DESIGN+

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DESIGN+ ISSN 2038 5609 - "Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”

RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA

N. 10

Il nuovo Museo Enzo Ferrari ideato da Jan Kaplický Renzo Piano progetta il monastero delle Clarisse a Ronchamp Gli oggetti unici del designer Sauro Marchesini La Library and Culture House a Vennesla, in Norvegia


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DESIGN + Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Redazione Alessio Aymone, Emiliano Barbieri, Nullo Bellodi, Federica Benatti, Mercedes Caleffi, Giuliano Cirillo, Edmea Collina, Biagio Costanzo, Mattia Curcio, Silvia Di Persio, Antonio Gentili, Piergiorgio Giannelli, Andrea Giuliani, Giulia Manfredini, Stefano Pantaleoni, Luca Parmeggiani, Alberto Piancastelli, Duccio Pierazzi, Nilde Pratello, Claudia Rossi, Clorinda Tafuri, Luciano Tellarini, Carlo Vinciguerra, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini Ha collaborato Manuela Garbarino Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net

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CONTENUTI

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Pensieri Globali Andrea Rinaldi p.14 Direttore corso “Architettura Energia” (Ferrara) Francesco Infussi p.16 Professore “Progettazione Urbanistica” POLIMI

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Segnali A piedi sulle montagne russe p.19 Il Tiger & Turtle - Magic Mountain di Duisburg ideato da Heike Mutter e Ulrich Genth Wienerberger Brick Award p.22 Consegnati i premi del concorso organizzato da Wienerberger AG, produttore di laterizi I vicitori Domus Restauro p.25 Attribuite le premiazioni della 2a edizione del premio Domus Restauro e Conservazione Metamorfosi di cartone p.28 Le nuove soluzioni di arredo della collezione Ecodesign dello Studio Giorgio Caporaso Una storia lunga 50 anni p.30 La Flos, una delle aziende più importanti del settore dell’illuminazione, compie 50 anni

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CONTENUTI

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Progetti Nuovo Museo Enzo Ferrari Progetto di Jan Kaplický

p.36

Il Monastero delle Clarisse Progetto di Renzo Piano Building Workshop

p.46

Tra simbolismo e contemporaneità Progetto di Helen & Hard

p.52

Storie di mare Progetto di Mecanoo Architecten

p.62

Esperienze creative La potenza del pensiero è già creazione

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Costruire sostenibile Coniugare tradizione e innovazione

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Anteprima Arte e design in mostra

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Nuovo design Salone del Mobile. Tutte le novità

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Design La leggerezza del pop

100 Fotografia Piccoli dettagli di architettura

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EDITORIALE

RENT GENERATION … il mio nome è Matteo Moretti, ho 31 anni e sono un precario, do ripetizioni di matematica, lavoro part-time in uno studio di un commercialista e correggo le bozze di una rivista scientifica... (dal film “Generazione mille euro”))

Il periodo che sta attraversando l'Italia, ma potremmo dire, più in generale, il mondo occidentale, è di quelli che impongono una profonda riflessione: sulla società attuale, su molti e opportuni ripensamenti riguardanti l'importanza delle cose che costituiscono la nostra vita, sugli obiettivi che dovranno essere individuati per avviarsi ad un modus vivendi più consono a quella che potremmo definire una società accettabile nel suo rapporto tra vizi e virtù. Una società che potremmo, utilizzando un termine molto di moda, definire sostenibile, ma che ci accontenteremo di definire, prendendo in prestito le parole di Avishai Margalit, una società decente. Ognuno di noi, cittadino e amministratore, fruitore oppure erogatore di servizi, deve sentirsi in dovere di compiere azioni tendenti alla realizzazione di una società migliore. Ognuno per le proprie competenze e con le proprie abilità, con una declinazione delle proprie capacità etiche che non potrà, naturalmente, essere a livelli eccezionali per tutti, ma che dovrà tendere a quel grado minimo che Margalit ha, con così tanta umiltà ed autorità, definito. Inoltre, se è ovvio che tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge, è pur vero anche che alcuni di essi hanno responsabilità maggiori di fronte alla collettività. La generazione in affitto, così come è stata definita dagli inglesi, non identifica più solo i giovani che vivono nelle realtà immersive nella Rete, attirati oppure obbligati a vivere un nomadismo ed una flessibilità che impedisce di stabilizzare le proprie radici. Studenti universitari, comunità in co-housing, neo-professionisti, ma anche coloro che una casa, a differenza degli altri, ce l’avevano e, per qualche ineluttabile ragione, l'hanno persa. Sono oltre 7 milioni di italiani, con età compresa tra 18 e 35 anni, che quando va bene , e quindi non abitano con i genitori, possono al massimo spendere seicento euro per l'affitto di una piccola abitazione. A questo grande numero di persone che non sono in grado di acquistare una casa propria si aggiungono altre fasce di italiani che, sia pure per motivi differenti, hanno lo stesso problema: anziani e pensionati, disoccupati a vario titolo, divorziati, single per scelta o per forza. Queste persone, tra l'altro, vivono nella condizione di non potersi permettere una casa di proprietà, ma non sono sufficientemente disagiate da avere il diritto di accedere all'edilizia cosiddetta popolare. Per questa ragione l'emergenza abitativa è davvero drammatica e la congiuntura economica nazionale ne amplifica le conseguenze. I recenti sviluppi normativi hanno finalmente innalzato le soglie minime di tutti requisiti che connotano la qualità del com-

fort abitativo e le prestazioni energetiche degli edifici. Ciò ha comportato un benefico e consistente innalzamento della qualità tecnica complessiva dell'edificio ed un conseguente livellamento verso l'alto del costo per la realizzazione degli alloggi. Anche dal punto di vista tipologico la diversa composizione dei nuclei familiari contemporanei che caratterizzano la società contemporanea rende indispensabile un significativo grado di flessibilità, che possa garantire la possibilità di utilizzo e modifica degli spazi interni senza dover affrontare particolari difficoltà tecniche e a costi contenuti. L'innovazione tecnologica dei sistemi impiantistici, in costante evoluzione e le caratteristiche dei materiali e dei componenti edilizi hanno poi aumentato il livello di comfort spostando i livelli di bisogno indotto verso livelli ormai uniformi ed indipendentemente dal livello sociale dell'utente. L'housing sociale rappresenta in modo particolarmente appropriato il concetto di sostenibilità declinato correttamente secondo le sue tre componenti fondamentali ed insostituibili: ambientale, sociale ed economica. In mancanza della prima non sono rispettate le generazioni future e senza la seconda non lo sono quelle attuali. L'assenza della terza, il giusto costo, può poi trasformare, se mancante e nel migliore dei casi, la possibile realtà in utopia. In quello peggiore, quando il costo è eccessivo, si cade nello spreco delle risorse, nella distrazione dei fondi, arrivando persino alla truffa, se non proprio legale, sicuramente morale. L'abitazione sociale è una casa per tutti e deve quindi essere pensata con obiettivi ambiziosi, nel rispetto di tutte quelle buone pratiche che lo sviluppo sostenibile del nostro pianeta, ancor prima che della società nella quale viviamo, ha reso irrinunciabile. Costruire per chi ne ha bisogno, e abbiamo visto come si sia ampliato questo concetto, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, deve tornare ad essere al centro delle attività e del pensiero di chi amministra la vita delle persone. Un dovere ineludibile oppure, mi piace pensare che sia così, un diritto per colui che ne porta la responsabilità. Un diritto che deve fare valere e al quale non deve abdicare. Il diritto di agire per la realizzazione di quello che al giorno d'oggi, è divenuto, ancor più che nei tempi passati, un diritto minimo inalienabile del cittadino del terzo millennio: una casa, per quanto piccola, nella quale vivere, se possibile con il frutto del proprio lavoro, e con dignità. Alessandro Marata

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PENSIERI.GLOBALI

Andrea Rinaldi

«Un intervento di risanamento energetico, oltre a migliorare il benessere personale, deve essere letto come un investimento e non come spesa di consumo»

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Quanto e come la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio si incontra o si scontra con l’idea, sempre invisa, della conservazione intesa come protezione da qualsiasi possibile intervento innovativo?

La riqualificazione è la testimonianza della capacità della società di innovare senza distruggere le radici su cui si regge: è un atteggiamento di coerenza e rispetto. Non possiamo prescindere dal risanamento energetico del tessuto edilizio di base dei centri storici italiani, per evitare di avere edifici di minor qualità di vita e valore commerciale rispetto a quelli di una più efficiente, almeno in termini energetici, periferia, con conseguente rapido degrado degli ambienti urbani storici. In poche parole non possiamo pensare di conservarli così come sono, perché rappresenterebbe la via più breve per la loro distruzione. Paradossalmente il tipo edilizio del centro storico mostra una via più semplice al risanamento tipologico ed energetico rispetto al tipo edilizio della periferia urbana a causa delle minori dimensioni, delle scelte tecnologiche fortemente vincolate, delle limitazioni impiantistiche e del consistente risparmio economico che può generare.

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Riqualificazione energetica e ricerca tecnologica quanto sono legate tra loro?

È opinione comune che il rapporto architettura energia sia connesso alle tecniche costruttive o, ancor peggio, alla fisica tecnica. Nulla di più sbagliato. Il rapporto architettura energia va affrontato liberandosi dalla retorica della tecnologia e della fisica tecnica, affidando al progetto dell’architettura il controllo del processo. Tecnologia e fisica tecnica sono questioni interessanti ma parziali perché interpretano l’energia come una questione applicativa. La materia e la tecnologia separate dall’architettura non sono portatrici di modernità, mentre concentrarsi sul calcolo è il metodo migliore per annullare le idee. Il tema è molto più ampio: come possiamo rileggere il rapporto tra l’architettura e l’energia nel progetto della forma, dello spazio, del luogo. Compattezza, rapporto pieni-vuoti nelle superfici di facciata, continuità dell’involucro isolato, razionalizzazione dei caratteri distributivi, sperimentazione tipologica e morfologica, colore, spessore, sono alcuni degli aspetti di una ricerca volta a rileggere l’energia in funzione di un diverso approccio al progetto dell’architettura.

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L’attuale periodo economico ha reso chiaro quanto sia necessario al più presto intervenire sul cospicuo patrimonio edilizio energivoro presente su tutto il territorio nazionale, ma ancor più ha reso chiaro che non è il momento di sostenere ingenti spese economiche. Come conciliare questi due aspetti?

Gli strumenti di agevolazione ci sono e permettono di conciliare i due aspetti. Un intervento di risanamento energetico di un immobile, oltre a migliorare il benessere personale, deve essere letto come un investimento e non come spesa di consumo. Se nei momenti di crisi bisogna investire sul futuro, il risanamento energetico può divenire molto redditizio per l’investitore.

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Come varia l’approccio progettuale quando si affronta la riqualificazione di un’edilizia diversa sia come posizione geografica sia come tecnica costruttiva?

L’approccio progettuale è metodologicamente uguale, e deve considerare i seguenti punti: Recupero tipologico: prioritariamente a ogni operazione di risanamento energetico occorre procedere al progetto tipologico dell’edificio: leggere il tipo esistente, recuperare la percezione e proporzione degli spazi, conservare gli elementi salienti e innovare sugli elementi non più percepibili. Risanamento energetico: pensare a limitare l’efficienza, pur migliorando le condizioni esistenti e pur comportando un minor investimento non consentirebbe all’edificio di reggere il passo con il mutare della situazione. Alto isolamento dell’involucro, massa e ventilazione sono i parametri su cui agire. Principio del carbon-zero: fabbisogni molto ridotti e integrazione di energie rinnovabili, come il fotovoltaico. I timori su questo tipo d’impianto risultano spesso ingiustificati perché il loro livello d’integrazione è molto elevato e in continuo miglioramento, al contrario di parabole di ricezione, antenne televisive, camini di caldaie, che devastano spesso la percezione dell’insieme delle coperture delle nostre città. (di Alessandro Marata)

Si laurea in Architettura a Firenze con una tesi di recupero urbano. Nel 1992 inizia l’attività didattica presso la Facoltà di Architettura di Ferrara. Svolge la propria attività di ricerca nel campo della progettazione architettonica, del rapporto tra progetto e costruzione oltre che del rapporto tra progettazione architettonica, sostenibilità ed energia. Dal 2006 è direttore del Corso di perfezionamento Post-Laurea “Architettura Energia”, tenuto dall’Università di Ferrara.

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PENSIERI.GLOBALI

Francesco Infussi

«Costruire una città è un processo che dovrebbe avere un carattere partecipato, di ascolto e costruzione collettiva, non dovrebbe assumere solo ruoli comunicativi»

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Le gravi ferite che oggi è possibile costatare sul territorio italiano sono la conseguenza di una cattiva applicazione dell’urbanistica o la dimostrazione del fallimento stesso dell’urbanistica quale disciplina?

Le “ferite” sono l’esito di una progettazione che manca di una “cultura” della città e del territorio, che ha preso le distanze dalle condizioni dei contesti e che non ha attenzione alla dimensione ambientale, quando non si connota per un marcato servilismo rispetto a specifici interessi economici. Difficile dire se questo sia l’indizio di un fallimento disciplinare. Noto però che, da sempre, convivono differenti concezioni dell’urbanistica. In particolare ad una concezione “remediale” che riconosce in ritardo le questioni urbane da affrontare, se ne accompagna un’altra che vede nell’urbanistica un ambito preposto all’immaginazione del futuro e che a tal fine valuta le conseguenze delle sue azioni nel territorio, nell’economia e nella società. Sono due visioni non conciliabili in termini di competenze mobilitate, di esiti, di responsabilità sociale di cui si fanno carico.

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In un territorio segnato da disfunzioni urbane e da un alto consumo del suolo, proseguire con accordi di programmi, contrattazioni e piani casa a quali conseguenze porterà?

Costruire la città e il territorio per punti o per temi è possibile, a mio parere fatte salve due condizioni. La prima è che sia presente anche uno sguardo d’insieme rispetto al quale trasformazioni puntuali e programmi settoriali siano valutati in modo integrato. A me sembra che si trascuri la costruzione di quadri complessivi e strategici, a vari livelli di cogenza e prescrittività. Mancano visioni del futuro ideate in modo trasparente e condiviso che possano consentire di valutare collettivamente le conseguenze di mosse parziali. La seconda condizione è che siano parte costitutiva di ogni progetto dei programmi di accompagnamento, destinati a inserire le specifiche trasformazioni all’interno delle comunità locali a varie scale. Si tratta di processi che dovrebbero avere un carattere inclusivo e partecipato, di ascolto e costruzione collettiva delle strategie e delle azioni puntuali di progetto, non dovrebbero assumere solo ruoli comunicativi.

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Come far comprendere alle amministrazioni comunali quali grandi potenzialità, oggi, ha il recupero delle aree dismesse, delle brown build in genere e del patrimonio esistente?

Le amministrazioni locali sanno bene quale risorsa possa essere l’intervento sulla città esistente, dagli ultimi decenni del Novecento le aree industriali dismesse sono state uno dei campi principali di trattamento della “renovatio urbis”. Tanto più oggi la costruzione della “città nella città” è una strategia necessaria perché riduce il consumo di suolo, elimina lo spazio urbano interdetto e sottoutilizzato e la presenza delle rovine all’interno delle città. In molte realtà urbane, però, le aree e gli edifici dismessi sono oggi in quantità largamente superiore a quanto probabilmente i mercati avranno la possibilità di trasformare. Entrano in competizione fra loro aree legate a processi di dismissione differenti e utilizzabili con temporalità imprevedibili. Anche in questo caso è rilevante la disponibilità di visioni d’insieme condivise.

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Sembra che buona parte del nuovo patrimonio edilizio presente nelle nostre città sia invenduto e sfitto. La ragione sta nell’esubero del costruito, nella bassa qualità costruttiva o nella scelta di nuove zone mancanti di servizi e comunque lontane dal centro cittadino?

Le ragioni sono di varia natura: fatta salva una quota fisiologica di invenduto, abbiamo ereditato dagli anni passati le costruzioni realizzate solo per ragioni finanziarie e a prezzi troppo alti. È riscontrabile poi una rigidità tipologica che spesso risponde con fatica al modificarsi dei profili familiari. Non ultima, contribuisce anche la scarsa qualità di alcuni interventi mal serviti ed eccessivamente decentrati. Si tratta di un fenomeno sovra determinato di cui abbiamo conoscenza in termini troppo aggregati e che dovremmo riuscire a rappresentare con una grana più fine, se vogliamo immaginare qualche trattamento efficace. Resta il fatto che l’accesso al mercato delle abitazioni è ancora ostacolato da investimenti che sono al di sopra delle disponibilità di famiglie che hanno visto ridurre il loro potere d’acquisto ed aumentare la difficoltà di accesso al credito. (di Alessandro Marata)

Francesco Infussi è professore associato di Progettazione Urbanistica al Politecnico di Milano. Si occupa di progettazione urbana e del territorio, di storia e teoria della progettazione. Studia le interazioni tra le trasformazioni dello spazio e le politiche urbane, con attenzione alla comunicazione fra i diversi momenti dei processi di progettazione. Tra le diverse pubblicazioni segnaliamo: “Dal recinto al territorio. Milano, esplorazioni nella città pubblica”, Bruno Mondadori, Milano 2011.

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E G N A L I

Nella foto: particolare della straordinaria creazione di Heike Mutter e Ulrich Gent. Ventuno metri di altezza per la struttura in metallo quasi totalmente percorribile

A PIEDI SULLE MONTAGNE RUSSE È stata inaugurata nel 2010 e aperta al pubblico nel novembre 2011, si trova a sud della città tedesca di Duisburg, si chiama "Tiger & Turtle - Magic Mountain" (Tigre e tartaruga, montagna magica). È un’installazione artistica che domina la cima di una collina spoglia chiamata Heinrich-Hildebrand-Höhe, all'interno dell'Angerpark, che ha aperto nel 2008 come

museo-parco della grande epopea industriale della regione della Ruhr. Ideata da una coppia di artisti tedeschi Heike Mutter e Ulrich Genth per caratterizzare questa zona, domina la collina come una scultura su un piedistallo verde, segnando il panorama come fosse una firma. Da lontano si potrebbe giurare di essere al cospetto di un ottovolante, il binario di metallo

brillante crea l’impressione di velocità e di straordinaria accelerazione. Visto da vicino, quello che sembrava essere un binario si scopre essere una scala lunga 220 metri (249 gradini) che, in maniera decisamente tortuosa, segue il percorso di una montagna russa. Il visitatore può infatti salire sull’installazione, alta 21 metri, a piedi. È un vero capolavoro di ingegneria, soprattutto

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PREVISIONI

per quanto riguarda le scale (sviluppate in collaborzione con Arnold Walz): sebbene il percorso descriva un cerchio chiuso, è impossibile percorrerlo tutto, quando la curva è tale che si dovrebbe finire a testa in giù, i gradini iniziano a inclinarsi, fino a schiacciarsi trasformandosi una superficie liscia e

impercorribile. Il nome gioca con la percezione che si ha della struttura, si riferisce infatti alla sensazione di velocità che comunica da lontano, rappresentata dalla tigre, e all'effetto opposto che si prova una volta all’interno della struttura, rappresentato dalla tartaruga. Quello che i due artisti

tedeschi hanno voluto comunicare con questo nome è che le loro “montagne russe” sono degne della forza e dell’accelerazione di una tigre ma devono essere visitate passo per passo come farebbe una tartaruga. L’installazione, costata due milioni di euro, offre, grazie alla sua forma a spirale, diversi punti di vista sulla valle del Reno, che domina da una posizione sopraelevata. Non è una caso se l’installazione è costruita con acciaio e zinco: sono i materiali che hanno fatto la storia, mineraria e industriale, della regione. Lo zinco veniva prodotto proprio in questi luoghi e qui vicino si trova la Krupp Mannesmann, una delle principali compagnie dedite alla trasformazione dell'acciaio: di fatto l'opera è un omaggio alla tradizione industriale di questa regione mineraria della Germania. Luci led sono integrate nel corrimano in modo da illuminare il percorso e da rendere così la struttura percorribile anche di notte. Heike Mutter e Ulrich Genth lavorano insieme da diversi anni creando installazioni artistiche per spazi pubblici e manifestazioni. Insieme hanno fondato nel 2007 lo studio Phaenomedia con sede a Hamburg, in Germania. (di Cristiana Zappoli)

Un vero capolavoro di ingegneria la creazione della scala, ideata in collaborazione con Arnold Walz, progettista di strutture complesse. Gli snodi sono quelli tipici delle montagne russe, con tanto di “giro della morte”



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PREMIAZIONI

WIENERBERGER BRICK AWARD Consegnati anche quest’anno i premi del Wienerberger Brick Award 2012. Ben 260 progetti provenienti da 28 paesi si sono candidati e tra questi 50 hanno avuto accesso alla competizione. Tra i cinque vincitori lo studio Peter Rich Architects

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l 3 maggio si è tenuta al Municipio di Vienna la cerimonia di premiazione della quinta edizione del Wienerberger Brick Award 2012, un premio organizzato da Wienerberger AG. Con 230 impianti in 30 paesi e 12000 dipendenti sull’intera rete mondiale, Wienerberger è il più grande produttore di laterizi nel mondo e il più grande produttore di tegole in Europa e il premio è una competizione internazionale di architettura rivolta a progettisti, architetti e ingegneri che vede protagonista l'uso del laterizio, materiale pienamente contemporaneo e tecnologicamente all’avanguardia. A livello globale, un numero sempre maggiore di progettisti dimostra grande attenzione per le caratteristiche funzionali e stilistiche offerte dai materiali in argilla cotta. Questa tendenza emerge in modo evidente dal numero dei partecipanti: 260 progetti provenienti da 28 paesi, di cui 50 hanno avuto accesso alla competizione finale. Tutti questi ultimi sono presenti nel volume Brick’12, che presenta ogni progetto attraverso una ricca

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Sopra: Primary Electrical Substation (Londra), vincitore della categoria “Edifici non residenziali”. Sotto: Conversion of a ruin (Slovacchia), progetto vincitore della categoria “Ristrutturazioni”

galleria di immagini e testi di critici e scrittori di fama internazionale. Il premio Vincitore Assoluto è andato allo studio Peter Rich Architects insieme all’architetto Michael Ramage e all’ingegnere John Ochsendorf con il progetto Mapungubwe Interpretation Centre, situato nell’omonimo parco nazionale di Limpopo in Sud Africa, patrimonio dell’UNESCO dal 2003. Al progetto, realizzato in mattoni artigianali prodotti dalla comunità locale, è andato anche il premio per la categoria Soluzioni speciali in laterizio. Il Mapungubwe Interpretation Centre restituisce al visitatore un coinvolgimento particolare: l’argilla con cui è stato realizzato si fonde perfettamente con l’ambiente naturale circostante e, allo stesso tempo, sottolinea l’antica presenza umana nel territorio. «Il progetto Mapungubwe Interpretation Centre di Peter Rich Architects mostra, in maniera molto precisa, come possiamo contribuire a rendere il nostro tormentato pianeta un posto migliore in cui vivere. La realizzazione fonde le antiche tecniche costrutti-


ve dei sistemi a volta con le più moderne ricerche scientifiche per la definizione della struttura. La struttura risulta essere così semplice che potrebbe essere stata costruita dalla popolazione locale, creando una splendida architettura dedicata alla pubblica utilità. Oltre a ciò, vengono utilizzati materiali locali, rendendo le performance a basso consumo energetico. L’equilibrio tra bassa e alta tecnologia, unito allo straordinario paesaggio locale, si traducono in un’architettura universale e intramontabile, mostrando la ricchezza del laterizio impiegato nell’architettura», con queste parole Hrvoje Hrabak, fra gli architetti che facevano parte della giuria del premio, insieme a John Foldbjerg Lassen, Zhan Lei, Plamen Bratkov e Rudolf Finsterwalder, elogia il vincitore assoluto del concorso. Il primo premio per la categoria Abitazioni unifamiliari è stato assegnato al progetto The Rabbit Hole, realizzato in Belgio, a Gaasbeek, da Bart Lens, che ha utilizzato mattoni faccia a vista prodotti da Wienerberger. Sulle rovine di un antico casolare l’architetto ha realizzato una zona residenziale e una clinica veterinaria separate da un luminoso spazio intermedio. Per quanto riguarda gli edifici residenziali, il premio è andato agli architetti portoghesi Francisco e Manuel Aires Mateus, progettisti di una dimora per anziani a Alcaler Do Sal, in Portogallo. I due hanno dato vita ad un complesso residenziale che combina temi regionali con un design architettonico contemporaneo. Home for the Elderly, questo il nome della struttura, dimostra come funzionalità e impiego sociale possano trovare nuova sintesi nella qualità architettonica. Lo studio Nord Architecture,

con il progetto per cabina elettrica Primary Substation, realizzato a Londra in vista dei Giochi Olimpici, è salito sul primo gradino del podio nella categoria Edifici non residenziali. La combinazione di diverse tipologie di mattoni ha dato vita a un edificio dalle caratteristiche cromatiche inusuali dominato dai toni del nero. Per la categoria Ristrutturazioni, il vincitore è stato lo studio Pavol Panak, grazie al progetto per la riconversione di un’antica rovina in casa per il weekend in Slovacchia, utilizzando mattoni faccia a vista. L’intervento dimostra come sia possibile trasformare un rudere in un edificio contemporaneo altamente innovativo. (di Cristiana Zappoli)

In alto: Home for the elderly (casa degli anziani, Portogallo), progetto vincitore della categoria “Edifici residenziali”. Sopra: The rabbit Hole (Belgio), progetto vincitore della categoria “Abitazioni Unifamiliari”. Sotto: Mapungubwe Interpretation Centre (Sud Africa), progetto vincitore assoluto e inoltre vincitore della categoria “Soluzioni Speciali in laterizio”



PREMIAZIONI

I VINCITORI DOMUS RESTAURO

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Attribuite le premiazioni della seconda edizione del “Premio Domus Restauro e Conservazione” Fassa Bortolo. Che anche quest’anno si qualifica soprattutto per il carattere sovranazionale degli esiti e per i numerosi concorrenti internazionali

Progetto e intervento di restauro della Torre Bofilla a Bétera, Spagna, vincitore della Medaglia d’Oro

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a seconda edizione del Premio Internazionale “Domus Restauro e Conservazione” Fassa Bortolo, promosso dalla Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, ha visto l’iscrizione al concorso di oltre 130 progettisti divisi nelle due categorie: opere realizzate e tesi di Laurea, Dottorato o Specializzazione. I partecipanti effettivi (una novantina) sono stati valutati da una giuria internazionale. Tra i partecipanti nella categoria Opere Realizzate

troviamo interessanti nomi dell’architettura contemporanea come i portoghesi Magén arquitectos, gli spagnoli BarozziVega e i già pluripremiati studi italiani Luciano Cupelloni architettura e C+S associati. Il premio è un’iniziativa volta a far conoscere a un ampio pubblico restauri architettonici che abbiano saputo interpretare in modo consapevole i principi conservativi nei quali la comunità scientifica si riconosce, anche ricorrendo a forme espressive contemporanee. A te-

stimonianza della buona espansione della manifestazione, anche all’estero troviamo per la prima volta esponenti del restauro asiatici con interessanti proposte provenienti dall’India e da Singapore. In questa categoria i partecipanti sono 39, divisi geograficamente in 26 dall’Italia e 13 da Svezia, Spagna, Svizzera, Austria, India, Singapore e Malta. Per quanto concerne la categoria Tesi di Laurea, Dottorato o Specializzazione i partecipanti sono 51 e per la prima volta la sezione presenta due DESIGN + 25


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PREMIAZIONI

La conservazione del complesso del Nagaur Fort, India, vincitore della Medaglia d’Argento

Intervento di restauro e musealizzazione nella basilica di Santo Stefano Rotondo a Roma, vincitore della Medaglia d’Argento

Il vecchio Archivio Nazionale a Stoccolma, Svezia, l’altro vincitore della Medaglia d’Argento

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proposte provenienti da Spagna e Austria, un risultato sicuramente da incrementare in futuro ma che si scontra con il limitato terreno di sperimentazione nel settore del restauro in campo estero. La Medaglia d’Oro è andata all’intervento di restauro della Torre Bofilla a Bétera (Valencia) in Spagna, realizzato da Fernando Vegas e Camilla Mileto architetti. Il progetto interessa un monumento di particolare importanza per la comunità, per la storia della Spagna musulmana e per la grande difficoltà operativa trattandosi di un manufatto realizzato in terra cruda. L’intervento si fonda sulla consapevole accettazione del degrado raggiunto nel tempo dalla materia costitutiva della torre, contrariamente a più diffuse e corrive tendenze verso il ripristino. La consunzione del pisé diviene elemento di valorizzazione del significato storico e artistico della torre. La Medaglia d’Argento è stata assegnata ex equo alla conservazione del complesso del Nagaur Fort a Rajasthan in India di Jain Minakshi, e agli interventi di restauro e musealizzazione nella basilica di Santo Stefano Rotondo a Roma di Riccardo d’Aquino, Mauro Olevano, Francesco Nardi architetti associati. Il primo intervento si segnala per il grande impegno culturale finalizzato alla conservazione di un complesso di straordinaria importanza. Di notevole interesse si rivelano gli sforzi per la conservazione del testo architettonico e quelli relativi all’inserimento di attività ricettive in grado di contrastare il rischio di ruderizzazione. Apprezzabile è il recupero della suggestione del luogo con il reinserimento di specchi d’acqua. Nell’intervento di Roma si riconosce, invece, una progettazione condotta con grande sensibilità, adesione al dato storico, volontà di favorire la “lettura” del monumento e le suggestioni provenienti dai pochi frammenti antichi superstiti, attenzione a restituire allo spazio interno una piena fruibilità come edificio ecclesiastico vivo. Gli interventi presentati hanno riguardato il pavimento, il sistema d’illuminazione interno, la copertura degli ambienti ipogei e il contenimento dell’umidità. Rispettosa ed elegante nella sua creatività si dimostra la definizione dei corpi illuminanti e, diversamente, l’integrazione pavimentale della Cappella di Santo Stefano. (di Cristiana Zappoli)



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NUOVE.TENDENZE

METAMORFOSI DI CARTONE

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Innovazione, fattibilità del prodotto, sostenibilità, estetica e funzionalità sono i punti cardine attorno a cui ruotano i progetti di Giorgio Caporaso o Studio Giorgio Caporaso Design è uno studio creativo nel quale coesistono diverse attività di progetto che spaziano dall'architettura al design alla grafica. Laureato in Architettura, con indirizzo di Disegno Industriale e Arredamento, al Politecnico di Milano nel 1996, Caporaso ha lavorato nei campi del design e dell'architettura con l'obiettivo di curare l'intero processo di creazione. “Tappo”, “Mattoni”, “More_Light” e “2Onde”, sono i nomi delle nuove soluzioni d’arredo della collezione Ecodesign dello Studio Giorgio Caporaso, proposte funzionali, modulari e sostenibili, che hanno preso vita grazie alla collaborazione con Logics e all’ausilio dei sistemi da taglio multifunzione Zund. “Tappo” è un tavolino che si illumina all’interno ed è disponibile nelle versioni in cartone, legno e bamboo; “Mattoni” è una struttura in cartone componibile e modulare che si presta a molteplici contesti di utilizzo, dall’abitazione ai punti vendita, dall’ufficio fino ai luoghi pubblici, particolarmente indicato per temporary shops; “More_Light” è un innovativo sistema espositivo e di arredamento, modulare

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e componibile, adatto a ogni tipo di ambiente, spazio e situazione che può avere diverse finiture e ogni tipo di personalizzazione grafica; “2Onde” è una sofisticata chaise-longue realizzata in cartone con laterali in legno. Questi arredi raccontano la personale ricerca di stile e di funzionalità che Caporaso sta portando avanti da tempo nel campo dell’eco design, conferendo un particolare fascino anche a un materiale considerato tradizionalmente povero come il cartone, grazie alle linee del suo design. Tutte queste creazioni rispondono ai criteri del design sostenibile e fanno parte di un insieme di proposte che si sono aggiudicate importanti riconoscimenti oltre a essere state esposte in mostre d’arte e manifestazioni di settore. «Il mio design assieme all’estetica - spiega Caporaso - punta all’utilità, alla modularità e alla sostenibilità. I progetti sono an-

che sperimentazioni e ricerca sui materiali, sulla loro resistenza e le loro qualità estetiche. Un buon prodotto sostenibile deve fare i conti con la materia». (di Cristiana Zappoli) Sopra: “More_Light”, innovativo sistema espositivo. A sinistra: la chaise-longue “2Onde”. Sotto: la libreria “Mattoni”



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AZIENDA.STORY

UNA STORIA LUNGA 50 ANNI Nata dal volere di Sergio Gandini, Flos è oggi, nel settore dell’illuminazione, una delle più importanti aziende conosciute all’estero. 50 anni di storia che si intrecciano indissolubilmente con le esperienze creative di grandi nomi del design italiano

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uardando alla storia di Flos, ai tantissimi designer che hanno contribuito a scriverla, alle decine di pezzi da collezione che sono stati prodotti e ai risultati in termini non solo di fatturato ma anche di affermazione del marchio in tutto il mondo, sembra impossibile che siano passati solo 50 anni dalla nascita dell’azienda. Eppure la Flos è stata fondata nel 1962 a Merano da Achille Castiglioni, Arturo Eisenkeil, Sergio Bilotti, Dino Gavina e Cesare Cassina e quest’anno si festeggia proprio il cinquantenario dell’azienda che, dal 1964, è nelle mani della famiglia Gandini. È in quell’anno, infatti, che Sergio Gandini entra nel consiglio di amministrazione e viene nominato presidente e la sede dell’azienda viene trasferita in provincia di Brescia, la città di Gandini. Oggi, 50 anni dopo, la Flos è senza alcun dubbio un’azienda leader nella produzione di sistemi di illuminazione nel settore residenziale e architetturale ma soprattutto, e più di tutto, è stata ed è una protagonista assoluta nella storia del design italiano. Scrive Stefano Casciani, vice direttore della rivista Domus: «All’origine di Flos c’è prima di tutto un’idea luminosa, il pensiero che da una lampadina - o meglio da una nuova idea di come disegnare la luce artifi-

Sopra: lampada Arco, famosa creazione dei fratelli Castiglioni, prodotta da Flos nel 1962 e riproposta quest’anno in una versione rinnovata grazie all’integrazione di una fonte luminosa a Led. In alto: Piero Gandini, amministratore delegato dal 1999 30 DESIGN +

ciale - potessero nascere degli oggetti adatti a cambiare un po’ il modo di vita degli italiani: popolazione, come si sa, molto viziata dall’essere nata, cresciuta e vissuta in un territorio dove a ogni passo s’inciampa in qualcosa che ha a che fare con l’arte». C’è quindi voluto il coraggio di geni visionari come Dino Gavina per pensare di poter cambiare il modo di vita degli italiani, anche solo un po’, attraverso l’arredamento. Flos è un’azienda votata fin da subito all’innovazione e alla sperimentazione e le cose non cambiano sotto l’egida di Sergio Gandini che era prepotentemente entrato nel mondo del design italiano aprendo nel 1959, insieme alla moglie Piera e alla coppia di amici Giuseppe e Giusy Diana, “Sti-

le”, un negozio di arredamento a Brescia. Gandini stesso ebbe modo di dire, durante una conversazione con Giulio Castelli, che «sono ancora in molti a sottovalutare l’importanza giocata dalla distribuzione nel decollo del design all’inizio degli anni ‘60 (…). All’inizio non è stato facile ottenere l’esclusiva dai produttori di punta. Poi, all’improvviso, avvennero due fatti che cambiarono il nostro commercio». Si riferiva all’incontro con Dino Boffi, di cui cominciarono a vendere le cucine, e con Dino Gavina, che gli concesse di vendere la sua collezione di mobili. Quando approda a Flos, Gandini si porta dietro un bagaglio di conoscenze accumulate grazie a “Stile”: la capacità di gestire i problemi pratici di un’attività, la capacità di risolvere problemi legati alla distribuzione, la preziosissima capacità di intuire i desideri, non ancora soddisfatti dal mercato, delle persone. Sergio Gandini si circonda da subito di grandi talenti: su tutti Achille e Pier Giacomo Castiglioni e Tobia Scarpa, che non si limitano a creare gli oggetti ma partecipano attivamente a tutte le scelte che giravano intorno a quegli oggetti: dall’imballaggio alla grafica fino alla distribuzione. Ed è forse questa sintonia così particolare, così stretta e così prolifica che si crea fra tutti gli attori coinvolti, questo infinito dialogo fra imprenditore e architetto/designer in un continuo avvicinamento (che a volte diventa scambio) di ruoli, che fa della Flos un caso più unico che raro nella storia del design italiano: un perfetto mix di creatività, passione e capacità imprenditoriale. A fianco di Sergio Gandini, fra gli attori principali di questa storia, la moglie Piera Pezzolo, che nel 2011 ha ricevuto il Compasso d’Oro alla Carriera, anche lei, come il marito, una personalità poliedrica e volitiva, che ha sempre condiviso con lui l’amore per il design e più in generale per l’arte. È lei che da oltre sei anni, coadiuvata


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da un team di professionisti, sta compiendo un lavoro meticoloso di ricerca, restauro e classificazione, raccogliendo prototipi, progetti, disegni originali, packaging, grafica, pubblicità, filmati, libri, premi per radunare tutto nell’Archivio Storico Flos, che oggi è fruibile in diverse forme: multimediale, cartaceo e come vera e propria collezione di prodotti e oggetti. Ogni singolo prodotto è analizzato e documentato nella sua evoluzione tecnica, tecnologica, stilistica, economica, finanziaria e di valenza sociale. In pratica è un preziosissimo spaccato della storia dell’Industrial Design italiano dal XX secolo a oggi. Dal traferimento della sede aziendale nei pressi di Brescia ai giorni nostri la storia di Flos è costellata di scelte felici dal punto di vista imprenditoriale e creativo e di notevoli successi. Nel 1968 apre il negozio di Milano in corso Monforte 9, con progetto dei fratelli Castiglioni, il primo vero mezzo con cui mostrare l’evoluzione del design attraverso gli allestimenti dei più grandi architetti e designer dell’epoca; nel 1970 viene realizzato il primo catalogo Flos con grafica di Max Huber; quattro anni più tardi viene acquisita Arteluce, l’azienda di illuminazione fondata nel 1939 da Gino Sarfatti; nel 1988 inizia la collaborazione con Philippe Starck; nel 1996 Piero Gandini, figlio di Sergio e Piera, diventa amministratore delegato, e nel 1999, dopo la morte del padre, presidente. Un’altra tappa fondamentale è l’incontro con Federico Martinez e l’azienda spagnola Antares, specializzata in prodotti per illuminotecnica, da cui nasce nel 2005 Flos Architectural Lighting, che coniuga un’anima ingegneristica con la poetica della luce. Con Piero, che inizia a lavorare in Flos alla fine degli anni 80, l’azienda in qualche modo cambia, rispondendo alle esigenze di un momento storico molto particolare. Nei primi anni 80 l’economia era in grave crisi, era il periodo post anni di piombo e crisi del petrolio. Ma a cominciare dal 1984 si verificò una ripresa abbastanza intensa che nasceva da una buona situazione dell’economia mondiale in seguito anche al ribasso dei

Sopra: Sergio Gandini con Afra e Tobia Scarpa. Di fianco: un interno degli uffici Flos in Corso Monforte a Milano. Foto a destra: Sergio Gandini insieme al designer Achille Castiglioni

prezzi del petrolio. Le imprese più importanti effettuarono importanti ristrutturazioni e lanciarono sul mercato nuovi prodotti. Piero Gandini intuì la necessità di un cambiamento anche dal punto di vista creativo e lo mise in atto riuscendo a non snaturare la Flos. Erano gli anni della sperimentazione: i designer abbandonavano il purismo e il rigore per abbracciare la sperimentazione e un design senza regole. Il vero cambiamento in Flos si verifica con un designer innovativo come Philippe Starck, di cui Gandini intuisce le potenzialità decidendo quindi di scommettere sulle sue idee e inserendolo nel comitato di immagine dell’azienda. Non è un caso se è stato proprio Starck a disegnare Light Photon, una limited edition per il 50° anniversario di Flos, realizzata in soli 500 pezzi numerati. La collaborazione con il designer francese comincia con Arà (1990), una lampada

orientabile a forma di corno e prosegue con Miss Sissi (1991) che diventerà una vera e propria icona dell’abat-jour. È proprio Miss Sissi che è stata scelta, in occasione del cinquantenario dell’azienda, per diventare il primo prodotto al mondo realizzato con la bio plastica Phas, biodegradabile naturalmente in acqua al 100%. Sempre in occasione del cinquantenario, Piero Gandini ha affidato al fotografo - artista di origine persiana Ranak Fazel la direzione di un’applicazione multimediale esclusiva per iPad: FLOS 50, un tour virtuale nella storia dell’azienda. In 40 capitoli la storia viene raccontata senza perdere mai di vista la dimensione poetica delle relazioni umane dei protagonisti e da cui emerge il Dna di Flos, fatto di sperimentazione e impulso, nel rispetto della libertà creativa e senza perdere il senso poetico dell’operare con la luce. (di Cristiana Zappoli)




PROGETTO / 1

Foto Studio Cento29

Un cofano giallo dalla complessa geometria organica. Così si presenta il Museo Enzo Ferrari, progettato da Jan Kaplický. Morfologia aerodinamica, ricerca tecnologica e sostenibilità hanno guidato la realizzazione di questa originale architettura di Iole Costanzo

NUOVO MUSEO ENZO FERRARI


SCHEDA

Architetto Jan KaplickĂ˝ (Future Systems) Capo progetto Andrea Morgante Cliente Fondazione Casa Natale Enzo Ferrari Luogo Via Paolo Ferrari 85, Modena Completamento 2012 Superficie area di progetto 10.600 mq Superficie interna 5.200 mq (4.200 mq Galleria, 1.000 mq Casa Natale) Importo lavori euro 14.200.000


PROGETTO / 1

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ella Motor Valley dell'Emilia Romagna, a Modena, il mito si fa architettura. La famosissima casa automobilistica Ferrari ha inaugurato il nuovo Museo Enzo Ferrari: una particolare architettura che coniuga restauro architettonico, ecosostenibilità e l’innovativo e aerodinamico linguaggio delle auto da corsa. A progettarlo è stato l’architetto di spicco dello studio Future Systems, Jan Kaplický , ma, dopo la sua precoce morte avvenuta nel 2009, ad avere il difficile compito di seguirne i lavori è stato Andrea Morgante, suo collaboratore già al tempo dell’invito al concorso e attualmente fondatore dello Shiro Studio. Un progetto che si confronta con una storia ricca di avvenimenti e successi. La storia di una famiglia tutta emiliana che si è dedicata alla propria passione e che, pro-

tesa verso il futuro e le nuove tecnologie, ha trasformato una piccola officina in un patrimonio di fama mondiale. Il nuovo museo abbraccia il vecchio edificio e la casa natale di Enzo Ferrari e vi dà il giusto risalto rispettandone soprattutto la semplice natura di tradizionale manufatto in laterizio. Le due storiche preesistenze hanno subìto un restauro conservativo che le ha ripulite delle superflue superfetazioni e ne ha mantenuto le caratteristiche più salienti, pur avendo adattato la struttura portante alle nuove norme antisismiche. L’officina è diventata il museo proprio della figura e del personaggio Enzo Ferrari, l’abitazione è stata invece riorganizzata per poter ospitare gli uffici, mentre la nuova avveniristica struttura, colorata di giallo, tipico colore di casa Ferrari, risponde pienamente al ruolo di am-

pia sala espositiva, in cui sono state poste, in bella mostra, 21 esemplari della casa. Lo spazio principale è interrato ma comunque visibile dall’esterno attraverso l’ampia e ricurva facciata. È raggiungibile attraverso alcune scale e alcuni piani inclinati che rispondono però ad una doppia funzione: espositiva e di manovra per le macchine ospitate. Il piano riserva anche un ampio spazio alla sala congressi, agli uffici e ai servizi. Il piano terra, quello d’ingresso, essendo di dimensioni ridotte, subito dopo l’area destinata al caffè e ai sevizi si apre con una grande balconata sulla sala sottostante e vi si raccorda attraverso scale e piani inclinati. Cromaticamente l’interno è caratterizzato dal bianco delle pareti, degli elementi di alluminio ricurvo della copertura, della resina che ricopre l’intero pavimento e delle singole pedane. Pavimenti e

Foto Studio Cento29

Le dieci asole che assolvono alla ventilazione e all’illuminazione sono state disegnate per sottolineare l’analogia con le prese d’aria di un cofano e celebrano con la loro modularità scultorea il valore estetico del car-design modenese. Il giallo utilizzato, il Giallo Modena, è il colore ufficiale della scuderia Ferrari, ma anche della municipalità di Modena

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Foto David Pasek

Foto Studio Cento29


PROGETTO / 1

Foto David Pasek

SEZIONI TRASVERSALI


SCHEMA ASSONOMETRICO DELLE ASOLE IN COPERTURA

IL MUSEO ABBRACCIA IL VECCHIO EDIFICIO E LA CASA NATALE DI ENZO FERRARI. VI DÀ IL GIUSTO RISALTO RISPETTANDONE LA SEMPLICE NATURA DI TRADIZIONALE MANUFATTO IN LATERIZIO

L’altezza del nuovo edificio, 12 m, è quasi identica a quella della Casa Natale. Il nuovo volume si espande in parte sotto la quota del terreno, mentre la galleria, grazie alle curve descritte dalla facciata, abbraccia la casa Natale


PROGETTO / 1 PIANTA PIANO TERRA 3 4 2 1 6

1. ristorante 2. biglietteria 3. cucina 4. libreria 5. bagni 6. area espositiva

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pareti sembrano un'unica superficie continua, mentre il giallo, il colore già adoperato all’esterno, connota alcuni elementi verticali e in particolare i pilastri a “Y” che sostengono la grande vetrata. La copertura è un interessante sistema architettonico assemblato secondo alcune regole del settore nautico. È composta da 3300 metri quadrati di doghe di alluminio realizzate con doppia curvatura e presenta all’esterno dieci aperture - il cui disegno ricorda vagamente le prese d’aria di un cofano - che permettono l’ingresso di ventilazione e luce naturale. L’illuminazione complessivamente viene diffusa all’interno della sala dalla sinuosa vetrata che, inclinata di 12,5 gradi rispetto al piano di calpestio, è sorretta da tiranti

d’acciaio capaci di sopportare ognuno 40 tonnellate. Il Museo Enzo Ferrari è un edificio costruito secondo alcuni principi fondamentali della sostenibilità. Difatti la struttura è in grado di assicurare, per il suo stesso mantenimento, un risparmio pari a 35mila kg di CO2 annui. Per il raffrescamento e il riscaldamento degli ambienti interni il fabbricato si sostiene anche attraverso la geotermia (l’energia derivante dalla differenza della temperatura della terra nelle diverse profondità) con la quale alimenta un sistema di radiazione programmato. Sono stati anche previsti i pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua sanitaria e quelli fotovoltaici per una contribuzione alla necessaria alimentazione Sopra: dall’interno della Galleria, attraverso la facciata vetrata, si scorge la casa natale di Enzo Ferrari. Dall’esterno è possibile vedere anche parte dell’esposizione interna

PIANTA INTERRATO

13 12

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7. sala conferenza 8. sala didattica 9. sala video installazioni 10. sala personale 11. locale tecnico 12. magazzino 13. sala impianti

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TUTTO L’EDIFICIO È STATO COSTRUITO SEGUENDO I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA MORFOLOGIA AERODINAMICA E DELLA SOSTENIBILITÀ


Foto Andrea Morgante

elettrica. Anche per l’ampia superficie vetrata sono stati adoperati accorgimenti sostenibili e la scelta dei vetri è ricaduta su quelli termoisolanti, mentre l’attenzione posta anche sul consumo dell’acqua ha portato i progettisti a prevedere un sistema di riciclo di quella piovana. Morfologia aerodinamica e alta ricerca tecnologica applicata alla sostenibilità sono le due discipline che hanno guidato la progettazione di questa struttura pensata principalmente per accogliere le radici storiche della famosa fabbrica di Modena.

Ma l’impostazione progettuale ha anche cercato di raccordare questo particolare edificio con lo spazio urbano circostante. Difficilissima impresa, per la semplice ragione che il sito è confinante su due lati con edifici dalla qualità irrilevante o comunque appartenenti ad una semplice edilizia industriale mancante di alcuna connotazione architettonica, sul terzo con una strada senza peculiarità e sul quarto con la linea ferrata. Situazione urbanistica che non ha assolutamente mitigato l’aspetto alieno del museo: un cofano giallo dalla

complessa geometria organica. E più che ad un’auto la realizzazione della copertura è tecnologicamente legata all’industria nautica, per l’esattezza a un cantiere navale austriaco che ne ha realizzato tutti i pezzi utilizzati. Industria nautica o automobilistica pari sono viste dal punto di vista del movimento, del motore, dell’andare verso il futuro. E quindi una cosa è certa: questo museo è l’esaltazione di un importante settore del mondo dell’automobilismo e del suo più vivace esponente: il Drake, il mitico Enzo Ferrari. SEZIONE TRASVERSALE DI TUTTO L’IMPIANTO


Foto Andrea Morgante

PROGETTO / 1

In alto: la membrana bianca e traslucida della copertura diffonde la luce proveniente dai lucernari in modo diffuso, mentre i giunti dei vari teli, in cui circola l’aria, restituiscono il linguaggio estetico dell’interno delle vetture storiche. In basso: planimetria generale

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Foto Andrea Morgante Foto Andrea Morgante

Il pavimento è composto da rampe che accompagnano il visitatore dal piano terra al piano interrato. Le vetture sollevate da terra sono esposte su piattaforme che simbolicamente le elevano a veri pezzi d’arte. Altro materiale è ospitato in teche perimetrali rivestite in eco-pelle

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PROGETTO / 2

Le foto sono di Michel Denancé

IL MONASTERO DELLE CLARISSE

SCHEDA Gruppo di progetto Renzo Piano Building Workshop Cliente Association Œuvre Notre-Dame du Haut + Poor Clares Paesaggio Atelier Corajoud / Superficie monastero 1700 mq Superficie portineria 450 mq / Superficie abitabile clarisse 296 mq / Costo dell’opera 9 milioni di euro


La sacralità di un luogo storicamente importante incontra la contemporaneità dettata dalla mano di Renzo Piano. A Ronchamp, nel mitico luogo legato a Le Corbusier, una nuova struttura semipogea si è inserita nel contesto, senza entrare in conflitto con la Cappella di Notre-Dame du Haut di Iole Costanzo


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PROGETTO / 2

el 2005 la famosa Cappella di Notre-Dame du Haut (Nostra Signora della Altezza) di Ronchamp, progettata da Le Corbusier nel 1955, ha compiuto 50 anni. Per questa occasione è stata presa una doppia decisione che ha fatto discutere il mondo dell’architettura: proporre alla Renzo Piano Building Workshop di progettare una nuova architettura di accoglienza per i pellegrini, gli amanti dell’architettura e soprattutto per le 12 clarisse che si occupano della manutenzione giornaliera della Cappella, e al paesaggista Michel Corajoud un nuovo rimboschimento e una nuova sistemazione del verde. La polemica non è mancata e in buona parte verteva sulla conservazione del luogo. Conservare vuole anche dire non modificare il paesaggio che gravita intorno a un monumento? L’empasse tra varie vicissitudini si è sciolta e così, immerso in un rinnovato bosco alle pendici della collina di Bourlémont, il progetto di Piano è stato realizzato. Lo spirito del luogo non sembra modificato, né pare abbiano subito cambiamenti la discrezione e la silenziosità. Il nuovo monastero di Ronchamp, costato nove milioni di euro, comprende dodici semplici celle di 2,70 m x 2,70 m, uno spazio per la vita in comune delle clarisse, alcuni alloggi per gli ospiti, un oratorio, una mensa e un parcheggio. E per mimetizzare completamente la struttura nel bosco Michel Corajoud ha previsto un piano di piantumazione. Ed è proprio qui, a una distanza tra i 50 e i 100 metri dalla Cappella, che sono stati costruiti gli ambienti seminterrati. È chiaro che l’intervento di Renzo Piano ha toccato un tema molto delicato: la progetta-

Sopra: i prospetti principali del Convento con le 12 celle delle clarisse di 2,70 m x 2,70 m. Sotto: sezione tipo del modulo abitativo delle suore. Tutto l’impianto è stato inserito al disotto del piano in uso come belvedere sulla vallata SEZIONE TIPO DEL MODULO ABITATIVO

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A sinistra: parte del giardino bioclimatico presente all’interno del monastero. Sotto: la sezione trasversale dell’intervento mette chiaramente in luce il rapporto esistente tra il nuovo impianto e la cappella di Notre-Dame du Haut. In basso: schizzo sinottico della planimetria, che evidenzia la totale area di intervento

SEZIONE TRASVERSALE

zione di elementi architettonici nei pressi di una famosa preesistenza e le possibili interferenze che possono crearsi tra architetture realizzate in tempi storici diversi. A cui si associa una domanda quanto mai attuale: quanti monumenti solitari avremmo oggi se nel tempo non fossero stati possibili ulteriori interventi e stratificazioni? Di precedenti storici ovviamente ve ne sono stati tanti nei secoli, e tra le opere più citate vi è sicuramente quella di Dimitri Pikionis all’Acropoli d’Atene. La similitudine tra i due interventi, quello ateniese realizzato negli anni ‘50 dello scorso secolo e quello di Ronchamp inaugurato qualche mese fa sta proprio nell’attenzione posta a non interferire con la preesistenza. In proposito sul Corriere della sera Stefano Boeri ha scritto: «l'umiltà sostanziale che ha ispirato il progetto di Renzo Piano è legata a filo doppio a una fortissima e consapevole ambizione; quella di plasmare i bordi di un luogo doppiamente sacro; senza paura, senza nascondersi, senza diventare caricatura del Mito». Lo scopo del nuovo progetto di Renzo Piano, concepito tenendo ben presente tutte le procedure sostenibili atte a ridurre il consumo

di energia, è quello di creare un ambiente tranquillo che metta in evidenza la bellezza discreta della cappella progettata da Le Corbusier migliorandone, allo stesso tempo, le già esistenti strutture votate alla ricezione. La nuova portineria ospita una biglietteria, un negozio, un giardino bioclimatico, una sala riunioni, gli spazi amministrativi e alcuni ambienti dedicati alla ricerca e alla conservazione degli archivi. Il monastero è invece composto da dodici unità abitative appositamente progettate per le sorelle, un oratorio per i pellegrini religiosi e una casetta per ospitare i visitatori in cerca di quiete e riposo spirituale. Le camere degradano dolcemente verso il basso sul lato ovest della collina, lì dove si apre la vista sulla valle, così pure l'oratorio, il luogo di comunione aperto ai pellegrini di tutte le comunità, che pur essendo esterno alla cappella è comunque incorporato all’interno del pendio della collina. I materiali da costruzione per l’intero nuovo complesso sono tre: cemento armato, zinco e legno. Tre semplici materiali per un ambiente propizio alla meditazione, con una natura che sottolinea sia l'aspetto sacro che storico del sito.

LO SPIRITO DEL LUOGO NON È STATO MODIFICATO, NÉ HANNO SUBITO CAMBIAMENTI LA DISCREZIONE E LA SILENZIOSITÀ

DESIGN + 49


I quattro ambienti, dalla semplice austeritĂ , sono caratterizzati con pochi materiali: cemento, legno e vetro. Anche gli arredi scelti hanno una linea molto semplice ed essenziale



Le foto sono di Emile Ashley


PROGETTO / 3

TRA SIMBOLISMO E CONTEMPORANEITÀ Nulla si distrugge, tutto si trasforma e si adatta. Passato il timore che le biblioteche diventino architetture destinate a scomparire. A Vennesla, in Norvegia, la prova e la certezza che si stanno invece trasformando. Come si può osservare dalla Library and Culture House, progettata dallo studio Helen & Hard di Iole Costanzo

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nche le biblioteche, i luoghi da sempre deputati alla lettura e soprattutto allo studio, perché leggere e studiare sono due concetti fondamentalmente diversi ma comunque legati, nonostante abbiano da sempre evocato nel nostro immaginario ambienti polverosi, isolati, dotati di gran silenzio, rispetto e forse anche solitudine, hanno subìto negli anni una trasformazione e sono divenuti luoghi di socialità e di comunicazione. La nuova biblioteca costruita su progetto di Helen & Hard a Vannesla, piccola e ridente cittadina norvegese, oltre agli ampi ambienti adibiti a biblioteca ha al suo interno un caffè, alcune salette per i meeting, gli uffici amministrativi ed è anche internamente collegata ad altri servizi già esistenti: una community house e un centro di formazione. A sostegno di questa nuova idea di biblioteca quale spazio pubblico accogliente, tutte le funzioni principali sono state raccolte in un unico ampio spazio visibile dall’esterno e caratterizzato da particolari e avvolgenti costolature di legno. L’edificio tutto è stato pensato come uno spazio aperto, facilmente fruibile e incorporato alla vita stessa della città, ragione che condiziona, rendendolo più immediato, l’accesso dalla piccola piazza che vi si trova proprio di fronte. Conseguentemente la distribuzione planimetrica, già influenzata e movimentata dagli edifici preesistenti, presenta una disposizione interna che si intreccia con il tessuto urbano, mentre la copertura, aggettando in facciata quel tanto che basta, partecipa a questa osmosi tra interno ed esterno facendo

A sinistra: tre immagini del retro della biblioteca. Nei suoi cambiamenti di direzioni il volume è accompagnato dal ritmato, omogeneo e armonico brise-soleil. A destra: la planimetria generale evidenzia l’edificio incastonato all’interno dell’abitato

da protezione ad alcune sedute concettualmente legate all’accoglienza della piazza antistante. La Vennesla Library and Culture House è una struttura a basso consumo energetico illuminata da luce diurna naturale e protetta da brise-soleil verticali. Sia all’esterno che all’interno a condurre il gioco sono proprio le doghe di legno, che passano dalla funzione di frangisole a quella strutturale e distributiva delle costolature presenti all’interno.


PROGETTO / 3 La piccola biblioteca della città di Vennesla, costruttivamente simile a una cattedrale, ha come peculiarità la stretta interdipendenza o interconnessione tra la struttura portante e l’impianto distributivo. Gli elementi caratterizzanti sono i 27 costoloni che pur avendo funzione portante diventano arredo interno, da pilastro diventano costola-trave e si spanciano ospitando al loro interno piccoli studioli - salottini, accoglienti come piccole nicchie di ritrovo. L’ambiente è un tutt’uno morbido, suadente e avvolgente, e questa simbiosi è determinata dal legno. Un legno piegato come il grande Alvar Aalto faceva realizzare i suoi elementi di arredo. Un legno morbido, biondo, caldo, che da struttura portante si fa suppellettile. Ciò che più attrae di questo scandito e ritmato sistema, che in un certo senso rievoca l’antro di una balena, è la nicchia inserita all’interno delle costole. Un piccolo incavo, un rifugio, che riporta la

biblioteca a una dimensione privata, di solitudine e concentrazione, e rivaluta il concetto di biblioteca-piazza considerando le differenti motivazioni di chi studia, chi vi si reca per semplici letture o chi si trova lì semplicemente per curiosità. È una nicchia in cui il tempo e la volontà, fattori determinanti per lo studio, non assumono i connotati di polverosa emarginazione ma piuttosto d’integrazione in un sistema fatto di scaffali, sedute, illuminazione, morbido rivestimento e ovviamente socialità. Perché la biblioteca può essere vista, in particolar modo in questo caso, come il luogo dove trovarsi e sentirsi parte attivi di una rete di sapere e di scambio di idee. Il posto dove per antonomasia o per archetipo si incontra se stessi. E così l’utente diventa il Giona dell'Antico Testamento, il personaggio che, insieme ad altri miti similari diffusi tra i più diversi popoli del mondo, ha vissuto nell’uscire dalle tenebre del ventre un rito d'iniziazione. Certo la biblioteca di Vennesla non è affatto tenebrosa, ma tra le sue “costole” è sicuramente facile trovare la voglia della ricerca. La luce è presente e si manifesta in cordiale e calda luminosità, omogeneità materica e cromatica. Frequentare la Vennesla Library and Culture House potrebbe essere un nuovo modo di scoprire senza perdere, timore degli attuali giovani, la vita sociale. Potrebbe voler dire sentirsi Ulisse, senza allontanarsi da Itaca. La Vennesla Library and Culture House rappresenta sicuramente un compromesso tra solitudine e comunicazione, tra ciò che è la vecchia e indotta immagine sterotipata di biblioteca e ciò che oggi si pensa debba diventare: la piazza del domani. In basso: il prospetto principale della Vennesla Library and Culture House. Le lineari sedute presenti in facciata si raccordano e si omogeneizzano con la piazza e la strada antistante. Tutto l’edificio è stato pensato come uno spazio incorporato alla città


PIANTA PIANO TERRA

PIANTA PIANO SEMINTERRATO

L’INTERO EDIFICIO È STATO PENSATO COME UNO SPAZIO APERTO, FACILMENTE FRUIBILE E INCORPORATO ALLA VITA STESSA DELLA CITTÀ



rivestimento del tetto in legno(23x98mm, in alto, bordo inferiore 23x69mm) listello di massello di pino da 36/48 mm materiale da copertura in acciaio ondulato listello listello inclinato barriera del vento 50 millimetri di prodotto ignifugo e isolante 300 mm di materiale isolante 50 mm di isolante rivestimento a soffitto di diverse dimensioni costola di legno lamellare

PARTICOLARE COSTRUTTIVO

50 mm di compensato di betulla verniciata

mensola incastonata tra le costole

libreria alta

spazio tecnico


PROGETTO / 3

PARTICOLARE COSTRUTTIVO NICCHIA

piastra copertura in lexan (policarbonato trasparente)

rivestimento adesivo

sedile incassato con cuscino in tessuto di Lana Gudbrandsdalen

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rivestimento adesivo


PARTICOLARE COSTRUTTIVO NICCHIA

nicchia di lettura

nicchia di lettura

seduta con cuscino seduta con cuscino

divanetto imbottito

coperchio superiore, 9 mm, di compensato verniciato e fissato con elementi nascosti

sedile incassato con cuscino in tessuto di Lana Gudbrandsdalen

parapetto in vetro

SCHEDA

Progettisti Helen & Hard Luogo Vennesla, Norvegia Cliente Municipalità di Vennesla Team Reinhard Kropf, Siv Helene Stangeland, Håkon Solheim, Caleb Reed, Randi Augenstein Concorso 2009 Fine lavori 2011 Costo dell’opera 66,4 mill NOK Lunghezza complessiva dei ripiani 650 m Quantità di legno 450 m cubi

seduta incassata di 400 x 600 mm con cuscino di lana Gudbrandsdalen

contenitori di libri

DESIGN + 59


Tra tutte e 27 le costolature, la copertura, il pavimento e il rivestimento esterno sono stati impiegati ben 450 metri cubi di legno di pino. Tra le costole passa la luce naturale mentre quella artificiale è inserita, insieme al sistema di climatizzazione, all’interno



PROGETTO / 4

Foto di Nigel Young

STORIE DI MARE


Sull’isola di Texel, i Mecanoo Architecten hanno progettato un museo storico del mare, il Kaap Skil, dedicato ai marinai e a quanti hanno vissuto a stretto contatto con l’ambiente marino nel susseguirsi dei secoli di Iole Costanzo


PROGETTO / 4

PROSPETTI

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T

exel, la più grande delle isole Frisone o Wedden, la più vicina al continente nella parte più al Nord dell’Olanda, è stata nei secoli scorsi scenario di molte battaglie navali durante la guerra tra l’Inghilterra e l’Olanda. Il suo porto è stato anche scelto tra il XVII e il XVIII sec. come punto di partenza per i viaggi verso le Indie Orientali da parte della Compagnia Olandese. Le navi aspettavano lì il vento favorevole prima di levare le ancore e salpare. Viaggi per mari lontani. Navi, genti, marinai, vita movimentata per una piccola isola. Questa stessa che oggi è internazionalmente rinomata per il paesaggio unico, sabbioso, caratterizzato da ricche dune abitate da volatili. Un terzo dell'isola è organizzata come riserva naturale protetta e le sue due peculiarità sono la natura incontaminata e la storia, anche se a raccontare di navi e battaglie fino ad oggi c’erano soltanto libri e ovviamente i racconti tradizionali. I Mecanoo Architecten, un gruppo di architetti olandesi, hanno progettato per l’isola di Texel il Kaap Skil, il nuovo Museo del mare e dei marinai, e lo hanno fatto tenendo ben presente le caratteristiche più connotanti del legno: naturalezza, riciclabilità, facilità di smaltimento, facile lavorazione, ottime prestazioni strutturali, alta qualità termica e spiccata attitudine acustica. Tutte peculiarità che ben si adattano ai nuovi canoni architettonici e alle impostazioni degli involucri edilizi, tema oramai affrontato in molte situazioni proprio per rispondere in maniera adeguata alle nuove esigenze bio-

SEZIONE LONGITUDINALE

SEZIONE TRASVERSALE

climatiche. Per comprendere queste scelte progettuali bisogna proiettarsi sul porto di Texel e prefigurarsi non solo una situazione attiva di navi e sbarchi ma anche immaginare l’alto numero di dismissione di imbarcazioni. Il materiale così recuperato, ovviamente legno, è stato per anni un’occasione per gli abitanti dell’isola, che lo hanno usato con saggezza e parsimonia per le loro costruzioni edilizie. Proprio per questo i Mecanoo hanno pensato al Kaap Skil come a un edificio ricoperto, in omaggio alla tradizione costruttiva, da un involucro di legno riciclato. La struttura è molto semplice: presenta quattro tetti spioventi che schematicamente riecheggiano sia le in-

In alto: l’immagine quasi rurale testimonia il cambiamento subìto nei secoli dall’isola. A destra: studio preparatorio del progetto: il movimento della copertura è una citazione delle onde del mare. A sinistra: il plastico evidenzia il rapporto dimensionale tra la nuova struttura e gli edifici esistenti

DESIGN + 65


SCHEDA

Progettisti Mecanoo Architecten Luogo Texel, Olanda Cliente Maritiem & Jutters Museum, Oudeschild Distribuzione 1200 m² tra museo, gallerie espositive, bar e uffici Progetto 2007-2009 Costruzione 2010-2011 Design museo Kossmann Dejong, Amsterdam Installazioni Peter Prins, Woerden


Le doghe in legno ricoprono l’intero edificio generando un duplice effetto visivo: da un lato restituiscono l’immagine di una struttura leggera disposta a protezione degli spazi interni, dall’altro creano frazioni e giochi di luce naturale che impreziosiscono gli ambienti espositivi


PIANTA PIANO TERRA

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PIANTA ULTIMO PIANO


Sopra: piano seminterrato. Scendendo le scale si viene avvolti da un'atmosfera diversa: il percorso espositivo tra i modelli di imbarcazioni e i reperti marini è infatti immerso in una penombra che vuole far provare ai visitatori la sensazione degli abissi del mare. Nella pagina a fianco: la caffetteria. A destra: spaccato assonometrico

crespature del mare sia lo skyline tipico delle abitazioni dell’intorno. Ha tutte e quattro le facciate di vetro rivestite con brisesoleil. Una texture che regola luci e ombre. E una facciata ritmata che fa vibrare l’interno con il variare delle fasi diurne, creando così la giusta condizione emotiva e scenografica per accogliere le varie opere pittoriche di quegli artisti che nei secoli hanno visitato il “Reede van Texel”, l'ancoraggio al largo di Texel, proprio per dipingere la flotta della Repubblica Olandese. Nel nuovo museo marittimo, costruito nella frazione di Oudeschild, il pubblico viene condotto indietro nel tempo e magicamente si trova nel periodo d'oro dei Paesi Bassi. La peculiarità più suggestiva è un modello, lungo diciotto metri e largo quattro, della Rada di Texel che illustra con dovizia di dettagli l’intera visione che si poteva godere in quel periodo su tutto il porto. Il plastico è col-

locato in un ambiente intimo progettato al piano interrato e scenograficamente impostato per suscitare un’atmosfera ricca di mistero. Il primo piano è invece inondato di luce naturale che passa vibrando tra le assi consumate, erose e bruciate dal sole. Gli oggetti qui sono esposti in teche mobili spartane, di acciaio e vetro, semplici ed efficienti, che possono essere spostate nello spazio senza alcun impedimento a garanzia della particolare elasticità dell’allestimento. Al piano terra sia l’entrata che la caffetteria sono state invece pensate come ambienti diversi: un vero diaframma tra i due mondi antitetici organizzati al piano seminterrato e al primo piano. Per un’isola oramai votata al turismo naturalistico è un’ottima e nuova possibilità quella di poter offrire al visitatore anche un viaggio nella storia e nella magia del mare e di ciò che esso ritmicamente porta via e restituisce. DESIGN + 69


PROFESSIONAL SERVICE

Calore, comfort, fascino. Sono queste le caratteristiche principali che distinguono i pavimenti in legno da tutti gli altri. Il parquet, classico ma insieme versatile e per questo perfettamente adattabile ad ogni zona della casa, dona un valore aggiunto ad ogni ambiente. Il legno è da sempre uno dei materiali più usati dall’uomo: le prime tracce di parquet si hanno nel 1500 in Francia per poi diffondersi in tutta Europa nelle residenze, nei palazzi e nei castelli della nobiltà. Oggi è diffusissimo, nelle grandi case padronali come nei monolocali: difficile trovare persona che resista al suo fascino. Maison de parquet factory da oltre vent'anni è specializzata nella fornitura e posa di pavimenti in legno e negli anni è diventata un punto di riferimento a Bologna e in tutta la regione. I prodotti proposti sono di natura artigianale, con finiture che possono variare a seconda dei gusti e delle esigenze adattandosi al resto della casa. «La nostra offerta - spiega il titolare, Luigi Crescenzo - è indirizzata a tutti coloro che si propongono di ristrutturare un’abitazione e di renderla personalizzata a cominciare dai pavimenti. Le finiture che proponiamo vengono realizzate direttamente nel nostro laboratorio: in questo modo possiamo soddisfare ogni esigenza e garantire la provenienza europea di tutti i nostri prodotti». Maison de parquet factory realizza parquet con diverse

ELEGANZA DEL LEGNO NELLE SUE VARIAZIONI 1

VERSATILE E CALDO, DA ANNI OCCUPA UN POSTO DI RILIEVO NELL’INTERIOR DESIGN

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PRODUCTS

finiture di superficie: verniciati, oliati o cerati. «Bisogna sfatare un falso mito - spiega Crescenzo ovvero che i pavimenti in legno oliato e cerato richiedano una manutenzione complicata rispetto a quelli verniciati. Non è vero: richiedono una manutenzione elementare e sono idrorepellenti come gli altri e di altrettanto facile pulizia. Per quanto riguarda i prodotti verniciati, noi utilizziamo solo prodotti all’acqua. Mentre per i prodotti oliati e cerati le materie prime sono di origine naturale a bassissima emissione di Voc». In un momento di crisi come quello che stiamo attraversando anche nel mercato del pavimento in legno si vengono a creare diverse tensioni, legate principalmente alla poca chiarezza sulla provenienza dei prodotti offerti e sulle relative certificazioni. Maison de parquet factory ha sposato la filosofia della trasparenza, offrendo solo prodotti europei lavorati nei laboratori di Zola Predosa. «L’essenza della nostra offerta conclude Crescenzo - è il rovere proveniente dalla Polonia, una nazione che ha fatto suo il marchio FSC (riforestazione controllata)».

Laboratorio: via Lombardi 7/G, Zola Predosa, Bologna, tel. 051 4127047 - maisondeparquet@libero.it Showroom: via Pasubio 55, Bologna, tel. 051385572, www.optaimport.com MAISON DE PARQUET FACTORY

1. Rovere in plancia 3 strati mm 15x180x1800, piallato a mano oliato e cerato - 2. Rovere in plancia 3 strati multilarghezza, oliato cerato COGNAC - 3. Listone massello di teak burma verniciato all'acqua - 4. Rovere in plancia 3 strati multilarghezza, oliato cerato terra - 5. Particolare inserto a doppia coda di rondine realizzato su listoni di rovere massello- 6. Listone di rovere in 3 strati mm 15x150x1900, oliato cerato naturale

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PROFESSIONAL

via I° Maggio, 7/9 40037 Sasso Marconi (Bo) tel. e fax 051.6270480 cell. 339.3511160 piscinaservice@libero.it

Via San Carlo, 10/I 40023 Castel Guelfo (Bo) tel. e fax 0542.670216 333.2413153 - 334.9711047 www.ecoenergiaweb.it infocommerciale@ecoenergiaweb.it

Via Bodoni, 4 40017 S. Giovanni in Persiceto (Bo) tel. 051.823414 - fax 051.7172470 www.giuseppetodaro.com info@giuseppetodaro.com

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Piscina Service nasce come azienda operante nel servizio assistenza e trattamento acqua ed opera ormai da decenni nel settore anche come progettazione, realizzazione piscine e vendita prodotti ed accessori sia per impianti pubblici che privati. Realizzazione di piscine interrate in muratura, a sfioro o a skimmer, rivestite in mosaico o liner. Vendita di accessori e ricambi per piscine delle migliori marche, docce solari, pulitori sia manuali che automatici, fari bocchette, trampolini, scalette, coperture sia invernali che termiche. Vendita di tutti i prodotti chimici necessari per il trattamento dell'acqua, centraline per impianti pubblici e privati, anche per l'elettrolisi del sale. Vendita ed assistenza di pulitori automatici o manuali.

Eco Energia è un’azienda presente nel settore delle energie alternative rinnovabili che fornisce, chiavi in mano, impianti fotovoltaici di tipo domestico, industriale, commerciale e grandi impianti. Grazie alla propria esperienza e professionalità, offre consulenze personalizzate sia in fase di progettazione che di sviluppo, nonché assistenza post-vendita, gestendo direttamente anche l’iter amministrativo. L’impegno assiduo e costante che ne caratterizza l’anima, assicura al cliente la massima efficienza per l’ottenimento dell’obiettivo prefissato. Qualità, esperienza, innovazione, dinamicità, miglioramento continuo, sostenibilità ambientale, sono solo alcuni degli elementi vincenti che valorizzano Eco Energia.

L’azienda, fondata nel 1997 dai soci Todaro e Fortini, nasce dalla volontà di unire le loro professionalità e la loro esperienza decennale nel settore delle coibentazioni. Da oltre vent'anni si occupa di isolamenti termici di impianti di riscaldamento e condizionamento in ambito civile ed industriale, per i quali ha ricevuto la certificazione ISO 9001:2008, compreso l'assistenza e la manutenzione, avvalendosi di un team di professionisti qualificati che garantiscono serietà e rapidità nello svolgimento dei lavori. Inoltre può eseguire servizio di rimozione, smaltimento, e bonifica dell’amianto, isolamenti ignifughi REI 120, lavori in cartongesso, piccoli lavori edili, contropareti acustiche e REI.



PROFESSIONAL

Via Serra, 8 40012 Calderara di Reno (Bo) tel. 051.6466321 fax 051.6466959 www.metalcrea.com info@metalcrea.com

via Emilia, n°39 40064 Ozzano Emilia (Bo) tel. e fax 051.797931 cell. 335.6749820 grandisennen@virgilio.it

Via Edison, 1/B 40017 S.Giovanni in Persiceto (Bo) tel. e fax 051.821394 cell. 338.9959642 info@nuovacms.com

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MetalCrea è un’azienda giovane e dinamica, che si avvale di professionisti altamente specializzati nella lavorazione di alluminio, acciaio inox e corten per rivestimenti e pavimenti, ma anche per complementi d’arredo, come specchiere, cornici per camino, separè e altri oggetti personalizzati. La ricerca e la sperimentazione sono la loro sfida quotidiana. Il dinamismo e la voglia di rinnovarsi continuamente permette all’azienda di proporsi come partner nello sviluppo e nella realizzazione di progetti di interni, anche i più personalizzati. La qualità dei servizi è indiscutibilmente la priorità di MetalCrea e la snellezza della produzione le permette di accontentare anche le richieste più specifiche e personali.

Azienda presente da otto generazioni, Grandi è da sempre attiva per risolvere i piccoli problemi legati alla lavorazione del ferro. Tra i servizi offerti dall’azienda rientrano la messa a norma di parapetti in stabili d’epoca, la possibilità di piccole lavorazioni con fucina o forno, la produzione di inferriate per finestrature con possibilità di abbinamento a scuri esterni, cancelli carrai o pedonali, parapetti scale interne in ferro o ghisa, particolari di arredo, vetrinature per negozi. Tutta la produzione viene svolta su disegno del cliente oppure su proposta dello staff dell’azienda. Lavora in collaborazione con ditte artigiane di provata esperienza e serietà per lavori di falegnameria, vetreria e realizzazione di corrimani e particolari in ottone e inox.

Nuova CMS realizza in proprio o su progetti di terzi opere di carpenteria metallica sia per utilizzi civili quali pensiline, recinzioni, cancelli carrai o pedonali, inferriate e complementi di architettura, sia per utilizzi industriali e commerciali quali soppalchi portanti, scaffalature, architravi e chioschi. Forte specializzazione nella realizzazione di strutture portanti per impianti fotovoltaici. L’esperienza e l’operare con i maggiori operatori del settore della cantieristica l’ha portata ad ottenere le certificazioni UNI EN ISO 9001:2008 e UNI EN ISO 3834-2:2006, fondamentali per offrire ai propri clienti privati ed aziende un elevato standard qualitativo. L’azienda completa la gamma della produzione con la realizzazione in house di serramenti in alluminio.



ESPERIENZE CREATIVE

Quando le viene un’idea creativa le capita di cambiare strada rispetto a quello che aveva in mente all’inizio? Senza dubbio è quello che ho in mente che decide cosa fare di me e io arrivo dopo. Subisco una forma di condizionamento costante, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno. È tutto un continuo deragliamento, un continuo spostamento da quella che doveva essere la strada principale, l’idea primaria. Per esempio, mentre sto lavorando ad un progetto teatrale nascono seminazioni involontarie per lo spettacolo successivo e cominciano un percorso che io non decido in nessun modo, hanno una vita propria che è anche molto aggressiva nei confronti della mia vita e dei miei progetti. Le idee prendono forma a prescindere dall’ideatore. Tutto si muove attraverso una strana idea di progettualità che non ha niente a che fare con l’idea di un progetto deciso e organizzato “su carta”. Lavoro nel mondo dell’arte da soli 7 anni e in questo ambito il disorientamento è maggiore, è un gioco di freno e accelerazione. Con il teatro o la scrittura riesco a gestirlo meglio grazie alla mia esperienza ventennale. Che differenza c’è secondo lei tra parole e immagini? Parola e scrittura hanno una forza primigenia e fondamentale che per me non ha nessun’altra cosa. Il suono viene dopo, la materia viene dopo, ma è un “dopo” che è sempre meno lontano. Prima avevo la parola e la rappresentazione della parola, cioè la scrittura e il teatro, ora ho anche l’uso delle immagini e subisco dalle immagini un urto, una richiesta, un’urgenza che le va a mettere molto vicino a parola e scrittura. Adesso quando scrivo immagino molto di più, lavoro molto

di più sul visivo, avviene quasi immediatamente il collegamento, è un connubio strettissimo. Ma la cosa più forte in assoluto è l’uso del pensiero. Non riesco a concepire l’idea del lavoro artistico slegato dall’idea della potenza del pensiero che nasce immediatamente in una maniera che non è né parola né immagine, arriva tra mente e fisico in maniera preponderante. Il pensiero è creazione e il tema della creazione è un tema spirituale: in mezzo tra il laico e il religioso esiste una parte artistico spirituale che è quella su cui si dovrebbe lavorare di più ma quando si lavora su questi canoni devono necessariamente cambiare la grammatica e il segno. Che cos’è secondo lei l’arte? L’arte è un concetto metaforicamente riferibile a un jumbo di due piani che richiede per atterrare e cioè, pensando all’arte, per raccontare i suoi concetti, una pista d’atterraggio di almeno 5 o 6 km. Le persone hanno piste da atterraggio di 1 km, al massimo ci atterrano gli elicotteri. Mancano i mezzi, la torre di controllo non vede quello che arriva: l’essere umano non fa un lavoro di grande complessità che è quello della ricerca, quello della differenza. A riguardo un altro grande tema è quello della distrazione e della leggerezza. Prendiamo il cinema per esempio: si va al cinema per distrarsi un paio d’ore. Ma non può essere così. Tutti gli artisti, compreso i grandi registi e i grandi autori cinematografici, hanno sempre voluto comunicare energia, idee, creazione, vita, non intrattenimento, non spensieratezza. Non si va al cinema o a visitare una mostra per passare del tempo. Bisognerebbe puntare più sull’impegno, dunque? Sono convinto che bisognerebbe cominciare a raccontare negli asili che non esiste un corpo solo, una vita sola, una medicina sola, attraverso il gioco, la fantasia e l’arte. Bisogna dire ai bambini che non esiste una sola verità, che devono avere la mente aperta e non smettere mai di ascoltare. Invece si segue sempre l’idea del “meno vi

raccontiamo, più vi comandiamo”. Ai bambini si comunica fin da subito l’ossessione dell’ordine. Tutti danno massime di vita come per esempio: “la famiglia è importante”. Sì, la famiglia è importante se tutto va bene, ma se i tuoi genitori sono assassini allora non può più essere importante la famiglia. Quello che è importante allora è il bene, il concetto, la ricerca interiore. Tutti sembrano aver bisogno di ordine ma ad un bambino bisogna dare un disordine fondamentale che gli permetta il dubbio, che è la cosa fondamentale per essere indipendenti e per essere “larghi”. Perché uno dei problemi fondamentali è la strettezza, non la paura come ci vorrebbero far credere. La paura è una dannazione che ci dobbiamo portare dietro ma diventa meravigliosa se è origine di grandezza e di ingrandimento. Che rapporto intercorre oggi fra i giovani e l’arte? Non ragiono per categorie. Giovani o non giovani, io cerco di lavorare per anime, cervelli, vite, guardo a quanto hanno dentro le persone. Esistono giovani che non sono giovani da nessuna parte, che non vedono e che non sentono e persone di 60 anni che sono l’esatto opposto. L’arte è insita in ognuno di noi, ci possiede tutti, non solo alcuni. Dobbiamo renderci conto che potenzialmente siamo tutti Dante, Leonardo da Vinci, Pollock. Ma questa nostra parte sovrumana non la usiamo mai. Per intuirlo abbiamo bisogno di festival d’arte o di cultura, oppure di “capi popolo” che ci guidino. Tutti noi siamo abitati dall’arte, il punto è essere talmente aperti ed energetici da rendercene conto. Abbiamo una potenza creativa a cui tutti gli artisti fanno riferimento nelle loro opere e nei loro scritti. Noi ce ne accorgiamo solo a danno avvenuto. Siamo come chi comincia ad amare la vita quando un dottore gli dà sei mesi di vita. Io questo non lo riesco a capire, non lo concepisco. Come è possibile dover arrivare al danno, all’irreparabile per capire la nostra potenza? Avremmo tutti gli elementi per capire molto prima come possiamo aprirci.

ALESSANDRO BERGONZONI Attore, scrittore, comico, regista e pittore, incarna la figura dell’intellettuale eclettico. Ha portato in scena spettacoli con grande successo di critica e di pubblico. Fra i più recenti lavori teatrali Nel, che ha ricevuto nel 2009 il Premio UBU

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SCHEDA /1

LA POTENZA DEL PENSIERO È GIÀ CREAZIONE


L’ESTETICA SPOSA LA FUNZIONALITÀ

Olvi Sistemi s.r.l. Via A. Spallicci, 2 - Imola (BO) Tel. 0542.643980 / Fax 0542.643987 www.olvi.it - info@olvi.it


COSTRUIRESOSTENIBILE

Potrei fare tanti esempi di architetture tradizionali che rappresentano ancora oggi modelli esemplari di sostenibilità. Esposizione, ventilazione, uso della massa come moderatore termico rappresentano, ancora oggi, riferimenti significativi per quanti vogliono collocarsi nell’ambito di un approccio sostenibile al progetto. Cambiano le modalità di risposta non i problemi. Possiamo attingere dalla tradizione senza per questo ridurci alla riproposizione acritica di modelli, soluzioni, forme. Disponiamo di strumenti e tecnologie che ci consentono di usare in forma nuova “antichi” materiali. Recuperare dalla tradizione pratiche, logiche, sistemi è anche una necessità di ordine culturale. L’architettura è il consolidamento di conoscenze che si sono stratificate in millenni di esperienze. Questa visione oggi è largamente condivisa dalle nuove generazioni di architetti. Dopo un lungo periodo di ‘tendenze devianti’ oggi avvertiamo la necessità di ancorare la sperimentazione di nuove forme del costruire ad una solida tradizione, che ci viene consegnata e che abbiamo il dovere di trasmettere ad altri. Coniugare tradizione e innovazione è sempre più una necessità, dunque. Vorrei proporre due casi esemplari. Da alcuni anni sono un attento studioso dell’opera del giapponese Kengo Kuma e di Fabrizio Carola. Kuma, architetto che opera in uno scenario internazionale con alle spalle una formazione fatta in Giappone prima e successivamente negli Stati Uniti. Fabrizio Caròla architetto napoletano con studi svolti prima a Napoli e poi a Bruxelles, che opera ormai da circa 40 anni prevalentemente in Africa. Due maestri dell’architettura che propongo come esemplari interpreti del luogo, delle

relazioni tra l’architettura e ambiente, di quella dimensione magica che è appunto il genius loci. Kuma nelle sue opere ci mostra un uso sapiente e innovativo di ‘materiali antichi’: pietra, legno, carta. La materia è “sostanza assoluta” che vive nello spazio e nel tempo. La materia possiede un pensiero, è pensante; agisce su di noi, è la sorgente di un universo poetico di cui Kuma ascolta le confidenze. L’atto dell’immaginare, la capacità di vedere oltre la materia le sue potenzialità, per Kuma non è tuttavia un’azione arbitraria, quanto un’azione strutturata che impone la conoscenza assoluta del materiale, dei processi di produzione. La profondità di pensiero presuppone la capacità di 'dominare la materia'. Il materiale come generatore di forme, il geometrismo entro il naturismo, sono questi alcuni temi attraverso cui Kuma costruisce quel senso di spiazzamento, di sospensione temporale, di ambiguità percettiva, di dissolvenza della materia, che trasmettono le sue opere. La relazione tra soggetto e anti-oggetto non è più univoca ma molteplice, Kuma 'inverte la direzione della visione', concepisce lo spazio architettonico come una macchina per 'inquadrare' porzioni di paesaggio, capovolge la nostra forma di percezione, rende manifesta quella totalità chiamata “luogo”. Analogamente, Fabrizio Caròla è impegnato a sostenere l’efficacia di un modello costruttivo fondato sul recupero di elementi della tradizione mediterranea: archi, volte, cupole; lo fa a partire dalle origini, dando corpo e significato ad un’idea di architettura come spazio primario, un’ostinazione che lo ha portato a trascorrere gran parte della sua vita in Africa, dove sperimenta le potenzialità di tecniche e materiali della tradizione. In Africa, per conto di organizzazioni non governative, Caròla conduce una serie di ricerche sull’abitare, sull’edilizia scolastica, sulle tecniche costruttive tradizionali. La sua attenzione è rivolta prevalentemente alle relazioni tra materia e luogo. Indaga il ‘luogo’ nella sua ‘fisicità materica’. L’architettura spontanea, l’architettura senza

architetti costituisce uno dei suoi riferimenti privilegiati: agendo sui significati che entrano nella ‘costruzione delle forme’ Caròla mette a fuoco un repertorio di soluzioni che ricorrono all’interno del continuo divenire della tradizione. È in Africa che impara ad utilizzare il compasso ligneo, uno strumento di cui intravede l’efficacia e le possibilità. La terra, sia cruda sia sotto forma di mattone cotto, è il materiale privilegiato. Un materiale che lavora bene a compressione, facilmente reperibile e producibile in sito. Volte, archi e cupole rispondono efficacemente ai criteri di economicità e rapidità di esecuzione. Tra le sue opere, il Kaedi Regionale Hospital, in Mauritania, rappresenta sicuramente l’espressione più alta di un pensiero e di un agire ‘sostenibile’. Nel lavoro di Kengo Kuma e Fabrizo Caròla ritrovo quel senso di equilibro, di misura, di dialogo con il luogo. La loro capacità di guardare lontano verso l’orizzonte si coniuga con il recupero di un patrimonio di conoscenze che vengono da molto lontano. Vivono a cavallo tra passato e futuro. Credo che dovremmo guardare indietro per scorgere all’orizzonte nuove possibili evoluzioni, una nuova ecologia. Dovremmo farlo anche attraverso percorsi formativi nuovi, attraverso un nuovo approccio alla didattica del progetto. Nella Facoltà dove insegno da alcuni anni stiamo provando a farlo. Abbiamo avviato un programma di collaborazione con la Scuola Edile di Siracusa, la Cassa Edile, l’ANCE, l’Ordine degli Architetti e alcune importanti aziende del settore. Annualmente un gruppo di studenti della Facoltà, maestranze dalla Scuola Edile ed esperti del settore industriale sono coinvolti nella realizzazione in scala 1:1 un prototipo. Progetto e costruzione sono parte integrante della loro attività. I temi della sostenibilità esplicitati attraverso l’uso di tecnologie appropriate, sistemi di ventilazione passiva, valutazioni del ciclo di vita intero dell’edificio ecc. costituiscono i nuclei tematici delle attività che gli allievi sono chiamati a sviluppare.

LUIGI ALINI Architetto e professore associato in Tecnologia dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura di Catania. Ha curato la prima mostra in Italia sull’opera di Kengo Kuma, con il quale ha in corso ricerche sull’uso innovativo in architettura di materiali della tradizione

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SCHEDA /2

CONIUGARE TRADIZIONE E INNOVAZIONE




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T E P R I M A

CARLO SCARPA ALLA VETRERIA VENINI

L

’esposizione ricostruisce attraverso più di 300 opere il percorso creativo di Carlo Scarpa negli anni in cui operò come direttore artistico per la vetreria Venini (dal 1932 al 1947), alcune delle quali esposte per la prima volta e provenienti da collezioni private e musei di tutto il mondo. Le opere sono suddivise in una trentina di tipologie che si differenziano per tecnica di esecuzione e per tessuto vitreo (dai vetri sommersi alle murrine romane, dai corrosi ai vetri a pennellate). Il materiale esposto comprende anche prototipi e pezzi unici, disegni e bozzetti originali, insieme a foto storiche e documenti d’archivio. La mostra offre un’occasione di riflessione sul significato e l’importanza dell’esperienza del design nell’opera di Carlo Scarpa, che al periodo muranese deve la sua vocazione sperimentale e artigiana, e propone un interessante confronto tra l’attività di Scarpa-designer e quella di Scarpa-architetto. La mostra costituisce la prima iniziativa pubblica de Le Stanze del Vetro, progetto culturale pluriennale avviato dalla Fondazione Giorgio Cini in collaborazione con Pentagram Stiftung per lo studio e la valorizzazione dell’arte vetraria veneziana del Novecento. La mostra inaugura il programma di mostre ideate con il progetto Le Stanze del Vetro che si terranno con cadenza

annuale fino al 2021, dedicate agli artisti e ai designer che nell’arco del Novecento hanno disegnato e progettato per la vetreria Venini. Questi progetti espositivi sono possibili anche grazie alla possibilità di consultare l’archivio Venini il quale è stato di recente riscoperto. L’archivio comprende documenti originali, foto storiche, disegni e bozzetti risalenti ai primi anni del Novecento. Il catalogo è reso accessibile per la prima volta nella sua completezza. Per ciascuna esposizione è prevista la pubblicazione, a cura dell’editore Skira, di un catalogo ragionato che, a completamento dell’intero ciclo espositivo, si costituirà come un importante strumento di studio e di ricerca. Le attività del progetto Le Stanze del Vetro si avvalgono di un comitato scientifico composto da Giuseppe Pavanello, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini, e da Marino Barovier, Rosa Barovier Mentasti, David Landau, Laura de Santillana e Nico Stringa.

Venezia

Carlo Scarpa. Venini 1932 – 1947 – Le Stanze del Vetro, Isola di S.Giorgio Maggiore (dal 29 agosto al 29 novembre 2012)

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MOSTRE

La 13. Mostra Internazionale di Architettura organizzata dalla Biennale di Venezia dal titolo Common Ground, è diretta da David Chipperfield e presieduta da Paolo Baratta. La Mostra sarà affiancata, come di consueto, negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, da 54 Partecipazioni nazionali. Il Padiglione Italia all’Arsenale è organizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la PaBAAC - Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee. Gli Eventi collaterali ufficiali della 13. Mostra Internazionale di Architettura saranno proposti da enti e istituzioni internazionali che allestiranno le loro mostre e le loro iniziative in vari luoghi della città. Common Ground formerà un unico percorso espositivo dal Padiglione Centrale ai Giardini all’Arsenale: David Chipperfield presenterà una mostra con 58 progetti realizzati da architetti, fotografi, artisti, 82 DESIGN +

critici e studiosi. Molti di loro hanno risposto al suo invito presentando proposte originali e installazioni create espressamente per questa Biennale. I nominativi presenti sono in totale 109. “Il tema centrale – spiega il Direttore David Chipperfield – è ciò che abbiamo in comune. L’ambizione di Common Ground è soprattutto quella di riaffermare l’esistenza di una cultura architettonica costituita non solo da singoli talenti, ma anche da un ricco patrimonio di idee differenti riunite in una storia comune, in ambizioni comuni, in contesti e ideali collettivi. Siamo partiti dal desiderio di enfatizzare idee condivise al di là della creazione individuale, e ci siamo resi conto che questo ci imponeva di attivare dialoghi piuttosto che selezionare singoli partecipanti. Abbiamo iniziato chiedendo a un gruppo limitato di architetti di sviluppare idee che portassero a ulteriori richieste di partecipazione: a ciascuno abbiamo

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Chipperfield per la Biennale

richiesto di proporre un progetto insieme a un dialogo che rispondesse al tema e mostrasse l'architettura nel suo contesto di influssi e di affinità, di storia e di lingua, di città e cultura. La lista finale dei partecipanti rappresenta una ricca cultura della differenza, piuttosto che una selezione di posizioni definite e dichiarate. Vogliamo dare risalto al terreno comune condiviso dalla professione, nonostante l'apparente diversificazione nell’attuale produzione architettonica. La condivisione delle differenze è essenziale all'idea di una cultura architettonica”. “L’architettura è per noi l’arte dell’organizzazione dello spazio che condividiamo – afferma Baratta - e l’espressione Common Ground a questo concetto direttamente ci riconduce”. VENEZIA

Common Ground - Giardini e Arsenale (dal 29 agosto al 25 novembre 2012)


Una personale dell’architetto, pittore e saggista bolognese, Davide Manti, fresco vincitore del Concorso "White & Black" del 25 maggio 2012, organizzato da Eugenio Santoro e Giuseppe Lo Bue. In contemporanea saranno esposte anche le opere della fotografa Maria Rosaria Cozza, vincitrice ex aequo dello stesso concorso. Manti si è laureato a Genova in Architettura con una tesi su case e fantasmi nel cinema horror. Architetto, pittore, editor per la produzione cinetelevisiva e saggista, attualmente vive a Bologna, dove insegna Tecnologia nelle scuole medie; da alcuni anni si dedica alla fotografia analogica ed è collezionista di macchine fotografiche e di pellicole a passo ridotto con cui monta collage e filmati di found-footage. Secondo il critico Maurizio Inchingoli: “Le opere di Davide Manti partono da un riuso di materiali e reminiscenze legate al concetto di istante trascritto su un supporto, spesso deperibile. Nella fruizione fotografica (su

grande formato) l’artista nota come l’occhio sia costretto a saltare tra miriadi di particolari che ricostruiscono la totalità dell’esperienza, cosa che peraltro avveniva già nel cinema delle origini (Meliés e Lumiére in primis)”. Manti esporrà una serie di lavori datati 2010-2012, principalmente collages più la recente videoinstallazione "Mc Guffins - Loop 2012" accompagnata dalle valigie luminescenti intitolate con lo stesso nome. Mc Guffins è una serie di opere derivate dall'interesse dell’artista per le ossessioni hitchcockiane. “Il Mc Guffin (secondo il Maestro) – spiega Manti - è un oggetto, un'arma, un prezioso, un segreto, un ambiente o finanche un'ossessione amorosa capace di mettere in movimento l'intera trama di un film, di una storia. Il mio video d'origine è un meta-montaggio di momentiMc Guffin rubati da altri film e impastati insieme in un reticolo preciso (ma sfasati nel tempo e presentati verticalmente ad imitazione di un formato analogico come il

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Un artista che ama il cinema

35 mm) in cui frames e sonoro formano una superficie cangiante di secondo in secondo. L'oggetto che ho assunto come icona del Mc Guffin perfetto è quindi la valigia, un oggetto-cornice che "incastra" il video originale trattato come generatore di frames utili ad essere usati come pannelli luminosi anche per la serie di installazioni dello stesso nome e, quindi, della stessa forma-archetipo di duchampiana memoria. La serie di valigie viene presentata come un oggetto-merce di supermercato, riprodotta in varie scale o formati di consumo e appesa come in conto vendita. Ognuna contiene un frame formato PAL come dal video d'origine da cui è stato estrapolato. La fredda luce del neon qui usato rende più misteriosa la loro presenza a parete”. BOLOGNA

Davide Manti - Candy Bar in via del Pratello 96/e (dal 29 giugno al 12 luglio 2012)

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AGENDA

ROMA Nadir Alfonso. Architetto, pittore e collezionista Museo Carlo Bilotti (dal 18 luglio al 30 settembre 2012)

Oltre alla produzione pittorica dell’artista portoghese, la mostra romana vuole porre l’attenzione sull’attività di collezionista di Nadir Afonso, esponendo anche opere degli amici artisti con i quali ha lavorato. Tra questi Pablo Picasso, Max Ernst, Candido Portinari, Giorgio de Chirico, Max Jacob, Fernand Legér. La mostra ricostruisce, intorno alla figura di Afonso quale artista amico degli artisti, quel periodo storico che è il secondo Novecento, momento in cui la confluenza tra i generi e lo scambio intellettuale è certamente il motore di una rinnovata vitalità dell’arte.

VENEZIA Gli “Archi” di Aldo Rossi Cà Giustinian (fino al 25 novembre 2012)

Intitolata Progetto Venezia, la 3. Mostra Internazionale di Architettura comprendeva un concorso internazionale a cui Aldo Rossi, che allora era il direttore, invitò architetti già affermati e giovani meno famosi, per presentare idee e progetti innovativi per la riqualificazione o la trasformazione di specifiche zone di Venezia e del suo entroterra. Rossi operò una selezione tra i numerosi progetti che gli parvero i più significativi e per ciascuno di questi fu realizzato un manifesto con le tavole che meglio identificavano il progetto. I manifesti furono stampati con tecnica litografica, e con essi furono rivestiti “archi” sistemati all’ingresso dei Giardini della Biennale. La mostra presenta i 70 manifesti dei lavori selezionati e alcuni dei progetti vincitori. BARD Marilyn, the last sitting. Bert Stern Forte di Bard (fino al 4 novembre 2012)

In concomitanza con il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Marilyn Monroe, la mostra porta in Italia gli scatti realizzati da Bert Stern in occasione di quello che è stato l’ultimo servizio fotografico dall’attrice prima della tragica scomparsa avvenuta nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 1962. Le fotografie appartengono a un nucleo acquistato dal collezionista newyorchese Leon Costantiner nel 1982, presso un’asta di Sotheby’s. Ognuna rappresenta il particolare modo con cui Bert Stern ha guardato e restituito la bellezza di Marilyn Monroe. Il servizio fotografico completo si compone di 2571 foto. Stern sceglie di pubblicarne uno stretto numero, e una selezione di immagini sempre diversa diviene oggetto di numerose mostre in tutto il mondo.


AGENDA

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BOLOGNA Plamen Dejanoff. The Bronze House MAMbo (fino al 9 settembre 2012)

Il MAMbo ospita "The Bronze House", ovvero parte di quello che sarà il monumento in bronzo più prezioso e imponente mai realizzato nell'arte moderna e contemporanea: una villa di oltre 600 metri quadrati destinata ad essere assemblata in Bulgaria a Veliko Tarnovo, città natale del suo ideatore, l'artista Plamen Dejanoff. Le fasi di avanzamento del processo di costruzione vengono presentate in un percorso espositivo itinerante che ha già coinvolto alcune prestigiose istituzioni museali europee, tra cui il MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, il MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna, il Kunstverein di Amburgo e, a seguire la tappa italiana al MAMbo, il FRAC Champagne Ardenne di Reims. A Bologna il percorso espositivo della mostra è completato da modelli e prototipi architettonici, plastici, disegni e collages.

ANDROS, già presente sul mercato dell’isolamento acustico da 7 anni, si è sempre distinta per la quantità e la qualità dei servizi nell’isolamento acustico in edilizia: progettazione acustica, fornitura e posa di isolanti, collaudi con rilascio dei rapporti di prova legittimi con la garanzia del raggiungimento dei parametri di legge. ANDROS, per mantenere lo standard del know-how a livelli superiori alla concorrenza, dopo due anni di ricerca ha concluso il progetto PANISOL. Già presentato al SAIE 2010, è il primo prodotto P35F che ha ricevuto il premio unico di sezione SAIE UNA VETRINA SUL FUTURO “Recupero: le specificità di lavorare sul vecchio”. Nel 2011 collocava finalmente sul mercato tutta la linea con importanti novità sulla resistenza meccanica dell’isolante. INFORMAZIONI SUL SITO

RANCATE (MENDRISIO) Fausto Agnelli. Tra ebrezza e disincanto Pinacoteca Giovanni Zust (fino al 19 agosto 2012)

Pittore, scultore e uomo di cultura, Fausto Agnelli (1879-1944) è stato un vero protagonista della Lugano di inizio Novecento, sino agli anni Quaranta: richiestissimo dai committenti e presente con le sue opere anche in musei e nei salotti più prestigiosi. Patrizio luganese e discendente dalla celebre famiglia di tipografi, Agnelli non fu solo pittore, ma anche attento uomo di cultura. Solo saltuariamente si dedicò alla scultura, che apprese sui banchi dell’Accademia di Brera. Come appare evidente dalla mostra, Agnelli trovò le sue fonti principali di ispirazione nella lettura di grandi scrittori americani, inglesi e francesi del XIX secolo: amava Baudelaire e Oscar Wilde.

Tappeto per isolamento a calpestio solai Pannello per isolamento aereo muri divisori

MILANO Gillo Dorfles. Kitsch - oggi il kitsch Triennale (fino al 26 agosto 2012)

Nel 1968 esce “Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto”, una serie di approfondimenti teorici che hanno aiutato a descrivere il concetto di kitsch in tutte le sue articolazioni; concetto che Dorfles per primo ha contribuito in modo decisivo a definire. Il suo testo è una vera pietra miliare per la comprensione e l’evoluzione del “cattivo gusto” dell’arte moderna. Afferma che alcuni capolavori come il Mosé di Michelangelo e la Gioconda di Leonardo sono “divenuti emblemi kitsch perché ormai riprodotti trivialmente e conosciuti, non per i loro autentici valori ma per il surrogato sentimentale o tecnico dei loro valori”. La mostra presenta opere di autori che usano citazioni kitsch e autori che sono deliberatamente kitsch. Tutte forniscono una vasta rappresentazione delle personali interpretazioni del concetto di kitsch di ciascun artista.

ANDROS di Tozzola Andrea Via Belfiore, 2 - 40026 Imola (BO) www.androsat.it - info@androsat.it www.panisol.it - info@panisol.it


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AGENDA

GAETA Alberto Magnelli 1910 – 1970 - Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea (fino al 16 settembre 2012)

Si tratta di un grande e articolato progetto, curato da Giorgio Agnisola e promosso dal Comune di Gaeta e dall’Associazione Culturale Novecento, finalizzato a mettere in luce il valore dell’opera artistica di Alberto Magnelli (Firenze 1988, Meudon 1971), artista popolare in Francia e da noi ancora non adeguatamente conosciuto, e a offrire un itinerario completo della sua attività - dalle opere giovanili innestate nella temperie matissiana e cubo-futurista, fino al grande capitolo dell’astrazione - grazie al numero e alla varietà dei lavori in mostra, sono infatti ben centosessantadue le opere esposte, provenienti da collezioni private.

AOSTA Giorgio De Chirico. Il labirinto dei sogni e delle idee Centro Saint - Bénin (fino la 30 settembre 2012)

Attraverso un'importante selezione di opere, alcune raramente esposte e provenienti da prestigiose collezioni private e museali, la mostra si pone come un'occasione unica per osservare da vicino e godere di capolavori del Maestro di solito non accessibili al grande pubblico. Illustra il percorso all’insegna della Metafisica – intesa dal maestro come qualità eletta della pittura e non come caratteristica dei soggetti – che scorre lungo le diverse fasi stilistiche del suo lavoro: recupero della tradizione classica, suscitazioni surreali, riavvicinamento alla realtà attraverso le modulazioni del barocco e quindi l’invenzione di nuovi temi e di tecniche, dai bagni misteriosi alla neometafisica. PADOVA Ritratto di una collezione Palazzo del Monte (fino al 31 luglio 2012)

Due mostre in contemporanea: la prima documenta, attraverso venti fotografie, ciò che la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo ha realizzato in vent’anni, la seconda, “Ritratto di una collezione”, ricorda, attraverso un’accurata selezione di sessanta opere d’arte, la storia antica di cui la Fondazione è l’ultima erede. L’arco temporale coperto è più di mezzo millennio di storia dell’arte. A far la parte del leone è la pittura veneta con protagonisti e comprimari. Le banche hanno custodito nel corso degli anni numerose opere d’arte: alcune sono frutto di mirate acquisizioni sul mercato, finalizzate alla salvaguardia e alla tutela del patrimonio artistico del territorio.


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ROMA Tridimensionale MAXXI (fino al 23 settembre 2012)

Nelle terrazze della galleria tre, il MAXXI Arte presenta opere di Maurizio Mochetti, Juan Muñoz, Remo Salvadori, Thomas Schütte e Franz West, più una nuova istallazione di Lucy+Jorge Orta, realizzata con il contributo di Ermenegildo Zegna. Sculture, installazioni, una performance video raccontano i molteplici e diversi modi in cui gli artisti di oggi si relazionano con la terza dimensione, creano spazi reali e virtuali, in continuità o in rottura con la grande tradizione dell’arte plastica occidentale. È un percorso che affronta la decostruzione della figura presentando ricerche fondate sull’analisi di elementi geometrici o sulla messa in discussione della scultura monumentale. Fino ad arrivare alle ricerche degli ultimi anni che recuperano le idee ereditate dalle avanguardie del primo Novecento e le traducono in forme rinnovate. TERAMO Capolavori della maiolica castellana: dal 500 al terzo fuoco Pinacoteca Civica (fino al 31 ottobre 2012)

L’esposizione presenterà al pubblico una selezione di duecentoventi capolavori realizzati tra il Cinquecento e il Settecento, per la maggior parte inediti, provenienti da una delle collezioni più prestigiose e complete nel panorama internazionale, la collezione Matricardi. I capolavori rendono omaggio all’enorme valore della manifattura di Castelli, grazie ad un percorso rappresentativo per ogni epoca e per ogni famiglia di artisti, come i Pompei, i Cappelletti, i Gentili e i Grue che, nell’arco dei secoli, hanno reso famosa la maiolica castellana in tutto il mondo. Questi due fattori hanno permesso una rilettura storica, iconografica e scientifica della produzione castellana e dei suoi artisti. L’evento presenta anche un mirabile esempio di collezionismo “illuminato”. CARRARA Il tempo di Elisa: il mito e la bellezza Accademia delle Belle Arti (fino al 10 settembre 2012)

La mostra vuole riportare alla giusta considerazione gli effetti che l’accorta politica di Elisa Bonaparte Baciocchi determinò sulle arti a Carrara nel periodo del suo principato compreso fra il 1805 e il 1814. Nel periodo del suo regno, a Carrara, vengono prodotti tutti i busti della famiglia imperiale, i cosiddetti “napoleonidi” diffusi in tutto l’impero ed è a Carrara che si precisano le note poetiche del primo e del secondo neoclassicismo. Legate al recupero del mito e all’ideale di grazia e bellezza esse, poi, si stemperano in un nuovo ed inedito naturalismo. Grazie ad Elisa, infatti, Carrara diventa meta prediletta di Antonio Canova, l’artista scelto dalla committenza napoleonica per tramandare le immagini dell’imperatore Napoleone e dei suoi familiari come divinità che abitano un nuovo Olimpo.


SALONE DEL MOBILE TUTTE LE NOVITĂ€

Da ma sospensione di Viabizzuno Lampada a sospensione realizzata con profili in ottone naturale di sezione 10x10mm e lenti biconcave di diametro 64mm che generano suggestivi effetti di luce. Disegnata da David Chipperfield e Mario Nanni, i profili sono calandrati per generare circonferenze ed elissi di diverse dimensioni. Sono disponibili 5 versioni, tutte alimentate a 12V. Il trasformatore può essere alloggiato in una scatola a incasso, oppure in un rosone esterno. 88 DESIGN +


È

NUOVO DESIGN

un evento che ogni anno muove l’attenzione dei media di tutto il mondo e chiama a Milano migliaia di persone. È lo storico Salone del Mobile anzi, per l’esattezza, Saloni: Salone Internazionale del Mobile, il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, il SaloneSatellite e le biennali EuroCucina / Salone Internazionale dei Mobili per Cucina, e il Salone Internazionale del Bagno, per un totale di 2700 espositori italiani e stranieri. La 51ª edizione de I Saloni, che si è tenuta dal 17 al 22 aprile alla fiera di Rho, ha riscosso un grande successo, come mostrano i numeri: 331.649 i visitatori nel complesso; 292.370 gli operatori del settore, con un incremento del 3,5% rispetto al 2011; 188.579 gli operatori esteri che rappresentano il 64,5% delle presenze totali (+5,9%). In linea con i risultati dello scorso anno le presenze italiane (103.791). Risultati eccezionali, soprattutto considerando il clima economico negativo che si respira da qualche anno a questa parte. A contribuire agli ottimi risultati sono state anche le iniziative in città, dedicate alla cultura dell’abitare. Per esempio “Design Dance”, evento-spettacolo che ha interpre-

tato l’avventura umana attraverso il design, in scena presso il Teatro dell’Arte della Triennale di Milano. Lunghe code anche per l’istallazione “librocielo”, presso la Biblioteca Pinacoteca Accademia Ambrosiana. Ampio consenso del pubblico anche per la mostra “MonteNapoleone Design Experience by Citroën. AUTO-MOBILI”, nella più esclusiva via dello shopping milanese. L’evento milanese, che è senza dubbio la vetrina più prestigiosa e rilevante nel mercato del design e dell’arredamento, ha coinvolto l’intera città non solo con gli eventi organizzati direttamente dalla fiera, ma anche grazie agli appuntamenti con il Fuorisalone, il cui obiettivo principale è promuovere il design come evento. Il Fuorisalone non è un evento fieristico e non è gestito da nessun ente istituzionale. La promozione è stata fatta da alcune tra le maggiori riviste di architettura, come Interni, Domus e Abitare. I quartieri protagonisti di questo evento sono stati Tortona, Brera Design District e Ventura Lambrate, senza contare i numerosissimi show room distribuiti in tutta la città. Tra Salone e Fuorisalone abbiamo selezionato alcune delle migliori novità di design presentate per l’occasione.

Nuovi materiali, forme insolite e colori molto accesi. Al Salone del Mobile di Milano quest’anno designer e aziende produttrici si sono concessi il massimo della libertà creativa. Ecco a voi una sintesi di Cristiana Zappoli Sky Natura di Riva 1920 Tavolo con top interamente in legno massello con lati naturali, spessore 4 cm, disponibile in legno rovere e in noce americano, nella caratteristica qualità con nodi. Finitura ad olio e gambe in ferro color naturale dalla caratteristica forma a rombo. Da oltre vent’anni Riva 1920 prende parte al Salone Internazionale del Mobile presentando novità di prodotti e di idee, provocando il pubblico attraverso metodi di comunicazione che emozionano e portano a riflettere su temi

di grande valore morale e sociale. «Da 20 anni produciamo a basso impatto ambientale, per dare emozioni e per tramandare ai giovani un valore, che è quello della memoria storica», dichiarano i fratelli Riva. «Partecipare al Salone Internazionale del Mobile di Milano è sempre stato per noi motivo di forte crescita nella ricerca e nella presentazione dei nostri prodotti». Grazie alla collaborazione instauratasi fra Riva 1920, Pininfarina, SCM Group e Licom System, l’azienda ha presentato

al Salone un’auto realizzata interamente in legno di briccola di Venezia che ricalca il modello della Concept Car Cambiano, Design Pininfarina, esposta all’ultimo Salone Internazionale dell’Auto di Ginevra. Non è mancata neppure un’iniziativa sociale: il progetto “Barrique, la terza vita del legno”, nato da un’idea dei fratelli Riva, che sono riusciti a chiamare a sé 31 noti architetti per la realizzazione di opere di design utilizzando il legno di riuso delle botti esauste della Comunità di San Patrignano.

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NUOVO DESIGN

Lampada Ufo di Alessi Disegnata da Frederic Gooris, è una lampada da tavolo portatile a batteria ricaricabile con base in alluminio. Fa parte della collezione AlessiLux, nata dalla collaborazione con l’azienda Foreverlamp. È una lampada che risponde ad una esigenza precisa: quella di offrire una soluzione di illuminazione flessibile adatta a ogni momento e a ogni uso e con il touch dimmer integrato è possibile creare la giusta atmosfera per ogni occasione.

Santapouf pro di Campeggi È un pouf morbido, rivestito in lycra colorata e ha il profilo del suo cliente. Ideato da Denis Santachiara, è ispirato dalle sculture a profilo continuo del fiorentino Giuseppe Bertelli (1900-1974) ed è personalizzabile per ogni cliente che sia disponibile a fornire al produttore il proprio profilo, foto o disegno, attraverso email, smartphone o iPod. Un’idea originale e creativa, in linea con lo stile di Santachiara, un designer trasversale che spazia tra le arti e le nuove tecnologie.

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Foto Ezio Prandini

Nuvola di Gervasoni Paola Navone ha disegnato una nuova collezione di imbottiti. Si chiama Nuvola e ne fanno parte una maxi poltrona da 165 cm e due divani da 220 e 260 cm. Nuvola ha una linea morbida e ironicamente paffuta, con braccioli alti e seduta profonda. I divani e la poltrona hanno struttura in multistrati e massello, imbottitura in poliuretano espanso a quote differenziate rivestita con trapuntino imbottito con piuma d’oca. Sono sfoderabili.


Saya di Arper Saya, design Lievore Altherr Molina, distribuita dall’azienda trevigiana Arper, è una seduta iconica in legno, dalla silhouette distintiva, fluida nelle linee, calda nei materiali, che cattura l’attenzione. Disponibile in tre colori di legno e laccata a poro aperto in varie tonalità naturali. Destinata sia all’utilizzo domestico sia contract, prevede una versione con base a quattro gambe in legno e una con quattro gambe in acciaio cromato.

Infiniti Loves Romero Britto Energia, ottimismo e gioia di vivere. Sono questi i valori che accomunano il giovane brand Infiniti e l’artista Romero Britto, che hanno dato vita a “Infiniti Loves Romero Britto”, la prima collezione di sedute e complementi d’arredo decorati dal creativo brasiliano, uno dei maggiori artisti e designer della Pop Art affermati a livello mondiale. Proprio come dice il nome, Infiniti non mette limiti alle possibilità espressive di ognuno: il suo design, interpretato come vera e propria esperienza sensoriale, nasce dalla contaminazione con luoghi, culture e stili di vita.

Nordica di Billiani Interpretazione contemporanea della classica sedia a pozzetto, questa seduta iconica presenta l’autenticità del designer che la firma, Marco Ferreri. Da sempre interessato a un design rigoroso ed essenziale destinato a durare nel tempo, l’architetto ligure crea una seduta dalla forma avvolgente, perfettamente semi-circolare dove il bracciale e lo schienale si susseguono senza soluzione di continuità. A completare la sensazione di fluidità e compattezza, le gambe tornite che assumono una forma prismata. DESIGN + 91


NUOVO DESIGN Liber-0 di Ronda Design Con Liber-0 Ronda Design vuole introdurre un nuovo concetto di modularità. È un mobile con struttura in legno, vano centrale con ripiano in cristallo e illuminazione a led. Le ante con cover intercambiabili metalliche permettono di trasformare il proprio mobile, scegliendo altre combinazioni cromatiche. Attraverso alcuni semplici elementi, possono essere sviluppate infinite soluzioni di arredamento, dando respiro alla creatività dell’individuo.

Tavolo Ora-Ito di Roche Bobois Roche Bobois ha presentato al Salone un tavolo firmato da Ora-Ito, designer francese di fama mondiale il cui vero nome è Ito Morabito. Il tavolo è stato il primo tassello di una collezione completa che la maison francese ha svelato solo a giugno. Molto più di un tavolo da pranzo: una scultura dalla forma attorcigliata. Top tondo, in vetro, sostenuto da una struttura ridotta al minimo: tre gambe slanciate, che sembrano ruotare nello spazio. Estetica aerea e leggera, design in divenire.

Foto Ezio Prandini

Sweet talk and dream di Campeggi Un nuovo progetto di Matali Crasset in cui il mobile non è concepito nella sua individualità, come una star, ma come elemento legato agli altri componenti dell’arredamento. All’insegna della modularità e della trasformazione, Sweet talk and dream si presenta come una piattaforma domestica dotata di tavolo e sedute per conversare, rilassarsi, leggere, lavorare col pc o giocare. In caso di necessità, la piattaforma si apre trasformandosi in letto e il tavolo diventa un pratico comodino per la notte.

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Creatività in divenire realizzata con: SERIE “COLOR UP” E “MATERIE” DI MARAZZI RIFLESSE SU SPECCHIO “FARFALLA” DI ARCHEDA

Via dell’Industria, 11/B Zona Industriale, 4 - Località Bargellino 40012 Calderara di Reno (Bo) Tel. 051.729486 - Fax 051.72889

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NUOVO DESIGN Mademoiselle di Kartell Lenny Kravitz, insieme al suo Kravitz Design Team, ha creato in esclusiva per Kartell, una collezione di sei poltroncine Mademoiselle (del designer francese Philippe Starck) reinterpretate e rivestite di materiali scelti di comune accordo con Starck. Una combinazione di pitone, pelliccia, cuoio e trame intrecciate, per un risultato finale che rispecchia lo spirito wild del rocker. Il progetto nasce dall’amicizia di lunga data tra Kravitz e Starck e dalla passione della rockstar americana per il mondo del design.

Ginko di De Castelli Una famiglia di foglie luminose ideata dal designer Marco Zito, piccole sculture metalliche pensate per l’illuminazione dei giardini. Vivono di luce riflessa di giorno e di notte. Naturali nelle forme, nei materiali e nelle finiture di ossidi, colori e texture. È la natura artificiale che si innesta nella natura reale. Le dimensioni disponibili sono 80 X 95 cm di altezza, 40 X 120 cm, 60 X 100 cm. Le finiture sono in acciaio inox, corten, acciaio maistral.

Tavomatico Il nome è una crasi tra tavolino, che a sua volta può essere usato come pratico contenitore, e pneumatico, oggetto del mondo automobilistico che cambia destinazione d'uso. Tavomatico è un progetto che parte dalla passione di Giacomo Mondini, un ingegnere che in un pneumatico riesce ancora a visualizzare l'idea romantica del viaggio. Non accettando l’idea che un vecchio pneumatico non avesse più nulla da dire e terminasse il suo viaggio, lo ha trasformato in un complemento di arredo. 94 DESIGN +



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LA LEGGEREZZA DEL POP

Sauro Marchesini racconta la sua professione di designer “per caso”. Nello studio, ricavato da una’antica chiesetta sconsacrata, crea i suoi oggetti, sempre in movimento tra rimandi metaforici e valorizzazione del gioco e della finzione di Cristiana Zappoli / foto Marco Zappia

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ifficile immaginare un lavoro più creativo di quello di un artista con la passione per il design. Altrettanto difficile immaginare un lavoro meno creativo e concreto di quello di un cassiere di banca. Figuriamoci pensare ad un bancario che si congeda dal proprio lavoro per dedicarsi all’arte e alla creazione di mobili. Eppure è quello che ha fatto Sauro Marchesini, 63 anni, bolognese: «Come tutti i creativi ho un'esigenza vitale che in me è sfociata irrefrenabile dopo il congedo dal lavoro», racconta Marchesini. «Una piccola brace che ho sempre alimentato sotto la cenere per tanti anni, nella speranza di usarla poi per creare un grande incendio e realizzare un sogno. Penso che un piccolo fuoco ci sia già, infatti sento un calore benefico. Nasce tutto da una passione, una fame irrazionale di idee, mai sazia e soddisfatta e sempre alla ricerca di nuovi sapori». Ha cominciato ad interessarsi di design all'inizio degli anni Ottanta, raccogliendo oggetti di vario tipo, quando farlo non era ancora di moda, e intanto frequentava un corso per il restauro di mobili. «A volte - racconta - questa mia passione, allora piccola ma crescente, suscitava un po’ di derisione nel mondo degli amanti dell’antiquariato. Subendo certamente una sollecitazione dovuta ai colori, ai materiali diversi, alla plastica di cui erano fatti gli oggetti che trovavo, mi sono addentrato in questo mio percorso, allora poco frequentato, strano, ironico, un po’ kitsch, ma certamente divertente. Frequentando rigattieri di ogni genere scoprivo e riportavo in vita una quantità di piccoli “tesori” altrimenti destinati alla distruzione. Mi sono avvicinato così sempre di più ad un mondo che senza alcun dubbio consideravo già molto creativo e, senz’altro, germoglio di una mia futura e per-

A sinistra: specchiera caratterizzata da un richiamo informale di lamiera posata e distanziata su uno specchio. La leggera distanza tra la cornice, che diventa una sorta di sipario, e l’immagine riflessa, conferisce teatralità al quotidiano. A destra: il designer bolognese Sauro Marchesini all’interno del suo studio a Castenaso


sonale creatività, scoprendo anche, attraverso le pubblicazioni editoriali sempre più specializzate e preziose, gli architetti». Ha trasformato nel suo studio un’antica chiesetta sconsacrata che sorge a Castenaso all’ombra di una quercia centenaria. «È un albero che racchiude tantissima energia - racconta Marchesini - e sembra che stia lì per proteggere la chiesa». Un luogo affascinante e spirituale, unico nel suo genere come sono pezzi unici le opere che nascono al suo interno. «Questo per me non è solo uno studio, è un vero e proprio “pensatoio” dove immagino, progetto e realizzo le mie creazioni». Domanda. Sauro Marchesini si sente più un designer o un artista? Risposta. La passione della mia vita è l’arte. Fin da bambino amavo e leggevo sulla mia piccola enciclopedia illustrata le biografie degli artisti. Partendo dai classici, un continuo e inarrestabile crescendo di passione mi ha portato a conoscere, dopo anni, l’infinito e irrazionale universo dell’arte moderna. E ho scoperto così la libertà, l’ironia, la gioia della provocazione della Pop Art. Anziché essere attratto dall'action painting, più istintiva e digeribile, ero affascinato dalla pop, forse più vicino ad un concetto di design (pop art e design erano le mie passioni in parallelo). Mi sento solo all'inizio di un tragitto che dovrò percorrere di corsa vista la mia età. Dovendo azzardare cosa mi sento, direi un desi-

gner con una cultura artistica, come senz’altro si noterà nei miei lavori intessuti di citazioni. Un tocco di chiara influenza artistica negli oggetti d’uso, in cui l’irrazionalità dell’arte si coniuga con la razionalità del design. D. Quali materiali utilizza? R . Ho cominciato molti anni fa con la cellulosa di carta e ho creato dei pannelli materici molto grandi, che ho affettuosamente eironicamente chiamato crostoni. Poi, con il vetro rotto o inciso (sabbiato), ho realizzato lampade, sempre con vetri recuperati in discariche varie, materiale altrimenti destinato alla distruzione. Sono passato alle lampade in plexiglass, sempre con materiale resuscitato (mi piace molto questa parola che uso spesso, anche se in modo esagerato). È un materiale meraviglioso, più affascinante, moderno e malleabile del vetro che stavo allora lavorando. Pezzetti di plex, scarto industriale, di varia grandezza: imbullonati insieme creano una forma geometrica, anche di grandi dimensioni. Opacizzati filtrano una luce molto morbida e seduttiva. Si allontanano un po’ da quelle in vetro più artigianali, avvicinandosi forse come concezione a un linguaggio vicino al design. Ultimamente, con la realizzazione di tavolini, specchiere e soprattutto gioielli in acciaio, che amo molto, la mia ricerca si è spostata letteralmente dal campo artigianale a quello

Sopra e sotto: tavolino color turchese. Una sorta di servetto che fedelmente presta il suo servizio; leggero e silenzioso, caratterizzato da un ricamo elegante e non retorico

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industriale. Con la realizzazione di oggetti, pensati e disegnati al computer, i miei materiali di risulta sembrano ormai al tramonto, anche se non del tutto abbandonati. Il discorso attuale è più aderente alla filosofia del design come deve essere. Ora la ricerca del materiale è molto più contenuta e standard. Mi esprimo nella forma e nel colore, cercando ancora di evidenziare sempre una piccola provocazione “pop” e un senso di gioco che mi permette di divertirmi. Il materiale di recupero ha un passato, una storia, l'imperfezione lo rende interessante, unico, vivo, pronto ad un nuovo futuro. Il materiale nuovo manca di storia e vive solo il presente, è senz'altro meno poetico. Amo i materiali vecchi, trovati per caso, raccolti e depositati, in attesa di essere creativamente liberati.

D. Come nasce e come si evolve la sua collaborazione con Uno Arredamenti? R . Lo show room di Ponte Rizzoli, in via di completamento, necessitava di un'idea per decorare una parete molto ampia all'ingresso dell'esposizione. Ricevuto il messaggio dalla signora Teresa L'Assainato, titolare dell'azienda e cliente della banca dove lavoravo, mi sono proposto di provare a realizzare un quadro. Il problema, di questo avventato e insolito mio slancio, si evidenziava di fronte a una enorme e imbarazzante tela bianca. È nato un dipinto informale, colorato e molto ritmico, è piaciuto subito e collocato proprio nel salone principale, con mio grande piacere. Rotto il ghiaccio e acquistato un po’ di coraggio, ho iniziato a lavorare su una progettazione più consona alle loro esigenze commerciali, con la creazione di lampade, specchiere e tavolini, realizzati dopo aver imparato il metodo autocad e il taglio al laser. I pezzi sono unici e in produzione limitata. D. «Il sogno dell’artista è quello di arrivare al museo, mentre il sogno del designer è quello di arrivare ai mercati rionali», diceva Bruno Munari. Qual è il suo sogno? R . Premetto che Munari è un grande provocatore eclettico, e mi piace molto. Nei musei le opere e gli oggetti ti guardano come se fossero in gabbia, con gli occhi languidi e tristi, nonostante la loro riconosciuta importanza. StrapA sinistra: lampada in plexiglass da tavolo, combinazione geometrica di pezzetti imbullonati e stratificati. A destra: lampada tubo in plexiglass, il suo fascino risiede nelle forma insolita, un oggetto particolare fatto di un materiale leggero ed evanescente


A sinistra: tavolini di varie dimensioni, un po’ oggetti un po’ sculture, funzionali e divertenti per un arredo creativo. Sopra: la chiesetta sconsacrata a Castenaso che Marchesini utilizza come studio. Sotto: lampada in plexiglass fatta di strisce orizzontali imbullonate che creano un effetto “serranda”, flessuosa nonostante la sua dimensione

pati dal loro habitat naturale mi inquietano un po’, come fossero animali tristi allo zoo. Meglio il mercato rionale, pieno di colori e vivacità. D. Le piacerebbe un giorno arrivare alla produzione in serie delle sue creazioni? R . Ho un dna propenso al sogno, non mi costa fatica ammettere che sarebbe uno dei miei sogni, o forse il sogno della mia vita, anche solo per entrare in contatto con un mondo che amo. D. Qual è la filosofia concettuale alla base dei tuoi concept? R. Non so se considerare una filosofia la mia necessità di comunicare piccole provocazioni pop, con un senso del gioco e con lo scopo di sfuggire a quella sensazione che, in una parola sola, potrei chiamare noia. È la necessità di creare “giocattoli” che racchiudano un’energia ironica come deterrente alla noia. Non credo sia sufficiente per affermare uno stile, ma posso assicurare che è una delle sorgenti della mia ricerca stilistica. D. Il suo punto di partenza è la forma o la funzione? R . Non ho la cultura giusta per poter sostenere un discorso sulla funzionalità di un oggetto in senso tecnico. Amo l'arte e la sua irrazionalità oggettiva. È chiaramente la forma il mio punto di partenza, che coniugandosi con l'idea, forse, crea la funzione. D. In fase di progettazione pensa alle abitazioni in cui andranno i suoi oggetti? R . Di solito no. Però mi piace immaginare con un po’ di ironia di invadere affettuosamente ambienti grigi con un po’ di colore o con qualche piccola trasgressione. L'unica cosa della quale sono certo è che ho una forte tendenza al senso del gioco come pura forma di divertimento, fin-

zione vissuta, e nella quale a volte amo perdermi. Per quanto riguarda il contesto abitativo mi viene da pensare alla mia piccola ''teoria'' della gondoletta di Venezia, che ostento con orgoglio nel mio studio: la ballerina, il carrillon, la lucina, in casa di mia madre erano kitsch, in casa mia sono snob. È la cultura delle persone che trasforma gli oggetti attraverso punti di vista diversi. L'oggetto assume un valore secondo l'importanza o la credibilità di chi ci vive a contatto.

Sauro Marchesini via Fontanazzi 2, Castenaso tel. 338 - 9971943

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FOTOGRAFIA

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PICCOLI DETTAGLI

D’ARCHITETTURA

«La visione totale appartiene a chi si trova in un luogo, il dettaglio a chi lo sa cogliere». Franco Franceschi, fotografo bolognese, spiega il suo lavoro. E ricorda: «Fotografare non significa giudicare, ma dare un inedito punto di vista» di Cristiana Zappoli 2

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io alberga nel dettaglio». Questa frase di Warburg, per stessa ammissione di Franco Franceschi, fotografo bolognese, racchiude la filosofia del suo lavoro: una ricerca del particolare a scapito dell’intero. «Quando iniziai la professione del fotografo di moda - racconta - pensai fosse abbastanza inutile “saltellare” attorno alla modella come vedevo fare da molti colleghi, perché, così facendo, mi sarei deconcentrato e avrei prestato meno attenzione all’inquadratura, all’attimo da cogliere. Così iniziai a fotografare con lo zoom e principalmente con delle ottiche lunghe che mi consentissero di rimanere distante dal soggetto perchè fosse più a suo agio e rendesse l’interpretazione più spontanea. Ero attratto da particolari, labbra che venivano colorate con il rossetto, gli occhi, una curva del corpo. Quando ho iniziato la ricerca per una mostra su Bologna mi sono chiesto perché avessi scelto un palazzo piuttosto che un altro e fissai il motivo, il dettaglio, che mi aveva attratto, e solo quello sulla pellicola. Il risultato era emozionante. Lo stesso stampatore, nato e vissuto sotto le due torri mi chiese dove avessi fatto quelle foto facendomi capire in un attimo che era la strada giusta. C’è una ragione importante in tutto questo ed è che la visione totale appartiene a chiunque si trovi in quel luogo e stia guardando in quella direzione mentre il dettaglio appartiene solamente a chi lo sa cogliere, ed è quasi impossibile cogliere il medesimo». Franceschi si avvicina alla fotografia dopo essersi appassionato per un periodo al disegno e alla pittura. Si dedica inizialmente ai reportage sociali e alla moda per poi ampliare i propri interessi verso il paesaggio, l’architettura e il design. «Sono convinto che nulla venga scelto, - spiega - almeno per me è così, ma che vi siano persone, situazioni o eventi che scelgono a chi appartenere. Io avrei voluto essere un pittore, forse anche un navigatore, e invece la fotografia mi ha scelto e mi ha portato con sé. E così è stato anche per il mio modo di fotografare».

FRANCO FRANCESCHI Si avvicina alla fotografia dopo un periodo dedicato al disegno e alla pittura. Nel 1978 fonda lo Studio Alfa Tau lavorando nel settore della moda. Ampliate le sue ricerche sul paesaggio, sull'architettura e sul design porta le sue immagini in mostre personali in diversi Paesi d'Europa, negli Stati Uniti e in Sud America

1.Grenoble Ecole Superieure de Commerce; 2. Grenoble Palazzina di uffici nell'area della Stazione; 3. Lima-San Isidro; 4. Asheville North Carolina; 5. Lima-Miraflores; 6. Myrtle Beach South Carolina

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Domanda. Franco Franceschi, come è nata la sua passione per la fotografia? Risposta. Come nascono le passioni. Per caso o per gioco. Ho sempre fotografato perché in casa nessun altro lo voleva fare e così mio padre, che aveva acquistato una nuova Laica ma non amava fare foto, me la diede nonostante avessi otto anni e mi caricò di tutta la responsabilità del caso spiegandomi bene che era un oggetto di grande valore e che con quella macchina le foto potevano venire molto belle e che se non lo fossero state sarebbe stato per colpa mia. Ma la passione vera è nata più tardi, assieme a quella per il disegno, e hanno viaggiato per diverso tempo su binari paralleli. D. Lei ha iniziato come fotografo di reportage sociali e di viaggio e poi è passato alla fotografia di moda. Come è iniziato il suo rapporto con l’architettura? R . Quando sono entrato all’università era il momento migliore per i reportage a sfondo politico o sociale, era come essere a Beirut, bastava uscire di casa e c’erano già tutti gli ingredienti pronti senza dover andare a cercare alcunché, e le foto erano anche molto richieste. Un giorno un amico, che era un grande fotografo e che mi aveva insegnato a manipolare le pellicole come fossero ricette di cucina, mi chiese se volessi andare a teatro con lui a fare “una cosa”. Ci andai e mi ritrovai sotto il palco dell’Arena del Sole e sul palco apparve Mina, lì a due metri da me. Rimasi folgorato e pensai che se le foto fossero state belle sarebbe stato un segno. Erano belle e decisi che nella vita avrei fotografato donne, belle e grandi. La foto di moda è una professione durissima e spietata. Si spendono i soldi che altri hanno investito senza possibilità di appello, senza poter correggere un errore né tanto meno sperare che venga giustificato. Poi, ogni tanto, nasce anche “la foto”, quella perfetta. Durante gli anni della moda ho capito le forme, la grazia dei movimenti, ho imparato a usare vento e tessuti per voli e volute e a contrapporre la leziosità dei 6

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FOTOGRAFIA 7

7. Copenhagen-IslandsBrygge; 8. Myrtle BeachSouth Carolina; 9. Bologna nuovo Padiglione Ospedale Sant’Orsola

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tessuti al rigore di forme geometriche. Erano invenzioni bellissime ma capivo che quella tendenza sarebbe finita, come gli anni ’80 che l’avevano generata. Un giorno, mentre discutevamo con il mio gruppo di una campagna pubblicitaria che avremmo dovuto realizzare, non riuscivo a focalizzare il “come”, perché avevo capito che il momento delle grandi scenografie create in studio stava finendo e così, mentre uno scenografo mi disegnava delle linee per realizzare un set, gli ho chiesto dove avesse preso l’ispirazione. Mi mostrò una Polaroid del luogo che colpì subito la mia fantasia e decisi, così su due piedi, per il servizio in location gettandomi alle spalle anni di esperienza. Tutto quello che per anni avevo realizzato in studio con l’aiuto di scenografi un giorno, per caso, l’ho trovato pronto e ho realizzato il servizio direttamente sull’originale della Polaroid e da lì è stato un susseguirsi di architettura antica o moderna e modelle. Lì ho trovato l’amore per l’armonia architettonica. Architettura e moda, un binomio eccezionale, perché l’abito, con i movimenti del corpo, imprimeva alla struttura architettonica il dinamismo che apparentemente mancava. D. Come è nato il suo lavoro “Linee architettoniche dell’edilizia del ‘900, a Bologna” edito da L’Artiere Edizionitalia? Da cosa è stato affascinato?

R . All’inizio degli anni 2000 la moda stagnava e i professionisti della mia generazione erano un po’ allo sbando e in attesa di capire bene cosa stesse accadendo nel nostro universo, quando mi venne proposto, dal Comune di Bologna, di fare una mostra. Accettai con entusiasmo, ma non volevo che fosse un’antologica di foto di moda perché l’avrei sentita come una sorta di canto del cigno o di visione nostalgica dei bei tempi andati. Così cominciai a pensare a quale potesse essere un buon soggetto. Camminando una notte per la città venni attratto da uno dei palazzi costruiti in epoca Razionalista, ma decisamente ispirati, secondo il mio modo di vedere, dal Futurismo di Sant’Elia, la “Palazzina della Direttissima” in Montagnola e, in preda a questa folgorazione amorosa, ne andai a cercare altri. Mentre esaminavo i primi risultati delle mie esplorazioni il mio stampatore mi chiese perché fossi così attratto da quella che lui liquidò categoricamente con il termine di “architettura fascista”. Capii subito che questa visione avrebbe evocato argomenti troppo lontani dalle mie intenzioni e così decisi di allargare la ricerca a tutto il secolo. Si trattava ora di dare al tema un titolo che ne rappresentasse lo spirito. In questo, come nella lettura delle immagini, sono completamente negato, anzi sono convinto che siano due argomenti che debbano essere trattati da chi è estraneo al lavoro. Non amo dar titoli alle foto, il titolo se lo dovrebbero dare da sole o lo dovrebbe dare chi le


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10. San Francisco-Financial District; 11. San Francisco Financial District; 12. Siena nuova costruzione adibita a clinica privata

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vede. Così una notte, con un’amica abile in queste cose, Ilka Gavina, trovammo il titolo giusto che venne anche molto apprezzato dagli organizzatori. La mostra, che si tenne nella Sala d’Ercole di Palazzo D’Accursio, ebbe molto successo e, di conseguenza, mi venne proposto di trarne un volume. D. Le sue fotografie quanto raccontano delle città che ne sono oggetto? R . Nulla. Le mie foto non raccontano quello che vedo, ma quello che sento mentre guardo ed è per

questo che la prima visita ad una città a me sconosciuta mi regala sempre immagini più emozionanti delle visite successive. Le stesse immagini di “Bologna’s 20th Century” ci hanno restituito una città che gli stessi che la vivono quotidianamente faticano e riconoscere nonostante non sia andato a scovarne angoli nascosti, ma ho semplicemente espresso nelle immagini le impressioni che hanno destato in me dettagli sotto gli occhi di tutti quotidianamente. Alle volte riesco a fare centinaia di foto in luoghi che altri trovano infotografabili. D. La fotografia di architettura (e quindi il punto di vista del fotografo) è in qualche modo “critica architettonica”? R. Assolutamente no, almeno nel mio caso, non lo è, non lo vuole né lo può essere. La fotografia di architettura è l’immagine che il fotografo dà del prodotto. In alcuni casi può essere un’immagine documentaria ed allora facilmente riprende il punto di vista dell’architetto o del costruttore. Nel mio caso l’immagine non nasce da una richiesta, ma da un mio particolare apprezzamento per l’opera dell’architetto. Il termine “critica” implica un giudizio mentre io con le mie foto non esprimo un’opinione, mi limito a prendere un appunto. Mi piacerebbe, mostrando il dettaglio di un progetto, aver colto anche il punto di vista dell’architetto, il primo tratto attorno a cui ha fatto nascere tutto quel progetto, ma so che questo è impossibile e rimane un mio sogno, un desiderio o forse un’ambizione. DESIGN + 103





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