europee del dadaismo, del surrealismo e della Nuova oggettività. Quando l’Italia entra nella prima guerra mondiale, de Chirico e suo fratello Alberto Savinio lasciano Parigi per arruolarsi e alla fine di giugno del 1915 vengono assegnati al 27° reggimento di fanteria di Ferrara. Il soggiorno nella città emiliana determina cambiamenti profondi, tanto nella pittura di Giorgio e nei temi ispiratori dei suoi quadri quanto nelle creazioni di Alberto, che a Ferrara abbandona decisamente la musica per dedicarsi solo alla scrittura.Travolto da un’ondata di romantica com-
mozione di fronte alla bellezza della città e al ritmo sospeso della sua vita, de Chirico la rende protagonista di alcuni dei suoi dipinti più famosi, nei quali il Castello Estense o le grandi piazze deserte e senza tempo svolgono un ruolo di magica affabulazione (I progetti della fanciulla, 1915, Il grande metafisico, 1917, Le Muse inquietanti, 1918). Nella pittura ferrarese stanze segrete dalle prospettive vertiginose fanno da sfondo agli oggetti più strani o più comuni che l’artista individuava nelle sue esplorazioni tra i vicoli del ghetto, e su pavimenti in fuga verso l’orizzonte, tra rosse quinte teatrali che mimano edifici del Rinascimento, sciolgono il loro canto malinconico i grandi manichini senza volto (Il Trovatore, 1917, Ettore e Andromaca, 1917). Le tele si accendono di un croma-
tismo intenso, dai vani delle finestre si intravedono scorci di architetture, i quadri nel quadro propongono l’eterna sfida tra realtà e illusione, e gli agglomerati di scatole con carte geografiche mute, biscotti, strumenti da disegno e di misurazione, anticipano le accumulazioni scultoree dadaiste: oggetti isolati dal loro contesto e riassemblati per evocare nuovi significati e suscitare nello spettatore un senso di straniamento. Ferrara, Palazzo dei Diamanti/De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie/ Fino al 28 febbraio 2016
Villa Ca’ Conti dei Marchesi Rusconi Camerini
Ca’ Conti è una splendida villa cinquecentesca aperta al pubblico per visite guidate da maggio a fine ottobre su prenotazione. A vostra disposizione per ricevimenti, meeting, concerti, wedding.
Via Ca' Conti, 14 35040 Granze (PD) tel. +39 389 2370310 www.facebook.com/villaCaConti www.villacaconti.it