DESIGN+ ISSN 2038 5609 - "Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”
RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA
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DESIGN + Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009
Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Redazione Alessio Aymone, Emiliano Barbieri, Nullo Bellodi, Federica Benatti, Mercedes Caleffi, Giuliano Cirillo, Edmea Collina, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Silvia Di Persio, Antonio Gentili, Pier Giorgio Giannelli, Andrea Giuliani, Giulia Manfredini, Stefano Pantaleoni, Luca Parmeggiani, Alberto Piancastelli, Duccio Pierazzi, Nilde Pratello, Claudia Rossi, Clorinda Tafuri, Luciano Tellarini, Carlo Vinciguerra, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini Ha collaborato Manuela Garbarino Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net
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CONTENUTI
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Pensieri Globali Camillo Magni Presidente di Architetti Senza Frontiere Domenico Quaranta Critico e curatore d’arte contemporanea Paolo Buzzetti Presidente dell’Ance
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p.16 p.18 p.20
Segnali Modificare il paesaggio urbano p.23 Plastique Fantastique è un collettivo di creativi che realizza installazioni sintetiche temporanee Harbour Brain Building A Venezia lo studio C+S progetta il nuovo Centro di controllo del traffico marittimo
p.26
Suggestioni dal porto p.29 Il progetto di Comoglio Architetti e Weekend in a Morning per celebrare i container Progettazione avanzata p.33 Autodesk® Revit® Architecture: il software per BIM che segue il pensiero del progettista
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Progetti London Aquatics Centre Progetto di Zaha Hadid
p.36
Ai piedi della montagna Progetto di Reiulf Ramstad Architects
p.46
A Tel Aviv il nuovo centro dell’arte Progetto di Preston Scott Cohen
p.52
DESIGN + 7
CONTENUTI
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Urbanpromo 2011 L’importanza della manifestazione
p.68
Riflessioni sul cambiamento delle città
p.70
Il marketing territoriale in Italia
p.72
Azienda story Ragni Costruzioni. 110 anni di attività
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Made in Italy Nel segno del design
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Reportage A Bologna si parla di architettura
89
Anteprima Arte e design in mostra
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Grandi maestri L’arte e la moda secondo Lucchini
100 Forme & pensieri Polisemia del paesaggio
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EDITORIALE / 1
Liberi professionisti, liberi di scomparire
C
erto non si può dire che le parole di Guy de Maupassant non siano ancora attuali per l'Italia, vuoi per i vichiani corsi e ricorsi storici, vuoi per l'insipienza di chi amministra la cosa pubblica e la comunicazione globale. Mentre scriviamo è in corso il dibattito in Parlamento per il secondo decreto del Governo Monti, quella manovra denominata Cresci Italia che avrà il compito di rilanciare un’economia, o meglio, una società che fa acqua da tutte le parti. Uso non a caso il termine far acqua mutuando la locuzione utilizzata, in questi giorni, da molti commentatori che additano il tragico caso del transatlantico Costa Crociere a esemplificazione della situazione italiana: una squadra di comando, politici e amministratori degli anni scorsi, non all'altezza del compito e non consapevole delle ricadute sociali ed economiche che le sue azioni possono avere sulla vita delle persone, una incapacità di reagire a situazioni di emergenza, una mancanza di senso etico particolarmente grave nelle persone che hanno grandi responsabilità civiche, una sottovalutazione degli effetti che affermazioni inesatte o addirittura false hanno sulla affidabilità percepita, come si usa dire oggi, della classe dirigente. Questa è quindi la qualità media di chi ci ha governato e di chi scrive sulla carta stampata. Persone che nel migliore dei casi sono ignoranti, in quello intermedio sono in mala fede, in quello peggiore sono insipienti, ipocrite e disoneste. In questo desolante panorama generale qualcuno però, negli ultimi giorni, le cose le dice in modo chiaro e lucido. Antonio Polito nel suo articolo intitolato La pagliuzza e la trave, pubblicato in prima pagina sul Corriere della Sera, rende evidente la sproporzione tra le affermazioni di principio ed i fatti reali e contingenti. Rileva un certo accanimento dello stato, della stampa e dell'opinione pubblica contro alcuni piccoli e la strana e sospetta dimenticanza di azioni contro alcuni grandi. E ancora Dario di Vico sul Corriere e Giorgio Santilli sul Sole 24 Ore hanno contribuito a chiarire ciò che gli architetti italiani stanno tentando di spiegare ormai da anni, per definire il quale ricorrerò alle parole che Leopoldo Freyrie, Presidente del Consiglio Nazionale, ha più volte utilizzato in numerose interviste: “... La vera riforma sarà rimettere in gioco le professioni, classe media ricca di energie e idee, storicamente centrale, nello sviluppo e da tempo emarginata; uscire dall'equivoco che i servizi professionali sono un indotto dell'industria o una tassa per i cittadini e non un patrimonio di idee e tecniche che creano opportunità, promuovono mercati, danno servizi ai cittadini anche in fun-
L'architettura, la più incompresa e dimenticata delle arti d'oggi, è forse anche la più misteriosa e la più nutrita di idee. (Guy de Maupassant, Lassitude, 1890) zione sussidiaria allo stato. Gli architetti, in quest'ottica, hanno proposte chiare, e realizzabili. Innanzitutto un progetto sul futuro delle città, che sono il luogo dove il Paese vive, progetta e produce, per mettere in sicurezza il patrimonio edilizio, rigenerando l'ambiente e gli spazi pubblici, risparmiando energia e investendo sull'innovazione digitale: a breve presenteremo un rapporto sullo stato del patrimonio edilizio e delle città, per un progetto di rigenerazione urbana sostenibile che sia volano per l'economia e garanzia della qualità della vita urbana. È poi urgente la razionalizzazione delle norme edilizie ed urbanistiche per dare certezza e tempi sicuri ai cittadini e alle imprese, prevenendo l'abusivismo, arginando i fenomeni di corruzione e ridando slancio al comparto dell'edilizia...”. Occorre anche rilevare che l'attuale Governo tecnico, con il ministro Severino in testa, ha ben chiaro l'importanza del ruolo delle professioni intellettuali e sta agendo, considerati i tempi di confusione e demagogia nei quali si muovono, con coerenza e affidabilità. Oramai è chiaro che dalla crisi il nostro modello di vita si risolleverà profondamente cambiato, sia dal punto di vista economico che da quello sociale, sia dal punto di vista del lavoro che da quello dei bisogni reali e di quelli indotti. C'è da sperare, l'ottimismo è d'obbligo, che ne esca rafforzato anche il senso etico ed il rispetto per le cose e le persone. C'è da sperare, è solo una chiave di lettura, che la crisi, con i suoi problemi, si trasformi in una risorsa. E che questo avvenga, come si dice in tempo di guerra, senza fare troppe vittime. Cambieranno molte cose e quindi si trasformerà anche il mestiere di architetto. In parte come conseguenza della crisi, in parte come naturale evoluzione delle cose, in parte come adeguamento alle normative europee, anche se l'unione spesso è più teorica che pratica. Intendo dire che l'unione europea si basa su realtà nazionali profondamente diverse nei fondamentali, per cui non sempre ciò che è applicabile in un paese lo è anche in un altro. C'è anche da rilevare che spesso, quando si guarda all'Europa, si vedono solo le cose che ci fa comodo vedere, non accorgendosi, si fa per dire, delle altre. Comunque l'introduzione per legge dell'assicurazione obbligatoria, la formazione professionale continua, le società tra professionisti con soci di capitali, l'insistente delegittimazione del lavoro intellettuale, la crisi del mercato immobiliare, la frenata alla nuova edificazione e la perdurante indifferenza verso l'utilizzo del concorso di progettazione cambieranno radicalmente il lavoro dell'architetto. Almeno credo. Lo dirà il tempo. Alessandro Marata DESIGN + 11
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Un amico, un maestro... anzi, due rima di entrare nell’argomento del titolo, permettetemi una lunga ma doverosa premessa. A volte giova ricordare anche a noi stessi una considerazione che tendiamo a rimuovere: conoscere la storia serve a non ripetere gli errori commessi in passato. Conoscere il passato serve a dare continuità a quanto di positivo ci ha preceduto, serve ad affondare le proprie radici e a conservare la propria identità. Prendiamo, ad esempio, le origini dell’Ordinamento professionale degli architetti, un argomento di grande attualità. Dobbiamo tornare ai lontani anni Venti del secolo scorso e fare riferimento alla Legge n° 1395 del 1923 e al Regio Decreto n° 2537 del 1925. È da questi due provvedimenti di legge che nasce la storia moderna della nostra professione di architetti. Prima era il caos e i pochi tecnici diplomati o laureati si auto eleggevano liberi professionisti senza alcun controllo. Quel sistema anarchico fu definitivamente interrotto a partire dal 1925, ma il periodo storico e politico che stiamo attraversando oggi ricorda, in modo sinistro e drammaticamente simile, il periodo caotico che precedette quella stagione e dunque si impone una breve riflessione sull’argomento. Da più parti - senza distinzione di schieramento partitico - stanno arrivando “attacchi” al ruolo sociale delle libere professioni con argomentazioni che possiamo definire quantomeno contraddittorie, se non confuse e farneticanti. Si sostiene che gli Ordini che vigilano sulle libere professioni vanno aboliti per liberalizzare il mercato. Scusate ma non riesco a cogliere il nesso. Per quale ragione si dovrebbe abolire una libera istituzione per liberalizzare qualcosa che è già libero di suo? In questa confusa nazione se c’è un settore che sia veramente libero e autonomo, questo è il “mondo” della libera professione. Dal 1925 siamo i “governatori” di noi stessi, non chiediamo contributi o finanziamenti a nessun ministero, ci auto regolamentiamo, ci auto controlliamo. Finanziamo di tasca nostra gli Ordini, il nostro Consiglio Nazionale e la nostra Cassa di Previdenza (Inarcassa), attraverso la quale ci auto finanziamo le nostre pensioni, garantendo a tutti un minimo pensionistico annuale di 10mila euro, unico istituto previdenziale nazionale a permetterselo, trattamento garantito per almeno 35 anni, vale a dire almeno fino al 2046. Se poi aggiungiamo che l’accesso agli Esami di Stato è libero e aperto a tutti i laureati - anche a quelli non laureati in architettura - e che l’iscrizione all’Ordine non può essere negata a nessuno, mi chiedo che altro ci sia da liberalizzare. Mi chiedo a chi
serva abolire gli Ordini. O forse la domanda giusta è: a cosa serve abolire gli Ordini? C’è il fondato sospetto che abolire una libera istituzione come gli Ordini professionali serva solo a creare la “desiderata” confusione per istituire nuove tasse sui liberi professionisti e magari assorbire, o meglio risucchiare, le nostre casse previdenziali all’interno di quel buco nero che passa sotto il nome di INPS, per tappare qualche falla, anche se dovremmo dire voragine, ingurgitando milioni di euro di patrimonio liquido e immobiliare. Ma i politici che oggi si fanno paladini della liberalizzazione temo che non conoscano a fondo la storia, non quella del nostro Ordinamento. Probabilmente ignorano il movimento culturale che ha generato i CIAM, non hanno un’idea precisa di che cosa sia il Razionalismo e non conoscono i grandi fenomeni demografici, emigrazione, inurbamento, espansioni urbanistiche, scolarizzazione, industrializzazione, ecc…, che trasformarono l’intera Europa tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Trasformazioni che imposero una regolamentazione delle libere professioni in tutto il continente. Il panorama caotico dei primi anni del ‘900 imponeva chiarezza e regole certe. A questo servirono i due provvedimenti del 1923 e 1925, utili a creare gli Ordini e a fondare i principi dell’Ordinamento, a dare certezze e a fare chiarezza sia per i professionisti, sia per i committenti. E a questo servono ancora oggi. Più che mai. Con oltre 25mila leggi vigenti da osservare solo nel settore delle costruzioni e dell’edilizia in genere, quali figure professionali possono dare certezze e fare chiarezza agli utenti e agli operatori, se non gli architetti? Non mi aspetto che i nostri politici conoscano Villa Steiner di Adolf Loos o sappiano che nel 1925 Le Corbusier apriva il suo atelier a Parigi, ma che gli Ordini siano istituzioni che tutelano interesse pubblico e professione e non il singolo professionista, mi sembrerebbe il minimo dovuto. Non chiedo che sappiano distinguere il Rinascimento dal Barocco, ma che conoscano le ragioni storiche e gli effetti positivi delle norme ordinistiche, anche questo mi sembrerebbe ovvio. Eppure non sembra affatto scontato che chi ci governa debba essere informato storicamente sulla materia in cui emana leggi e possiamo concludere che la scarsa conoscenza della storia genera molte più probabilità di ripetere errori, di quanto non generi opportunità di conservare e riprodurre eventi positivi. Anche oggi, all’inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio, appare necessario dare certezze e fare chiarez-
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za con un processo di riforma che non può passare attraverso l’abolizione degli Ordini professionali, unici punti di riferimento per il presente, il passato e il futuro. Chiedo scusa per il sermone politico ma è da queste considerazioni che nasce l’esigenza di rivolgere un caloroso ringraziamento a due colleghi, due amici coi quali ho condiviso gli ultimi 7 anni di impegno istituzionale dentro e fuori l’Ordine degli Architetti di Bologna, coi quali ci siamo battuti per una riforma ordinistica efficace e giusta. Mi riferisco a Nevio Parmeggiani e Alessandro Marata. Al primo collega e amico, corre l’obbligo di rivolgere un sentito ringraziamento per gli 8 anni in cui è stato Presidente dell’Ordine di Bologna e per i 15 anni in cui è stato consigliere nazionale presso il CNA a Roma. Il suo impegno coincide con una parte della nostra storia recente, ma Nevio Parmeggiani è anche un esempio per tutti noi e un maestro per me in particolare che ho assunto il suo ruolo di responsabile dell’ordinamento professionale all’interno del nostro Ordine, e un convinto sostenitore del nostro Consiglio fin dal 2005, quando siamo stati eletti per la prima volta. L’impegno istituzionale di Nevio Parmeggiani, che dal 1996 al 2010 è stato membro del Consiglio Nazionale, si è distinto per la sua costanza, intensità e senso costruttivo. Si è occupato di ordinamento professionale, magistratura, deontologia e parcelle, di cui è grande conoscitore e indiscusso esperto nazionale, e ha promosso varie iniziative riformatrici tra le quali ricordiamo solo l’ultimo enorme impegno di ricerca e di innovazione: i Capitolati Prestazionali, una proposta di riforma del sistema di calcolo delle parcelle e di riordino degli incarichi professionali. E molto altro dovrei dire e ricordare. Basterà solo aggiungere che Nevio Parmeggiani non ha mai perso occasione per proclamare la sua “bolognesità” rendendo merito e onore alla nostra città e al nostro Ordine, e per questa ragione è ancora oggi motivo di grande orgoglio anche per noi consiglieri di Bologna, che lo abbiamo sempre definito “il nostro consigliere” a Roma. E dunque… grazie Nevio, per l’impegno che hai profuso e per l’amicizia che ci concedi. Consentitemi di citare una sua frase, che seguì l’emanazione del nuovo Codice deontologico nel settembre 2009: “Il Codice deontologico è lo strumento che connota l’esistenza del sistema ordinistico e si pone come contratto di affidabilità della nostra categoria verso la società (…)”. Un’affermazione che delimita con grande lucidità tutta la responsabilità e l’impegno cui siamo chiamati a rispondere quotidianamente. Voglio aggiungere solo un’ultima nota, svelando un’indiscrezione. Con la solita eleganza che tutt’ora contraddistingue Nevio Parmeggiani, al termine del suo 3° mandato romano, pur sapendo di avere i consensi per la 4a rielezione, ha preferito rinunciare creando le condizioni per la candidatura di un altro bolognese, della cui
elezione è stato il primo a rallegrarsi: Alessandro Marata. La storia che continua, un passaggio di consegne che rende onore al nostro Ordine. Ed è a questo secondo collega e amico, compagno di avventura fin dal 2005, anno in cui ci siamo insediati neo consiglieri, che rivolgo il nostro ringraziamento, mio e di tutto il Consiglio, e un “in bocca al lupo” per la nuova esperienza. Eletto consigliere nazionale a grande maggioranza con consensi provenienti da tutte le regioni, Alessandro Marata, forte della sua esperienza accademica e professionale, ha assunto immediatamente un ruolo mediatico di grande rilievo all’interno del neo eletto CNA. Ma Alessandro Marata, come Nevio Parmeggiani, prima ancora che consigliere nazionale è stato un fermo sostenitore del ruolo istituzionale dell’Ordine e insieme a tutti noi, nella sua veste di Presidente dell’Ordine di Bologna (dal 2005 al 2010) ha sempre creduto in una gestione aperta e partecipata da parte di tutti i colleghi portatori di idee e di iniziative, per promuovere la cultura e l’architettura in ogni evento e in ogni occasione ritenuta idonea, senza dimenticare la nostra storia e per guardare al futuro con più ottimismo. È con tutta l’amicizia e la riconoscenza per i 7 anni trascorsi insieme che gli auguriamo eguale e migliore fortuna nel suo nuovo ruolo di consigliere nazionale, con l’intramontabile speranza che possa essere lui uno di quei consiglieri nazionali che finalmente - si spera, in un prossimo futuro - possa annunciare la conquista di una nuova riforma ordinistica. Se la storia può insegnare qualcosa per la continuità e la forza dell’esperienza, l’avvicendamento tra Nevio Parmeggiani e Alessandro Marata si apre sotto i migliori auspici. Ad un maestro è subentrato un amico di grande capacità e di uguale dedizione. E dunque… un sentito grazie anche ad Alessandro, per l’impegno che si è assunto e per la continuità bolognese che rappresenta all’interno del CNA. Con l’augurio che l’esempio di questi due nostri colleghi, amici e maestri, possa essere di grande utilità anche ai nostri politici, soprattutto a quelli che si dovranno occupare delle riforme del nostro Paese. Per concludere, solo un piccolo e breve accenno ad un terzo amico e maestro: anche lui sostenitore di Nevio e Alessandro, anche lui ex-Presidente dell’Ordine di Bologna, anche lui convinto sostenitore dell’istituzione Ordine, anche lui dedito e impegnato rappresentante bolognese a Roma in qualità di Delegato Inarcassa (per gli Architetti della Provincia di Bologna), anche lui instancabile promotore di iniziative e innovazioni. Una su tutte “Inarcassa in città”. Un profondo e sentito ringraziamento a Vittorio Camerini, un amico non solo mio, non solo del nostro Consiglio, ma amico e rappresentante di tutti gli architetti bolognesi. Luciano Tellarini
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PENSIERI.GLOBALI
Camillo Magni
«Nonostante la mancanza di finanziamenti, Architetti Senza Frontiere continua a operare nel mondo. Affianca altre ONG per gli aspetti architettonici e costruttivi»
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ASF-ITALIA è un’associazione no profit e promuove iniziative di studio e di progettazione per lo sviluppo sostenibile di aree territoriali critiche. In quali aree del mondo attualmente l’ASF è presente?
La cooperazione internazionale italiana sta attraversando un periodo di forti difficoltà causate da una radicale restrizione dei finanziamenti pubblici e da una storica reticenza del privato a investire nel sociale acuita dall’attuale crisi economica. Architetti Senza Frontiere attualmente opera in Congo, Marocco e Mozambico, in collaborazione con altre Orgnizzazioni Non Governative (ONG) attraverso finanziamenti di carattere pubblico (regionale, nazionale e comunitario).
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Così come MSF - Medici Senza Frontiere, anche ASF-ITALIA, Architetti Senza Frontiere, è un’organizzazione umanitaria che fornisce assistenza in zone sopraffatte dalle calamità naturali e catastrofi quali le guerre?
Il mondo della cooperazione si divide tra gli ambiti di emergenza e quelli di sviluppo, ognuno caratterizzato da approcci metodologici molto distinti. Tradizionalmente ASF opera nei contesti di progetti di sviluppo. Ciò non ci ha impedito nel passato di operare anche in contesti contraddistinti da conflitti armati. Nel 2008 ad esempio, in collaborazione con la ONG Africa 70, abbiamo operato all’interno dei campi profughi Saharawi che ospitano il popolo esule dai luoghi di guerra che hanno caratterizzato il conflitto tra Saharawi e Marocco alla fine degli anni ’60. Tuttavia anche in questo contesto “di emergenza” si è promosso un progetto di sviluppo al fine di migliorare le condizione di vita delle comunità locali.
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E tra la fase analitica, quella progettuale e la fase realizzativa l’ASF in quale è concretamente attiva?
Dipende dal progetto e dalla collaborazione definita con le associazioni partner. Generalmente ASF opera come supporto ad altre ONG per gli aspetti architettonici e costruttivi. In funzione del tipo di collaborazione la nostra azione si può concentrare più sugli aspetti analitici al fine di definire le forme di intervento umanitario, piuttosto che concentrarsi sugli aspetti propriamente progettuali e architettonici.
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Come nasce un progetto di ASF-ITALIA? E quali criteri sono adoperati nella scelta dell’area d’interesse?
Il progetto nasce dalla collaborazione con altre ONG. Per noi la sfida è trovare la chiave appropriata per favorire lo sviluppo delle comunità locali attraverso l’azione architettonica, che non passa per forza dalla fase costruttiva. Molti progetti ad esempio si sono concentrati su aspetti formativi al fine di valorizzare la mano d’opera locale e promuovere percorsi cooperativi, in grado di sostituire quelli speculativi. Le aree di intervento non sono osservate da un punto di vista geografico, ma da una prospettiva problematica mirata a evidenziare le connessioni esistenti tra capitale sociale e ambiente fisico.
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ASF-Italia si interessa anche di realtà locali abbandonate e residuali con l’obiettivo di consentirne la riappropriazione. Ma in quale modo si muove ASF per far sì che iniziative di questo tipo arrivino in porto?
Se per locale intende in territorio italiano la risposta è sì. Da anni stiamo indagando le forme di abitare informale delle comunità immigrate. Tuttavia è un argomento compromesso da speculazioni ideologiche di carattere politico e discriminatorio. Si può affermare che sia più facile ottenere dallo Stato finanziamenti per realizzare una struttura di 10.000 mq per l’ospitalità in un qualsiasi paese dell’Africa sub sahariana piuttosto che realizzare un piccolo ostello per immigrati in una città italiana. Per queste ragioni l’azione di ASF si è limitata agli aspetti di sensibilizzazione.
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In un periodo di crisi economica come quello che attualmente l’Italia sta affrontando quante possibilità hanno realtà come l’ASF di proseguire le loro iniziative?
Da un punto di vista economico la restrizione dei fondi disponibili per la cooperazione internazionale è drammatica a tutte le scale (regione, nazione, Comunità Europea). Tuttavia esiste una sempre maggiore attenzione che ci fa sperare in un futuro migliore. La sfida per noi e per tutta la cooperazione italiana è quella di evolvere verso un modello anglosassone capace di intercettare in maniera più radicale il finanziamento privato al fine di sensibilizzare maggiormente la società civile e approdare a differenti forme di sussistenza. (di Andrea Giuliani)
Nato a Milano si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 2000 dopo aver trascorso 3 anni di formazione presso la ETSA di Madrid. Autore di saggi dedicati alla progettazione. Nel 1999 collabora con Architetti Senza Frontiere Madrid per poi spostarsi nella sede italiana di cui diventa vicepresidente nel 2005 e presidente dal 2007. Sempre nel 2007 avvia il proprio studio professionale “OperaStudio”.
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PENSIERI.GLOBALI
Domenico Quaranta
«L’arte si evolve grazie alla rete e ai nuovi software. Gli artisti aprono nuove strade. Ma la critica non riesce ancora a comprenderne tutte le potenzialità»
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Achille Bonito Oliva ha detto: “L’arte digitale… è un’anoressia che porta sempre più a superare il valore dell’unicum e a giocare invece non più sull’artisticità ma sulla esteticità della forma.” Lei come risponderebbe?
Ho dei dubbi che Bonito Oliva abbia in mente qualcosa di preciso quando parla di “arte digitale”. Persino Nicolas Bourriaud quando parla di “arte fatta con il computer” sembra avere in mente esempi risalenti agli anni Ottanta e ai primi anni Novanta. Molto è cambiato da allora, ma pochi nel mondo dell'arte “ufficiale” sembrano essersene accorti. Mi sembra difficile trovare oggi qualcosa di più anti-estetico e di più “artistico” di quanto prodotto negli ultimi quindici anni usando la rete e il software, portando alle estreme conseguenze alcune premesse implicite nella performance, nel concettuale, nel minimalismo e nella process art. Purtroppo, molta critica d'arte non ha ancora aggiornato il proprio sistema operativo.
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Arte Digitale, Computer Grafica, Virtual Art, Net Art, Arte Robotica, Arte Biotecnologica. Queste voci si possono sintetizzare con la definizione New Media Art. Ma è o sarà anche social network?
È e sarà questo e molto altro ancora. L'arte ha sempre cercato di aggiornare la propria cassetta degli attrezzi: fotografia, video, performance, installazione, ambienti. È più che naturale che questo aggiornamento prosegua con i computer, la rete, le biotecnologie. Il fatto che il mondo dell'arte resista ai nuovi linguaggi significa una sola cosa: il rifiuto di seguire gli artisti dove questi vogliono condurlo. L'accademia è ancora qui, ma si è travestita di una modernità sempre più stantia. Cosa sarebbe il mondo oggi senza computer e reti? Sarebbe un mondo senza globalizzazione, postfordismo, economie emergenti.
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Smart-phone e tablet. Il mondo istituzionalizzato e accademico come vede questa nuova situazione da “tasca”?
Non la vede. E quando la vede, non la capisce. Il mercato reprime ogni tentativo di sviluppare pratiche artistiche che sfuggano alle logiche della mercificazione. Quanto alle istituzioni, spesso fanno più danni che altro, saltando sul carro del nuovo nel tentativo (fallimentare) di sdoganare un approccio all'arte vecchio e provinciale.
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Che tipo di legame la New Media Art può creare con le città, con il territorio e con gli stessi cittadini?
Fenomeni come l'arte pubblica e l'arte relazionale hanno già affrontato la questione del rapporto dell'arte con il territorio e i suoi abitanti. Le tecnologie di comunicazione sono strumenti relazionali, ed è naturale aspettarsi l'emergere di un'arte relazionale mediata dalle tecnologie. Il potenziale è enorme, ma può esprimersi solamente in una situazione in cui l'utilizzo di un determinato strumento sia stato pienamente assorbito dall'uso, sia diventato naturale e scontato. Funziona, paradossalmente, in assenza di quella dimensione di “stupore tecnologico” su cui spesso puntano progetti di questo tipo.
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Ma l’artista che sceglie questa strada a chi si rivolge, chi cerca di coinvolgere?
Nel mio libro “Media, New Media, Postmedia” ho sottolineato l'esistenza di diversi tipi di pubblico per la New Media Art, frutto della sua vicenda storica e, nel caso della net art, del suo esistere su due piattaforme distinte, la rete e il mondo dell'arte. Il pubblico dei festival e dei centri new media è molto interessato alla tecnologia in sé; il pubblico dell'arte manca spesso di cultura tecnologica e guarda con sospetto all'uso delle tecnologie in ambito artistico; il pubblico della rete, infine, è molto più ampio e variegato, comprendendo i primi due e molti altri ancora, e tende ad apprezzare ciò che lo colpisce in fretta, sottraendolo alla noia della navigazione. Sarebbe un errore chiedere agli artisti di adattarsi a questi pubblici. La priorità di un artista è il lavoro, e l'individuazione di un contesto che consenta al lavoro di dispiegarsi al meglio.
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È difficile dare un valore a qualcosa che è replicabile e manipolabile?
Non particolarmente. Il mercato dell'arte si regge già su convenzioni: edizioni limitate dei video, tirature limitate delle fotografie, performance vendute attraverso un certificato. Il digitale mette in crisi l'unicità dell'opera d'arte, ma non la funzione storica del collezionismo, che è quella di salvare ciò che si ritiene abbia valore. Ciò che rimane da fare è un lavoro di formazione, che dia evidenza all'importanza storica di questi esiti. (di Alessandro Marata)
È critico e curatore d’arte contemporanea. Ha concentrato inizialmente la sua attenzione sulla net art, per poi estendere la sua indagine alla new media art e all'impatto dei media digitali sull'attività artistica. I suoi saggi, recensioni e interviste sono comparsi in riviste, giornali e portali online. Nel 2010 ha pubblicato il libro “Media, New Media, Postmedia”.
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PENSIERI.GLOBALI
Paolo Buzzetti
«La nuova manovra finanziaria deprimerà ulteriormente le imprese edili. Nuovi incentivi fiscali potrebbero stimolare gli investimenti per dare vitalità al settore»
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Come presidente dell’Ance cosa si aspetta dalle prossime manovre a favore delle piccole imprese edili?
Sin dall’inizio della crisi, nel 2008, avevamo compreso la gravità della situazione, per questo già da allora ci siamo mossi per individuare alcune proposte che potessero mettere al riparo le nostre imprese migliori dagli effetti peggiori di questa crisi. Il principio alla base dei nostri ragionamenti è che il settore delle costruzioni può fare molto per la ripresa economica. Proprio per questo avevamo avanzato delle proposte importanti come un piano di opere piccole e medie in grado di garantire un ritorno immediato in termini di occupazione e di sostegno al settore. A distanza di oltre due anni però quasi nulla è stato fatto. Adesso non possiamo più permetterci di perdere tempo. Oltretutto, la manovra economica appena varata dal governo Monti graverà pesantemente sulla casa, generando effetti ulteriormente depressivi sulle imprese del settore. Siamo consapevoli dell’importanza di varare misure di rigore per i conti pubblici, ma occorre anche guardare alla crescita del Paese.
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Cosa propone l’Ance affinché la qualità nelle prossime costruzioni sia sempre e comunque assicurata?
È sulla capacità delle città di attrarre investimenti che si giocherà il futuro economico del Paese. Come Ance ci siamo fatti promotori di un Piano per le città. Si tratta di un progetto di rilancio delle città italiane, che punta alla riqualificazione delle periferie, abbattendo e ricostruendo, e ripensando intere aree delle città in base alle esigenze di oggi. Intorno a questa nostra iniziativa abbiamo trovato molte convergenze. Sul piano normativo, inoltre, è stato già fatto un significativo passo in avanti con il Dl 70 che ha introdotto norme come abbattimento e ricostruzione e cambio di sagoma che fino a poco tempo fa erano tabù. Ora si tratta di dare una piccola spinta attraverso incentivi fiscali che stimolino gli investimenti privati.
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L’industria dell’edilizia italiana risulta legata ancora al modello condominiale del dopoguerra, oltretutto oneroso, con struttura in CA e tamponamenti in laterizio. A quando nuove tipologie, nuovi materiali, nuove metodiche costruttive e quindi nuovi costi dell’edilizia?
In realtà oggi le imprese utilizzano varie tipologie costruttive, compreso quella della struttura in cemento armato e tamponamenti in laterizio, che hanno però subito una notevole evoluzione rispetto a quelle utilizzate nel passato. Alcune soluzioni sembrano simili al passato ma i materiali di oggi hanno prestazioni migliori e, soprattutto, si è ampliata la gamma di prodotti disponibili, ognuno specializzato per determinate soluzioni. Stesso discorso vale per le tecniche di produzione: alcune parti sono realizzate in opera, altre sono prefabbricate, altre preassemblate in stabilimento. Questo fa sì che i costi si siano mantenuti su livelli relativamente contenuti rispetto alla qualità del prodotto finale.
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La sicurezza nei cantieri è uno dei problemi principali dell’edilizia nel nostro Paese. L’Ance quali strade consiglia per garantirne una migliore e risolutiva applicazione?
Un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi è, senza dubbio, lo strumento che potrà contrastare il fenomeno degli infortuni sul lavoro. Lo stabilisce il Testo Unico sulla sicurezza che prevede, inoltre, l'adozione di uno strumento che consentirà di verificare l'idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi. Il sistema, “patente a punti”, deve avere la finalità di selezionare le imprese secondo un meccanismo basato su regolarità e virtuosità delle stesse.
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La paura per i terremoti in Italia è sempre presente. Non è giusto e forse anche necessario che l’impresa certifichi con un documento la qualità della costruzione?
La legislazione vigente indica quale documentazione bisogna produrre, quali prove di collaudo devono essere eseguite e le procedure autorizzative da seguire, specificando quali sono i soggetti responsabili: dal progettista all’impresa, dal direttore dei lavori al collaudatore, dagli uffici pubblici incaricati dei controlli ai laboratori di prova dei materiali. L’impresa di costruzioni è coinvolta durante l’intero iter costruttivo ma, ai sensi di legge, non è previsto che rilasci un documento. La normativa assegna al collaudatore il compito di certificare che la struttura portante risponda ai livelli di sicurezza previsti per legge. (di Andrea Giuliani)
Nato a Roma il 29 dicembre 1955, è laureato in Ingegneria Civile presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma. Imprenditore, è titolare dell'Impresa di Costruzioni IAB S.p.a. Attualmente è Presidente dell'Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) e di Federcostruzioni ed è componente del Consiglio Direttivo e della Giunta di Confindustria.
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E G N A L I
Nella foto, Medusa, struttura progettata dallo studio Plastique Fantastique per essere la sede principale del Festival Flippat a Malmö. La struttura è stata posizionata in pieno centro città
MODIFICARE IL PAESAGGIO URBANO Plastique Fantastique è un collettivo di creativi fondato a Berlino nel 1999 dall’architetto Marco Canevacci e dallo scultore Markus Wüste. La città tedesca con i suoi spazi urbani in divenire è stata il terreno ideale per la sperimentazione architettonica di Plastique Fantastique. Lo studio realizza installazioni sintetiche temporanee e trasparenti che influenzano lo spazio
che le circonda come farebbe una bolla di sapone, mutando i rapporti abituali fra le cose e i punti di vista. I materiali che utilizza sono permeabili alla luce in diverso grado e misura e le strutture sono simili a grandi bolle che diventano contenitori di eventi o installazioni artistiche. Possono essere posizionate in un interno o all’esterno, sotto un ponte, attorno a un cantiere,
tra i muri di due case. Le installazioni restano “in piedi” grazie a motori che emettono aria calda o fredda che di continuo gonfia i fogli di politene e Pvc saldati e cuciti insieme. Mescolando il paesaggio, le opere di Plastique Fantastique danno vita a un nuovo ambiente ibrido che consente un passaggio osmotico tra spazio privato e pubblico. (di Cristiana Zappoli)
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TRAS.FORMARE 49th IFHP
Durante il 49° Congresso mondiale di urbanistica e architettura IFHP, che si è tenuto a Roma a Palazzo dei Congressi nel 2005, lo studio Plastique Fantastique ha installato all’interno del palazzo degli elementi pneumatici gonfiati da ventilatori, installazioni interattive che hanno trovato il loro posto come parte integrante della struttura dell'edificio in modo da riflettere un approccio che preferisce leggere la città attraverso i sensi. I suoni, le immagini, la musica e queste stanze pneumatiche hanno circondato urbanisti e architetti che da tutto il monto sono arrivati a Roma per assistere a convegni. L’architettura può veramente, nell’idea di Plastique Fantastique, ridisegnare il suono, creare punti d’ascolto, vivere i paesaggi urbani che cambiano. Team: Marco Canevacci, Hiram Krumm. Der Rettungsring
Un gigantesco salvagente di plastica rossa trasparente e di plastica bianca opaca ancorato ad un albero sull’Isola della Gioventù, nel distretto di Treptow: è stato realizzato
nel 2010 per Odyspree, viaggio performance lungo il fiume Sprea. La struttura, ben visibile ai “viaggiatori”, è per due terzi della sua superficie galleggiante, quindi al suo interno si può camminare o stare seduti e rilassarsi sull’acqua. Per Plastique Fantastique è stato un esperimento, infatti è il primo lavoro dello studio che aggiunge all’elemento aria l’elemento acqua. Team: Marco Canevacci, Stephanie Grönnert, Franz Höfner, Antonia Joseph, Carsten Reith, Markus Vogt, Markus Wüste.
Burbuja Manchega
È un’unità espositiva mobile che è stata posizionata in cinque diversi luoghi della città di Castilla la Mancha in Spagna, da gennaio a maggio 2007. Le strutture sono state concepite come location per eventi educativi pubblici, dove veniva mostrato ai visitatori di ogni età materiale informativo sulle nuove tecnologie. La struttura è stata due settimane in ogni postazione. Era fatta da due spazi principali collegati tra loro da due gallerie che permettevano ai visitatori un percorso circolare al suo interno. Le attrezzature tecniche si trovavano all’interno delle due gallerie. Team: Pietro Balp, Plamen Botev, André Broessel, Marco Canevacci, Ponzalo el Gallego, Jacopo Gallico, Franz Höfner, Antonia Joseph, Alberto Sanchez Cabezudo, Cristina Squillo, Elena Tonini, Francesca Venier, Markus Vogt, Nicole Wagner.
Gallerinatten
Una tensostruttura in materiale bianco opaco, con una losanga trasparente in alto, che partendo da un ingresso tubolare si immette nell’edificio del Museo di Arte Moderna di Malmö che al momento dell’installazione era ancora in
costruzione, aderendo alle pareti della stanza adibita a sala - proiezione del video Speech Bubble, dell’artista americano Adam Leech. È stata realizzata nel 2009, tre mesi prima dell’inaugurazione del nuovo museo e utilizzata come infopoint dove trovare informazioni sul
nuovo museo nel bel mezzo del processo di costruzione. Team: Marco Baratti, Marco Canevacci, Gaia Fugazza, Stephanie Grönnert, Atonia Joseph, Carsten Reith, Markus Wüste.
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TRAS.FORMARE
HARBOUR BRAIN BUILDING
Progettato a Venezia dallo studio trevigiano C+S, Cappai + Segantini, il nuovo Centro di controllo del traffico marittimo. È stato commissionato dalla società Thetis per migliorare la gestione del traffico in seguito all’attuazione del progetto Mose
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l vuoto è la risorsa più importante di cui disponiamo per organizzare lo spazio». Il progetto di C+S Associati per Venezia consiste nel preservare il vuoto dell’Arsenale. La società Thetis gli ha chiesto di attuare la trasformazione dell’edificio in stazione di controllo del traffico marittimo. Una specie di cervello, l’Harbour Brain Building, riorganizzato per gestire il traffico in seguito all’attuazione del progetto Mose. A parte alcuni operatori e una sala riunioni, i veri abitanti di questo edificio erano i terminali dei computer per la gestione del traffico marittimo. L’edificio, liberato dalle superfetazioni e dagli elementi tecnologici e impiantistici concentrati al piano interrato, ha iniziato a raccontare la storia dei suoi confini: quella delle murature, trattate con uno strato di intonaco capace di catturare la luce nelle molteplici tessiture dei mattoni, e quella della copertura in capriate lignee con l’ordine triplo. I nuovi elementi architettonici
inseriti, pareti e porzioni di copertura in vetro, sono disegnati da serramenti di sezione esilissima che suddividono lo spazio mantenendo integra la percezione dell’intero. La copertura in vetro è disegnata da una delle più sofisticate tecnologie per la produzione dell’energia: le celle fotovoltaiche (per la prima volta utilizzate in un progetto di restauro), inserite senza rinunciare al dialogo con l’atmosfera dell’Arsenale, dimostrano che un progetto di restauro può essere realizzato con gli strumenti più avanzati della sostenibilità ambientale. La questione principale è stata quella di lavorare con la tecnologia. Essa si è fusa con la memoria storica tanto da diventare uno strato ulteriore. L’Harbour Brain Building è diventato un tutt’uno con la materia, la luce e gli strati della memoria, ha dimostrato che non esiste una differenza nel progetto tra paesaggio ed esistente. La tessitura delle pellicole fotovoltaiche, 24 moduli fotovoltaici producenti una potenza
Come si può osservare dalle foto a destra e dallo spaccato assonometrico qui di fianco, un relitto in acciaio-corten viene disegnato all’interno dello spazio quadrato originario del capannone arsenalizio esistente, ripristinato grazie alla demolizione delle partizioni interne
di circa 4,8 kWp, gioca con la luce. La spezza in piccole parti. Riprende i giochi geometrici delle tesserine dei pavimenti sul terrazzo o dei vetri piombati delle vetrate dei palazzi. Il progetto si è configurato anche come prototipo sperimentale per la ricerca tecnologica sostenibile applicata al restauro e l’utilizzo di sonde geotermiche nel centro storico veneziano trova in questa applicazione la prima esperienza realizzata: le caratteristiche dell’edificio hanno suggerito al produttore dell’impianto l’analisi delle performance termiche attraverso l’installazione di strumentazione aggiuntiva in grado di monitorare i carichi energetici e con ciò acquisire dati utili per la progettazione di sistemi analoghi. (di Alessandro Marata) 26 DESIGN +
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ARREDAMENTI 9 DESIGN VIALE CILLA 43/A 48123 RAVENNA TEL. 0544 270799 FAX 0544 272317 EMAIL: INFO@9DESIGN.IT
CREATIVITÀ VISIVA
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SUGGESTIONI DAL PORTO
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Una camera stenopeica che raccoglie le immagini del porto di Genova e le trasmette in uno spazio espositivo. È il progetto dello studio Comoglio Architetti e Weekend in a Morning per un concorso indetto dal “Rotary Club Genova”
l mare, un container, una camera stenopeica e la città. Sono questi i temi elaborati da Comoglio Architetti e da Weekend in a Morning per il concorso di idee indetto dal “Rotary Club Genova”, per la realizzazione di un “monumento” da dedicare al container: il simbolo del commercio via mare e dell’industria portuale, oggetto slegato dai luoghi in cui si trova e memoria di rotte invisibili e infinite. Le associazioni possono es-
sere molteplici: per ogni rotta c’è più di un marinaio che parte e ogni marinaio, in tasca, ha almeno una foto sgualcita. Una foto guardata quando le coste sono immerse nella foschia. E allora un monumento al container è anche un monumento a quelle fotografie? Scatti che rappresentano marinai e città, ricordano legami e separazioni, simboleggiano abbracci, addii, ricordi e saluti. Mentre il porto è il quartiere pragmatico della città. Una parte disordinata, sbilan-
ciata verso l’acqua. Ma è anche una porta della città. E com’è la città vista dal mare? Un container può nascondere al suo interno le immagini rubate e scattate nei porti dov'è stato scaricato? Grazie ad una lente, ad un foro e alla luce naturale, il container può trasformarsi in una macchina in grado di catturare immagini. In una vera e propria camera stenopeica che legge ed esplora la realtà. Comoglio Architetti e Weekend in a Morning hanno pro-
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CREATIVITÀ VISIVA
CONCEPT. Grazie a una lente, a un foro e alla luce naturale è possibile trasformare il container in una vera e propria camera stenopeica. Un container, di norma, parte pieno da un porto per tornare vuoto. Qui, parte vuoto per riempirsi di quello che vede e incontra. Diventa un mezzo per leggere il mondo. Le immagini catturate sono restituite alla rovescia: un punto di vista sorprendente e inusuale.
CAMERA STENOPEICA
EXPO
TERRA
PIATTAFORMA
SCENARIO 01. La camera stenopeica è caricata a bordo di una chiatta che le permette di muoversi nelle acque del porto di Genova. Le immagini catturate dalla camera sono trasmesse in tempo reale allo spazio espositivo a terra. L’esposizione cambia in base ai movimenti della camera stenopeica e delle fotografie che cattura. Un dialogo tra terra e mare. Tra partenza e approdo.
EXPO
CAMERA STENOPEICA
TERRA
PIATTAFORMA
SCENARIO 02. La camera stenopeica attraccata al suo museo. Ha riportato a casa le sue esperienze, i suoi incontri, proprio come un marinaio. Ma anche attraccato al molo il container non perde la sua funzione: si riempie di immagini. La fruizione, da parte del pubblico, ora è doppia; da una parte l’esposizione delle fotografie, dall’altra il funzionamento della camera stenopeica.
CAMERA STENOPEICA
SCENARIO 03. Le immagini raccolte dalla camera oscura possono essere quelle del porto di Genova, così come quelle di altri porti del Mediterraneo. In questo modo il monumento al container acquisterebbe maggiore valore e significato: un vero e proprio museo di immagini catturate nei viaggi di questo oggetto. Deformate appena rispetto alla realtà, come i racconti dei marinai.
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gettato per il concorso e quindi per la città di Genova due elementi: un container di 20 piedi, la camera stenopeica itinerante, che posizionato su una chiatta potrebbe spostarsi per il porto di Genova (lungo i punti di interesse che si trovano sulla costa) e l'ormeggio, un container di 40 piedi posizionato su un molo o in altri punti adatti all'attracco della chiatta. Il container-camera stenopeica immagazzina immagini che, in tempo reale, sono trasmesse al container-esposizione che sta sulla terraferma. The Fisherman Aren’t Back è un monumento interattivo e sensibile. È in grado di rappresentare ogni giorno le diverse atmosfere della città. È una vera e propria lanterna magica, all'interno della quale è possibile vedere le cose da un nuovo punto di vista. La camera stenopeica in movimento nelle acque del porto, grazie ad una webcam o a una macchina fotografica e a una rete wireless, trasmette le immagini catturate mentre i visitatori posti all'interno del container espositivo potrebbero vedere ciò che nell’altro container la camera sta fotografando. Quelli che si trovano sulla chiatta possono, invece, assistere direttamente al funzionamento della camera stenopeica. Il pubblico può scegliere: visitare l'esposizione e/o partecipare al momento magico della luce che si trasforma in forme e colore. Due modi diversi di leggere, scoprire e conoscere la città. In aggiunta a queste due modalità gli architetti hanno proposto anche un ulteriore sviluppo del progetto: far diventare la camera stenopeica “ambasciatrice” del Rotary Club di Genova, nelle maggiori città presenti sulle coste del mediterraneo. Dal suo vagare nascerebbe un'importante collezione di immagini e fotografie che costituirebbe un patrimonio culturale di notevole interesse. The Fisherman Aren’t Back, diventerebbe così il fulcro di un sistema in grado di costituire un dialogo tra le diverse realtà marittime e commerciali e il coinvolgimento di artisti e fotografi garantirebbe la riuscita artistica del progetto che potrebbe essere collocato là dove è possibile la costruzione di un molo per l'attracco della camera e per il posizionamento del container espositivo. (di Alessandro Marata)
NUOVE.TECNOLOGIE
PROGETTAZIONE AVANZATA
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Attraverso l’impiego delle soluzioni offerte dal software Autodesk®, basate sul BIM (Building Information Modeling), i professionisti oggi possono sviluppare i progetti in maniera più organizzata e quindi più produttiva. Risparmiando tempo e denaro
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a tecnologia ha migliorato diversi aspetti della nostra vita quotidiana e ha sicuramente reso più facile il lavoro di molte persone. Tra queste rientrano gli architetti e gli ingegneri che, soprattutto in fase di progettazione, hanno nella tecnologia un alleato molto importante. Energy Group è un’azienda informatica specializzata nella fornitura e supporto delle tecnologie per la progettazione indirizzate a vari settori produttivi. «La nostra mission aziendale - racconta Cinzia Milioli, responsabile del supporto tecnico di Energy Group - è aiutare i clienti a semplificare l’iter progettuale e di sviluppo dei prodotti, grazie all’adozione di tecnologie all’avanguardia, affidabili, consolidate, tese a migliorare i tempi e la qualità della progettazione diminuendo il time - to - market, ovvero il tempo che intercorre fra l’ideazione di un prodotto e la sua commercializzazione». Energy Group è rivenditore certificato per l’Emilia Romagna e le Marche dei prodotti Autodesk®, un'azienda di software e servizi rivolti alla progettazione di infrastrutture, costruzioni civili e industriali fra le più conosciute e importanti al mondo, grazie anche ad AutoCAD®, l’applicazione generica di progettazione e documentazione che rappresenta ormai uno standard per il settore. «Questa certificazione - spiega Cinzia Milioli - è condizionata da continui aggiornamenti ed esami di verifica per garantire ai nostri clienti la preparazione del nostro personale tecnico e commerciale e fa di Energy Group il partner ideale per aiutare aziende e professionisti che si occupano di architettura, ingegneria e costruzioni ad adottare il metodo BIM per gestire tutto il processo di progettazione». Il Building Information Modeling (BIM) è un processo integrato basato su informazioni coordinate e affidabili relative a un progetto, che vanno dalla fase di progettazione alla costruzione, fino alla fase operativa. Attraverso l’impiego delle soluzioni software Autodesk®, basate sul BIM, i professionisti posso sviluppare i progetti in maniera più organizzata e quindi più produttiva, risparmiando tempo e denaro. Sono strumenti di restituzione grafica 2D per la documentazione e 3D per la progettazione basati sul modello che aiutano architetti e ingegneri a sperimentare le proprie idee prima che divengano realtà. Il BIM permette la collaborazione interdisciplinare all’interno del team di progetto grazie alla possibilità di condividere le informazioni contenute nel modello tra tutte le figure coinvolte: architetti, ingegneri, impiantisti, costruttori, ecc. Il software più innovativo di casa Autodesk® dedicato al mondo dell’architettura è Autodesk® Revit® Architecture, che, creato per il BIM,
Sopra: Autodesk® Revit® Architecture, il software specifico per il BIM che segue il modo di pensare del progettista, in modo che possa creare in modo spontaneo, progettare liberamente e produrre in modo efficiente
consente agli architetti di concentrarsi sulla progettazione senza perdere tempo prezioso. Riccardo Orlandi, architetto, urbanista ed ex Presidente dell’Ordine degli Architetti di Ferrara, ha utilizzato questo software per diversi progetti: «Ho appena portato a termine il progetto di quattro case a schiera a Ferrara. Il progetto originale, del 2004, era stato iniziato disegnando in modo “tradizionale” con AutoCAD® LT. La necessità di gestire più rapidamente e in modo organizzato le revisioni del progetto mi ha indotto a realizzare il modello BIM in Autodesk® Revit® Architecture, grazie al quale ho potuto soddisfare due esigenze immediate, evitando errori e inutili perdite di tempo. La prima era quella di gestire le varianti finali del cantiere producendo le tavole comparative. La seconda esigenza è scaturita DESIGN + 33
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NUOVE.TECNOLOGIE dalla successiva richiesta dell’acquirente di una delle unità immobiliari di aggiungere una piscina. Autodesk® Revit® Architecture ha reso molto più veloce la realizzazione della variante, di tutte le viste tecniche e dei render per la presentazione al cliente». L’Architetto Orlandi sta utilizzando lo stesso software per il recupero e l’ampliamento dell’edificio “Poliambulanza”, un ex ambulatorio gratuito per la cura delle malattie sessuali, oggi abitazione collettiva per anziani. «Il progetto - continua Orlandi prevede la realizzazione di 15 mini alloggi più alcuni spazi per la socializzazione, destinati ad anziani autosufficienti ma attrezzati per soddisfare le necessità degli ospiti in caso di periodi di non autosufficienza. Il progetto originale è stato redatto con AutoCAD® LT nel 2004 e ha poi subito un ritardo nel passaggio alla fase esecutiva. Quando nel 2011 la proprietà ha deciso di ripartire con i lavori si è reso necessario un adeguamento del progetto alle normative vigenti. La conversione in modello BIM di Autodesk® Revit® Architecture ha reso queste operazioni decisamente più agevoli». Questo software è uno strumento veloce, flessibile e intuitivo che consente di massimizzare la produttività. Tra le funzioni più importanti di Revit® Architecture c’è la possibilità di ricavare dal modello BIM tutti i dati progettuali che possono essere rappresentati in forma tabellare come, ad esempio, l’abaco delle superfici organizzato nel modo La soluzione Autodesk® BIM, incentrata su Autodesk® Revit, permette progetti di costruzione e riqualificazione più sostenibili. La progettazione basata su modelli è più veloce ed efficiente. Il progettista è libero di intervenire su qualunque vista del progetto e valutare subito il risultato
più idoneo a seconda delle necessità del progettista. Grazie al database, che rappresenta il cuore del modello BIM di Autodesk® Revit® Architecture, le modifiche al progetto possono essere apportate sia intervenendo sui valori numerici dell’abaco sia graficamente; ogni modifica apportata si riflette immediatamente sul modello e viceversa. Questo settore informatico è in continuo sviluppo e per favorire l’aggiornamento degli operatori in merito alle soluzioni disponibili sul mercato e alla loro evoluzione, Energy Group organizza periodicamente seminari e conferenze web partecipando ai quali ogni figura professionale può trovare facilmente informazioni sui temi di maggiore interesse. «La lunga esperienza maturata - conclude Cinzia Milioli - ci ha permesso di ottimizzare i servizi offerti nei punti cardine quali sono la consulenza, il supporto, la disponibilità e la rapidità di risposta. Queste nuove tecnologie consentono una grande libertà di movimento e sono sicuramente semplici da usare, ma è comunque bene essere supportati da chi ha competenza ed esperienza nel settore per raggiungere più rapidamente e con maggior sicurezza l’obiettivo». Energy Group Via Gandhi 2/L - Bentivoglio (Bo) Tel 051864519 - Fax 051864170 energy@energygroup.it - www.energygroup.it 34 DESIGN +
PROGETTO / 1
LONDON AQUATICS CENTRE
Photo Hufton + Crow
Ispirato alla geometria fluida dell'acqua in movimento, il nuovo Aquatics Centre di Londra di Zaha Hadid presenta una straordinaria flessibilitĂ . Si adatta, infatti, sia alle dimensioni richieste dalle Olimpiadi del 2012, sia ad un assetto piĂš ridotto dopo i Giochi di Iole Costanzo
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SCHEDA
Progettazione Zaha Hadid Luogo Londra Superficie versione olimpica 21.897 mq Superficie versione legacy 15.950 mq Impiantistica sportiva S+P Architects Strutture, impianti e sostenibilitĂ Ove Arup & Partners Acustica Arup Acoustics Illuminazione Arup Lighting Facciate Robert Jan Van Santen
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In questa pagina: la piccola piscina per i tuffi è stata posta in direzione ortogonale a quella progettata per le gare olimpiche. L’interno, caratterizzato da una massiva presenza di pannelli di cemento, è comunque molto luminoso, arioso e fluido. In alto a destra: il volume modellato dell’intera struttura
PROGETTO / 1
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ome tutti gli altri manufatti costruiti per le Olimpiadi del 2012, il London Aquatics Centre, l’innovativa e armonica struttura progettata da Zaha Hadid a Londra, è stata da qualche mese ultimata e sarà, con i dovuti tempi e con largo anticipo, collaudata prima del grande giorno di apertura. È Legacy, il termine più usato per definire il nuovo Parco Olimpico di Londra. È un termine inusuale in questi contesti e significa eredità, lascito. La presenza di questo termine ci fa subito comprendere come il progetto dell’intero impianto punti sulla rigenerazione urbana della periferia Est di Londra, sulla rivalutazione di quell’area industriale dismessa, che si trova a Stratford nell’area denominata Lea River Valley. Il progetto dell’intero comprensorio sportivo,
Sotto: la struttura del tetto si appoggia solo su tre punti: un setto (1) a sud e due piedritti (2) in cemento a nord. Nonostante la sua complessa forma il tetto è costituito da due elementi relativamente semplici. Le travi (3) posizionate in direzione nord-sud sono così modellate per accompagnare l'impianto delle gare di nuoto. Le travi si inclinano verso l'esterno dal centro come un ventaglio, le due travi esterne agiscono come archi inclinati (4) collegati per creare due ali a sbalzo su entrambi i lati del fabbricato e ospitare le tribune temporanee
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proprio per la sua capacità di proiettarsi verso un domani anche lontano, è stato definito “The first sustainable Olympic and Paraolympic Games”. Per il recupero di quest’ampia zona degradata, oltre allo Stadio, al Velodromo, al Centro Acquatico, il Master Plan ha previsto il miglioramento dei trasporti, la realizzazione di un grande parco rigenerato e bonificato (2,5 chilometri quadrati) e la costruzione del villaggio olimpico, il nuovo quartiere residenziale e terziario che dopo il grande evento farà da legante tra il centro di Lontra e il vecchio quartiere. È importante sottolineare che l’intero intervento è stato progettato e costruito con il partenariato pubblico e privato. E mentre il termine Legacy sta a indicare qualcosa che rimane, la spesa sostenuta rappresenta e testimonia nuove possibilità future per la città: un’opportunità di crescita non solo urbanistica ma anche economica, un’eredità pensata per non essere dimenticata. È una nuova logica: trasformare il post evento in un’impresa più importante delle Olimpiadi stesse. Londra vuole evitare ciò che è accaduto ad Atene, dove il Parco Olimpico oggi è in completo abbandono. Vuole invece - come già nel 1992 fece Barcellona - cogliere l’occasione di questo avvenimento mondiale per dare una spinta alla città sulla strada dell’integrazione, della rigenerazione e del recupero di quella zona degradata che accoglieva le maggiori attività portuali d’Europa e che, in seguito alla chiusura dei docks negli anni ’80, è divenuta un’area social-
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PROGETTO / 1 1. Vasca per le gare di nuoto 2. Vasca per i tuffi 3. Zona superiore per l’accoglienza 4. Tribune per il pubblico 5. Piazza - Ponte 4
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In alto: schema planimetrico del London Aquatics. Primo livello della struttura in assetto legacy: l’eredità rigidamente programmata per il post-evento olimpico In basso: schema planimetrico del complesso nautico in assetto per la XXX edizione delle Olimpiadi. I due alettoni aggiunti saranno smontati alla fine dell’evento
1. Vasca per le gare di nuoto 2. Vasca per i tuffi 3. Mezzanino per persone con handicap 4. Tribune per il pubblico 5. Tribune per media e vip
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PROGETTO / 1 SEZIONE LONGITUDINALE
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Sopra: sezione longitudinale e trasversale del Centro alla fine dell’evento olimpico, quando, secondo il programma legacy, smonteranno le tribune temporanee Sotto: sezione longitudinale e trasversale nella versione costruita per le Olimpiadi. Le due ali faranno aumentare il numero degli spettatori di 1400 posti
SEZIONE LONGITUDINALE
SEZIONE TRASVERSALE
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mente ed economicamente depressa. La sfida della capitale inglese è dunque progettare nuove strutture che saranno completamente o in parte smantellate, riattate o “metamorfizzate” per divenire altro: l’intero sito diventerà uno dei parchi più grandi d’Europa e sarà dedicato alla regina Elisabetta II. Anche il London Aquatics Centre, alla fine della manifestazione, cambierà aspetto e lo farà spogliandosi dei due rigidi corpi laterali che sono stati addossati alla struttura centrale per corredarla di altre due
In alto: la piscina per l’allenamento realizzata al di sotto dello Stratford Bridge. Sotto: i monolitici trampolini si presentano scultorei e fluidi. Realizzati in cemento armato caratterizzano, con le loro superfici ben levigate, la parte terminale del centro creandovi un morbido gioco di luci e penombre
tribune da 7mila poltrone necessarie per un’adeguata risposta alla numerosa affluenza prevista. È situato all'interno del Parco Olimpico, sul lato Sud orientale del Villaggio e insiste su un asse perpendicolare allo Stratford City Bridge, il nuovo accesso pedonale che collega il Parco Olimpico a Stratford. Presenta una sinuosa copertura a doppia curvatura, dalla geometria fluida come l’acqua, e una pianta che dispone le tre piscine perpendicolarmente all’asse EstOvest del ponte: quella per l’allenamento realizzata al di sotto dello Stratford Bridge e le altre due destinate alle gare e ai tuffi, costruite proprio sotto la particolare copertura, all’interno della grande sala principale. La copertura oltre a coprire lo spazio dedicato alle gare si estende per oltre 30 metri aldilà della sala e protegge parte degli spazi esterni, compreso l’ingresso al ponte. Progettata dal gruppo Arup & Partners ha un’ampiezza di 160 x 90 metri ed è sorretta da tre punti di appoggio di cemento armato, due di forma ellittica e uno a forma
di parallelepipedo. Sopra le vasche dieci travi reticolari, disposte a ventaglio, distribuiscono il peso sui supporti verticali e a fare da mediazione tra i diversi elementi sono state poste delle sfere che rendono elastica la copertura, ne aumentano la capacità di adattamento alle sollecitazioni provocate da eventi sismici e ammortizzano l’impatto oscillatorio dei venti. L’intera copertura è stata costruita a quota zero e in un secondo momento, con il supporto di alcuni martinetti, è stata montata su torri temporanee, ad una quota più alta, per poi essere riportata a quella giusta solo quando i tre piedritti sono risultati staticamente in grado di sorreggerla. La costruzione del London Aquatics Centre è durata solo tre anni. Vi hanno lavorato più di 3630 persone e oltre 370 imprese del Regno Unito. L’acciaio proviene dal Galles e il sistema d’illuminazione della hall principale è stato realizzato da una ditta scozzese. «Un’onda», l’ha definita Zaha Hadid. Un’onda che lo scorso luglio è stata inaugurata dai tuffi di Tom Daley. DESIGN + 43
La sua geometria è legata al paesaggio così come i colori che lo caratterizzano. Il Troll Wall Restaurant, progettato dallo studio norvegese RRA, in poco tempo è diventato una delle attrattive del Parco Nazionale Reinheimen di Iole Costanzo
AI PIEDI DELLA MONTAGNA
PROGETTO / 2
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a chiarezza di un progetto dipende da due elementi fondamentali: l'analisi e la decisione. La prima è una questione di metodo, la seconda di mentalità». Il gruppo norvegese Reiulf Ramstad Architects, noto con la sigla RRA, considera l'unicità di un contesto il vero punto di partenza di un lavoro architettonico. «Quando l'analisi di un luogo ha come prodotto un insieme di caratteri essenziali, è lì che subentra la creatività». La loro architettura si distingue per le innovative forme tettoniche. Interpreta, in modo nuovo, la continuità spaziale tra il paesaggio esterno e l'interno degli ambienti. Il Ristorante Troll Wall, costruito ai piedi della più alta parete di roccia verticale d’Europa, si trova in Norvegia, a Romsdal Valley. Grandi vetrate a tutta altezza permettono ai commensali di godere di una vista unica del paesaggio: un impressionante spettacolo offerto dalla natura, una parete di roccia che ha sollecitato nel tempo molte storie fantasiose e rappresenta per molti una sfida da sostenere. L’edificio ha una pianta semplice e flessibile, dalla distribuzione razionale, mentre la sua par-
ticolare copertura prende ispirazione proprio dal paesaggio circostante. Anche il colore grigio del rivestimento esterno, in legno carbonizzato, ripropone le nuance tipiche della parete di roccia che sta lì a pochi passi. Le semplici e appropriate scelte stilistiche hanno dato carattere e personalità all’intero edificio tanto da renderlo un’attrazione architettonica per l’intera regione. Il paesaggio è asciutto, roccioso, crudo, graffiante e il ristorante vi si inserisce perfettamente senza sovrastarlo, bensì rispettandone l’insieme. La struttura offre degli ottimi punti di vista, sia dall’interno che dall’esterno. L’intera regione è internazionalmente nota. Negli ultimi anni è stata anche ripresa in uno dei famosi film della saga di Harry Potter, il Principe Mezzosangue. Il caratteristico treno che l'attraversa si è perfettamente prestato all'occasione. Il Troll Wall, in norvegese Trollveggen, fa parte del massiccio del monte Trolltindene, che si trova nella valle Romsdalen, nel Parco Nazionale Reinheimen nel comune di Rauma. Il periodo più indicato per visitare questa zona è senza dubbio l’estate. Le strade di collegamento sono tutte percorribili anche le più
SCHEDA
Progettisti Reiulf Ramstad Architects Luogo Trollveggen, Møre og Romsdal, Norway Tipologia Ristorante Cliente Privato Dimensione 700mq
PROGETTO / 2 PROSPETTO SUD
PROSPETTO NORD
A sinistra: due viste interne della sala principale. Le superfici vetrate, variamente tagliate, hanno un rapporto diretto e per nulla mediato con la famosa parete del Troll Wall. In basso: la planimetria generale mostra la disposizione interna dell'impianto. In alto: i due prospetti principali
impervie, ed è possibile praticare diverse attività sportive all’aria aperta: l’arrampicata sportiva, la pesca (da praticare nel fiume poco distante), il rafting e altro. In primavera la temperatura è gradevole anche se possono verificarsi i temporali pomeridiani, mentre in quella invernale ha valori sempre sotto lo zero. Ma oltre al clima variabile c’è da tener presente anche la durata delle ore di luce, sensibilmente variabili con le stagioni, che garantisce condizioni di luminosità impensabili nel mese di giugno e drasticamente ridotte durante l’inverno. Tenendo conto di tutte queste variabili, climatiche e circadiane, il Troll Wall Re-
PIANTA PIANO TERRA
staurant fatto di vetro, acciaio e legno interpreta benissimo il senso dell’ospitalità, il bisogno, il desiderio di ricovero e di riposo. La struttura prevede alcune camere da letto, ma soprattutto ha nella grande sala enormi vetrate che raccordano il piano di calpestio con le particolari, rigide linee spezzate della copertura, tipiche della geometria dei frattali. L’interno è sobrio. Le linee sono essenziali e il design è contemporaneo. L’assetto non è freddo, ma semplice, pratico e accogliente. È lontano dalle logiche comuni degli arredi di montagna. Tutto è nuovo e non ovvio. Il paesaggio non è disturbato da nulla. La trasparenza, la luce e l’essenzialità sono di casa. DESIGN + 49
GRANDI VETRATE A TUTTA ALTEZZA PERMETTONO AI COMMENSALI DI GODERE DI UNA VISTA UNICA DEL PAESAGGIO
PROGETTO / 2
PLANIMETRIA
In alto: la planimetria generale evidenzia la critica posizione orografica dell'edificio. In basso: le due sezioni mostrano il rapporto che l’edificio ha con il suo elemento finestra, le superfici vetrate dalle linee spigolose
SEZIONE LONGITUDINALE
SEZIONE TRASVERSALE
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PROGETTO / 3
Progettato da Preston Scott Cohen, l’Herta e Paul Amir Building sarà il più importante museo israeliano. L’interno dell’edificio ospiterà inoltre un centro studi fotografia, una biblioteca d’arte, un nuovo auditorium, una grande galleria per mostre temporanee di Iole Costanzo
A TEL AVIV IL NUOVO TEMPIO DELL’ARTE
52 DESIGN +
SCHEDA
Progettista Preston Scott Cohen Luogo Tel Aviv Cliente Tel Aviv Museum of Art Superficie costruita 18.500 mq Strutture Yss Consulting Engineers Illuminazione Tillotson Design Associates Impianti Brener, Fattal Electrical & Systems Engineering Ltd Acustica M.G. Acoustical Consultant Ltd
DESIGN + 53
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I
TEL AVIV PRESENTA UN’ARCHITETTURA MODERNISTA E UN SISTEMA URBANO RECENTE, COSTRUITO SECONDO LE REGOLE DEL BAUHAUS
Le white boxes, i volumi bianchi, all’interno offrono lo spazio giusto per l’esposizione di opere contemporanee, (vedi le due immagini nella pagina a fianco). Lo spazio si muove, si piega, scopre la luce e si torce creando un cuore variamente piegato, il Lightfall, (foto in alto a destra), un camino di luce che accompagna il visitatore tra i diversi livelli
l nuovo ampliamento del Tel Aviv Museum of Art, il museo d'arte moderna e contemporanea di Israele, progettato da Preston Scott Cohen, conclude un tessuto urbanisticamente storicizzato e tipologicamente definito, aprendolo allo stesso tempo ad un nuovo linguaggio architettonico. Il volume è stato inserito in un triangolo di tessuto urbano. È stato quasi “incastonato” tra altri edifici emblematici della città, termine che risulta più che mai adatto considerando le molteplici sfaccettature che ne raccordano tra loro i piani. L'Herta e Paul Amir Building - la struttura porta il nome dei sovvenzionatori - si trova in posizione arretrata rispetto alla strada, al 27 Shaul Hamelech Boulevard, in pieno centro, a Tel Aviv. Gli edifici importanti che lo attorniano sono: ad est il Ministero della Giustizia, ad ovest l’Opera e il Centro per le Arti dello Spettacolo e nel mezzo la Biblioteca Comunale Beit Ariela. Il Tel Aviv Museum of Art, il complesso museale esistente costruito, secondo qualcuno, conformemente ad alcuni principi dell’architettura brutalista, si trova a pochi passi ed è ad esso legato da un passaggio evocante un legame simbiotico. A separare il vecchio e il nuovo c’è il Giardino delle Sculture, uno spazio verde organizzato per ospitare installazioni d’arte e che oggi offre punti di vista ravvicinati dello sfaccettato, ritorto e variamente modellato ampliamento rivestito di pannelli di cemento chiaro. Come lo stesso studio di progettazione ha precisato, l’intento “topologico-matematico” del progetto era quello di "quadrare il triangolo" e l’escamotage trovato per farlo si è basato sullo sfalsare tra loro più parallelepipedi per poi legarli e raccordarli attraverso l’uso di piani ruotati, inclinati e variamente giacenti. Spiegazione questa che può sembrare forse esaustiva a chi ha un approccio proiettivo, ma sicuramente scarsa a chi ha invece una logica topologica. Preston Scott Cohen adotta per la sua architettura un linguaggio nato dalla ricerca algoritmica, parametrica e tridimensionale. Come gran parte degli architetti contemporanei è lontano dalla Geometria Euclidea (quella cioè legata solo alla capacità umana di misurare le distanze tra gli oggetti) e da quella Proiettiva derivante invece da una “vista a lungo raggio” che rende possibile seguire due binari che allontanandosi al-
PROGETTO / 3
l'orizzonte si avvicinano sempre più. Ciò che Preston Scott Cohen ha abbracciato è la Topologia, la Geometria delle figure continue: una disciplina molto più giovane che per essere teorizzata richiede alla mente umana di liberarsi dalle concezioni metriche,"rigide" e stratificate da millenni di storia del pensiero umano, per assumere quale concetto unico quello di equivalenza fra le figure, di continuità, e della possibilità dell’oggetto topologico di potersi deformare a piacimento (purché non lo si strappi) senza che vi siano alterazioni nella sua vera natura. Il museo Herta e Paul Amir, inoltre, unisce in sè due paradigmi apparentemente inconciliabili del concetto di museo: l’idea di ambiente neutro, concretizzata attraverso l’uso di volumi bianchi (le white boxes) adatti alle mostre d'arte, e l’adozione stessa di geometrie radicali, forse anche convenzionali, quali appunto i sopraccitati parallelepipedi, che assemblati (termine improprio) con una logica topologica hanno prodotto un nuovo tipo di spazio museale, attuale e contemporaneamente radicato nella storia di Tel Aviv, la città bianca. La città dall’architettura modernista e dal sistema urbano relativamente recente, costruito secondo le rigide regole della Bauhaus degli anni Trenta. Un tessuto urbano DESIGN + 55
PROGETTO / 3
consolidato e “provato” da una storia fatta di battaglie, lotte, esplosioni e da pragmatiche architetture militari realizzate con materiali semplici e assoluti quali il cemento. Materiale che ha sempre colpito l’immaginario collettivo e che ha portato la commissione del museo a diffidare, in un primo momento, delle mega tessere di cemento prefabbricate, dei 465 pannelli cementizi con cui è stata completamente rivestita l’intera struttura dell’Herta e Paul Amir Museum. Vi si accede attraverso il vecchio museo ed è dunque difficile leggere quale tipo di impatto ha creato la nuova volumetria se non quando si è raggiunto lo spiraliforme cortile interno, alto circa 26 metri e realizzato in cemento. Il "Lightfall", è questo il nome che gli è stato dato, è l’unico elemento unificante. La sua forma è stata generata da sottili superfici ritorte e la complessa sequenza di iperbolici paraboloidi interseca i diversi volumi collegando, saldando e legando gli angoli formatisi tra gallerie, scale e passeggiate. È il cuore del museo. È il vuoto che unisce. È una sottrazione volumetrica con doppia funzione: quella di sistema di circolazione verticale e quella di camino di luce naturale. Concettualmente, l’ampliamento del Palazzo Amir affonda le radici nella tradizione architettonica moderna presente in città, nelle linee disegnate da Mendelsohn e in quelle del mitico Bauhaus. Perché Tel Aviv è “La città che non si ferma mai”, è la prima città ebraica moderna ed è anche il centro dell’economia e della cultura di Israele. Nella sua edificazione i costruttori si ispirarono all'ideale di "città giardino" e fu questa la ragione che nel 2004 ha portato l'UNESCO a riconoscerla quale patrimonio dell'umanità. È una città ricca di eventi artistici e nella sua estensione, 14 km lungo il Mediterraneo, tra il fiume Yarkon a nord e il fiume Ayalon a est, ospita più di 20 musei. Ma del rapporto tra città e museo c’è ben altro da mettere in evidenza, perché ciò che si crea è una reciproca intesa, un legame biunivoco che dalla costruzione del Guggenheim di Bilbao in poi si è ipoteticamente rafforzato. Le aspettative sono aumentate. E allora è possibile che Tel Aviv si aspetti di ricevere nuovi input di cambiamento da questo nuovo, diverso, inusuale volume? Non è dato saperlo. Ma qualcosa sicuramente accadrà: le novità generano sempre importanti cambiamenti.
LE SINGOLE GALLERIE A PIANTA RETTANGOLARE SONO ORGANIZZATE ATTORNO A UN GRANDE ATRIO ILLUMINATO DA UN AMPIO LUCERNARIO DETTO "LIGHTFALL" A FORMA DI SPIRALE
A sinistra: il Lightfall. Le scale mobili accompagnano lungo la salita mentre la matericità del cemento armato è completamente smaterializzata dalla luce proveniente dal piano terra. Sopra: le asole di luce nascono dalla “manipolazione” algoritmica dei parallelepipedi. Una logica progettuale che fa di questa architettura un esempio emblematico della geometria topologica
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PROGETTO / 3 SEZIONE LONGITUDINALE
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SEZIONE TRASVERSALE
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PLANIMETRIA GENERALE
1. Atrio; 2. Libreria; 3. Guardaroba; 4. Pozzo di luce; 5. Galleria architettura e design; 6. Galleria architettura e design; 7. Galleria 3 architettura e design; 8. Biblioteca; 9. Uffici dirigenziali per l’architettura e il design; 10. Percorso arte israeliana; 11. Galleria arte israeliana (pre-1948); 12. Galleria arte israeliana (1948-1970); 13. Galleria arte israeliana (1970 - oggi); 14. Sala proiezioni; 15. Uffici dirigenziali per l’arte israeliana; 16. Aula; 17. Galleria fotografica; 18. Archivio fotografico; 19. Auditorium; 20. Galleria per esposizioni speciali; 21. Reception; 22. Cafè/bar; 23. Aula; 24. Carico e scarico; 25. Cucina; 26. Collegamento in vetro; 27. Atrio; 28. Galleria; 29. Galleria; 30. Galleria; 31. Sala conferenze; 32. Ristorante; 33. Terrazza ristorante; 34. Parco sculture; 35. Archivio libri; 36. Aula; 37. Uffici biblioteca.
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PROFESSIONAL SERVICE
La Ceramica s.r.l. nasce a Bologna negli anni Sessanta come punto vendita della Iris Ceramica di Fiorano Modenese, a quei tempi giovane azienda in forte espansione che oggi rappresenta uno dei gruppi ceramici più importanti in Italia e nel mondo. La Iris è, infatti, leader mondiale nella produzione di gres porcellanato per pavimenti e rivestimenti destinati a progetti residenziali, commerciali e industriali. «Presso il nostro show room di oltre 1000 mq a Trebbo di Reno, in provincia di Bologna, – spiega Tina Piretti, Amministratore Delegato de La Ceramica srl – sono esposte tutte le aziende del Gruppo Iris Ceramica. La nostra sala mostra è suddivisa in aree specifiche dedicate anche ai settori del mosaico, del klinker, del cotto, della graniglia, del marmo, per offrire un ventaglio di scelte vasto ed esaustivo». Quello che maggiormente caratterizza l’azienda di Trebbo di Reno, oltre all’esperienza maturata in 40 anni di attività, è la capacità di saper coniugare la ricerca e l’innovazione nel campo della produzione ceramica alla tradizione artigianale, caratteristica che consente di creare uno spazio abitativo capace di emozionare e affascinare. «In aggiunta ai gres porcellanati tradizionali, che presentano caratteristiche tecniche fino a ieri impensabili, - spiega Tina Piretti - siamo in grado di proporre anche il trattamento denominato ACTIVE, piastrelle sulla cui superficie, in seguito ad un
RICERCA E INNOVAZIONE NEL SEGNO DELLA CERAMICA
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trattamento brevettato a base di biossido di titanio, avviene un processo di fotocatalisi che scompone chimicamente gli agenti inquinanti, eliminandoli. La convinzione che il nostro sia un settore per il quale la ricerca e l’innovazione sono fondamentali, ci ha portato a creare una divisione commerciale in stretto contatto con i principali studi di architettura di Bologna e provincia, che ha il compito di aggiornare i professionisti sulle continue novità del mercato, a supporto della realizzazione di tanti progetti. Un’area dello show room è espressamente dedicata al parquet, sia plance prefinite che elementi da levigare in opera, per mostrare i possibili abbinamenti di essenze, formati, finiture superficiali e tonalità del legno». Sono, inoltre, distribuiti uniformemente ai diversi piani dello show room vari box espositivi che presentano ambientazioni complete di mobili da bagno, sanitari, rubinetterie e cabine doccia, che rispecchiano diversi stili ed esigenze. Il cliente è accompagnato e aiutato da personale altamente qualificato, formato da professionisti del settore. In funzione dei materiali scelti vengono mostrate immagini computerizzate che riproducono fotograficamente l’ambientazione finale. «L’azienda mette a disposizione sia dei clienti privati che delle imprese anche un tecnico che si occupa di consulenza pre e post vendita sul cantiere, con rilievi, assistenza ai posatori e coordinamento degli stessi, sopralluoghi e su richiesta rilascia le certificazioni dei materiali consegnati. L’attenzione alle esigenze del cliente per noi è di primaria importanza, il nostro obiettivo è quello di dare sempre il miglior servizio», conclude Tina Piretti. La Ceramica srl Via di Corticella, 46 - 40013 Trebbo di Reno (Bo) - Tel. 0514178611 email: info@laceramicabo.it - www.laceramicabo.it
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PROFESSIONAL SERVICE
NUOVE PROSPETTIVE
PER NUOVI ARREDAMENTI
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Funzionalità e qualità sono le caratteristiche fondamentali che si cercano quando si arreda un ufficio. I mobili devono essere pratici e adeguati al tipo di lavoro che viene svolto in modo da facilitarlo e devono durare nel tempo. Senza dimenticare il lato estetico: l’aspetto di un ufficio è il biglietto da visita dell’attività professionale che si svolge al suo interno, come a dire che in certi casi l’abito fa decisamente il monaco! È dal 1983 che ACF Trading arreda uffici prestando molta attenzione proprio a queste caratteristiche fondamentali. «Il nostro obiettivo - spiega il dottor Rubini, titolare dell’azienda - è arredare con prodotti belli e funzionali, articoli di alto design e qualità». Annoverabile tra le attività storiche di Bologna, ACF Trading ha la propria sede nel cuore più antico della città, all’imbocco di Piazza Santo Stefano, dove si trova uno showroom di oltre 500 mq sviluppato su più piani e allestito con arredi di alta gamma per l’ufficio ma anche per la casa,
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1. Sala riunioni Bardi srl, Fidenza PR - 2. Sala CDA Federazione BCC Emilia Romagna, Bologna - 3. Sala conferenze Federazione BCC Emilia Romagna, Bologna - 4. Hall uffici presidenziali, Federazione BCC Emilia Romagna, Bologna
in particolare per la cucina. Inoltre, una sala è completamente dedicata alle finiture per interni con aziende leader sul mercato come Powergres, Arena Parquet, Pergo, Area, Altha. «ACF Trading - prosegue Rubini - commercializza i maggiori marchi dell’arredamento italiano e internazionale, di cui molti in esclusiva per Bologna, tra i quali ICF, Herman Miller, Frezza, Desalto, Porro, Moroso, Danese, Caimi. In questo modo possiamo soddisfare l’intera richiesta della clientela, dall’ente pubblico alla grande industria privata, dall’ufficio direzionale a quello operativo, dallo studio professionale fino alla casa e alle cucine su misura». Oltre all’importante spazio espositivo, ACF mette a disposizione dei progettisti tutto l’archivio cataloghi, l’archivio materiali e, soprattutto, il supporto tecnico dei suoi collaboratori, professionisti di fiducia che conoscono i prodotti commercializzati e sono seguiti direttamente dall’azienda. «L’installazione e l’assistenza post vendita - ci tiene a precisare Rubini - sono da sempre un nostro vanto. Riusciamo, inoltre, con maestranze artigianali qualificate a soddisfare ogni esigenza di lavorazione su misura, dall'adattamento di arredi di serie alla realizzazione ex novo di progetti particolari di interior design». ACF ha nel settore del contract uno dei suoi punti di forza: è infatti in grado di fornire qualunque soluzione chiavi in mano completa. Riesce a coprire tutta la richiesta di enti pubblici e clienti privati per edilizia, impiantistica, illuminazione, materiali per l’edilizia, finiture per interni con materiali lapidei, ceramici, parquet per interni ed esterni, laminati, mosaici, resine, coloriture, fino alla lavorazione del corian. L’azienda bolognese ha inoltre realizzato oltre 200 agenzie bancarie in tutto il territorio nazionale, fra cui le sedi di Piazza Maggiore, Piazza Galvani e via Murri della Banca di Bologna. Un altro settore molto importante seguito da ACF Trading è quello delle partizioni divisorie tecniche, semplici e attrezzate, in melamina, legno o vetro a camera d'aria o monolastra. L'utilizzo di questi prodotti, unito alla fornitura di pavimentazioni sopraelevate, controsoffittature e cartongesso, permette di dividere gli spazi di lavoro in modo funzionale e flessibile, consentendo in un secondo momento cambiamenti di layout e funzione. ACF è diventato anche un punto di riferimento nel panorama culturale cittadino, mettendo i suoi locali a disposizione di eventi dedicati ad arte e cultura. «Ogni anno conclude Rubini - ospitiamo la serata inaugurale del Festival Internazionale di S.Stefano che in vent’anni è diventato un appuntamento storico per tutti gli appassionati di musica classica, jazz e contemporanea». ACF Trading srl via S.Stefano 7/b - 40125 Bologna Tel +39-051-222909; Fax +39-051-263754 www.acftrading.eu - acf@acftrading.eu
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Angolo B nasce dopo un'esperienza di oltre 10 anni di attività nelle scenografie e nella realizzazione di strutture in metallo. L’azienda si occupa di arredamento per abitazioni private, uffici e spazi fieristici, creando strutture ad hoc per ogni ambientazione e ottenendo quindi il risultato migliore con l’aiuto di professionisti di fiducia con cui collabora da anni. L’obiettivo principale di Angolo B è fornire un prodotto di alta qualità e un servizio affidabile, anche sulla lunga distanza. Lo staff è disponibile a valutare tutti i progetti richiesti dal cliente, per consegnare, alla fine, un prodotto “chiavi in mano” caratterizzato dalla massima qualità, nonché rigorosamente fatto a mano e made in Italy.
Eco Energia è un’azienda presente nel settore delle energie alternative rinnovabili che fornisce, chiavi in mano, impianti fotovoltaici di tipo domestico, industriale, commerciale e grandi impianti. Grazie alla propria esperienza e professionalità, offre consulenze personalizzate sia in fase di progettazione che di sviluppo, nonché assistenza post-vendita, gestendo direttamente anche l’iter amministrativo. L’impegno assiduo e costante che ne caratterizza l’anima, assicura al cliente la massima efficienza per l’ottenimento dell’obiettivo prefissato. Qualità, esperienza, innovazione, dinamicità, miglioramento continuo, sostenibilità ambientale, sono solo alcuni degli elementi vincenti che valorizzano Eco Energia.
L’azienda, fondata nel 1997 dai soci Todaro e Fortini, nasce dalla volontà di unire le loro professionalità e la loro esperienza decennale nel settore delle coibentazioni. Da oltre vent'anni si occupa di isolamenti termici di impianti di riscaldamento e condizionamento in ambito civile ed industriale, per i quali ha ricevuto la certificazione ISO 9001:2008, compreso l'assistenza e la manutenzione, avvalendosi di un team di professionisti qualificati che garantiscono serietà e rapidità nello svolgimento dei lavori. Inoltre può eseguire servizio di rimozione, smaltimento, e bonifica dell’amianto, isolamenti ignifughi REI 120, lavori in cartongesso, piccoli lavori edili, contropareti acustiche e REI.
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MetalCrea è un’azienda giovane e dinamica, che si avvale di professionisti altamente specializzati nella lavorazione di alluminio, acciaio inox e corten per rivestimenti e pavimenti, ma anche per complementi d’arredo, come specchiere, cornici per camino, separè e altri oggetti personalizzati. La ricerca e la sperimentazione sono la loro sfida quotidiana. Il dinamismo e la voglia di rinnovarsi continuamente permette all’azienda di proporsi come partner nello sviluppo e nella realizzazione di progetti di interni, anche i più personalizzati. La qualità dei servizi è indiscutibilmente la priorità di MetalCrea e la snellezza della produzione le permette di accontentare anche le richieste più specifiche e personali.
Azienda presente da otto generazioni, Grandi è da sempre attiva per risolvere i piccoli problemi legati alla lavorazione del ferro. Tra i servizi offerti dall’azienda rientrano la messa a norma di parapetti in stabili d’epoca, la possibilità di piccole lavorazioni con fucina o forno, la produzione di inferriate per finestrature con possibilità di abbinamento a scuri esterni, cancelli carrai o pedonali, parapetti scale interne in ferro o ghisa, particolari di arredo, vetrinature per negozi. Tutta la produzione viene svolta su disegno del cliente oppure su proposta dello staff dell’azienda. Lavora in collaborazione con ditte artigiane di provata esperienza e serietà per lavori di falegnameria, vetreria e realizzazione di corrimani e particolari in ottone e inox.
Dal 1960 la ditta Forni Athos aiuta i propri clienti a realizzare la casa dei loro sogni, affiancandoli con professionalità e attenzione, dalla scelta dei materiali per la costruzione come laterizi, isolanti, collanti, cappotti coibenti, finestre VELUX, fino alla scelta dei materiali di finitura per pavimenti e rivestimenti, per esempio il gres porcellanato o il legno, e per gli arredi. La Forni Athos tratta le migliori marche sul mercato: Panaria, Caesar, Mutina, Casa dolce casa, Bisazza, Lea Ceramiche, ABK, Ce.Si, Riverstone, legno Gazzotti e Original Parquet, Ardesia di Artesia, mobili Toscoquattro e Rifra, autobloccanti Paver, pavimenti e rivestimenti in vetro Skytech, vetroarredo Seves.
URBANPROMO 2011
Urbanpromo è nato a Venezia nel 2004, in occasione della Rassegna nazionale di urbanistica dell’INU. Rispetto al processo di pianificazione, da sempre al centro degli interessi dell’Istituto, si voleva approfondire la fase della messa a punto del progetto urbano: si era acquisita la consapevolezza che lo spazio di questa fase, tradizionalmente compresso fra la pianificazione generale e la realizzazione degli interventi, si stesse dilatando. E in questo spazio interagivano una pluralità di soggetti pubblici e privati – comuni, proprietari fondiari, sviluppatori, finanziatori, investitori, imprese, progettisti – talvolta in modo virtuoso, superando cioè vecchi steccati e cercando di massimizzare il valore del progetto, altre volte in forme degenerative, quali l’“urbanistica contrattata”. Urbanpromo nasce dunque come occasione di esplorazione e confronto multidisciplinare e intersettoriale, centrata sul progetto di trasformazione urbana, le strategie degli attori, gli strumenti operativi. Di anno in anno Urbanpromo ha esteso il campo dei propri interessi, in parte per la fisiologica complementarietà dei temi – dal progetto di trasformazione urbana alle infrastrutture, fino alla pianificazione strategica – e in parte seguendo l’evoluzione delle questioni. Il filo rosso che unisce i tematismi e le esperienze rappresentate è il partenariato pubblico privato, quale approccio appropriato per affrontare i problemi della città contemporanea. Così Urbanpromo ha accompagnato l’affermarsi della riqualificazione urbana, le politiche abitative, le strategie di rivitalizzazione dei Centri storici, la problematica energetica in ambito urbano, il consumo di suolo, il superamento del gap infrastrutturale, e
via dicendo. Fra gli strumenti al centro della sua attenzione il piano comunale operativo, la perequazione urbanistica, la società di trasformazione urbana, l’urban center, i fondi comunitari per lo sviluppo urbano e altri ancora. Urbanpromo ha accompagnato anche l’evoluzione del settore immobiliare, fino alla crisi attuale. Una crisi che potrà essere superata se anche nella gestione della città e delle sue trasformazioni riusciremo ad innovare gli approcci e i comportamenti. La ricerca dell’innovazione nella prospettiva della fuoriuscita dalla crisi è stato il punto di riferimento dell’ottava edizione, contrassegnata da due novità: un’anteprima specialistica sul social housing, svoltasi a Torino il 13 e 14 ottobre, e il trasferimento della manifestazione principale da Venezia a Bologna, dove si è tenuta dal 9 al 12 novembre. Così Urbanpromo 2011, nonostante la difficile congiuntura economica, si conclude con un bilancio molto positivo: oltre 2.200 sono stati i visitatori accreditati, contenuta la riduzione dei progetti esposti rispetto alle edizioni più ricche, molto frequentati e apprezzati i convegni, seminari, workshop, che si addensano, interagendo, nei giorni della manifestazione. Fin dall’inizio Urbanpromo si è occupato delle politiche abitative, anche quando erano sparite dalle agende politiche. Ha quindi avuto l’opportunità di seguire la riemersione del problema della casa e la riconfigurazione delle strategie e degli strumenti per affrontarlo. A un certo punto è apparso chiaro che la nuova impostazione stava utilizzando una pluralità di strumenti – urbanistici, finanziari, tecnologici, sociali, giuridici – che avevano raggiunto un grado molto evoluto di complessità e specializzazione. Di qui l’idea di una manifestazione specialistica sul social housing, quale appunto quella di Torino, caratterizzata dal tradizionale approccio di Urbanpromo – valorizzazione del partenariato pubblico privato, messa in rete degli attori rilevanti, ricerca dell’innovazione – e qualificata dalla volontà dei suoi
protagonisti di riconoscersi in un documento comune: il “manifesto del Social Housing”, che in dodici punti sintetizza gli orientamenti per le moderne politiche abitative. Bologna ha ospitato Urbanpromo là dove il Centro storico esprime la punta massima di qualità: piazza Santo Stefano. La Basilica ha accolto, nei suoi chiostri, la parte principale della mostra, mentre i convegni si sono tenuti soprattutto a Palazzo Isolani. Importanti iniziative si sono svolte nella Salaborsa, fra cui il primo confronto nazionale fra le città che si sono dotate di un Urban Center o che intendono farlo. Fra gli interessi culturali di Urbanpromo spicca la rivitalizzazione dei Centri storici. Un importante settore della manifestazione si occupa delle iniziative che le Regioni, le Camere di Commercio e le associazioni degli operatori economici promuovono per rilanciare il ruolo dei Centri storici come luoghi di attività miste, capaci di esprimere grande attrattività. Si è quindi pensato di fare evolvere Urbanpromo da evento culturale in cui si fanno conoscere le buone pratiche a esperienza essa stessa di marketing urbano: è stato così realizzato il progetto “City Experience” che ha coinvolto la Camera di Commercio e le associazioni degli operatori in un multiforme programma di attività realizzato in vari punti del Centro storico, fra cui la Libreria Coop Ambasciatori. Fra i numerosi progetti presentati nella mostra e approfonditi nei convegni, particolare rilievo hanno avuto quelli che si stanno attuando a Bologna. Il Comune di Bologna, che in passato aveva illustrato i progressivi sviluppi del proprio percorso di pianificazione urbanistica, quest’anno ha fatto il punto sui progetti che stanno modificando l’immagine della città: nel Centro storico gli interventi sullo spazio pubblico promossi dalla stessa Amministrazione e il percorso Genus Bononiae della Fondazione Carisbo, nella fascia esterna il progetto per il Mercato Navile con la Trilogia Navile di Valdadige e Unicum di Galotti e Cesi, e la torre Unifimm dell’Unipol.
STEFANO STANGHELLINI Professore ordinario in Estimo presso l'Università IUAV di Venezia. Presidente di Urbit, società dell'Istituto Nazionale di Urbanistica che dal 2004 promuove e organizza Urbanpromo. Dal 2005 è presidente della Società italiana di Estimo e Valutazione.
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ANALISI
L’IMPORTANZA DELLA MANIFESTAZIONE
L’ESTETICA SPOSA LA FUNZIONALITÀ
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URBANPROMO 2011
Come noto le città non sono oggetto prioritario delle politiche pubbliche e del dibattito politico culturale nel nostro Paese. Vi è una scarsa consapevolezza sia politica che tecnica sul loro ruolo economico. Eppure sono il motore dello sviluppo e l’unico luogo entro cui le varie culture sociali si incontrano. Operare sulle città, investire in esse, recuperarne anche solo parti, significa incidere profondamente sulla loro capacità di rispondere non solo alle sollecitazioni economico finanziarie, ma anche alle richieste di miglioramento della qualità della vita e alle nuove domande di attenzione verso nuove economie ambientalmente sostenibili e socialmente sensibili. Di questo si è parlato all’ottava edizione di Urbanpromo 2011, uno dei principali eventi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, quest’anno organizzato a Bologna dal 9 al 12 novembre. Un evento ormai entrato nel calendario delle manifestazioni nazionali per gli operatori istituzionali, per il mondo delle imprese e per quello dei professionisti. Un evento che, oltre a esporre casi concreti di operazioni di trasformazione e di modernizzazione delle città, ha fatto il punto sul partenariato pubblico privato e ha affrontato in modo trasversale i nodi dell’efficienza energetica e dello sviluppo sostenibile, la qualità delle trasformazioni urbane, le prospettive del mercato immobiliare, la valorizzazione dei beni immobili pubblici, il social housing, la cultura per la città, il finanziamento dei progetti, le opportunità e i rischi del dibattito sulla riforma federalista in Italia letta in una prospettiva delle città. È difficile selezionare alcuni momenti significativi in un’offerta variegata, ma pur facendo torto a diversi, quattro filoni di riflessione mi sembrano interessanti da segnalare.
Il primo filone è certamente quello sulle strategie di riqualificazione delle aree urbane. In maniera particolare il seminario organizzato dall’Agenzia delle Entrate sul Cambiamento della destinazione d’uso nella pianificazione urbanistica, tema accantonato da molto tempo dall’agenda istituzionale e professionale oppure ridotto alla sola dimensione fiscale, eppure centrale per tutte le politiche di rigenerazione urbana. Accostato a questo tema, il seminario sulla Integrazione delle politiche ambientali ed energetiche nel progetto di città, dove i temi del cambiamento climatico e delle politiche settoriali nel campo energetico sono stati declinati e discussi alla scala del progetto urbano e di quello edilizio. Cioè al livello più basso dell’azione: quello del progetto urbanistico e soprattutto quello della progettazione edilizia. Perché sono proprio questi due che possono dare i migliori e più efficaci contributi all’abbattimento dei costi energetici e delle emissioni. Il secondo filone è quello sul vasto patrimonio edilizio esistente, specialmente quello storico. Su questo argomento interessante il doppio seminario sugli Interventi innovativi per la valorizzazione del patrimonio storico, soprattutto quello presente nei centri di medie e piccole dimensioni; e quello sulla Rivitalizzazione economica dei centri storici. Un tema solo in apparenza tradizionale, ma centrale nei cambiamenti sociali e funzionali contemporanei, dove la desertificazione di alcune parti del Paese pone problemi del tutto nuovi per intere parti dei territori urbanizzati. Sì perché il rilancio della riflessione sulle città non deve essere indirizzato solo ai grandi agglomerati urbani, ma anche a quel tessuto territoriale fatto di sistemi urbani multicentrici e interconnessi tra loro che nonostante tutto sono e mantengono una loro vitalità e richiedono nuovi progetti di intervento. Nella discussione sono stati indicati tre tipi di politiche pubbliche e di progettualità possibile: quella indirizzata ad aiutare forme di turismo soft legate al benessere psico-fisico; quella
indirizzata ad un nuovo servizio sanitario legato alla promozione della salute come benessere e non solo come mera assistenza; quella del recupero dello stock edilizio per rafforzare quelle relazioni sociali e quel ruolo di “presidio territoriale”, che molte volte le politiche pubbliche tendono a dimenticare. Il terzo filone è certo quello sull’Housing Sociale e sul rapporto pubblico/privato, che ha interessato diversi appuntamenti, il più centrale dei quali è stato il seminario di presentazione del cosiddetto Manifesto del Social Housing, che ha visto la presenza del CDPI Sgr (gestore del fondo nazionale), e che ha riportato e discusso le 12 raccomandazioni significative emerse nell’incontro preparatorio ad Urbanpromo di Bologna, quello svolto a Torino nel mese di ottobre, significativamente chiamato Preview Social Housing. Un argomento questo divenuto centrale per le politiche sulle città contemporanee e che vede una ripresa di attenzione da parte del Governo centrale, dopo due decenni di progressivo allontanamento dai temi delle aree urbane. L’ultimo filone è quello del marketing territoriale e delle modalità entro le quali deve prendere forma. Un tema, in apparenza collaterale, ma cruciale. Il seminario Urbancenter@Urbanpromo si è posto questo nodo decisivo: comunicare e discutere pubblicamente dei progetti, non solo dei grandi scenari attraverso gli istituti della partecipazione attiva dei cittadini. Non deve essere, insomma, routine né forma stanca di semplice divulgazione di progettualità, quanto chiave irrinunciabile per avviare e condurre con esiti condivisi e partecipati interventi, anche robusti e innovativi, di trasformazione e miglioramento delle città. Un luogo dedicato può essere l’Urban Center, ma solo se diventa il “luogo” deistituzionalizzato dove la cittadinanza attiva possa manifestarsi in piena e completa autonomia. Il seminario ha discusso e analizzato le varie esperienze presenti in Italia.
GIUSEPPE DE LUCA Professore associato di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Attualmente è segretario Generale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (Inu). Da luglio 2007 a giugno 2011 è stato direttore della Fondazione Giovanni Astengo dell’Inu.
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RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO DELLE CITTÀ
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URBANPROMO 2011
Come si sta evolvendo il Marketing Territoriale degli anni più recenti? «Vi è la presa d’atto da parte dei players (pubblici e privati) che la complessità dello sviluppo di un territorio deve essere affrontata con approcci e metodologie sofisticate. Definirlo ‘Marketing Territoriale’ è una semplificazione terminologica che non ci deve far dimenticare che ci riferiamo alla forma più sofisticata di analisi e di relazione spontanea e progettata del rapporto fra uomini, donne, l’ambiente/mercato locale e globale e i desideri e le necessità che ogni individuo avverte nel suo abitare quel territorio. Dice il poeta Holderlin: “...pieno di meriti è l’uomo, ma poeticamente abita la terra”. Cioè, l’uomo fa tante cose: studia, ricerca, inventa, consuma…, ma la cosa più rilevante è abitare la terra come ospite (non come padrone): poeticamente». Quali sono i Paesi Europei che hanno realizzato le esperienze più interessanti? «I Paesi che hanno sviluppato esperienze interessanti, anche se possiamo solo parlarne al passato, con modelli non più adeguati date la complessità e l’impossibilità ad elaborare strategie di medio periodo né nazionali né internazionali, vanno dall’Irlanda alla Scozia a partire dagli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso. Sono state poi seguite da esperienze di Olanda, Francia e, da un ventennio, anche dalle regioni della Germania. Il modello per questi Paesi ha visto la nascita di agenzie di sviluppo fortemente radicate nei territori e con un coordinamento fra enti locali, università, organizzazioni imprenditoriali e grandi imprese nazionali e internazionali». Quali sono in Italia lo stato
dell’arte e le prospettive? «L’Italia ha espresso poche e davvero sporadiche esperienze a seguito della nascita di agenzie di sviluppo microscopiche, molto locali, e legate a finanziamenti europei soprattutto quelle delle regioni del sud. Si è trattato maggiormente di elaborazioni/scrittura di documenti e realizzazione di seminari sull’argomento, che una vera e propria azione, quella compiuta. Le pochissime esperienze positive che posso ricordare sono state quelle dell’agenzia ITP di Torino e per alcuni anni Sviluppo Lazio e Sviluppo Umbria che invece continua. Nella regione Emilia-Romagna (visto che siamo a parlarne post UrbanPromo 2011), un tentativo durato 3-4 anni è stato fatto da Bologna (CCIAA e Provincia alle quali si è aggiunto il Comune a malavoglia ) solo su aspetti di attrazione di investimenti immobiliari, con scarsissimi risultati esterni. Reggio Emilia e Parma hanno “disegnato” l’agenzia per il Marketing Territoriale, ma solo Parma ha fatto qualcosa. Modena si è attivata alla fine degli anni Novanta per quanto riguarda il centro storico con una traiettoria di pochi anni, per poi fermarsi. Ravenna si è mossa sul tema "porto”, ma anche qui tutto si è addormentato per poi riprendere con l’attuale Agen.da che ha il focus su un intervento di riqualificazione della Darsena, di città che vede troppi interessi e una frammentazione che ne rende difficile la concreta realizzazione. Così sta provando ora la regione Toscana che a fine 2011 ha riunito e presentato esperienze e buone pratiche di Agenzie europee di attrazione investimenti. Il resto del Paese, a macchia di leopardo, ha fatto esperienze simili, tutte “fuochi fatui” servite più a fare viaggi e missioni all’estero di politici e amministratori, che non hanno approdato a nulla». Quali tipi di competenze e formazione sono necessarie per intervenire nel settore? «Servono una formazione articolata fra macro e micro economia, sociologia, marketing emozionale e una buona conoscenza dei meccanismi
finanziari e di investimento europei, internazionali e locali. Ma alla base servono territori che imparanopreparano (ed educano) delle competenze private e pubbliche al nuovo concetto di Economia dell’esperienza. Attraverso l’impegno collettivo delle pubbliche amministrazioni territoriali, degli stakeholder, delle organizzazioni private e imprese, dei cittadini, dei clienti e turisti, le regioni e le città possono formare una learning organization viva: una learning city dinamica di tipo olistico: un principio di comunità integrata. Una comunità in cui l’apprendimento continuato diventi disponibile per tutti, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo». Il Marketing Territoriale per i Distretti è ancora un tema proponibile? «Ma la questione vede un concetto di distretto che è già uscito dalla logica del territorio in senso fisico. Le reti e le più che consolidate tecnologie infotelematiche hanno fatto cadere il vecchio plus della ‘contiguità’ territoriale tra aziende. Si tratta di legare le community locali all’economia generale dell’informazione. La learning city diventa una smart city attraverso un forte incremento nella dotazione delle tecnologie (ICT) all’interno della città. La città di New York ha messo voce e soldi nel concetto di smart city e così altre città nord americane, tra cui San Francisco, Denver, Pittsburgh, Vancouver e Toronto». Perché, in conclusione, il Marketing del Territorio è una risorsa indispensabile per il Sistema Paese? «Per offrire a investitori, persone di buona volontà e a imprese locali, nazionali e internazionali la possibilità di creazione di valore e lavoro nei territori e nelle città d’italia. Rimaniamo, fra i Paesi europei, la nazione con la più bassa percentuale di investimenti internazionali. Questo dipende da una mancanza di politiche reali e credibili di promozione dei territori. Per la comunità locale, una progettualità condivisa che ha come obiettivo ‘alto’ il destino economico, culturale e sociale del proprio territorio».
ROLANDO GUALERZI È stato co-direttore dell’ufficio in Italia del Dipartimento per lo sviluppo economico dello Stato di New York. Ora ricopre lo stesso incarico in Pennsylvania. Dal 1993 è presidente di società di consulenza per lo sviluppo sostenibile di imprese e territori.
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ANALISI
IL MARKETING TERRITORIALE IN ITALIA
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110 ANNI DI ATTIVITÀ
RAGNI COSTRUZIONI Alla terza generazione e con più di un secolo di storia alle spalle, la Ragni Costruzioni è stata premiata dall’Ance. Tra le sue attività più significative si annoverano i restauri conservativi e i consolidamenti speciali di Andrea Giuliani
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l 24 dicembre 2011 è stata una data importante per la Ragni Costruzioni. L’azienda ha raggiunto il traguardo di centodieci anni di attività e di presenza sul territorio italiano. La prima pietra della sua lunga storia è stata posta dal nonno Alessandro Ragni che iniziò l’attività di costruttore nel 1901 costituendo a Bologna una delle prime imprese di costruzioni. Già allora attentissimo alle nuove tecnologie che si affacciavano alla ribalta dei primi del 900, iniziò da subito l’utilizzo dei calcestruzzi armati e realizzò una delle prime officine per la realizzazione di strutture in carpenteria metallica. Nel 1910, visti i risultati conseguiti, l’Impresa Ragni venne abilitata dall’allora autorità Prefettizia alla realizzazione di Lavori Pubblici e cominciò a misurarsi con cantieri di rilevanza i cui risultati sono visibili ancora oggi. Il figlio Natale, diplomato geometra ed entrato stabilmente in azienda alla fine degli eventi bellici, sentendo l’esigenza di approfondire le proprie conoscenze, si laureò in architettura nel 1946. Lo fece insieme a pochi altri, a Firenze, frequentando l’università di nascosto, per non dare dispiacere al padre che non reputava necessaria que-
AZIENDA STORY
sta scelta. All’epoca, intorno alla metà del secolo scorso, la Ragni Costruzioni contava già oltre un centinaio di dipendenti, costruiva in proprio e iniziava a edificare complessi per grandi committenze: ospedali, fabbriche, banche, sedi universitarie e restaurava edifici di rilevanza storica, chiese e campanili. L’intero processo produttivo viene realizzato, ora come allora, all’interno dell’azienda da sempre verticalizzata, attrezzata con mezzi propri, tecnici e personale altamente qualificato e in continua formazione sulle tematiche emergenti, depositi e officine in cui si sperimentano continuamente nuove tecnologie e in cui si realizza ciò che occorre, dalle strutture più complesse a modelli costruttivi, prototipi e prefabbricati; l’intero processo costruttivo viene gestito dall'inizio alla fine. È quanto sottolinea Alessandro Ragni, architetto, che, insieme alla sorella Daniela, ha ricevuto, dal padre Natale, il testimone della Ragni Costruzioni. Oltre un secolo di vita, tre generazioni con una passione comune e da tramandare: progettualità, tecnica ed estrema ricerca della qualità. L’architetto Ragni ci riceve nel suo ufficio in mezzo a faldoni di documenti, rotoli di
Sopra: autorizzazione ai lavori pubblici rilasciata all’Impresa Ragni nel 1910. Nella pagina a fianco: Alessandro Ragni, fondatore dell’azienda. Nelle due foto grandi: ieri e oggi a confronto. Una delle prime strutture in carpenteria metallica e una realizzazione tecnologicamente avanzata dei nostri giorni
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AZIENDA STORY progetti, pile di fascicoli e campioni di materiali appoggiati un po’ ovunque. Nel suo ufficio si respira un’aria di grande coinvolgimento e amore per il proprio lavoro. È forse per questo amore, oltre che per l’eredità delle esperienze e degli insegnamenti ricevuti nella scuola del cantiere, che l’architetto ci parla principalmente delle persone che hanno arricchito di un grande valore aggiunto la Ragni Costruzioni, uomini e donne che hanno lavorato e lavorano in modo coeso per affrontare le problematiche e raggiungere gli obiettivi sentendo l’azienda come propria. «Tutte le persone che hanno lavorato con noi sono rimaste in azienda oltre trent’anni e spesso sono stati inseriti i loro figli», spiega l'architetto Ragni. Tra questi anche Loriano Macchiavelli, oggi diventato uno scrittore molto conosciuto e che conobbe all’interno dell’azienda la ragazza diventata poi sua moglie. Ricorda Macchiavelli: «Assunto da qualche giorno e con poca esperienza di contabilità, stavamo andando in auto da Bologna a Faenza. L’architetto Natale mi portava in un cantiere dove avrei cominciato la contabilità dei lavori eseguiti. Arrivati, mi consegnò cordella e metro e mi disse: usali con onestà. Non contabilizzare un centimetro in più di quanto abbiamo eseguito. D’accordo? Annuii. Se ruberai per la nostra impresa, non mi farai un favore. Potrò solo pensare che saresti capace
di farlo anche a favore degli altri che lavorano per noi. Mi sono portato dietro la sua raccomandazione per tutto il periodo dedicato al lavoro nei cantieri. Ho cambiato mestiere e non misuro più scavi nei getti di calcestruzzo, ma ho continuato a rispettare quell’esortazione. Non l’ho mai più sentita fare da altri ai loro dipendenti». «Ci sono stati momenti - continua l’architetto Ragni - in cui i capi cantiere non erano solo maestri di lavoro ma anche di vita. I rapporti umani sono importanti, per noi fondamentali». Nella sua lunga storia, la Ragni Costruzioni ha avuto fino a 200 dipendenti. Oggi gestisce e coordina uffici di progettazione, officine di sperimentazione dei materiali, di esecuzione di carpenteria metallica, di verifica tecnologica di nuovi prodotti, di collaudo di modelli strutturali, di sperimentazione di prototipi costruttivi. Tra le attività più significative della Ragni, si annoverano sicuramente i restauri conservativi e i consolidamenti speciali. L'Azienda ha lavorato su molti recuperi di livello prestigioso, lo dimostra un lunghissimo curriculum, ed è fra le pochissime aziende in Italia in grado di eseguire lavori di consolidamento sui campanili. Si devono alla Ragni Costruzioni, a solo titolo
In alto: Remo Turrini, Mario Gieri, Gino Barilli. A destra: Natale Ragni, padre di Alessandro e Daniela, attualmente titolari dell’azienda. A sinistra: Loriano Macchiavelli, all’epoca contabile dell’Impresa Ragni
A sinistra: gli uomini che hanno contribuito alla crescita dell’azienda. Sopra: la costruzione della Manifattura tabacchi. Sotto: un biglietto da visita. In basso: il presidente dell’Ance consegna ad Alessandro Ragni il premio per i 110 anni di attività della Ragni Costruzioni
di esempio, i restauri di tutti gli edifici storici di Pieve di Cento. «Abbiamo restaurato - racconta l’architetto Ragni - il Teatro Comunale, il Palazzo del Comune, la Chiesa Collegiata, la scuola De Amicis, la Rocca e le Porte e abbiamo consolidato, oltre che restaurato, il campanile della chiesa Collegiata. A quest'ultimo lavoro è stato dedicato anche un libro». In questo nuovo millennio la Ragni Costruzioni, sensibile alle problematiche ambientali contemporanee, sta aprendosi verso nuovi settori di studio e ricerca, lavorando, in partnership interdisciplinari con studi professionali, associazioni no profit e Università, per realizzare ricerche mirate al recupero del patrimonio edilizio esistente in chiave tipologico-urbanistica, sismica ed energetica. Gli obiettivi delle ricerche in atto prevedono un'analisi approfondita di materiali, sistemi e processi costruttivi mirati, una successiva individuazione di percorsi pilota innovativi, sostenibili, riproducibili e trasferibili. La finalità ultima delle ricerche, aperte e in network con altre realtà dell'Unione Europea, è l'individuazione di processi costruttivi virtuosi e percorribili per il contenimento del consumo del territorio. L’azienda sta lavorando anche ad un altro importante progetto: sta sperimentando alcuni sistemi di costruzione in alta prefabbricazione, tali cioè da permettere di realizzare edifici antisismici e in classe energetica A, a costi contenuti. «Ponendo sempre massima attenzione - specifica Alessandro Ragni - all'architettura.
Quello che ci interessa è mantenere intatto o recuperare lo spirito artigianale del fare architettura, seguendo un'etica costruttiva che è la stessa che seguiva mio nonno, cento anni fa. Un'architettura pensata e agita come servizio al bene comune, come strumento per incidere positivamente sulla qualità della vita degli uomini e sul territorio. Questo è un metodo che sta alla base di ogni nostro lavoro, grande o piccolo; non importa chi sia il committente, non ci interessa costruire tanto per farlo. Il mestiere dell'architetto è fatto di ascolto delle persone oltreché dei luoghi e dei contesti. Bisogna capire i problemi e le esigenze di chi hai davanti per risolvere gli uni e assecondare le altre: questo significa lavorare con attenzione, con cura».
Alessandro Ragni condivide il destino di chi è nato in una famiglia di costruttori, sospeso tra la gratitudine verso il passato e una grande passione per la sperimentazione e per l'esplorazione del futuro. «Sono nato in una famiglia di costruttori e per questo ho una speciale riconoscenza per il cantiere in cui le cose sembrano nascere, quasi per magia, dal nulla. Costruire è una tra le più antiche scommesse dell’uomo, come lo sono la scoperta, la navigazione, la coltivazione dei campi. Per “costruire bene” bisogna imparare ad ascoltare. Spesso le voci di quelli che hanno più cose da dire sono discrete e sottili. Costruire edifici per le persone significa non solo creare dei manufatti, ma realizzare “luoghi” significativi, avamposti contro l’imbarbarimento. Per questo non basta fare, ma occorre fare con molta attenzione. Padroneggiare la tecnica, ma non dimenticare mai di essere all’interno di un sistema sociale e naturale molto delicato, rischiare ed essere sempre molto curiosi e aperti al futuro». Nell’ambito dell’iniziativa “L’impresa di costruire il Paese”, l’Ance, Associazione Nazionale Costruttori Edili, il 5 novembre scorso a Torino in occasione della celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia ha premiato la Ragni Costruzioni per i centodieci anni di attività. DESIGN + 77
MADE IN ITALY
Sopra: Wire chair, di Charles e Ray Eames, 1951. Produzione Vitra. Sotto: Stool 60, di Alvar Aalto, 1933. Sgabello impilabile, produzione Artek. Entrambi distribuiti alla fine degli anni Cinquanta su licenza della Herman Miller. A sinistra: Shaker rocking chair. Nella pagina a destra: Credence, di Xavier Lust, 2003. Un mobile-scultura nato dall’abilità di plasmare il metallo, prodotto artigianalmente in edizione limitata, numerata e firmata
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NEL SEGNO DEL DESIGN George Nelson e Charles Eames. E poi ancora Castiglioni e Magistretti. Sono alcune delle importanti collaborazioni che hanno costellato la storia di De Padova. Azienda leader che dalla guida di Maddalena passa ai figli Luca e Valeria di Cristiana Zappoli
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l grande impegno di Maddalena De Padova per la produzione e la diffusione del design costituisce un caso unico per coerenza e qualità nel nostro Paese. Dalla metà degli anni Cinquanta ad oggi, la sua ricerca rappresenta in modo esemplare la felice sintesi tra progetto, produzione e distribuzione. La sua profonda conoscenza del design scandinavo, americano e italiano, dovuta alla collaborazione con alcune tra le più grandi personalità del design mondiale come Arne Jacobsen, Charles Eames, George Nelson, Dieter Rams, Achille Castiglioni, Vico Magistretti, per citarne alcuni, unita alla sua instancabile volontà, ha fatto di De Padova un luogo di riferimento mondiale del design italiano». Con questa motivazione la giuria del Compasso d’Oro ha consegnato, nel 2004, il prestigioso Premio alla Carriera a Maddalena De Padova, fondatrice, insieme al marito Fernando, dell’azienda che ancora oggi porta il suo nome. In queste poche righe sono racchiuse l’essenza e l’anima di De Padova e della sua storia, un “romanzo” scritto inizialmente a quattro mani da Maddalena e dal marito e poi proseguito dalla sola Maddalena e che ancora oggi non è finito, grazie ai figli Luca e Valeria. È il 1956 quando Fernando e Maddalena cominciano la loro carriera imprenditoriale importando mobili e oggetti scandinavi che riven-
dono nello showroom di via Montenapoleone a Milano: è la prima volta che il design del nord Europa arriva in Italia. È Maddalena a scegliere gli oggetti e i mobili, come spiega lei stessa: «Sceglievo quello che mi piaceva, ero come fulminata da certi mobili, da quelle linee, dalla diversità. Avevo, credo, un senso estetico istintivo». La prima grande svolta avviene nel 1958 quando viene fondata la ICF De Padova che produrrà in Italia la più qualificata collezione americana di mobili per ufficio Hermann Miller ovviamente con la licenza dell’azienda americana. L’idea nasce da un incontro destinato a cambiare la storia di De Padova avvenuto l’anno prima, in occasione di un viaggio a Basilea: l’incontro fra Maddalena e la Wire Chair disegnata da Charles Eames proprio per Herman Miller. Maddalena si adopera fin da subito per riuscire a distribuire nel nostro Paese i prodotti disegnati da Eames, George Nelson e Alexander Girard. «L'incontro con i tre grandi del design americano - racconta Luca De Padova, figlio di Maddalena e Fernando - è avvenuto all'inizio solo indirettamente attraverso il contatto con Fehlbaum sr. di Vitra a Basilea. In seguito, per il fatto stesso di voler investire in Italia nella produzione dei loro progetti prodotti da Herman Miller, c'è stata la conoscenza diretta che è poi diventata un vero e proprio rapporto di amicizia
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MADE IN ITALY A sinistra: Maddalena De Padova. Sotto: Luca de Padova, AD dell’azienda. Nella pagina a fianco: Screen, di Achille Castiglioni, 1983 (fuori produzione). Paravento a schermi lamellari in alluminio con telaio estruso di alluminio nero
e di stima reciproca tra loro e i nostri genitori. Un tale sodalizio durato per circa 20 anni non poteva non dare dei frutti duraturi sui progetti e sulla cultura aziendale». Dai tre designer Maddalena riesce ad assorbire i concetti che avrebbero costituito per sempre il cuore della sua filosofia: l’importanza del contesto ambientale da George Nelson, le “connections” da Charles Eames, il ruolo degli oggetti da Alexander Girard. Da allora l’azienda milanese non ha mai smesso di legare il proprio nome a quello dei più importanti designer al mondo, contribuendo anche a scoprirne alcuni. Fin da quando viene inaugurato, nel 1965, lo showroom di Corso Venezia 14 diventa un trampolino di lancio per giovani designer emergenti, come Ingo Maurer, che presenta qui le sue prime lampade e i suoi primi oggetti. Nel negozio, infatti, vengono venduti non solo prodotti Herman Miller, ma anche mobili e complementi per la casa e per l’ufficio prodotti dalla ICF De Padova. Pochi anni dopo l’inaugurazione del negozio, Fernando viene a mancare e Maddalena continua ad occuparsi in prima persona dell’azienda, dell’attività produttiva come della distribuzione. È in questi anni che comincia la lunga collaborazione con Vico Magistretti, che di-
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venterà sempre più stretta negli anni Ottanta, quando Maddalena cede il marchio ICF con la licenza di produzione della Herman Miller e dà vita a una linea di mobili e oggetti a marchio De Padova: nascono le “Edizioni De Padova”, che poi diventeranno “è De Padova”, alle quali collaborano grandi designer come Achille Castiglioni e Dieter Rams, ma soprattutto Magistretti. La collezione “è De Padova” firmata da lui comprende pezzi che hanno fatto la storia del design come la sedia Marocca (1987), il tavolo Vidun (1987), la sedia Silver (1988), la sedia in vimini Uragano (1992), la sedia girevole Incisa (1992), il più recente tavolo Blossom (2002). «De Padova - spiega Luca De Padova - è un'azienda con caratteristiche del tutto uniche. Più che una collezione generalista è un mondo a sé, la sua storia lo dimostra; ha prodotto per esempio le famose connessioni tra prodotti di diversa radice/origine. E poi per l'entusiasmo nel trovare progetti validi e nel modo di coinvolgere i designer che rimane oggi come all’inizio, anche se nell'ambito di una ricerca allargata dei nomi giusti per l'azienda. Non più un solo nome, ma tanti nomi, ognuno col suo apporto particolare per l'arricchimento della collezione secondo le linee guida aziendali. Ma sarà anche sempre più presente la tendenza a valorizzare al meglio il capitale storico dell'azienda, il patrimonio dei prodotti di Vico Magistretti, Dieter Rams, Achille Castiglioni
La nuova collaborazione tra De Padova e lo spazio Simon a San Lazzaro di Savena è stata presentata l’11 novembre 2011, in occasione della serata dedicata ai festeggiamenti per i 50 anni di attività di Simon. Remo Muratori, a cui oggi è affidato lo showroom di San Lazzaro, ha lavorato per anni a fianco di Gavina e continua a dirigere questo spazio seguendo le sue orme e mantenendo inalterato lo spirito che da sempre ha animato questo luogo. Anche la collaborazione con l’azienda fondata da Maddalena De Padova e oggi guidata dai figli, Luca e Valeria, si inserisce in questo percorso: Dino Gavina, infatti, ebbe modo di lavorare con lei. L’edificio che ospita lo showroom a San Lazzaro ha una forte identità fin dagli anni '60, opera di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, luogo privilegiato per il design italiano. Simon nasce da un importante progetto scaturito dall'amicizia che ha sempre legato Maria Simoncini e Dino Gavina. Da qui sono passati i più grandi artisti, architetti e designer: da Lucio Fontana, che disegnava per Gavina, a Kazuhide Takahamam
architetto giapponese trasferitosi a Bologna: ancora adesso una sua scultura si trova all’ingresso dello showroom; Man Ray ha incontrato qui il pubblico italiano per la prima e unica volta. Uno spazio di 1600 mq da sempre utilizzato non solo per esporre prodotti commercializzabili, ma anche come luogo di mostre e happening culturali. Oggi lo showroom si è rinnovato nell’allestimento grazie al nuovo concept espositivo progettato dagli architetti Elena Brigi, Manuela Magnani e Enzo Cassarino, ed è basato sul numero cinque: cinque sono i colori, cinque i sensi e cinque sono gli spazi realizzati. Una sequenza di spazi dedicati alla messa in mostra di idee, tecnologie e oggetti.
innanzitutto». Nelle “Edizioni De Padova” prodotti tecnologicamente avanzati si mescolano ad oggetti della tradizione ed etnici. Tutto ciò che viene creato e distribuito dall’azienda milanese sembra essere sempre un passo avanti rispetto al panorama contemporaneo. Maddalena De Padova è, per esempio, la prima ad intuire l’importanza, nelle case moderne, delle pareti attrezzate con contenitori e librerie, così come è la prima ad ispirarsi ai modelli rigorosi e funzionali degli Shakers. Abilissimi artigiani costruttori di mobili, gli Shakers sono una comunità religiosa che vive nella regione statunitense del Maine. Il loro stile nasce dal concetto che la bellezza risiede nell’utilità. Quando, nel febbraio del 1984, De Padova inaugura la mostra dedicata alle loro realizzazioni, questa comunità è pressoché sconosciuta nel nostro Paese: «Fu un avvenimento che fece epoca», racconta Pierluigi Cerri, curatore della grafica della mostra. «Si scoprì un popolo sconosciuto e fu un evento che aggiunse credibilità a De Padova». Lo showroom di Corso Venezia diventa a tutti gli effetti un occhio spalancato su mondi lontani. La credibilità dell’azienda continua a crescere in maniera esponenziale, tanto che alla fine degli anni 90 inizia la collaborazione con Renzo Piano per l’arredo della caffetteria del Centre Georges Pompidou a Parigi, che continuerà poi con l’arredo del ristorante della Morgan Library a New York e della sede del Sole24Ore a Milano. Due anni dopo aver ricevuto il Compasso d’oro alla carriera, nel 2006, Maddalena De Padova festeggia, ancora alla guida dell’azienda, i 50 anni di attività con un libro e una mostra. Inizia da qui il graduale passaggio di consegne dell’attività di famiglia ai figli, Valeria e Luca, conclusosi nel 2009: «I nostri genitori – spiega Luca – hanno dato vita a questo preziosissimo progetto aziendale; mia sorella Valeria e io, che abbiamo la fortuna di partire da un’impresa già affermata, vogliamo contribuire a svilupparla e a diffonderne il nome». DESIGN + 81
A BOLOGNA SI PARLA DI ARCHITETTURA
Tante le iniziative promosse dall’Ordine degli Architetti di Bologna per il Saie 2011: mostre, premiazioni di concorsi, incontri e conferenze di Pier Giorgio Giannelli
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Nelle foto in alto e in basso: il Museo di Pitagora a Crotone, progettato dallo studio Office Building Research di Genova. È uno dei tre progetti selezionati dall’Ordine degli Architetti di Bologna a seguito di un censimento (nato in collaborazione con il sito Europaconcorsi e il C.N.A.P.P.C) delle architetture realizzate, grazie ad un concorso, negli ultimi dieci anni
al 5 all’8 di ottobre l’Ordine degli Architetti di Bologna è stato presente per la prima volta al SAIE con un proprio stand, che ha accolto il Modern Corner, una struttura mobile in legno, che da alcuni anni ne contraddistingue le uscite esterne. Per questa prima partecipazione l’Ordine ha voluto porre l’attenzione sui concorsi di architettura, attraverso la pubblicazione di un manifesto “LABELLARCHITETTURA”, che ha anche dato il nome allo stand, e l’esposizione di un censimento delle architetture realizzate, in Italia negli ultimi 10 anni, in seguito ad un concorso. Il censimento è stato realizzato in collaborazione con il sito Europaconcorsi e il C.N.A.P.P.C. chiamato “Come è andata a finire”. L’intento della mostra è stato quello di sfatare un facile luogo comune che vede nella mancata realizzazione delle opere un ostacolo allo sviluppo di un importante strumento quale il concorso. I riscontri 84 DESIGN +
sono stati piuttosto incoraggianti dal punto di vista numerico - 60 realizzazioni - e molto soddisfacenti da quello qualitativo: dove si è indetto e realizzato un concorso, infatti, si sono riscontrati livelli qualitativi eccellenti, senza il ricorso a firme particolari o fatturati di qualsiasi tipo. Tra i progetti pervenuti è stata fatta una prima selezione in base alla tipologia - competizione ad inviti o totalmente aperta - es-
sendo quest’ultima rispondente ai nostri desiderata; successivamente la selezione si è concentrata su tre progetti, gli autori dei quali sono stati invitati a raccontare la loro esperienza in un incontro che si è svolto il giorno 7 ottobre. Sono stati invitati Office Building Research di Genova, con il Museo di Pitagora a Crotone; MAP studio di Venezia, con il restauro di Porta Nuova all’Arsenale di Venezia; e lo Studio
CONCORSO INTERNAZIONALE DI IDEE “VERSO RURAL CITY” L’Ordine degli Architetti di Bologna, in occasione del seminario organizzato dalla Provincia di Bologna dal titolo “Dopo l'esplosione urbana - una nuova alleanza tra città e campagna”, che ha visto coinvolte sei Università (Universitat Politecnica de Catalunya, Institut d’Urbanisme de Grenoble, University “SS. Cyril and Methodius” of Skopje, Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Università di Bologna, Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena), tenutosi a Bologna dal 2 al 7 maggio, ha bandito un concorso internazionale online nel quale i professionisti sono stati chiamati a fornire i loro contributi per approfondire le problematiche connesse alla dispersione insediativa e al consumo di territorio agricolo, che sono causa di una compromissione dei paesaggi periurbani, ed effetti dello sviluppo della città occidentale contemporanea. Il bando in particolare recitava: “Il concorso mira a promuovere idee e suggestioni sui nuovi rapporti tra città e campagna. Ha lo scopo di raccogliere e mettere a confronto progetti, per ragionare su diversi approcci alle tematiche individuate. La strada implica di lavorare in due direzioni. Da un lato trovare la giusta misura per una ragionevole politica di densificazione urbana, in particolare delle aree periurbane, delle periferie a bassa e bassissima densità. Dall’atro lato è necessario sperimentare progetti per ri-valorizzare le aree agricole e rurali periurbane; progetti che sappiano attribuire nuovi valori etici, economici e sociali a questi territori. Bisogna, in altre parole, riuscire a dimostrare come gli spazi agricoli prossimi alle nostre città possano essere attivi e vivibili. Per raggiungere questi obiettivi è necessario offrire un’alternativa valida dentro la città compatta, che sappia generare condizioni di abitabilità, di comfort e di costo collettivo migliori di quelle offerte dalla città diffusa, tramite una politica di densificazione governata e selettiva, riferita solo ad alcuni punti sensibili delle città. Una nuova crescita ragionevole, alleata con un sistema agricolo valorizzato, che sappia dare risposte progredite alle esigenze contemporanee. Una neourbanità ecologicamente orientata, non organizzata attorno al conflitto con la campagna e ai suoi valori, ma socialmente matura per esserne parte attiva e determinante. Il concorso invita a presentare proposte che possono essere liberamente articolate attraverso il ricorso a disegni, fotografie, collage, visualizzazioni grafiche, promuovendo nuove idee di integrazione tra città e campagna, specificando una possibile visione verso Ruralcity”. Il concorso ha ottenuto il patrocinio del C.N.A.P.P.C., di Bologna Fiere, della Provincia e del Comune di Bologna e dalla Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena. La competizione, anonima e interamente online, è stata pubblicata il 18 maggio, con scadenza il 15 luglio. Come tutti i concorsi di questo tipo, sono stati richiesti pochi elaborati: due rappresentazioni in formato A3 più una relazione di 2mila battute, con un peso massimo del file da inviare pari a 5 mb. Alla data di scadenza sono stati 85 i progetti provenienti da varie parti d’Europa che sono stati prontamente inviati ai giurati. La giuria, composta da Aldo Cibic, Richard Ingersoll, Mario Cucinella, Alessandro Marata, Antonio Gentili, Giulia Manfredini, Alessandro Delpiano, Francesco Evangelisti, Giovanni Leoni, Antonella Grossi, si è riunita in seduta collegiale il 25 luglio e in quell’occasione ha deciso i vincitori.
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Primo premio - 2mila euro ALEKSANDRA BLAZHEVSKA (Macedonia)
Secondo premio - 1.500 euro GEMA MONTIEL BUSTOS (Madrid) capogruppo
membri del gruppo: Alicia Montiel Bustos (Madrid), Clara Villarejo Nieto (Madrid), Jaime Corral Madrigal Terzo premio - 1.000 euro AGOSTINO DI TOMMASO (Bologna) capogruppo membri del gruppo: Federico Scagliarini, Cristina Tartari, Matteo Buldini, Filena Di Tommaso, Alberto Danielli
REPORTAGE Altri due progetti, sempre selezionati dall’Ordine degli Architetti di Bologna. A destra: il restauro di Porta Nuova all’Arsenale di Venezia, realizzato dallo studio MAP. Sotto: la Scuola elementare di lingua tedesca di Vipiteno, progettata dallo Studio CEZ di Bolzano
CEZ di Bolzano, con la Scuola elementare di lingua tedesca di Vipiteno. Questi ultimi, purtroppo, non sono potuti intervenire, ma il loro progetto è stato illustrato dall’architetto Josef Putzer, che è stato invitato insieme all’architetto Stefania Saracino, entrambi dell’Ordine di Bolzano, anche per avere un loro contributo, essendo l’Alto Adige la regione che ricorre più spesso al concorso per le trasformazioni del proprio territorio. L’incontro ha messo in luce la grande qualità, la freschezza delle idee, le capacità tecniche e artistiche di assoluto livello, dei tre gruppi, nonché la grande opportunità che essi hanno saputo cogliere per una carriera di soddisfazioni professionali. Tutti gli altri progetti presentati sono stati esposti in modo sintetico, divisi per tipologia, sia su pannelli, sia attraverso una videoproiezione, dando modo così ai visitatori di rendersi conto che avere opere di qualità è possibile e che il concorso può esserne lo strumento. Coerentemente con lo spirito dello stand, l’interno del Modern Corner racchiudeva l’esposizione dei progetti premiati in occasione del Concorso on-line “Verso Rural City”, bandito dall’Ordine in collabora-
zione con la Provincia e il Comune di Bologna, Bologna Fiere e la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena. Nella giornata del 6 ottobre si è svolto un incontro tra i partecipanti e il Presidente della Giuria Aldo Cibic. L’Ordine è stato anche tra i promotori, insieme a Bologna Fiere, Pro-
vincia e Comune di Bologna, Ordine Ingegneri e IBC, del fuori salone del SAIE 2011, che ha organizzato nelle serate dal 4 all’8 ottobre una serie di incontri, mostre, conferenze che hanno coinvolto un pubblico numeroso, consentendo alla città di cogliere l’occasione non solo di parlare di architettura, qualità urbana e sostenibilità, ma anche di design, cinema e letteratura. Nell’ambito di SAIEOFF più di quaranta studi di progettazione hanno aperto le proprie porte, per far conoscere con quanto impegno, dedizione e qualità svolgono l’importante ruolo sociale che gli è stato assegnato. Ogni studio che ha aderito ha offerto un piccolo evento, dalla performance di artisti al semplice aperitivo, per testimoniare il proprio senso di appartenenza alla comunità. Questo numero zero di SAIEOFF si è rivelato un’interessante esperienza, volta a far comprendere come una serie di soggetti diversi per vocazione, formazione e ruolo, possano collaborare orizzontalmente, senza vincoli gerarchici, e riuscire a fare sistema.
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LE DIVERSE ANIME DI EMILIO NANNI
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a galleria Art To Design di Bologna, in occasione di OFF – Bologna, Arte Fiera 2012, presenta “Sign²” di Emilio Nanni a cura di Fabriano Fabbri. Artista, architetto e designer, Emilio Nanni per la prima volta combina, in una sorta di “percorso ideale”, una selezione di prodotti tra i più significativi della sua attività di designer, dal 1985 al 2012, creati per le più conosciute aziende italiane di design, fra cui: Zanotta, Varaschin, Tonon, Tonelli, Synonymha, Roche Bobois, Lamm, Guzzini, Cattelan Italia, Calligaris, Billiani, a quella di artista, presentando l’ultimo periodo della sua ricerca incentrata sul segno. Laureato in architettura a Firenze nel 1984 dove ha svolto attività didattica dal 1990 al 1998, Nanni ha fondato nel 1986 lo studio Emilio Nanni arch+design | ENa+d | che si occupa di progettazione d'interni, architettura, design, direzione artistica e consulenza all’immagine. Ha realizzato interventi a varia scala di architettura residenziale, progettazioni e allestimenti museali in diverse città italiane. Ha partecipato a numerose mostre e rassegne dedicate al design e ha ottenuto vari premi e riconoscimenti per la sua attività. Art to Design è una galleria dal carattere trasversale, che riflette e unisce il background culturale e lavorativo dei suoi fondatori, Nicolò Riguzzi e Alessandro
Betocchi, diventando un importante punto d’incontro di artisti e designer di tutto il mondo, una galleria studio-contenitore che ricerca e seleziona autori che si muovono in quel crinale multidisciplinare, appunto fra arte e design, come Riccardo Schweizer, Richard Lauret, Fabio Rotella. Spazio ideale, quindi, per proporre in contemporanea l’ultima ricerca artistica e l’attività di designer di Emilio Nanni che ha sempre tenuto separati i due ambiti e che trova ora nel “segno” il trade-d’union per saldare le due “anime“ e nello spazio di Art to Design la situazione ottimale per presentarsi compiutamente. Il segno netto e raffinato, che contraddistingue il lavoro di designer e quello grafico e netto tracciato prevalentemente dalla bic nera - che diventa corpo/immagine attraverso il gesto controllato nella ripetizione ossessiva del segno - sono la specificità della ricerca sul segno tout court di Nanni. Saranno inoltre presentati, in anteprima, i nuovi prodotti disegnati per Bosa, Billiani e Laboratorio Pesar.
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Emilio Nanni. Sign2 Art to Design (fino al 17 marzo 2012)
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MOSTRE
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Architetture del terzo millennio RE-CYCLE è la grande mostra che il MAXXI Architettura dedica all’architettura del terzo millennio e ai suoi autori più innovativi. In mostra al MAXXI (nella piazza esterna, al piano terra e nelle gallerie del primo piano) ci sono oltre 80 opere tra disegni, modelli, progetti di architettura, urbanistica e paesaggio, in dialogo continuo con opere di artisti, designer, video maker, con ampi sconfinamenti verso produzioni musicali e televisive. La mostra si espande all’esterno del museo con due installazioni site specific: il progetto Maloca dei designer brasiliani Fernando e Humberto Campana e il padiglione officina roma in materiale riciclato del collettivo tedesco raumlaborberlin, entrambi realizzati “in diretta” nei giorni precedenti l’inaugurazione. Nella sala Carlo Scarpa, al piano terra, la mostra fotografica Permanent Error di Pieter Hugo (vincitore del World Press Photo 2006): 27 scatti che raccontano attraverso ritratti inquietanti 90 DESIGN +
un’apocalittica, enorme discarica tecnologica in Ghana. “RE-CYCLE afferma Margherita Guccione - è innanzitutto una ricerca condotta dal MAXXI Architettura sui più rilevanti temi della contemporaneità, legati allo spazio costruito e al paesaggio. Dopo le grandi mostre monografiche e sulla collezione e i progetti site-specific, con RE-CYCLE, una mostra interamente dedicata agli aspetti internazionalmente più avanzati della cultura architettonica e visiva, il museo completa un primo giro di sguardo complessivo sul paesaggio architettonico contemporaneo”. L’esposizione comprende sia progetti recentissimi, prodotti in “tempo reale” dalla nuova sensibilità ambientale che pervade il lavoro dei progettisti, sia esempi più consolidati o perfino storici, a testimoniare che il riciclo è una pratica connaturata al mestiere del progettista e dell’artista. Tra i “pezzi” più noti e spettacolari esposti in mostra si segnalano:
il plastico originale del progetto della High Line di New York, il disegno di Peter Eisenman per Cannaregio a Venezia, quelli di Superstudio sulla sopraelevazione del Colosseo, le immagini del Palais de Tokyo, a Parigi, di Lacaton & Vassal e del Wagristoratore di Pietro Portaluppi in Val Formazza (Verbania), il modello dei Tunnel di Trento, trasformato in museo da Elisabetta Terragni e le foto del progetto di James Corner che trasforma una discarica in parco, a Staten Island, i video con i riciclaggi di opere dismesse di Frank O. Gehry e Venturi, Scott Brown and Associates. Tra i ricicli “più creativi”, la parete in bottiglie riciclate in PET con cui Miniwiz ha interamente rivestito il padiglione EcoARK a Taipei. ROMA - RE – CYCLE. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta MAXXI (Fino al 29 aprile 2012)
Curata da Flavio Albanese, la rassegna, organizzata in collaborazione con la Fondazione Architettura Alto Adige e il Südtiroler Künstlerbund (Unione Artisti Altoatesini), creerà un focus critico intorno a un movimento architettonico vivace e innovativo, attraverso 36 opere realizzate, negli ultimi sei anni, dalla più recente architettura altoatesina e, catalogandone altre 47, sarà in grado di comprendere quasi tutti i tipi di intervento edilizio. I progetti sono stati selezionati, tra gli oltre 280 proposti a Merano Arte, da una giuria internazionale, composta da Flavio Albanese, architetto e direttore di DOMUS dal 2007 al 2010, Wolfgang Bachmann (D), caporedattore del mensile tedesco di architettura BAUMEISTER, Bettina Schlorhaufen (A), assistente all’Istituto di Architettura di Innsbruck alla cattedra di Teoria dell’architettura, Annette Spiro (CH), professoressa di Architettura e Costruzioni all’Università di Zurigo ETH e Vasa Perovic
(SI), architetto. L’iniziativa, che chiude idealmente il discorso iniziato con la precedente edizione del 2006 che copriva un arco cronologico tra il 2000 e il 2006, si caratterizza per un’attenzione più sensibile ai temi dell’attualità, come la provvisorietà, la narratività, oltre alla ridefinizione contemporanea dell’idea di paesaggio. I giurati hanno attribuito valore al non appariscente, a ciò che si mimetizza, alla "nuova edilizia nel contesto", al genio locale, ovvero a interventi costruttivi semplici ma di elevata qualità. Il fatto che possa essere rappresentata anche la generazione più recente con le cosiddette opere prime, sarà di sprone e speranza per il futuro, entrando in relazione in modo prudente con il paesaggio, la topografia e le costruzioni esistenti, e questo non solo nell'architettura, ma anche negli edifici tecnici e nella progettazione degli spazi aperti. È concepita come un evento itinerante digitale. Il percorso espositivo si snoderà seguendo tre
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Nuova edilizia altoatesina
distinti argomenti, come la Valorizzazione del contemporaneo, la Definizione di un nuovo "codice paesaggistico" e i Progetti particolarmente innovativi e sperimentali e "opere prime". Nel primo caso si metteranno in evidenza i progetti che sono riusciti a creare un dialogo con il contesto locale, sapendosi anche confrontare con le tendenze e gli sviluppi globali, e che hanno saputo rispondere a esigenze e problemi contemporanei. Nel secondo, si guarderà al paesaggio, con lo scopo di ripensare radicalmente gli obiettivi di sostenibilità ecologica e le loro conseguenze. La terza sezione si concentrerà su progetti di diversa natura e grandezza, anche d’interno, per agevolare la partecipazione di architetti giovani. MERANO
Architetture recenti in Alto Adige 2006-2012 Merano Arte (dall’11 febbraio al 6 maggio 2012)
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ROVIGO Il divisionismo. La luce del moderno Palazzo Riverella (dal 25 febbraio al 24 giugno 2012)
È stata una delle più emozionanti stagioni dell’arte italiana negli ultimi secoli e ora, finalmente, una grande mostra la ripropone, con un taglio nuovo e con una scelta perfetta di opere. Il periodo che questa mostra illumina è quello tra il 1890 e l’indomani della Grande Guerra. Negli anni in cui in Francia Signac e Seraut “punteggiano” il Neo Impressionismo, anche in Italia diversi artisti si confrontano con l’uso "diviso" dei colori complementari. E lo fanno con assoluta originalità. È, come afferma il sottotitolo della mostra, la luce del moderno che essi così magistralmente creano e interpretano.
RAVENNA Caravaggio, Courbet, Giacometti, Bacon, miseria e splendore della carne - MAR (dal 12 febbraio al 17 giugno 2012)
Pittore, drammaturgo, giornalista ma soprattutto storico e critico d’arte, Giovanni Testori si è distinto per la sua lontananza da facili compromessi, per il coraggio di scegliere strade anche impervie perché distanti da quelle “maestre” dell’ufficialità. Il percorso della mostra si articolerà in diverse sezioni dedicate ai vari periodi della storia dell’arte studiati dal critico milanese e agli artisti da lui amati, a partire dai suoi primi scritti su Manzù, Matisse, Morlotti, poi i francesi Courbet e Géricault; dagli approfondimenti e le riscoperte sulla linea della pittura di realtà in Lombardia del ‘500 e del ‘600, i “manieristi” lombardo piemontesi accompagnati da Caravaggio, sua grande passione dichiarata. CONEGLIANO (TV) Bernardo Belletto Palazzo Sarcinelli (fino al 15 aprile 2012)
L’esposizione, curata da Dario Succi, ripercorrerà, attraverso 70 opere, l’intera avventura artistica di uno dei massimi esponenti del vedutismo veneziano, capace di sfruttare genialmente le scoperte e le conquiste tecniche dello zio Antonio Canal detto Canaletto, nella cui bottega Bellotto entrò come apprendista nel 1736. L’itinerario artistico di Bernardo Bellotto sarà scandito attraverso le tappe fondamentali della sua carriera, dalle vedute di Venezia e delle città italiane – Firenze, Roma, Milano, Torino – a quelle delle capitali europee: Dresda, Vienna, Varsavia. Una particolare attenzione sarà dedicata alla sezione riservata all’attività incisoria, ponendo a confronto i dipinti e le straordinarie acqueforti di cui Bellotto fu uno dei massimi maestri del tempo.
AGENDA
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ROMA Ludovico Quaroni. Disegni e Schizzi per San Giuliano alle Barene a Mestre - MAXXI (fino al 26 febbraio 2012)
Dopo Matera e Arezzo, il MAXXI di Roma ospita una mostra che per la prima volta presenta più di trentacinque disegni ed il plastico originale del progetto per il quartiere di San Giuliano alle Barene a Mestre, realizzato nel 1958 in occasione del concorso promosso dal Comitato di Coordinamento dell’Edilizia Popolare per un insediamento pilota su un’area di bordo della laguna veneta. In mostra una selezione significativa di disegni e schizzi di un piccolo ma cruciale tesoro dell’architettura italiana del XX secolo. Il percorso espositivo introduce il visitatore a una prima conoscenza dell’opera di Quaroni, per avvicinare un pubblico più vasto a un autore non sufficientemente indagato negli ultimi anni e per mostrare l’incredibile ricchezza figurativa, di esperienze e di letture del gruppo di progettisti che nel 1958 collaborarono con lui. PASSARIANO DI CODROIPO (UDINE) Espressionismo Villa Manin (fino al 4 marzo 2012)
Per la prima volta in Italia un’esposizione, curata da Magdalena M. Moeller e Marco Goldin e forte di oltre 100 opere tra dipinti e carte, tutte provenienti dal berlinese Brücke Museum, racconta in modo preciso, secondo una scansione cronologica ma anche procedendo per aree quasi monografche, da Kirchner a Heckel, da Nolde a chmidt-Rottluf, da Pechstein a Mueller, la nascita e lo sviluppo del movimento denominato “Die Brücke”, la pietra fondante dell’Espressionismo. L’obiettivo del movimento “Die Brücke” era quello di tradurre nell’opera gli oggetti percepiti “in modo diretto e senza falsifcazioni”, svincolati da qualsivoglia convenzione accademica. CENTO (FE) Il fascino della terracotta Pinacoteca Civica (fino all’11 marzo 2012)
La mostra ha un duplice scopo: da un lato riscoprire e valorizzare la figura di Cesare Tiazzi, scultore centese di talento, attivo nella seconda metà del Settecento e meritevole oggi di una rinnovata attenzione; dall’altro di approfondire la conoscenza del vasto e mai abbastanza indagato universo della scultura in terracotta tra Cento e Bologna. L’attività di Cesare Tiazzi si svolse prevalentemente a Cento, ma le sue opere e la sua formazione artistica risentirono indubbiamente del linguaggio elaborato dagli scultori bolognesi, maestri nella lavorazione della terracotta, materiale che Tiazzi predilesse e seppe lavorare con sapiente espressività. Ecco perché accanto alle opere dell’artista saranno esposte sculture in terracotta, molte delle quali inedite, dei maggiori scultori bolognesi tra Sette e Ottocento.
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GRADISCA D’ISONZO (GO) Liliana Cossovel. Sincerely Yours - Galleria Regionale d’Arte Contemporanea Luigi Spazzapan (fino all’11 marzo 2012)
Rassegna dedicata a Liliana Cossovel, artista goriziana che ha sempre operato all’insegna dell’avanguardia, impegnandosi in una ricerca viva, incessantemente in movimento e rivolta a futuro. Composta prevalentemente da opere pittoriche se non per qualche sconfinamento nella grafica, la mostra si compone di 63 lavori che ripercorrono l’itinerario artistico della Cossovel, dalle prime esperienze veneziane fino alla produzione più matura. Curata da Annalia Delneri, Conservatore della Galleria, la mostra intende dare la giusta collocazione nel panorama dell’arte regionale all’opera di Liliana Cossevol.
PRATO Nicola De Maria. I miei dipinti s’inchinano a Dio
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (fino al 4 marzo 2012)
La personale di Nicola De Maria, proposta in occasione del progetto Transavanguardia italiana a cura di Achille Bonito Oliva, è concepita come un’antologica incentrata sul lavoro degli anni Novanta e Duemila, in continuità con la sua presenza nella mostra storica della Transavanguardia presso Palazzo Reale a Milano. Tuttavia alcune incursioni negli anni Ottanta serviranno a testimoniare, come veri e propri contrappunti musicali, che la sua pittura è sempre impregnata del flusso cromatico e degli originari nuclei poetici che da sempre la ispirano. Le opere saranno allestite secondo un percorso non cronologico e la mostra seguirà una linea narrativa che va dalla musica alla poesia, dal pensiero al colore, dalla materia al cosmo. BOLOGNA Tommaso Ottieri Galleria Forni (dal 22 gennaio al 5 marzo 2012)
Il filo conduttore della ricerca di Ottieri, nonché il tema della mostra, è da sempre la città che l’autore ama rappresentare servendosi del monocromo, utilizzando quindi un unico colore sfumandolo dalle tonalità più sature a quelle più trasparenti. Un viale di Madrid totalmente blu, alberi compresi, oppure una visione aerea di Hong Kong ove tutto è magenta, anche il cielo, o ancora il centro di Roma completamente giallo... non è certo casuale la scelta del colore ma senz’altro di secondaria importanza, sebbene sia la prima cosa che ci colpisce, e anche con una certa violenza. Uno sguardo più attento svela luminosità, contrasti, volumi, prospettive e asimmetrie che anche in assenza del colore si imporrebbero con grande forza.
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PIACENZA Stefano Bruzzi. La poetica della neve Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi (fino al 19 febbraio 2012)
Stefano Bruzzi (Piacenza, 1835 -1911) visse e operò lungamente a Firenze a stretto contatto con la cerchia dei macchiaioli, condividendo l’anelito verso una nuova pittura di rappresentazione della realtà. Fu artista di fondamentale importanza, in particolare tra gli anni 50 e 60 del XIX secolo, per l’incisivo contributo alla nascita della nuova pittura del vero. Ignorato anche dalla critica più attenta, forse perché visse sempre un poco appartato, Bruzzi sviluppò una poetica della natura tra le più alte del secondo 800 italiano, indissolubilmente connessa al paesaggio dell’Appennino piacentino. In questi luoghi l’artista compose un vero e proprio poema pastorale di commovente complessità, nel quale il trascorrere delle stagioni nel silenzio degli spazi larghi e profondi è reso con un sentimento sacrale della natura.
ANDROS, già presente sul mercato dell’isolamento acustico da 7 anni, si è sempre distinta per la quantità e la qualità dei servizi nell’isolamento acustico in edilizia: progettazione acustica, fornitura e posa di isolanti, collaudi con rilascio dei rapporti di prova legittimi con la garanzia del raggiungimento dei parametri di legge. ANDROS, per mantenere lo standard del know-how a livelli superiori alla concorrenza, dopo due anni di ricerca ha concluso il progetto PANISOL. Già presentato al SAIE 2010, è il primo prodotto P35F che ha ricevuto il premio unico di sezione SAIE UNA VETRINA SUL FUTURO “Recupero: le specificità di lavorare sul vecchio”. Nel 2011 collocava finalmente sul mercato tutta la linea con importanti novità sulla resistenza meccanica dell’isolante. INFORMAZIONI SUL SITO
REGGIO EMILIA Andrea Büttner - The Poverty of Riches Collezione Maramotti (fino al 29 aprile 2012)
La Collezione Maramotti presenta il nuovo progetto di Andrea Büttner, vincitrice della terza edizione del premio Max Mara Art Prize for Women in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra. Durante il periodo di residenza in Italia, la Büttner ha vissuto per qualche tempo insieme ad alcune comunità religiose, si è accostata agli affreschi di Giotto e ad alcune opere appartenenti alla Collezione Maramotti: Alberto Burri, Enrico Castellani e Piero Manzoni. Le opere prodotte per la mostra sottolineano i focus della ricerca artistica di Büttner, tesa a esplorare gli intrecci tra religione e arte e le affinità tra comunità religiose e mondo dell'arte.
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NAPOLI Fausto Melotti Museo MADRE (fino al 9 aprile 2012)
Riconosciuto da tempo, sia a livello nazionale che internazionale, come i suoi contemporanei Alexander Calder, Alberto Giacometti, Louise Bourgeois e Lucio Fontana, quale figura chiave nell’ambito della scultura moderna e contemporanea, Melotti si è contraddistinto per essere stato, sin dagli inizi degli anni trenta, tra i più significativi protagonisti del rinnovamento e dello sviluppo del linguaggio plastico e materico. Seppure incentrata prevalentemente sulle sculture e i bassorilievi, l’esposizione al MADRE, fornirà l’occasione per una lettura approfondita e analitica della complessa figura di Melotti contraddistintosi per la particolare versatilità linguistica che gli ha permesso di attraversare i diversi campi della pittura, della scultura, della ceramica, della poesia, del disegno e della musica.
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GRANDI MAESTRI
L’ARTE E LA MODA
SECONDO LUCCHINI «Spesso l’arte ispira la moda, e l’arte stessa è diventata un fenomeno di moda». A parlare è Flavio Lucchini, art-director di grandi testate e scultore. Le sue opere indagano l’abito come espressione sociale di Mercedes Caleffi
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oda e arte. Due realtà differenti? Due mondi collegati? Un mondo unico? Colori, luci e ombre modulanti tra loro ne fanno parte, ma a voler cercare un legame certo, immediato, e mediato anche dai secoli di storia, non si può non pensare al corpo umano. Il corpo visto come estensione del vissuto e della personalità di ognuno di noi. Specchio del proprio animo e delle proiezioni altrui. Il corpo vestito e usato come elemento di collegamento e di comunicazione tra pensieri diversi, progetti, aspettative e differenze sociali. Il corpo, l’oggetto tridimensionale e transizionale del mondo della moda, di quel mondo che cerca la perfezione.Una perfezione caduca che Flavio Lucchini, dopo anni impegnati per la creazione stessa di ciò che oggi è l’idea di moda, ha abbandonato per crearla e cercarla sempiterna, duratura, e definitiva nel mondo della scultura. Domanda. Lei che è stato l’art director di Vogue Italia e non solo e ha fondato nel 2000 Superstudio Più, il polo per eccellenza della moda italiana, quando e perché ha sentito l’esigenza di passare dal mondo patinato e bidimensionale al mondo scultoreo, materico e tridimensionale? Risposta. Ho vissuto il periodo eroico della moda, quando è stata complice del cambiamento sociale e culturale della seconda metà del Novecento. La moda non è il vestito che cambia con le stagioni. La moda è un fenomeno culturale che tocca il singolo individuo come le masse, che incide profondamente sulla società partecipando ai comportamenti etici ed estetici. L’arte contemporanea è un altro modo di testimoniare quello che succede intorno a noi, la continua evoluzione, utilizzando ogni mezzo, dall’architettura al cinema, dalla scultura al teatro alla musica al digitale alla fotografia eccetera. Per me, a un certo punto della mia vita, è arrivato il momento di passare da un’espressione all’altra, dando corpo direttamente alla passione per l’arte che avevo sempre coltivato.
Flavio Lucchini, art director e scultore di origini mantovane. Quest’anno ha partecipato alla Biennale di Venezia, al Padiglione Italia, curato da Vittorio Sgarbi, con l’opera “Next Prada?”. A destra, in senso orario: “Dress Toys”, sculture in gesso o resina colorate, 1992. “Haute Couture”, scultura in fibra e resina bianca, 2001. “Dress Memory”, bassorilievo in gesso, 2005. ”Dress Totem”, scultura in gesso opaco, 2001
GRANDI MAESTRI D. Come è nato Flavio Lucchini con la sua sensibilità per il mondo della moda, sia essa fatta di tessuto o di carta patinata, e ancora di materiali inusuali quali il ferro, il bronzo, la resina o il legno? R. Io ho vissuto la moda, in ogni momento, come testimonianza e specchio della vita contemporanea. Un interesse che ho avuto da sempre, fin da quando, giovanissimo, mi sono trovato per breve tempo a disegnare foulard o, in seguito, ad occuparmi di grafica, pubblicità, poi editoria. Il mio primo giornale è stato un giornale di moda, Fantasia, poi Amica, Vogue, Donna, Moda e tutti gli altri. Quando ho fatto “il pieno”, passare dalla moda “stampata” all’arte è stato naturale. Anzi, l’arte mi ha consentito più libertà e nessun condizionamento. D. L’arte, la moda e la carta patinata. È questo il suo mondo. Quale fil rouge secondo lei lega questi tre mondi? R . L’arte e la moda sono molto connesse. Spesso l’arte ispira la moda, e l’arte stessa è diventata un fenomeno di moda. Mentre la moda è sempre più condizionata dal marketing, è l’arte contemporanea, che è libera da schemi preconcetti e obblighi di mercato, a sorprendere, emozionare, sollecitare la curiosità e la fantasia del pubblico. La carta patinata è un mezzo di comunicazione al servizio di entrambe, come lo sono la tv o il computer. D. Le sue opere, rivisitazione di ciò che è l’abito femminile, sembrano nascere da una rielaborazione avanguardista, classica, archetipica e atavica. Una ricerca che dal mondo della grafica ha traSopra: “Gran Sera”, in fibra e resina bianca, 2000. Sotto: “Dress Totem”, in polistirolo ricoperte di gesso, 2001. A destra: “Dress Totem”, in corten, 2000. La ricerca di Lucchini si muove tra sacro e profano, con una rivisitazione digitale di opere a tema religioso del passato contaminate dai comportamenti di oggi
sportato nella scultura. La tridimensionalità cosa ha aggiunto alla sua ricerca? R . La tridimensionalità mi ha permesso di fissare per sempre un vestito, di valorizzarne il “contenuto”, isolarne l’essenza e farlo diventare un simbolo. La libertà dell’artista mi permette di vedere l’abito con gli occhi dell’avanguardia, o del passato, fino ai primitivi e di rielaborarlo a modo mio. D. Quale significato o valore ha per lei un abito? R. La persona non esiste senza l’abito. Con l’abito l’individuo comunica se stesso. La società si diversifica con l’abito. Le religioni si esprimono con l’abito. L’abito è una scelta culturale. L’abito racconta anche lo stato d’animo. L’abito è molto, molto di più di quello che sembra. D. Lei ha lavorato e conosciuto grandi personaggi dell’arte, dell’architettura, del design oltre che della moda e della grafica. Cosa le hanno lasciato. Cosa porta di tutti loro nella sua arte? R. È vero, ho conosciuto molti grandi personaggi del mondo dell’arte, dell’architettura, della moda e del design. Ma con i mezzi di comunicazione di oggi sono noti a tutti come fossero vicini di casa. Da tutti ho imparato qualche cosa, anche ad avere dei dubbi. D. Nelle sue diverse trasposizioni dell’archetipo di abito femminile lei ha spesso cambiato materiale. Cosa guida la sua scelta? R. I materiali che utilizza un artista sono per lui tutti affascinanti. Il desiderio forte di esprimere quello che sente determina la scelta. Oggi i materiali sono infiniti. Il tempo della plastilina è un ricordo lontano. D. La sua arte celebra l’abito ma anche il corpo. Il corpo sapien98 DESIGN +
temente modellato e avvolto da suadenti panneggi. Un corpo che lei ha anche messo in relazione con la città. Quale rapporto crede che l’arte debba avere con il tessuto urbano? R. L’arte e la città è un tema interessante da sviluppare. Nelle città ci sono monumenti spesso solo commemorativi. L’arte contemporanea non dovrebbe finire solo nei musei o nelle case dei collezionisti. Dovrebbe essere esposta nelle piazze e nei giardini. Ma non per sempre, come si faceva nel passato. Dovrebbe essere sostituita a rotazione, lasciando il posto a nuove opere, nuovi artisti, nuove emozioni. Così la conoscenza dell’arte diventerebbe più accessibile, più popolare. D. Alcune sue opere “vivono” nel verde. Che legame esiste tra la divinizzazione della figura femminile e la natura? R. Il vestito può far sognare e dimenticare, per un attimo, le noie della vita. La scultura di un vestito in un giardino è un binomio perfetto per una visione idealizzata dell’abito, portandoti a riflettere con calma su tutti i suoi significati. D. L’arte e l’architettura sono sempre più legate. Flavio Lucchini, sia nella sua natura di grafico, sia in quella di scultore, sia come giovane studente d’architettura a Venezia, che rapporto ha o ha avuto con la città e con l’architettura contemporanea?
R. Oggi le star dell’architettura sono dei grandi artisti, dei grandi scultori. Vogliono lasciare il loro segno, essere tutti come Michelangelo. Finito il periodo del razionalismo vogliono imprimere la loro visione nel tessuto urbano e “firmare” in modo evidente le loro opere. Io resto incantato davanti a tanto coraggio. D. Che emozioni ha provato quando, in alcune sue opere, ha smontato e rimontato le geometrie della moda come se fossero giocattoli per bambini? R. Anche Picasso ha detto che è difficile tornare bambini per fare arte. I giocattoli sono pieni di fantasia e di poesia. I miei lavori con i vestiti fatti di tanti cubetti colorati e irregolari vogliono essere ironici e, perché no, grandi e maestosi come li vedono i bambini. D. Molti riconoscono in lei l’ideatore della comunicazione del design e della moda italiana nel mondo, nonché lo scopritore di molti talenti. Ma chi sostiene e supporta Flavio Lucchini nei suoi lavori e nella sua voglia di cambiare? R. Come capita spesso esistono le coppie di successo. Nella moda, nell’arte, nell’architettura, nella scienza e via dicendo. Ecco, anche a me è capitato di far coppia con Gisella, mia moglie, instancabile ed entusiasta non solo del mio lavoro ma anche di questo mondo fatto da tanti creativi fanatici e straordinari.
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FORME & PENSIERI
Francesco Jodice: Untitled (Napoli) 1998 © Francesco Jodice. Courtesy of the artist and Brancolini Grimaldi, London / Rome
POLISEMIA DEL PAESAGGIO
Gabriele Basilico: Genova 1997 © Gabriele Basilico. Courtesy Gabriele Basilico and Photo & Co. Turin, Italy
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Luigi Ghirri: Venezia, 1987 Eredi di Luigi Ghirri
Ha stimolato la nascita di generi letterari e pittorici. Miti e convenzioni. Il paesaggio - secondo Franco Zagari - è un insieme di saperi. Un contesto nel quale si evidenziano i caratteri rappresentativi dei nostri valori di Mercedes Caleffi
Olivo Barbieri: Noto Siracusa 1989 Š Olivo Barbieri. Courtesy Olivo Barbieri, Brancolini Grimaldi London / Rome
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FORME & PENSIERI
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osa può essere considerato paesaggio? La città è anche paesaggio? O è solo paesaggio ciò che è natura, magari incontaminata? Ma che rapporto si crea tra l’uomo e l’ambiente, tra la città e le attività stesse che vi si svolgono, tra l’abitato e il contesto agrario? È anche tutto questo paesaggio? Un paesaggio allora può essere simbiotico e di contro essere legato a un’impermeabile causalità e/o casualità. È difficile da descrivere, da cogliere, come concetto. È vario, non è unico e forse neanche biunivoco. È fatto di rapporti che cambiano da contesto a contesto, da luogo a luogo, che dipendono dalla storia, dalla vita di chi vi vive e quindi dai rapporti sociali e anche economici. Con il supporto di immagini fotografiche sicuramente è più facile coglierne le sfaccettature o sfumature perché la fotografia del paesaggio stesso ne coglie e ne blocca le peculiarità. Ne offre una lettura statica, documentaristica, adatta quasi sempre alla preparazione progettuale. A quella progettazione completa, e non contestuale, ad ampio raggio e non puntuale, di sistema e non di zona, completa, che oggi è inusuale ed è forse anche considerata costosa, datata e anacronistica, la cui mancanza però incomincia a percepirsi oramai in modo quasi macroscopico su tutto il territorio nazionale. Franco Zagari (nella foto in alto), docente universitario, architetto e paesaggista, con cui abbiamo affrontato il tema del rapporto tra architettura e paesaggio, ci spiega che «il termine “paesaggio” è polisemico, non è architettura, non è urbanistica, non è agronomia, non è ecologia, non è geografia, semiotica, ingegneria … ed è tutto ciò allo stesso tempo». Domanda. Per un architetto il termine paesaggio quanti diversi mondi può rappresentare? Risposta. Per un architetto i paesaggi sono i contesti nei quali interviene con una sua opera, per un paesaggista è piuttosto un sistema di caratteri e di relazioni da tutelare, gestire e valorizzare. Il paesaggio è proprio l’incontro di molti mondi, di diversi saperi che concorrono per analizzare e interpretare una realtà che è sempre
molto complessa, indifferentemente dalla sua dimensione, dai diversi attori, abitanti, visitatori o forza economica e sociale che ne è partecipe e responsabile. Ci si chiede se vi sia la capacità di convergere di tante discipline diverse su obiettivi comuni condivisi che non limitino la ricchezza semantica e il radicamento sociale del paesaggio, sapendo però che vi è almeno una domanda che è certamente sbagliata: chi debba dirigere il progetto di paesaggio. D. Leggere o progettare il paesaggio richiede una logica analitica e compositiva lontana dalla staticità. Qual è il giusto approccio? R. Domanda ben posta. Nel corso di molti secoli osservare il paesaggio ha determinato un genere letterario e pittorico, generi nutriti di miti e di convenzioni. Il nostro modo di vedere, di ricordare e rappresentare cambia. Allo stesso modo, come è sempre stato, osservare un paesaggio contiene in sé già anche l’intenzione di un’azione progettuale. Il fatto è che oggi l’azione di progettareosservare fa riferimento a una realtà psicologicamente e fisicamente discontinua, lontana dalla staticità. Una delle condizioni perché un progetto di paesaggio possa svolgersi nel modo migliore è che i momenti di diagnosi siano sempre interlocutori rispetto ai momenti interpretativi, con una continua spola reciproca di andata e ritorno, influenzandosi e modificandosi a vicenda, dalla ideazione fino alla realizzazione dell’opera. D. Quale tipo di legame esiste o è possibile creare tra l’architettura costruita e la natura che vi gravita intorno? R. Un legame che li porta a coincidere. Interessante al riguardo è Addio alla natura del semiotico Gianfranco Marrone (Torino 2011), contro il naturalismo generico quanto imperante dei nostri giorni, che in nome di un libero pensiero in una libera società sostiene l’idea anacronistica di una cultura e di una natura unitarie, trovandosi “… a fianco di preti e papi, mullah e torce umane, beghine e kamikaze”. Il rapporto fra cultura e natura in ogni epoca è uno dei temi centrali del pensiero filosofico e il giardino e il paesaggio ne sono temi di anticipazione e di sperimentazione.
Foto a sinistra: Francesco Jodice, Untitled (Napoli) 1997. © Francesco Jodice - Foto a destra: Olivo Barbieri, Milano 1989 c print. © Olivo Barbieri
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La natura in verità altro non è che noi stessi e il paesaggio altro non è che un contesto nel quale si evidenziano alcuni caratteri rappresentativi dei nostri valori ma a condizione che si tengano in conto, con la giusta capacità di ascolto dell’altro da sé, le altre culture e le altre nature. La natura siamo noi, la natura siete voi. D. Nella gestione di un progetto del verde quanto è importante tener presente la percezione, la visibilità e la leggibilità dell’intervento? R. Questo dipende dall’autore, dal mondo delle sue idee, dalla sua poetica. In un mio intervento tengo a una grande semplicità degli elementi, a una loro organizzazione sintattica chiara, a canali visivi liberi sulle direttrici principali in modo che il visitatore si orienti facilmente, si muova con sicurezza dagli accessi alle mete più interessanti, programmando una serie di punti di vista… D. In un progetto paesistico sia esso di piccola o grande scala, urbano o extraurbano, che peso ha secondo lei il rapporto con il contesto? R . Il fine di un progetto paesistico è proprio la corretta interpretazione di un contesto: capirne le vocazioni, stabilire uno stretto anello concettuale fra la storia del luogo e le sue proiezioni di sviluppo, restituirne un equilibrio ambientale sostenibile, coglierne i caratteri, tutelarli e valorizzarli. D. La città, i parchi e le piazze. Luoghi per la comunità. Oggi che la progettazione architettonica propone soluzioni puntiformi più che d’insieme come pensa vadano affrontati questi temi? R. Uno dei primi grandi sistemi di spazi pubblici disegnati ex post, cioè in una città già esistente, fu lo straordinario intervento di Lawrence Halprin nel centro della città di Portland circa cinquanta anni fa, una scenografia per episodi che invitava il pubblico a una forte interattività, come se fosse in uno spazio naturale dell’alta Sierra. Grande successo, questi spazi sono ormai quella città per antonomasia, il suo carattere più forte. Ma la critica degli architetti da principio fu centrata sull’eterogeneità dello spazio urbano che si veniva a creare e la rottura di un dogma. La stessa cosa successe quaranta anni dopo a Renzo Piano all’Auditorium di Roma, l’invenzione di creare un grande parco pensile e su cinque ettari impegnati restituirne quattro come spazio pubblico alla comunità, non fu capita che molto tardi. Non fu capito che Piano
aveva stabilito una continuità con le colline accanto giocando non per ordini architettonici, ma di paesaggio e per lo stesso motivo le coperture delle sale erano molto simili di forma ma di dimensioni diverse, come elementi naturali. D. Il progetto paesaggistico oggi oltre a rispondere a specifiche esigenze funzionali deve anche avere una funzione etico-culturale? R . Il progetto di paesaggio è una sintesi di valori estetici, etici e di conoscenza. Il paesaggio è un bene culturale di valore insostituibile per una comunità, ma rilevante è il valore economico e sociale e quindi politico. D. Le strategie ecologiche e sostenibili quanto sono oggi presenti nella progettazione del verde e quanto ancora deve essere fatto? R . Molto si sta facendo, e come accade con l’architettura ecologica spesso le soluzioni sono ancora rozze e didascaliche, ma certamente pian piano alti standard di verde pubblico a basso consumo energetico diventeranno obbligatori. D. La città del futuro sarà “densa” e non potrà prescindere dalla presenza del verde. Si giungerà ad una architettura ibrida data dalla completa integrazione tra costruito e verde? R. Da Pechino giunge un progetto alla scala di una delle città più dense del mondo: nella totalità molti flussi e attività diventeranno sotterranei, mentre la vita “dolce” resterà in superficie. Sotto terra autostrade, metropolitane, uffici, commercio, al sole residenza, sport, tempo libero. Credo che l’ibridazione fra costruito e verde sia obbligata e diventerà un nuovo carattere del nostro habitat. D. Come è cambiato nel tempo, in Italia, il rapporto tra la città e il verde e cosa pensa sia necessario che cambi ancora? R . Il verde pubblico in Italia ha avuto negli ultimi anni un vero collasso nella manutenzione, così che i parchi si sono riempiti di attività ricettive di scarsa qualità che risolvono in parte solo i problemi di sicurezza, mentre molto basso è il tono di strutture vecchie e nuove. Non mi sono noti parchi pubblici di livello europeo costruiti in Italia, né nei programmi e nei comportamenti, né nella vegetazione, né nella qualità delle finiture, né nel linguaggio. A Roma a maggio una manifestazione di gardening, Giardinterrazza all’Auditorium, ha reso evidente la grande attesa di giardino e di paesaggio da parte del pubblico che ha partecipato in massa con passione e curiosità.
Foto a sinistra: Gabriele Basilico, Genova 1997 © Gabriele Basilico. Foto a destra: Olivo Barbieri, Parma 1991 c print © Olivo Barbieri
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